VITA DA RICERCATORE Annalisa Di Ruscio In questo articolo: Start-up grant oncoematologia ricerca di base Da classicista mancata a ricercatrice di successo Un brutto voto nel tema di maturità cambia il destino di una giovane abruzzese e la porta alla laurea in medicina e poi alla prestigiosa Università di Harvard. Oggi è tornata in Italia con un finanziamento AIRC e si occupa degli aspetti molecolari in oncoematologia ’ E a cura di FABIO TURONE per via del romanzo italiano dell’Ottocento se ha abbandonato il progetto di iscriversi alla Facoltà di lettere classiche: all’esame di maturità, che stava sostenendo al Liceo classico di Sulmona, la cittadina abruzzese dove è nata, la prima traccia invitava a parlare dei “continui successi delle scienze, in particolare della medicina” e delle promesse della genetica, ma lei per puntare al massimo dei voti optò per la letteratura: “Fu una vera batosta, perché avevo sempre amato molto scrivere ed ero fiduciosa, ma quel mio tema di italiano ottenne un modesto sei. Anche grazie a una versione di greco impeccabile, su DeAnnalisa mostene, il voto finale fu di 54 Di Ruscio sessantesimi. Un buon voto, ma io vissi il mancato 60 coinsieme una sconfitta bruciante” a Gianluca me racconta Annalisa Di Ruscio, Gaidano seduta nell’ufficio da cui da pochi mesi dirige uno dei laboratori del Dipartimento di medicina traslazionale dell’Università del Piemonte Orientale di Novara. La “batosta” mise tutto in discussione: “Devo a quel 54 se sono qui oggi. Avevo deciso che per iscrivermi a 4 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2016 lettere classiche avrei dovuto ottenere il massimo dei voti, quindi mentre elaboravo la sconfitta cercai una nuova sfida con cui rimettermi in gioco” racconta con un sorriso sereno. “Alcuni corsi di laurea avevano il numero chiuso, per cui in estate feci il test di ingresso alla Facoltà di economia e commercio, della Bocconi di Milano e decisi anche di seguire un’amica che aveva deciso di fare quello di medicina all’Università Cattolica di Roma. Avevo letto Elogio dell’imperfezione, l’autobiografia scritta dalla grande scienziata Rita Levi-Montalcini all’indomani del premio Nobel, che mi colpì molto”. La scelta cade sulla Cattolica di Roma e la prospettiva di avere un medico in famiglia viene accolta da tutti con grande entusiasmo: “Mia mamma e mia nonna erano felicissime e, tra le tante ragioni, c’era l’idea che come medico avrei guadagnato bene. Nessuno immaginava che dopo la laurea e la specializzazione in ematologia avrei optato per un’incerta carriera nella ricerca” ricorda divertita. Trascorre il primo anno nella capitale vivendo in un collegio di suore, con orari monacali, poi insieme a cinque compagne di università si sposta in un appartamento davanti al Policlinico Gemelli: “Studiare medicina è stata la cosa più bella che mi sia capitata” sottolinea con entusiasmo, prima di raccontare del colpo di fulmine ancor più folgorante che la colpì nell’estate del 2002: “Ero al quarto anno e grazie al programma Erasmus ero andata a trascorrere l’estate nel Dipartimento di ematologia dell’Università di Cardiff, in Galles, diretto da Alan Burnett, che un giorno mi chiese se volevo conoscere il laboratorio di biologia molecolare. Fu così che iniziai ad appassionarmi dell’aspetto molecolare della ricerca”. Il medico in laboratorio Al ritorno in Italia la passione trova un fertile terreno di coltura nel laboratorio del Gemelli, anche grazie alla guida della sua mentore, Maria Teresa Voso. Lì trascorre un periodo di due anni, preludio all’ingresso – dopo la laurea in medicina, questa volta con il massimo dei voti e la lode - nella scuola di specialità in ematologia. Sta frequentando il terzo dei quattro anni, quando ottiene una borsa di studio AIRC, intitolata a Leonino Fontana e Maria Lionello, per trascorrere un anno nel tempio mondiale della ricerca medica: l’Università di Harvard a Boston, negli Stati Uniti. “La mia famiglia aveva un rapporto particolare con Boston, perché nel dopoguerra i miei nonni materni erano emigrati lì, e mia mamma Marisa ci visse per molti anni prima di tornare a Sulmona, dove, durante le vacanze, conobbe mio papà, Davide, con cui proprio quest’anno festeggia i 40 anni di matrimonio”. Anche la nuova sfida viene affrontata con passione: “Come medico avevo inizialmente moltissime lacune in biologia e, nel laboratorio di oncoematologia diretto da Daniel Tenen, al Beth Israel Deaconess Medical Center, ho trovato un ambiente nuovo e molto competiti- La famiglia contava su una carriera nella clinica “A vo. Soprattutto all’inizio sentivo di dover dimostrare di essere all’altezza della nuova sfida”. Un anno non basta per portare a termine un progetto di ricerca, ma è sufficiente per capire se la la direzione è promettente. Per Annalisa, la conferma di essere sulla strada giusta arriva con l’aggiudicazione di una nuova borsa di ricerca, in concomitanza con l’esame di specializzazione in ematologia sostenuto a Roma, in inglese. Il voto? 50/50, con lode. La borsa di ricerca – degli ultracompetitivi National Institutes of Health – è triennale e comporta di spostare decisamente il proprio baricentro, non solo professionale, sulla Costa Orientale degli Stati Uniti: “Da quando mia mamma ha scoperto la possibilità di vederci in qualsiasi momento via Skype si è appassionata a tutte le nuove tecnologie” racconta con un sorriso. “Dopo due anni vissuti in una stanza in un appartamento in condivisione, al compimento dei trenta ho deciso di andare a vivere per conto mio, nel quartiere di Brooklin, non lontano dal Beth Israel”. La vita è scandita dal ritmo frenetico della ricerca in laboratorio: “In un contesto ideale per la scienza come Boston, e in un clima generale fortemente competitivo, il laboratorio di Tenen mi è piaciuto molto, anche per il grande spirito di collaborazione e condivisione. Per me è stata un’espe- DALLA CRONACA NERA A NATURE un certo punto della sua adolescenza Annalisa Di Ruscio pensava che avrebbe voluto fare la giornalista di cronaca nera o il magistrato, ma la sua passione per la ricerca del colpevole si è alla fine concentrata sulla cellula e su un meccanismo complesso che fa sì che un gene, che fino ad allora aveva fatto onestamente il proprio lavoro cominci, per così dire a “delinquere”, innescando il cancro. Il meccanismo è quello della cosiddetta “metilazione”: una reazione biochimica che comporta l’aggiunta in specifici punti del DNA di un atomo di carbonio e tre di idrogeno legati insieme (che così facendo formano un “gruppo metile”) ed è legata alla proliferazione e al differenziamento cellulare. Fa parte delle cosiddette modifiche epigenetiche, che non cambiano il “testo”, ovvero la sequenza vera e propria del genoma, ma possono modificarne il significato o renderlo totalmente invisibile, come se fossero scritte usando lo stesso colore dello sfondo della pagina. La ricerca di Annalisa Di Ruscio ha preso in esame l’interazione tra un gene, un enzima e un particolare tipo di RNA (non codificante) scoprendo una sorta di interruttore ” biochimico in grado di trasformare un gene oncosoppressore, impegnato nella lotta per contrastare il cancro, in un suo complice, e viceversa. La ricerca, pubblicata come prima autrice sulla rivista Nature, dopo le importantissime osservazioni su linee cellulari, dovrà essere ampliata e confermata, ma apre la strada a nuove strategie terapeutiche: tra i prossimi obiettivi c’è la messa a punto di molecole capaci di “demetilare” selettivamente specifici geni coinvolti nello sviluppo del cancro e di altre malattie. OTTOBRE 2016 | FONDAMENTALE | 5 VITA DA RICERCATORE Annalisa Di Ruscio to come l’ematologia oncologica, la ricerca diventa anche uno strumento per esorcizzare il dolore, un modo per tentare di rendersi utili e contribuire alla comprensione della malattia” spiega Di Ruscio. “Il tentativo di vincere quel senso di sconforto e ingiustizia che si prova. Nello sforzo collegiale dei ricercatori insieme ad associazioni come AIRC si nasconde un senso di umanità e di solidarietà che è l’essenza della ricerca e la sua più grande bellezza. Il pensiero di quei tanti che non ce l’hanno fatta è come un faro sempre presente che guida e sostiene la volontà di capire come farcela.” Un lavoro creativo Nella foto Annalisa Di Ruscio insieme a Mailin Li, Pasquale Cascino e Claudia Scopelliti rienza fantastica di vita, non solo per le cose che ho imparato, grazie all’aiuto del collega senior Alexander Erbalidze, ma anche perché sono entrata in contatto con lingue, culture e abitudini di tutto il mondo. A una certa ora, qualcuno rammentava a tutti gli altri che restavano ben pochi ristoranti ancora aperti, e bisognava sospendere il lavoro”. Ritorno in patria Ora che grazie a un finanziamento di AIRC è riuscita a tornare in Italia dalla porta principale, dopo otto anni passati a studiare, fare ricerca e insegnare a Harvard, ha portato con sé una studentessa di master americana, Mailin, che condivide il nuovo laboratorio con due giovani ricercatori italiani, Pasquale e Claudia. Il rientro non è stato facile né immediato: “Ho presentato per la prima volta la domanda per lo Start-up grant di AIRC all’inizio del 2013, ma fui scar1 2 3 4 tata. Nello stesso periodo anche la mia ricerca sottoposta alla rivista Nature per la pubblicazione fu bocciata da uno dei revisori e, a quel punto, ho pensato di aver sprecato gli ultimi sei anni della mia vita” racconta. Rimboccandosi le maniche, ha escogitato un nuovo esperimento per convincere il revisore riluttante, ottenendo finalmente il via libera alla pubblicazione: “La carriera nella ricerca è fatta di alti e bassi e richiede molto supporto. Però è davvero un lavoro unico e oggi mi ritengo molto privilegiata”. La nuova importante pietra miliare aggiunta al curriculum con la prestigiosa pubblicazione le ha quindi permesso di riprovare, ottenendo una borsa della fondazione Harvard-Armenise che favorisce il rientro in Italia dei ricercatori migliori e poi quella di AIRC, con cui ha aperto il proprio laboratorio all’Università del Piemonte Orientale di Novara, nel dipartimento diretto da Gianluca Gaidano. “Per chi abbia frequentato un repar- Creatività e rigore sono la ricetta per il successo Nel 2016 vogliamo affrontare in particolare quattro grandi sfide: 1-immunità e cancro, 2-prevenzione, 3-cancro e ambiente e 4-indentificazione dei bersagli per cure mirate. Queste ricerche rispondono alla sfida 4. Per approfondire vai su www.airc.it/sfide 6 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2016 Oggi la nostalgia per gli studi classici viene fuori quando vengono pubblicate le tracce d’esame e lei verifica quanto riesce ancora a tradurre dal greco e dal latino: “Consiglio il liceo classico a chiunque voglia mettersi alla prova, perché sprona a dare sempre di più e insegna a cercare sempre lo stimolo per migliorarsi” spiega. “Mettere in piedi un protocollo di ricerca è un lavoro creativo, che però richiede uno scrupoloso lavoro di risoluzione di problemi piccoli e grandi, da seguire passo dopo passo, provando e riprovando”. Per certi versi, è una situazione simile a quella di chi si mette ai fornelli: “Nella ricerca, come nella cucina, ci sono cose che si possono fare usando preparati confezionati da altri, con la sicurezza di un risultato più che dignitoso. Partire dagli ingredienti grezzi invece espone al rischio di frustrazione, ma permette di scoprire e creare cose nuove”. Annalisa ha scoperto a Harvard di avere un talento speciale per questa particolare attività creativa quando Daniel Tenen le ha fatto un curioso complimento: “’You’re a real man!’ mi ha detto” ricorda con divertito orgoglio. “Un medico divenuto biochimico e un vero uomo!”