Introduzione Il lavoro presentato in questa tesi è stato svolto nell’ambito del progetto PAX (Polarized Antiproton eXperiment), che si propone di polarizzare gli antiprotoni dell’ anello di accumulazione HESR (High Energy Storage Ring) della facility FAIR (Facility of Antiproton and Ions Research) che sarà realizzata al GSI di Darmstadt, in Germania. Si rimanda a questo proposito alla referenza [1]. Ci si propone di polarizzare gli antiprotoni con il metodo dello spin filtering, suggerito da Csonska nel 1960 [2]. Questo metodo si avvale della differenza tra le sezioni d’urto nucleari della reazione, pp a seconda che gli spin delle particelle interagenti siano concordi o discordi. Collocando quindi su un anello di accumulazione di antiprotoni non polarizzati un bersaglio interno gassoso contenente protoni polarizzati, nel corso di ripetuti passaggi, verranno gradualmente eliminati, per interazione forte, tutti gli antiprotoni con spin anti-parallelo allo spin dei protoni del bersaglio; il fascio di antiprotoni circolanti nell’anello conterrà sopratutto particelle con spin allineato a quello del bersaglio, risultando così polarizzato. Questo metodo è stato verificato sperimentalmente con un fascio di protoni, già dal 1993 [3] nell’esperimento Filtex. In pratica si usa come bersaglio un sottile tubo detto “cella di accumulazione” (Storage Cell), coassiale al fascio che si vuole polarizzare, riempito di idrogeno gassoso polarizzato. Questo proviene da una sorgente che produce un getto di atomi di idrogeno polarizzato, che viene iniettato nella cella di accumulazione. Evidentemente le prestazioni delle sorgenti di getti atomici polarizzati, comunemente chiamate ABS, (Atomic Beam Source), sono un elemento cruciale per la realizzazione del progetto PAX. In particolare sarebbe opportuno aumentare l’intensità delle ABS, possibilmente passando dall’intensità di 1016 atomi / s delle attuali sorgenti a 1017 atomi / s . In quest’ottica, al laboratorio SpinLab di Ferrara si studiano sistematicamente le caratteristiche delle sorgenti atomiche, con lo scopo di migliorane le prestazioni. Questo progetto di ricerca si avvale della collaborazione occasionale con laboratori internazionali come Juelich in Germania, l’Universita’ di Erlangen, RHIC di Brookhaven e Novosibirsk. Il laboratorio è attrezzato con due ABS, di cui una, la ABS1, proveniente dal CERN, produce fasci atomici e molecolari non polarizzati, e l’altra, la ABS2, proveniente da Indiana, USA, è dotata di un sistema di magneti polarizzanti e focalizzanti. Con queste attrezzature, e il versatile sistema di dignostica che le accompagna, SpinLab costituisce l’unica facility attualmente esistente, per lo studio e lo sviluppo delle ABS. Il lavoro presentato in questa tesi si inserisce in questo programma di ricerca. Nel capitolo 1 sono esaminate dettagliatamente tutte le problematiche relative alla realizzazione delle ABS, dalla dissociazione alla polarizzazione del fascio, con particolare attenzione agli importanti fenomeni di ricombinazione. Nel capitolo 2 sono descritte le facilities del laboratorio SpinLab . Nel capitolo 3 è trattato il problema della misura del tempo di volo,TOF(Time Of Flight) in connessione con la determinazione delle distribuzioni di velocità dei fasci atomici, e sono presentate alcune misure di calibrazioni. Infine, le conclusioni sono brevemente esposte nel Capitolo 4. 1 L’Appendice A è dedicata ai modelli fenomenologici, relativi alla ricombinazione e alla formazione del getto. L’Appendice B è dedicata alla polarizzazione dell’idrogeno e del deuterio. L’Appendice C contiene una descrizione dettagliata dello spettrometro di massa (QMA), che è attualmente il rivelatore di cui è dotato il sistema di diagnostica. Nell’Appendice D si trovano i risultati di alcune misure relative alla tecnica del “tempo di volo”, alle quali ho partecipato. 2 Capitolo 1 Produzione di fasci atomici polarizzati 1.1 Introduzione In questo capitolo viene descritta la struttura di una sorgente di fasci atomici gassosi polarizzati, con particolare riferimento all’idrogeno e al deuterio. Vengono inoltre analizzate le principali problematiche relative alla realizzazione e all’uso di tali sorgenti, generalmente note in letteratura come “Atomic Beam sources”, da cui l’acronimo “ABS” con il quale vengono correntemente indicate, che sarà utilizzato in questa tesi. Il principio su cui sono basate le ABS è l’effetto Stern-Gerlach: la presenza di un campo magnetico esterno non omogeneo in una direzione comporta l’azione, sulle particelle che lo attraversano, di una forza deflettente proporzionale alla corrispondente componente del momento magnetico, e permette quindi la selezione in spin del fascio, dato che il momento magnetico è legato al momento angolare di spin delle particelle, che, come è noto, può assumere solo valori discreti. Il fascio uscente da una ABS può essere usato come bersaglio. I bersagli gassosi presentano numerosi vantaggi rispetto ai bersagli solidi. I bersagli solidi sono formati da idrocarburi o ammoniaca drogati con piccole quantità di materiali paramagnetici, in cui si polarizzano i soli atomi di idrogeno tramite transizioni tra livelli iperfini indotte da scariche a microonde. Per esempio, la targhetta polarizzata dell’esperimento COMPASS 4 raggiunge polarizzazioni massime del 50%, e i tempi di inversione di polarizzazione sono prossimi all’ora, circa; va inoltre sottolineato che le dimensioni di tali bersagli sono dell’ordine dei 60 cm, un fattore 100 circa rispetto alle dimensioni di un getto atomico. I bersagli gassosi raggiungono, invece, polarizzazioni del 90%, non presentano fenomeni di diluizione dato l’elevato grado di purezza e permettono l’inversione della direzione di polarizzazione in tempi dell’ordine del millisecondo. L’utilizzo di tali bersagli è però limitato dalle densità ottenibili, che ne rende praticamente impossibile l’uso con fasci estratti. Per tale ragione, verso la fine degli anni sessanta, il professor Haeberli, suggerì di aumentare la densità del bersaglio iniettando gli atomi polarizzati della ABS in una cella di accumulazione (cell), coassiale al fascio incidente stesso, circolante in un anello di accumulazione (Storage Ring). (Vedi ref [5]). La cell, essenzialmente formata da tubo a T, è schematizzata in figura 1.1. Gli atomi della sorgente atomica, una volta entrati nella cella di accumulazione, compiono sulle pareti del tubo contenente il fascio e perpendicolare alla direzione di iniezione, numerose collisioni, che comportano un aumento della densità del bersaglio, vista dal fascio incidente, di un fattore 100 circa. 3 Le celle di accumulazione sono state utilizzate in numerosi esperimenti come bersagli interni di fasci accelerati circolanti in anelli di accumulazione. Si cita come esempio l’esperimento HERMES, basato sullo scattering profondamente anelastico (Deep Inelastic Scattering, DIS) degli elettroni dell’anello di accumulazione HERA del DESY con atomi polarizzati di idrogeno e deuterio accumulati in una cella. Vedi, per una panoramica sull’esperimento la referenza [6]. Si ricorda che questo esperimento ha permesso, tra l’altro, di ricalcolare con precisione la funzione di distribuzione in spin longitudinale di un protone e, in combinazione con i dati ottenuti dal progetto BELL e da COMPASS, di determinare per la prima volta la funzione di distribuzione trasversale. [7] . Fig.1.1 schema di una cella di accumulazione. Gli esperimenti di nuova generazione, tuttavia, richiedono un incremento di densità di almeno un fattore dieci per le ABS. Per tale ragione, nel laboratorio SpinLab si eseguono studi sistematici, con lo scopo di capire a fondo il funzionamento e Fig.1.2 schematizzazione di una Atomic Beam Source quindi migliorare le prestazioni delle ABS. Questo progetto di ricerca si avvale della collaborazione occasionale con laboratori internazionali come Juelich in Germania, l’Università di Erlangen, RHIC, Brookhaven e NovoSibirsk . La figura 1.2. schematizza una sorgente atomica polarizzata (ABS). Molecole di idrogeno o deuterio vengono dissociate tramite collisione con gli elettroni prodotti da scariche elettriche nel dissociatore. La formazione del fascio avviene tramite la fuoriuscita dal dissociatore del gas atomico tramite un ugello (nozzle), e la successiva selezione della componente diretta principalmente lungo l’asse del sistema, o, quantomeno, con una piccola componente trasversale tramite un diaframma (skimmer). Di seguito, un sistema di magneti, generalmente sestupoli, focalizza gli atomi del fascio atomico, polarizzandone contemporaneamente gli elettroni. La polarizzazione nucleare si ottiene utilizzando unità di transizione a radiofrequenza, che inducono transizioni tra livelli iperfini. Tutto l’apparato è contenuto in un sucessione di camere a vuoto, dotato di un sistema di pompaggio differenziale, che permette di mantenere l’alto vuoto necessario per minimizzare l’attenuazione del fascio, dovuta alla scattering con il fondo residuo. 4 In questo capitolo sono trattati con un certo dettaglio alcuni aspetti cruciali ed ancora non capiti a fondo del funzionamento delle ABS. In particolare nel paragrafo 1.2 è descritto il processo di dissociazione del gas. Nel paragrafo 1.3 sono trattati i fenomeni di ricombinazione nel dissociatore e nel nozzle. Il paragrafo 1.4 esamina la formazione ed espansione del fascio all’uscita dal nozzle. Conoscere la forma del getto è cruciale per il progetto dei magneti di una ABS, che ne deve tenere conto. In questo contesto va inoltre ricordato che esiste un codice di MonteCarlo [8], che simula il getto e i cui risultati possono essere paragonati con le misure in laboratorio, fornendo utili informazioni sulla forma del getto stesso e sulla sua propagazione . Questo metodo, introdotto da A.Nass [9], è stato usato largamente anche a SpinLab [10]. Nell’ambito di questa tesi, tuttavia, ci si limita alla descrizione teorica della formazione del getto. Nel paragrafo 1.5 è descritto il processo di focalizzazione e polarizzazione del fascio atomico. Infine, nel paragrafo 1.6 è descritto il sistema del vuoto e si fa cenno ai fenomeni di attenuazione del fascio. 1.2 La dissociazione Lo stato naturale dell’idrogeno e del deuterio è in forma biatomica, in cui gli spin dei singoli atomi sono antiparalleli. Lo stato molecolare ha quindi spin nullo e non può essere utilizzato per formare il fascio polarizzato. La dissociazione di molecole in atomi è essenzialmente il risultato delle collisioni tra le molecole del gas iniettato nel dissociatore ed elettroni liberi, accelerati da un campo elettrico esterno. Si forma così un plasma di atomi dissociati. Sarebbe in realtà possibile effettuare la dissociazione anche per via termica, portando il plasma a temperature dell’ordine di 2500 K, ma l’elevata velocità acquisita dagli atomi rende problematico, in tal caso, il disegno del sistema di focalizzazione. 11 L’interazione π-molecola porta a numerosi fenomeni di dissociazione ed ionizzazione. La tabella 1.1 riporta i più importanti, assieme alle relative sezioni d’urto ed ai valori dell’energia di soglia degli elettroni incidenti[12]. Tipicamente, tra tutti i processi realizzabili, i più probabili risultano, ovviamente, quelli con maggiore sezione d’urto, ma soprattutto con minore energia di soglia per la reazione: infatti l’energia media degli elettroni nel plasma risulta generalmente limitata a 8 eV. Reazione Energia di soglia ( eV) Sezione d’urto ( A2) π + π»2 → π»2+ + 2π 15.4 1.1 + π + π»+ 2 →π» +π»+π 12.4 3-16 π + π»2 → π» + π» + π 8.5 0.6 0 100 + π + π»2 → π» + π» tab.1.1 reazioni di dissociazione dell’idrogeno Il processo più favorito appare quindi essere l’ultimo, ma a causa del relativamente basso numero di ioni, la reazione dominante è la terza. Nel bilancio energetico globale la maggior parte della potenza fornita alla scarica viene dissipata nell’eccitazione degli 5 stati elettronici dell’atomo di idrogeno, con conseguente remissione di fotoni ultravioletti che portano al riscaldamento del dissociatore, mentre soltanto il 4 % contribuisce direttamente alla dissociazione. Il dissociatore deve essere raffreddato. Si veda, a questo proposito, i dettagli sui metodi di raffreddamento delle ABS di SpinLab, contenuti nel Capitolo 2. Il grado di dissociazione, α, è definito in termini del flusso di idrogeno molecolare (πππ’π₯ π»2 ) e atomico (πππ’π₯ π»)entranti in un opportuno rivelatore, generalmente uno spettrometro di massa, dalla seguente relazione: πΌ= πππ’π₯ π» , πππ’π₯ π» + ππππ π‘ × πππ’π₯ π»2 dove const è una costante di calibrazione, in prima approssimazione posta uguale a 2. Il grado di dissociazione è migliorabile aggiungendo piccole quantità di ossigeno, dell’ordine di qualche ο₯o , al gas nel dissociatore. Non è del tutto chiaro perché questo avvenga, ma si è osservato che la presenza dell’ossigeno produce acqua nel dissociatore, la quale, condensando sulle pareti interne del dissociatore stesso e del nozzle, riduce la ricombinazione superficiale. Attualmente, i dissociatori sono costituiti da un tubo di quarzo ( o Pyrex) , nel quale si inietta il gas molecolare. Le dimensioni del tubo sono dell’ordine di circa 0.51m di lunghezza lineare l e circa 2cm di diametro d. A seconda del tipo di scarica, i dissociatori sono detti “ a radiofrequenza, RF”, o “a microonde, µ-wave “. Nei dissociatori RF, la scarica è innescata tra due elettrodi posti esternamente. Per “sostenere la scarica”, in questo caso si applica un circuito oscillante o una cavità che provoca “l’accoppiamento risonante” del campo elettronagnetico e del plasma. Un esempio di tale dissociatore si trova su una delle due sorgenti atomiche presenti nel laboratorio SpinLab. Con il dissociatore a µ-wave il plasma è “sostenuto” da un’onda di superficie che si propaga tra la colonna di plasma e la superficie interna del dissociatore, che è dielettrica. Un dissociatore di questo tipo è operante sull’altra sorgente atomica, installata a SpinLab. Per maggiori dettagli, si rimanda al Capitolo 2 di questa tesi. Sotto l’effetto della scarica il dissociatore può trovarsi a temperature molto elevate, dell’ordine di varie centinaia di gradi C. Come si vedrà nel paragrfo 1.4, per ottimizzare la dissociazione,il nozzle, invece, è mantenuto generalmente a una temperatura di circa 100K. L’accoppiamento termico tra il dissociatore ed il nozzle è costituito da uno o più anelli di sostanze termicamente isolanti, dette “accomodatore”. Si è recentemente osservato che, interponendo un gradiente termico tra la zona del plasma e il nozzle, l’intensità del fascio atomico uscente sembra leggermente aumentare, grazie ad un aumento della dissociazione. Questa interessante possibilità è stata investigata a SpinLab, e i risultati presentati ad una conferenza internazionale [13]. 6 1.3 La ricombinazione nel dissociatore e nel nozzle I processi di dissociazione vengono contrastati dalla forte tendenza degli atomi a ricombinarsi in molecole diatomiche. Si possono distinguere essenzialmente due processi di ricombinazione: la ricombinazione volumetrica e la ricombinazione superficiale. La ricombinazione volumetrica è un processo a tre corpi, in cui la collisione di due atomi, precedentemente dissociati, comporta la formazione di una molecola. L’energia liberata nella ricombinazione, viene ceduta al terzo corpo, che può essere elettricamente carico o neutro. Si denomina, invece, ricombinazione superficiale, quella che avviene sulle pareti del contenitore. Anch’esso è un processo a tre corpi in cui il terzo corpo è un atomo o una molecola assorbiti sulla superficie, o una molecola del materiale di cui è fatta la superficie stessa. 1.3.1 Modello diffusivo e ricombinazione volumetrica Per valutare le perdite del fascio atomico, dovute alla ricombinazione, generalmente è usato il semplice modello di Walraven e Silvera [14] . E’ un modello di diffusione del gas in un tubo cilindrico lungo e sottile che permette, in regime molecolare, di definire il profilo di densità dell’idrogeno lungo il tubo di dissociazione, di valutare il grado di dissociazione, e permette inoltre di valutare le perdite per ricombinazione. Tale modello è largamente usato dalla comunità di esperti che si occupano di ABS. Si ritiene perciò opportuno darne qui di seguito un breve resoconto, mentre in Appendice A è trattato con maggior dettaglio. Si suppone che il dissociatore sia un tubo lungo l e di raggio r tale che l >>r con un piccolo orifizio ad un’estremità, nella quale si inietta l’idrogeno molecolare, con flusso πππ , ed il vuoto ideale dall’altra. Si suppone che gli atomi si propaghino lungo z. In tale regime il flusso in uscita è dato da : ππ π§ π π§ = −ππ 2 π·πΎπ ππ§ dove: π π§ è il flusso atomico alla distanza z, π·πΎ,π = 2 3 ππ£ è la costante di diffusione atomica per flussi molecolari e π π§ è la densità atomica a distanza z. La variazione del flusso lungo z, dovuta alla ricombinazione, è descrivibile fenomenologicamente come uno sviluppo in serie di potenze di n(z): ππ = −ππ 2 πΎπ π3 − 2πππΎπ2 π2 − 2πππΎπ1 π ππ§ (1.1) A secondo membro, il primo termine descrive il processo di ricombinazione volumetrica con coefficiente di ricombinazione πΎπ ; il secondo e il terzo termine, 7 invece, descrivono il processo di ricombinazione superficiale al primo e al secondo ordine di ricombinazione. πΎπ1 e πΎπ2 sono i rispettivi coefficienti di ricombinazione. Limitandosi solo agli effetti del primo ordine, dall’equazione 1.1 si può valutare il rapporto tra “velocità di ricombinazione volumetrica”, Volume recombination rate, π π e “velocità di ricombinazione superficiale”, Surface recombination rate, π π , nell’ ”accomodatore”, e cioè all’uscita del tubo. E’ possibile dimostrare che: π π π π = 2πΎπ π£πΎ π2 π , in cui πΎ è la probabilità di ricombinazione per collisione sulle pareti del dissociatore e del nozzle e π£ è la velocità media delle particelle del fascio atomico. Il coefficiente del primo ordine di ricombinazione è legato a queste variabili dalla relazione πΎπ1 = 1 πΎπ£. 4 Il contributo della ricombinazione volumetrica può essere trascurato se π π π π βͺ 1. Questa condizione pone un limite superiore per la densità volumetrica del gas n: πβͺ πΎπ£ ππ‘πππ ~ 1016 2ππΎπ£ ππ3 Questo vincolo è la causa primaria che impedisce di ottenere getti atomici gassosi ad alta intensità. D’altra parte, lavorando sempre in condizioni di bassa densità volumetrica, si può trascurare questo contributo alle perdite del fascio per ricombinazione, e ci si limiterà ad analizzare le perdite dovute alla ricombinazione superficiale. 1.3.2. Ricombinazione superficiale Gli atomi e le molecole collocate sulla superficie di un solido esercitano una forza attrattiva sulle particelle gassose vicine alla superficie, che possono venire “adsorbite”, e diventare quindi “admolecole” e “adatomi”. La quantità di gas assorbito dipende dalle proprietà chimico-fisiche dell’adsorbitore, dalla temperatura del sistema complessivo e dalla pressione del gas stesso. E’ però molto difficile definire un’accurata condizione di equilibrio tra la fase gassosa e la fase adsorbita, data la complessità del fenomeno di adsorbimento, che dipende, tra l’altro, fortemente dalle condizioni di purezza e uniformità della superficie stessa. Le “admolecole” e gli “adatomi” si muovono sulla superficie soggetti ad un potenziale periodico, solamente in dominii ristretti. Generalmente, però, per la maggior parte del tempo in cui rimangono sulla superficie 8 sono localizzati in una posizione definita come sito. Va notato che la maggior parte delle superfici sono eterogenee e ciò comporta una disuniforme ripartizione dei siti di adsorbimento con forti variazioni dell’energia di adsorbimento. E’ stato dimostrato che la presenza di impurità sulla superficie aumenta sensibilmente i siti di localizzazione, e quindi la probabilità di ricombinazione. A basse temperature prevale la “physisorption”. L’interazione tra atomi del gas e atomi della superficie può essere descritta da un potenziale che consiste di due termini: un termine a lungo range, attrattivo, che ha la forma del potenziale di Van der Waals π π , ed un potenziale repulsivo a breve raggio, dovuto agli elettroni dei due atomi. Il potenziale di adsorbimento π π , dovuto a tutti gli atomi del substrato cristallino, si ottiene sommando su tutti gli atomi: π π = π π π − ππ ; qui ri è la posizione dell’i-esimo atomo nel reticolo cristallino. E’ anche possibile paragonare il modello con i dati sperimentali, calcolando il potenziale π per diversi piani cristallini.Vedi, a questo proposito, la referenza [15] e le referenze in essa citate. Noto il potenzilae V, si può risalire all’energia di adsorbimento. La conoscenza dell’energia di assorbimento degli atomi di idrogeno sulla superficie di un substrato noto permette di calcolare il coefficiente di ricombinazione πΎ in funzione della temperatura, e paragonare questo calcolo con dati misurati. Infatti, misurando il coefficiente di ricombinazione πΎ π in funzione della temperatura T e paragonando i dati misurati ad un modello, con un metodo di “fitting”, è possibile determinare l’energia di adsorbimento dell’idrogeno H sulla superficie che si sta studiando. La ricombinazione superficiale può avvenire essenzialmente attraverso due meccanismi principali. Il meccanismo di Eley-Rideal descrive la ricombinazione come l’interazione tra un atomo adsorbito e un atomo del gas nell’ABS, che corrisponde alla ricombinazione del primo ordine, nel modello diffusivo [16] . Il modello di Gelb e Kim si avvale di questo meccanismo. Nel secondo caso si ha l’interazione tra due atomi adsorbiti, ma liberi di muoversi sulla superficie, che dà origine alla ricombinazione del secondo ordine. [17]. Questo è il meccanismo di Langmuir-Hinshelwood. Uno studio sistematico ed esaustivo della ricombinazione superficiale dipendente dalla temperatura in fasci atomici di idrogeno è stato fatto dal gruppo di Zurigo di Signy e collaboratori alla fine degli anni ’80, ed è presentato nella referenza [15] . Il buon accordo del modello di Gelm-Kim con i risultati sperimentali mostra che la ricombinazione tra due atomi asdorbiti, descritta nel modello di Langmuir-Hinshelwood è trascurabile. Questo è vero, in particolare, per le temperature di lavoro dei nozzles delle ABS attualmente usati. L’Appendice A contiene una relazione dettagliata sui modelli di Gelb e Kim, il modello diffusivo, e la dipendenza del coefficiente di ricombinazione dalla temperatura. 9 1.4 Formazione ed espansione del fascio Il gas dissociato in atomi nel dissociatore si propaga verso il nozzle, per poi uscire dallo stesso, definendo il fascio. Di fondamentale importanza per la trattazione di tale fascio, è il regime fluidodinamico che si instaura all’uscita dal nozzle. Si introduce pertanto il numero di Knudsen che permette di definire i regimi dinamici di un fluido. Esso è definito come il rapporto tra il libero cammino medio π e la dimensione caratteristica d del sistema di formazione del fascio (ad esempio il diametro del nozzle): Kn ο½ - ο¬ d ο1 K n οΌ 1 , definisce un regime in cui le molecole non sono soggette ad urti, che viene definito “ regime molecolare.” - ο1 1 οΌ K n οΌ 100 , definisce un regime di transizione o “regime di Knudsen”, in cui gli urti tra le molecole sono frequenti, la cui descrizione è possibile tramite le equazioni di Navier-Stokes della fluidodinamica con opportune condizioni al contorno. - Kn ο1 οΎ 100 , definisce un fluido trattabile come un continuo, descrivibile con le equazioni di Navier-Stokes. Tale regime si definisce “continuo o laminare”. Queste nozioni si trovano in libri di testo, come quelli citati nella referenza [18]. La necessità di limitare la densità del gas nella regione di dissociazione per evitare la completa ricombinazione degli atomi, limita la formazione del getto nel regime di transizione tra molecolare e laminare; il principale problema di questa regione è che non esiste una teoria completa che la descriva e permetta di prevedere le proprietà del getto, come intensità o distribuzione di velocità. Un regime puramente molecolare richiede che le particelle non interagiscano; conseguentemente il gas effonde dal nozzle con una distribuzione angolare di tipo cosinusoidale e con distribuzione di velocità corrispondente alla classica distribuzione di Maxwell-Boltzmann. Un regime laminare, invece, richiede una trattazione del gas come un continuo per il quale vale l’equilibrio termodinamico locale. In tal caso, l’espansione del gas è descritta come un processo isoentropico in cui parte dell’agitazione termica è progressivamente convertita in energia cinetica traslazionale per la propagazione del getto in avanti. Il progressivo raffreddamento è quindi rappresentato da una distribuzione in velocità supersonica con una velocità di deriva diversa da zero ed una forte direzionalità in avanti corrispondente ad una distribuzione angolare del tipo πππ π π ed n > 1. Quest’ultimo regime di propagazione sarebbe preferibile, poiché è perfettamente adattabile alle richieste dei sistemi di focalizzazione magnetica i quali hanno ristretta accettanza angolare, rispetto all’asse. I risultati sperimentali però 10 indicano un comportamento del gas solo parzialmente supersonico, in cui l’espansione si arresta a breve distanza dal nozzle a seguito di un calo della densità e si instaura il regime molecolare. La distribuzione angolare è quindi ben direzionale, ma la distribuzione in velocità è debolmente supersonica. Il modello di Giordmaine e Wang, [19] esamina la fuoriuscita del gas in regime di transizione da un lungo canale a sezione circolare; situazione che riproduce approssimativamente il sistema dissociatore-nozzle. Per la descrizione dettagliata di tale modello, si rimanda all’appendice A. Sorgenti che operano in regimi molecolari, dette effusive, sono ottenibili mediante un orifizio circolare da cui fuoriescono gas a densità sufficientemente bassa. L’ intensità centrale in avanti, per angolo solido e unità di tempo, è data da Iο½ ο¦0 ο« ο° dove ο¦0 è il flusso in ingresso e ο« è il fattore di “peaking” che misura la direzionalità del fascio. Dopo essere stato dissociato, il gas si espande attraverso il nozzle nel vuoto. Incanalandosi in un nozzle di forma convergente, il flusso gassoso accelera progressivamente, convertendo l’energia termica disordinata posseduta in energia traslazionale. La distribuzione di velocità delle molecole è quindi descrivibile per mezzo di una Maxwelliana pesata con la velocità di deriva, ovvero una Maxwelliana supersonica : ο© (v ο vd ) 2 οΉ f (v) ο½ Av 2 exp οͺο οΊ vt2 ο» ο« con A costante di normalizzazione, vd velocità di deriva e v t velocità di agitazione termica. L’accelerazione e l’aumento di densità in prossimità del nozzle comporta l’entrata del gas in un regime parzialmente supersonico. Parametro fondamentale in tale situazione è il numero di Mach M, determinato dal rapporto tra la velocità di deriva vs del fascio e la velocità del suono vs alla temperatura individuata dalla velocità di agitazione termica Mο½ vd ο§RT con vs ο½ vs ο dove T è la temperatura del gas, μ il peso molecolare, R costante dei gas perfetti e ο§ il rapporto tra i calori specifici a pressione e volume costante pari a ο§ ο½ 5 per un gas 3 monoatomico. E’dimostrabile che, detta S la sezione del nozzle ad una certa coordinata assiale, vale la relazione: ππ ππ£π = π2 − 1 π π£π 11 Quindi, per vd>vs, M > 1, la velocità del flusso aumenta all’aumentare della sezione S. Per vd<vs, M<1, la velocità del flusso aumenta al diminuire della sezione S. Attraversando un nozzle convergente, il fascio accelera progressivamente e si raggiungono velocità superiori a quella del suono, se il rapporto tra la pressione p0 nel dissociatore e la pressione pb in uscita dal nozzle supera il valore critico dato da : πΎ+1 πΊ= 2 con πΎ = ππ ππ£ πΎ πΎ−1 . Per tutti i gas il valore di G è circa uguale a 2. Uscito dal nozzle, il numero di Mach relativo al fascio continua ad aumentare poiché è massima la velocità di deriva e poiché informazioni relative a pressione e temperatura viaggiano alla velocità del suono, l’espansione avviene indipendentemente dalle condizioni al contorno. L’adattamento a tali condizioni avviene mediante la formazione di onde d’urto in una sezione indicata come “disco di Mach”, superata la quale il fascio si propaga a velocità subsoniche. Il disco di Mach è localizzato ad una distanza individuabile tramite π₯ π0 = 0,67 π ππ Lo spessore di tale disco è dell’ordine del libero cammino medio alla pressione in uscita. Poiché tale pressione è dell’ordine di 10−4 , il libero cammino medio supera le dimensioni caratteristiche del sistema (mm) e quindi vi è un graduale passaggio dal regime supersonico a quello molecolare. Nell’espansione, il fascio diminuisce la propria densità fino a che il tasso di collisione non è più sufficiente per il regime continuo: a tal punto l’espansione prosegue in regime molecolare con caratteristiche del fascio, quali il numero di Mach, invariate. L’intero processo è descritto in figura 1.3. Fig.1.3. Espansione di un gas attraverso il nozzle Generalmente, lo skimmer è posizionato prima del disco di Mach in modo da estrarre il fascio dalla “zona di silenzio”, al fine di mantenere il fascio nelle condizioni d’uscita dal nozzle. 12 1.5 Polarizzazione di idrogeno e deuterio atomico In un getto atomico polarizzato in spin nucleare, tutti gli atomi che lo compongono si trovano in uno stesso stato iperfine, ovvero gli spin dei nuclei sono contraddistinti dallo stesso numero quantico nucleare ππΌ . Ciò significa che, individuata una direzione privilegiata nello spazio tramite l’applicazione di un campo magnetico esterno π΅, la proiezione del momento angolare nucleare πΌ in tale direzione assume lo stesso valore per tutti gli atomi. La proiezione del momento angolare πΌ lungo la direzione di π΅ può assumere i valori discreti compresi tra −πΌ ≤ ππΌ ≤ πΌ . Per l’atomo 1 1 1 di idrogeno πΌ = 2 Δ§, da cui le possibili orientazione sono ππΌ = 2 Δ§ e ππΌ = − 2 Δ§ . Per l’ atomo di deuterio πΌ = Δ§ implica ππΌ = Δ§, 0, −Δ§. Per quel che riguarda la separazione degli stati atomici iperfini, il momento angolare totale πΉ è dato dalla somma dei singoli contributi elettronico e nucleare πΉ = πΌ + π½ , ad ognuno dei quali è associato un momento magnetico ππΌ = πΌ ππΌ ππ΅ e ππ½ = π½ππ½ ππ΅ , dove ππΌ e ππ½ sono i rapporti giromagnetici elettronico e nucleare rispettivament e ππ΅ = 9.27 β 10−24 π½ π è il magnetone di Bohr. Il momento magnetico dell’elettrone ππ΅ interagisce con il campo magnetico π΅π½ generato dalla corrente protonica con una energia− ππΌ β π΅π½ . L’accoppiamento di πΌ , π½ porta alla separazione del livello atomico fondamentale, e, nel caso dell’idrogeno, si forma il doppietto ππΉ=0 , ππΉ=1 la cui separazione in energia è Δπ = 5.87 β 10−6 ππ. Il campo magnetico indotto dal protone sull’elettrone è π΅π = 507 πΊππ’π π , ed è detto “campo critico”. In presenza di campi esterni deboli, ovvero minori al valore del campo critico, vi è completo accoppiamento tra lo spin nucleare πΌ ed elettronico π½, e i due momenti precedono attorno alla loro somma πΉ = πΌ + π½ . In generale, l’accoppiamento tra πΌ e π½ comporta la separazione del livello fondamentale J-esimo in 2F+1 sottolivelli equispaziati in energia e tali che ππΉ,π π = ππΉ − ππΉ ππΉ ππ΅ π΅ dove ππΉ è l’energia del livello f-esimo, ππΉ la proiezione del momento πΉ , ππΉ il fattore giromagnetico, ππ΅ il magnetone di Bohr e ππΉ,π π l’energia del livello splittato. Invece, per campi “forti”, maggiori del valore critico π΅π , πΌ e π½ sono disaccoppiati e precedono indipendentemente attorno alla direzione del campo magnetico esterno π΅ . Esistono, anche in tal caso, 2F+1 livelli iperfini spaziati in energia secondo la seguente relazione: ππΉ,π π½ , π πΌ = ππ½ − ππ½ ππ½ ππ΅ π΅ − ππΌ ππΌ ππ΅πΌ π΅ ≈ ππ½ − ππ½ ππ½ ππ΅ π΅ dove ππ½ è l’energia del livello J-esimo, ππ½ la proiezione del momento π½, ππΌ la proiezione del momento πΌ , ππ½ e π πΌ i fattori giromagnetici elettronico e nucleare, ππ΅ il magnetone di Bohr elettronico, ππ΅πΌ il magnetone di Bohr nuclare e ππΉ,π π ,π πΌ l’energia 13 del livello splittato. E’ possibile trascurare il contributo nucleare in quanto il magnetone di Bohr ππ΅ dell’elettrone è molto maggiore del magnetone di Bohr nucleare ππ΅πΌ . Nel caso di campi forti, i quattro autovettori iperfini dell’atomo di idrogeno assumono la forma: 1 1 | ππ = ± Δ§ , ππΌ = ± Δ§ 2 2 |1 = |+, + |2 = |+, − |3 = |−, + |4 = |−, − I sei autovettori dell’atomo di deuterio, invece diventano: 1 1 | ππ = + Δ§, − Δ§ ; ππΌ = 0, +Δ§, −Δ§ = |↑, ↓; 0, +, → 2 2 |1 = |↑, + |2 = |↑ ,0 |3 = |↑, − |4 = |↓, − |5 = |↓ ,0 |6 = |↓, + Per un approfondimento della struttura iperfine di idrogeno e deuterio si rimanda all’Appendice B. I diagrammi di Breit-Raby, rappresentati in figura 1.4a e b descrivono rispettivamente, l’andamento dei livelli energetici per l’atomo di idrogeno e di deuterio nello stato fondamentale, in funzione del campo π΅ applicato, espresso in unità di campo critico π΅π . Il campo critico corrisponde al campo indotto dal nucleo sull’elettrone ed è pari a π΅πΆπ» = 507 β 10−4 πππ ππ per l’idrogeno e BCD=117β 10−4 Tesla per il deuterio. Al fine della polarizzazione è importante che gli atomi si trovino nello stato fondamentale, poiché in tale stato il momento angolare orbitale è nullo, il momento si riduce quindi al solo momento di spin, ed è pertanto possibile selezionarlo tramite l’applicazione di un campo magnetico. a) b) 14 Fig.1.4 diagramma di Breit-Raby, energia dei livelli iperfini dell’atomo di ideogeno e di deuterio in funzione di un campo π΅ esterno. a) H: BC=507β 10−4 Tesla, Δπ = 5,9 β 10−6 ππ;b)D: BC=117β 10−4 Tesla. Δπ = 1,4 β 10−6 ππ 1 Si può notare come, in entrambi i casi, l’energia sia crescente con π΅ per ππ½ = 2 Δ§, decrescente, invece per spin elettronico opposto. Il grado di polarizzazione di un insieme di atomi di idrogeno è descritto dal vettore polarizzazione π per la componente nella direzione del campo magnetico applicato ππ = π+1 − π−1 2 2 ππ‘ππ‘ 1 π±1 numero di atomi con ππΌ = ± 2 Δ§ e quindi spin parallelo o antiparallelo alla 2 direzione del campo esterno π΅. π definisce la frazione netta di particelle con spin parallelo al campo esterno π΅ . In figura 1.5 è riportato il grado di polarizzazione in funzione del campo magnetico esterno applicato. Da esso si rileva che solamente gli stati puri |1 e |3 hanno grado di polarizzazione costante ed indipendente dal campo applicato, mentre per gli stati misti la polarizzazione assume i valori: π 2,4 = β π΅ π΅πΆ π΅ 1+π΅ πΆ Si può quindi dedurre che la polarizzazione è mantenibile per gli stati |1 e |3 , già per piccoli campi, al valore massimo. Per stati misti,invece, si ottengono alte percentuali di polarizzazione solo in presenza di forti campi.[20] Fig. 1.5. polarizzazione dei 4 livelli iperfini dell’atomo di idrogeno in funzione di un campo magnetico esterno Per un insieme di atomi di deuterio, data la presenza di tre possibili proiezioni del momento angolare nucleare sull’asse del campo magnetico (preso come z), al fine di 15 determinare univocamente la frazione di particelle con spin parallelo a tale asse, è necessario valutare contemporaneamente ππ e la relativa componente πππ del tensore di allineamento. La componente πππ è data da πππ = 1 − 3π0 dove π0 corrisponde alla frazione di atomi di deuterio con proiezione su z nulla. La figura 1.6 rappresenta l’andamento del vettore di polarizzazione e del tensore di allineamento in funzione del campo. 1.5.1 Polarizzazione elettronica del fascio atomico: MULTIPOLI In presenza di un campo magnetico non omogeneo, l’energia W degli atomi diventa funzione della posizione ed essi risentono di una forza esprimibile come : πΉ = −∇W = μEFF ∇ B dW con μEFF = − d|B| e π = ππ ππ ππ΅ π΅ e considerando la presenza di un gradiente non nullo solamente lungo l’asse z si ha: ∂|B| πΉπ = μEFF ∂z ππΈπΉπΉ = βππ΅ per gli stati |1 e |3 ; mentre per gli stati |2 e |4 π΅ π΅πΆ ππΈπΉπΉ = βππ΅ π΅ 1+π΅ πΆ Se un fascio di atomi è diretto lungo l’asse di un multipolo magnetico, gli atomi 1 con proiezione del momento angolare elettronico π½, ππ½ = 2 Δ§ sono deflessi nel verso opposto al gradiente del campo e quindi subiscono una forza di richiamo verso l’asse; 1 invece gli atomi con ππ½ = − 2 Δ§ vengono deviati concordemente a tale gradiente, di 16 conseguenza sono defocalizzati dall’asse e destinati ad urtare contro le pareti del magnete. Si ottiene in tal modo la separazione degli stati con spin elettronico diverso. Fig.1.7.sestupolo magnetico. πΌ0 , angolo di accettanza I primi esperimenti utilizzarono dipoli magnetici, ovvero dispositivi SternGerlach, oggi raramente adoperati. Friedburg e Paul, individuarono una maggior intensità in uscita, impiegando due o più quadrupoli o sestupoli 21 . Il vantaggio di tali dispositivi deriva dalla loro proprietà di compiere anche la funzione di focalizzatori del fascio. L’utilizzo di sestupoli, inoltre, permette, di eliminare parzialmente l’acromatismo, cioè il fenomeno per cui particelle di diverse energie subiscono minor o maggior deviazione, dalla quale deriva un fascio scarsamente focheggiato, ovvero porta alla formazione di più ordini di immagini del fascio. Tali magneti sono inoltre, favoriti rispetto ai quadrupoli in quanto sono caratterizzati da un maggior angolo di accettanza e sono dotati di un’ottica lineare. Il campo prodotto 21 da un multipolo magnetico è caratterizzato da simmetria cilindrica, nullo al centro e con valore massimo π΅0 sulla faccia interna delle espansioni polari. In particolare, il modulo del campo prodotto da un sestupolo è dato da π΅ = π΅0 π π0 2 con r0 raggio interno del magnete. Inoltre, il gradiente è diretto radialmente ed esprimibile come π΅0 2π π»π΅ = 2 π0 La traiettoria degli atomi può essere calcolata risolvendo l’equazione del moto: per una particella di massa m e velocità v entrante in un sestupolo con un angolo πΌ rispetto all’asse di simmetria z ed in un punto z = 0 ed r = ra 17 (coordinate cilindriche), l’equazione generica è data da: π π2 π ππΈπΉπΉ 2π΅0 π = 2 ππ‘ π02 La figura 1.8 mostra le traiettorie per atomi focalizzati da magneti sestupolari. π§ Nell’approssimazione per piccoli angoli di entrata π‘ ≈ π£ , l’equazione si riduce a ππ£ 2 π2 π ππΈπΉπΉ 2π΅0 π = 2 ππ§ π02 Per gli stati |1 e |2 si ha che ππΈπΉπΉ ≈ −ππ΅ invece per |3 e |4 corrisponde a ππΈπΉπΉ ≈ ππ΅ . Di conseguenza, la soluzione dell’equazione sopra citata, per sestupoli lunghi, nei quali raggio e campo sulle pareti sono costanti, e con ππΈπΉπΉ ≈ −ππ΅ risulta essere: p p p z + α sin z v v v π π§ = rα cos Mentre la soluzione con analoghe condizioni al contorno, ma con ππΈπΉπΉ ≈ −ππ΅ , è: p p p z + α sinh z v v v π π§ = rα cosh con π2 = ππ΅ 2π΅0 π02 π Atomi entranti nel magnete, entro un cono di accettanza definito dall’angolo α0 compiono quindi oscillazioni armoniche centrate sull’asse di simmetria del magnete con un’ampiezza di poco minore del raggio massimo (vedi fig.1.8), perciò senza urtare sulle pareti. L’atomo è accettato dal magnete se la velocità trasversale è inferiore ad un dato valore. Il massimo possibile valore di energia cinetica associata alla componente trasversa della velocità di un atomo è minore o uguale alla differenza di energia potenziale, calcolata tra il raggio massimo e sull’asse, così che: 1 π π£ sin πΌ 2 2 ≤ π π΅0 − π 0 Nel limite di angoli α0 piccoli, l’accettanza sottesa è ΔΩ, e ,poichè ΔΩ = πα20 , diventa ΔΩ = π π π΅0 − π(0) 1 2 2 ππ£ 18 Mediando sull’intero spettro di velocità possibili descritto dalla distribuzione di Maxwell-Boltazmann per un gas alla temperatura T, e valutando che per forti campi magnetici la differenza di energie potenziali equivale a π π΅0 − π 0 = ππ΅ π΅, si 1 ottiene per tutti i gli atomi con ππ½ = 2 Δ§: ΔΩ = π ππ΅ π΅ ππ con k, costante di Boltzmann. L’angolo solido di accettanza diminuisce con l’aumento dell’altezza, rispetto all’asse del magnete dell’atomo d’entrata. In particolare, in tal caso, è necessario considerare anche la componente tangenziale della velocità e il potenziale centrifugo; quindi l’angolo solido segue la relazione: ΔΩ = π ππ΅ π΅ ππ 1− π π0 Particolarmente, se l’apertura del fascio è uniformemente distribuita su tutta la superficie d’apertura del magnete, l’accettanza risulta: ΔΩ = 2,09 ππ΅ π΅ ππ In tutti i casi, è possibile notare che l’accettanza è proporzionale all’intensità del campo magnetico ed inversamente proporzionale alla temperatura. Di conseguenza, è necessario lavorare ad alti campi e a basse temperature per guadagnare in accettanza. Dalle caratteristiche descritte inoltre, si evince che un sestupolo si comporta come una lente spessa ed in particolare l’ottica lineare permette che l’immagine all’uscita coincida con quella del fascio entrante (l’ingrandimento del sistema vale 1) indipendentemente dall’angolo di ingresso. Tale lente è caratterizzata da una distanza focale pari a 22 1 π=p p v sin v L con L, lunghezza del sestupolo. Inoltre, a seconda della velocità degli atomi in ingresso nel sestupolo, l’immagine sarà formata ad una distanza L, secondo la seguente relazione: π£π = πΏ ππ΅ 2π΅0 ππ π02 π 19 πΏ= π£π ππ ππ΅ 2π΅0 π02 π dove n è l’ordine dell’immagine, ovvero il numero di oscillazioni che l’atomo compie all’interno del magnete. Solamente per gli atomi di velocità π£π , l’accettanza corrisponderà al valore suddetto, mentre per tutte le altre velocità, l’angolo solido effettivo è dato da ΔΩeff R = ΔΩ r0 2 con R corrispondente al raggio del diaframma situato all’uscita del sestupolo che delimita la regione in cui si forma l’immagine. Solo se R = r0 , l’accettanza è massima. Al fine di ottenere maggior accettanza e conseguentemente maggior intensità del fascio, è necessario costituire il sistema di magneti in modo tale da avere una sovrapposizione tra la curva di accettanza e la distribuzione in velocità del fascio e, in particolare, far quindi coincidere la velocità al primo ordine con la velocità più probabile. Affinché si verifichi tale situazione, è imposto un valore minimo alla lunghezza del sestupol corrispondente a π£πππ π‘ πππππππ ππ πΏ= ππ΅ 2π΅0 π02 π Se si studia un sistema tale che la velocità al primo ordine coincida con la velocità più probabile, gli atomi con velocità dimezzata, formanti il secondo ordine, non contribuiranno all’intensità totale, poiché si troveranno agli estremi della distribuzione di velocità. Si è detto che l’utilizzo dei sestupoli permette di eliminare parzialmente l’acromatismo. Ciò è possibile utilizzando due sestupoli e distanziandoli uno dall’altro di una lunghezza d=KL. All’aumentare della distanza π = πΎπΏ tra gli π£ stessi,infatti,l’immagine 2n-esima, relativa alle particelle con π£2π = 2π1 , si avvicina alla π£ prima. Le immagini dispari, in ogni caso, non subiscono modificazioni. Il rapporto π£1 in 2 funzione del paramero K è calcolabile dalla relazione 23 πΎ π£1 π π£1 π + tan =0 π£2 2 π£2 2 20 (1.52) Fig.1.9. Rapporto tra le velocità delle immagini tra il primo e secondo ordine Posizionando i due magneti ad una distanza corrispondente a d=0,6L , ovvero k= 0,6 ,si rileva dalla figura 1.9, che il rapporto tra le velocità è ≈ 0,6. In tale condizione, avendo preventivamente impostato π£1 =π£ππ , si può individuare (vedi i grafici 1.10) che le posizioni di focheggiamento degli atomi con π£1 e di quelli con π£2 coincidono. a) b) Fig.1.10 traiettorie di atomi in un sistema acromatico formato da due sestupoli.a) primo ordine di immagine. π£1 =π£ππ b) secondo ordine di immagine π£2 = π£ππ 2 Andando a considerare analoghe k e π£1 , ma velocità π£2 diversa, non si individua un focheggiamento sull’asse coincidente e il fascio risulterà meno intenso. Ciò è illustrato in figura 1.11. 21 a) b) Fig.1.11 traiettorie di atomi in un sistema acromatico formato da due sestupoli.a) primo ordine di immagine. π£1 =π£ππ b) secondo ordine di immagine π£2 ≠ π£ππ 2 I grafici qui sopra discussi sono nella referenza [24]. Nella curva di accettanza di figura 1.12 si vedono due picchi: quello a sinistra è dovuto alle particelle focalizzate sull’asse del magnete al secondo ordine di immagine, e quello a destra, è relativo all’immagine di primo ordine. Quando i due magneti sono sufficientemente separati, la valle tra i due picchi è meno pronunciata e il sistema è considerato parzialmente acromatico, poiché caratterizzato da un’accettanza pressoché stabile in un largo range di velocità. Fig. 1.12. Curva di accettanza angolare in funzione della velocità del getto per un sistema “acromatico” con due sestupoli superconduttori.[24] 1 L’ABS2 utilizza un sistema di focalizzazione per le particelle con ππ½ = 2 Δ§ basato su un sistema di sestupoli. 22 1.5.2 Polarizzazione nucleare del fascio: TRANSIZIONI A RADIOFREQUENZA L’utilizzo di sestupoli permette di selezionare soltanto lo spin elettronico, ma non influenza lo spin nucleare degli atomi del fascio. Per eliminare la degenerazione del numero quantico ππ½ , si inducono delle transizioni tra stati iperfini con un campo magnetico esterno, giungendo così a popolare soltanto il livello energetico corrispondente allo spin che si vuole selezionare. La polarizzazione nucleare è trattata in dettaglio nell’Appendice B, paragrafo B3. In esso si accenna al principio su cui tale tecnica si basa, e si fa qualche esempio di utilizzazione pratica. Attualmente si usa il metodo detto “del passaggio adiabatico”, suggerito inizialmente da Abragam e Winter[25]. Tale metodo prevede l’attraversamento del fascio in una regione dove si è applicato un campo statico variabile nella direzione del fascio e un campo a radiofrequenza. Poiché il potenziale perturbativo è dovuto ad un campo variabile, la probabilità di transizione aumenta notevolmente alla condizione di risonanza, che si verifica quando la frequenza di oscillazione del campo complessivo, coincide con il salto energetico tra due livelli iperfini. Applicando un campo variabile, tutti gli atomi nel loro moto attraversano un punto in cui è verificata la condizione di risonanza. Questo metodo, indipendente dalla velocità delle particelle del fascio, ha un’efficienza vicina al 100%. Con l’avvento di bobine superconduttrici di piccole dimensioni, si è passati all’utilizzo di sistemi ad alti campi magnetici vantaggiosi per la capacità implicita di selezione. I sistemi a radiofrequenza, infatti, consistono di un circuito risonante, nel quale il campo oscillante è generato da una bobina posta sull’asse del fascio atomico.In particolare, si pongono due unità di radiofrequenza all’uscita di un magnete, oppure si interpone un’unità tra due sestupoli. Si può utilizzare il metodo del passaggio adiabatico, sia per transizioni in campo magnetico debole, che in campi forti. Nel caso di campi magnetici deboli, F è un buon numero quantico e le transizioni permesse, nel caso dell’idrogeno, sono (in unità di Δ§, d’ora in poi sottointeso): ΔπΉ = 0, ±1 ΔππΉ = 0, ±1 Di conseguenza, per l’atomo di idrogeno sono permesse tutte le transizioni dagli stati con F=1 a quelle con F=0 e per l’atomo di deuterio quelle tra stati con F=3/2 a F=1/2. Nel caso di campi magnetici forti, invece, le regole di selezione sono: ΔππΌ = 0, ±1 Δππ½ = ±1 di conseguenza per l’atomo di idrogeno sono permesse solo le transizioni |1 ↔ |4 ,|2 ↔ |3 23 Per quanto riguarda l’idrogeno, le transizioni sperimentalmente più utilizzate in campi deboli, sono la |1 -|2 -|3 e la |2 -|4 . Per esempio, la transizione |1 -|2 -|3 avviene in un campo magnetico debole, B0= 12 πΊππ’π π π π = 15 πππ§ 25,26 , tra i livelli equispaziati ad F=1. Inizialmente avviene la transizione |1 - |2 ed in seguito anche la |2 - |3 . Interponendo questo campo debole tra due sestupoli si otterrà un fascio polarizzato nel solo stato |2 , mentre se si pone dopo i magneti, si otterrà un fascio formato dagli stati |2 -|3 . La transizione |2 -|4 è stata la prima realizzata usando una cavità risonante con ω=2,92 Ghz, ed un campo statico π΅0 = 900 πΊππ’π π . Se usata tra due sestupoli di separazione, fornisce un getto nello stato puro |1 , mentre se posta dopo i magneti si ottiene un getto misto di stati |1 -|4 e perciò polarizzato 1 nuclearmente, con ππ½ = 2, ma non polarizzato elettronicamente. Ai fini di un esperimento dedicato allo studio di effetti nucleari, per cui la polarizzazione elettronica è irrilevante, questo è un metodo elegante di raddoppiare la statistica. La transizione |2 -|3 , permessa anche per campi forti, in un dispositivo interposto tra i due magneti, premette di ottenere uno stato puro |1 . La difficoltà nell’utilizzare tale transizione in bassi campi magnetici, è che la frequenza di risonanza è prossima a quella della transizione |1 -|2 e quindi si potrebbe creare un fascio non polarizzato nuclearmente |1 -|2 20 . Per un approfondimento su questo argomento e maggiori dettagli, si rimanda al paragrafo B3 dell’appendice. 1.6. Il sistema del vuoto e l’attenuazione del fascio atomico Gli elementi che formano un ABS sono collocati all’interno di camere a vuoto, al fine di evitare l’attenuazione del fascio. Il sistema del vuoto è formato da una successione di camere collegate a pompe da vuoto. Le pompe a vuoto sono utilizzate per ridurre la pressione del gas residuo lungo il fascio con vari metodi: pompandolo nell’atmosfera, facendolo condensare sulle pareti delle camere, oppure favorendone il legame con gli elementi della superficie della camera. La figura 1.13 schematizza il tipico sistema di vuoto per un ABS. Fig.1.13.schematizzazione del sistema di pompaggio per un ABS. Le velocità di pompaggio sono riferite all’idrogeno. 24 Nella camera che ospita il nozzle vengono utilizzate pompe turbomolecolari, collegate ad un sistema di prevuoto consistente di roots pumps e di pompe meccaniche in serie. Nelle camere successive, invece si utilizzano delle criopompe, le quali sostituiscono le pompe a diffusione, utilizzate nelle prime ABS. Le pompe turbomolecolari, così come le Roots pumps, trasportano quantità di gas dalle alte pressioni alle basse pressioni senza necessitare di cambiamenti di volume nella camere. Le pompe Roots sono utilizzate poiché le pompe turbomolecolari necessitano di un fattore di compressione tra pressione d’uscita a di ingresso, di almeno 103, per evitare il reflusso del gas evacuato . Le criopompe permettono l’evacuazione delle camere per mezzo di condensazione a basse temperature del gas residuo sulle pareti della stanza. 26 L’attenuazione del fascio uscente da un ABS e’ dovuta sia allo scattering con il gas residuo che all’ intrabeam scattering , e cioe’ agli urti tra gli atomi stessi che lo compongono. 27 Il gas residuo, o fondo, è formato dalle molecole che non hanno subito dissociazione, dagli atomi di bassa velocità filtrati dallo skimmer, dagli atomi che per traiettoria o velocità sono esclusi dall’accettanza del magnete e dalle molecole che urtano sulle superfici delle camere e vengono riflesse . L’attenuazione complessiva del fascio uscente da una ABS, dovuta a scattering con il fondo, risulta essere ππΌ = πΌ0 − πΌπΉ = πΌ0 πΌ − exp −20.6 π πΏπ ππ dove πΏπ corrisponde alla lunghezza della camera a vuoto e ππ alla pressione del fondo. Il termine esponenziale rappresenta la probabilità per un atomo di non subire collisioni in un tratto L in presenza di un gas residuo di determinata densità, e tiene in considerazione anche la velocità relativa tra getto e fondo. Atomi più lenti hanno infatti maggiore possibilità di subire collisione con il fondo con elevata velocità termica. L’intrabeam scattering si verifica a seguito degli urti tra le particelle sia con velocità diversa che con direzioni diverse. 25 26 Capitolo 2 Laboratorio SpinLab: ABS1, ABS2 2.1. Introduzione In questo capitolo si descrive dettagliatamente il laboratorio SpinLab, dedicato a studi sistematici sulle sorgenti di fasci atomici polarizzati, le ABS. Il laboratorio è attrezzato con due ABSs, di cui una, l’ABS1, proveniente dal CERN, produce fasci atomici e molecolari non polarizzati, e l’altra, la ABS2, proveniente da Indiana, USA, dotata di un sistema di magneti polarizzanti e focalizzanti. Un sistema di diagnostica, che comprende un sistema di acquisizione (DAQ), un QMA, un chopper, un sistema calibrato per iniettare gas, uno spettrometro ottico e può misurare il tempo di volo (TOF), attualmente collocato sull’ ABS1, può essere spostato da una ABS all’altra. 2.2. ABS2: Atomic Beam Source polarizzata L’ABS2 è un dispositivo che permette di produrre fasci atomici polarizzati sia elettronicamente che nuclearmente, poiché dotato di sistema magnetico focalizzante. E’stato costruito intorno al 1990 all’ University of Wisconsin ed utilizzato nell’Indiana University Cyclotron Facility fino a che non è stato trasferito nello SpinLab dell’università di Ferrara. Vedi la referenza [29] . La referenza [30] descrive in dettaglio la sua collocazione a SpinLab. Fig.2.1. ABS2 :(A) Dissociatore, (B) nozzle (ugello), (C) skimmer, (D) sestupoli magnetici, (E) unità di transizione a RF, (F) tubo di iniezione, (CV) volume di compressione. 27 Il sistema è suddiviso in cinque camere, nelle quali è mantenuto il vuoto. L’idrogeno o il deuterio è dissociato in atomi tramite scariche a radiofrequenza e forma un fascio atomico collimato a seguito del passaggio in un nozzle raffreddato e in uno skimmer. 1 Atomi con ππ = 2 Δ§ sono focalizzati sull’asse del fascio da due set di magneti sestupolari permanenti, mentre atomi con 1 ππ = − 2 Δ§ sono defocalizzati e quindi rimossi dal fascio. Tra i due set di magneti vi è un MFT, ovvero un Medium Field RF Transition unit, che permette la polarizzazione in spin nucleare. Infine, il fascio polarizzato converge nel tubo di iniezione e, quindi, nel volume di compressione CV. La misura della pressione in tale volume permette di ricavare l’intensità del fascio 31 . 2.2.1. ABS2: dissociatore, nozzle e skimmer Il gas molecolare, fluendo attraverso un tubo di Pyrex con diametro di 9 mm e spessore di 1mm, è dissociato in atomi tramite l’utilizzo di scariche a radiofrequenza di circa 18 MHz, ottenute applicando potenze di 350 W, in accoppiamento capacitivo con il gas stesso. Il tubo di Pyrex è raffreddato tramite un flusso d’acqua che lo circonda a 13β, in modo da garantire un basso coefficiente di ricombinazione superficiale (pragrafo1.2.). Uscito dal dissociatore, il gas attraversa un ugello di 2 mm di diametro, costituito di alluminio e pulito con HNO3. Tale trattamento viene eseguito poiché comporta la formazione di uno strato di ossido di allumino sulla superficie interna del nozzle e ciò riduce la ricombinazione superficiale in presenza di gas atomico (pragrafo1.2.). Il nozzle, inoltre, viene raffreddato ad una temperatura di 84 K dall’azoto liquido, temperatura ideale per minimizzare la ricombinazione sull’ossido di alluminio. Poiché l’assemblaggio del sistema permette di sostituire il nozzle, sono state fatte misurazioni sia installando uno standard sonic nozzle, che un trumpet nozzle. Il tubo di pyrex e il nozzle sono distanziati circa 1,5 mm e isolati termicamente al fine di impedire la ricombinazione sulle superfici circostanti. Infine, lo skimmer si trova a 15 mm dal nozzle in asse con quest’ultimo. Fig.2.2.ABS2, dettagli dissociatore,nozzle e skimmer: (a) acqua di raffreddamento, (b) guarnizione di indio, (c) isolante termico, (d) azoto liquido di raffreddamento N2 (e)giuntura di indio tra pyrex e alluminio, (f) nozzle, (g)skimmer, (h) collimatore 28 2.2.2. ABS2: magneti sestupolari permanenti Il sistema magnetico dell’ABS2 consiste in sei corti magneti sestupolari, che permettono di focalizzare il fascio atomico formato da atomi con proiezione di spin 1 1 ππ = 2 Δ§ e di defocalizzare atomi caratterizzati da ππ = − 2 Δ§. Si utilizza questo sistema anziché due lunghi magneti, poiché tale geometria permette di migliorare il sistema di pompaggio del gas residuo nella parte interna di ogni magnete, quindi il vuoto. I multipoli magnetici sono composti da spicchi con magnetizzazione permanente come schematizzato in figura 2.3. Il campo magnetico radiale di un sestupolo a spicchi con magnetizzazione permanente, utilizzando la formula di Halbach, 29 , è dato da π π΅ π = ππ 2 3 π π΅0 1 − 2 π0 2 πππ 3 3π π π ππ π 3π π π (2.1) dove ri è il raggio interno del magnete, r0 il raggio esterno, M il numero di spicchi e B0 il campo magnetico residuo. Differenti materiali sono utilizzati per spicchi con magnetizzazione radiale e tangenziale. Tali materiali differiscono per campo residuo, perciò si assume che B0 corrisponda al valore mediato pari a B0= 1,2 T. Dalla formula (2.1) si evince che un maggior numero di spicchi comporta un maggior valore di campo magnetico raggiungibile. I primi tre magneti caratterizzati da dimensioni ridotte, come si può vedere dalla tabella 2, sono formati per ragioni di robustezza meccanica da 12 spicchi e definiscono un campo medio di 1,36 T. Il secondo set, è invece formato da magneti di maggior raggio con 24 spicchi, di campo massimi pari a 1,49 T. Il secondo ed il terzo magnete, inoltre, sono caratterizzati da un’apertura conica, con entrata di diametro inferiore all’uscita, poiché tale accorgimento minimizza l’attenuazione dell’intensità dovuta a gas scattering 31 . I restanti magneti, invece, presentano uguale raggio interno d’entrata e d’uscita. I magneti sono saldati in contenitori di acciaio inossidabile di spessore di 0,3 mm, al fine di prevenire il deterioramento del materiale magnetico a seguito dell’esposizione al flusso di idrogeno. Inoltre sono presenti due unità di transizione a radiofrequenza, che permettono la selezione in spin nucleare, una posizionata internamente al sistema magnetico, precisamente dopo il quarto magnete, ed una superato il sistema di magneti. 29 Fig. 2.3.ABS2: Magnete sestupolare a 24 spicchi Posizione magnete diametro d’entrata diametro d’uscita Lunghezza (mm) nell’ABS (mm) (mm) 1 10,5 10,5 25 2 12 16,5 50 3 16,6 22 60 4 25 25 35 5 25 25 62,5 6 25 25 62,5 Tab2. Geometria dei magneti. Gli elementi sono numerati lungo la direzione di propagazione del fascio. 2.2.3 ABS2: il sistema di pompaggio L’ABS2 è suddiviso in cinque camere di pompaggio, separate da pareti, la cui forma è scelta in modo da massimizzare la conduttanza dall’asse del fascio alla pompa. Le prime due camere sono collegate a quattro pompe turbomolecolari, supportate da un comune sistema di prevuoto formato da due Roots Pump e da pompe meccaniche poste in serie. Le restanti camere sono invece pompate tramite delle criopompe. Tali pompe possiedono valvole che permettono di isolarle dalle camere. Inoltre, un sistema di pompaggio connesso ad una pompa turbomolecolare, indipendente dall’apparato ABS, permette di rigenerarle in pochi giorni. La tabella 3 descrive le caratteristiche delle pompe utilizzate nell’ABS2 e le pressioni nelle camere a seguito dell’accensione del vuoto. camera Tipo di pompa Velocità di pompaggio per l’idrogeno (l/s) 1 2 3 4 5 Turbomolecolare Turbomolecolare Criogenica Criogenica Criogenica 2 × 2800 2 × 2800 5200 2200 2200 Pressione nella camera (mbar) unità di 1,7 ((mbar l)/s) 3,4 β 10−4 6,5 β 10−5 1,9 β 10−6 8,8 β 10−7 7,3 β 10−7 Tab.3. Velocità delle pompe e pressioni nelle camere 32 30 Le pressioni nelle camere 1-5 sono misurate tramite misuratori a catodo freddo montati sulle pareti delle camere stesse. I misuratori a catodo freddo permettono di rilevare la corrente prodotta dalla ionizzazione del gas per effetto punta. In regimi molecolari, come quelli presenti nella camera in cui le collisioni tra atomi sono rare, infatti, la corrente ionica è proporzionale alla densità volumetrica, quindi si può individuare la pressione. Le pressioni tra le pompe turbo e il prevuoto sono misurate tramite manometri capacitivi. Fig.2.4. schematizzazione del sistema di pompaggio dell’ABS2 2.2.4. ABS2: Tubo di iniezione e volume di compressione: misure di intensità Il fascio atomico uscito dal sistema di sestupoli, fluisce attraverso il tubo di iniezione ed entra nel volume di compressione. Il tubo di iniezione ha diametro di 10 mm e lunghezza di 130 mm. Sia il volume di compressione, che il tubo di iniezione, sono di acciaio inossidabile. L’ingresso del fascio nel volume di compressione comporta un aumento della pressione nel volume ΔππΆπ proporzionale all’intensità I del fascio stesso, come si evince dalla seguente relazione: πΌ= 1 1 ππ‘πππ π= πΆ Δπ π πππ΅ πππ΅ πΆπ πΆπ dove πΆπΆπ è la conduttanza del tubo di compressione, che deve essere determinata tramite una misura di calibrazione usando un flusso di idrogeno molecolare conosciuto a temperatura ambiente, proveniente dall’apparato di calibrazione. Q corrisponde al flusso di idrogeno molecolare che attraversa il tubo di iniezione ed è quindi responsabile di ΔππΆπ e di CCT. Poiché l’apparato è a temperatura ambiente, si assume che tutti gli atomi siano ricombinati in molecole per collisione con le pareti, prima del rilevamento 31 della pressione. Quest’ultima parte dell’apparato ABS permette quindi di determinare l’intensità del fascio formato. 2.3. ABS1: Atomic Beam Source non polarizzata Fig. 2.5.ABS1 L’ABS1 è una sorgente atomica non polarizzata, originariamente parte del laboratorio JPT presso il CERN. Il gas molecolare iniettato viene reso atomico nel dissociatore tramite una scarica a microonde di frequenza pari a 2,45 GHz e potenza 600 W. Diffonde poi nella prima camera a vuoto, dopo aver superato il nozzle [32]. Dopo aver oltrepassato lo skimmer, il fascio diffonde in un’ulteriore camera a vuoto di dimensione molto maggiore rispetto alla precedente, tale da comportare una notevole perdita di intensità del fascio a causa, principalmente, della diffusione e delle collisioni con il gas di fondo. L’intensità del fascio è misurabile tramite un sistema “tubo di iniezione + volume di compressione”, posto all’uscita di camera 2 sull’asse del fascio, ovvero allineato con nozzle e skimmer. Di poco angolato rispetto al fascio, è inoltre presente un secondo volume di compressione che permette di calcolarne la divergenza. Aprendo una valvola collegata al volume di compressione, è possibile fare fluire il fascio in camera 3. In essa è contenuto un braccio mobile, tramite il quale è possibile posizionare sull’asse del fascio, un collimatore, un chopper che impedisce periodicamente il passaggio del fascio, oppure una wheel che ne permette periodicamente il passaggio di una sola porzione. In camera quattro, infine, è contenuto uno spettrometro di massa che permette di rilevare la densità di particelle di una determinata massa. 32 2.3.1 ABS1: dissociatore, sistema di raffreddamento, nozzle 2.6.ABS, dissociatore, sistema di raffreddamento, nozzle Il dissociatore dell’ABS1, rappresentato in figura 2.6, è formato da due cilindri concentrici di quarzo, del diametro interno di 13 mm ed esterno di 15 mm e lunghezza 85 cm. Dentro il tubo, molecole di idrogeno o deuterio sono dissociate in atomi per mezzo di scariche a microfrequenza di 2,45 GHz e potenze di 600-800 W. Il processo di scarica, a differenza che nell’ABS2, non avviene spontaneamente, ma è necessario innescarlo. La pressione standard di gas nel dissociatore è di ≈1 mbar. Il dispositivo opera a temperatura ambiente; il gas viene raffreddato solo in seguito tramite il passaggio all’interno di un manicotto d’acqua, un collare di rame e l’ugello di alluminio posti in successione e raffreddati a temperature decrescenti, che permettono di raffreddare conseguentemente il gas. L’acqua viene raffreddata nel range tra −20 ÷ 10 β, il collare tra 70÷200 πΎ e il nozzle tra 70÷290πΎ. Le variazioni di temperatura degli elementi del sistema, all’interno di tali intervalli possono essere eseguite indipendentemente l’una dall’altra. Il nozzle è mantenuto alla temperatura desiderata tramite un sistema che comprende un refrigeratore, che lavora a potenza costante, ed un riscaldatore regolabile in potenza. Variazioni della temperatura del nozzle comportano variazioni della temperatura di agitazione termica del gas in prossimità di esso, quindi numero di Mach diverso e perciò variazioni dell’intensità del fascio uscente dall’ABS e diverse distribuzioni di velocità degli atomi. Anche variazioni della temperatura mediante raffreddamento tramite acqua e il passaggio nel collare comportano un aumento dell’intensità, poiché in fasci freddi è ridotto l’intrabeam scattering e i fenomeni di ricombinazione. L’assemblaggio del sistema, come per ABS2, permette di sostituire il nozzle,vengono così fatte misurazioni, sia installando uno standard sonic nozzle che un trumpet nozzle. 2.3.2. ABS1:il sistema di pompaggio L’ABS1 è suddivisa in due camere, a cui sono collegate in successione altre 2 camere nelle quali è presente il sistema di diagnostica. La prima camera è pompata tramite due pompe turbomolecolari (3500 l/s,2200 l/s), connesse tramite una Root Pump 33 al sistema di prevuoto necessario per migliorare il pompaggio del sistema in presenza di alti flussi d’ingresso. La pressione è misurata tramite un misuratore a catodo freddo.Anche la seconda camera è pompata tramite due pompe turbomolecolari (3500 l/s,2200 l/s), e le pressioni nella camera sono rilevate tramite un misuratore a catodo caldo e uno a catodo freddo. I misuratori a catodo freddo, come detto nel paragrafo 2.2.3., permettono di rilevare la corrente prodotta dalla ionizzazione del gas per effetto punta. In regimi molecolari, come quelli presenti nella camera in cui le collisioni tra atomi sono rare, infatti, la corrente ionica è proporzionale alla densità volumetrica, quindi si può individuare la pressione. I misuratori a catodo caldo, invece, sfruttano la dipendenza della conducibilità termica di un gas dalla pressione e misurano la perdita di energia di una resistenza riscaldata per effetto Joule, in seguito a conduzione nel gas circostante. Nella camera 2, è anche presente un iniettore, detto RG, che permette di immettere ulteriore gas al fine di rilevare le perdite di intensità del fascio in relazione a quantità diverse iniettate, quindi individuare la variazione di intensità in funzione del gas di fondo. Il 95% del gas del getto non supera la prima camera, la seconda è raggiunta solo dal 5%, e al sistema di diagnostica (2.3.3.) giunge all’incirca lo 0,01 %. La camera 3 è pompata tramite una pompa turbomolecolare (500 l/s) e ed una criogenica (1500l/s). La camera 4, tramite una pompa turbomolecolare (100 l/s), una pompa ionica e una titanum sublimation pump raffreddata da acqua a 13 β. Le pressioni sono misurate tramite misuratori full-range. 2.3.3. ABS1:il sistema di diagnostica Il sistema di diagnostica è rappresentato in figura 2.7. Fig.2.7 Schematizzazione dell’apparato di diagnostica Come descritto relativamente all’ABS2 nel paragrafo 2.2.4., il tubo di iniezione e il Vcv, permettono, individuate la conduttanza del tubo e la pressione nel CV, di 34 misurare l’intensità del fascio. Aprendo la valvola VCV, il fascio fluisce nella terza camera in cui è presente un manipolatore meccanico tramite il quale è possibile posizionare sull’asse del fascio un chopper, una wheel o un collimatore. Il chopper, schematizzato in figura 2.8, è formato da un motorino che fa ruotare con frequenza costante, pari a 16,5 Hz, un disco caratterizzato da due aperture tali da permettere l’avanzamento del fascio solamente per metà intervallo di tempo ogni giro. Il segnale rilevato dallo spettrometro di massa e riprodotto su un oscilloscopio, assume la forma di un’onda quadra in cui il valore minimo corrisponde al fondo e il massimo al segnale reale. Fig.2.8.Chopper Il chopper, eliminando il contributo del fondo, permette di fare misurazioni della densità di particelle di specifica massa che giungono sullo spettrometro di massa tramite la misura della differenza tra segnale reale e fondo. Permette inoltre, di misurare il fondo stesso. La wheel, schematizzata in figura 2.9, è formata da un motorino che fa ruotare con frequenza costante, pari a 150 Hz, un disco su cui sono presenti due fenditure di 2 × 20 nm che permettono il passaggio di una sola frazione del fascio. La dimensione delle aperture le rende approssimabili ad una funzione πΏ di Dirac. Fig. 2.9. Wheel La Wheel è utilizzata per le misure del tempo di volo (TOF), in particolare permette di ottenere la distribuzione della velocità degli atomi e delle molecole componenti il fascio (capitolo 3). Tra le camere tre e quattro, è montato un collimatore che impedisce al fondo di giungere sugli strumenti presenti nella camera successiva. 35 In camera quattro è istallato un analizzatore del fascio tramite quadrupolo di massa (QMA) che rileva la densità di particelle con massa specifica, schematizzato in figura 2.10. Il fascio, in particolare, giunge nel volume di ionizzazione antecedente al QMA, dove gli atomi e le molecole sono ionizzati per mezzo di collisioni con elettroni emessi da un filamento di tungsteno caldo. In seguito, per mezzo di un campo elettrico sono focalizzati nel filtro di massa quadrupolare. La descrizione del funzionamento del filtro quadrupolare di massa si rimanda all’appendice C. 2.4. L’apparato di calibrazione Fig.2.10. apparato di calibrazione Tale apparato è stato usato per determinare la conduttanza del tubo di iniezione della cell. 30 Si isola, mediante una valvola l’ultima camera dell’ABS e viene collegato il CV ad un apparato di calibrazione. Il sistema è composto da un volume di calibrazione Vcal, la cui pressione è tenuta costante per mezzo una valvola regolata tramite un Pid controller, collegato tramite un soffietto e una leak valve al CV. Il flusso che scorre nel sistema dipende perciò, dalla pressione del volume di calibrazione e dall’apertura del soffietto; è pertanto possibile impostare un flusso costante. Collegando l’apparato al CV, il flusso scorre anche nel tubo di iniezione. La conduttanza del tubo di iniezione è esprimile come πΆπππ = π π Con Q flusso che percorre il tubo e P differenza di pressione tra gli estremi del tubo. La pressione nella camera dove è attivo il sistema di pompaggio per il vuoto risulta almeno di due ordini di grandezza inferiori alla pressione che si instaura nel volume di compressione ed è quindi possibile considerare P = Pcv. Ciò comporta che la conduttanza nel tubo di iniezione è esprimibile come πΆπππ = 36 π ππΆπ Conosciuto πΆπππ è quindi possibile effettuare misure di intensità. 2.5 Nozzle L’idea di modificare il nozzle nasce dalla ricerca di fenomeni, dispositivi o materiali che permettano la produzione di fasci di maggior intensità. Risultati ottenuti da una simulazione Moltecarlo evidenziano che l’utilizzo di trumpet nozzle permette un’ intensificazione del fascio. A SpinLab sono state fatte misure su nozzles con geometrie diverse. In particolare è stato paragonato uno standard sonic nozzle ad un trumpet nozzle utilizzando le ABS di cui il laboratorio è dotato [33]. 37 38 Capitolo 3 La misura del tempo di volo con l’ABS1 3.1. Tempo di volo (TOF) La tecnica del tempo di volo TOF (Time Of Flight), permette di determinare la distribuzione di velocità di un fascio tramite la misura del tempo t impiegato da una πΏ particella per percorrere una distanza L nota, π£ = π‘ . Poiché le particelle del fascio si propagano a velocità differenti, giungono ad un rilevatore in tempi diversi. Ripetendo le misurazioni di tale intervallo di tempo è possibile ottenere la distribuzione dei tempi di volo S(t). Nel sistema ABS1 queste misurazioni si effettuano tra la wheel e il QMA descritti nel capitolo 2, e schematizzati in fig.3.1. E’ stato dimostrato nell’articolo di Young [34] che la distribuzione dei tempi di volo TOF è legata alla distribuzione delle velocità del fascio atomico dalla relazione: π‘ π π‘ =πΎ π π£2π π£ π΄ π ππ π‘ − π 0 (3.1) 0 dove K e’ una costante di normalizzazione, π£ = πΏ π − π è la velocità della particella del fascio, π π£ è la distribuzione delle velocità del fascio atomico, ππ π‘ − π è la funzione dinamica del rivelatore e della sua elettronica ed π΄ π rappresenta la parte di area trasversa del fascio che non è coperta dalla fenditura del chopper al tempo π, ed è solitamente chiamata gate function del chopper. Queste due funzioni strumentali saranno discusse in dettaglio nei paragrafi seguenti. Per estrarre π π£ dalle misure S(t) sono stati usati due metodi diversi. A. Nass [9] ha usato il metodo delle trasformate di Laplace inverse, descritto in [34]. A SpinLab si è scelto di usare il “metodo dei minimi quadrati”, minimizzando il π 2 definito nella relazione: π 2 πππππ , π£πππππ‘ = 39 π ππ π‘ π −ππ‘ππ π‘ π‘ π 0 ππ2 . Qui l’indice i corrisponde al i-esima misura, e varia da 0 al numero totale delle misure fatte N. ππ è l’errore statistico sulla i-esima misura e πππππ π‘π è evidentemente l’i-esima misura. Per ottenerre la funzione teorica πππππ π‘π , corrispondente alla i-esima misura, si integra l’equazione (3.1), nell’ipotesi che la distribuzione delle velocità π π£ sia nota. Assumendo,ragionevolmente nel nostro caso, che la distribuzione delle velocità corrisponda all’espansione libera del fascio atomico, si ottiene per π π£ : π π£ ∝ π£ 2 exp − πππππ π£ − π£πππππ‘ 2ππ΅ π 2 (3.2) dove m è la massa delle particelle del fascio in kg, kB è la costante di Boltzmann, Tbeam è la temperatura del fascio e vdrift la velocità di deriva. I parametri che si ottengono nel processo di minimizzazione, generalmente chiamato il “fit dei dati sperimentali”, sono πππππ e π£πππππ‘ . Va inoltre sottolineato che, in base al valore del π 2 ottenuto, questo metodo permette indirettamente anche di determinare se la distribuzione delle velocità del fascio π π£ scelta con l’equazione 3.2 è accettabile, e descrive quindi la realtà fisica. A titolo di esempio il risultato di una di queste misure è riportato in figura 3.2. I punti blu sono le misure, mentre la curva rossa corrisponde alla funzione teorica. L’ottimo accordo tra risultati sperimentali e curva teorica è chiaramente indiscutibile. Per poter applicare questo metodo bisogna però correggere la distribuzione π π‘ per le distorsioni sistematiche che saranno discusse nei paragrafi che seguono. Nel paragrafo seguente, 3.1, il funzionamento della diagnostica del TOF è descritto in dettaglio. Nel paragrafo 3.2 sono riportate alcune misure di calibrazione del TOF e la misura di alcuni parametri geometrici. 3.2 La diagnostica del TOF Le misure del TOF sono state fatte con il sistema di diagnostica attualmente installato sull’ABS1, già descritto nel capitolo 2, e schematizzato nella figura 3.1. Le misure si effettuano tra la wheel e il QMA. Per una descrizione dettagliata del QMA si rimanda all’Appendice D. La wheel è un disco caratterizzato da due fenditure sottili e simmetriche, poste sul diametro, installata su un braccio meccanico. Il fascio continuo entra nel sistema di diagnostica dell’ ABS1 ed è frazionato dalla wheel che, ruotando ad alta velocità, ne permette il passaggio solamente per due brevi istanti di tempo ogni giro. Sul braccio 40 mobile è montato anche un LED (light emitting diode ) che produce un segnale luminoso parallelo all’asse dell’ABS1 che intercetta la wheel. In coincidenza del passaggio del fascio da una fenditura, nell’altra si propaga il segnale luminoso che giunge su un fotodiodo generando il segnale TTL di inizio del conteggio del tempo. Quando le particelle del fascio giungono nel QMA, in tempi diversi corrispondenti a velocità diverse, viene generata una corrente proporzionale al numero di particelle. L’acquisizione termina dopo aver rivelato un numero di particelle (che dipende dalla velocità di rotazione della wheel ) che viene impostato nel programma di acquisizione dati. Al fine di ridurre il rapporto tra segnale e rumore, il programma media su migliaia di spettri. La distribuzione spaziale delle particelle del fascio che hanno superato la wheel, viene condizionata dalla funzione di apertura di quest’ultima. Tale distribuzione spaziale, durante la propagazione del fascio verso il quadrupolo, tende ad allargarsi. La figura 3.3 rappresenta schematicamente il TOF, ed in particolare mostra l’evoluzione del fascio in tempi successivi. La parte più scura indica la porzione vista da un generico rivelatore. Fig.3.3 Schematizzazione delle misure del tempo di volo. Gli spettri in grigio rappresentano l’evoluzione del segnale mentre il fascio si propaga dalla wheel al rivelatore. L’area nera rappresenta la porzione del segnale risolte dal rilevatore. 18 Poichè le fenditure della wheel sono molto sottili, il segnale è molto debole ed è necessario utilizzare il SEM (descritto nell’appendice C) al fine di ottenere una sufficiente amplificazione. 41 Ricordando l’equazione 3.1, che si riporta di seguito per comodità del lettore, si osserva che il segnale misurato, Smis(t), rivelato con il QMA, è dato dalla convoluzione di tre funzioni : π‘ ππππ π‘ = πΎ π π£ 2 π π£ π΄ π ππππ ππ π − π 0 0 In questa equazione K è una costante di normalizzazione, π£ = πΏ π − π è la velocità della particella del fascio, π π£ è la distribuzione delle velocità del fascio atomico. ππ π‘ è la funzione dinamica del rivelatore e della sua elettronica e può essere posta ππ π‘ = 1 ππ π −π‘/π π dove ππ è la costante di tempo RC del sistema di rivelazione. π΄ π rappresenta la parte di area trasversa del fascio che non è coperta dalla fenditura del chopper al tempo π, ed è solitamente chiamata gate function del chopper. Nel nostro caso sembra che una funzione sinusoidale possa essere appropriata, e si è posto π΄ π‘ = sin ππ‘ π con π = (πΌ +π½) π dove, come si puo’ vedere nella figura 3.4, α è l’angolo di rotazione che corrisponde al diametro della wheel, β l’angolo di rotazione che corrisponde al diametro del fascio e ω la velocità angolare della wheel. Fig.3.4. schematizzazione di una wheel e angoli di rotazioni corrispondenti ai vari elementi componenti. 34 Definendo DCB la distanza tra il centro della wheel e la metà del diametro orizzontale del fascio (per questioni di allineamento, il fascio può assumere una forma 42 circolare non perfetta), dbeam il diametro verticale dello stesso e dslit l’ampiezza delle fenditure della wheel, si ottiene : π≈ πππππ + ππ πππ‘ π·πΆπ΅ π La misura delle costanti geometriche DCB, dbeam e dslit e la valutazione degli errori di misura ad essa connessi sono discusse nella sezione 3.6 Per poter applicare il procedimento di fit illustrato precedentemente, il segnale Smis(t) misurato dal QMA deve essere corretto. Infatti bisogna tener conto della differenza in tempo tra l’istante definito dalla funzione di apertura del trigger e l’istante definito dal sistema di acquisizione dati: il trigger offset. Lo sfasamento dell’acquisizione (trigger offset) è dovuto al fatto che il trigger ottico (LED + fototransistor) si trova dalla parte opposta della wheel rispetto al fascio; quindi, se il fascio non è perfettamente allineato all’asse del dispositivo ABS, o se le fenditure della wheel non sono geometricamente uguali ed allineate, il passaggio del fascio può non coincidere perfettamente con l’invio del segnale di acquisizione. Infine bisogna sottrarre al segnale misurato Smis(t) il livello di fondo costante dovuto al gas residuo nella camera del QMA. Nel paragrafo seguente saranno trattate le misure di calibrazione del TOF, che permettono di valutare quantitativamente tutti questi effetti, in particolare, si cerca di determinare lo sfasamento tra il tempo di risposta dell’apparato di rivelazione e l’istante in cui l’evento si è realizzato, che si chiama time offset. 3.3 Contributi allo sfasamento temporale (time offset) Per operare la deconvoluzione è necessario valutare tre parametri di calibrazione che sono: t0 il time offset, il tempo T relativo alla funzione di apertura (gate function) della wheel ed il tempo di risposta dell’elettronica τ. E’ opportuno introdurre SM(t), segnale misurato corretto dagli errori sistematici, corrispondente a: ππ π‘π = ππππ π‘π − π‘0 − π0 dove ti corrisponde all’ i-esimo valore acquisito e t0 è lo sfasamento temporale (time offset). Smis (ti-t0) corrisponde al segnale corretto dallo sfasamento temporale; la differenza di tempo permette infatti di sintonizzare l’istante di trigger con l’istante reale in cui il fascio passa. S0 corrisponde al segnale del fondo. Il time offset, t0, è il più importante tra tali parametri e il più complicato da calcolare, poiché i valori estratti di vd e Tbeam, impiegati nel calcolo della funzione di distribuzione, sono molto sensibili alle variazioni di questo; t0 è la differenza in tempo 43 tra l’istante definito dalla funzione di apertura e l’istante definito dal sistema di acquisizione dati. Contribuiscono al time offset t0 quattro tempi, qui di seguito descritti: - tdrift è il tempo di deriva nel QMA (drift time). E’ il tempo necessario per uno ione giunto nel QMA per essere rivelato, ovvero il tempo nel quale lo ione si sposta dal volume di ionizzazione al SEM; dipende dalla massa dello ione. (vedi 3.3.1) - topt corrisponde al ritardo intrinseco della risposta del fotodiodo del trigger ottico (tipicamente inferiore a 100 ns e quindi trascurabile).(vedi 3.3.2) - tδ è il contributo al time offset dovuto all’anticipo o al ritardo del trigger ottico causato dalla perdita di direzionalità (rispetto all’asse del sistema ABS) del fascio, perciò l’istante in cui il fascio supera una fenditura della wheel non è coincidente al passaggio della luce del LED nella fenditura opposta. (vedi 3.3.3) - tbeam è il ritardo causato dal maggior diametro del fascio rispetto al fascio luminoso. Di conseguenza il fascio, ipoteticamente allineato ovvero δ=0 ( vedi figura 3.4), ha già parzialmente superato la wheel quando viene innescata l’acquisizione.(vedi 3.3.4) Si può quindi definire il time offset t0 come la somma di quattro contributi: π‘0 = π‘πππππ‘ − π‘πππ‘ ± π‘πΏ − π‘ππππ Per convenzione si assume che i termini con il meno causino un ritardo nell’acquisizione del segnale, mentre quelli con il segno positivo un anticipo. Gli ultimi due termini dipendono dalla frequenza di rotazione della wheel. Si trascurano i tempi di ritardo nel sistema d’acquisizione DAQ. 3.3.1.Tempo di deriva nel QMA: tdrif E’ il tempo impiegato dagli ioni per attraversare il QMA. E’ il contributo allo sfasamento temporale che dipende dalla massa dello ione ed è calcolabile tramite la seguente espressione: π‘πππππ‘ = π πππππ‘ π |2ππππππ | (3.3) dove sdrift è la lunghezza di deriva del QMA, approssimabile con la lunghezza del filtro di massa (rod system); Udiff la differenza di potenziale usata per accelerare gli ioni prima dell’entrata nel rod system, m la massa dello ione ed e la carica elettronica. 3.3.2.Ritardo del trigger ottico: topt Corrisponde al ritardo del segnale di inizio acquisizione introdotto dai cavi di trasmissione. Nella scheda relativa al trigger ottico, è indicato un ritardo di 5 μs. 44 3.3.3 Non perfetto allineamento del fascio: tδ Il mancato allineamento del centro del LED e del centro del fascio possono causare l’anticipo o il ritardo del trigger. Il contributo a t0 è dato da : π‘πΏ = ±πΏ 1 2ππ (3.4) dove ν è la frequenza di rotazione della wheel e δ è l’angolo di rotazione (attorno all’asse del chopper) corrispondente allo spostamento del fascio dalla posizione ideale, esattamente π radianti dal centro del trigger ottico come rappresentato in figura 3.4. Nel paragrafo 3.7 è descritto il metodo per determinare δ . 3.3.4. Dimensione del fascio tbeam Assumendo che l’angolo di rotazione β che corrisponde al diametro del fascio (vedi figura 3.4.) sia maggiore dell’angolo corrispondente all’area sensibile γ del diodo del trigger ottico, l’acquisizione sarà ritardata. π‘ππππ = π½−πΎ 1 2 2ππ 3.5 con ν la frequenza di rotazione della wheel. π½ si ricava dal rapporto tra diametro del fascio e la distanza dal centro di rotazione della wheel al centro del fascio. Analogamente, γ si ricava dal rapporto tra il diametro del diodo del trigger e la distanza dal centro di rotazione della wheel al centro di tale diodo. La misura di tali distanze è descritta nel paragrafo 3.5. 3.4 Misure di calibrazione dell’apparato Le misure di calibrazione si sono eseguite con le seguenti impostazioni dell’ ABS1: - flusso di idrogeno al 30% - scarica spenta; - standard nozzle di forma corrispondente ad un tronco di cono con diamentro maggiore di 3 mm e minore di 2mm. - Temperatura del nozzle Tnozzle = 75 K - Temperatura del collare Tcollare = 140 K Al fine di calibrare il sistema sono necessarie 4 differenti misure di calibrazione: 1.Scansione della posizione verticale del QMA Tali misure sono state fatte con un fascio di idrogeno continuo, a cui non si è sovrapposto alcun sezionatore del fascio. Il segnale di corrente prodotto dalla Faradaycup viene trasformato in voltaggio tramite un preamplificatore. Il segnale ottenuto è 45 stato monitorato con un oscilloscopio mentre il QMA era mosso verticalmente ruotando la manopola esterna. Un giro completo corrisponde all’incirca ad uno spostamento di 0,25 mm misurato tra due flangie, una fissa ed una che si sposta con l’apparato QMA. E’ importante eseguire tale scansione prima delle altre così che la posizione verticale del QMA sia la stessa per le altre misure di calibrazione e le misure del TOF. I dati rilevati sono riportati in tabella 1 nell’appendice E e la figura 3.6 mostra l’andamento dell’ampiezza del segnale rivelato dal QMA in funzione della posizione relativa del QMA. 2. Scansione della posizione orizzontale della wheel Si è registrato uno spettro del tempo di volo (mediato su 1000) per differenti posizioni della wheel ottenute dalla rotazione di una manopola esterna, mantenendone la frequenza di rotazione a 50 Hz. Degli spettri ottenuti un programma di elaborazione dati calcola l’ampiezza dello spettro coincidente al segnale più probabile e la frequenza della wheel. I dati rilevati sono riportati in tabella 2 nell’appendice E e la figura 3.5 mostra l’andamento dell’ ampiezza più probabile della distribuzione in funzione della posizione relativa della wheel. 3. Scansione della frequenza della wheel Si è registrato uno spettro del tempo di volo per differenti frequenze di rotazione della wheel. I dati rilevati sono riportati in tabella 3 nell’appendice E. 4. Scansione della frequenza della wheel con direzione di rotazione inversa Dopo aver invertito il verso di rotazione della wheel si è registrato uno spettro del TOF per ogni frequenza, utilizzando gli stessi valori della scansione 3. 3.5 Estrazione del dbeam dai valori sperimentali Il diamentro del fascio dbeam corrisponde al diametro effettivo del fascio, ovvero al diametro visto dal QMA e pertanto è molto sensibile all’allineamento del fascio. Nel limite di perfetto allineamento, il fascio visto dal QMA ha sezione circolare di raggio pari a 4 cm, definita dalla dimensione del collimatore, che separa la camera 3, in cui è presente la wheel, dalla camera 4 che contiene il QMA.(vedi paragrafo 2.3) Dato l’allineamento imperfetto presente nel sistema, si è considerata la possibilità che il diametro orizzontale e verticale del fascio fossero differenti e si sono determinati separatamente. Il diametro orizzontale del fascio si estrae dalle misure di scansione spiegate nel punto 2 nel paragrafo 3.4. Muovendo il braccio su cui è installata la wheel, il centro di rotazione della stessa si sposta rispetto al centro del fascio e di conseguenza varia l’intensità del segnale rivelato dal QMA. 46 La figura 3.5 mostra l’andamento dell’intensità del fascio in funzione della posizione del chopper, relativamente ai dati sperimentali considerati. Fig 3.5 intensità del fascio in funzione della posizione orizzontale del wheel Prima di giungere nel volume di ionizzazione, il fascio una volta superata la wheel attraversa un collimatore circolare di 14 cm di diametro. Essendo quest’ultimo incernierato al braccio meccanico, uno spostamento della wheel ne comporta un corrispondente spostamento. L’intervallo di posizioni della wheel, evidenziato in figura 3.5, a cui corrispondono i maggiori valori di intensità del fascio, coincide con le posizioni in cui il fascio attraversa il collimatore senza interagirvi. L’ampiezza di tale intervallo corrisponde pertanto al diametro del collimatore meno il diametro del fascio, e si può quindi individuare il diametro orizzontale del fascio pari a dbeam orr=(3,5±0,5) mm. Le posizioni, esterne a tale intervallo, corrispondenti ad intensità non nulla equivalgono al passaggio del fascio in prossimità degli estremi del collimatore e quindi solamente in parte giunge nel QMA. Il diametro verticale del fascio, si estrae dalle misure di scansione (spiegate nel punto 1 nel paragrafo 3.4) che prevedono lo spostamento del QMA, seguendo un procedimento simile a quello sopra enunciato. Lo spostamento verticale del QMA comporta l’entrata del fascio nel volume di ionizzazione solo in determinate posizioni. Il volume di ionizzazione è caratterizzato da un’altezza pari a 6 mm. La figura 3.6 mostra il segnale misurato tramite il QMA, come funzione della distanza tra le flange. 47 Fig. 3.6. intensità del fascio come una funzione della posizione verticale del QMA L’intervallo di posizioni a cui corrispondono le intensità maggiori evidenziate in figura 3.6, definisce la misura dell’altezza del volume di ionizzazione meno il diametro verticale del fascio, perciò pari a dbeam vert=(2,25±0,50) mm. 3.6. Estrazione di DCB dai valori sperimentali DCB è la distanza dal centro di rotazione della wheel al centro orizzontale del fascio. Tale valore può essere estratto dalla misura 2 del paragrafo 3.4, poiché il centro del collimatore è posto alla distanza nota pari a 30 mm dal centro della wheel. Il centro dell’intervallo evidenziato in figura 3.5, situato a 8,5 mm, corrisponde alla separazione di 30mm. Le misure del TOF, sono state eseguite posizionando la wheel a 11mm, da cui si ottiene π·πΆπ΅ = 32,5 ± 0,5 mm. 3.7. Estrazione di πΏ dai valori sperimentali πΏ è l’angolo di rotazione (attorno all’asse del chopper) corrispondente allo spostamento del fascio dalla posizione ideale, esattamente π radianti dal centro del trigger ottico come rappresentato in figura 3.4 e si estrae dalle scansioni 3 e 4, le cui misure sono riportate nelle tabelle E3 nell’Appendice E. Si considerano due spettri del TOF, ottenuti impostando la wheel con stessa frequenza, ma verso di rotazione opposta. πΏ è definito dalla relazione: πΏ = ππΔπ‘ (3.6) dove Δπ‘ = π‘1 − π‘2 è la differenza temporale tra i tempi coincidenti ai massimi dei due spettri. Le frequenze misurate, registrate da LabView coincidono soltanto entro l’errore dell’apparato di misura con il valore impostato manualmente. Perciò al fine di determinare πΏ, si è utilizzata la media delle misure delle frequenze rivelate 48 rispettivamente per due spettri con opposta rotazione. La figura 3.7 esprime il valor medio di πΏ ottenuto dalle misure di calibrazione eseguite. Fig. 3.7 πΏ misurato per differenti frequenza di rotazione della wheel 49 50 4. Conclusioni In questa tesi ho esaminato dettagliatamente la produzione di getti atomici gassosi polarizzati di deuterio ed idrogeno ad alta intensità, analizzando le problematiche connesse. In particolare, mi sono occupata delle misure del tempo di volo nel laboratorio SpinLab, con lo scopo di determinare la distribuzione di velocità del getto atomico. Queste misure permettono di valutare l’attenuazione del fascio atomico, per interazione con il gas di fondo, ma è utile sottolineare che costituiscono inoltre un dato cruciale nella progettazione dei magneti del sistema di focalizzazione e polarizzazione del getto stesso. E’ infatti molto importante adattare la geometria dei magneti, in modo da avere una sovrapposizione tra la curva di accettanza e la distribuzione di velocità del getto, come si è visto nel Capitolo 1 di questa tesi. 51 52 Appendice A A.1. Il Modello Diffusivo Il modello diffusivo di Walraven e Silvera 14 permette di definire il profilo di densità dell’idrogeno, in regime molecolare, lungo il tubo di dissociazione, di valutare il grado di dissociazione, e inoltre di valutare le perdite per ricombinazione. Tale modello è largamente usato anche nella trattazione della ricombinazione in una cell. Si ritiene perciò opportuno darne qui un breve resoconto. Si suppone che il tubo sia lungo l e di raggio r tale che l >> r , con un piccolo orifizio ad un’estremità, nella quale si inetta l’idrogeno molecolare, con flusso πππ , ed il vuoto ideale dall’altra. In tale regime il flusso in uscita è dato da: π π§ = −ππ 2 π·πΎπ ππ π§ ππ§ (π΄. 1) dove: π π§ è il flusso atomico alla distanza z , π·πΎ,π = 2 3 ππ£ è la costante di diffusione atomica per flussi molecolari e π π§ è la densità atomica a tale distanza. La variazione del flusso lungo z, dovuta alla ricombinazione, è esprimibile dal punto di vista fenomenologico come uno sviluppo in serie di potenze di n(z): ππ = −ππ 2 πΎπ π3 − 2πππΎπ2 π2 − 2πππΎπ1 π ππ§ (π΄. 2) A secondo membro, il primo termine esprime il processo di ricombinazione volumetrica con coefficiente di ricombinazione πΎπ ; il secondo e il terzo termine, invece, descrivono il processo di ricombinazione superficiale al primo e al secondo ordine di ricombinazione. πΎπ1 e πΎπ2 sono i rispettivi coefficienti di ricombinazione. La ricombinazione superficiale può avvenire attraverso due meccanismi: - - nel primo caso si ha l’interazione tra atomi adsorbiti e atomi del gas nell’ABS, che dà origine alla ricombinazione del primo ordine; questa è una ricombinazione superficiale al primo ordine nel secondo caso si ha l’interazione tra due atomi adsorbiti, che dà origine alla ricombinazione del secondo ordine. Il tipo di ricombinazione dipende sia dal tipo di materiale di cui è fatta la superficie che dalla temperatura a cui si trova. In prima aprossimazione ci limiteremo alla ricombinazione superficiale al primo ordine. 53 In regime molecolare, il problema della diffusione viene riformulato dall’equazione A.1 come segue ππ 3π = , ππ§ 2ππ 3 π£ da cui, esprimendo in termini di variazioni di intensità si ottiene: π2 π 3 1 = ππΎπ π3 + πΎπ2 π2 + πΎπ1 π 2 2 ππ§ π π£ 2 (π΄. 3) con le condizioni al contorno n(l)=0 e π 0 = πππ . In assenza di ogni ricombinazione (πππ = πππ’π‘ ) si può quindi ricavare: π π§ = π0 1 − π§/π π0 = 3ππππ 2ππ 3 π£ dove l è la lunghezza del tubo. Tale densità rispecchia la situazione circostante l’orifizio di iniezione. Nel caso di un tubo lungo, si può valutare il numero medio di collisioni sulle pareti del dissociatore e del nozzle, subite da una particella dopo la diffusione, arrivando alla conclusione che solo un terzo delle particelle arriverà all’ uscita del tubo. In questo caso si ha: 3 π 2 ππΆ = 8 π Il coefficiente del primo ordine di ricombinazione è esprimibile come πΎπ1 = 1 πΎπ£ , 4 in cui πΎ corrisponde alla probabilità di ricombinazione per collisione sulle pareti del dissociatore e del nozzle. Risolvendo, quindi, l’equazione A.2 al primo ordine si ottiene: π π§ = ππ = πππ π0 sinh 2πΎππΆ 2πΎππΆ 1 − cosh π§ π 2πΎππΆ Il grafico rappresentato nella figura A.1. mostra l’andamento di n(z) in funzione di z/l 54 Fig.A.1 Profilo di densità dell’idrogeno atomico lungo un tubo di lunghezza l per il primo ordine di ricombinazione. 14 Dall’analisi dell’equazione A.3 si nota che il termine di ricombinazione volumetrica può essere trascurato rispetto al termine che pesa il primo ordine di ricombinazione nel limite in cui: 1 ππΎ π3 βͺ πΎπ1 π 2 π Si ottiene quindi un limite superiore per la densità del gas nel dissociatore: πβͺ πΎπ£ 2ππΎπ£ Utilizzando i dati sperimentali di Mitchell e Le Roy π΄1 dove il dissociatore era di teflon, si ottiene come limite di densità: ππ‘πππ π < 5 β 1016 ππ3 Questo vincolo è la causa primaria che impedisce di ottenere getti di idrogeno ad alta intensità e quindi bersagli maggiormente densi, mira principale della ricerca sulle ABS. Nel caso della ricombinazione del secondo ordine il coefficiente di ricombinazione è inversamente proporzionale alla densità, infatti: πΎπ2 = 1 πΎπ£ 4 π In questo caso la soluzione dell’equazione A.2 è data da π0 π₯ 2 π π₯; 0,1 π πΎ0 ππΆ (π − π§) dove π π₯; 0,1 rappresenta la funzione ellittica di Weierstrass. π π§ = 55 Fig.A.2 Profilo di densità dell’idrogeno atomico lungo un tubo di lung. l per il secondo ordine di ricombinazione. π΄1 La ricombinazione di volume può essere in questo caso trascurata se si verifica la condizione 1 ππΎ π 3 βͺ πΎπ2 π2 2 π Da cui si ottiene un limite sulla densità del gas pari a 2πΎπ2 πβͺ ππΎπ£ A.2. Ricombinazione superficiale La ricombinazione molecolare di atomi in molecole sulla superficie del dissociatore e del nozzle dipende dalle condizioni di flusso, dal materiale di cui sono costituiti tubo di dissociazione e nozzle, e dalla loro temperatura. A.2.1.L’adsorbimento Gli atomi e le molecole, situati nella parte esterna di una superficie, esercitano una forza attrattiva risentita dalle particelle gassose che vengono quindi adsorbite. La quantità di gas assorbito dipende dalle proprietà chimico-fisiche dell’adsorbitore, dalla temperatura del sistema complessivo e dalla pressione del gas stesso. Di particolare importanza sono inoltre l’uniformità e la purezza della superficie. Infatti la maggior parte delle superfici sono eterogenee e ciò comporta forti variazioni dell’energia di adsorbimento e una non uniforme ripartizione dei siti di adsorbimento. Le admolecole e gli adatomi si muovono sulla superficie soggetti ad un potenziale periodico e possono muoversi solamente in un certo dominio ristretto. Tuttavia, per la maggior parte del tempo in cui rimangono sulla superficie sono localizzati in una posizione definita come sito. Crampton, ha dimostrato che la presenza di impurità sulla superficie comporta l’aumento dei siti di localizzazione, un conseguente aumento dell’energia di legame e quindi la diminuizione del dominio di libertà delle particelle. π΄2 56 A.2.2. I modelli che descrivono la ricombinazione superficiale Due modelli trattano la ricombinazione superficiale: - Il modello di Gelb e Kim che ipotizza che il fenomeno avvenga direttamente tra un atomo adsorbito, ovvero fissato, alla superficie ed un atomo libero di gas che urta la parete. [16] - Il modello di Langmuir-Hinshelwood che spiega tale fenomeno come dovuto all’interazione di due atomi adsorbiti alla superficie, ma che siano liberi di muoversi al fine di porte riottenere la ricombinazione. [17] In entrambi i casi, l’energia rilasciata nel processo è spesa principalmente per liberare la molecola dalla superficie. Il buon accordo del modello di Gelm-Kim con i risultati sperimentali mostra che la ricombinazione tra due atomi asdorbiti, descritta nel modello di Langmuir-Hinshelwood è trascurabile. Pertanto si riporta il modello di ricombinazione di Eley-Rideal che considera il solo contributo dovuto all’interazione di una atomo adsorbito ed un atomo del gas libero. Seguendo tale modello, si calcola il rate di ricombinazione per unità di superficie come RJ ο½ 2M J ο± J Z J Z 0 ο½ nο¬0 (kT / h) dove RJ è il rate di ricombinazione per unità di superficie; Z 0 è il rate di collisione totale per unità di superficie; MJ è il numero di siti localizzato per unità di superficie; ο± J è il rate di occupazione per unita di sup. j individua i diversi tipi di siti ovvero corrispondenti a diverse energie di legame. Il coefficiente di ricombinazione per il sito j-esimo si ottiene quindi come πΎπ = π π½ ππ Da cui sommando su tutti i siti si ottiene πΎ. Utilizzando tale modello, si ottengono le curve corrispondenti all’andamento del coefficiente di ricombinazione in funzione della temperatura. Le figure A.3 e A.4 si riferiscono rispettivamente alla ricombinazione superficiale dell’idrogeno su pyrex e quarzo, e sul rame in funzione della temperatura. 57 Fig.A.3 Coefficiente di ricombinazione dell’idrogeno su pirex e quarzo in funzione temperatura Fig. A.4 Coefficiente ricombinazione dell’idrogeno su rame della Tali dati evidenziano come il coefficiente di ricombinazione superficiale diminuisca nel grafico relativo a pyrex e quarzo fino ad una temperatura minima di ≈110 K per poi riprendere a crescere; mentre fino ad un minimo di T ≈35K per il grafico relativo al rame. Si può infine osservare una dipendenza della densità dal coefficiente di ricombinazione. In particolare, ad alta temperatura, il rate di occupazione è proporzionale alla densità del gas n, mentre a basse temperature è costante e uguale a uno. Il grafico riportato in figura A.5 infine, riporta l’andamento del coefficiente di ricombinazione per numerosi materiali in funzione della temperatura. Fig. A.5 coefficiente di ricombinazione su diversi metalli in funzione della temperatura A.2.3 Dipendenza del comportamento dei diversi materiali in funzione della temperatura e formazioni di lastre criogeniche Per la copertura del dissociatore si utilizzano materiali quali il Teflon, il rame, l’alluminio o l’acido fosforico, caratterizzati da basse probabilità di ricombinazione e dotati di andamenti simili nel range di temperature tra i 200 K e i 50 K. La 58 ricombinazione, per temperature comprese in tale range di temperatura, è determinata principalmente dall’adsorbimento sulle pareti delle impurezze presenti nel gas. 9,10 − π΄3,15 La debole agitazione termica degli atomi porta a formazioni di strati criogenici che coprono completamente le superfici. La natura di tali lastre, non è completamente conosciuta. Singy ed al. [15] sostengono che siano formate dai componenti del gas residuo quali lastre d’acqua, ossigeno o azoto molecolare, presenti a seguito delle condizioni di vuoto non soddisfacenti presenti nel dissociatore. In particolare, si prevede che siano lastre d’acqua, in quanto considerando le energie di adsorbimento dell’idrogeno sui differenti componenti del gas residuo, l’energia rilevata sperimentalmente relativamente a tale strato, è in consistente con quella dell’idrogeno, pari a ~450 πΎ. Per temperature inferiori a 50 K si rileva una forte decrescita della densità del gas; ciò suggerisce che a tali temperature dominano i fenomeni di ricombinazione, come si può verificare anche nelle figure sovrastanti che plottano πΎ in funzione della temperatura. Ad alte temperature, infine, la scelta del materiale o della copertura determina proprietà di ricombinazione diverse. Camere di rame, a seguito della scarica, implicano un notevole calo dell’intensità, ovvero un alto tasso di ricombinazione. Coperture delle stesse di teflon o l’utilizzo dell’alluminio,invece, comportano la miglior intensità raggiungibile del fascio con tali temperature. Questo andamento relativamente all’alluminio comporta un coefficiente di ricombinazione pari a γ=2×10-6, in disaccordo con la probabilità di ricombinazione ottenuta dal modello di Kim-Gelb, come visibile nella fig. A.5. Questa discrepanza è dovuta alla formazione di uno strato ossidato sulla superficie dell’alluminio, quindi un inibizione dell’adsorbimento dell’idrogeno. La figura A.6 rappresenta l’andamento della densità del fascio atomico in funzione della temperatura per rame, allumino e coperture di teflon. Fig.A.6. Densità del fascio atomico in funzione della temperatura per rame(1), alluminio(2) e copertura di teflon(3) Da tutto ciò si evince che per ottenere fasci ad alta intensità è necessario lavorare a temperature comprese nel range tra i 200K e i 40 K. 59 Intensità maggiore, è ottenibile però, a minor temperature drogando il gas d’ingresso con altri gas quali azoto o l’ossigeno molecolare, l’argon o l’acqua, al fine di ottenere strati criogenici stabili che inibiscano la ricombinazione. In particolare, aggiungendo all’idrogeno molecolare entrante quantità di azoto molecolare, si sono notati una progressiva ulteriore diminuzione della temperatura, corrispondente al massimo valore di densità del fascio, e un incremento della densità stessa raggiungibile, a meno di instabilità generata dall’energia di ricombinazione. Fig. A.7 Densità del fascio atomico in funzione della temperatura. Le diverse curve corrispondono a diversi tipi di quantità di N2 presenti. Come da figura, la massima densità in tal caso si individua a T=35. Nelle ABSs, vengono iniettate, in genere, insieme a molecole di idrogeno, anche molecole di ossigeno,al fine di indurre la formazione di uno strato ghiacciato di acqua sulle superfici riducendo quindi la ricombinazione per temperature inferiori a 100 K,quindi non eccessivamente basse. A.3. Il modello di Giordmaine e Wang Il modello di Giordmaine e Wang permette di individuare l’intensità centrale in avanti di un gas in regime di Knudsen che espande nel vuoto, dopo essersi propagato in un lungo tubo cilindrico. Si esamina questo modello poiché riproduce approssimativamente il sistema dissociatore-nozzle. Giordmaine e Wang assumono che la densità del gas decresce linearmente con la distanza z lungo il canale come nel caso del flusso di Knudsen π π§ = ππ π§ , π dove ns è la densità nella sorgente, z e misurato dalle basse pressioni e l è la lunghezza totale del canale. Essi considerano che l’intensità del fascio centrale uscente derivi da due contributi: 60 un contributo dovuto agli atomi che attraversano il canale senza subire collisioni ed uno derivante dalle particelle scatterate nella direzione assiale a causa delle interazioni interatomiche nel canale. Il termine dovuto agli atomi passanti nel tubo senza subire collisioni è dato da: ο¦ οl 1 I1 ο½ ns vs r 2 exp ο§ο§ 4 ο¨ 2ο¬s οΆ ο·ο· οΈ dove ns è la densità della sorgente di gas iniettato nel tubo cilindrico, vs la velocità media delle particelle in essa, l è la sua lunghezza del tubo e ο¬s è il libero cammino medio a densità ns .In particolare, nell’esponente si tiene conto dell’attenuazione dell’intensità dovuta a scattering con le particelle del gas residuo nel tubo. L’intensità derivante dalle particelle scatterate nella direzione assiale a causa delle interazioni tra gli atomi del gas stesso è data da l ο¦ οl οΆ 1 ο·ο· I 2 ο½ ο² dz n( z ) v r 2 exp ο§ο§ 4 ο¨ 2ο¬ ( z ) οΈ 0 dove n(z ) e ο¬ (z ) , rappresentano rispettivamente la densità e il libero cammino medio delle particelle situate a distanza z rispetto alla fine del tubo, ovvero in prossimità della fuoriuscita nel vuoto. Sommando le equazione A2 ed A3 si ottiene l’intensità totale al centro: 1 ο° Iο½ ns v r 2 4ο° 2 erf l 2ο¬ l 2ο¬ L’intensità del fascio è proporzionale ns , quindi inversamente al numero di Knudsen. 61 62 Appendice B Struttura iperfine dell’idrogeno e del deuterio B.1 Struttura iperfine dell’atomo di idrogeno e di deuterio In un getto atomico polarizzato in spin nucleare, tutti gli atomi che lo compongono si trovano in uno stesso stato iperfine, ovvero gli spin dei nuclei sono contraddistinti dallo stesso numero quantico nucleare ππΌ . Ciò significa che, individuata una direzione privilegiata nello spazio tramite l’applicazione di un campo magnetico, la proiezione del momento magnetico nucleare πΌ in tale direzione assume lo stesso valore per tutti gli atomi. In presenza di un campo magnetico viene indotto un momento torcente sul momento magnetico nucleare, che tende ad allineare π al campo stesso; associato ad esso, inoltre, si genera un’energia potenziale pari a Δπ = −π β π΅. In particolare, individuata una direzione privilegiata z ,coincidente con quella del campo π΅, la proiezione del momento angolare πΌ lungo questa direzione, può assumere i valori discreti compresi tra −πΌ, πΌ ,ottenuti sottraendo ad I l’unità fino a -I. 1 1 Per l’atomo di idrogeno πΌ = 2 Δ§, da cui le possibili orientazioni sono ππΌ = 2 Δ§ e 1 ππΌ = − Δ§ .Per l atomo di deuterio πΌ = Δ§, implica ππΌ = Δ§, ππΌ = 0, ππΌ = −Δ§. 2 La presenza di un campo magnetico, generato dalla rotazione del nucleo (visto dalla distribuzione elettronica), e del momento di spin della distribuzione elettronica comporta un termine aggiuntivo Δππ = −ππ½ β π΅πΌ nell’Hamiltoniana e ciò comporta lo splitting di struttura fine. Analogamente, si necessita di correzioni all’Hamiltoniana a seguito dell’interazione tra spin nucleare e campo magnetico generato dalla distribuzione di carica elettronica Δππ = −ππΌ β π΅π½ . In particolare, tale interazione è definita come interazione di struttura iperfine. I rispettivi momenti magnetici sono esprimibili come dove ππΌ ππ½ = ππ½ ππ΅ π½ (π΅1) ππΌ = ππΌ ππ΅ πΌ (π΅2) e ππ sono i rapporti giromagnetici rispettivamente nucleare ed elettronico; mentre ππ΅ = πΔ§ 2π è il magnetone di Bohr. In presenza di un campo magnetico π΅ , i due momenti magnetici vi precedono attorno con frequenza ππΌ,π½ = π πΌ,π π π΅ π΅ Δ§ definita come frequenza di Larmor. Il contributo indotto da ΔWn è notevolmente inferiore al contributo relativo a ΔWe , in quanto ππ΅ nucleare è tre ordini di grandezza inferiore al ππ΅ elettronico, per valori diversi di massa. 63 Riferendosi all’atomo di idrogeno il campo magnetico indotto dall’elettone sul protone corrisponde a 17,4 Tesla, mentre, quello dovuto al protone è molto inferiore, corrisponde a 507β 10−4 Tesla e prende il nome di campo critico BC . Riferendosi al deuterio, invece, BC =117β 10−4 Tesla. La presenza di un momento torcente, conseguente all’esistenza di un campo magnetico risentito dallo spin del nucleo, impone l’accoppiamento del momento angolare nucleare πΌ ed elettronico π½ e li obbliga a precedere l’uno rispetto all’altro attorno alla loro somma πΉ , che a sua volta precede attorno alla direzione del campo π΅. πΉ =πΌ+π½ L’accoppiamento tra πΌ e π½ comporta la separazione del livello fondamentale J-esimo in 2F+1 sottolivelli.Gli stati iperfini possibili corrispondono agli autostati di un Hamiltoniana contenente un termine di interazione tra πΉ e il campo, ed un termine di interazione tra i momenti nucleari ed elettronico. Per l’atomo di idrogeno, i possibili valori di F sono πΉ = 0,1 e si ottengono perciò 4 livelli iperfiniLa differenza di energia nello stato fondamentale dell’atomo tra i due livelli di struttura fine πΉ = 0 e πΉ = 1 è ΔπΈ = 5,88 β 10−6 ππ. In generale, per tale atomo si ottengono due stati puri, nei quali le proiezioni dello spin elettronico e nucleare hanno lo stesso verso, e due stati misti ricavati come combinazione lineare di autostati con direzione delle proiezioni di spin nucleare e elettronico opposte: |ππ , ππΌ |1 = |+, + |2 = cos π +, − + sin π −, + |3 = |−, − |4 = cos π |−, + − sin π |+, − B Con θ angolo di mescolamento tale che tg2θ = B . C 1 3 Per l’atomo di deuterio, i possibili valori di F sono πΉ = 2 , 2 e quindi si ottengono 6 3 1 possibili stati iperfini: 4 degeneri con πΉ = 2 e 2 con πΉ = 2. Tali stati, senza l’applicazione di campi magnetici esterni, sono esprimibili come: 1 1 | ππ = + Δ§, − Δ§ ; ππΌ = 0, +Δ§, −Δ§ = |↑, ↓; 0, +, → 2 2 |1 = |↑, + |2 = cos π− |↑ ,0 + sin π+ |↓, + |3 = cos π+ |↑, − + sin π− |↓ ,0 |4 = |↓, − |5 = sin π− |↑, − + cos π− |↓ ,0 |6 = sin π+ |↑ ,0 + cos π+ |↓, + Dove π± ,angoli di mescolamento tali che tg 2π± = 64 8 π΅ 3 ±1 π΅πΆ B.2 Struttura iperfine dell’atomo di idrogeno e di deuterio in presenza di campo magnetici esterni In presenza di campi esterni con modulo minore al valore del campo critico, πΉ precede lentamente rispetto a πΌ e π½, che si muovono invece solidalmente intorno ad πΉ stesso. Per gli stati misti, elettrone e protone precedono l’uno rispetto all’altro in modo che il momento magnetico sia nullo, così come la polarizzazione nucleare. Esistono, come già illustrato, 2F+1 livelli iperfini equispaziati in energia e tali che ππΉ,π π = ππΉ − ππΉ ππΉ ππ΅ π΅ Invece,per campi forti,maggiori del valore critico, πΌ e π½ sono disaccoppiati e precedono indipendentemente intorno al campo magnetico; F non è più un buon numero quantico. In tal caso,gli stati iperfini coincidono con gli autostati dell’Hamiltoniana che contiene termini di interazione tra ognuno dei due momenti e il campo esterno,entrambi predominanti rispetto al termine di interazione πΌ e π½. Il momento magnetico effettivo risentito dall’atomo, è dato da ππΈπΉπΉ = ππ½ ππ½ ππ΅ + ππΌ ππΌ ππ΅πΌ ≈ ππ½ ππ½ ππ΅ dove è possibile trascurare il contributo nucleare in quanto il magnetone di Bohr ππ΅ è molto maggiore del magnetone di Bohr nucleare ππ΅πΌ . Anche per il deuterio, vale tale approssimazione in quanto 3 πΌ πΌ+1 +πΏ πΏ+1 −π(π+1) ππ = ππ΅πΌ 2πΌ − 2 2(πΌ+1) e quindi, anch’esso molto inferiore di ππ΅π½ . Esistono, anche in tal caso,2F+1 livelli iperfini spaziati in energia secondo la seguente relazione: ππΉ,π π π π = ππ − ππ ππ ππ΅ π΅ Per campi esterni di intensità intermedia, le relazioni risultano notevolmente più complesse. Il diagramma di Breit-Raby, rappresentato in figura B.1, descrive l’andamento dei livelli energetici per l’atomo di idrogeno nello stato fondamentale, in funzione del campo B applicato, espresso in unità di campo critico . 65 Fig.B.1. diagramma di Breit-Raby, energia dei livelli iperfini dell’atomo di H in funzione di un campo π΅ esterno. BC=507β 10−4 Tesla, Δπ = 5,9 β 10−6 ππ 1 Si può notare come l’energia sia crescente con π΅ per ππΌ = 2 Δ§, decrescente, invece per spin elettronico opposto. Nel caso di campi forti, i quattro |1 |2 |3 |4 1 1 2 2 autovettori iperfini assumono la forma : = |+, + = |+, − = |−, + = |−, − Dove il | ππ = ± Δ§ , ππΌ = ± Δ§ . Il grado di polarizzazione di un insieme di atomi di idrogeno è descritto dal vettore polarizzazione π per una data componente,(in particolare la direzione del campo magnetico applicato π+1 − π−1 2 2 ππ = ππ‘ππ‘ 1 π±1 numero di atomi con ππΌ = ± 2 Δ§ 2 π definisce la frazione netta di particelle con spin parallelo al campo esterno π΅ . In figura B.2 è riportato il grado di polarizzazione in funzione del campo magnetico esterno applicato,da esso si rileva che solamente gli stati puri |1 e |3 hanno grado di polarizzazione costante ed indipendente dal campo apllicatom mentre per gli stati misti P assume i valori: π΅ π΅πΆ π 2,4 = β π΅ 1+π΅ πΆ Si può quindi dedurre che la polarizzazione è mantenibile per gli stati |1 e |3 , già per piccoli campi, al valore massimo.Per stati misti,invece, si ottengono alte percentuali di polarizzazione solo in presenza di forti campi. 21 Fig. B.2. polarizzazione dei 4 livelli iperfini dell’atomo di idrogeno in funzione di un campo magnetico esterno 66 Il diagramma di Breit-Raby, rappresentato in figura B.3, descrive, inoltre l’andamento dei livelli energetici per l’atomo di deuterio nello stato fondamentale, in funzione del campo B applicato, espresso in unità di campo critico. Fig. B.3. diagramma di Breit-Raby, energia dei livelli iperfini dell’atomo di deuterio in funzione di un campo π΅ esterno.π = π΅ π΅πΆ , BC=117β 10−4 Tesla. Δπ = 1,4 β 10−6 ππ Analogamente all’atomo di idrogeno, anche in questo caso si può rilevare come 1 l’energia sia crescente con π΅ per ππΌ = 2 Δ§, decrescente, invece per spin elettronico opposto. Per un insieme di atomi di deuterio, data la presenza di tre possibili proiezioni del momento angolare nucleare sull’asse del campo magnetico (preso come z), al fine di determinare univocamente la frazione di particelle con spin parallelo a tale asse, è necessario valutare contemporaneamente ππ e la relativa componente πππ del tensore di allineamento. La componente πππ è data da πππ = 1 − 3π0 dove π0 corrisponde alla frazione di atomi di deuterio con proiezione su z nulla. La figura B.4. rappresenta l’andamento del vettore di polarizzazione e del tensore di allineamento in funzione del campo. 67 Fig. B.4. Vettore di polarizzazione PZ e tensore di allineamento PZZ in funzione di un campo magnetico esterno. π = π΅ π΅πΆ , BC=117β 10−4 Tesla In presenza di un campo magnetico non omogeneo, l’energia W degli atomi diventa funzione della posizione ed essi risentono di una forza esprimibile come: πΉ = −∇W = μEFF ∇ B dW con μEFF = − d|B| e π = ππ ππ ππ΅ π΅ e considerando la presenza di un gradiente non nullo solamente lungo l’asse z si ha: ∂|B| πΉπ = μEFF ∂z μEFF = μB per gli stati |1 e |3 ; mentre per gli stati |2 e |4 ; π΅ π΅πΆ μEFF = βμB π΅ 1+π΅ πΆ B.3 Polarizzazione nucleare del fascio: TRANSIZIONI A RADIOFREQUENZA L’utilizzo di sestupoli permette di selezionare soltanto lo spin elettronico ma non influenza lo spin nucleare. Al fine si intervenire su tale polarizzazione ed eliminare la degenerazione del numero quantico mj si inducono delle transizioni tra stati iperfini in presenza di un campo magnetico esterno, giungendo così a popolare soltanto il livello energetico corrispondente allo spin che si vuole selezionare. E’possibile ottenere questo scopo con tre metodi diversi: il metodo del passaggio diabatico, il metodo della risonanza magnetica esatta e il metodo del passaggio adiabatico. Il metodo del passaggio diabatico prevede l’applicazione di un campo magnetico che cambia verso lungo la direzione di propagazione del fascio; gli atomi percepiscono tale cambiamento come un campo magnetico variabile e quindi viene indotta la transizione. π΅2 68 Il metodo della risonanza magnetica esatta consiste nell’applicazione di un campo magnetico oscillante, con frequenza di oscillazione coincidente con quella relativa alla separazione, in presenza di un campo magnetico statico costante, tra due livelli energetici iperfini tra cui si vuole far avvenire la transizione. Il tempo di interazione degli atomi con campi ad alta frequenza definisce la posizione del momento magnetico dopo la transizione. E’ perciò determinante, fissata la lunghezza dell’area di interazione, la velocità con cui gli atomi percorrono tale spazio, poiché da ciò è possibile individuare il tempo di interazione e quindi il momento. Agendo su questi parametri, si riesce ad individuare una transizione precisa, tuttavia gli atomi non hanno tutti la stessa velocità, ma seguono la distribuzione di Maxwell e quindi non sarà possibile ottenere contemporaneamente per tutti la stessa variazione di momento. Per questa ragione questo metodo risulta essere inefficacie. π΅3 Al fine di polarizzare nuclearmente il fascio, Keller, nel 1957, π΅4 propose un sistema basato sull’utilizzo di un quadrupolo con alto campo in ingresso, che permetteva alta accettanza, la quale poi decresceva scendendo sotto il valore di campo critico.Tale sistema, applicato all’atomo di idrogeno permetteva di focalizzare gli stati |1 e |2 ,e dato le differenti traiettorie in cui si spostavano nel magnete era possibile separare i due fasci. Attualmente si usa il metodo del passaggio adiabatico, suggerito inizialmente da Abragam e Winter, che permette un’efficienza vicina al 100%, poiché indipendente dalla velocità. Tale metodo prevede l’attraversamento del fascio in una regione dove si è applicato un campo statico variabile nella direzione del fascio e un campo a radiofrequenza. Poiché il potenziale perturbativo è dovuto ad un campo variabile, la probabilità di transizione aumenta notevolmente alla condizione di risonanza, che si verifica quando la frequenza di oscillazione del campo complessivo, coincide con il salto energetico tra due livelli iperfini.Applicando un campo variabile tutti gli atomi, nel loro moto, attraversano un punto in cui è verificata la condizione di risonanza. 20 Di seguito si esamina quest’ultimo metodo, seguendo la trattazione classica del comportamento di un momento magnetico atomico π in un campo magnetico . Il passaggio di un atomo in un campo magnetico B0, implica la presenza di un momento torcente che fa precedere il momento magnetico attorno al campo come si vede in figura B.5a, alla frequenza di Larmor ω. L’equazione del moto corrisponde a: πM −ππ΅ π = M ∧ B0 ππ‘ Δ§ E’ conveniente descrivere il sistema dal punto di vista di un sistema S1 che ruota attorno al campo B0 con una velocità angolare pari a ω. In tale sistema il momento risulta fisso, poiché anch’esso precede intorno al campo con analoga velocità angolare. L’equazione del moto nel sistema S1 rotante diventa perciò: πM −ππ΅ π Δ§ω = M ∧ B0 − ππ‘ Δ§ ππ΅ π 69 Fig.B.5. a) precessione del momento magneticoM attorno al campo magnetico BZ , b) precessione di M attorno al campo risonante ad alta frequenza in un sistema rotante con frequenza di Larmor π. Si applica, ulteriormente, il campo oscillante a radiofrequenza anch’esso di frequenza ω. Bloch e Siegert π΅5 hanno mostrato che il campo oscillante di frequenza ω può essere rimpiazzato da un campo BRF ruotante con frequenza anch’essa pari a π = π π΅ ππ΅ Δ§ e direzione perpendicolare a B0 illustrato in figura B.5b. Il campo complessivo, come rappresentato in figura B.6a, risulta quindi Δ§ω π΅πΈπΉπΉ = B0 − + π΅π πΉ ππ΅ π Fig.B.6.Precessione in una transizione adiabatica nel sistema rotante in cui è presente un campo magnetico RF sovrapposto a BZ. Considerando ora il gradiente del campo π΅0 ,nella direzione di propagazione del fascio, esso varierà da un valore di π΅π = π΅0 + πΏπ a π΅π = π΅0 − πΏπ . Nel sistema S1 il campo complessivo π΅πΈπΉπΉ varierà nel tempo, provocando una variazione del momento magnetico fino a fargli cambiare segno, ottenendo quindi l’inversione del momento .Ciò si verifica solamente sotto le condizioni di polarizzazione e di adiabaticità, rispettivamente: π΅π πΉ βͺ πΏ0 1 ππ΅π πππ΅ βͺ π΅ π΅π πΉ ππ‘ Δ§ π πΉ Con l’avvento di bobine superconduttrici di piccole dimensioni, si è passati all’utilizzo di sistemi ad alti campi magnetici vantaggiosi per la capacità implicita di selezione. I sistemi a radiofrequenza, infatti, consistono di un circuito risonante, nel quale il campo oscillante è generato da una bobina posta sull’asse del fascio atomico.In particolare, si pongono due unità di radiofrequenza all’uscita di un magnete, oppure si interpone un’unità nell’intercapedine di un sestupolo. 70 Il metodo del passaggio adiabatico sopra esposto, si può utilizzare sia per transizioni in campo magnetico debole, che in campi forti. Nel caso di campi magnetici deboli F è un buon numero quantico e le transizioni permesse sono (in unità di Δ§, d’ora in poi sottointeso): ΔπΉ = 0, ±1 ΔππΉ = 0, ±1 Di conseguenza, per l’atomo di idrogeno sono permesse tutte le transizioni tra gli stati con F=1 a quelle con F=0 e per l’atomo di deuterio quelle tra stati con F=3/2 a F=1/2. Nel caso di campi magnetici forti, invece, le regole di selezione sono: ΔππΌ = 0, ±1 Δππ½ = ±1 di conseguenza per l’atomo di idrogeno sono permesse solo le transizioni tra: |1 ↔ |4 |2 ↔ |3 Le transizioni sperimentalmente più utilizzate con l’utilizzo di campi deboli, sono la |1 -|2 -|3 e la |2 -|4 La transizione |1 -|2 -|3 si può individuare per transizioni in campo magnetico debole pari a B0=12 Gauss e ω=15 Mhz 25,26 , tra i livelli equispaziati ad F=1. Inizialmente avviene la transizione |1 - |2 ed in seguito anche la |2 - |3 . Interponendo questo campo debole tra due sestupoli si otterrà un fascio polarizzato nel solo stato |2 , mentre se si pone dopo i magneti, si otterrà un fascio formato dagli stati |2 -|3 . Anche la transizione |2 -|4 si può effettuare tramite l’applicazione di un campo magnetico debole, in particolare pari a 900 Gauss con ω=2,92 Ghz. Ponendo il sistema nell’intercapedine tra due sestupoli, si otterrà un fascio puro con polarizzazione |1 , mentre ponendola dopo i magneti, comporterà la presenza di un fascio formato da |1 |4 e perciò polarizzato solamente nuclearmente. La transizione |2 -|3 permessa anche per campi forti, in un dispositivo interposto tra i due magneti, premette di ottenere uno stato puro |1 . La difficoltà nell’utilizzare tale transizione in bassi campi magnetici, è che la frequenza di risonanza è prossima a quella della transizione |1 -|2 e quindi si potrebbe creare un fascio non polarizzato |1 -|2 . 20 La figura B.7 riporta le traiettorie degli atomi nei quattro livelli di struttura iperfine nel sistema di focalizzazione. 71 Fig. B.7. Traiettorie degli atomi nel sistema di focalizzazione magnetica per i quattro stati iperfini dell’atomo di idrogeno. Come già detto, la presenza di un campo magnetico esterno comporta la precessione del momento magnetico elettronico e di quello nucleare attorno a tale campo. Essendo ππ tre ordini di grandezza superiore a ππΌ , ciò comporta che la presenza del campo influisce maggiormente sull’elettrone che sul nucleo. Di conseguenza, la probabilità che lo stato di spin dell’atomo subisca variazioni a seguito di tale campo, è maggiore relativamente all’elettrone che al nucleo. Per campi deboli, si è visto che si verifica l’accoppiamento tra momento elettronico e nucleare, e quindi, un’inversione dello spin dell’elettrone può portare ad una contemporanea inversione dello spin del nucleo, come accade per le transizioni |2 |4 che agiscono su entrambi gli spin. Per campi forti, invece, gli spin dei due costituenti atomici sono disaccoppiati e per tale ragione saranno favorite le transizioni che agiscono sull’elettrone, come si vede dalla transizione |2 -|3 , che lascia invariata la componente nucleare. La transizione |3 -|4 poi,non rientra nelle regole di selezione per forti campi, infatti, essa non è probabile, poiché prevede, come unica inversione, l’inversione dello spin nucleare. Analogamente all’idrogeno, anche per il deuterio è richiesta interposizione di una radiofrequenza tra due sestupoli, per ottenere il più grande vettore o tensore di polarizzazione, poiché, anche per tale gas, solo due stati permettono di avere il più alto grado di polarizzazione. Per il deuterio, indipendentemente dal fatto che il campo statico sia debole o forte sono possibili transizioni |2 ↔ |6 , |3 ↔ |5 e |1 e |3 ↔ |6 , poiché modificano sia lo spin del nucleo che quello dell’elettrone. In presenza di un campo statico forte, invece, si ottengono tre possibili transizioni che comportano il cambiamento dello spin elettronico, e quindi più probabili, e quattro che modificano lo spin nucleare. Transizioni che comportano la variazione dello spin elettronico: |1 ↔ |6 |2 ↔ |5 |3 ↔ |4 Transizioni che comportano la variazione dello spin nucleare: |1 ↔ |2 72 |2 ↔ |3 |4 ↔ |5 |5 ↔ |6 Collins e Glavish, hanno dimostrato che le transizioni |3 ↔ |5 e |5 ↔ |6 , sono facilmente ottenibili con campo di circa 100G e con frequenza di 400 MHz.. Transizioni |2 ↔ |6 , sono state ottenute a Saclay tramite l’utilizzo di campi magnetici di circa 1000G con varizioni massime di 20 G a frequenze di 2858 MHz 29,30 . 73 74 Appendice C Lo spettrometro di massa Fig.C.1. schematizzazione di un filtro di massa quadrupolare Gli atomi o le molecole su cui si è settato il filtro quadrupolare sono poi focalizzati su una Faraday-cup o su una SEM, amplificatore di corrente elettrica ad alto guadagno. La Faraday-cup, schematizzata in figura C.2, è un collettore metallico su cui gli ioni depositano la carica elettrica, il segnale risultante è una corrente proporzionale al numero di ioni rilevati per secondo. Fig.C.2 collettore ionico,1.uscita dello spettrometro di massa, 2.Faraday cup, 3.amperomentro Per rilevare segnali deboli è possibile deflettere gli ioni tramite un unità deflettente e convogliarli nel SEM. Quest’ultimo, rappresentato in figura C.3, è un dispositivo che funziona in modo analogo ad un fotomoltiplicatore, in cui sono presenti una serie di dinodi in serie e applicando una differenza di potenziale ai capi si ottiene l’amplificazione del segnale. 75 Fig.C.3 schematizzazione di un SEM Il segnale di corrente proveniente dalla Faraday-cup o dal SEM vengono infine convertiti in voltaggi che possono essere osservati su un oscilloscopio o digitalizzati dal sistema di acquisizione dati. Il quadrupolo (Fig.C.1) è formato da quattro barre di metallo, connesse diagonalmente insieme elettricamente, che formano i poli di campo a radiofrequenza di ampiezza V. Al multipolo è applicato anche una tensione U continua. Gli ioni entranti nel dispositivo sono perciò soggetti ad un potenziale, alternativamente focalizzante in direzione x e defocalizzante in direzione y dato da π π₯, π¦, π§ = π + ππππ ππ‘ 2 π₯ − π¦2 π02 (πΆ1) dove r0 corrisponde alla dimensione caratteristica del multipolo. Le equazioni del moto per un atomo ad un solo elettrone passante nel multipolo sono pertanto 15 π2 π₯ 2π + π + ππππ ππ‘ π₯ = 0 2 ππ‘ ππ02 π2 π¦ 2π + π + ππππ ππ‘ π¦ = 0 ππ‘ 2 ππ02 π2 π§ = 0 (πΆ4) ππ‘ 2 (πΆ2) (πΆ3) Gli ioni entranti nel campo magnetico si muovono quindi con velocità uniforme nella direzione parallela alle barre metalliche che lo formano e di moto oscillatorio nelle altre direzioni. Si possono avere soluzioni stabili in cui gli atomi si muovono con moto oscillatorio di ampiezza massima di modulo minore al raggio interno del quadrupolo, ciò permette quindi l’avanzamento della particella; e soluzioni che prevedono un aumento esponenziale in ampiezza oscillando nel magnete, quindi la collisione e con le pareti del magnete. I residui vengono pompati all’esterno. 76 Il tipo di soluzione dipende dai valori di a e q e quindi dai parametri che da cui essi sono formati: 8ππ ππ 2 π02 4ππ π= ππ 2 π02 π= (πΆ5) (πΆ6) Riferendosi alla figura C.4 si ottengono soluzioni stabili sono per le coppie di valori a e q interni all’area scura. Fig.C.4.Diagramma di stabilità nel piano a,q, le soluzioni stabili sono contenute nella zona grigia π 2π = π π di conseguenza al variare di U e V si ottengono tutti i punti di una retta passante per l’origine nel piano a q. Se il rapporto π π ≤ 0,16784 , allora almeno in un punto la retta interseca la regione scura, ovvero è presente un intervallo di masse, precisamente π un rapporto π , tale per cui gli ioni hanno stabile oscillazione in x e y. Rilevando la retta passante in prossimità del picco è possibile settare i potenziali U e V del campo in modo da rilevare un range di valori stabili che identifichino univocamente solo la massa cercata. 77 78 Appendice D Misure di Tempo di volo D.1 TOF I segnali del QMA trasformati in Volt sono acquisiti dal computer spinlab2 e salvati in un file di testo dal programma TOF.vi che acquisisce migliaia di singoli spettri dal QMA e li media al fine di ridurre il rumore. Il file di testo prodotto contiene in una colonna i tempi di acquisizione ed in un’altra i segnali ottenuti dal QMA. I tempi sono espressi in minuti perciò, tramite il programma cleanup_single.csh vengono convertiti in ππ . Si ottengono pertanto i tempi espressi con una precisione del ππ e i segnali del QMA espressi con la precisione del mV. Tramite l’utilizzo di programmi PAW o ROOT, inserendovi i dati del file di testo, si ricavano gli andamenti del segnale Smis (t) in mV in funzione del tempo da cui è possibile estrarre: - il fondo del segnale in mV; - le fluttuazioni statistiche in mV; - le frequenze di rotazione della wheel come differenza tra i tempi relativi a due picchi successivi del segnale Smis (t) . Dopo quest’analisi iniziale, si copiano i dati in un file FILENAME.DAT (il nome del file è scelto dall’operatore) e si eseguono le seguenti procedure: - si imposta il valore di Verr,ovvero la fluttuazione, al fine di eliminare l’errore statistico stimato nel punto precedente; - si imposta il valore della frequenza della wheel stimato nelle operazioni precedenti; - si impostano i valori dei parametri geometrici con i valori determinati dalle calibrazioni in modo da ottimizzare il segnale; - si imposta la massa di cui è composto il fascio; - si aggiunge a FILENAME.DAT il codice riportato nei paragrafi successivi; - si imposta il valore del fondo, precedentemente stimato; - si imposta il π‘0 , ovvero lo sfasamente temporale; - si imposta il tempo di risposta dell’elettronica. Infine si fa eseguire il programma scrivendo ronfit.csh FILNAME. I risultati vengono poi scritti nei seguenti file: - FILENAME.result in cui vengono scritti π£π e πππππ ; - FILENAME.scan in cui viene scritto un riassunto dei parametri in entrata ed in uscita; - FILENAME.minuit: il file di dati in uscita dal sistema di analisi Minuit - FILENAME.conv in cui compare il file di testo iniziale ed in una terza colonna la forma dell’onda risultante dall’ottimizzazione del segnale ovvero ππ (π‘) . 79 Fig.D.1 La curva rossa rappresenta il segnale ππ (π‘) in rosso ππ‘ππ π‘ (π‘) (TNOZZ=20K) 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 Appendice E Misure sperimentali Posizione (mm) Ampiezza segnale (mV) 1,4 1,37 1,12 0,741 0,543 0,523 0,513 0,523 1,41 1,43 1,3 0,948 0,614 0,56 0,54 0,525 112,04 112,8 113,6 114,42 115,22 116 116,82 117,41 112,05 111,3 110,48 109,68 108,88 108,05 107,28 106,48 Tabella E1. Scansione della posizione verticale del QMA. Posizione (mm) 0 1 2 3 4 5 7 9 11 12 13 14 15 16 frequenza (Hz) 99.76 99.76 99.78 99.81 99.84 99.79 99.79 99.82 99.81 99.84 99.80 99.83 99.85 99.78 Ampiezza (mV) 1,00 6.70 11.74 14.28 15.94 12.89 15.15 14.40 13.92 13.40 13.28 10.99 7.82 4.67 Point/spectra 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 15000 No spettri mediati 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 1000 Tabella E1. Scansione della posizione orizzontale della wheel. 97 frequenza (Hz) 24,16 35,67 70,04 99,86 150,35 199,92 259,45 300,88 349,94 frequenza (Hz) 23,91 35,42 69,18 100,21 149,82 199,32 250,49 360,34 349,94 Ampiezza (Mv) point/spectra 26,63 50000 23,29 35000 16,72 20000 13,28 15000 9,32 10000 7,14 8000 6,48 6000 5,61 5000 5,83 4000 rotazione invertita Ampiezza (Mv) point/spectra 27,65 50000 24,24 35000 17,58 20000 13,32 15000 9,69 10000 7,31 8000 5,95 6000 4,25 5000 5,42 4000 n spettri mediati 1000 1000 1000 1000 2000 3000 4000 5000 7000 n spettri mediati 1000 1000 1000 1000 2000 3000 4000 5000 7000 Tabella E3 Misure di πΏ ottenuto dalle misure di calibrazione eseguite. 98 Bibliografia [1] PAX Technical Proposal http://www.fz-juelich.de/ikp/pax [2] P.L. Csonska, NIM 63 (1968) 247 [3]F.Rathmann et al., Phys. Rev. Lett. 71 (1993)1379 [4] K. Kondo et al., NIMA 526 (2004) 70-75 [5]W. Haeberli, Proceedings of 2nd International Symposium on Polarization Phenomena of Nucleons Supplementum vol 12,p.64 (1966) Una recente ed esauriente rassegna delle targhette polarizzate gassose: E.Steffens and W.Haeberli, Rep.Prog.Phys. 66 (2003) 1887-1935. [6]Una rassegna su vari aspetti della fisica a HERMES ; D.Hash Spin Physics at HERMES AIP Conf. Proc.915 p.307 (2007) [7] A. Airapetian et al, Phys. Rev. D 75 (2007) 012007 Eprint numbers: hep-ex/0609039 and DESY-06-142 e Anselmino et al., Phys Rev D75 (2007) 054032 [8] Molecular Gas Dynamics and Direct Simulation of Gas Flows , G.A.Bird Oxford University Press (1994), e http://www.aeromech.usyd.edu.au/dsmc_gab/ [9]A.Nass and E.Steffens http://arxiv.org/abs/0810.0393 A.Nass, Tesi di dottorato [10] M.Stancari et al. Proceedings of SPIN08. G.Pupillo ,Misure del coefficiente di assorbimento del deuterio . Tesi(2007-08) 11 W.E.Lamb, R.C.Rutterford, Phys.Rev.Lett 79 (1950) [12]C.C.Goodyear and A.Von Hengel,Proc.Phys.Soc. 79 (1962)732 [13]M.Stancari et al. Proceedings of the 17th International Spin Physics Symposium AIP Conference Proceedings. 2007 ; 915 Pages: 992 - 995 14 J.T.M.Walraven and I.F.Silvera, Rev.Sci.Instrum. 53 (1982) 1167-1181. 15 D.Singy, et al., Nuc.Instr and Meth B47 (1990) 167-180. D.Singy,Tesi di dottorato (1987) Ecole Polytechnique Federale de Zurich. [16]A.Gelb,S.K.Kim, J.Chem.Phys, 55 (1971) 4935-4939 [17] Questo modello del 1926 ha avuto qualche conferma sperimentale : Konstantinou I, AlbanisT, Applied Catalysis B: Environmental 49 (2004) 1–14. Lakshmi S. Renganathan R. Fujita J. Photochem. Photobiol. A. Chem. 88 (1995) 163-167 Zhang T et al.,. Journal of Photochemistry and Photobiology A: Chemistry 140 (2001) 163–172 [18] H.Pauly, Atom, Molecule and Cluster Beams ,Vol.1, (2000) Springer. A.Roth Vacuum Tecnology North Holland (1990). [19]J.A.Giordmaine , T.C.Wang J.Appl.Phys 31 (1960)463-471 20 Il Progetto JPT: Bersaglio a getto gassoso basato su un fascio atomico polarizzata. Collaborazione JPT (CERN-Ferrara-Lausanne-Milano.Trieste). 99 [21] W.Haeberli, Annu.Rev.Nucl.Sci. 17 (1967) 373-426 22 P.M.Ho et al,. Phys.Rev.Lett. 65 (1990) 1713. 23 L.Dick and W.Kubischta, Proceeding of the International Workshop on Polarized Ion Source and Polarized Gas Jet (1990) Kek-Tsukuba. 24 G.Cinque, Tesi di Dottorato, Un bersaglio a getto di protoni polarizzati ad alta densità (1994) Università degli studi di Ferrara. 25 A.Abragam and J.M.Winter, Phys.Rev.Lett. 1 (1958) 374 26 Foundamentals of Vacuum Technology, Leybold vacuum products and reference book 2001/2002 27 J.Singh, Atomic beam scattering ion sources. Nuc.Instr and Meth 99 (1972) 413-418. 28 W.Krosch, Proc 9th Int. Symp in high energy spin physics, Bonn,1990, volume 2. 29 T.Wise, A.D.Roberts and W.Haeberli, A high-brightness source for polarized atomic hydrogen and deuterium. Nuc.Instr and Meth A366 (1993) 410-422. [30] L.Barion,Tesi di dottorato, Internal polarized gas targets: systematic studies on intensity and correlated effects.( Relatore: Lenisa Paolo.) (2008) Università degli studi di Ferrara. [31] W.Haeberli, W.Gruebler, P.Extermann, P.Schwandt, Phys.Rev.Lett 15 (1965) 267. [32]G.Boero ,W.Kubischta and P.Leprince Nucl. Instrum. & Meth. A 398, (1997) 157 [33]L.Barion ,Proceedings of PST09, to be published. [34] W.S.Young, Journal of Applied Physics 46 (1975)3888 Bibliografia relativa alle Appendici π΄1 D.L.Adams et al.Phys.Lett B261 (1991) 201. π΄2 S.B.Crampton, J.Phys (Paris) 41 (1981) C 7-249. π΄3 A. Herschovitic et al, Helv.Phys.Acta 59 (1986) 539. [ B1] N.F.Ramsey, Molecular Beams, (1956,Reprinted 1990) Oxford University Press. π΅2 A.Boudard, nota CEA-N-2584 (1988) Centre d’Etudes Nucleaires de Saclay. [B3] D.Reggiani, Tesi di laurea, Studio ed applicazione di un bersaglio trasversalmente polarizzato per l’esperiemtno Hermes a Hera. (1999) Università degli studi di Ferrara. Per i principi di funzionamento dei getti gassosi vedi inoltre G.Scoles, Atomic and Molecular Beam Methods ( 1988) Oxford University π΅4 R.Keller, Yellow Report CERN 57-30 (1957) π΅5 F.Bloch, A.J.Siegert. Phys.Rev. 57 (1967) 147. π΅6 A.Trier, W.Heberli, Phys.Rev.Lett. 18 (1967) 915. 100 101