DIARIO VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006 LA REPUBBLICA 53 DI DI LA SCIENZA E IL SACRO DAVANTI ALL’EUTANASIA Si può interrompere un’esistenza legata a una macchina? utanasia” è una parola greca che significa “buona morte”, che è poi la morte che compete all’uomo che ha condotto la sua vita senza prevaricazioni e senza eccessi, attenendosi alla giusta misura (kata metron). Oggi la parola significa “morte anticipata” rispetto alle residue risorse dell’organismo, grazie alle possibilità rese disponibili dalla tecnica medica. E siccome la tecnica medica è in continuo avanzamento, sempre più difficile sarà distinguere il dovere di cura dall’accanimento terapeutico. La tecnica infatti ha creato un tempo intermedio tra la vita e la morte, dove una vita organica si protrae o in assenza di una vita cognitiva o in conflitto con la capacità di sopportazione del paziente, che in questo caso chiede di essere aiutato a morire. Come scrive Umberto Veronesi in Il diritto di morire(Rizzoli, 2005) di eutanasia si può parlare solo in questo secondo caso in cui: «Si asseconda la libera volontà espressa da un malato di porre fine alla sua esistenza quando si verificano alcune condizioni che la rendono insopportabile». Perché tanta incertezza e tante discussioni intorno alla morte assistita, chiesta, invocata, quando il paziente è vivo solo per le leggi biologiche dell’organismo, in quella notte buia determinata dalla irreversibilità della propria condizione che non attende più nessuna alba? Perché è incerto il nostro concetto di “vita”, che oscilla paurosamente tra la vita anonima dell’organismo e quella personalizzata dell’individuo che, nelle residue possibilità biologiche del suo corpo, non riconosce e non lascia riconoscere alcuna immagine di sé. Sulla prima posizione è attestata la Chiesa cattolica e la convinzione di molti credenti che, partendo dal concetto che la vita è un dono di Dio, ne chiedono il rispetto fino all’ultimo respiro. Questo argomento a me pare troppo generico fino ai limiti dell’insignificanza, quando non addirittura decisamente materialistico. Che cos’è, infatti, la vita? La semplice animazione della materia, come pare di poter dire per certe esistenze tenute appunto “in vita” dalla strumentazione tecnologica, o il rispetto dell’individuo, della sua coscienza, della sua deliberazione che proprio il cristianesimo, e non altri, ha eretto a valore indiscusso, trasmettendo questo riconoscimento alla cultura laica che lo ha assunto a principio della sua organizzazione sociale? Il problema dell’eutanasia non mette in gioco il valore della “vita” che prolifera ovunque, ma il valore dell’“individuo” che, in certe condizioni, può non ritenersi più degno di sé, e può quindi sentirsi in diritto di decidere di porre fine a un’esistenza quando questa ha assunto i tratti di un puro processo biologico che, grazie all’assistenza tecnica, procede nella sua anonima irreversibilità. Come affrontare la richiesta di chi rifiuta l’accanimento terapeutico “E L’anima lascia il corpo in un’opera di William Blake e Louis Schiavonetti (1808) STACCARE LA SPINA Sul confine incerto della vita A questo punto sorge la domanda: perché la morte fatica così tanto a entrare nel circuito dell’amicizia, dell’amore e acquistare così un volto sereno? Perché bisogna morire solo per cause organiche sotto l’unica giurisdizione della scienza medica? La morte è un evento che riguarda solo il mio organismo oppure riguarda la mia vita, che non è fatta solo di organi fisici, ma soprattutto di vissuti, di amori, di amicizie, di stili, di rispetto di sé? L’organismo, certo, è la condizione della vita, ma la vita non si risolve nel buon funzionamento dei miei organi. E quando gli organi funzionano solo per il supporto tecnico, per morire bisogna attendere solo il loro definitivo collasso? O si può HANS JONAS “ IL “diritto di morire”, che oggi smuove gli animi, non ha a che fare con il suicidio, la scelta di un soggetto attivo, bensì con la situazione del paziente moribondo, che è passivamente sottoposto alle tecniche della medicina moderna, volte a prolungare artificialmente la vita. Sebbene certi aspetti dell’etica del suicidio interferiscano anche in questa questione, l’essere in presenza di una malattia incurabile come autentica causa di morte ci consente però di distinguere tra il non-contrastare-la-morte e il suicidarsi, così come tra il lasciarsi morire e il provocare-la-morte. Il nuovo problema è il seguente: spesso la tecnologia medica moderna, anche quando non può procurare la guarigione o un sollievo o una proroga, per quanto breve, di vita degna di essere vissuta, è tuttavia in grado di procrastinare la fine oltre il punto in cui la vita ha ancora valore per il paziente stesso, anzi oltre il punto in cui questi è ancora in grado di darle un valore... STACCARE LA SPINA anche chiedere a chi legifera di rivisitare la nozione di “morte” connettendola strettamente alla nozione di “vita” che, come ognuno percepisce, è una nozione decisamente più alta, più ricca, più mia, di quanto non sia la nozione di organismo noto solo alla competenza medica. Il problema dell’eutanasia è tutto qui. La morte mi riguarda o riguarda solo il mio organismo. Questo pensiero che accompagna la vita di tutti noi, che limita la nostra progettualità, che ci fa compiere certe scelte a una certa età e non a un’età più avanzata, questo pensiero della fine dei nostri giorni che coinvolge aspettative e speranze, progetti e rimpianti, affetti e stili di vita, è una faccenda da affi- dare alle sorti della materia di cui siamo fatti, o è una faccenda su cui anche noi possiamo intervenire, proprio perché coinvolge quel che siamo e non solo quello di cui siamo fatti? Quando ci emanciperemo da questo grossolano materialismo che, cadenzando la vita sulle sorti della materia, ci espropria da quel che la vita ha significato per noi, dello stile che le abbiamo dato, dell’impronta che le abbiamo conferito, per consegnarci irrimediabilmente a quell’evento non nostro che è la morte organica? E perché i difensori della “sacralità della vita” ritengono che bisogna nascere solo come natura prevede e non come i progressi della tecnica medica oggi consentono al di là dei limiti della natura, e poi capovolgono il ragionamento quando si tratta di morire? Il risultato è che chi vuole figli e non li può avere secondo natura deve affogare in un mare di tristezza, e chi vuol morire secondo natura non lo può fare e deve prolungare la propria esistenza in un mare di tortura. Dobbiamo dire che tristezza e tortura sono i veri capisaldi a sostegno della “sacralità della vita” in uno scenario dove il sadismo sembra aver preso il posto dell’amore? Con queste considerazioni non voglio spezzare lance a favore dell’eutanasia; semplicemente vorrei che la morte perdesse quel suo tratto di estraneità che inevitabilmente possiede quando è affidata alle sorti biologiche dell’organismo e diventasse qualcosa di familiare con la vita, qualcosa che non chiude come un evento estraneo amori e amicizie, ma si fa accompagnare dagli amori e dalle amicizie per cui e con cui si è vissuto. Questa è la morte “umana” che va assolutamente distinta dalla morte “biologica” che al limite non ci riguarda. Di fronte ai progressi della tecnica medica, che i difensori della “sacralità della vita” rifiutano quando si tratta di nascere e accolgono a mani aperte quando si tratta di morire, non rimuoviamo la zona d’ombra che rintracciamo nello sguardo modesto, perché solo “organico”, che la scienza ha della vita e della morte. La scienza fa benissimo ad attenersi rigorosamente al suo sguardo perché altrimenti salterebbero tutti i suoi metodi, ma malissimo faremmo noi ad abbassare il nostro sguardo sulla vita e sulla morte a livello dello sguardo scientifico. Perderemmo nell’ordine: la nozione di “persona” a favore di quella di “organismo”, la nozione di “individuo” a favore di quella di “genere”, la nozione di “vita” ridotta a semplice prolungamento del proprio “quantitativo biologico”, dimenticando che la vita è essenzialmente biografia, reperimento di un senso, spazio di libertà e di decisione. Misconoscere queste caratteristiche significa non riconoscere l’uomo e la sua differenza essenziale rispetto agli animali, le piante, le cose. Repubblica Nazionale “ 54 LA REPUBBLICA I CASI VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006 DIARIO GRAN BRETAGNA Nel 1993 è sospesa l’alimentazione di Tony Bland, in stato vegetativo dopo essere stato schiacciato dalla folla allo stadio. L’eutanasia passiva è stata consentita per alcuni malati incurabili FRANCIA L’eutanasia è proibita. Vincent Humbert, un ragazzo tetraplegico dopo un incidente stradale avvenuto nel 2000, la invoca: nel 2003 la madre lo aiuta a morire con i barbiturici e viene assolta OLANDA, BELGIO E SVIZZERA In Olanda (dal 2001) e in Belgio (dal 2002) l’eutanasia è legale: viene consentita se richiesta dal malato e dopo una valutazione del medico curante. In Svizzera il suicidio assistito non è reato PERCHÉ A UNA SOCIETÀ CIVILE L’EUTANASIA NON SERVE COME PRENDERSI CURA DELL’ESTREMA SOFFERENZA MICHELE ARAMINI I LIBRI JEAN-YVES GOFFI Pensare l’eutanasia Einaudi 2006 KATHLEEN KENNEDY UMBERTO VERONESI Apriamo le porte alla scienza Sperling Paperback 2006 ADRIANO PESSINA Bioetica. L’uomo sperimentale Bruno Mondadori 2006 UMBERTO VERONESI Il diritto di morire Mondadori 2006 PIERGIORGIO WELBY Lasciatemi morire Rizzoli 2006 NORBERT ELIAS La solitudine del morente Il Mulino 2005 EUGENIO LECALDANO Bioetica Laterza 2005 ROBERTO ESPOSITO Bíos. Biopolitica e filosofia Einaudi 2004 PETER SINGER Scritti su una vita etica Net 2004 FABIO NARDINI La dolce morte Malatempora 2002 SHERWIN B. NULAND Davanti alla morte Laterza 2002 MICHELE ARAMINI Eutanasia Ancora 2006 iciamo in partenza che nessuna legge potrà risolvere tutti i casi in cui l’uomo soffre in modo estremo. Perciò anche il tema dell’eutanasia deve essere trattato secondo riflessioni generali, avendo come obiettivo il bene comune della società umana. Ora i sostenitori dell’eutanasia chiedono il rispetto delle autonomie individuali (ciascuno è giudice della propria dignità e decide circa il momento della propria morte) e asseriscono che la legalizzazione sia la sola soluzione ammissibile in uno Stato pluralista e laico. In realtà vengono presentate come neutre delle nozioni che neutre non sono. Infatti attraverso una legge che consenta l’eutanasia il legislatore avallerebbe e imporrebbe a tutti due nozioni molto discutibili: il principio di autonomia come unico fondamento delle decisioni etiche e la nozione di qualità della vita per stabilire quando vale la pena di vivere. La questione è tanto più importante quanto più la nozione di qualità della vita e il principio di autonomia esercitano una certa attrattiva su molti nostri contemporanei. Quindi è bene considerarli più da vicino. In merito alla nozione di qualità della vita, ricordiamo che in Olanda, i medici rifiutano richieste di eutanasie e praticano eutanasie non richieste dai pazienti, proprio sulla base della nozione di qualità della vita. Quando a loro parere il paziente non ha più la qualità in quantità sufficiente, si sentono autorizzati a praticarla senza richiesta, mentre rifiutano se pensano che non si sia giunti a quel livello. La nozione di qualità della vita è perciò elemento di esproprio dell’autonomia del paziente da parte dei medici. Ci si può chiedere dove è finito il principio di autonomia così insistentemente invocato. La conclusione è che non si deve far dipendere la nozione di dignità dell’uomo dai parametrici clinici. Al contrario bisogna mantenerla come è stata accolta nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: dignità intrinseca che non si perde mai. Questa nozione oggettiva di dignità è una garanzia contro l’arbitrio e l’abuso. Non la si dovrebbe abbandonare alla leggera. Venendo poi al principio di autonomia, va osservato che si presuppone che la persona possa giudicare il valore della propria vita indipendentemente da ogni relazione con gli altri uomini, facendo riferimento in modo esclusivo ai propri criteri e al proprio vissuto. Nella realtà ciò non si dà mai, perché gli uomini non sono atomi (come afferma erroneamente un concezione individualistica estrema), ma dipendono in modo reale gli uni dagli altri. L’immagine che un uomo ha di sé dipende non da ultimo da chi egli è agli occhi degli altri; la valutazione del valore della propria vita rappresenta nell’una o nell’altra direzione sempre anche una reazione alla valutazione ch’egli riceve nel giudizio degli altri. È D ‘‘ ,, Nella questione dell’eutanasia sono in gioco non solo le considerazioni filosofiche su cosa sia la libertà umana ma anche il modello di società solidaristica LA BATTAGLIA TRA VITA E MORTE Sopra, “L’anima vola in paradiso”, stampa del XVIII sec. A destra, “La riunione di anima e corpo” di W. Blake e L. Schiavonetti (1808). Nell’altra pagina, “La Morte davanti a Dio”, miniatura del XV secolo semplicemente irrealistico pensare che una persona possa prendere una decisione definitiva, libera e razionale, sulla propria esistenza e sul suo valore complessivo senza essere influenzata dalle persone con cui vive e dall’ambiente sociale che lo circonda. Quindi non è possibile stabilire delle condizioni di “asetticità”, in cui il soggetto possa pervenire alla sua decisione autonoma sul valore della propria esistenza. È inevitabile che su questa valutazione influiscano le considerazioni utilitaristiche sociali e molti altri interessi. A questo punto comprendiamo che non possiamo circoscrivere un problema così importante solo nell’ambito privato, ma si deve porre una terza questione: è vero che la legalità dell’eutanasia su richiesta riguarda esclusivamente gli interessati, e non concerne il resto della società? La domanda è necessaria dato che l’eutanasia viene rivendicata sempre più non come rimedio al dolore insopportabile, ma come diritto personale, che concerne la sfera privata della vita. Due importanti sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti e della Corte di Giustizia europea hanno negato che si possa parlare di diritto all’eutanasia. In queste sentenze, completamente trascu- rate dai sostenitori dell’eutanasia, si sottolinea la differenza tra la nozione di diritto a morire e quella di diritto a essere assistiti a morire. La prima nozione ha un significato soprattutto di principio e si pone su di un piano filosofico ed etico, la seconda riveste invece un significato giuridico e impone alla società il corrispondente dovere di cooperare al processo di morte. Ora, questa cooperazione appare problematica per diverse ragioni. Il dubbio se sia possibile considerare il desiderio di morire espresso da pazienti gravemente malati come il risultato indipendente di processi razionali di valutazione, che scaturiscono unicamente dalla conoscenza interiore dell’esistenza individuale, è confermato dai rapporti concreti della prassi clinica. Proprio in un avanzato stadio della malattia il desiderio di morire rappresenta spesso una comunicazione velata, che a un livello più profondo intende dire qualcosa di diverso dal significato diretto delle parole adoperate. Inoltre, nelle singole fasi che precedono la morte l’umore del malato cambia spesso; il desiderio di morire presto, espresso in una fase di depressione, può cedere successivamente il posto a un nuovo desiderio di vivere, che permette al moribondo di accettare consapevolmente la propria morte. In un secondo momento simili desideri di morire sembrano un appello disperato a non essere lasciati soli nel difficile momento della morte. Dietro di essi si cela il desiderio di essere in quel frangente efficacemente aiutati, desiderio che un’interpretazione letterale della richiesta di eutanasia o addirittura il suo immediato appagamento potrebbero solo deludere. In secondo luogo, la realtà delle cure palliative ha mostrato che la vera richiesta della popolazione è quella di non soffrire inutilmente e di essere accompagnati in modo attento e umano alla morte, mentre non è affatto quella di anticipare la morte. Incontestabili sono i dati di esperienza che ci vengono dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano, che ci dicono dell’assoluta marginalità di richieste di eutanasia in presenza di buone cure palliative. Una società civile che vuole essere degna di questo nome si prende cura di tutti, soprattutto nella fase in cui le persone sono più fragili e bisognose di sostegno. Quindi nella questione dell’eutanasia sono in gioco, non solo le considerazioni filosofiche su che cosa sia libertà umana, ma anche il modello di società solidaristica o meno che si vuole costruire. Si confrontano sul tema dell’eutanasia due concezioni sociali: quella in cui gli uomini sono solo dei soci e quella in cui gli uomini sono in relazione di prossimità. Per questo motivo il tema dell’eutanasia è cruciale per la costruzione di una società solidale. Dire no all’eutanasia è essenziale perché ci sia una società solidale nei fatti. RITA LEVI MONTALCINI L’eutanasia potrebbe essere concessa nella fase terminale di malattie che causano gravi sofferenze in base a una precedente volontà Abbi il coraggio di conoscere, 2004 INDRO MONTANELLI Smetta la Chiesa di chiedere scusa ai vivi per i tanti morti e riconosca il diritto elementare di decidere il quando e il come della propria morte La stanza di Montanelli 30 aprile 2001 Repubblica Nazionale VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006 LA REPUBBLICA 55 DIARIO SPAGNA Ramón Sampedro, tetraplegico aiutato a morire dalla compagna nel ’98, ispira il film “Mare dentro”. Oggi Immaculada Echevarria, da 20 anni a letto per distrofia muscolare, chiede di morire STATI UNITI La normativa varia nei diversi Stati. Nel marzo 2005 il marito di Terri Schiavo, in coma dal 1990 per un arresto cardiaco, è autorizzato a staccare la spina. I genitori della donna si erano opposti all’eutanasia ITALIA Malato terminale di distrofia muscolare, Piergiorgio Welby sta combattendo per ottenere il distacco del respiratore artificiale. Lo scorso settembre ha scritto al presidente della Repubblica UN CONCETTO CHE È DIVENTATO TABÙ LE STORIE DEGLI UOMINI E LO SCANDALO DELLA MORTE MICHEL VOVELLE gni morte è nel dolore»: la vecchia formula nella sua brutalità ci informa subito sui limiti della tanto desiderata eutanasia, o morte dolce, che ci arriva dagli antichi, ma ciò non attenua l’aspirazione a umanizzare, quando è possibile, l’ultimo istante di vita. Per aver scritto di morte e Occidente dal 1300 ai giorni nostri, eccomi qui – dopo la scomparsa dei miei contemporanei, lo storico Philippe Ariès o l’antropologo Louis-Vincent Thomas occidentali rivendica il diritto a – invitato a titolo di esperto a parlauna morte dignitosa. Sentiamo re di eutanasia, non senza qualche parlare, con progetti alquanto scrupolo. Nel dramma di questi complicati, della possibilità per giorni di Piergiorgio Welby ritrovo ogni persona di prescrivere, nelil riflesso crudele, al limite dell’inl’ambito delle sue ultime volontà, sopportabile, della buona morte, di non voler essere sottoposta a da sempre impossibile. Senza vouna rianimazione così decisa da ler risalire all’antichità, la nostra ciprolungare la vita in modo artifiviltà cristiana è stata portatrice del ciale. In Francia questo problema è modello, esemplificato dalla morstato oggetto di discussioni a livelte dei santi, della buona morte che lo parlamentare e una nuova legge si raggiunge «giacendo a letto macomincia a essere applicata con lati» e di cui parlano le migliaia di testamenti che ho consultato: è quel tipo di morte che consente di dare le proprie disposizioni, di mettersi in pace con il cielo, evitando la sorpresa della morte violenta, valorizzazione obbligata del dolore in un’epoca, fino a ieri o quasi, nella quale contro di essa non era possibile fare nulla o ben poco. Il colpo di grazia misericordioso era il privilegio rarissimo o clandestino di pochi: il GLI AUTORI medico Cabanis che dà Il Sillabario di l’oppio a MiHans Jonas è rabeau. tratto da Il diritto Tutto ciò di morire (Il Meoggi è diverlangolo, 1991). so. Da quanMichele Aramido? Non inni è docente di tendo riperTeologia all’Ucorrere tutte niversità Cattole tappe dellica del Sacro l’evoluzione Cuore di Milano. alla quale soLo storico Mino andati inchel Vovelle ha contro i vari scritto La morte e modi di prol’Occidente. lungare la vita, a cominciare dalle odierne tecniche di rianimazione e di conservazione delle funzioni vitali. Ma questa innovazione, che incontra il proprio limite soltanto sulla soglia stessa della morte, si accompagna a un profondo cambiamento dei nostri atteggiamenti e delle nostre sensibilità. Nelle nostre società, in cui si vive più a lungo, si prende in considerazione la sorte dei malati terminali, ai quali si cerca di rendere più umano l’ultimo passaggio, nell’ambito di cure palliative, lottando contro il dolore, ma anche per salvaguardarne la dignità. Così come la auspicherebbe la maggior parte di coloro che rispondono ai sondaggi, la “morte dolce” oggi sarebbe rapida: ma i mezzi terapeutici invece fanno sì che ormai il concetto di morte naturale si stia facendo sempre più sfumato. Negli ultimi decenni c’è stata un’accesa denuncia del potere dei medici, che si esplica attraverso quello che noi in Francia chiamiamo accanimento terapeutico, mentre gli anglosassoni parlano di “misure coraggiose”. Chi ha torto? Chi ha ragione? La Chiesa, contraria all’accanimento terapeutico, resta ciò nondimeno contraria all’eutanasia, sia attiva sia passiva, al fatto di cessare di combattere, quando tutta una corrente – a dire il vero fino a questo momento ancora elitaria – nelle nostre società «O GIOVANNI PAOLO II Un uomo, anche se gravemente malato, è e sarà sempre un uomo, mai diventerà un “vegetale” o un “animale” I trattamenti di sostegno vitale e lo stato vegetativo, 2004 GUIDO CERONETTI Avrei paura a affidarmi a un medico che cercasse unicamente di prolungare a ogni costo i giorni miserabili dei suoi morenti La carta è stanca 2000 le, ma talvolta anche in condizioni di assoluto decadimento del loro fisico, e in preda per questo motivo a uno sconforto profondo. Di fronte a questi casi i medici che rompono la consegna del silenzio hanno da tempo ammesso che, a un certo punto, occorre pur “staccare la spina”. Alcuni personaggi – di levatura non certo inferiore (in Francia il professor Schwartzenberg) – hanno rivendicato il fatto di aver praticato l’eutanasia attiva in qualche grande prudenza. Il fatto è che al di caso senza speranza. Accanto a lolà della polemica in nome dei valoro, le famiglie si dividono tra quelri fondamentali – l’assoluto rispetle che si aggrappano disperatato della vita contro il diritto indivimente alla tutela del più piccolo duale a disporre della propria persoffio di vita e quelle che compiono sona – le realtà oggettive si imponil gesto misericordioso, con o sengono in modo crudele per mezzo di za aiuti. La giustizia francese in alsituazioni drammatiche. cuni casi recenti ha optato, premuI media ci hanno messo in una nendosi in vario modo, per un atcondizione di familiarità con queteggiamento di comprensione. Il sti casi di mantenimento in vita vefatto è che i problemi sui quali si fogetativa di morti-viventi, giovani e calizza l’opinione pubblica convecchi, in stato di coma irreversibitraria all’eutanasia non sono di secondo piano: a partire da quale stadio l’eutanasia è legittima? A chi tocca la responsabilità di questo gesto, al medico, al personale curante, alla famiglia? I nostri media evocano talora casi di infermiere assassine o di inquietanti anticamere della morte. In definitiva, che ne è del paziente terminale? È sufficiente che quando è in salute esprima una scelta che in punto di morte potrebbe non essere più DIARI ONLINE sua? Ed eccomi Tutti i numeri qui, se non del “Diario” di proprio al caRepubblica sopezzale quanno consultabili to meno acin Rete al sito canto a Pierwww.repubbligiorgio Welby. ca.it, sezione Dall’abisso del supplementi. suo sconforto, Qui i lettori trocon gli ultimi veranno le pagimezzi di cone, comprensimunicazione ve delle illustrache ancora gli zioni, di questo sono disponistrumento di apbili, chiede di profondimento. essere liberato da quella che ormai rappresenta per lui soltanto una parvenza di vita. Pare quasi, leggendo le pagine della stampa italiana che sfoglio, che il suo grido faccia scandalo per il fatto stesso di essere ripreso e ripetuto. Eccolo, il nostro martire, accusato di aver pubblicizzato e strumentalizzato il proprio supplizio. Questo ci riporta evidentemente all’attuale situazione del nostro universo mediatico: da anni ormai abbiamo familiarizzato con l’idea del tabù moderno della morte, che ha scalzato quello di ieri del sesso. È vero, nella realtà oggettiva la morte contemporanea si è fatta clandestina, anonima. Non lasciamoci trarre in inganno, però: al contempo, infatti, noi viviamo la contraddizione del ritorno della morte manifesta, in immagini o in racconti, quella di massa o quella dei grandi personaggi. Si pensi, per esempio, a quella cronaca di una morte annunciata che, orchestrata da lui stesso, ha rappresentato la fine del presidente François Mitterrand. Nel caso più anonimo di Piergiorgio Welby, pare che lo scandalo sia nato dall’averne informato l’opinione pubblica. Ma su chi ricade la vergogna? Su colui che grida o su coloro che vorrebbero distogliere lo sguardo e che si attendesse in silenzio lo spegnersi degli ultimi rantoli? Traduzione di Anna Bissanti ‘‘ ,, Da anni ci siamo familiarizzati con l’idea di qualcosa di indicibile che ha scalzato quella di ieri del sesso. Al contempo la viviamo come fatto eclatante I LIBRI MASSIMO REICHLIN L’etica e la buona morte Edizioni di Comunità 2002 GERALD DWORKIN RAYMOND G. FREY SISSELA BOK Eutanasia e suicidio assistito Edizioni di Comunità 2001 ELISABETH KUBLERROSS Impara a vivere, impara a morire Armenia 2001 HANS JONAS Sull’orlo dell’abisso Einaudi 2000 Tecnica medicina ed etica Einaudi 1997 Il diritto di morire Il Nuovo Melangolo 1991 DAVID LAMB L’etica alle frontiere della vita Il Mulino 1998 DEMETRIO NERI Eutanasia Laterza 1995 DEREK HUMPHRY Eutanasia. Uscita di sicurezza Eleuthera 1993 MICHEL VOVELLE La morte e l’Occidente dal 1330 ai giorni nostri Laterza 2000 ROBERTO MORDACCI Una introduzione alle teorie morali Feltrinelli 2003 Repubblica Nazionale