“ “ Sul confine incerto della vita

DIARIO
VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006
LA REPUBBLICA 53
DI
DI
LA SCIENZA E IL SACRO DAVANTI ALL’EUTANASIA
Si può
interrompere
un’esistenza
legata a una
macchina?
utanasia” è una parola
greca che significa
“buona morte”, che è
poi la morte che compete all’uomo che ha condotto la sua vita
senza prevaricazioni e senza eccessi, attenendosi alla giusta
misura (kata metron). Oggi la
parola significa “morte anticipata” rispetto alle residue risorse dell’organismo, grazie alle
possibilità rese disponibili dalla
tecnica medica. E siccome la
tecnica medica è in continuo
avanzamento, sempre più difficile sarà distinguere il dovere di
cura dall’accanimento terapeutico. La tecnica infatti ha creato
un tempo intermedio tra la vita
e la morte, dove una vita organica si protrae o in assenza di una
vita cognitiva o in conflitto con
la capacità di sopportazione del
paziente, che in questo caso
chiede di essere aiutato a morire.
Come scrive Umberto Veronesi in Il diritto di morire(Rizzoli, 2005) di eutanasia si può parlare solo in questo secondo caso
in cui: «Si asseconda la libera volontà espressa da un malato di
porre fine alla sua esistenza
quando si verificano alcune
condizioni che la rendono insopportabile». Perché tanta incertezza e tante discussioni intorno alla morte assistita, chiesta, invocata, quando il paziente è vivo solo per le leggi biologiche dell’organismo, in quella
notte buia determinata dalla irreversibilità della propria condizione che non attende più
nessuna alba? Perché è incerto il
nostro concetto di “vita”, che
oscilla paurosamente tra la vita
anonima dell’organismo e quella personalizzata dell’individuo
che, nelle residue possibilità
biologiche del suo corpo, non riconosce e non lascia riconoscere alcuna immagine di sé.
Sulla prima posizione è attestata la Chiesa cattolica e la convinzione di molti credenti che,
partendo dal concetto che la vita è un dono di Dio, ne chiedono
il rispetto fino all’ultimo respiro. Questo argomento a me pare troppo generico fino ai limiti
dell’insignificanza, quando
non addirittura decisamente
materialistico. Che cos’è, infatti, la vita? La semplice animazione della materia, come pare
di poter dire per certe esistenze
tenute appunto “in vita” dalla
strumentazione tecnologica, o
il rispetto dell’individuo, della
sua coscienza, della sua deliberazione che proprio il cristianesimo, e non altri, ha eretto a valore indiscusso, trasmettendo
questo riconoscimento alla cultura laica che lo ha assunto a
principio della sua organizzazione sociale?
Il problema dell’eutanasia
non mette in gioco il valore della “vita” che prolifera ovunque,
ma il valore dell’“individuo”
che, in certe condizioni, può
non ritenersi più degno di sé, e
può quindi sentirsi in diritto di
decidere di porre fine a un’esistenza quando questa ha assunto i tratti di un puro processo
biologico che, grazie all’assistenza tecnica, procede nella
sua anonima irreversibilità.
Come affrontare
la richiesta
di chi rifiuta
l’accanimento
terapeutico
“E
L’anima lascia il corpo in un’opera di William Blake e Louis Schiavonetti (1808)
STACCARE
LA
SPINA
Sul confine incerto della vita
A questo punto sorge la domanda: perché la morte fatica
così tanto a entrare nel circuito
dell’amicizia, dell’amore e acquistare così un volto sereno?
Perché bisogna morire solo per
cause organiche sotto l’unica
giurisdizione della scienza medica? La morte è un evento che
riguarda solo il mio organismo
oppure riguarda la mia vita, che
non è fatta solo di organi fisici,
ma soprattutto di vissuti, di
amori, di amicizie, di stili, di rispetto di sé? L’organismo, certo,
è la condizione della vita, ma la
vita non si risolve nel buon funzionamento dei miei organi. E
quando gli organi funzionano
solo per il supporto tecnico, per
morire bisogna attendere solo il
loro definitivo collasso? O si può
HANS JONAS
“
IL “diritto di morire”, che
oggi smuove gli animi,
non ha a che fare con il suicidio, la scelta di un soggetto attivo, bensì con la situazione del paziente moribondo, che è passivamente sottoposto alle tecniche
della medicina moderna, volte a prolungare artificialmente la vita. Sebbene certi aspetti dell’etica del suicidio interferiscano anche in questa questione, l’essere in presenza di una malattia incurabile come autentica causa di morte ci consente però di distinguere tra il non-contrastare-la-morte e il suicidarsi, così
come tra il lasciarsi morire e il provocare-la-morte.
Il nuovo problema è il seguente: spesso la tecnologia medica moderna, anche quando non può procurare la guarigione o un sollievo o una proroga, per
quanto breve, di vita degna di essere vissuta, è tuttavia in grado di procrastinare la fine oltre il punto in
cui la vita ha ancora valore per il paziente stesso,
anzi oltre il punto in cui questi è ancora in grado di
darle un valore...
STACCARE
LA SPINA
anche chiedere a chi legifera di
rivisitare la nozione di “morte”
connettendola strettamente alla nozione di “vita” che, come
ognuno percepisce, è una nozione decisamente più alta, più
ricca, più mia, di quanto non sia
la nozione di organismo noto
solo alla competenza medica.
Il problema dell’eutanasia è
tutto qui. La morte mi riguarda
o riguarda solo il mio organismo. Questo pensiero che accompagna la vita di tutti noi, che
limita la nostra progettualità,
che ci fa compiere certe scelte a
una certa età e non a un’età più
avanzata, questo pensiero della
fine dei nostri giorni che coinvolge aspettative e speranze,
progetti e rimpianti, affetti e stili di vita, è una faccenda da affi-
dare alle sorti della materia di
cui siamo fatti, o è una faccenda
su cui anche noi possiamo intervenire, proprio perché coinvolge quel che siamo e non solo
quello di cui siamo fatti?
Quando ci emanciperemo da
questo grossolano materialismo che, cadenzando la vita sulle sorti della materia, ci espropria da quel che la vita ha significato per noi, dello stile che le
abbiamo dato, dell’impronta
che le abbiamo conferito, per
consegnarci irrimediabilmente
a quell’evento non nostro che è
la morte organica?
E perché i difensori della “sacralità della vita” ritengono che
bisogna nascere solo come natura prevede e non come i progressi della tecnica medica oggi
consentono al di là dei limiti della natura, e poi capovolgono il
ragionamento quando si tratta
di morire? Il risultato è che chi
vuole figli e non li può avere secondo natura deve affogare in
un mare di tristezza, e chi vuol
morire secondo natura non lo
può fare e deve prolungare la
propria esistenza in un mare di
tortura. Dobbiamo dire che tristezza e tortura sono i veri capisaldi a sostegno della “sacralità
della vita” in uno scenario dove
il sadismo sembra aver preso il
posto dell’amore?
Con queste considerazioni
non voglio spezzare lance a favore dell’eutanasia; semplicemente vorrei che la morte perdesse quel suo tratto di estraneità che inevitabilmente possiede quando è affidata alle sorti biologiche dell’organismo e
diventasse qualcosa di familiare con la vita, qualcosa che non
chiude come un evento estraneo amori e amicizie, ma si fa
accompagnare dagli amori e
dalle amicizie per cui e con cui si
è vissuto. Questa è la morte
“umana” che va assolutamente
distinta dalla morte “biologica”
che al limite non ci riguarda.
Di fronte ai progressi della
tecnica medica, che i difensori
della “sacralità della vita” rifiutano quando si tratta di nascere
e accolgono a mani aperte
quando si tratta di morire, non
rimuoviamo la zona d’ombra
che rintracciamo nello sguardo
modesto, perché solo “organico”, che la scienza ha della vita e
della morte.
La scienza fa benissimo ad attenersi rigorosamente al suo
sguardo perché altrimenti salterebbero tutti i suoi metodi, ma
malissimo faremmo noi ad abbassare il nostro sguardo sulla
vita e sulla morte a livello dello
sguardo scientifico. Perderemmo nell’ordine: la nozione di
“persona” a favore di quella di
“organismo”, la nozione di “individuo” a favore di quella di
“genere”, la nozione di “vita” ridotta a semplice prolungamento del proprio “quantitativo biologico”, dimenticando che la vita è essenzialmente biografia,
reperimento di un senso, spazio
di libertà e di decisione. Misconoscere queste caratteristiche
significa non riconoscere l’uomo e la sua differenza essenziale rispetto agli animali, le piante, le cose.
Repubblica Nazionale
“
54 LA REPUBBLICA
I CASI
VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006
DIARIO
GRAN BRETAGNA
Nel 1993 è sospesa l’alimentazione di
Tony Bland, in stato vegetativo dopo
essere stato schiacciato dalla folla allo
stadio. L’eutanasia passiva è stata
consentita per alcuni malati incurabili
FRANCIA
L’eutanasia è proibita. Vincent Humbert,
un ragazzo tetraplegico dopo un incidente
stradale avvenuto nel 2000, la invoca: nel
2003 la madre lo aiuta a morire con i
barbiturici e viene assolta
OLANDA, BELGIO E SVIZZERA
In Olanda (dal 2001) e in Belgio (dal 2002)
l’eutanasia è legale: viene consentita se
richiesta dal malato e dopo una
valutazione del medico curante. In
Svizzera il suicidio assistito non è reato
PERCHÉ A UNA SOCIETÀ CIVILE L’EUTANASIA NON SERVE
COME PRENDERSI CURA
DELL’ESTREMA SOFFERENZA
MICHELE ARAMINI
I LIBRI
JEAN-YVES
GOFFI
Pensare
l’eutanasia
Einaudi 2006
KATHLEEN
KENNEDY
UMBERTO
VERONESI
Apriamo le
porte alla
scienza
Sperling
Paperback
2006
ADRIANO
PESSINA
Bioetica.
L’uomo
sperimentale
Bruno
Mondadori
2006
UMBERTO
VERONESI
Il diritto di
morire
Mondadori
2006
PIERGIORGIO
WELBY
Lasciatemi
morire
Rizzoli 2006
NORBERT
ELIAS
La solitudine
del morente
Il Mulino
2005
EUGENIO
LECALDANO
Bioetica
Laterza 2005
ROBERTO
ESPOSITO
Bíos.
Biopolitica e
filosofia
Einaudi 2004
PETER
SINGER
Scritti su una
vita etica
Net 2004
FABIO
NARDINI
La dolce
morte
Malatempora
2002
SHERWIN
B. NULAND
Davanti alla
morte
Laterza 2002
MICHELE
ARAMINI
Eutanasia
Ancora 2006
iciamo in partenza che nessuna legge potrà risolvere
tutti i casi in cui l’uomo soffre in modo estremo. Perciò anche
il tema dell’eutanasia deve essere
trattato secondo riflessioni generali, avendo come obiettivo il bene
comune della società umana.
Ora i sostenitori dell’eutanasia
chiedono il rispetto delle autonomie individuali (ciascuno è giudice della propria dignità e decide
circa il momento
della propria morte)
e asseriscono che la
legalizzazione sia la
sola soluzione ammissibile in uno Stato pluralista e laico.
In realtà vengono
presentate come
neutre delle nozioni
che neutre non sono. Infatti attraverso una legge che
consenta l’eutanasia il legislatore
avallerebbe e imporrebbe a tutti due
nozioni molto discutibili: il principio
di autonomia come
unico fondamento
delle decisioni etiche e la nozione di
qualità della vita per
stabilire quando vale la pena di vivere.
La questione è tanto
più importante quanto più la nozione di qualità della vita e il principio di autonomia esercitano una
certa attrattiva su molti nostri contemporanei. Quindi è bene considerarli più da vicino.
In merito alla nozione di qualità
della vita, ricordiamo che in Olanda, i medici rifiutano richieste di
eutanasie e praticano eutanasie
non richieste dai pazienti, proprio
sulla base della nozione di qualità
della vita. Quando a loro parere il
paziente non ha più la qualità in
quantità sufficiente, si sentono autorizzati a praticarla senza richiesta, mentre rifiutano se pensano
che non si sia giunti a quel livello.
La nozione di qualità della vita è
perciò elemento di esproprio dell’autonomia del paziente da parte
dei medici. Ci si può chiedere dove
è finito il principio di autonomia
così insistentemente invocato. La
conclusione è che non si deve far
dipendere la nozione di dignità
dell’uomo dai parametrici clinici.
Al contrario bisogna mantenerla
come è stata accolta nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: dignità intrinseca che non
si perde mai. Questa nozione oggettiva di dignità è una garanzia
contro l’arbitrio e l’abuso. Non la si
dovrebbe abbandonare alla leggera.
Venendo poi al principio di autonomia, va osservato che si presuppone che la persona possa giudicare il valore della propria vita
indipendentemente da ogni relazione con gli altri uomini, facendo
riferimento in modo esclusivo ai
propri criteri e al proprio vissuto.
Nella realtà ciò non si dà mai, perché gli uomini non sono atomi (come afferma erroneamente un concezione individualistica estrema),
ma dipendono in modo reale gli
uni dagli altri. L’immagine che un
uomo ha di sé dipende non da ultimo da chi egli è agli occhi degli altri; la valutazione del valore della
propria vita rappresenta nell’una o
nell’altra direzione sempre anche
una reazione alla valutazione ch’egli riceve nel giudizio degli altri. È
D
‘‘
,,
Nella questione dell’eutanasia
sono in gioco non solo le
considerazioni filosofiche su cosa
sia la libertà umana ma anche
il modello di società solidaristica
LA BATTAGLIA TRA VITA E MORTE
Sopra, “L’anima vola in paradiso”, stampa del XVIII sec. A destra,
“La riunione di anima e corpo” di W. Blake e L. Schiavonetti (1808).
Nell’altra pagina, “La Morte davanti a Dio”, miniatura del XV secolo
semplicemente irrealistico pensare che una persona possa prendere una decisione definitiva, libera e
razionale, sulla propria esistenza e
sul suo valore complessivo senza
essere influenzata dalle persone
con cui vive e dall’ambiente sociale che lo circonda. Quindi non è
possibile stabilire delle condizioni
di “asetticità”, in cui il soggetto
possa pervenire alla sua decisione
autonoma sul valore della propria
esistenza. È inevitabile che su questa valutazione influiscano le considerazioni utilitaristiche sociali e
molti altri interessi.
A questo punto comprendiamo
che non possiamo circoscrivere
un problema così importante solo
nell’ambito privato, ma si deve
porre una terza questione: è vero
che la legalità dell’eutanasia su richiesta riguarda esclusivamente
gli interessati, e non concerne il resto della società? La domanda è necessaria dato che l’eutanasia viene
rivendicata sempre più non come
rimedio al dolore insopportabile,
ma come diritto personale, che
concerne la sfera privata della vita.
Due importanti sentenze della
Corte Suprema degli Stati Uniti e
della Corte di Giustizia europea
hanno negato che si possa parlare
di diritto all’eutanasia. In queste
sentenze, completamente trascu-
rate dai sostenitori dell’eutanasia,
si sottolinea la differenza tra la nozione di diritto a morire e quella di
diritto a essere assistiti a morire. La
prima nozione ha un significato
soprattutto di principio e si pone
su di un piano filosofico ed etico, la
seconda riveste invece un significato giuridico e impone alla società il corrispondente dovere di
cooperare al processo di morte.
Ora, questa cooperazione appare
problematica per
diverse ragioni. Il
dubbio se sia possibile considerare il
desiderio di morire
espresso da pazienti
gravemente malati
come il risultato indipendente di processi razionali di valutazione, che scaturiscono unicamente dalla conoscenza interiore
dell’esistenza individuale, è confermato dai rapporti
concreti della prassi
clinica. Proprio in
un avanzato stadio
della malattia il desiderio di morire
rappresenta spesso
una comunicazione
velata, che a un livello più profondo
intende dire qualcosa di diverso dal significato diretto
delle parole adoperate. Inoltre,
nelle singole fasi che precedono la
morte l’umore del malato cambia
spesso; il desiderio di morire presto, espresso in una fase di depressione, può cedere successivamente il posto a un nuovo desiderio di
vivere, che permette al moribondo
di accettare consapevolmente la
propria morte. In un secondo momento simili desideri di morire
sembrano un appello disperato a
non essere lasciati soli nel difficile
momento della morte. Dietro di
essi si cela il desiderio di essere in
quel frangente efficacemente aiutati, desiderio che un’interpretazione letterale della richiesta di eutanasia o addirittura il suo immediato appagamento potrebbero
solo deludere.
In secondo luogo, la realtà delle
cure palliative ha mostrato che la
vera richiesta della popolazione è
quella di non soffrire inutilmente e
di essere accompagnati in modo
attento e umano alla morte, mentre non è affatto quella di anticipare la morte. Incontestabili sono i
dati di esperienza che ci vengono
dall’Istituto nazionale dei tumori
di Milano, che ci dicono dell’assoluta marginalità di richieste di eutanasia in presenza di buone cure
palliative.
Una società civile che vuole essere degna di questo nome si prende cura di tutti, soprattutto nella
fase in cui le persone sono più fragili e bisognose di sostegno. Quindi nella questione dell’eutanasia
sono in gioco, non solo le considerazioni filosofiche su che cosa sia
libertà umana, ma anche il modello di società solidaristica o meno
che si vuole costruire. Si confrontano sul tema dell’eutanasia due
concezioni sociali: quella in cui gli
uomini sono solo dei soci e quella
in cui gli uomini sono in relazione
di prossimità. Per questo motivo il
tema dell’eutanasia è cruciale per
la costruzione di una società solidale. Dire no all’eutanasia è essenziale perché ci sia una società solidale nei fatti.
RITA LEVI MONTALCINI
L’eutanasia potrebbe
essere concessa nella
fase terminale di malattie
che causano gravi
sofferenze in base a
una precedente volontà
Abbi il coraggio di
conoscere, 2004
INDRO MONTANELLI
Smetta la Chiesa di
chiedere scusa ai vivi per
i tanti morti e riconosca
il diritto elementare di
decidere il quando e il
come della propria morte
La stanza di Montanelli
30 aprile 2001
Repubblica Nazionale
VENERDÌ 15 DICEMBRE 2006
LA REPUBBLICA 55
DIARIO
SPAGNA
Ramón Sampedro, tetraplegico aiutato a
morire dalla compagna nel ’98, ispira il film
“Mare dentro”. Oggi Immaculada
Echevarria, da 20 anni a letto per distrofia
muscolare, chiede di morire
STATI UNITI
La normativa varia nei diversi Stati. Nel
marzo 2005 il marito di Terri Schiavo, in
coma dal 1990 per un arresto cardiaco, è
autorizzato a staccare la spina. I genitori
della donna si erano opposti all’eutanasia
ITALIA
Malato terminale di distrofia muscolare,
Piergiorgio Welby sta combattendo per
ottenere il distacco del respiratore
artificiale. Lo scorso settembre ha scritto
al presidente della Repubblica
UN CONCETTO CHE È DIVENTATO TABÙ
LE STORIE DEGLI UOMINI
E LO SCANDALO DELLA MORTE
MICHEL VOVELLE
gni morte è nel dolore»:
la vecchia formula nella
sua brutalità ci informa
subito sui limiti della tanto desiderata eutanasia, o morte dolce, che
ci arriva dagli antichi, ma ciò non
attenua l’aspirazione a umanizzare, quando è possibile, l’ultimo
istante di vita. Per aver scritto di
morte e Occidente dal 1300 ai giorni nostri, eccomi qui – dopo la
scomparsa dei miei contemporanei, lo storico Philippe Ariès o l’antropologo Louis-Vincent Thomas
occidentali rivendica il diritto a
– invitato a titolo di esperto a parlauna morte dignitosa. Sentiamo
re di eutanasia, non senza qualche
parlare, con progetti alquanto
scrupolo. Nel dramma di questi
complicati, della possibilità per
giorni di Piergiorgio Welby ritrovo
ogni persona di prescrivere, nelil riflesso crudele, al limite dell’inl’ambito delle sue ultime volontà,
sopportabile, della buona morte,
di non voler essere sottoposta a
da sempre impossibile. Senza vouna rianimazione così decisa da
ler risalire all’antichità, la nostra ciprolungare la vita in modo artifiviltà cristiana è stata portatrice del
ciale. In Francia questo problema è
modello, esemplificato dalla morstato oggetto di discussioni a livelte dei santi, della buona morte che
lo parlamentare e una nuova legge
si raggiunge «giacendo a letto macomincia a essere applicata con
lati» e di cui parlano le migliaia di
testamenti che ho consultato: è
quel tipo di morte che consente di
dare le proprie disposizioni, di
mettersi in pace con il cielo, evitando la sorpresa della morte violenta,
valorizzazione obbligata del dolore in un’epoca, fino a ieri o quasi,
nella quale contro di essa non era
possibile fare nulla o ben poco. Il
colpo di grazia misericordioso era
il privilegio
rarissimo o
clandestino
di pochi: il
GLI AUTORI
medico Cabanis che dà
Il Sillabario di
l’oppio a MiHans Jonas è
rabeau.
tratto da Il diritto
Tutto ciò
di morire (Il Meoggi è diverlangolo, 1991).
so. Da quanMichele Aramido? Non inni è docente di
tendo riperTeologia all’Ucorrere tutte
niversità Cattole tappe dellica del Sacro
l’evoluzione
Cuore di Milano.
alla quale soLo storico Mino andati inchel Vovelle ha
contro i vari
scritto La morte e
modi di prol’Occidente.
lungare la vita, a cominciare dalle odierne tecniche di rianimazione e di conservazione delle funzioni vitali. Ma questa innovazione, che incontra il proprio limite soltanto sulla soglia stessa
della morte, si accompagna a un
profondo cambiamento dei nostri
atteggiamenti e delle nostre sensibilità. Nelle nostre società, in cui si
vive più a lungo, si prende in considerazione la sorte dei malati terminali, ai quali si cerca di rendere più
umano l’ultimo passaggio, nell’ambito di cure palliative, lottando contro il dolore, ma anche per
salvaguardarne la dignità. Così come la auspicherebbe la maggior
parte di coloro che rispondono ai
sondaggi, la “morte dolce” oggi sarebbe rapida: ma i mezzi terapeutici invece fanno sì che ormai il concetto di morte naturale si stia facendo sempre più sfumato.
Negli ultimi decenni c’è stata
un’accesa denuncia del potere dei
medici, che si esplica attraverso
quello che noi in Francia chiamiamo accanimento terapeutico,
mentre gli anglosassoni parlano di
“misure coraggiose”. Chi ha torto?
Chi ha ragione? La Chiesa, contraria all’accanimento terapeutico,
resta ciò nondimeno contraria all’eutanasia, sia attiva sia passiva, al
fatto di cessare di combattere,
quando tutta una corrente – a dire
il vero fino a questo momento ancora elitaria – nelle nostre società
«O
GIOVANNI PAOLO II
Un uomo, anche se
gravemente malato,
è e sarà sempre un
uomo, mai diventerà
un “vegetale” o
un “animale”
I trattamenti di sostegno vitale
e lo stato vegetativo, 2004
GUIDO CERONETTI
Avrei paura a affidarmi
a un medico che
cercasse unicamente di
prolungare a ogni costo
i giorni miserabili dei
suoi morenti
La carta è stanca
2000
le, ma talvolta anche in condizioni
di assoluto decadimento del loro
fisico, e in preda per questo motivo
a uno sconforto profondo. Di fronte a questi casi i medici che rompono la consegna del silenzio hanno
da tempo ammesso che, a un certo
punto, occorre pur “staccare la spina”. Alcuni personaggi – di levatura non certo inferiore (in Francia il
professor Schwartzenberg) – hanno rivendicato il fatto di aver praticato l’eutanasia attiva in qualche
grande prudenza. Il fatto è che al di
caso senza speranza. Accanto a lolà della polemica in nome dei valoro, le famiglie si dividono tra quelri fondamentali – l’assoluto rispetle che si aggrappano disperatato della vita contro il diritto indivimente alla tutela del più piccolo
duale a disporre della propria persoffio di vita e quelle che compiono
sona – le realtà oggettive si imponil gesto misericordioso, con o sengono in modo crudele per mezzo di
za aiuti. La giustizia francese in alsituazioni drammatiche.
cuni casi recenti ha optato, premuI media ci hanno messo in una
nendosi in vario modo, per un atcondizione di familiarità con queteggiamento di comprensione. Il
sti casi di mantenimento in vita vefatto è che i problemi sui quali si fogetativa di morti-viventi, giovani e
calizza l’opinione pubblica convecchi, in stato di coma irreversibitraria all’eutanasia non sono di secondo piano: a partire da quale stadio l’eutanasia è legittima? A chi
tocca la responsabilità di questo
gesto, al medico, al personale curante, alla famiglia? I nostri media
evocano talora casi di infermiere
assassine o di inquietanti anticamere della morte.
In definitiva, che ne è del paziente terminale? È sufficiente che
quando è in salute esprima una
scelta che in
punto di morte potrebbe
non essere più
DIARI ONLINE
sua?
Ed eccomi
Tutti i numeri
qui, se non
del “Diario” di
proprio al caRepubblica sopezzale quanno consultabili
to meno acin Rete al sito
canto a Pierwww.repubbligiorgio Welby.
ca.it, sezione
Dall’abisso del
supplementi.
suo sconforto,
Qui i lettori trocon gli ultimi
veranno le pagimezzi di cone, comprensimunicazione
ve delle illustrache ancora gli
zioni, di questo
sono disponistrumento di apbili, chiede di
profondimento.
essere liberato
da quella che
ormai rappresenta per lui soltanto
una parvenza di vita. Pare quasi,
leggendo le pagine della stampa
italiana che sfoglio, che il suo grido
faccia scandalo per il fatto stesso di
essere ripreso e ripetuto. Eccolo, il
nostro martire, accusato di aver
pubblicizzato e strumentalizzato il
proprio supplizio. Questo ci riporta evidentemente all’attuale situazione del nostro universo mediatico: da anni ormai abbiamo familiarizzato con l’idea del tabù moderno della morte, che ha scalzato
quello di ieri del sesso. È vero, nella realtà oggettiva la morte contemporanea si è fatta clandestina,
anonima. Non lasciamoci trarre in
inganno, però: al contempo, infatti, noi viviamo la contraddizione
del ritorno della morte manifesta,
in immagini o in racconti, quella di
massa o quella dei grandi personaggi. Si pensi, per esempio, a
quella cronaca di una morte annunciata che, orchestrata da lui
stesso, ha rappresentato la fine del
presidente François Mitterrand.
Nel caso più anonimo di Piergiorgio Welby, pare che lo scandalo sia
nato dall’averne informato l’opinione pubblica. Ma su chi ricade la
vergogna? Su colui che grida o su
coloro che vorrebbero distogliere
lo sguardo e che si attendesse in silenzio lo spegnersi degli ultimi rantoli?
Traduzione di Anna Bissanti
‘‘
,,
Da anni ci siamo familiarizzati
con l’idea di qualcosa di indicibile
che ha scalzato quella
di ieri del sesso. Al contempo
la viviamo come fatto eclatante
I LIBRI
MASSIMO
REICHLIN
L’etica e la
buona morte
Edizioni di
Comunità
2002
GERALD
DWORKIN
RAYMOND
G. FREY
SISSELA
BOK
Eutanasia e
suicidio
assistito
Edizioni di
Comunità
2001
ELISABETH
KUBLERROSS
Impara a
vivere, impara
a morire
Armenia 2001
HANS
JONAS
Sull’orlo
dell’abisso
Einaudi 2000
Tecnica
medicina ed
etica
Einaudi 1997
Il diritto di
morire
Il Nuovo
Melangolo
1991
DAVID
LAMB
L’etica alle
frontiere della
vita
Il Mulino 1998
DEMETRIO
NERI
Eutanasia
Laterza 1995
DEREK
HUMPHRY
Eutanasia.
Uscita di
sicurezza
Eleuthera
1993
MICHEL
VOVELLE
La morte e
l’Occidente
dal 1330 ai
giorni nostri
Laterza 2000
ROBERTO
MORDACCI
Una
introduzione
alle teorie
morali
Feltrinelli
2003
Repubblica Nazionale