COMUNICAZIONI E POSTER dffdaf PATHOLOGICA 2005;97:219-222 Patologia della prostata Adenocarcinoma della prostata: valutazione morfologica post-terapia mini-invasiva con “high intensity focused ultrasound” (HIFU) A. Parisi*, D. Dalfior*, M. Pea*, E. Bragantini*, A. Eccher*, V. Ficarra**, R. Vittorio****, M. Brunelli* ****, F. Menestrina*, G. Martignoni*** * Anatomia Patologica, Università di Verona; ** Clinica Urologica, Università di Verona; *** Anatomia Patologica, Università di Sassari; **** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione La tecnica HIFU è una delle nuove terapie mini-invasive usate nel trattamento dell’adenocarcinoma della prostata. In tale trattamento un’alta intensità di energia con ultrasuoni viene fatta convergere sulla prostata con innalzamento rapido della temperatura. Il nostro obiettivo è stato quello di analizzare le alterazioni morfologiche su tessuto prostatico post- HIFU. Metodi A ventinove pazienti affetti da adenocarcinoma e trattati con HIFU per presenza di rischio operatorio e/o con Gleason > = 7 post-trattamento ormonale, sono state eseguite agobiopsie a sestante in 21 casi, e nei rimanenti 8 una TURP. Risultati Diffuse alterazioni reattive e degenerative quali fibrosi, sclerosi e scleroialinosi erano presenti in tutti (100%) in tutti i casi (percentuale variabile dal 30-70% dell’intero materiale esaminato); infiltrato flogistico eterogeneo e necrosi ischemica erano inoltre presenti in 5 casi (19%). Focolai di adenocarcinoma erano morfologicamente presenti in cinque casi su 29 (17%) (4/21 agobiopsie, 1/8 TURP). Conclusioni 1) La tecnica HIFU induce uno spettro di modificazioni istopatologiche variabile da fenomeni di fibrosi, sclerosi e scleroialinosi, talora con necrosi ischemica e infiltrato linfoide eterogeneo. 2) Residuo neoplastico è presente in un numero minore di casi (19%) e quando presente è morfologicamente riconoscibile. grafia transrettale (12 nella zona periferica e 2 nella zona di transizione). Tutti i prelievi sono stati campionati ed esaminati separatamente. L’accoppiamento dei differenti prelievi ha consentito di ricostruire la detection rate di 10 differenti schemi bioptici: 2 con 6 prelievi; 3 con 8 prelievi; 3 con 10 prelievi; uno con 12 prelievi ed uno con 14. L’aumento della detection rate è stato espresso come numero di diagnosi aggiunte sul totale di quelle ottenute con lo schema a maggior numero di prelievi. Lo schema a 14 prelievi è stato confrontato con quelli a 6, 8 e 10 prelievi caratterizzati dalla migliore detection rate. La significatività statistica è stata valutata con il test di McNemar (p < 0,05 a due code). Risultati Lo schema a 14 prelievi ha individuato 232 (45,6%) carcinomi della prostata. La detection rate è risultata pari al 61,7% per volume prostatico ≤ 30 ml; al 43,8% per volume compreso tra 30,1-40 ml; al 45,1% tra 40,1-50 ml ed al 27,3% se > 50 ml (p < 0,0001). Nei 167 pazienti con prostata di volume ≤ 30 ml lo schema a 14 prelievi è risultato migliore rispetto al sestante (p = 0,004) ma sovrapponibile agli altri (8, 10, 12 prelievi), così come nei 128 pazienti con volume prostatico compreso tra 30,1-40 ml (p = 0,008). Negli 82 pazienti con volume prostatico compreso tra 40,1-50 ml, la detection rate ottenuta con i 14 prelievi è significativamente maggiore rispetto a quella ottenuta con lo schema a 8 (p < 0,001) e 10 prelievi (p = 0,008); ciò vale anche per i 132 pazienti con prostata di volume > 50 ml. Conclusioni La detection rate ottenuta con 14 prelievi è risultata inversamente correlata al volume prostatico. In prostate di volume ≤ 40 ml potrebbe essere sufficiente l’esecuzione di 8 prelievi. Nelle prostate di volume compreso tra 40-50 ml è opportuno eseguire un campionamento minimo con 10 prelievi. La bassa detection rate registrata in pazienti con volume prostatico > 50 ml fa ipotizzare come in questo sottogruppo sia necessario un ulteriore incremento del numero di prelievi per migliorare il campionamento e la capacità diagnostica. È opportuno variare il numero di biopsie in relazione al volume prostatico? Inibizione della crescita tumorale da parte di una dieta ricca in carotenoidi in topi geneticamente obbligati a sviluppare carcinoma prostatico R. Loss*, C. Cannizzaro*, A. Parisi*, D. Dalfior*, C. Sagramoso*, G. Novella**, V. Ficarra**, M. Brunelli* ****, G. Martignoni***, F. Menestrina* P. Ascione, T. Pannellini, M. Iezzi, M. Liberatore, A. Fogliano*, M. Piantelli, M. Mariotti, M. Baldacci, L. Borgia, R. Spizzo, C. Sulpizio * Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti; * Chimica degli Alimenti, Università “Federico II”, Napoli Anatomia Patologica, Università di Verona; ** Clinica Urologica, Università di Verona; *** Anatomia Patologica, Università di Sassari; **** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione Il volume della prostata è un parametro variabile e calcolabile con ecografia prostatica trans-rettale. Scopo di questo studio è individuare il numero di biopsie prostatiche da eseguire per diverso volume prostatico nei pazienti sottoposti a biopsia per sospetta neoplasia della prostata. Metodi Abbiamo selezionato 509 pazienti consecutivi sottoposti a primo set di 14 biopsie per via transperineale sotto guida eco- Introduzione Nei paesi a medio-alto sviluppo il carcinoma della prostata è la più frequente neoplasia nei maschi di età superiore a 50 anni e costituisce la seconda causa di morte per cancro. Studi epidemiologici hanno documentato nelle varie regioni geografiche differenze nell’incidenza e nella mortalità che non sembrano dipendere esclusivamente da fattori genetici. Sembra che l’alimentazione costituisca un fattore di rischio o di 220 protezione nei confronti di questa neoplasia, anche perché gli stessi studi epidemiologici suggeriscono che una dieta ricca di frutta e vegetali può ridurre il rischio di cancro prostatico. È stato dimostrato che il pomodoro e i suoi derivati, contenenti vari tipi di carotenoidi tra cui il licopene, hanno un effetto protettivo su modelli trapiantabili di tumore prostatico. Metodi Per confermare questi risultati in un sistema in vivo più complesso abbiamo testato l’effetto di una dieta addizionata di estratto di pomodoro su un modello transgenico di cancerogenesi prostatica: i topi TRAMP. In questi topi l’oncogene Tag dell’SV40, espresso solo nelle cellule epiteliali prostatiche, determina alla 10a settimana di vita un’iperplasia prostatica lieve, che degenera dapprima in PIN (15a-20a settimana), quindi in adenocarcinoma ben differenziato (24a settimana). Nel 30% dei casi subentra un carcinoma scarsamente differenziato a piccole cellule con talora aspetti neuroendocrini, metastatizzante. 45 topi sono stati nutriti con mangime senza proteine di soia e di pesce ed altri 45 topi hanno ricevuto lo stesso mangime addizionato di estratto di pomodoro al 13%. Da ciascun gruppo sperimentale sono stati selezionati 15 topi per valutarne la sopravvivenza. Gli animali rimanenti sono stati sacrificati a 20, 25 e 30 settimane. L’apparato genitale, i linfonodi periaortici, i polmoni, i reni, i surreni ed il fegato sono stati prelevati e sottoposti ad analisi istologica. Risultati Trentaquattro settimane dopo l’inizio del trattamento tre animali del gruppo di controllo e 12 animali del gruppo trattato sono ancora vivi. L’analisi istologica della prostata ha evidenziato un rallentamento della progressione tumorale nei topi trattati ai vari tempi esaminati. L’inibizione della crescita tumorale sembra interessare sia la componente sviluppantesi come adenocarcinoma sia quella a piccole cellule scarsamente differenziata. Conclusioni Questi risultati confermano il ruolo dei carotenoidi come agenti protettivi nei confronti del carcinoma prostatico. La microscopia virtuale nel controllo di qualità della diagnostica istologica agobioptica prostatica P. Dalla Palma, F. Demichelis, L. Morelli Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale “S. Chiara”, Trento; Unità applicativa di Telemedicina ed Informativa Medica, Centro per la Ricerca Scientifica e Tecnologia, Povo (Trento); Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S. Maria del Carmine”, Rovereto (TN) Introduzione Per telepatologia si intende la pratica della diagnostica patologica a distanza, mediante visualizzazione su monitor di immagini provenienti da un microscopio posto in una località remota e trasmesse tramite un canale di trasmissione dati ad alta velocità (reti digitali o comunicazione satellitare). La telepatologia è di due tipi: statica, trasmissione di singole immagini provenienti dal preparato istologico, e dinamica, osservazione di immagini in movimento del preparato. Una stazione di telepatologia dotata di questo collegamento consente al patologo di attuare la consulenza diagnostica a distanza (teleconsulto). Gli strumenti della telepatologia consentono di risolvere (almeno in parte) due problemi: a) l’opportunità che servizi di patologia presso grandi Ospedali centrali siano in grado di servire anche diversi piccoli Ospedali periferici COMUNICAZIONI E POSTER (es. diagnosi intraoperatoria); b) l’opportunità di effettuare consulenze presso esperti di altri Ospedali (es. consulto istopatologici e “seconda opinione”). Ulteriori applicazioni possono poi derivare dalla disponibilità di adeguati strumenti, quali l’aggiornamento ed educazione permanente del patologo, la costituzione di un laboratorio di morfometria e il controllo di qualità. Metodi Mediante un sistema di telepatologia per la diagnosi a distanza sviluppato tra il Laboratorio di Telemedicina dell’ITC e il Servizio di Anatomia Patologica di Trento, Static TeleMicroscopy Sistem (STeMiSy), è stato effettuato un test clinico tra le U.O. di Anatomia Patologica degli Ospedali di Trento e Rovereto atto alla valutazione del controllo di qualità nella diagnostica istopatologica urologica. Sono state inviate tra l’U.O. remota e quella locale (alternativamente Trento e Rovereto) una casistica di 110 casi di preparati istologici relativi ad agobiopsie prostatiche nell’arco di 5 mesi, mediante sessioni telematiche della durata di circa un’ora e mezza ciascuna. Risultati La concordanza tra gli osservatori si è dimostrata eccellente, senza riscontro di discordanze maggiori (cioè benigno vs. maligno) tra le diagnosi, con score di Gleason identici nell’85% dei casi (94). Nei restanti 26 lo score differiva di solo 1 punto dalla scala di Gleason. Per ogni caso sono state acquisite una media di 10 immagini, con un tempo diagnostico medio di circa 7 minuti. Conclusioni La telepatologia è uno strumento affidabile per effettuare controllo di qualità tra U.O. a distanza, teleconsulenza e telediagnostica. Neuro D1, un gene contiguo al locus HOX D, possibile nuovo marker della differenziazione neuroendocrina nel carcinoma prostatico R. Franco, L. Cindolo*, M. Cantile**, G. Liguori, S. Losito, M. D’Angelo, P. Chiodini***, L. Salzano*, A. Di Blasi*, E. Feudale, A. Gallo, C. Cillo**, G. Botti U.O.C. Anatomia Patologica e UO di Urologia, INT Napoli; * Unità di Urologia e Anatomia Patologica, AORN “G. Rummo”, Benevento; ** Dipartimento Medicina Clinica e Sperimentale, Università “Federico II” Napoli; *** Dipartimento Igiene e Sanità Pubblica, Seconda Università di Napoli Introduzione La differenziazione neuroendocrina è descritta in vari gradi in gran parte dei carcinomi prostatici ed è stata correlata con la progressione e la cattiva prognosi di questi. Infatti l’acquisizione del fenotipo neuroendocrino è peculiare del carcinoma prostatico avanzato e ormono-refrattario. Attualmente la differenziazione neuro-endocrina è definita quasi esclusivamente in termini di espressione di cromogranina A e quindi non è nota l’esatta prevalenza di questo fenomeno per la mancanza di studi e di strumenti diagnostici univocamente affidabili ed univoci. La differenziazione, nell’organogenesi e nella cancerogenesi, è presieduta da un network di geni di fattori di trascrizione, i geni HOX. Recentemente studi di espressione condotti su tessuto prostatico neoplastico e su linee cellulari, prima e dopo induzione con cAMP, hanno rivelato un aumento di espressione dei geni HOXD, coinvolti nell’organogenesi e nella cancerogenesi e localizzati nella regione cromosomica 2q31-33, la stessa re- PATOLOGIA DELLA PROSTATA 221 gione cromosomica di una serie di geni correlati alla conversione epiteliale-neuronale, tra cui uno dei più importanti sembra essere Neuro D 1. Materiali e metodi È stata condotta una analisi estensiva di una di 146 campioni di tessuto prostatico umano mediante immunoistochimica per l’espressione esaminati per l’espressione immunoistochimica di cromogranina A (ChrA), sinaptofisina (SNP), CD56 e NeuroD1. È stata, inoltre, effettuato uno studio su 20 campioni dell’espressione del RNA di Neuro D mediante RT-PCR. Le correlazioni tra variabili cliniche, patologiche e sperimentali sono state analizzate mediante analisi univariata e multivariata. Risultati Sull’intera serie di campioni la positività per ChrA, SNP, CD56 e NeuroD1 è stata trovata nel 26,5%, 4,3%, 3,1% e 35,5%. Nell’adenocarcinoma prostatico Neuro D1 è espresso più frequentemente del migliore tra i markers standard (ChrA); la sua espressione correla col grado di malignità, con l’infiltrazione microscopica perineurale, con il tPSA e gli stadi avanzati della patologia. Conclusioni Questo ci induce a suggerire Neuro D come marcatore della differenziazione neurendocrina nel carcinoma prostatico in una prospettiva di utilizzazione nella diagnostica oncologica. la prostata, essendo la neoplasia presente in meno del 5% di un singolo frustolo bioptico. Il campionamento a sestante ha permesso di diagnosticare 16 microfocolai di adenocarcinoma. L’aggiunta rispetto al sestante di due prelievi periferici a livello dell’apice ha comportato un incremento di tale diagnosi del 12,5% dei casi (p = 0,45). L’aggiunta rispetto al sestante di 4 prelievi periferici laterali ha comportato un incremento pari al 28,1% (p = 0,03). L’aggiunta di un sestante laterale completo incrementa il numero di diagnosi di microfocolaio del 37,5% rispetto al sestante tradizionale (p = 0,003). Lo schema da noi eseguito con 12 prelievi periferici più 2 in zona di transizione comporta un incremento del 50% rispetto al sestante (p < 0,001). 4 diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma della prostata sono state formulate solo su prelievi eseguiti a livello della zona di transizione. Conclusioni L’incremento del numero di prelievi bioptici eseguiti nel campionamento prostatico dei pazienti con sospetta neoplasia si associa ad un incremento della percentuale di diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma della prostata. Tale differenza assume carattere significativo quando il numero di prelievi eseguiti è superiore a 8. Bibliografia 1 Cantile M, et al. J Cell Physiol 2005. R. Merola, G. Orlandi, E. Vico, M. Gallucci, C. Leonardo, P. De Carli, S. Sentinelli, P. Carlini, A.M. Cianciulli Cytogenetic Markers In Clinically Localized Prostate Carcinoma “Regina Elena” Cancer Institute, Rome La diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma della prostata aumenta all’aumentare del numero dei prelievi bioptici M. Gobbato*, A. Parisi*, D. Dalfior*, M.G. Zorzi*, G. Novella**, V. Ficarra**, M. Brunelli* ****, G. Martignoni***, F. Menestrina* * Anatomia Patologica, ** Clinica Urologica, Università di Verona; *** Anatomia Patologica, Università di Sassari; **** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione I protocolli che prevedono un campionamento agobioptico esteso della prostata sono numerosi; scopo di questo studio è di verificare se la diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma della prostata è correlata all’incremento del numero di prelievi bioptici. Metodi Abbiamo valutato prospetticamente 509 pazienti consecutivi sottoposti a primo set bioptico per sospetta neoplasia. Tutti i pazienti sono stati sottoposti all’esecuzione transperineale sotto guida ecografia transrettale di 14 agobiopsie (12 nella zona periferica e 2 nella zona di transizione) ed i prelievi sono stati numerati ed esaminati separatamente. Ciò ha consentito di estrapolare e comparare la percentuale di diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma ottenuta con il sestante classico e con schemi a 8, 10, 12 e 14 prelievi. La comparazione tra le variabili di tipo categorico è stata eseguita utilizzando il chi-quadrato di Pearson (p < 0,05). Risultati Con l’esecuzione di 14 prelievi sono stati identificati 232 adenocarcinomi della prostata. In 32 casi (13,7%) è stata formulata una diagnosi di microfocolaio di adenocarcinoma del- We evaluated the frequency of determined cytogenetic profiles as prognostic adjunctive variables in prostate carcinoma (CaP). Fluorescence in situ hybridization (FISH) analysis for evaluation of 7, 8, X chromosomes and EGFR (7p12), LPL (8p22), MYC (8q24), AR (Xq12) genes in 79 neoplastic foci from 56 patients with clinically localized prostate carcinoma was performed. By applying the cutoff value, we defined 74/77 (96.1%), 56/76 (73.7%), 26/70 (37.1%) of examined foci as having aneusomy for chromosome 7, 8 and X respectively. On the basis of calculated ratio (centromere/gene signal), no sample was amplified for EGFR and AR gene (ratio < 2). Only 2/71 (2.8%) samples showed MYC gene amplification with ratio values of 4.3 and 2.2. LPL deletion was present in 52/76 (68.4%) samples (ratio < 1). We subdivided FISH anomalies in 12 patterns, which describe all genetic alterations occurring in this cohort of patients. Statistically association between Gleason score (G) and both chromosome 7 aneusomy and 8p22 deletion was present (p < 0.003 and p < 0.04, respectively). The frequency of chromosome 7 aneusomy was statistically higher in T3-4 cases than T2c and T2a-T2b ones (p < 0.029). We considered as unfavourable a genetic set if aneusomy for at least two chromosomes and one altered gene were present. The percentage of tumors, with unfavourable genetic pattern, increased from 36.4% to 75.0% in those with G > 7 and from 40.0% to 73.7% in those with stage T3 or more. We propose that these alterations could be considered potent genetic markers adjunctive to conventional prognostic parameters. Since CaP tumor aggressiveness is undoubtedly associated with particular somatic genetic alterations, our goal was to identify a complete genetic profile significantly associated with adverse pathological features at the time of surgery and also to genetically characterize the patients in the same histological group. Supported by AIRC. 222 Espressione della sialoproteina ossea, dell’osteopontina e dell’osteonectina nel carcinoma prostatico A. Sidoni, R. Del Sordo, A. Cavaliere, G. Bellezza, S. Bracarda*, C. Caserta*, V. Castronovo**, A. Bellahcène**, E. Bucciarelli Istituto di Anatomia Patologica, Università di Perugia; * Divisione di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Perugia; ** Center for Experimental Cancer Research, Metastasis Research Laboratory, University of Liège, Belgium Introduzione La sialoproteina ossea (BSP), l’osteopontina (OPN) e l’osteonectina (ONC) sono glicoproteine coinvolte nei processi di mineralizzazione della matrice ossea. Alcuni carcinomi, ed in particolare quelli con elevata propensione alla metastatizzazione scheletrica come quelli della mammella e della prostata, sono in grado di produrre eterotopicamente queste molecole acquisendo, in tal modo, proprietà osteomimetiche e osteotropiche 1. Molti dei dati disponibili in letteratura riguardano la BSP che in questi tumori assume anche significato prognostico 2, mentre non sono ancora ben definiti i ruoli di OPN e ONC. Questo studio si propone di valutare l’espressione delle tre glicoproteine in una casistica di carcinomi prostatici allo scopo di analizzarne le correlazioni anatomo-cliniche ed i relativi significati biologici. COMUNICAZIONI E POSTER Materiali e metodi Sono stati reclutati 100 casi di carcinoma prostatico osservati tra il 1989 e il 2003 in pazienti con un follow-up medio di 70 mesi (3-109). L’espressione delle glicoproteine è stata determinata con metodica immunoistochimica valutando semiquantitativamente la percentuale di cellule positive e l’intensità della immunomarcatura. Risultati L’analisi preliminare dei dati dimostra che tutte le neoplasie esprimono almeno una delle glicoproteine con frequente positività anche nella componente benigna adiacente, nelle cellule stromali e in quelle endoteliali. La positività per la BSP è meno intensa nei casi liberi da metastasi mentre OPN e ONC vengono espresse in maniera equivalente ed a livelli medio-alti nella maggioranza dei casi, indipendentemente dalla presenza di metastasi. Conclusioni I risultati ottenuti confermano le spiccate capacità osteomimetiche del carcinoma prostatico e lasciano prefigurare possibili applicazioni terapeutiche per la prevenzione delle metastasi ossee. Bibliografia 1 Koeneman KS, et al. The prostate 1999;39:246-61. 2 Waltregny D, et al. J Natl Cancer Inst 1998;90:1000-8. PATHOLOGICA 2005;97:223-233 Patologia della mammella HER-2/neu, 17 chromosome aneusomy and MSI status in primary breast cancer: a possible correlation E. Rossi, L. Legrenzi, E. Dessy, A. Ubiali, A. Berenzi, P. Balzarini, A. Benetti, P. Grigolato 2nd Department of Pathologic Anatomy, School of Medicine, University of Brescia Introduction A problem that was arisen about HER-2 evaluation is the amplification not followed by protein overexpression and the possible implication of chromosome 17 alteration. Moreover recent studies indicated that Microsatellite Instability (MSI) was found to be related to tumor phenotype and clinical features in various malignant human carcinomas. Because the nature of breast cancer pathogenesis is still unclear we decided to investigate simultaneusly HER-2 gene amplification by Fluorescence In Situ Hybridization (FISH), protein overexpression by immunohistochemistry and MSI by Polymerase Chain Reaction (PCR). Materials and methods Forty patients with primary invasive carcinoma of breast were studied. All the methods were applied on formalinfixed, paraffin-embedded samples. First immunohistochemistry and FISH were performed. Then we selected the 40 cases divided by immunohistochemistry score: 10 cases 3+, 10 cases 2+, 10 cases 1+ and 10 cases 0. At the end an MSI analysis was performed on the cases studying chromosomes involved in DNA mismatch repair defects by microsatellite markers like Bat25, Bat26, D2S123, D5S346, D17S250. Results All the cases 0 and HER-2 not amplified were disomic and without MSI. Cases HER-2 amplified or without aneusomy for 17 chromosome always show a MSI Low (L) or High (H). Our results are summarized in the table. Conclusions Data described in literature show that DNA mismatch repair defects, involving hMLH1 (marker Bat 25) and hMSH2 (marker Bat 26), are rare in sporadic and familiar breast cancer. In fact in the 40 cases analysed we did not find any alteration for these genes but a significant MSI was found studying other genes involved: hMSH-6 (marker D2S123), hMSH-3 (marker D5S346) and p53 (marker D17S250). We found MSI in cases 3+ amplified or not amplified with a high Case# 7 2 1 6 3 1 3 7 10 aneusomy for chromosome 17 and in cases 2+ and 1+ aneusomic for chromosome 17. The cases 0, not amplified and disomic for chromosome 17 did not show any MSI. In conclusion the cases investigated for HER-2 by immunohistochemisty and by FISH revealed a significant MSI only when an aneusomy for chromosome 17 is present. Mutazioni del gene Fosfatidilinositolo 3chinasi (PI3K) e forme istologiche di carcinoma della mammella L. Felicioni* **, F. Barassi* **, C. Martella* **, D. Paolizzi* ** , G. Fresu* **, S. Salvatore* **, F. Cuccurullo**, A. Mezzetti**, D. Campani***, A. Marchetti* **, F. Buttitta* ** * Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; ** Aging Research Center (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti; *** Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Pisa Introduzione Numerosi dati sperimentali dimostrano che una classe di enzimi ad attività chinasica, noti come Fosfatidilinositolo 3chinasi (PI3K) è implicata nei processi di cancerogenesi umana. PI3K sono enzimi eterodimerici, costituiti da una subunità catalitica, p110alfa, codificata dal gene PIK3CA, e da una subunità adattrice/regolatoria, p85, codificata dal gene PIK3R1. Recentemente, mutazioni di tipo missenso di PIK3CA sono state evidenziate in alcune forme tumorali. Obiettivo del presente studio è stato quello di analizzare lo stato mutazionale di PIK3CA in una serie ampia di carcinomi della mammella, rappresentativa dei vari tipi istologici. Metodi Da una serie consecutiva di 780 tumori maligni sono stati selezionati 74 carcinomi duttali, 56 lobulari, 22 mucinosi, 20 midollari e 8 papillari. La presenza di mutazioni negli esoni 1-20 è stata valutata mediante PCR-SSCP e sequenziamento diretto. È stato effettuato uno studio immunoistochimico dell’espressione proteica di Ki-67, ErbB2, p53, p21 e dei recettori per gli estrogeni e il progesterone. Inoltre, è stato valutato lo stato mutazionale di p53 mediante PCR-SSCP. Risultati Mutazioni di PIK3CA sono state riscontrate in 46 (26%) dei 180 tumori esaminati. Le mutazioni risultavano concentrate IHC score HER-2 FISH HER-2/neu FISH chromosome 17 aneusomy MSI (3+) (3+) (3+) (2+) (2+) (2+) (1+) (1+) 0 Amplification Amplification No Amplification No Amplification No Amplification Amplification No Amplification No Amplification No Amplification Aneusomy Disomy Aneusomy Disomy Aneusomy Aneusomy Aneusomy Disomy Disomy MSI-L MSS MSI-H MSS MSI-L MSI-H MSI-H MSS MSS 224 in particolari codoni “hot spot” negli esoni 9 e 20: 23 (50%) delle 46 mutazioni erano presenti nell’esone 9 e 23 (50%) nell’esone 20. La distribuzione delle mutazioni era significativamente differente nei vari tipi istologici (p = 0,0002). Le mutazioni, infatti, erano molto frequenti nell’istotipo lobulare (46%), meno frequenti nei carcinomi duttali (22%) e infrequenti nei tumori midollari (10%), mucinosi (5%) e papillari (12%). Inoltre, le mutazioni dell’esone 9 sono risultate molto più frequenti nel carcinoma lobulare (30%) rispetto alle altre forme istologiche (5%) (p = 0,00014). Una correlazione inversa è emersa fra le mutazione di PIK3CA e l’espressione proteica di Ki-67 ed ErbB2, mentre non si osservavano correlazioni significative fra mutazione di PIK3CA e altri parametri clinico-patologici e biologici (età della paziente, dimensione del tumore, metastasi linfonodali, stato dei recettori ormonali, espressione e stato mutazionale di p53). Conclusioni I risultati ottenuti indicano che le mutazioni di PIK3CA sono maggiormente presenti nei carcinomi lobulari e duttali e che l’alta incidenza di mutazioni “hot spot” potrebbe fornire nuove promettenti possibilità terapeutiche in queste forme neoplastiche. Fast track biopsy (FTB): descrizione di una metodica istologica ed immunocitochimica rapida per la valutazione delle agobiopsie mammarie pre-operatorie S. Asioli, T. Ragazzini, E. Magrini, C. Cucchi*, M.P. Foschini, V. Eusebi Dipartimento di Scienze Oncologiche, sezione di Anatomia Patologica e * Chirurgia Oncologica, Università di Bologna, Ospedale “Bellaria”, Bologna, Italia Introduzione Descriviamo la metodica, denominata Fast Track Biopsy (FTB), che permette di ottenere un preparato istologico in 2 ore e 30 minuti, dalla fissazione alla colorazione, tramite l’utilizzo della processazione con micro-onde. Su tale preparato, inoltre, è possibile effettuare indagini immunocitochimiche in tempi rapidi. Materiali e metodi Trentasei agobiopsie mammarie di 32 pazienti sono state incluse in paraffina e processate utilizzando un processatore automatico a micro-onde. In aggiunta, su casi selezionati è stata applicata una metodica di immunocolorazione rapida. La qualità dei preparati istologici colorati con Ematossilina ed Eosina (H&E) e delle reazioni di immunocitochimica con anticorpi anti-Recettore Estrogenico (ER), anti-Recettore Progestinico (PR) e anti-Ki67, confrontati con quelli ottenuti con l’immunocoloratore automatico convenzionale, è risultata soddisfacente. Risultati La nostra casistica è costituita da: 3 casi di B1 e 12 casi di B2, comprendenti fibroadenomi ed epiteliosi (iperplasia epiteliale di tipo usuale). Due casi di B3: un adenoma duttale e un fibroadenoma cellulato. Nessun B4 è stato diagnosticato. Diciotto casi di B5 comprendenti: 12 casi di carcinoma duttale infiltrante, NAS, 1 caso di carcinoma mucinoso infiltrante, 3 casi di carcinoma lobulare infiltrante e 2 casi di carcinoma duttale in situ. Il tempo necessario per la FTB variava da 2 ore e 30 minuti a 4 ore (in media 2 ore e 54 minuti). COMUNICAZIONI E POSTER Nell’ultimo mese dello studio (Gennaio, 2005) il tempo necessario per la FTB si è standardizzato su 2 ore e 30 minuti In 8 casi di B5 si è resa necessaria l’immunocitochimica. Il tempo impiegato per la metodica di immunocolorazione rapida, variava tra i 90 e i 100 minuti rispetto ai 220/230 minuti impiegati con l’immunocoloratore automatico convenzionale. Sette casi sono risultati positivi per ER (70%-80% del totale delle cellule neoplastiche) e 8 casi per PR (20%-90%). La positività per il Ki67 variava tra il 5% ed il 60% del totale delle cellule neoplastiche (in media 16,2%). Conclusione FTB è una procedura diagnostica rapida che può competere con FNAB (fine needle aspiration biopsy) nel raggiungimento di una diagnosi rapida qualitativamente soddisfacente. Le informazioni morfologiche della agobiopsia rispetto alla FNAB sono obiettivamente superiori. Correntemente alla base della scelta diagnostica della FNAB c’è la rapidità della procedura, con l’avvento della FTB anche quest’ultimo vantaggio sembra essere superato. Valutazione con analisi Fish e immunoistochimica di Topoisomerasi II alfa nel carcinoma mammario A. Bernardi, G. Canavese, G. Candelaresi, P. Lovadina, E. Margaria, E. Berardengo ASO “San Giovanni Battista” di Torino, S.C. Anatomia Patologica 4, Ospedale “San Giovanni”, Torino Introduzione I carcinomi (ca) mammari con amplificazione di her2 mostrano beneficio statisticamente significativo se trattati con Antracicline probabilmente per effetto sull’attività della Topoisomerasi II alfa (Top2). Il meccanismo d’azione delle Antracicline su Top2 fu scoperto nel 1984 e considerato funzione primaria nella tossicità tumorale. Le Antracicline attivando Top2 incrementano la produzione di DNA fissurato e conseguente morte cellulare. L’amplificazione genica di Top2, valutata con metodica Fish è oggetto di studio per l’ipotesi di implicazione nella sensibilità al trattamento con Antracicline. Metodi In uno studio preliminare 44 ca mammari, 36 her2 amplificati, sono stati indagati con test di ibridazione in situ in fluorescenza (Fish) Dako Top2A kit (con validazione FDA e IVD europea). I dati ottenuti con lettura dei preparati al microscopio a fluorescenza, obiettivo 100x in immersione, sono stati analizzati con software Dako Cytomation. Sono state contemporaneamente effettuate reazioni immunoistochimiche per la valutazione dell’indice proliferativo (Ki67 mediana = 20) e la valutazione proteica di Top2 (over espressione ≥ 10%). Risultati 17/36 (47,22%) tumori her2 amplificati presentavano amplificazione di Top2 e over espressione proteica nel 76,47% (13/17); 19/36 tumori non amplificati per Top2 avevano over espressione proteica nel 31,57% (6/19) e alto indice proliferativo. Gli 8 tumori her2 non amplificati e inseriti come controllo erano negativi per amplificazione di Top2. Conclusioni L’assenza di espressione proteica di Top2 in una percentuale di tumori con amplificazione del gene può essere imputata a regolazioni post trascrizionali. Top2 codificato dal gene omonimo sul cromosoma 17q12-21 è un enzima chiave nella du- PATOLOGIA DELLA MAMMELLA plicazione del DNA, legato alla proliferazione. La vicinanza all’oncogene her2 provoca spesso delle aberrazioni di Top2, mai trovata amplificata o deleta senza contemporanea amplificazione di her2. La letteratura dimostra che il valore predittivo di risposta al trattamento con Antracicline è dovuto allo stato del gene Top2 e non di her2. Nella convalida dell’ipotesi che lo stato di Top2 possa confermarsi un marcatore predittivo di risposta a terapia con Antracicline può rendersi utile nella caratterizzazione biologica delle neoplasie mammarie la sua valutazione con applicazione di analisi Fish e metodica immunoistochimica. β nelle cellule stromali di Espressione di ER-β fibroadenomi e tumori fillodi della mammella I. Castellano, M. Bosco, P. Cassoni, R. Arisio*, A.P. Dei Tos**, N. Fortunati***, M. Catalano, A. Sapino Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino, Italia; * Dipartimento di Patologia, Ospedale “Sant’Anna”, Torino, Italia; ** Dipartimento di Patologia, Ospedale Regionale, Treviso, Italia; *** Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Università di Torino, Italia Introduzione L’ormono-dipendenza nella crescita dei fibroadenomi (FAD) della mammella è stata suggerita da tempo; tuttavia, non è al momento nota l’espressione di recettori per ormoni steroidei nella componente stromale di tali lesioni. Metodi Al fine di definire la presenza o meno di recettori per gli estrogeni (ER-α, ER-β, progesterone e androgeni) nello stroma delle lesioni fibroepiteliali della mammella, sono stati studiati 31 FAD e 32 tumori fillodi (PT). La presenza di entrambe le isoforme di ER è stata valutata: a) con metodica RT-PCR sia su mRNA estratto dalle lesioni in toto sia sulle sole cellule stromali micro-dissettate dalle lesioni stesse; b) con metodica immunoistochimica. Parallelamente è stato studiato il fenotipo delle cellule stromali, definendone lo stato di differenziazione muscolare liscia e mioepiteliale con metodica immunoistochimica e anticorpi anti-actina, calponina e p63. Infine, sono state allestite culture cellulari di cellule stromali di 3 FAD, che sono state trattate con estradiolo. Risultati Solo ER-β è risultato espresso nelle cellule stromali dei casi esaminati, con una maggior espressione nei PT e nei FAD con stroma iper-cellulare. Nei FAD, l’elevata espressione è risultata direttamente correlata con la giovane età della paziente, contrariamente a quanto osservato nei PT. In entrambe le lesioni, le cellule ER-β+ esprimevano un fenotipo di muscolo liscio (actina e/o calponina) mentre non si è mai osservata l’espressione di p63. Le cellule stromali dei 3 FAD messi in cultura sono risultate ER-β+; il trattamento con estradiolo ha determinato un aumento della crescita cellulare e della percentuale di cellule differenziate in senso miofibroblastico. Conclusioni L’aumenta espressione di ER-β nelle giovani donne e nei FAD a stroma più cellulare suggerisce uno specifico meccanismo ormono-dipendente nella regolazione della crescita di tali lesioni. Inoltre, l’associazione di ER-β con il fenotipo muscolare liscio indicherebbe un ruolo degli estrogeni nelle differenziazione miofibroblastica delle cellule stromali. In ultimo, questi risultati potrebbero essere utilizzati per valutare l’inserimento di antagonisti recettoriali ER-β selettivi nel trattamento adiuvante dei PT maligni. 225 Metastasi di carcinoma mammario in meningioma: il fenomeno del “tumor in tumor” I. Castellano, P. Cassoni, F. Benech*, A. Ducati*, G. Bussolati Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino, Italia; * Sezione di Neurochirurgia e Neuroscienze, Università di Torino, Italia Introduzione L’evento di una metastasi di un carcinoma in un tumore intracranico primitivo è raro. Tuttavia esistono segnalazioni in letteratura sull’esistenza di particolari istotipi tumorali benigni che presentano caratteristiche tali da poter favorire l’insediazione di un cluster di cellule metastatiche. Il meningioma in particolare è un tumore benigno a lenta crescita ed altamente vascolarizzato che può accettare metastasi da tumori sistemici. È segnalata altresì in letteratura l’esistenza di una possibile associazione tra meningioma e carcinoma della mammella. Viene di seguito descritto il caso di una donna di 65 anni, operata 3 anni prima di carcinoma mammario, attualmente ricoverata in stato comatoso, presentante una lesione fronto-temporale destra clinicamente e radiologicamente sospetta per meningioma. Metodi Il caso è stato documentato radiologicamente, istologicamente e con metodiche immunoistochimiche per definire i fenotipi cellulari. Risultati Il quadro radiologico riportava una lesione singola, frontotemporale destra, iperdensa con modesto edema perilesionale. Tuttavia, all’esame istologico il quadro morfologico metteva in evidenza, nel contesto di una attesa lesione meningea benigna con cellule disposte in aree vorticoidi, la presenza di una popolazione di cellule neoplastiche maligne. Queste ultime sono risultate negative alla vimentina (venuta invece positiva nelle cellule meningoteliali) e positive agli anticorpi anti-citocheratina ed ai recettori degli estrogeni confermando così la primitività mammaria del carcinoma nel meningioma. Conclusioni La metastasi di un carcinoma in un meningioma è un evento possibile e da tenere sempre attentamente in considerazione. In particolar modo, oltre alla non infrequente associazione tra carcinoma della mammella e meningioma (come lesioni distinte), nelle donne con pregresso carcinoma mammario deve essere valutata la possibilità di una “colonizzazione” di cellule neoplastiche in un meningioma sviluppatosi successivamente. Parametri oggettivi di valutazione dell’attività maligna del linfonodo sentinella nel carcinoma mammario A. Colasante, G. Castrilli, E. Cianchetti*, U. Tatasciore, T. D’antuono, D. Angelucci U.O. Anatomia Patologica ASL/Università Chieti; * Senologia ASL/Università Chieti Introduzione La stadiazione del carcinoma mammario comprende la valutazione dello stato del linfonodo sentinella (LS) sia dal punto di vista clinico che istopatologico. L’American Joint Committee on Cancer (AJCC) Staging Manual, Sixth Edition, del 2002, COMUNICAZIONI E POSTER 226 distingue le ripetizioni linfoghiandolari ascellari in metastasi (MT), micrometastasi (MC) e cellule tumorali isolate (ITC). Dal punto di vista clinico sembra avere importanza il diverso tipo di metastasi MT vs. MC vs. ITC. In tal senso, ci sono lavori volti a determinare fattori predittivi dell’interessamento dei linfonodi ascellari in pazienti con LS positivo. Abbiamo valutato la capacità predittiva del LS sugli altri linfonodi del cavo ascellare omolaterale e reso riproducibile il concetto di attività maligna come definito dalla AJCC 2002. Metodi 57 LS positivi di pazienti con Carcinoma mammario invasivo sono stati completamente seriati. Le sezioni colorate alternativamente con Immunoistochimica (IIC) con citocheratine (CK), MIB1 e con tricromica di Masson (TrM). Secondo lo Stadio 47 tumori erano T1 e 10 T2; riguardo al Grado 38 tumori G1 e 19 G2-G3. Risultati Gruppo MT/TC ITC Gruppo MT/TC ITC n° casi T1 n° (%) T2: n° (%) 24 33 18 (75%) 29 (88%) 6 (25%) 4 (12%) n° casi G1 n° (%) G2-G3 n° (%) 24 33 15 (63%) 23 (70%) 9 (36%) 10 (30%) L’attività proliferativa MIB1-correlata, era maggiore del 5% in 16/24 LS che avevano MT/MC; mentre era assente (0%) in tutti i casi con ITC. La fibrosi-TrM (scala: 0, 1, 2) era presente in 21/24 LS con MT/MC, mentre era assente 33/33 LS con ITC. Conclusioni 1)Le MT e le MC sono associate ad ambedue le caratteristiche di attività maligna (fibrosi ed attività proliferativa). 2)Nelle ITC l’attività maligna è assente (MIB1 = 0, TrM = 0). 3)I casi a dimensione borderline tra MC e ITC presentano MIB1 > 5%/TrM = 0 oppure MIB1 < 5%/TrM > 0. Questa categoria borderline che mostra attività maligna come quella MT/MC, dovrebbe essere collocata, più opportunamente, nella classe MC. relazione al tipo di trattamento chemioterapico utilizzato. La valutazione dell’amplificazione dell’oncogene HER2/neu è comunemente eseguita mediante FISH, che è gravata dalla progressiva decadenza del segnale di fluorescenza, non premettendo una rivalutazione a posteriori. Lo scopo di questo studio è: A) di indagare sulla rilevanza clinica dell’amplificazione di HER2, mediante la nuova tecnica CISH (ibridizzazione in situ cromogena), in comparazione con l’evidenza di reattività immunoistochimica (IHC) della proteina espressa; B) di valutare il grado di sensibilità della CISH rispetto all’IHC. Materiali e metodi Nel presente studio sono stati valutati 52 casi di carcinoma della mammella per HER2 utilizzando: IHC con anticorpo policlonale anti-proteina di HER2 (rabbit, Ditta Dako, HercepTest) e di CISH mediante sonda Zymed per il gene. L’amplificazione dell’oncogene HER2 e l’espressione IHC della proteina è stata confrontata caso per caso con vetrini di controllo a positività nota. Risultati Le determinazioni IHC con Herceptest sono risultate positive (3+) in 6 casi su 52 (11,5%), negative (0,1+) in 6 casi su 52 (11,5%) e intermedie (2+) in 39 su 52 (75%). Tali dati sono stati confrontati con quelli ottenuti da CISH; è stata dimostrata corrispondenza con entrambe le metodiche sia per i casi negativi (100%) che per i positivi. 4 casi (10,25%) a reattività Herceptest intermedia (2+) su 39 sono risultati positivi, ossia con amplificazione del gene, con CISH. Conclusioni 1) l’analisi dell’espressione di HER2 mediante CISH ha dimostrato una buona sensibilità di individuazione di casi positivi rispetto all’immunoistochimica Herceptest, 2) una concordanza globale elevata ed, inoltre, 3) l’utilizzo di un cromogeno stabile, non fluorescente, ha permesso il recupero di pazienti per eventuale rivalutazioni e per nuove strategie terapeutiche. Bibliografia 1 Wixon CR, et al. Appl Immunohistochem Mol Morphol 2004;12. 2 Zarbo RJ, et al. Arch Pathol Lab Med 2003;127. Comparazione dei markers tumorali prima e dopo terapia neoadiuvante nel carcinoma localmente avanzato della mammella M. Di Bonito, F. La Vecchia, M. Staiano, M. Curcio, F. Formichelli U.O.C. di Anatomia Patologica, Istituto Tumori di Napoli Valutazione comparativa di HER2/neu mediante CISH e immunoistochimica nel carcinoma della mammella P. Cusatelli, E. Pagetta U.O. Anatomia Patologica, ULSS 15 Alta Padovana, Camposampiero (PD) Introduzione Il carcinoma della mammella rappresenta circa il 20% delle neoplasie maligne della donna. Sono stati identificati marcatori biologici di significato prognostico e predittivo, rappresentati dallo stadio di malattia, dallo stato recettoriale di estrogeni e progesterone, dall’attività proliferativa (Mib1 index) e dall’espressione di HER2/neu. L’iperespressione di HER2 ha significato prognostico sfavorevole nelle pazienti N+ e predittivo in Introduzione Abbiamo effettuato una rivalutazione immunofenotipica comparativa dell’indice proliferativo, dell’espressione recettoriale e dell’espressione HER/2 nel carcinoma localmente avanzato della mammella prima e dopo terapia neoadiuvante, per verificare un’eventuale variazione dell’espressione dei suddetti marcatori. Metodi Sono stati selezionati 62 casi di carcinoma mammario localmente avanzato. Dei casi sono stati definiti, sia sulla core biopsy che sul campione operatorio post-terapia neoadiuvante, istotipo, grading, ER, PgR, Ki-67, HER/2. Risultati All’esame istologico preoperatorio abbiamo riscontrato: 54 carcinoma duttale, 7 carcinoma lobulare e 1 carcinoma mi- PATOLOGIA DELLA MAMMELLA dollare; 3 di grado I, 39 di grado II e 20 di grado III. La determinazione immunofenotipica ha evidenziato: espressione dei recettori ormonali in 44 casi, assenza in 10 casi, in 8 casi negatività del progesterone; l’oncogene HER/2 è risultato intensamente espresso (score 3+) in 5 casi, non espresso (score 0) in 35 casi, parzialmente espresso (score 1+) in 15 casi e moderatamente espresso (score 2+) in 7 casi; l’indice proliferativo (Ki 67) risultava > 20% in 40 casi. Sui campioni chirurgici, dopo terapia neoadiuvante, non c’è stata discordanza di espressione recettoriale, ma solo una minima variazione delle positività degli elementi neoplastici in 15/44 casi. Tutti i casi in cui l’espressione della proteina HER/2 era assente (score 0) sono rimasti tali anche dopo terapia neoadiuvante; minime variazioni dell’intensità di membrana in 3/7 casi si sono osservati tra i casi score 1+ e 2+, però tutti con amplificazione genica negativa. Nei casi in cui c’era iperespressione HER/2 (score 3+) abbiamo riscontrato, invece, 1 caso con assente amplificazione genica sia sulla core biopsy che sul residuo tumorale dopo terapia neoadiuvante. L’indice proliferativo nel 50% dei casi è ridotto nelle cellule neoplastiche residue. Conclusioni La rivalutazione della risposta patologica dopo terapia neoadiuvante ha dimostrato modificazioni morfologiche tali da non essere più riconosciuto, in alcuni casi, l’istotipo; in accordo anche con i dati riscontrati in letteratura non si evidenzia una variazione statisticamente significativa dell’espressione dei markers suddetti nei carcinomi mammari trattati con terapia neoadiuvante. Il gene BRMS1 (Breast Metastasis Suppressor Gene 1) nel carcinoma mammario umano C. Di Cristofano, G. Lombardi, A. Capodanno, P. Aretini, P. Isola*, M. Tancredi, P. Collecchi, G. Naccarato, G. Bevilacqua, M.A. Caligo Dipartimento di Oncologia, Divisione di Anatomia Patologica e Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa, Italia; * Dipartimento di Patologia B.M.I.E., Università di Pisa, Pisa, Italia La mortalità per carcinoma mammario è strettamente correlata alla sua diffusione metastatica. Studi d’espressione genica su cellule tumorali con differenti potenzialità metastatiche hanno evidenziato più geni associati alla progressione metastatica. Il gene BRMS1 (Breast Metastasis Suppressor Gene 1) mappa nella regione 11q13.1-q13.2, frequentemente alterata durante la progressione del carcinoma mammario. L’espressione di BRMS1 riduce la capacità metastatica di linee cellulari umane in saggi in vivo, in maniera dipendente dai livelli di espressione dell’mRNA e della proteina esogena. Dato che il coinvolgimento di BRMS1 nel carcinoma mammario umano non è stato ancora dimostrato, scopo di questo studio è stato determinare il suo ruolo nella progressione tumorale, indagando l’espressione in un sistema in vivo (tumore vs. metastasi), e verificare la correlazione tra l’espressione del gene e la proliferazione cellulare in vitro (linea cellulare umana da carcinoma della mammella Hs578T). L’espressione di BRMS1 è stata quantificata per Real-Time RT-PCR nell’epitelio duttale normale, nel tessuto neoplastico e nelle metastasi linfonodali, di pazienti affetti da carcinoma duttale della mammella con almeno 10 di follow-up e nella linea cellulare Hs578T. L’RNA totale è stato estratto da popo- 227 lazioni cellulari isolate mediante microdissezione laser da tessuti congelati. L’espressione di BRMS1 nelle cellule neoplastiche è generalmente più alta che nelle rispettive popolazioni cellulari normali (p = 0,0005), mentre decresce nelle cellule neoplastiche metastatiche dei linfonodi (p = 0,001). I 47 pazienti analizzati sono stati stratificati in base alla loro prognosi, favorevole (liberi da malattia e/o vivi) o sfavorevole (con recidiva e/o deceduti per carcinoma della mammella). Sia l’analisi univariata (Log-Rank test p = 0,007) che l’analisi multivariata (Cox regression HR = 4,0 p = 0,054) hanno dimostrato che un’elevata espressione di BRMS1 nei tumori primari è associata ad un minore tempo di ripresa di malattia e di sopravvivenza. Analisi in vivo (tessuti) ed in vitro (Hs578T) mostrano che l’incremento d’espressione non sarebbe correlato con la proliferazione cellulare. Questo è il primo studio che evidenzia il coinvolgimento del gene BRMS1 nel carcinoma mammario umano. L’espressione di BRMS1 decresce durante la progressione del tumore mammario. I nostri dati suggeriscono tuttavia che una più alta espressione di BRMS1 nel tumore primario è correlata ad una prognosi peggiore. La localizzazione anatomica delle micrometastasi di carcinoma mammario al linfonodo sentinella è predittiva dello stato della dissezione ascellare L. Di Tommaso, C. Arizzi, D. Rahal, A. Destro, M. Alloisio*, S. Orefice*, A. Rubino*, E. Morenghi**, G. Masci**, I. Del Prato***, R. Sacco****, A. Santoro**, M. Roncalli Dipartimento di Patologia, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università di Milano; * Chirurgia ed ** Oncologia, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano; *** Senologia e **** Chirurgia, “Humanitas-Gavazzeni”, Bergamo Introduzione La maggior parte delle pazienti affette da carcinoma della mammella e con metastasi al linfonodo sentinella (LS), non ha ulteriori metastasi allo svuotamento ascellare (SA). Fra i parametri in grado di predire lo stato del SA il più significativo è rappresentato dalle dimensioni della metastasi. Metodi Nel periodo compreso fra il 01/01/2000 ed il 31/12/2004, 540 pazienti con carcinoma della mammella sono state sottoposte a biopsia del LS presso l’Istituto Clinico Humanitas. Di queste, 162 (30%) avevano metastasi al LS e sono state sottoposte a SA. Sia il LS che i linfonodi del SA sono stati esaminati su preparati inclusi in paraffina e colorati in E/E, senza il supporto di metodiche immunoistochimiche. Risultati Dei 162 casi, 62 (38%) erano rappresentati da micrometastasi e 100 (62%) da metastasi. In totale 53/162 (32,7%) pazienti avevano ulteriori metastasi al SA, con una differenza significativa (P < 0,0001) fra pazienti con metastasi (43/100, 43%) e quelli con micrometastasi (10/62, 16,1%). Significativo anche il dato relativo alla stratificazione delle pazienti con micrometastasi in relazione alla localizzazione [seni (1/31; 3%) vs. parenchima (9/31; 29%); P: 0,026] ed alla dimensione del focolaio metastatico nel LS [< 1 mm (3/37; 8%) vs. 1-2 mm (7/25; 28%); P: 0,045]. Conclusione I nostri dati mostrano che la presenza di ulteriori metastasi al SA è correlata alla localizzazione delle micrometastasi COMUNICAZIONI E POSTER 228 nel LS. È interessante osservare come questo ultimo dato fosse già stato segnalato per le metastasi di melanoma e sembra trovare una spiegazione razionale in recenti studi di biologia molecolare. È noto che melanoma e carcinoma mammario si comportino in maniera analoga, dando metastasi alle stesse sedi (linfonodi, polmoni, fegato e M.O.); studi recenti hanno dimostrato che questo comportamento è dovuto alla presenza di specifiche chemochine e relativi recettori. È possibile speculare che le cellule neoplastiche che entrano nel LS attraverso i seni linfatici aderiscano al parenchima in presenza di uno specifico recettore mentre, in assenza dello stesso, “saltino” il linfonodo dirigendosi ad altre sedi. I nostri risultati dimostrano che la localizzazione e la dimensione delle micrometastasi nel LS sono i parametri più significativi per predire lo stato del SA; viene inoltre suggerito che il profilo delle chemochine espresse dalle cellule neoplastiche possa essere utilizzato come indicatore della sede potenziale di metastasi. Breast presentation of follicular lymphoma F. Fiorentino, R. Laise, A. De Chiara, R. Franco, R. Di Francia*, P. Della Cioppa*, G. Botti Anatomia Patologica; * Ematologia Istituto dei Tumori “Giovanni Pascale”, Napoli Introduction Systemic follicular lymphomas affect extranodal sites in only 10% of cases. Rarely extranodal presentation is the first sign of a systemic follicular lymphoma 1. We report the case of 83 years old woman undergone to breast biopsy for a mammografic nodular lesion. A diagnosis of intraductal papyllary carcinoma of left breast was done, but a sparse and irregular lymphoid follicular prolypheration, of little lymphoid cells without clearly mantle zone 2. Materials and metods Immunohistochemistry for characterization of lymphoid prolifereation was performed. Moreover we extracted the DNA with molecular biology PCR analysis was performed in order to detect eventual t(14;18). Results Lymphoid nodules resulted positive essentially to CD20,CD10, bcl6 and bcl2. PCR analysis showed t(14; 18). We interpreted sparse lymphoid nodules as expression of systemic follicular lymphoma. In fact the patient showed lomboaortic lymphoadenomegaly and cutaneous frontal lesion with histologic, immunophenotipic and molecular feature of a follicular lymphoma 2. Discussion Lymphoid proliferation of extranodal sites could be expression of a systemic lymphoma. Immunohistochemical feature and molecular status must be used to interpret the neoplastic nature of these lesions and suggest an accurate clinical exam to identify a disseminated lymphoma. References 1 Franco R, et al. Mod Pathol 2001;14:913-9. 2 Bobrow LG, et al. Hum Pathol 1993;24:274-8. Carcinoma cistico ipersecretorio della mammella: una entità poco conosciuta. Descrizione di un caso e diagnosi differenziale E. Kuhn, L. Runza, S. Carinelli U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore Policlinico, “Mangiagalli - Regina Elena”, Milano, Italia Introduzione Il carcinoma cistico ipersecretorio della mammella (CCI) è una rara e controversa variante di carcinoma duttale in situ (CDIS) descritta da Rosen nel 1984, con non più di 40 casi descritti. Presentiamo 1 caso che ha posto il problema della diagnosi differenziale delle lesioni ipersecretorie e ne discutiamo il significato biologico. Metodi Caso clinico Donna di 37 anni con massa palpabile della mammella destra. La paziente aveva partorito l’anno precedente. Non era in allattamento né in terapia ormonale. A seguito di una core biopsy è stata sottoposta 1 mese dopo a mastectomia semplice con biopsia del linfonodo sentinella. La paziente è libera da malattia dopo 1 anno. Risultati La biopsia mostrava strutture cistiche di dimensioni variabili contenenti secrezione eosinofila simil-colloidea. L’epitelio di rivestimento variava da piatto a cilindrico pseudostratificato con focali micropapille intraluminali. I nuclei erano ampi, vescicolosi o ipercromatici, con rari nucleoli. L’attività mitotica era minima e la necrosi assente. Il pezzo operatorio presentava un’area multicistica, biancastra, a margini mal definiti di 3,2 cm. Le cisti a contenuto giallo-roseo, misuravano fra 0,1 e 0,7 cm. Microscopicamente l’aspetto era analogo alla biopsia. Le immunocolorazioni per recettori estrogenici e progestinici hanno mostrato una positività del 5% e 10% rispettivamente, mentre è risultato negativo per l’Her2Neu. Il linfonodo sentinella era negativo. Conclusioni Il CCI è un’entità di dubbia interpretazione 1, riconosciuta da alcuni come una variante di CDIS a basso grado 2 ma non inclusa nella classificazione WHO. A favore del simulatore di CDIS sono il decorso indolente, l’associazione con lesioni ipersecretorie benigne, e la discrepanza morfologica fra CCI e la componente invasiva, ad alto grado, quando presente. Tuttavia, la consistente presenza di atipia e micropapille, e l’associazione con carcinoma invasivo riscontrata nel 1520% dei casi, favoriscono una natura preinvasiva. La conoscenza del CCI consente di distinguerlo dall’iperplasia pregnancy-like e l’iperplasia cistica ipersecretoria, uno spettro di lesioni benigne correlate e spesso associate, e dal carcinoma secretorio (Tab. I). Ringraziamenti Gli autori ringraziano il Prof. Rosai per aver confermato la diagnosi. Bibliografia 1 Jensen, et al. Arch Pathol Lab Med 1988;112:1179. 2 Rosen, et al. Atlas of Tumor Pathology, Tumors of Mammary Gland. AFIP 1993:226-31. PATOLOGIA DELLA MAMMELLA 229 Tab. I. Diagnosi differenziale fra IPL, lesioni ipersecretorie e carcinoma secretorio. Caratteristiche IPL ICI ICIA CCI CS Età (media) Architettura 38-52 (45) Lobuli cistici 38-62 (52) Cisti duttali Analoga a ICI Cisti duttali 34-79 (56) Cisti duttali Secreto intraluminale Epitelio cistico Scarso Eosinofilo Eosinofilo Eosinofilo Singolo o doppio, talvolta micropapillare Piccoli e scuri Singolo, piatto o cubico Pseudostratificato Vescicolosi Ipercromatici, rari nucleoli Abbondante, chiaro. Granulare o vacuolizzato Vacuolati Eosinofilo Eosinofilo Focolai di CDIS a crescita micropapillare Grandi, ipercromatici, affollati. Nucleoli Scarso, senza secreto 9-69 (25) Microcistico e cribriforme Abbondante, pallido o amfofilo Papillare e cribriforme Lineari Lineari e frastagliati Nuclei Citoplasma Bordi citoplasmatici Irregolari, frastagliati, vacuoli apicali Piccoli e rotondi Abbondante, amfofilo Vacuolati IPL: iperplasia pregnancy-like. ICI: iperplasia cistica ipersecretoria. ICIA: iperplasia cistica ipersecretoria con atipia. CCI: carcinoma cistico ipersecretorio. CS: carcinoma secretorio. Immunolocalizzazione di p73∆N in una casistica di lesioni mammarie A. Labate, E. Mazzon*, F. Albiero, R. Cicciarello, G. Costa, M.E. Gagliardi, V. Cavallari Dipartimento di Patologia Umana; * Dipartimento Clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Sezione di Farmacologia; Policlinico Universitario, Università di Messina Introduzione Dall’analisi di diversi studi è stata riportata la possibilità che l’overespressione di p73∆N eserciti funzioni oncogeniche contribuendo alla genesi tumorale attraverso attività inibente le funzioni della p53 e della p73. cooperando con l’oncogene cMyc, E1A e con l’oncogene RAS. Materiali e metodi Le lesioni sono state studiate in microscopia ottica, microscopia elettronica a trasmissione, citometria a flusso, a pannel immunoistochimico per recettori ormonali ed a immunolocalizzazione dell’oncogene p73∆N Scopo è stato quello di valutare l’espressione più o meno aumentata dell’oncosoppressore, oncogene p73∆N in lesioni benigne, borderline e maligne. Risultati Nelle lesioni maligne l’espressione di p73∆N è stata correlata con il grado e tipo istologico, l’over espressione di HerB2, lo stato recettoriale per estrogeni e progesterone, la ploidia e l’SPF in citometria a flusso nonché la presenza o meno di basal lamina in MET. Tutte le lesioni maligne selezionte presentavano grading nucleare 3, nei carcinomi duttali infiltranti le lesioni analizzate esprimevano 24/40 contenuto di DNA iperploide e 16 un contenuto diploide. L’SPF presentava valori compresi tra 1,4% e 54% con una mediana di 11,45%. Nei carcinomi lobulari infiltranti l’iperploidia è stata riscontrata in 3/10 casi, 7 presentavano contenuto di DNA diploide. L’SPF presentava, valori tra 3,1% e 26,8% con una mediana di 14,25%. Le membrane basali erano costantemente assenti; il 30% delle lesioni presentava stato recettoriale negativo con over espressione di C-erb-2. Immunolocalizzazione di p73∆N: nessuna significativa espressione è stata osservata nelle lesioni benigne. Nelle lesioni borderline quali l’iperplasia duttale atipica è stata osservata una media positività in accordo con l’elevata potenzialità maligna delle lesioni. Un’intensa positività è stata osservata nelle lesioni maligne in relazione con altri parametri di aggressività quali il DNA iperploide con SFF elevata (valori normali circa 7%). In particolare una più intensa positività è stata osservata nelle lesioni maligne lobulari. Questi dati potrebbero accordarsi con quelli già descritti in letteratura e pertanto potremmo definire p73∆N più un oncogene che oncosoppressore, ma studi su casistiche più ampie potrebbero dare un contributo più significativo al dilemma oncogenetico del p73∆N. Bibliografia Oleksi Petrenko, et al. Molecular Cell Biol 2003;23:5540-55. Lesioni mammarie ad incerto potenziale di malignità: vero falso positivo di screening? Analisi istopatologica di 75 casi osservati presso lo screening mammografico di Verona E. Manfrin, R. Mariotto*, G.P. Pollini**, F. Pellini**, A. Remo, D. Reghellin, D. Dalfior, A. Eccher, F. Bonetti Istituto di Anatomia Patologica, Università di Verona; * Centro di Screening Mammografico, ULSS 20 di Verona; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Verona Introduzione La biopsia chirurgica rappresenta l’indagine diagnostica di riferimento, i.e. “gold standard”, alla quale si ricorre per la conferma di un sospetto cito-radiologico formulato durante un esame di screening mammografico. Un elevato valore pre- COMUNICAZIONI E POSTER 230 dittivo positivo per la biopsia chirurgica (PPV), corrispondente ad un basso rapporto biopsia benigna/biopsia maligna, rappresenta uno dei parametri qualitativi più importanti di un centro di screening. Una biopsia negativa per neoplasia, pur sottendendo da un punto di vista epidemiologico un falso positivo di screening, può rappresentare dal punto di vista strettamente patologico una lesione proliferativa ad incerto rischio evolutivo verso la malignità e pertanto meritevole di asportazione. Metodi L’organizzazione del CPSMV prevede la presenza di una sede e staff medico-tecnico-amministrativo dedicato allo screening; il personale medico composto da radiologi ed anatomopatologi esegue in tempo reale gli approfondimenti diagnostici di secondo livello (ecografia, citologia, microistologia) e dà l’indicazione alla biopsia chirurgica. Abbiamo analizzato le biopsie chirurgiche negative per neoplasia eseguite in conseguenza ad un sospetto cito-radiologico formulato presso il centro programma di screening mammografico di Marzana, Verona (CPSMV), e classificare il tipo di lesione proliferativa rilevata. Risultati Nei primi 5 anni di attività (1999-2004) presso il CPSMV sono state esaminate 55.000 donne di età compresa tra i 50-69 anni. I casi inviati a chirurgia sono stati 511; 424 casi (83%) malignità, 87 casi (17%) non-malignità. Il rapporto benignità/malignità è 0,2. Le biopsie “non-malignità” hanno rilevato all’esame istologico nell’86% (75 casi) lesioni a rischio e nel 24% (12 casi) lesioni benigne. Le lesioni a rischio alto, i.e. iperplasia atipica, sono 31% (23 casi); le lesioni a rischio incerto 69% (52 casi) (10 radial scars, 19 proliferazioni papillari, 1 mucocele-like lesion, 21 adenosi complex, 1 tumore fillode). Conclusioni Le lesioni ad incerto potenziale di malignità contribuiscono a formare quel 10% circa di lesioni mammarie che necessitano di asportazione chirurgica per una corretta classificazione 1. In esse sono presenti processi proliferativi con accertato rischio per lo sviluppo di neoplasia e il loro riconoscimento all’interno di uno screening dovrebbe ricadere tra i parametri di qualità. (Supported by Fondazione Cassa Risparmio VR-VI-BL-AN. Bando 2004. Progetto Cr. Mammella). Metodi Il paziente è un uomo di 86 anni che da circa un anno riferiva un dolore ciclico al capezzolo di destra. Nel 2004, viene sottoposto ad esame polifasico dove la clinica e la mammografia non riportano alterazioni significative. Nel 2005 in seguito a un nuovo episodio di dolore viene sottoposto ad esame clinostrumetale che mostra un’area eritematosa e una spiccata dolorabilità alla digitopressione del capezzolo ed ecograficamente una area edematosa con un aspetto spiculato del parenchima stromale retroareolare ed aumento di volume di alcuni linfonodi in cavo ascellare. L’esame citologico non viene eseguito a causa della dolorabilità della mammella. Si esegue una risonanza magnetica che evidenzia una lesione di 9 mm con fase contrastografica sospetta per carcinoma. Si decide per una biopsia chirurgica con esame estemporaneo della lesione che conferma la presenza di un carcinoma infiltrante. La mastectomia successiva riporta un carcinoma duttale infiltrante del diametro di cm 0,8 moderatamente differenziato con una spiccata angioinvasività anche dei linfatici subdermici (carcinomatosi dermica linfatica) e metastasi in cinque dei sette linfonodi ascellari. All’esame imunoistochimico la neoplasia mostra un basso indice replicativi con espressione dei recettori ormonali e iperespressione dell’HER2-neu (Hercep Test). Il paziente viene sottoposto a radio-chemioterapia. Risultati Il caso che riportiamo è uno dei pochi casi descritti in letteratura di carcinoma infiammatorio della mammella maschile e conferma l’età tardiva di insorgenza di tale malattia. Questa esperienza evidenzia l’importanza della risonanza magnetica come esame diagnostico in tale forma neoplastica e ne consiglia l’utilizzo. La negatività mammografica ed ecografica, in questa forma di carcinoma mammario possono determinare un ritardo diagnostico, che in questo caso è stato di molti mesi. Bibliografia 1 Chang S, Parker S, Pham T, Budzar A, Hursting SD. SEER 1975-1992 Inflammatory breast carcinoma. Incidence and Survival. Cancer 1998;82:2366-72. 2 Stalsberg H, Thomas DB. Age of distribution of histologic types of breast carcinoma. Int J Cancer 1993;54:1-7. Bibliografia 1 Linee guida europee per la qualità in anatomia patologica nello screening mammografico, 2004. Caratteristiche patologiche del cancro della mammella in Sudan: paragone con una ampia casistica italiana Carcinoma infiammatorio della mammella maschile. Descrizione di un caso A. Marchetti* **, D. Campani***, M. Barbareschi****, F. Buttitta* **, L. Brancone*, A. Mohamadani*****, K. Dafaallah Awadelkarim*****, G. Aceto**, S. Veschi**, A. Cama**, P. Battista**, E. Elgaili*****, A. Balal*****, F. Cuccurullo**, M. Di Gioacchino**, N. Eldin Elwali*****, R. Mariani-Costantini** E. Manfrin, A. Remo, G.P. Pollini*, F. Pellini*, D. Reghellin, D. Dalfior, A. Eccher, F. Bonetti, F. Menestrina Istituto di Anatomia Patologica, Università di Verona; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Verona Introduzione Il carcinoma infiammatorio è una forma molto aggressiva di carcinoma mammario che rappresenta tra l’1% e il 6% di tutti i casi di cancro mammario 1. Tale lesione tra la popolazione maschile è rarissima rappresentando circa lo 0,5% dei cancri mammari maschili. A differenza della forma femminile che si manifesta in donne più giovani rispetto all’età media del carcinoma mammario, nella forma maschile si manifesta in pazienti sensibilmente più anziani 2. * Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; ** Aging Research Center (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti; *** Dipartimento di Oncologia dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina; **** Unità di Anatomia Patologica, Ospedale di Trento, Italy; ***** Università di Gezira, Wad Medani, Sudan Ben poco è noto delle caratteristiche clinico-patologiche del cancro della mammella nell’Africa sub-Sahariana. Da studi epidemiologici condotti su serie di tumori raccolti in ospedali sudanesi emerge che il carcinoma mammario rappresenta la forme neoplastica più frequente. PATOLOGIA DELLA MAMMELLA Abbiamo esaminato una serie di 83 carcinomi mammari fissati ed inclusi, raccolti presso il Department of Pathology, Faculty of Medicine, University of Gezira, Wad Medani, Central Sudan nel corso degli anni 2001-2002. I campioni sono stati sottoposti ad accurato rivalutazione istopatologica e ad allestimento di microarray tissutali sui qual sono state condotte reazioni immunoistochimiche per lo studio dell’espressione di ER, PR e p53. I dati sono stati comparati con quelli ottenuti su una serie consecutiva di 780 carcinomi mammari raccolti in una singola sede italiana (Dipartimento di Oncologia dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina). I carcinomi midollari risultavano significamene più frequenti nella serie sudanese rispetto a quella italiana (10/83, 12% vs. 20/780, 3%, P < 0,0001), mentre le frequenze degli altri principali istotipi (ductale, lobulare, papillare and mucinoso) erano comparabili nelle due serie. I tumori mammari del Sudan erano più frequentemente negativi per l’espressione di ER e PR (P < 0,0001) e positivi per l’espressione di p53, anche se quest’ultimo dato risultava statisticamente non significativo. Inoltre la frequenza dei carcinomi mammari maschili risultava più elevata nella casistica africana (P < 0,01). L’elevata incidenza di carcinomi midollari nella serie sudanese, non riportata in letteratura per le pazienti afro-americane, suggerisce che particolari fattori genetico-ambientali possano essere implicati nell’etiopatogenesi del carcinoma mammario in Sudan. Questa ipotesi è supportata anche dalla più alta incidenza di carcinomi della mammella maschili. La bassa espressione dei recettori per estrogeni e progesterone e la più alta frequenza di espressione di p53 nella serie africana può essere ascritta alla più elevata aggressività dei tumori mammari insorti nelle donne africane e afro-americane, ma potrebbe anche riflettere uno stato più avanzato di malattia neoplastica conseguente a una diagnosi tardiva. Studio finanziato da MIUR-COFIN, Università-Fondazione “G. d’Annunzio” e da INMO, Wad-Medani City, Sudan. Carcinoma mammario e mesotelioma maligno della pleura: un’associazione casuale? C. Rizzardi, M. Schneider, D. Camilot, V. Nicolin*, M. Melato UCO di Anatomia Patologica, Università di Trieste, Trieste, Italia; * Dipartimento di Morfologia Umana, Università di Trieste, Trieste, Italia Il problema della molteplicità neoplastica nei pazienti affetti da mesotelioma è ben documentato. In quest’ambito, dall’analisi della letteratura emerge l’esistenza di un rapporto tra carcinoma della mammella e mesotelioma della pleura, ulteriormente comprovato dalla casistica presentata, proveniente dagli archivi dell’Unità Operativa di Anatomia ed Istologia Patologica dell’Ospedale di Monfalcone, città nota per l’attività cantieristica e per gli elevati tassi di incidenza di mesotelioma maligno. La casistica è costituita da cinque donne, quattro decedute (età media 63,25 anni, range 42-80) ed una vivente (85 anni), la cui storia clinica è caratterizzata dall’associazione di un carcinoma della mammella con un mesotelioma della pleura; due di queste pazienti, inoltre, sono state colpite da una terza neoplasia, rispettivamente un carcinoma della vulva ed un carcinoma uroteliale della vescica. 231 Tre di queste donne presentavano un’anamnesi positiva per esposizione all’asbesto confermata, al momento del riscontro diagnostico, dalla presenza di corpi dell’asbesto nel tessuto polmonare in quantità significativa. Dal punto di vista istologico, i mesoteliomi erano di tipo epitelioide in due casi, bifasico in tre casi; le neoplasie mammarie erano tutte rappresentate da carcinomi duttali infiltranti, in un caso con aspetti associati di carcinoma tubulare. I possibili meccanismi alla base dell’associazione tra carcinoma della mammella e mesotelioma pleurico sono: 1)un fattore genetico predisponente comune, ipotesi avvalorata dalla presenza di una terza neoplasia in due delle cinque pazienti; una metilazione anomala dei geni p57KIP2, HIN-1 e dei decoy receptor di TRAIL ed una iporegolazione di sFRPs sono state descritte sia nel carcinoma mammario che nel mesotelioma; 2)un fattore virale oncogeno, ad esempio SV40, in grado di agire sia sulla mammella che sulla pleura; 3)un’azione oncogena diretta dell’amianto anche sulla mammella; 4)un ruolo eziologico della terapia del carcinoma mammario nell’insorgenza del mesotelioma. L’associazione tra radioterapia per carcinoma mammario e mesotelioma pleurico è ben documentata in letteratura ed avvalorata dalla nostra casistica: ben tre delle pazienti erano state sottoposte a terapia radiante e, in due di queste, la sede del mesotelioma corrispondeva a quella del pregresso carcinoma mammario. Dalla letteratura emerge che anche la chemioterapia può entrare in gioco, forse sulla base di una predisposizione genetica. Valutazione istopatologica del linfonodo sentinella: analisi dei risultati in oltre due anni di esperienza F. Saro, C. Di Loreto, C.A. Beltrami, M. Pandolfi Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico Universitario a Gestione Diretta, Udine Introduzione Nell’epoca in cui la patologia d’organo viene trattata sempre più di frequente con un approccio multidisciplinare, al fine di ottenere la massima radicalità con la minore distruttività, il trattamento conservativo delle neoplasie vede impegnata sempre maggiore forza intellettuale e tecnologica. In questo ambito rientra la procedura clinico-patologica della valutazione del linfonodo sentinella, che permette di ridurre la morbilità post-intervento e di migliorare la qualità di vita dei pazienti che vi vengono sottoposti. Tuttavia non c’è accordo per quanto riguarda il trattamento istopatologico del linfonodo sentinella nel carcinoma mammario, soprattutto per quanto riguarda il numero delle sezioni da esaminare, l’uso routinario di tecniche ancillari e, tra queste, quale sia la scelta elettiva tra immunoistochimica e biologia molecolare. Metodi Noi riportiamo la casistica dell’Anatomia Patologica del Policlinico Universitario di Udine, riferendoci ad un intervallo temporale che va dal 1/1/2003 al 31/5/2005, documentando i dati statistici preliminari relativi ai linfonodi sentinella, prelevati nella stessa seduta operatoria, in pazienti sottoposte a quadrantectomia mammaria per carcinoma. I linfonodi sono stati valutati in parte in esame estemporaneo, dopo congela- 232 zione in azoto liquido e sezionati al criostato, ed in parte dopo fissazione in formalina ed inclusione in paraffina, con l’applicazione routinaria dell’immunoistochimica con anticorpi anti-citocheratine (MNF 116, EPOS Dako). Risultati In totale sono stati effettuati 166 esami, di cui 83 in intraoperatoria e 83 dopo fissazione in formalina ed inclusione in paraffina, con un totale di 331 linfonodi esaminati. I linfonodi erano un minimo di 1 e un massimo di 7, per i linfonodi esaminati in esame estemporaneo, e un minimo di 1 e un massimo di 13 per quelli fissati ed inclusi in paraffina, con una media di 1,9 nel primo e di 2 nel secondo gruppo. Nei 76 casi di carcinoma infiltrante (stadio pT1 e pT2) sottoposti ad esame estemporaneo del linfonodo sentinella, le metastasi rilevate sono state in totale 16 (21%), in complessivi 19 linfonodi metastatici; di queste 7 erano micrometastasi (9,2%). Nel secondo gruppo descritto abbiamo riscontrato 22 casi di metastasi su 75 casi di carcinoma infiltrante (stadio pT1 e pT2), (29,3%), di cui 8 micrometastasi (10,7%), con 32 linfonodi metastatici nel complesso. Segnaliamo inoltre il riscontro di 4 casi con cellule neoplastiche isolate nei seni linfonodali (ITC i +) negli esami fissati e inclusi in paraffina (4,8%). Conclusioni I nostri dati si dimostrano in linea con quelli presenti in letteratura, che riguardano casistiche in cui si esegue una procedura di esame estensivo del linfonodo sentinella, con l’allestimento di numerose sezioni istologiche e l’ausilio delle indagini di immunoistochimica. Mammary neuroendocrine carcinoma (socalled carcinoid tumor). A two cases report N. Scibetta, L. Marasà Servizio di Anatomia Patologica; ARNAS Civico “Di Cristina”, Ascoli; Palermo Introduction Mammary neuroendocrine carcinoma is a rare neoplasm with a poor prognosis compared with other invasive carcinomas. It is part of a group of neoplasm with morphologic, immunohistochemical and histochemical features (argyrophilia) identical to those of neuroendocrine tumours both of the gastroenteric tract and of the lung. This group must be differentiated from those mammary carcinomas, that apart from a peculiar morphology, show histochemical and immunohistochemical endocrine features. Such a definition can be seldom observed in the breast. Until alone 90 cases have been reported in the literature. Here we report two cases of mammary “carcinoid tumour” in women of 54 and 69 years old, with metastasis in the homolateral axillary glands, without correlated endocrine symptomatology. Methods Both patients has been subjected to quadrantectomy with homolateral axillary limpho-adenectomy. The specimens sent, were buffered 4% formalin fixed and paraplast-plus embedded. Sections have been prepared for H&E, alkaline alcian blue, PAS, grimelius. Immunohistochemical analisys was perfomed with antibodies against CK, chromogranin A, NSE, synapthophisyn, ER, PR, TTF1, vimentin, S100, CEA, Ecadherin. Results Macroscopically both the neoplasm were firm, circumscribed, with maximum diameter of 3 cm. Microscopically the tumor cells were mean sized, arranged in solid nest, sep- COMUNICAZIONI E POSTER arated by fibrous tissue, with rosette-like formations. The tumor cells were argyrophilic but not argentaffin, positive for NSE, chromogranin A, synapthophisyn, CK, ER, PR, negative for E-cadherin, CD10, TTF1. The immunohistological findings have excluded the lobular carcinoma and a metastasis to the breast of a carcinoid tumor located elsewhere. Conclusions Several theories have been formulated about the origin of mammary neuroendocrine carcinoma. It may arise from primitive epithelial cells, with the capacity to differentiate focally or extensively towards an endocrine line, or may arise from APUD cells, placed within the mammary parenchyma. Our case report otherwise resemble ordinary ductal-type carcinoma, for the positivity for estrogen and progesteron receptors, the presence of an in situ component, and the absence of histochemical feature (argentaffinity) similar to those carcinoid tumors of midgut derivation. Therefore we think that mammary “carcinoid tumor” is the example of carcinoma arising from primitive epithelial cells, with the capacity to differentiate towards an endocrine line, as described in other organs. Ruolo della COX2 nello switch angiogenico e nella metastatizzazione tumorale indotti dal gene HER2 C. Sulpizio, M. Mariotti, T. Pannellini, P. Ascione, M. Baldacci, R. Spizzo, L. Borgia, M. Iezzi, M. Liberatore Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti Introduzione L’amplificazione del gene HER2 si ritrova in circa il 30% dei carcinomi mammari umani e si associa a prognosi sfavorevole. I carcinomi mammari, che risultano negativi per i recettori degli estrogeni e mostrano amplificazione dell’HER2, tendono ad esprimere alti livelli di ciclo-ossigenasi (COX)2. La COX2 catalizza reazioni chimiche che risultano essere uno step limitante nella formazione dei prostanoidi a partire dall’acido arachidonico. Studi sempre più numerosi suggeriscono che la COX2 giochi un ruolo importante nella tumorigenesi mammaria mediata dall’HER2. Metodi Il ruolo della COX2 è stato valutato durante lo sviluppo tumorale nei topi BALB-neuT, transgenici per la forma attivata dell’oncogene HER2/neu di ratto che costituiscono un valido modello di carcinogenesi mammaria. I carcinomi che si sviluppano in tali topi hanno una crescita estremamente aggressiva dipendente dall’espressione di HER2 e risultano negativi per i recettori degli estrogeni. Risultati A 4 settimane di vita i topi mostrano nell’epitelio mammario un’iperplasia atipica diffusa e proliferante. Le cellule epiteliali esprimono HER2, COX2, mPGES (Microsomal Prostaglandin E Synthase) 1, VEGF, MMP2 (Metalloproteinase 2) e PTEN2 (Phosphatidylinositol phospholipid phosphatase 2). Questa fase precoce della crescita tumorale si associa con un aumento nello sviluppo della rete vascolare e con la comparsa di cellule epiteliali che superano la membrana basale dei dotti ed infiltrano lo stroma. Nei carcinomi in fase avanzata (verso la 27a settimana di vita) l’espressione dell’HER2 e della mPGES1 appare confinata alle zone periferiche suggerendo che la trascrizione dei due geni possa essere influenzata da inter-relazioni epitelio-stromali. PATOLOGIA DELLA MAMMELLA 233 Conclusioni Tali osservazioni suggeriscono che nei tumori HER-2 positivi, overesprimenti COX2, la PGE2 induca la produzione di VEGF e di MMP, richiesta per i processi di neoangiogenesi e di invasione-disseminazione, e che un eventuale blocco della COX2 possa inibire la progressione e la metastatizzazione tumorale contrastando lo switch angiogenico ed il potenziale invasivo delle cellule tumorali. References 1 Ristimaki A, et al. Cancer Res 2002;62:632-5. 2 Perrone G, et al. Histopathology 2005;46:561-8. COX-2 expression in ductal and lobular intraepithelial neoplasia of the breast Anatomia Patologica, * Oncologia Medica, ** Unità di Senologia, Università Campus Bio-Medico, Roma M. Zagami, G. Perrone, A. Bianchi, D. Santini*, B. Vincenzi*, V. Altomare**, G. Tonini*, C. Rabitti Background Breast cancer is the most common cancer in women and is second only to lung cancer as a cause of cancer-related mortality. Epidemiological studies suggest that regular intake of NSAIDs may protect against breast cancer. There is considerable evidence that links COX-2 to the development of cancer. Overexpression of the COX-2 gene in mammary glands of transgenic mice has been found to be sufficient to induce tumorigenesis. Several studies have investigated COX-2 expression in breast invasive cancer and in ductal carcinoma in situ, but none has evaluated the protein expression in lobular intra-epithelial neoplasia. The aim of our study was to assess, by immunohistochemical method, COX-2 expression in lobular intra-epithelial neoplasia and verify any significative difference of expression among the three different grade of lobular intra-epithelial neoplasia (LIN) according to Tavassoli classification 1. Methods We analyzed the expression of COX-2 protein by immunohistochemistry in tissue samples of 27 LIN, of which 7 were classified as LIN1, 15 LIN2 and 5 LIN3. The antibody used was a mouse monoclonal antibody against COX-2 protein (clone CX-294 Dako). For the evaluation of COX-2 expression, we used an immunohistochemical score which represents the product of percentage of tumour cell positivity and staining intensity, both for membrane and citoplasmatic immunostaining. Results COX-2 immunostaining showed a prevalent membrane pattern versus citoplasmatic one. Membrane COX-2 expression was detected in 21/27 (77.8%) samples of LIN. COX-2 was expressed in 5/7 (71.4%) LIN1, 15/15 (100%) LIN2 and 1/5 (20%) LIN 3. Considering the percentage of COX-2 membrane staining, no significant difference was found between LIN1 and LIN2 (p = 0.156), while a significant statistical difference was found between LIN2 and LIN3 (p = 0.001). Moreover, a tendency to correlation was detected between LIN1 and 3 (p = 0.073). Furthermore, classifying LIN in two subgroups, low grade LIN (LIN1 and 2) and high grade LIN (LIN3), a significant statistical difference was detected in membrane COX-2 expression (P = 0.002). Conclusions Our results show that COX-2 is highly expressed in LIN supporting the role of COX-2 protein in the early step of carcinogenesis. Moreover, the significant difference of COX-2 expression in low grade LIN vs. high grade LIN may represent the rational for using COX-2 selective inhibitors in lobular intraepithelial neoplasia. Anatomia Patologica, * Oncologia Medica, ** Unità di Senologia, Università Campus Bio-Medico, Roma Background Cyclooxigenase-2 (COX-2) is an inducible enzyme that converts arachidonic acid to prostaglandins. COX-2 expression is sufficient to induce mammary tumorigenesis in transgenic mice and selective COX-2 inhibitors are both chemopreventive and chemotherapeutic in rat models of breast cancer 1. There is accumulating evidence suggesting the role of COX-2 in breast tumour development and progression. Genetic and pharmacological studies indicate that COX-2 induction represents an early step in breast tumorigenesis. An our recent study has demonstrated a high COX-2 expression in ductal intra-epithelial neoplasia in contrast to invasive ductal breast cancer 2. The aim of the current study was to assess, by immunohistochemical method, COX-2 expression in lobular intra-epithelial neoplasia (LIN) to verify any significant difference of expression with ductal intra-epithelial neoplasia (DIN). Methods We analyzed the expression of COX-2 protein by immunohistochemistry in tissue samples of 52 archival cases of breast intra-epithelial neoplasia, of which 25 DIN and 27 LIN. The antibody used was a mouse monoclonal antibody against COX-2 protein (clone CX-294 Dako) at a 1:50 diluition. For the evaluation of COX-2 expression, we utilized an immunohistochemical score calculated combining an estimate of percentage and staining intensity of immunoreactive cells, both for membrane and citoplasmatic immunostaining. Results Cox-2 expression was found in 42 lesions (80.8%). Only 10 lesions (19.2%) resulted negative. A significant different localization of COX-2 immunoreactivity was observed between DIN and LIN. DIN demonstrated a prevalent COX-2 citoplasmatic staining (DIN 72% vs. LIN 37%; P = 0.011), on the contrary LIN demonstrated a prevalent membrane pattern (LIN 78% vs. DIN 56%; P = 0.003). Furthermore, if COX-2 expression was distinguished in high and low, COX-2 was found to be more expressed in LIN (15/27, 55.6%) than in DIN (7/25, 28%) and this difference resulted statistically significant (P = 0.047). Conclusions Our results show that COX-2 is highly expressed in breast intra-epithelial neoplasia, as confirming the crucial role of COX2 in the early steps of carcinogenesis. Furthermore we found a different pattern of localization of COX-2 immunostaining. This findings suggests a possible different activity of the enzyme on the basis of its localization. However, several studies in vitro and in vivo are needed to investigate the real significance of our data. Evaluation of COX-2 expression in lobular intraepithelial neoplasia M. Zagami, G. Perrone, A. Bianchi, D. Santini*, B. Vincenzi*, V. Altomare**, G. Tonini*, C. Rabitti Reference 1 Bratthauer GL, et al. Virchows Arch 2002;440:134-8. PATHOLOGICA 2005;97:234-240 Patologia dei polmoni e della pleura Espressione immunoistochimica di TTF-1 e Galectina-3 su tissue microarray in 145 casi di carcinomi non a piccole cellule del polmone (NSCLC): correlazione anatomo-clinica e possibile significato prognostico G. Bellezza, L. Cagini*, M. Barbareschi**, A.M. Piccolo**, A. Sidoni, A. Cavaliere, R. Del Sordo, R. Colella, G.M. Giustozzi*, P. Dalla Palma**, E. Bucciarelli Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico “Monteluce”, Perugia; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Policlinico “Monteluce”, Perugia; ** Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Chiara”, Trento Introduzione Il fattore di trascrizione tiroideo (TTF-1) è un utile marcatore diagnostico nella distinzione tra neoplasie primitive e secondarie del polmone. Tuttavia il suo ruolo come fattore prognostico è ancora molto discusso, considerati i contrastanti risultati riportati in letteratura. Recentemente è stato osservato 1 come la co-espressione di TTF-1 e Galectina-3 possa predire un comportamento più aggressivo nei tumori non a piccole cellule del polmone (NSCLC). Scopo di questo lavoro è quello di valutare il significato dell’espressione del TTF-1 e della galectina-3 in una casistica di NSCLC. Materiali e metodi Sono stati considerati 145 casi di NSCLC, stadio I e II operati in maniera radicale. L’espressione immunoistochimica del TTF-1 e della Galectina-3 è stata valutata con la tecnica del tissue microarray su 135 campioni (120 maschi e 15 femmine; età media 66 anni, range follow-up 31-82). Il followup medio globale è stato di 39,9 mesi. L’espressione immunoistochimica del TTF-1 e della Galectina-3 è stata correlata con i principali parametri anatomo-clinici (sesso, età, tipo istologico, pT, pN, grado di differenziazione) e il significato prognostico valutato mediante curve di Kaplan-Meier. Risultati Immunoreattività per TTF-1 e Galectina-3 si è riscontrata rispettivamente in 44/135 casi (32,6%) e in 68/131 casi (52%); in particolare il TTF-1 è risultato maggiormente espresso negli adenocarcinomi e nei carcinomi bronchioloalveolari (p = 0,000), mentre la Galectina-3 prevalentemente nei carcinomi anaplastici a grandi cellule (p = 0,026). L’espressione del TTF-1 e della Galectina-3 non sembra influenzare significativamente la prognosi, mentre un trend di correlazione si osserva suddividendo i casi in rapporto alla co-espressione del TTF-1 e della Galectina-3 (p = 0,09). In particolare il fenotipo Galectina-3+/TTF-1- è risultato quello a prognosi migliore. Conclusioni Nella nostra casistica l’espressione immunoistochimica del TTF-1 e della Galectina-3 si correla significativamente con il tipo istologico, ma non con gli altri parametri anatomo-clinici considerati. La co-espressione del TTF-1 e della Galectina-3 individua sottogruppi di pazienti con differenti profili prognostici suggerendone una possibile interazione. Bibliografia 1 Puglisi F, et al. Cancer Letters 2004;212:233-9. Espressione del gene Int6 nei tumori polmonari non microcitomi: un nuovo marcatore prognostico C. Martella* **, L. Felicioni* **, F. Barassi* **, S. Salvatore* **, A. Chella***, A. Mezzetti**, F. Cuccurullo**, R. Callahan****, A. Marchetti* **, F. Buttitta* ** * Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; ** Aging Research Center (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti; *** Dipartimento di Chirurgia, Università di Pisa; **** Oncogenetic Section, Laboratory of Tumor Immunology, National Cancer Institute, N.I.H., Bethesda, Maryland, USA Introduzione Il gene Int-6 è stato per la prima volta identificato come sito di frequente inserzione del virus MMTV nei tumori mammari murini. Il ruolo oncogeno di Int-6 è emerso da studi condotti sulle forme chimeriche del gene che hanno dimostrato la loro intrinseca capacità di trasformare cellule in coltura e indurre tumori in topi nudi. Sulla base di recenti indagini, Int6 emerge come una proteina implicata in processi con finalità apparentemente opposte. Infatti, la proteina Int-6 risulta coinvolta sia nel processo di traslazione che nei meccanismi di degradazione proteica mediante legami con tre complessi cellulari: eIF3, proteosoma e COP9 signalosoma. Metodi In questo studio abbiamo esaminato lo stato del gene Int6 in una serie di 101 tumori polmonari, tutti al I stadio, e nei corrispondenti tessuti polmonari normali. Di tutti i pazienti esaminati erano noti i dati di follow-up, inclusi quelli relativi alla sopravvivenza libera da malattia e alla sopravvivenza globale. È stato esaminato sia lo stato di metilazione del gene, mediante trattamento del DNA con bisolfito e successiva PCR con primers che discriminano la sequenza metilata da quella non metilata, sia i livelli di espressione genica, mediante analisi quantitativa in Real-Time RT-PCR. Risultati Paragonando i livelli di espressione del gene Int6 presenti nel tumore con quelli presenti nel corrispondente tessuto normale, è stata documentata una iperespressione nel 73% dei tumori polmonari esaminati, mentre nei rimanenti casi era presente una ridotta espressione genica. Nell’85% dei tumori con ridotta espressione genica abbiamo osservato una ipermetilazione di Int6. Era presente una significativa correlazione fra stato di metilazione ed ipoespressione genica (P < 0,000001). Inoltre, è stata osservata una relazione statisticamente significativa fra i livelli di espressione di Int6 e il comportamento biologico della neoplasia, in quanto bassi livelli di espressione venivano riscontrati in pazienti con più breve sopravvivenza libera da malattia (p = 0,0004) e più breve sopravvivenza globale (p = 0,0020). Tale relazione è stata confermata da un’analisi statistica multivariata. Conclusioni I risultati ottenuti indicano che in un quarto delle neoplasie polmonari al I stadio si realizza una metilazione di regioni regolatorie del gene Int6, con conseguente ipoespressione del gene e che a tali processi corrisponde una particolare aggressività del tumore. PATOLOGIA DEI POLMONI E DELLA PLEURA Analysis of COX-2 involvement in the pathogenesis and therapy of human mesothelioma 235 La polmonite da legionella pneumophila a pattern non tipico A. Baldi, E.P. Spugnini*, I. Cardillo*, A. Verdina*, R. Galati*, M.P. Di Marino, F. Baldi, G. Citro* R. Bellocci, A. Casoria, B. Zappacosta, M.L. Brancone, M. Piccolomini, R. Zappacosta, A. Colasante, D. Angelucci Dipartimento di Biochimica, Patologia, II Università di Napoli; * “Regina Elena” Cancer Inst., Rome Istituto di Anatomia e Istologia Patologica e Citodiagnostica, Chieti, Italia Introduction Mesothelioma is a rare, highly aggressive tumour, accounting for less than 1% of all cancer deaths in the world. Although the association between exposure to asbestos and the development of mesothelioma is commonly accepted, the exact mechanism whereby asbestos induces mesothelioma is unknown. Moreover, mesothelioma has proved resistant to classical chemotherapeutic and radiation regimens and the natural history has not been influenced by standard therapy so far. COX-2 has been implicated in carcinogenesis of several neoplasms through the down-regulation of cell-mediated immunity, promotion of angiogenesis, inhibition of apoptosis, and the formation of carcinogenic metabolites. It has been recently suggested that COX-2 could be implicated in mesothelioma pathogenesis. Furthermore, COX-2 over-expression has been noted in many solid tumors and has been correlated with a worse prognosis in mesothelioma 1 2. Methods The effects of the COX-inhibitors piroxicam and NS-398 have been evaluated on the mesothelioma cell line MSTO211H both by in vitro (proliferation assay; FACS analysis; quantification of apoptosis-related proteins) and in vivo assays (evaluation of ortotopic tumor growth in nude mice). Results Treatment of MSTO-211H cells with COX-inhibitors at concentrations of the drugs between 5X10-4 and 1X10-4 resulted in significantly decrease of the proliferation rate of these cells. FACS analysis revealed that this effect was due to both an increase in apoptosis and stop in G1 of the cell cycle. Consistently, analysis at RNA and protein level showed that expression of several pro-apoptotic and anti-apoptotic factors was modulated in these cells. The analysis of COX-2 inhibitors treatment on mesothelioma cells in vivo in an ortotopic model of mesothelioma in nude mice revealed that piroxicam was effective in significantly increase the survival time of the animals when it was provided with cisplatin. Conclusions The in vitro and in vivo data presented clearly demonstrate that inhibition of COX-2 activity in mesothelioma cells is able to efficiently counteract the malignity of these cells by acting both on proliferation and apoptosis. These results underline the potential clinical utilization of COX-2 inhibitors as anti-tumor agents in the therapy of mesothelioma. Introduzione I processi flogistici parenchimali polmonari possono mostrare un quadro morfologico non tipico. Tra queste la polmonite da Legionella Pneumophila (LP), che necessita di integrazione laboratoristica e radiologica. Metodi Un paziente di 55 anni, con sindrome nefrosica in trattamento steroideo, è ricoverato in Chirurgia Toracica per febbre e tosse persistente. Quadro radiologico di consolidazione parenchimale escavata al lobo inferiore del polmone sinistro. Esami colturali per ricerca batteriologica di eventuali agenti infettivi. Le sezioni istologiche, sono state colorate con metodiche istochimiche (Giemsa e Ziehl Nielsen), immunoistochimiche (CD 68, CD 138, Mycobacterium bovis, catene k e λ), oltre che con quelle routinarie. Risultati L’esame istologico rivelava un addensamento atelectasico con vallo di fibroblasti proliferanti a demarcare un’area di necrosi centrale ricca di detriti fibrinosi. L’infiltrato flogistico era costituito da linfociti, aggregati in strutture pseudofollicolari prive di centri germinativi e da un elevato numero di plasmacellule e macrofagi, questi ultimi riuniti in formazioni pseudogranulomatose. Le plasmacellule, a morfologia tipica e CD138+, erano policlonali (k e λ). Assenti i granulociti neutrofili. La LP, evidenziata su coltura, era confermata indirettamente dall’elevato titolo anticorpale sierico specifico. Intervento di lobectomia inferiore sinistra. Il quadro morfologico, che poteva suggerire una LIP, non era suffragato da quello TC. Una patologia neoplastica plasmacellulare non era confortata né dagli esami elettroforetici né da quelli immunoistochimici. La polmonite da LP, sospettabile per la presenza del batterio, per la demarcazione del focolaio e per la necrosi, sembrava “esclusa” dall’assenza di infiltrato granulocitario e dalla ricchezza di plasmacellule. Conclusioni La polmonite da LP può avere una presentazione istologica “atipica” che va ricercata al fine di impostare una corretta terapia antibiotica. Questa patologia è talora scambiata per una LIP oppure per uno pseudotumore infiammatorio (granuloma plasmacellulare). I criteri istologici suggeriti, quelli radiologici e quelli laboratoristici, se correttamente applicati, conducono ad una corretta diagnosi. Ad oggi, a nostra conoscenza, in letteratura è descritto un solo altro caso di polmonite da LP con tali caratteristiche. References 1 Baldi A, et al. Thorax 2002;57:353-6. 2 Baldi A, et al. Thorax 2004;59:428-33. Bibliografia 1 Walsh JJ, et al. Chest 1991;100:1170-2. 2 AFIP, Atlas og Nontumor Pathology, First Series Fascicle 2, 2002. 236 L’iperplasia diffusa delle cellule neuroendocrine del polmone TTF1+ R. Bellocci, A. Casoria, B. Zappacosta, M.L. Brancone, M. Piccolomini, S. Magnasco, G. Lattanzio, D. Angelucci Istituto di Anatomia e Istologia Patologica e Citodiagnostica, Chieti, Italia Introduzione L’Iperplasia Diffusa delle Cellule Neuroendocrine del Polmone (IDCNP) è una condizione di infrequente riscontro e scarse conoscenze si hanno circa il suo decorso clinico e le possibilità terapeutiche. Metodi 2 casi di IDCNP sono stati osservati su lobectomie in presenza di processi flogistici cronici ad andamento fibrosante. Gli esami di diagnostica per immagini (RX, TC) preoperatori non rivelavano micronodularità sospette. Sezioni seriate di tessuto polmonare sono state colorate con EE e sottoposte ad indagini di immunoistochimica (Sinaptofisina, Cromogranina A, TTF1, Vimentina e MIB1). Risultati Il parenchima polmonare presentava aree di fibroelastosi con infiltrato flogistico cronico linfocitario. In alcuni bronchioli terminali si evidenziavano piccole vegetazioni endoluminali, ispessimento parietale ad opera di una popolazione epiteliale fusata a nuclei ipercromatici. In altri campi le vegetazioni sembravano diffondere negli alveoli senza connessione con la parete (aspetti di pseudo-diffusione). Gli elementi cellulari erano positivi per Sinaptofisina, Cromogranina A, per TTF1 e per MIB1 (30%); negativa era la vimentina. Tutti i foci descritti erano di dimensioni inferiori a 2 mm. La diagnosi è stata di IDCNP. Questa condizione viene distinta dai tumorlets e può accompagnare i Carcinoidi Tipici (CT), le fibrosi e le flogosi. Interessante è il reperto di positività per TTF1, che di norma è più frequentemente espresso dai Microcitomi (MC) e dai Carcinoidi Atipici (CA) piuttosto che dai CT. La IDCNP va differenziata anche da foci di attivazione fibroblastica riscontrabili nella polmonite interstiziale usuale (UIP) i quali, negativi ai markers neuroendocrini, risultano positivi per vimentina. L’espressione del 30% di attività proliferativa MIB1-correlata è certamente inusuale per un CT, mentre costituisce la regola per i CA e MC. Conclusioni L’espressione di TTF1 nell’IDCNP ci ha indotto a riconsiderare il significato di questa condizione. Dalla IDCNP potrebbero derivare i CT, ma anche i CA ed i MC. La differenziazione IDCNP/TTF1+ da IDCNP/TTF1- potrebbe essere più utile di quella IDCNP idiopatica vs. IDCNP secondaria. Tumore a cellule chiare del polmone: descrizione di un caso in un paziente nefrectomizzato per carcinoma renale a cellule chiare F. Corsi, R. Zamparese, A. Pennella, P. Bufo Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Servizio di Anatomia Patologica, Università di Foggia Introduzione Il tumore a cellule chiare del polmone (CCTL o sugar tumor, per il contenuto cellulare in glicogeno) è una rara neoplasia benigna, descritta da Liebow e Castleman nel 1963 1. COMUNICAZIONI E POSTER I pazienti sono asintomatici e la neoplasia viene scoperta incidentalmente all’Rx torace. Caso clinico Paziente di 74 anni, nefrectomizzato 12 anni prima per carcinoma renale a cellule chiare. Ricoverato per pancreatite, la TAC mostra nodulo del lobo polmonare superiore sinistro; che viene asportato. La lesione appariva come un nodulo rotondeggiante grigiastro a margini netti del ø max di 0,5 cm. Istologicamente, la neoplasia era ben delimitata, priva di capsula propria, costituita da ampie cellule poligonali con citoplasma chiaro e nuclei piccoli ed ipercromici, talora lievemente pleomorfi e nucleolati, con presenza di spazi vascolari sinusoidali; assente la necrosi. Le cellule tumorali erano PAS+; l’immunoistochimica (IIC) era negativa per CK ad alto e basso PM, HMB45, cromogranina, S-100 e CD34, fortemente positiva per NKI/C3 ed NSE; focalmente positiva la vimentina. Sulla base della morfologia e dell’IIC (negatività per le CK), è stata esclusa una metastasi di carcinoma renale ed è stata fatta diagnosi di CCTL. Discussione Il CCTL è una neoplasia benigna che può essere diagnosticata erroneamente come metastasi di carcinoma a cellule chiare, specialmente su sezioni al congelatore. La sua istogenesi è incerta: Liebow e Castleman ipotizzarono un’origine miogenica, non confermata dalla negatività delle indagini IIC per l’actina. È stata considerata un’origine epiteliale, ed in particolare un’associazione con le cellule di Clara, ma sono costantemente negativi i marker epiteliali. Altri autori hanno ipotizzato una derivazione da cellule di tipo neuroendocrino, pericitico o melanocitario: quest’ultima ipotesi è sostenuta dalla positività alla reazione IIC, nella maggior parte dei casi, per HMB45, HMB50 ed S-100 2. Il nostro caso mostra negatività per HMB45 ed S-100, forte positività per l’antigene melanocitario NKI/C3; sono in effetti descritti in letteratura casi HMB45-negativi. Il CCTL è considerato benigno ed è sufficiente la resezione chirurgica, sebbene siano riportati casi di tumori di grandi dimensioni e necrotici che hanno metastatizzato; pertanto è necessario considerare tale entità nella diagnosi differenziale delle neoplasie a cellule chiare del polmone. Bibliografia 1 Liebow AA, Castleman B. Am J Pathol 1963;43:13. 2 Gal AA, et al. Arch Pathol Lab Med 1991;115:1034-8. Significato prognostico della proteina p27Kip1 e del fattore di crescita Ki-67 in 122 mesoteliomi pleurici A. Pennella, M. Musti*, A. Scattone**, D. Cavone*, P. Nazzaro***, E. Mattioli**, R. Nenna**, L. Vurro**, L. Pollice**, G. Serio** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Foggia; * Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università, Bari; ** Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari; *** Dipartimento di Metodologia Clinica, Università di Bari Introduzione Il mesotelioma maligno (MM) è un tumore asbesto-correlato, particolarmente aggressivo (sopravvivenza media 6-18 mesi), in continuo aumento e resistente a protocolli terapeutici PATOLOGIA DEI POLMONI E DELLA PLEURA convenzionali. Stadio della malattia, istotipo tumorale e presenza di metastasi costituiscono i parametri prognostici più rappresentativi. L’identificazione di marcatori prognostici di tipo biologico rappresenta un importante obiettivo di ricerca e ben indagati nei tumori umani sono l’espressione di MIB-1 (Ki-67), p27kip1, p53 etc. che esprimono in maniera affidabile la relazione tra attività proliferativa tumorale e sopravvivenza. Scopo dello studio è la valutazione immunoistochimica (IIC) dell’espressione di Ki-67 e p27 in una casistica di MM e la correlazione del dato quantitativo con i parametri clinico-morfologici. Metodi La determinazione IIC dell’indice di proliferazione cellulare con l’anticorpo MIB-1 e della proteina p27 è stata effettuata su 122 MM della pleura diagnosticati e/o revisionati nel periodo 1990-2001 e inseriti nel Registro Regionale Mesotelioma (COR Puglia-DPR 366/96). I pazienti avevano ricevuto solo una biopsia toracoscopica e chemioterapia palliativa. L’immunopositività è stata espressa in valore percentuale su 500 cellule neoplastiche osservate ad alto ingrandimento. Risultati Abbiamo osservato 84 (68,9%) mesoteliomi epitelioidi (ME), 28 (23%) bifasici (MB) e 10 (8,2%) sarcomatoidi (MS). Il 73,8% dei casi era osservato nei maschi e il 26,2% nelle femmine. L’età media al tempo della diagnosi era di 66,6 anni (sd: 10,1; range: 23-90). Il tempo medio di sopravvivenza era di 12,1 ± 10,2 mesi (mediana 9,5); nei ME 13,41 ± 10,9 mesi, nei MB 10,25 ± 8,3 e nei MS 6,15 ± 4,9. Ki67(LI) e p27 presentavano valori di media ± sd di 32,4 ± 22,7 e 36 ± 23,9 rispettivamente. Le differenze non sono risultate significative. Una correlazione significativa è stata osservata con il tempo di sopravvivenza (p = 0,0001). Un’alta espressione di p27 era significativamente correlata (p = 0,001) ad una più lunga sopravvivenza (> 12 mesi) mentre alti valori di Ki-67 erano significativamente espressi (p = 0,0001) in pazienti con breve sopravvivenza (< 12 mesi). I due marcatori sono risultati inversamente correlati tra di loro. Nessuna correlazione è stata osservata tra p27 e Ki-67 con l’istotipo epitelioide e bifasico e con gli altri parametri clinici considerati. Conclusioni I risultati sottolineano la validità della p27 e del Ki-67 (LI) come indicatori prognostici IIC di routine nei pazienti affetti da MM. HHV-8 and EBV are not commonly found in idiopathic pulmonary fibrosis D. Reghellin, A. Zamò, V. Poletti*, L. Montagna, S. Pedron, P. Piccoli, M. Chilosi Department of Pathology, University of Verona, Verona, Italy; * Department of Diseases of the Thorax, “GB Morgagni” Hospital, Forlì, Italy Introduction Idiopathic Pulmonary Fibrosis/Usual Interstitial Pneumonia (IPF/UIP) is a diffuse and progressive lung disease whose pathogenesis is incompletely understood. Recently, the presence of Herpesvirus-specific DNA was detected in the large majority of cases of a series of IPF/UIP and other lung interstitial diseases. We have therefore tested our own IPF/UIP series for the presence of HHV-8 and EBV proteins. Methods 237 We used a variety of sensitive technologies including immunohistochemistry with NCL-HHV8-LNA and EBV-LMP1 antibodies, as well as EBV RNA (EBER) in-situ hybridisation; the presence of HHV-8 and EBV DNA was also investigated by means of PCR and subsequent analysis using a microfluidic apparatus. Results Despite the good sample quality, immunohistochemical, insitu hybridisation and PCR results were negative for both EBV and HHV-8. Conclusions We conclude that EBV and HHV-8 are not involved in the pathogenesis of IPF/UIP. Expression of p16 gene in pulmonary squamous cell carcinoma and in contiguous normal bronchial epithelium E. Rossi, E. Dessy, A. Benetti, A. Berenzi, A. Tironi, P. Baronio, P. Balzarini, P. Grigolato 2nd Department of Pathologic Anatomy, School of Medicine, University of Brescia Introduction The onset of the pulmonary squamous cell carcinoma (SCC) is clearly correlated to the habit of tobacco smoking. The carcinogenic effect of cigarettes develops through many steps over several years (multistep theory) and initiates in widely dispersed foci throughout the whole respiratory tree (fied cancerization). In this process smoke plays an important role in inactivating the p16 gene, an important component in cell cycle regulation 1. We studied the behaviour of the p16 gene by FISH and its production by immunohistochemistry in a group of patients with SCC and focalised our attention both on neoplastic tissue and on normal epithelium in bronchi and bronchioles adjacent to neoplasms. Methods Formalin-fixed, paraffin-embedded surgical resected samples of lung from 4 subjects with SCC and from 4 smokers with non-neoplastic pathology were considered. FISH was applied using probes labelling p16 region (9p21). The p16 gene probe spans approximately 190 Kb and contains a number of genetic loci including D91749, D9S1747, p16(INK4A), p14 (ARF), D9S1748, p15 (INK4B) while chromosome 9 was identified by a centromeric α-satellite probe. Immunostaining technique was carried out by using mouse anti-human p16 (INK4A), clone E6H4 antibody in CINtec p16 histology kit from Dako; immunostaining was considered positive when at least 10% of nuclei were stained 2; reactive stromal cells served as internal positive control. Results The p16 expression resulted negative in all the tumors and occasionally positive in 2/4 normal adjacent bronchi. In all tumors and in 2 normal bronchi FISH detected abnormalities in chromosome 9 (polysomy in 3/4 cases tumors and in 2/4 normal bronchi, monosomy in 1/4 tumor) and in the p16 region (1 signal for p16 gene in 2/4 tumor, more than 2 signals in 2/4 tumors and in 2/4 normal bronchi). No alterations (FISH and immunohistochemistry) were seen in control cases. Conclusion Our data support the concept of multistep cancerization in smokers in the histologically normal bronchi, in agreement 238 with others 3. This may be due to an accumulation of molecular alterations in histologically normal bronchial mucosa in the development of SCC of the lung. References 1 Belinsky SA, et al. J Clin Ligand Assay 2002;25:95-9. 2 Tanaka R, et al. Cancer 2005;103:608-15. 3 Caballero OL, et al. Genes, Chromosomes and Cancer 2001;32:11925. EGFR expression and mutation analysis in lung adenocarcinoma and tumor-associated atypical adenomatous hyperplasia G. Sartori, N. Bigiani, L. Schirosi, A. Cavazza**, G. Rossi, A. Marchioni*, F. Maselli*, A. Maiorana, M. Migaldi, G.P. Trentini Sezione di Anatomia Patologica, * Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Modena e Reggio Emilia; ** Unità Operativa di Anatomia Patologica, Ospedale SMN, Reggio Emilia Introduction Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR) is a tyrosine kinase receptor of the erbB family deeply involved in nonsmall cell lung cancer growth mechanisms. Recently, the finding of somatic mutations of EGFR has been correlated with nonsmokers, female sex and histologic subtype of adenocarcinoma (ADC) with bronchioloalveolar (BAC) features and implicated in the clinical response using selective EGFR-inhibitors. We analysed the EGFR status in lung ADC and in foci of tumor-associated atypical adenomatous hyperplasia (AAH), the pre-invasive lesion of ADC, in order to explore the role of EGFR mutation as early molecular event in lung carcinogenesis and the possible clonal relation between infiltrative and pre-invasive lesions of ADC. Methods We identified 8 cases of pulmonary ADC in which multiple foci of AAH were present in the normal adjacent parenchyma. In all cases, several 4-micron thick sections were obtained from formalin-fixed and paraffin-embedded representative blocks. Immunohistochemical analysis was performed using EGFR mAb (Dako) in an automated immunostainer (Benchmark, Ventana). Sequencing analyses were performed by PCR and EGFR exons 18, 19 and 21 were investigated. Results The cases consisted of 4 men and 4 women (7 smokers and 1 nonsmoker) with mixed acinar ADC with BAC (3 non-mucinous, 1 mucinous), 1 mucinous-BAC, 1 papillary ADC, 1 moderately-differentiated ADC and 1 non-mucinous BAC. EGFR expression was noted in all cases of ADC, BAC and AAH with a membrane pattern mainly restricted to mucinous-BAC. EGFR mutation analysis showed an identical puntiform mutation (L858R) on exon 21 in 1 case (non-mucinous BAC in a nonsmoker woman) both in BAC and AAH. No other mutational events were detected in the remaining lesions. Conclusions EGFR expression in neoplastic and pre-invasive lesions document a key role of this molecule in lung cancer, but did not permit a reliable selection of patients that could benefit from targeted therapies with small molecules. Although further in- COMUNICAZIONI E POSTER vestigations are required on larger series, the finding of an identical EGFR mutation in only 1 non-mucinous BAC and tumor-associated AAH and the lack of such mutations in the other combined lesions seems to suggest a clonal origin and a carcinogenetic early role of EGFR in a small subset of patients with lung cancer. Mesotelioma maligno primitivo peritoneale localizzato nel sacco erniario. Analisi genetica di due casi A. Scattone, A. Pennella*, M. Gentile**, M. Testini***, AL Buonadonna**, A. Gentile, D. Galetta****, L. Pollice, G. Serio Dipartimento di Anatomia Patologica, Università, Bari; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università, Foggia; ** Divisione Genetica, IRCCS, Castellana Grotte (BA); *** Dipartimento Scienze Chirurgiche, Università, Bari; **** U.O. Oncologia Sperimentale e Clinica, IRCCS, Bari Introduzione Il mesotelioma maligno primitivo del sacco erniario (MMPSE) è una neoplasia estremamente rara la cui prognosi risulta essere meno aggressiva della forma peritoneale diffusa e non presenta correlazione con l’esposizione all’asbesto. Il trattamento chirurgico associato alla radioterapia migliorano il decorso clinico della malattia e il tempo di sopravvivenza riportato in 3 pazienti deceduti (totale 7 casi descritti), varia tra 5 e 10 anni. Nel mesotelioma diffuso studi molecolari individuano perdite cromosomiche ricorrenti che rivestono un importante significato diagnostico. Scopo del presente lavoro è l’individuazione di alterazioni genetiche in due casi di MMPSE con CGH (Comparative Genomic Hybridization) e con analisi dei microsatelliti. Metodi e risultati Riportiamo due casi di MMPSE osservati incidentalmente in due maschi di anni 71 rispettivamente, sottoposti ad intervento di ernioplastica inguinale sinistra complicata. Entrambi i pazienti non riferivano nella storia clinico-anamnestica esposizione all’asbesto né precedenti interventi chirurgici addominali. Macroscopicamente il sacco erniario mostrava numerosi noduli di dimensioni variabili (1-3 cm nel caso 1 e fino a 10 cm nel caso 2). La diagnosi istologica di mesotelioma maligno veniva confermata dall’indagine immunoistochimica condotta su sezioni di tessuto paraffinato con metodo convenzionale (avidina-biotina-perossidasi) utilizzando anticorpi monoclonali: CK 5/6, calretinina, EMA, vimentina, CEA, BerEp4, HMB-1, leuM1, Ki-67 (Mib-1). L’analisi molecolare è stata effettuata su DNA estratto da campioni di tessuto paraffinato con tecniche standardizzate. L’indagine con CGH non ha evidenziato alterazioni cromosomiche e l’analisi dei microsatelliti instabilità. I due pazienti sono stati sottoposti a cicli di chemioterapia post-chirurgica: un paziente moriva dopo 53 mesi dall’intervento (Caso 1), l’altro risulta vivente e libero da ripresa di malattia a 36 mesi dalla diagnosi (Caso 2). Conclusioni Lo studio molecolare suggerirebbe l’esistenza di una via cancerogenetica distinta da quella del MM diffuso e ipotizzerebbe il coinvolgimento di meccanismi epigenetici nello sviluppo del MMPSE. PATOLOGIA DEI POLMONI E DELLA PLEURA 239 Expression and molecular analysis of tyrosine kinases EGFR, c-kit, PDGFRS and c-met in pleuropulmonary solitary fibrous tumors L. Schirosi, G. Sartori, N. Bigiani, A. Cavazza*, G. Rossi, A. Maiorana, S. Bettelli, L. Garagnani, M. Migaldi, G.P. Trentini Sezione di Anatomia Patologica, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena; * Unità Operativa di Anatomia Patologica, Ospedale SMN Reggio Emilia, Reggio Emilia Introduction Solitary fibrous tumor (SFT) is a rare mesenchymal tumor mainly occurring in the pleura. Its clinical course is usually benign but rare examples behave aggressively and no effective treatments exist in metastatic disease. We evaluated the role of several tyrosine kinases as possible targets for alternative molecular therapies in a series of pleuropulmonary SFT. Methods Thirty-four cases of pleuropulmonary SFT were retrospectively collected. All the cases were routinely formalin-fixed, paraffin-embedded and 3-micron thick sections were obtained from a representative block. All the cases were previously tested for CD34, bcl-2, CD99 and cytokeratins for diagnostic intent. Immunostains were performed using an automated immunostainer (Benchmark, Ventana). The following antibodies were applied: c-kit (Dako), EGFR (Dako), PDGFRα and PDGFRβ (Santa Cruz), c-met (NeoMarkers). Positive cases were quoted when tumors showed at least 10% of stained cells and a moderate-to-strong intensity staining. Sequencing analyses were performed by PCR and different domains of c-kit (exons 9 and 11), EGFR (exons 18, 19, 21), PDGFRα (exon 12), PDGFRβ (exons 12, 14, 18) and c-met (exon 14, 17, 18, 19) were investigated. Results Twenty-eight SFT had a favorable outcome, while five presented locoregional recurrences and 1 showed a frank sarcomatous overgrowth. At immunohistochemistry, no case showed staining for c-kit and EGFR, while all strongly expressed PDGFRβ and c-met. PDGFRα expression was noted in 8 cases. At molecular analysis, no mutations were detected in the tested exons of c-kit, EGFR, PDGFRα and c-met, while a puntiform mutation on PDGFRβ exon 18 (D850V) was found in the unique frankly malignant case. Conclusions We found that, among “drugable” tyrosine kinases, PDGFRβ and c-met were consistently expressed in SFT thus appearing somewhat involved in neoplastic growth mechanisms, while c-kit, EGFR and PDGFRα were completely negative or expressed in a limited number of cases, respectively. Most important, no mutations were detected on the tested exons of ckit, EGFR, PDGFRα and c-met, while a puntiform mutation on PDGFRβ exon 18 was observed only in the sarcomatous SFT. This finding clearly needs further investigations on larger series of malignant SFT, but one could argue that PDGFRβ mutations may be a key molecular step in malignant transformation of SFT and a predisposing event for targeted therapies with selective inhibitors. La certezza della diagnosi anatomo-clinica nei casi del registro siciliano dei mesoteliomi R. Tumino* **, C. Nicita**, S. Scondotto***, G. Dardanoni***, M. Di Giorgi***, A. Nicolosi***, A. Mira*** * U.O. Anatomia Patologica e ** Registro Tumori, Dipartimento Oncologia, Azienda Ospedaliera Ragusa; *** Dipartimento Osservatorio Epidemiologico Regione Sicilia, Palermo Introduzione La diagnosi di mesotelioma maligno richiede spesso un notevole impegno professionale e non può prescindere da un corretto inquadramento anatomo-clinico e radiologico-chirurgico del paziente. Le informazioni raccolte dal Registro Regionale Siciliano dei Mesoteliomi, istituito nel 1998 e riconosciuto dell’ISPESL, hanno reso possibile valutare il grado di certezza della diagnosi dei casi registrati nel periodo 19982002. Metodi Analisi descrittiva dei 280 casi di mesotelioma maligno in pazienti residenti in Sicilia corredati da referto isto/citologico. In accordo alle linee guida del DPCM n° 308 del 10.12.02 i pazienti sono stati classificati nelle seguenti categorie: mesotelioma maligno certo (con tre sottolivelli di certezza), mesotelioma maligno probabile (con due sottolivelli di probabilità) e mesotelioma maligno da definire. I dati sono tabulati per sesso e sede anatomica (pleura, peritoneo e pericardio). Risultati La Tabella evidenzia come l’istologia, l’IHC e la diagnostica per immagini (RX/TC) sono documentati e coerenti in 142 Livello di certezza diagnostica Tipo e coerenza della base di diagnosi Num. di casi e % Mesotelioma certo (quadro istologico caratteristico) Istologia, IHC e RX/TC coerenti. Istologia e RX/TC coerenti; IHC non effettuata o non dirimente o non disponibile Istologia caratteristica; IHC e RX/TC non effettuati o non dirimenti o non disponibili. 142 50,7% 99 35,4% 5 1,7% 10 9 3,6% 3,2% 15 5,4% 280 100% Mesotelioma probabile (quadro citologico caratteristico) Citologia con Citoncluso e RX/TC coerenti. Citologia senza Citoincluso e RX/TC coerenti Istologia o citologia dubbia (casi da definire) Istologia o Citologia dubbia senza IHC o IHC dubbia; RX/TC non significativo o dubbio TOTALE 240 dei 280 casi (50,7%), mentre 99 (35,4%) e 5 (1,7%) casi con quadro morfologico caratteristico non sono hanno rispettivamente IHC o IHC e RX/TC documentati o coerenti; i mesoteliomi probabili, cioè con diagnosi citologica e RX/TC significativa, sono rappresentati da 10 casi in cui l’esame citologico è stato fatto su striscio e citoinclusione e da 9 pazienti con solo il preparato su striscio. In 15 casi istologici (5,4%) non è stato possibile documentare la diagnosi in maniera conclusiva. Il più alto grado di certezza diagnostica (istologia, IHC e RX/TC coerenti) si è osservato nei due casi a localizzazione pericardica, in 11 dei 16 casi a localizzazione peritoneale e solo in 129 dei 257 mesoteliomi pleurici. L’IHC non è stata documentata o valutabile in 10 dei 20 mesoteliomi sarcomatosi e in 5 dei 12 bifasici mentre è risultata documentata nel 65% degli epiteliali. Il 72,5% delle donne affette da mesotelioma ha avuto il massimo livello di certezza diagnostica, mentre negli uomini questa percentuale è stata pari al 49,1%. Conclusioni Similmente alle altre regioni italiane si evidenzia che la diagnosi anatomo-clinica di mesotelioma non è documentabile in maniera definitiva in una discreta percentuale di casi; per migliorare la clinical governance ed in considerazione delle implicazioni medico-legali di questo tumore appare utile implementare audit anatomo-clinici al fine di ottimizzare la performance diagnostica. Espressione dei recettori per l’EGF (EGFR, ERBB2, ERBB3 e ERBB4) nei tumori neuroendocrini del polmone D. Vitolo, L. Ciocci, G. Deriu, S. Cortese, M. Matarrazzo, F. Longo, C.D. Baroni Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, I Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione L’espressione e la codistribuzione dei recettori per l’EGF partecipano ai meccanismi fondamentali che regolano la crescita e progressione neoplastica di numerosi tumori umani ed COMUNICAZIONI E POSTER in alcuni di essi hanno assunto significato prognostico (EGFR nei tumori della testacollo) e terapeutico (ErbB2 nel carcinoma della mammella). Metodi L’espressione e la codistribuzione di EGFR, ErbB2, ErbB3 e ErbB4 sono state valutate in 14 carcinomi epidermoidali, 22 adenocarcinomi, 11 carcinomi bronchioloalveolari, 20 carcinoidi atipici, 11 carcinomi neuroendocrini a piccole cellule e 10 carcinomi neuroendocrini a grandi cellule mediante metodo immunoistochimico. Risultati EGFR è espresso e codistribuito nel 50% dei carcinomi non a piccole cellule e nel 30% dei carcinoidi atipici. Nei carcinomi neuroendocrini a piccole e grandi cellule questo recettore è espresso rispettivamente nel 18% e 40% dei casi e codistribuito nel 33% e 50% di quelli positivi. ErbB2 è espresso e codistribuito nel 50% dei carcinomi non a piccole cellule e nel 60% dei carcinoidi atipici, in cui è codistribuito nel 75% dei casi positivi. ErbB2 è espresso rispettivamente nel 45% e 33% dei carcinomi neuroendocrini a piccole e grandi cellule ed è codistribuito nell’83% e nel 37% dei casi positivi. ErbB3 è espresso e codistribuito nel 70% circa dei carcinomi non a piccole cellule e nel 65% dei carcinoidi atipici, in cui è codistribuito nel 75% dei casi positivi. ErbB3 è espresso rispettivamente nel 27% e 50% dei carcinomi neuroendocrini a piccole e grandi cellule ed è codistribuito nel 50% e 72% dei casi positivi. ErbB4 è espresso e codistribuito nell’85% circa dei carcinomi non a piccole cellule, ed è espresso nel 75% dei carcinoidi atipici in cui è codistribuito nell’81% dei casi positivi. ErbB4 è espresso e codistribuito nel 90% dei carcinomi neuroendocrini a piccole e grandi cellule. Conclusioni EGFR non sembra giocare un ruolo significativo nella patogenesi dei tumori neuroendocrini. L’espressione e la codistribuzione di ErbB2 nel carcinoide atipico e nel carcinoma neuroendocrino a piccole cellule ne suggeriscono un possibile ruolo patogenetico in queste neoplasie. L’espressione e la codistribuzione di ErbB3 nel carcinoide atipico, potrebbe correlare con la capacità differenziativa di queste neoplasie, come già osservato in letteratura nei carcinomi non a piccole cellule PATHOLOGICA 2005;97:241-250 Patologia gastro-intestinale Gene expression profiles of primary and metastatic pancreatic endocrine tumours reveal potential new markers and targets for therapy M. Milione, G. Capurso, S. Lattimore*, T. Crnogorac-Jurcevic*, F. Panzuto, V. Bhakta*, E. Pilozzi**, A. Vecchione**, N. Campanini***, C. Bordi***, N.R. Lemoine, G. Delle Fave Digestive and Liver Disease Unit, II Medical School, University “La Sapienza”, Roma; * Molecular Oncology Unit, Cancer Research UK Clinical Centre, Barts and the London School of Medicine, London; ** Pathology Unit, II Medical School, University “La Sapienza”, Roma; *** Department of Pathology, University of Parma Introduction Pancreatic endocrine tumours (PETs) are rare and heterogeneous tumors. At time of diagnosis, some 2/3 of “non-functioning” (NF) pancreatic endocrine tumours (PETs) have liver metastases, which are the most important factors affecting their prognosis. The molecular pathway leading to islet cells carcinogenesis and progression is poorly understood. There have been few attempts to investigate the expression profiles of PETs, yet limiting the analysis to primary lesions. We therefore aimed at investigating the RNA-based global expression of a subset of aggressive, sporadic, NF PETs, characterized by disease progression, and by the presence of liver metastases, as these cases would benefit from new therapeutic approaches. Matherial and methods To investigate the RNA-based global expression of NF PETs, focusing on the abnormalities leading to the metastatic process. We analyzed the expression profiles of 16 NF PETs samples (9 primary lesions, 7 liver metastases) from 10 patients and of 3 PETs cell lines (BON, QGP and CM) using purified pancreatic islets as reference on the Affymetrix Human Genome U133 Set, consisting of two GeneChip® arrays, containing 45,000 probe sets, rapresenting almost the entire human genome. Differentially expressed genes were identified by a Welch two sample t-test using the false discovery rate correction with a cut off value, of p value lower than 0.001. The clustering of the samples and the geneontology of the disregulated genes were analysed using appropriate bioinformatic tools. Selected genes potentially involved with the metastatic process or possibly available as biomarkers, and not described in islet cells or PETs before, were validated by immunohistochemistry on an independent set of 29 PETs and/or by qrt-pcr on 13 PETs and purified islets. Results A list of 738 individual disregulated genes (491 from the A chip, 247 from the B chip), 524 of them upregulated, 214 dowregulated in PETs was obtained. Analysis of the expression profiles revealed co-clustering of matched primary and metastatic lesions. Of the upregulated genes the bridging interactor 1 (BIN-1) resulted expressed only in alfa cells in normal islets and stained 57% of primary and 86% of metastatic lesions at IHC; overexpression of the src-like kinase LCK was confirmed by IHC on 50% of primary and 28% of metastatic lesions with intracellular localization changing from only membrane in normal islets to membrane and cyto- plasmatic in neoplastic cells. Overexpression of SERPIN A10 and of bone marrow stromal antigen 2 (BST-2) were confirmed by qrt-pcr in 57% of primary lesions, and in 100% and 83% of metastatses, respectively. Conclusions In conclusion, we have analysed for the first time the genetic expression profiles of both primary and liver metastases of aggressive endocrine carcinoma, with findings suggesting a close similarity between matched lesions. Moreover, we have identified disregulated genes that may eventually be useful markers (SERPIN A10, BIN-1) or targets for therapy (LCK) in PETs. Progressione della colite ulcerativa cronica in relazione a parametri clinici (DAI score) e morfologici (proliferazione - apoptosi) A.M. Anniciello, A. Iacono, T. Staiano*, F. Ventre, M. D’Armiento, F.P. D’Armiento Dipartimento di Scienze Biomorfologiche Funzionali, Sezione Anatomia Patologica e Citopatologia; * Dipartimento di Gastroenterologia, Università “Federico II”, Napoli Introduzione L’attività della colite ulcerativa cronica può essere clinicamente valutata mediante il “disease activity index” (DAI: < 3, tra 3 e 6; tra 7 e 10, > 10) secondo parametri di remissione, sanguinamento, diarrea, fragilità mucosale. Obiettivo dello studio è la correlazione del DAI score con il quadro morfologico (immunoistochimica – Ki67 e p53; istochimica – Tunel), ipotizzando che la proliferazione cellulare e l’apoptosi influenzano la normale omeostasi cellulare incidendo su andamento della malattia. Metodi Abbiamo reclutato 31 pazienti (20 M, 11 F, età media M = 43; F = 38), tutti privi di complicanze (megacolon, cancro), in follow-up endoscopico/bioptico, intervallo mediano di 8 anni (r4-16), confrontando la morfologia con la clinica all’esordio di malattia (T0) e all’ultimo controllo (T1). È stato effettuato studio immunoistochimico con Ki67 e p53, e studio istochimico dell’apoptosi mediante TUNEL. La positività cellulare è stata valutata dividendo la ghiandola in 2 parti: basale e superficiale. I dati del DAI score e quelli morfologici sono stati elaborati mediante analisi statistica con il MannWhitney U-test. Risultati I valori ottenuti dal DAI score hanno mostrato un significativo incremento dell’attività di malattia tra T0 e T1: DAI < 3: 8 vs. 3 (p < 0,05); DAI 3-6: 18 vs. 21 (p NS); DAI 7-10: 5 vs. 7 (p < 0,05). In 11 pz su 31 si è verificato un aumento clinico dell’attività della malattia. I valori mediani di Ki67, p53 e Tunel variano in maniera significativa se confrontati tra T0 e T1 (Ki67 9 vs. 14 p = 0,015; p53 10 vs. 16 p = 0,046; apoptosi 12 vs. 24 p = 0,015). L’aumento dell’espressione dei 3 marcatori nel tempo si associa ad un comportamento stazionario della malattia (proctite o colite sinistra), confermato dal DAI che negli stessi 9 casi non ha subito variazioni tra l’esordio di malattia e la fine del follow-up (pNS); un decremento o una stazionarietà del Ki67 con associato incremento dell’indice apoptotico e della p53si associa invece ad un’e- 242 stensione della malattia (pancolite) con un DAI che subisce un parallelo incremento nel tempo (11 casi) (p = 0,048). Conclusioni I risultati confermano l’ipotesi che il mantenimento dell’omeostasi cellulare nei confronti delle noxae patogene della malattia è l’elemento più importante che condiziona non solo l’evoluzione verso le complicanze quanto la progressione della malattia. Bibliografia 1 Chigara Hagiwara, et al. J Gastroenterol Hepatol 2002;17:758-64. 2 Campieri M. Aliment Pharmacol Ther 2003;17:1471-80. Descrizione di un caso di tumore pleomorfo della testa del pancreas: limiti della diagnostica estemporanea in corso di CPRE V. Arena, P. Federico, G. Petrone, E. Stigliano, F. De Giorgio*, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Medicina Legale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione La diagnosi intraoperatoria delle lesioni pancreatiche non è agevole nei casi di adenocarcinomi ben differenziati e nei casi di pancreatite cronica con notevole distorsione architetturale. Solitamente la ricerca di invasione perineurale e l’attento esame dei caratteri citologici delle formazioni ghiandolari può essere d’aiuto. Nel caso di neoplasie a pattern non adenocarcinomatoso, le caratteristiche istomorfologiche sono di solito di aiuto nel formulare una diagnosi corretta. Materiali metodi e risultati Descriviamo un caso di un tumore pleomorfo della testa del pancreas la cui diagnosi è stata possibile solo dopo autopsia in quanto l’esame estemporaneo in corso di CPRE ha documentato solo frammenti di tessuto fibroso costituiti da elementi fusati non atipici a pattern storiforme, con una buona quota di infiltrato flogistico inglobante porzioni di tessuto pancreatico atrofico. Il paziente giungeva all’exitus senza una diagnosi di natura ed in sede di riscontro diagnostico si confermava a livello della testa del pancreas, una neoformazione di 11 x 9 x 7 cm intimamente adesa alla C duodenale. Macroscopicamente la neoplasia appariva costituita da aree di colorito bianco giallastro con aree di necrosi ed istologicamente trattavasi di un tumore pleomorfo costituito da una duplice popolazione cellulare: la prima fusata, atipica, organizzata in pattern storiforme. La seconda formata da larghi elementi multinucleati. Conclusioni La diagnosi etiologica delle ostruzioni biliari in caso di lesioni pancreatiche sospette per neoplasia, è richiesta nei casi di non resecabilità o quando si renda necessaria una radiochemioterapia palliativa. L’approccio diagnostico percutaneo mediante US o TAC mostra dei limiti operativi e solitamente viene evitato per il rischio di disseminazione intraaddominale. La CPRE è considerata una metodica più sensibile, e lo dovrebbe essere ancor di più nel caso di tumori pancreatici non convenzionali. Il caso da noi descritto mostra però che vi sono ancora limiti nella metodica, in relazione al fatto che spesso tali neoplasie sono circondate e frammiste a tessuto infiammatorio e fibrotico. Pertanto una negatività del reperto cito-istologico ottenuto mediante CPRE non può essere presa come elemento diagnostico di certezza se contrasta col so- COMUNICAZIONI E POSTER spetto clinico o radiologico. Si deve pertanto pensare o ad altre procedure invasive o ad una ripetizione dell’esame con un più esteso campionamento. Espressione di EGFR negli adenocarcinomi del colon: analisi immunoistochimica (IHC) comparativa tra metodica DAkOCytomation (EGFRpharmDx®) e ventana (CONFIRM™AntiEGFR) e assetto molecolare in FISH L. Baron, M. Postiglione, P. Beltotti, N. De Stefano, F. Quarto U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia P.O. “S. Leonardo”, Castellammare di Stabia (NA), Italy Introduzione Il significato clinico della sovraespressione di EGFR è legato più che al suo ruolo prognostico a quello predittivo della suscettibilità all’immunoterapia con cetuximab. Metodi Abbiamo comparato l’espressione di EGFR in 118 adenocarcinomi del colon avvalendoci di due diversi test IHC (EGFRpharmDx® DAkOCytomation e CONFIRM™AntiEGFR Ventana). Per entrambe le metodiche l’immunoreattività, valutata come positività di membrana con o senza diffusione citoplasmatica è stata gradata con metodica semiquantitativa come % di cellule positive con un cut-off di positività dell’1% come indicato dallo score consigliato. Tutti i campioni sono stati inoltre sottoposti a metodica molecolare, FISH, (LSI-EGFR/CEP7, Vysis®) per evidenziare l’eventuale amplificazione/delezione genica del recettore. Abbiamo poi correlato la sovraespressione di EGFR ai parametri istomorfologici classici. L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il test del χ2. Risultati Con il test EGFRpharmDx®-DAkOCytomation su 118 casi da noi analizzati il 12% ha mostrato solo una debole e focale positività ed è stato pertanto considerato negativo. L’88% dei casi positivi si distribuisce in modo eterogeneo in 3 diversi classi di positività: il 65,3% (68) ha mostrato solo diffusione citoplasmatica, il 24% (25) una diffusione citoplasmatica accompagnata da una positività di membrana e solo il 10,7% (11) esclusivamente positività di membrana. Nella metodica IHC CONFIRM™AntiEGFR-Ventana la % dei casi negativi sale dal 12% al 19% a danno della classe di immunoreattività del tipo diffusione citoplasmatica mentre rimangono sostanzialmente immodificate le altre 2 classi di positività. L’analisi molecolare in FISH dei campioni positivi ha evidenziato solo un 2,5% di amplificazioni geniche; pertanto, a differenza di quella di HER2, la sovraespressione di EGFR non è altrettanto evidente e non sembra guidata tanto dall’amplificazione genica ma piuttosto da molteplici pathway di attivazione che codificherebbero per una forma mutata del recettore. Inoltre la sovraespressione proteica di EGFR non ha mostrato alcuna correlazione statisticamente significativa con i parametri istomorfologici considerati. Conclusioni L’espressione di EGFR ha mostrato una tale eterogeneità, indipendente dalla metodica, da rendere troppo riduttiva l’esclusiva indicazione di un cut-off di positività dell’1% che comprenda un ventaglio di neoplasie ad espressione recettoriale certamente non sovrapponibile. PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE Morphological evidence of neutrophil-tumor cell phagocytosis (cannibalism) in human gastric adenocarcinomas and in nonneoplastic foveolar cells R.A. Caruso, G. Basile, C. Crisafulli, E. Quattrocchi, F. Fedele, A. Bonanno, C. Fazzari, G. Pizzi Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Messina The phenomenon of neutrophil-tumor cell emperipolesis or phagocytosis (cannibalism) has been documented by light microscopy in various human carcinomas, but little is known about the cellular pathological processes and the morphological changes involved. In an attempt to clarify the nature of this phenomenon, our ultrastructural studies on the relationships among neutrophils and tumor cells in human gastric carcinomas and in non-neoplastic gastric mucosa are reviewed and analyzed. At the electron microscopy, apoptotic neutrophils were found within vacuoles of adenocarcinoma cells in two cases. They showed either early apoptotic morphology with perinuclear chromatin aggregation but cytoplasm integrity or late apoptotic morphology with uniform, collapsed nucleus and tightly packed cytoplasmic granules. A light microscopy review of 200 cases of resected gastric carcinomas identified 22 cases (11%) that were characterized by neutrophil-tumor cell phagocytosis (cannibalism). TUNEL staining confirmed the presence of apoptotic neutrophils within the cytoplasm of the tumor cells. Neutrophil cannibalism is not specific for tumor. In 3 out of 22 control specimens apoptotic neutrophils were seen in the cytoplasm of non-neoplastic foveolar cells. This study provide light and electron microscopic evidence of apoptotic neutrophils phagocytosed both by gastric adenocarcinoma cells and normal foveolar cells. Mucosa gastrica eterotopica nella colecisti: case report V. Ciuffetelli, G. Calvisi*, M. De Vito, D. Barbera, A.R. Vitale, P. Leocata Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Cattedra di Anatomia Patologica; * ASL4 U.O. Anatomia Patologica Introduzione La presenza di mucosa gastrica nella colecisti è estremamente insolita; in letteratura ne sono stati descritti 42 casi, tre dei quali asintomatici. I sintomi di solito si manifestano sotto forma di colecistite acuta (nei pazienti con età inferiore ai 20 aa) o con colecistite cronica, calcolosi ed ematobilia, nei pazienti più anziani 1. Talvolta all’eterotopia può associarsi anche metaplasia intestinale di tipo colico, talora con focolai displastici. Carcinomi possono insorgere su ectopia gastrica così come su metaplasia intestinale. Caso clinico Alla nostra osservazione è giunto il caso di una paziente di 36 aa con sindrome addominale, sottoposta ad intervento di colecistectomia retrograda sottosierosa, successivo ad esame ecotomografico epatobiliare che aveva messo in evidenza all’interno della colecisti, in sede periinfundibolare, “una neoformazione isoecogena al parenchima epatico, ovalariforme, delle dimensioni di cm 2,5 x 1,4, contigua alla parete inferiore della 243 colecisti stessa, la cui sede non si modificava alle variazione dei decubiti, riferibile in prima ipotesi ad adenoma”. Risultati Il campione operatorio misurava cm 6,5 x 3 e presentava una formazione polipoide sottoinfundibolare dell’altezza di cm 2,1. Non erano presenti formazioni calcolotiche. L’esame istologico ha rivelato che la formazione polipoide consisteva di mucosa gastrica eterotopica con cellule parietali e colonnari mucosecernenti e diffusa iperplasia criptica. La mucosa adiacente mostrava le tipiche caratteristiche della colecistite cronica. Discussione L’eterotopia gastrica è stata descritta in tutto il tratto gastrointestinale, dalla cavità orale al retto. Curiosamente però è estremamente rara nella colecisti, dove generalmente si manifesta con sintomi di colecistite acuta, soprattutto nei giovani. Embriologicamente la colecisti origina dal “primordio” epatico, che deriva dalla superficie ventrale dell’intestino primitivo (foregut) caudalmente allo stomaco in via di sviluppo. Entrambi sono in prossimità del setto traverso durante l’ultimo stadio di sviluppo. Sembra pertanto che l’eterotopia possa derivare sia da un intrappolamento di tessuto gastrico primitivo, che da una differenziazione eterotopica all’interno della colecisti o da una differenziazione metaplastica. Bibliografia 1 Xeropotamos N, et al. Gut 2001;48:719-23. Carcinoma ereditario non poliposico del colon (HNPCC) da delezione completa del gene MSH2: un caso ad insorgenza precoce (17 anni) con storia famigliare non significativa L. Delsedime, E. David, M. Micheletti, M. Barberis*, I. Borelli*, A. Allavena*, A. Arrigoni**, E. Grosso*, B. Pasini*, N. Migone* SCDU Anatomia Patologica I; * SCDU Genetica Medica, ** SC Gastroenterologia, “S. Giovanni Antica Sede”, Azienda Ospedaliera “S. Giovanni Battista” di Torino, Università di Torino Introduzione Nella Regione Piemonte è attivo dal 2002 un Programma di screening per il carcinoma ereditario non poliposico del colon retto (HNPCC) che ha permesso di raccogliere fino ad ora una casistica di 325 casi probandi, di cui 217 con dati completi di analisi immuno-istochimica e di ricerca instabilità dei microsatelliti (MSI) su tessuto; lo screening mutazionale è attualmente completo in 89 casi. I casi di età < 40 anni sono 69. Caso clinico Presentiamo il caso di una ragazza cui viene diagnosticato un adenocarcinoma del colon destro pT3-N0 all’età di 17 anni; l’anamnesi famigliare non risultava significativa (ad eccezione per una nonna con neoplasia del colon ed isterectomia all’età di 54 aa). Successivamente, con il comparire di altri due casi di tumore al colon in parenti di primo grado (padre a 48 e zio a 51 aa), il caso viene rivalutato ed inviato presso i ns Laboratori per gli approfondimenti diagnostici su tessuto neoplastico d’archivio, nel sospetto clinico di HNPCC. All’indagine immunoistochimica è stata osservata nel tumore doppia negatività di espressione per MSH2 e MSH6, con espressione conservata per la proteina codificata dal gene MLH1. Due dei tre microsatelliti presi in considerazione (BAT25 e BAT40) sono 244 COMUNICAZIONI E POSTER risultati instabili, mentre BAT26 è risultato stabile; complessivamente il reperto è stato di alta instabilità (MSI-H). Questi risultati hanno indirizzato alla ricerca della mutazione germinale. L’analisi mutazionale in DHPLC non ha messo in evidenza mutazioni puntiformi nei geni MSH2 ed MLH1. La successiva analisi con multiplex ligation-dependent probe amplification (MLPA) ha messo in evidenza la delezione completa del gene MSH2. Le stesse analisi sono state poi effettuate su campioni istologici e su sangue del padre e sono state osservate le medesime alterazioni. Conclusioni Delezione completa di MSH2 è stata riscontrata nella nostra casistica solamente in questa famiglia ed in un’altra con carcinoma del colon destro a 36 aa. nel probando. La rilevanza del caso è data dalla giovane età di insorgenza, dalla situazione iniziale di apparente non-rischio famigliare, dalla stabilità del microsatellite BAT26 e dal tipo infrequente di mutazione riscontrata, cioè delezione completa del gene MSH2. Il dato di un’età così giovanile di insorgenza di carcinoma del colon deve essere tenuto in considerazione nella valutazione di tempi di sorveglianza colonscopica nelle famiglie HNPCC. mtDNA content; the small intestine had the lowest levels of mtDNA. Multiple deletions were detected only in the upper esophagus and in skeletal muscle. Site-specific somatic point mutations, mostly T > C transitions preceded by 5’poly-A sequences, were detected at low abundance both in the muscle and nervous tissue of the gastrointestinal tract. Conclusions We conclude that profound mtDNA depletion in the external layer of muscularis propria is the major determinant for the morphologic changes and indicates that visceral myopathy is responsible for gastrointestinal dysmotility in this MNGIE patient. Our results suggest that tissues with constitutively low amounts of mtDNA may be more sensitive to defects of thymidine phosphorylase. Depletion of MTDNA limited to the external layer of muscularis propria induces gastrointestinal dysmotility in a MNGIE patient The Epstein-Barr virus is a ubiquitous human herpesvirus which establishes a life-long persistent infection of B-cells in over 90% of the human adult population. The association of Epstein-Barr virus (EBV) with a proportion of gastric carcinomas is well established. We have recently identified tumour infilration by neutrophils as a potential indicator of a favourable prognosis in advanced gastric cancer (AGC). Here we have tested the hypothesis that infiltration by neutrophils may be related to EBV infection of the tumour cells. Methods One hundred cases of gastric carcinomas (50 carcinomas with peritumoral neutrophil infiltration – 50 gastric adenocarcinomas without stromal inflammatory reaction) were analysed by in Situ Hybridization for the detection of the EBV-encoded small nuclear RNAs (EBERs) 35S-labelled probes were employed and bound probes were detected by autoradiography. Results In situ hybridization showed EBV infection of the tumour cells in one case of neutrophil-rich gastric carcinoma and in one case of ordinary carcinoma (2%). In one of these cases, EBV infection was detected both in tumour tissue and in the adjacent non-neoplastic mucosa. These data confirm that Epstein-Barr virus infection is rarely associated with gastric carcinoma and show that EBV is not preferentially found in AGC with neutrophils. Furthermore we provide evidence of viral infection of non-neoplastic gastric mucosa. C. Giordano, M. Sebastiani, C. Travaglini, P. Sale, M.L. Valentino*, V. Carelli*, G. d’Amati Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università di Roma “La Sapienza”; * Dipartimento di Scienze Neurologiche, Università di Bologna Introduction Mitochondrial neurogastrointestinal encephalomyopathy (MNGIE) is an autosomal recessive disease clinically defined by severe gastrointestinal dysmotility, cachexia, ptosis, ophthalmoparesis, peripheral neuropathy, white matter changes in brain MRI, and mitochondrial abnormalities. Loss-of-function mutations in thymidine phosphorylase (TP) gene induce pathologic accumulations of thymidine and deoxyuridine, which generate mtDNA defects (depletion, multiple deletions and point mutations). The origin of gastrointestinal dysmotility is currently unclear. Material and methods We present a detailed histological description of the gastrointestinal tract of a patient carrying the homozygous TP mutation 1443G > A and, by the mean of laser capture microdissection, correlate the morphological findings with mtDNA abnormalities. Results Small intestine showed marked atrophy of the external layer of muscularis propria, with evidence of cytoplasmic vacuolization, mitochondrial proliferation and nuclei with condensed chromatin. In contrast, the internal layer and the myenteric and submucosal plexi were unremarkable. Genetic analysis revealed strikingly selective depletion of mtDNA in the small intestine, compared to esophagus, stomach and colon. Microdissection of the small intestine revealed depletion of mtDNA only in the external layer of muscularis propria. Interestingly, analysis of the gastrointestinal tract from ten controls revealed a non-homogeneous distribution of Epstein-Barr virus infection in gastric carcinomas with peritumoral neutrophil infiltration A. Ieni, G. Niedobitek*, T. Kirchner*, R.A. Caruso, C. Inferrera Dipartimento di Patologia umana Messina; Pathology, University Of Erlangen, Germany * Institute Of Congenital malignant peripheral nerve sheath tumor of the small bowel unassociated with von Recklinghausen’s disease: a heretofore unreported occurrence E. Kuhn, F. Pallotti, L. Runza, S. Carinelli U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli - Regina Elena”, Milano, Italia Introduction Malignant peripheral nerve sheath tumor (MPNST) in children is uncommon, and is frequently associated with von PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE Recklinghausen’s disease (VRD) 1. Congenital MPNST is a very rare entity with only a few cases reported. We report here the first case, to the best of our knowledge, of congenital MPNST of the small bowel. Methods Clinical features A 7-day-old term male infant presented with intestinal obstruction from birth. Ultrasound examination was not conclusive. Surgical exploration showed a mass in the jejunum, a 45 mm segment of which was resected. Clinical examinations showed no other evidences of disease. 3 months after the surgery the patient is well and free of disease. Pathological features The surgical specimen showed a 14 mm intramural polipoid lesion which obliterated the intestinal lumen. Microscopically, the lesion was composed of an unencapsulated spindle cell proliferation with infiltrative pattern of growth and high cellularity. The tumor cells were arranged in fascicles, and showed a moderate amount of eosinophilic cytoplasm and uniform oval nuclei with an inconspicuous nucleolus. The mitotic count was 3 mitosis/10HPF. No necrosis was present. The adjacent intestinal wall was unremarkable. Immunohistochemically, the tumor cells were diffusely positive for vimentin and focally for S100, while CD117, CD34, smooth muscle actin, desmin and EMA were negative. Conclusions Pediatric MPNST is a rare entity, most of them associated with VRD 1. The usual locations are extremities, limb girdle, trunk, head and neck region, and retroperitoneum. There has been also described a congenital case in the orbital region. Our case is primarily located in the small bowel and does not present clinical evidence of VRD or another diseases. We believe that our case is the first report of a congenital MPNST in this location, unassociated with VRD, in the English literature. The differential diagnosis includes cellular schwannoma, especially the recently described congenital and childhood plexiform variant, cellular neurofibroma, GIST, fibrosarcoma and monophasic synovial sarcoma. The overall prognosis of the pediatric MPNST is not good, with a median survival of 45 months and 50% of local recurrences at 12 months 2. We believe that our case is of lowgrade malignancy because of the patient’s age (< 7 years), the absence of VRD, small tumor size, the absence of necrosis and the low mitotic activity 2. Acknowledgments we would like to thank Dr. Andrew E. Rosenberg (Boston) for his valuable opinion about our case. References 1 Ducatman B, et al. J Neuroncol 1984;2:241-8. 2 Meis J, et al. Am J Surg Pathol 1992;16:694-707. Aspetti morfologici della leismaniosi epatica AIDS associata. Analisi ultrastrutturale A. Labate, F. Albiero, R. Cicciarello, G. Costa, M.E. Gagliardi, P. Napoli Nania*, V. Cavallari Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Università di Messina; * S.C. Azienda Ospedale “Piemonte”, Messina Introduzione La leismaniosi viscerale è considerata un’infezione opportunistica nei pazienti con immunodeficienza acquisita. Un au- 245 mento dell’incidenza è stata rilevata sia nelle aree endemiche che non endemiche. Viene riportato un caso di leismaniosi epatica in soggetto con AIDS e ne vengono descritti gli aspetti clinici e morfologici, dati strutturali ed ultrastrutturali. Storia clinica Il paziente presenta una storia clinica di circa 15 anni: tossicodipendente HIV positivo, da 10 anni HCV positivo. Da anni presenta infezione opportunistica da candida del tratto oro-esofageo. Pregresse infezioni da toxoplasma (IgG+) e CMV (Titolo > 22) Giunge all’ultimo ricovero in condizioni precarie con astenia insufficienza respiratoria (addensamento polmonare con aumento dell’aia cardiaca vengono evidenziati all’esame radiologico). Grave pancitopenia (Tab. A), alterata in maniera moderata la funzionalità epatica; CD4/CD8 dimezzato rispetto ai valori normali. Presenza di ab anti leismania 1:200 positivi. L’ECO addome evidenzia un fegato aumentato di volume e strutturalmente disomogeneo. Viene pertanto effettuato un prelievo bioptico che viene analizzato dalla nostra struttura. Analisi morfologica del campione bioptico La biopsia a noi pervenuta è stata analizzata in microscopia ottica e in microscopia elettronica a trasmissione. Microscopia ottica L’esame istologico mette in evidenza un ampliamento degli spazi potali, occupati da infiltrati linfocitari e sede di moderati fenomeni di fibrosi. La lamina limitante periportale è parzialmente frammentata. Gli epatociti mostrano moderati fenomeni regressivi. Microscopia elettronica L’esame ultrastrutturale evidenzia un’epatite cronica caratterizzata dalla presenza di un infiltrato infiammatorio linfoplasmacellulare e necrofagico in sede portale con profili linfocitari spesso aderenti alla lamina limitante epatocitaria. Si rileva altresì la presenza di fenomeni regressivi e sclerosi negli spazi di Disse. Si evidenziano profili di protozoi provvisti di ciglia, raggruppati in aggregati nel citoplasma delle cellule del Kupfer. Fattori prognostici utili nella routine per valutare il comportamento biologico del carcinoma epatocellulare A. La Mura, P.F. Bellomo*, G. Marino Marsilia*, R. Monaco*, G.G. Di Costanzo** Scuola di Specializzazione in Anatomia Patologica, Seconda Università di Napoli; * Unità Operativa Struttura Complessa di Anatomia Patologica, AORN “A. Cardarelli”, Napoli; ** Unità Operativa Struttura Complessa di Epatologia ed Unità Pancreas, AORN “A. Cardarelli”, Napoli Introduzione Il carcinoma epatocellulare (HCC) è la più frequente neoplasia maligna primitiva del fegato e la sua prognosi è spesso difficile da prevedere. Con uno studio retrospettivo, abbiamo confrontato alcuni parametri che rientrano nella routine della diagnostica al fine di individuare fattori prognosticamente utili per poter meglio predire il comportamento biologico della neoplasia al momento della diagnosi. Metodi Abbiamo selezionato, dal 1999 al 2004, 30 casi di HCC a follow-up noto, di cui 29 nelle sue varianti classiche ed 1 caso di carcinoma fibrolamellare, trattati chirurgicamente. I 30 casi comprendono pazienti di età tra i 15 ed i 75 anni, con un’età media di 60 anni, tutti, ad eccezione del carcinoma fibrolamellare, insorti su epatopatia cronica con quadro morfologico francamente cirrotico o di iniziale sovvertimento no- 246 dulare ad eziologia nota. Abbiamo considerato il grado di differenziazione secondo Edmondson, le dimensioni, lo stadio al momento della diagnosi secondo il TNM, l’indice mitotico valutato con Ki-67, l’espressione immunoistochimica di p53 e CD34, il contenuto di DNA (ploidia), determinata mediante citometria dinamica, l’evoluzione clinica. Risultati Abbiamo osservato una correlazione positiva tra l’indice mitotico, il grado di differenziazione e la recidiva di malattia, indipendente dallo stadio e dalle dimensioni della neoplasia. CD34, valutato qualitativamente secondo il pattern di distribuzione e quantitativamente secondo 5 gradi esprimenti la percentuale di cellule endoteliali marcate in relazione alla superficie sinusoidale epatica 1, ha mostrato la presenza di positività non solo alla periferia, ma anche all’interno dei noduli neoplastici con un’espressione aumentata rispetto al parenchima epatico circostante la neoplasia, ma con differenze non significativamente correlabili a nessuno degli alti parametri. L’espressione di p53 e la ploidia non hanno mostrato alcuna correlazione statisticamente significativa con nessun parametro. Conclusioni Nella nostra esperienza Ki-67 offre un’ulteriore informazione prognostica, ben correlabile al grado di differenziazione, ed utile soprattutto nei casi con basso stadio al momento della diagnosi. Nessuna informazione prognostica è data da p53 e dalla ploidia. CD34 non rappresenta un fattore prognostico; il suo impiego è limitato alla diagnosi differenziale tra l’HCC ben differenziato ed i noduli displastici. Bibliografia 1 Park YN, et al. Am J Surg Pathol 1998;22:656-62. Espressione del gene MGMT nel carcinoma colo-rettale: correlazioni cliniche, patologiche e biomolecolari G. Lanza, R. Gafà, I. Maestri, L. Guerzoni, E. Miotto, S. Sabbioni, M. Negrini, L. Cavazzini Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Università di Ferrara Introduzione La O6-metilguanina-DNA-metiltransferasi (MGMT) è un enzima di riparazione del DNA, che agisce principalmente rimuovendo gli addotti alchilici in posizione O6 della guanina. Il gene MGMT è di particolare interesse in campo oncologico, essendo implicato sia nello sviluppo che nella terapia di numerosi tipi di tumore. Il significato clinico-patologico della inattivazione di MGMT nel carcinoma colo-rettale (CCR) è poco conosciuto. Nel presente studio è stata valutata la espressione di MGMT in una serie consecutiva di CCR in relazione a numerosi parametri clinici, patologici e molecolari ed alla metilazione del promoter del gene. Metodi La analisi immunoistochimica della espressione di MGMT e dei geni del DNA mismatch repair (MMR) MLH1, MSH2 e MSH6 è stata condotta su sezioni paraffinate con anticorpi monoclonali ed un sistema streptavidina-biotina-perossidasi. La instabilità dei microsatelliti è stata valutata con PCR fluorescente utilizzando markers mono e dinucleotidici, mentre la metilazione del promoter di MGMT è stata analizzata in 57 casi mediante methylation-specific PCR. Risultati Perdita di espressione di MGMT è stata evidenziata in 44 COMUNICAZIONI E POSTER (22,4%) dei 196 tumori esaminati. La espressione di MGMT è risultata correlata alla età del paziente (P = 0,01) ed alla sede della neoplasia (P = 0,02), i tumori MGMT-negativi essendo più frequenti nei soggetti di età > 70 anni e nel colon prossimale. La espressione di MGMT non è risultata, invece, correlata al sesso, al grado di differenziazione, all’istotipo ed allo stadio. Perdita di espressione di MGMT è stata rilevata più spesso nei tumori con deficit del MMR che nei tumori con normale funzione del MMR ed in particolare nei tumori MLH1-negativi rispetto ai tumori MLH1-positivi (39% vs. 19%) (P = 0,02). La espressione di MGMT è risultata, infine, correlarsi in maniera altamente significativa al pattern di metilazione del gene. Metilazione del promoter è stata evidenziata in 11/13 tumori MGMT-negativi (84,6%), mentre 38 delle 44 neoplasie MGMT-positive (86,4%) sono risultate non metilate (P < 0,001). Conclusioni La inattivazione di MGMT, determinata nella maggioranza dei casi da ipermetilazione del promoter, si verifica in una percentuale significativa di CCR ed è più frequente nei tumori con inattivazione epigenetica di MLH1. Le conseguenze funzionali della inattivazione di MGMT, anche dal punto di vista della sensibilità alla terapia con agenti alchilanti, necessitano di essere ulteriormente indagate. Carcinoma gastrico: correlazioni anatomo cliniche in 902 casi P. Leocata, M. De Vito, AR Vitale, V. Ciuffetelli, D. Barbera, S. Di Rito, A. Chiominto* Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Cattedra di Anatomia Patologica; ** ASL4 AQ-UO Anatomia Patologica Introduzione Il carcinoma gastrico rappresenta la quinta forma più comune di cancro in Europa con circa 192.000 nuovi casi ogni anno, il 23% di tutte le neoplasie. Metodi Abbiamo esaminato 902 campioni operatori di gastrectomia totale e subtotale per carcinoma gastrico, provenienti dai presidi ospedalieri di L’Aquila, Atri ed Avezzano, nel periodo compreso fra gennaio 1969 e dicembre 2004, confrontando l’andamento della malattia nei tre decenni. I casi sono stati classificati secondo i criteri di Lauren e Ming e la malattia è stata stadiata usando il sistema pTNM. Risultati Lo studio ha evidenziato la prevalenza della forma infiltrativa secondo Ming (79%) rispetto a quella espansiva, con un andamento rimasto costante nei tre decenni. La classificazione di Lauren ha mostrato la prevalenza della forma diffusa (54%) nei confronti di quella intestinale. Tale riscontro appare in linea con i dati attesi per una area geografica come quella i esame. Per le varietà macroscopiche si è notata una netta prevalenza delle forme ulcerate (67%) rispetto a quelle vegetanti in accordo con Ming secondo cui la maggior parte delle forme ulcerate si accompagna all’istotipo a crescita infiltrativa. Inoltre l’analisi dei dati ha messo in luce un netto decremento delle forme T3 che sono passate dal 48,5% dei primi dieci anni (1969-1980) al 26% dell’ultimo decennio (19932004). Alla diminuzione degli stadi T3 si è accompagnata una riduzione, non parimenti marcata, dei T4, scesi al 7,8% dal 8,2%. Più significativa è stata la crescita delle neoplasie in stadio T1: nella nostra U.O. si è passati dal 12,6% del pri- PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE mo decennio al 18,35% dell’ultimo. L’incremento più significativo si è registrato nel periodo compreso fra il 1981 ed il 1992 (4%). Il dato complessivo (16,4% di ECG sul totale), è maggiore rispetto ai dati nazionali (13%). Verosimilmente questa crescita è da mettere in relazione alla notevole attività dei servizi di Diagnostica Endoscopica: nel nostro P.O. nel 1972 si contavano 192 prestazioni (1/3 delle quali seguite da biopsia) diventate circa 4.000 nel 2004. Conclusioni L’esame dello stadio secondo il TNM ha messo in luce un netto decremento delle forme T3-T4 che sono passate dal 58,2% del primo decennio al 33,8% del terzo decennio e l’aumento dei T1 (EGC) con una crescita percentuale del 6% dal 1980 al 2004. Invece. contrariamente a quanto riportato in letteratura, nel periodo in esame non sono state rilevate differenze significative di incidenza circa gli istotipi. Ruolo prognostico degli indici di proliferazione cellulare e di apoptosi nell’adenocarcinoma duttale del pancreas B.E. Leone, R. Trezzi, F. Pagni, F. Bono, F. Mangili* Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università Milano-Bicocca, Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S. Gerardo” di Monza; * Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Desio Introduzione Da diversi anni lo studio delle neoplasie si sta rivolgendo alla valutazione delle caratteristiche biologiche di queste ultime per trovare nuovi parametri prognostici, tra cui la cinetica di proliferazione cellulare in rapporto all’apoptosi. Scopo di questo lavoro è l’analisi della correlazione tra indici di proliferazione e di apoptosi e caratteristiche clinico-patologiche dell’adenocarcinoma pancreatico e il loro significato prognostico. Materiali e metodi Lo studio comprende 33 pazienti. Per l’analisi dell’indice di proliferazione cellulare è stata utilizzata la tecnica immunoistochimica con anticorpo monoclonale anti Ki-67. L’analisi dell’indice di apoptosi è stata eseguita tramite studio morfologico e biologico-molecolare in situ con tecnica ISOL e TUNEL, che hanno dato valori sovrapponibili. I dati relativi al follow-up sono stati ottenuti per 16 casi. Risultati Valori di MIB significativamente più alti sono stati trovati in tumori scarsamente differenziati e tumori di dimensioni maggiori. L’indice di apoptosi è risultato significativamente più alto nei tumori scarsamente differenziati rispetto a tumori moderatamente differenziati, ma non sono emerse altre differenze significative. È stata dimostrata una correlazione diretta tra indice di proliferazione e apoptosi. Sia l’indice di proliferazione, sia l’indice di apoptosi sono risultati inversamente proporzionali alla prognosi. Conclusione Possiamo affermare che la percentuale di cellule proliferanti aumenta soprattutto in tumori maggiormente aggressivi e di dimensioni maggiori, ma non è semplicemente la quota di cellule attivamente proliferanti ad avere un ruolo prognostico nell’adenocarcinoma duttale del pancreas. Questo studio mostra una correlazione lineare diretta tra indice di proliferazione e di apoptosi: significa che un’elevata quota di cellule in proliferazione è associata, quasi come meccanismo compensatorio, a frequenti fenomeni di perdita 247 cellulare. Lo studio biparametrico di proliferazione e morte cellulare ha quindi un importante ruolo nel definire al meglio la crescita tumorale e la conoscenza di questo rapporto può essere anche un utile strumento per la valutazione dell’efficacia di trattamenti neoadiuvanti convenzionali o immunoterapici, che hanno il fine di diminuire la quota proliferativa o di promuovere l’apoptosi. La metaplasia intestinale alla giunzione esofago gastrica: prevalenza e lesioni associate L. Mastracci, Y. Musizzano, P. Spaggiari, F. Grillo, P. Ceppa, R. Fiocca DICMI Sezione di Anatomia Patologica, Università di Genova Introduzione La metaplasia intestinale alla giunzione esofago gastrica (MIG) ha una patogenesi controversa. Scopo dello studio è determinare la prevalenza della MI e valutare la frequenza di associazione della MIG con patologie gastriche e/o esofagee. Materiali e metodi Sono stati analizzati retrospettivamente 485 pazienti sottoposti a esofago-gastro-duodenoscopia per sintomi riferibili al tratto digestivo superiore tra gennaio 1999 e giugno 2004. In tutti i pazienti inclusi nello studio erano state effettuate biopsie multiple della mucosa del 3° esofageo inferiore, della giunzione esofago-gastrica (GEG) ed della mucosa gastrica antrale ed ossintica. Tutti i campioni sono stati colorati con EE, PAS-Alcian Blu e Giemsa per la ricerca di H. pylori. I preparati sono stati revisionati contemporaneamente da due patologi esperti che hanno valutato la presenza di esofagite microscopica, esofago di Barrett, metaplasia intestinale alla GEG e gastrite e metaplasia intestinale gastrica. Risultati Si è riscontrata MIG in 91/485 casi (18,8%); 11 soggetti presentavano metaplasia intestinale di tipo completo, 77 di tipo incompleto e 3 di tipo misto (completo ed incompleto). Il rapporto M/F era di 1,5/1 per pazienti con MIG e 1/1 nei 394 soggetti privi di MIG, con una età media di 59,5 anni nei primi e 53,3 nei secondi (p = 0,0003). I casi con e senza MIG hanno mostrato rispettivamente le seguenti prevalenze di lesioni gastriche e/o esofagee associate: esofagite microscopica 50,5% vs. 58,6%, esofago di Barrett 31,9% vs. 0%, gastrite da H. pylori 22,0% vs. 23,9%, metaplasia intestinale gastrica 27,5% vs. 17,3% (p = 0,037). Solo il 4,4% dei soggetti con MIG non presentava lesioni, né gastriche né esofagee, rispetto al 24,1% dei soggetti senza MIG. Poiché numerosi pazienti presentavano più tipi di lesione associate, la loro somma percentuale supera il 100%. La Tabella I mostra la distribuzione delle lesioni dopo aver raggruppato insieme le diverse lesioni riscontrabili rispettivamente nell’esofago e nello stomaco. Conclusioni La MIG può associarsi sia a lesioni esofagee che a lesioni gastriche. La prevalenza di patologie esofagee associate è maggiore nei soggetti con MIG rispetto ai controlli. La frequenza di reperti di normalità sia nell’esofago che nello stomaco è molto bassa (4,4%) nei soggetti con MIG rispetto ai controlli (24,1%) e questo suggerisce che la MIG non rappresenti un fenomeno isolato ma costituisca l’espressione a livello giunzionale di patologie esofagee o gastriche. COMUNICAZIONI E POSTER 248 Tab. I. Prevalenza di lesioni esofagee e/o gastriche in pazienti con MIG ed in controlli. Lesioni associate Lesioni esofagee Lesioni gastriche Lesioni esofagee + gastriche Esofago e stomaco normali Prevalenza in casi con MIG 46,1% (42/91) 13,2% (12/91) 36,3% (33/91) 4,4% (4/91) APC promoter methylation and 5q21 deletions are peculiar to gastric and duodenal endocrine tumours S. Pizzi, C. Azzoni, L. Bottarelli, T. D’Adda, C. Pasquali*, G. Rindi, C. Bordi Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio, Sezione Anatomia Patologica, Università di Parma, Parma, Italia; * Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Semeiotica Chirurgica, Università di Padova, Padova, Italia Background The role of the Wnt pathway in the pathogenesis of digestive endocrine tumors is still under debate. Mutations of β-catenin and E-cadherin have been found in gastrointestinal carcinoids, but not in pancreatic endocrine tumours (PETs), and generally very rare APC (adenomatous poliposis coli) mutations have been detected. The aim of the present work was to systematically investigate alterations (deletion and/or promoter methylation) of the APC locus in a series of gastroenteropancreatic endocrine neoplasms, with special emphasis to the site of origin, the level of differentiation and the clinical behaviour. Methods Sixty cases were analyzed including 38 foregut (stomach, n = 24; pancreas, n = 10; duodenum, n = 4), 14 midgut (ileum-caecum, n = 8; appendix, n = 6) and 8 hindgut (large bowel, n = 4; rectum, n = 4) tumours. According to the WHO classification, the neoplasms were further subdivided in three categories: poorly differentiated endocrine carcinomas (PDECs, n = 11), well differentiated endocrine carcinomas (WDECs, n = 27) and well differentiated endocrine tumours (WDETs, n = 22). Deletions at APC locus at 5q21 were detected by loss of heterozygosity (LOH) analysis using the microsatellite marker D5S346. The methylation status of APC promoter was analyzed by methylation-specific PCR. Results APC promoter methylation was found in 30% of cases and was restricted to foregut tumours (58%, P < 0.0001), independently of the behaviour or the differentiation. Among foregut neoplasms methylation was striking more frequent in the stomach and duodenum (75%) than in pancreas (11%, P < 0.01). LOH at APC locus was found in 37% of cases, in particular in tumours from the stomach (36%), duodenum (50%), colon (100%) and rectum (25%), but was absent in pancreas, ileum and appendix. Indeed, 5q21 LOH was more frequently detected in PDECs, from both the stomach (83% of cases) and the colon (100% of cases) than in well differentiated neoplasms, either benign or malignant (P < 0.01). Conclusions Inactivation of the Wnt pathway has previously been shown to represent a frequent and early event in gastrointestinal, but Prevalenza in casi senza MIG 34,8% (137/394) 17,2% (68/394) 23,9% (94/394) 24,1% (95/394) p 0,053 0,93 0,017 < 0,0001 not in pancreatic, endocrine neoplasms, on the basis of immunohistochemical and mutational studies on β-catenin. Our data are in agreement with this observation and indicate APC methylation as a major mechanism for Wnt pathway inactivation in gastric and duodenal endocrine tumours. Differential involvement of the p16-Rb pathway and alterations of the CDKN2 locus in gastroenteropancreatic endocrine tumours S. Pizzi, C. Azzoni, L. Bottarelli, N. Campanini, T. D’Adda, G. Rindi, C. Bordi Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio, Sezione Anatomia Patologica, Università di Parma, Parma, Italia Background Alterations of the p16-Rb pathway appear to be implicated in the pathogenesis of gastroenteropancreatic (GEP) endocrine tumours. Previous data from our laboratory indicate that loss of p16 and/or Rb expression are frequent events in gastrointestinal endocrine carcinomas, either well (WDECs) or poorly differentiated (PDECs) 1. The aim of the present work is to further analyze the expression of p16, Rb and cyclinD1 and the related alterations at the 9p21 CDKN2 locus (harbouring the p16, p15 and p14 genes) in different subtypes of GEP endocrine tumours, subdivided according to the site of origin, the biological behaviour and the level of differentiation. Methods Sixty cases were analyzed including 38 foregut (stomach, n = 24; pancreas, n = 10; duodenum, n = 4), 14 midgut (ileumcaecum, n = 8; appendix, n = 6) and 8 hindgut (large bowel, n = 4; rectum, n = 4) tumours. According to the WHO classification, neoplasms were further subdivided in 11 PDECs, 27 WDECs and 22 well differentiated endocrine tumours (WDETs). The p16, Rb, cyclinD1 proteins were analyzed by immunohistochemisty (IHC). Deletions at CDKN2 locus were detected by loss of heterozygosity (LOH) analysis using two 9p21 microsatellite markers (D9S157, D9S171). The promoter status of p16, p15 and p14 genes was analyzed by methylation-specific PCR. Results Loss of p16 and Rb expression and hyperexpression of cyclinD1 were found in 37%, 58% and 53% of cases, respectively. Significant differences were found between PDECs (characterized by absence of both p16 loss and cyclinD1 accumulation) and well differentiated neoplasms (P < 0.01). Moreover among well differentiated tumours, the pattern of expression of the three proteins varied according to the sites of origin. LOH at 9p21 was frequently (> 75% of cases) found only in PDECs and in well differentiated gastric neoplasms, either WDETs or WDECs. Promoter methylation at PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE p16, p14 and p15 genes was rarely detected (5%, 3% and 14% of cases, respectively). Conclusions Our immunohistochemical data suggest that alterations of the p16-Rb pathway have an important role in GEP endocrine tumours, although the targets of inactivation vary according to the degree of differentiation and the site of origin of the neoplasms. Differential mechanisms for p16-Rb pathway inactivation in different subtypes of GEP endocrine tumours are also shown by the restriction of high LOH rates at CDKN2 locus to gastric and duodenal tumours. Bibliografia 1 Pizzi S, et al. Cancer 2003;98:1273-82. Serrated adenoma: a pathological and immunohistochemical study F. Tatangelo, F. Fiorentino, L. Terracciano*, G. Liguori, F. Pagliuca, G. Botti U.O.C. Anatomia Patologica, Istituto Tumori, Napoli; * Dipartimento Anatomia Patologica, Università “Federico II”, Napoli Introduction With the name of “serrated adenoma” 1 is designed a cathegory of lesions that often were detected in gastrointestinal tract, mainly in large bowel. They are considered as a morphological continuum from hyperplastic plyps to true (dysplastic) adenomas. Their peculiar morphologic characteristics comprise a double pattern, with “serrated” glandular architecture, as in hyperplastic polyps, and dysplastic cytologic features, as in adenomas. Generally, the greater diagnostic difficulty is to distinguish this “entity” from large hyperplastic polyps and true adenomas, because of lack of reproducible morphologic criteria. The aim of this work is to evaluate the real nature of these lesions and their eventual premalignant potential by a morphologic and immunohistochemical study, comparing biomorphological characteristics of hyperplastic polyps, adenomas and serrated adenomas. Methods A total of 100 cases of colo-rectal polyps (50 adenomas, 35 hyperplastic polyps and 15 serrated adenomas) were examined using routine staining methods and immunohistochemical staining for these markers: Ki67; Bcl 2; COX 2; Egfr; on paraffin embedded specimens, and then were submitted on biomolecular analysis for detection of microsatellite instability expression (MSI-H and MSI-L). Results We obtained these peliminar data about immunohistochemical profile: • Adenomas: Ki67 80%; Bcl2 69%; COX 2 80%; Egfr 40%; • Hyperplastic polyps: Ki67 50%; Bcl 2 25%; COX 2 15%; Egfr 55%; • Serrated adenomas: Ki67 70%; Bcl 2 60%; Cox 2 65%; Egfr 45%. The presence of microsatellite instability, both MSI-H MSI-L is high in serrated adenomas. This datum is very interesting and although this study was performed on a little pool of cases, the results obtained make us optimistic about their value. Conclusions Ki67, COX 2, Egfr, Bcl 2 and MSI expression can help us to distinguish real premalicnant potential of some precursors of 249 colo-rectal carcinoma. Our studies are in progress to assess their effective diagnostic and prognostic value. References 1 Longacre TA, et al. Am J Surg Pathol 1990;14:524-37. Valore prognostico del CD44 nei tumori stromali gastrointestinali L. Tornillo1, V. Carafa1, G. Sauter2, C. Tapia1, A. Boscaino3, R. Russo4, L. Insabato5, L. Terracciano5 6 1 Institut für Pathologie, Universität Basel, Basel, Schweiz; 2 Institut für Pathologie, Universitätsklinikum Hamburg-Eppendorf, Hamburg, Deutschland; 3 U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Antonio Cardarelli”, Napoli, Italia; 4 U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “S. Leonardo”, Salerno, Italia; 5 Dipartimento Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II”, Napoli, Italia; 6 Dipartimento di Scienze per la Salute, Università del Molise, Campobasso, Italia Introduzione I tumori stromali gastrointestinali (GIST) sono i più frequenti tumori mesenchimali del tratto gastrointestinale, con un’incidenza di 10-20 nuovi casi/1.000.000/anno e sono caratterizzati nella grande maggioranza dalla positività immunoistochimica per il CD117 (KIT). Dal punto di vista genetico presentano mutazioni attivanti delle RTK III (KIT o PDGFRα). È difficile riuscire a predirne il comportamento nel singolo caso. Il CD44 è una molecola di adesione coinvolta in molteplici funzioni come il controllo dell’apoptosi e dello sviluppo cellulare e ne è stato ipotizzato il possibile valore prognostico 1. Metodi 142 tumori mesenchimali gastrointestinali (100 GIST) sono stati utilizzati per la costruzione di un Tissue Microarray (TMA). 43 erano sicuramente maligni, i restanti sono stati classificati secondo la dimensione e l’indice mitotico in 12 high-risk, 19 intermediate-risk, 21 low-risk, 5 very low-risk. 59/70 casi mostravano mutazioni per il gene c-kit. È stata effettuata una colorazione immunoistochimica per le seguenti isoforme: CD44v3, CD44v5, CD44v6, CD44v9 e la positività è stata messa in relazione con diversi parametri clinicopatologici. Risultati Il numero di casi valutabili varia fra 93 e 98. È stata osservata una correlazione statisticamente significativa fra il rischio di malignità e l’intensità della colorazione per l’isoforma CD44v4 (p = 0,0027, Spearman-rank test). Nessuna relazione è stata osservata con altri parametri quali la localizzazione o il tipo istologico. Il tipo di mutazione nell’esone 11 (delezioni vs. inserzioni/mutazioni puntiformi) è correlato con l’espressione di CD44v3 e CD44v5 (p = 0,0480), mentre tutti i 3 casi con mutazione nell’esone 9 hanno mostrato positività per tutte le isoforme studiate. Nell’analisi univariata la sopravvivenza correla direttamente con l’espressione dell’isoforma v3 (p = 0,05) e nell’analisi multivariata con v4 e v6 (p = 0,0387 e 0,0088, rispettivamente). Conclusioni I nostri dati mostrano una possibile associazione fra i livelli di espressione del CD44 e altri parametri clinico-patologici. Nonostante i limiti dello studio (dimensioni della serie), sembra possibile che almeno alcune isoforme di CD44 possano essere coinvolte nella prognosi dei GIST e nell’acquisizione di un fenotipo più “aggressivo”. COMUNICAZIONI E POSTER 250 Bibliografia 1 Montgomery E, Abraham SC, Fisher C, et al. CD44 loss in gastric stromal tumors as a prognostic marker. Am J Surg Pathol 2004;28:168-77. A new enzymo-histochemical diagnosis kit for Hirschsprung Disease F. Venerucci 1, A. Favre 2, G. Martucciello 3 1 Immunohistology of some Aquaporins in hyperplastic and neoplastic hepatic lesion D. Villari, D. Maisano, P.A. Nicòtina Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario “G. Martino”, Messina, Italia Recent experimental evidences have been provided that special water channel proteins, such as Aquaglyceroporins 8 and 9 (AQP-8 and -9), are expressed in hepatocyte membrane and cytoplasmic vesicles. AQP-8 and AQP-9 are known to allow the selective passage of glycerol and other solutes, including urea, monocarboxylates, polyols, carbamides, and nucleosides. Hepatic AQP-8 has been related with the structure of bile canaliculi and bile secretion. AQP-9 was reported to be common in the hepatocyte and developmentally regulated, depending on metabolic states, as a channel protein for glycerol influx and urea efflux. AQP-1, assisting transmembrane water flow in extra-hepatic sites, is regarded as a critical reabsorption factor. On this basis, such AQPs have been investigated in hyperplastic and neoplastic hepatic lesions, including focal nodular hyperplasias (FNHs) and hepatocellular carcinomas (HCCs), classified by current systems. Excised lesions from 18 patients (11 men and 7 women) with a mean age of 61.5 years, were 2 FNHs, 2 well differentiated HCCs, 8 moderately differentiated HCCs (including 5 lesions with a glandular-like pattern) and 6 poorly differentiated HCCs. As controls, needle biopsies from 4 HCV hepatitis-affected subjects were also investigated. Control immunohistology showed: a) AQP-1 staining in biliary epithelium and endothelial cell membrane of the non-sinusoidal blood vessels; b) AQP-8 positive reaction decored as hepatocyte cytoplasm as apical membrane of biliary epithelial cells; c) AQP-9 outlined the hepatocyte cell-membrane facing sinusoids, in centrolobular areas. In the study lesions, AQP-1 was immunolocalized in capillarized sinusoids of the FNHs and of both the well- and moderately-differentiated HCCs. AQP-1 labelling also profiled the apical border of biliary epithelium, as in the FNHs as in tubule-forming cells of the moderately differentiated HCCs. AQP-8 was absent in the FNHs, but it occurs in glandular-like HCCs. AQP-9 positivity was confined to paraseptal and perivascular FNH-hepatocytes, in well-differentiated HCCs, but it was lacking in moderately/poorly differentiated HCCs. The described AQP-1 in liver is unprecedented. It is a critical reabsorption factor of capillary endothelium and assists bile secretion in hepatic FNH and no-high-grade HCC. Coherently, AQP-8 and AQP9 may be related to differentiation rate and secretion of the newly formed hepatocytes. Bio-Optica, Milano; 2 Istituto G. Gaslini; Chirurgia Pediatrica, Genova; 3 IRCCS Policlinico San Matteo; Divisione di chirurgia pediatrica, Pavia Hirschsprung Disease (HD) is a neurocristopathy that occurs at an approximate rate of 1 case per 5000 newborns in all the world. It is a rectal innervation intrinsic disorders, characterized by a congenital absence of ganglion cells in the distal colon resulting in a functional obstruction, appearing with severe constipation. The diagnosis is performed on rectal suction biopsy specimens taken 2 to 10 cm above the pectinate line. Acetylcholinesterase (AChE), Lactic Dehydrogenase (LDH), and NADPH-diaphorase (NADPH-d) histochemical techniques were performed on serial cryostatic sections, following Scharli and Meier-Ruge criteria (1981) The basic treatment is to remove the poorly functioning aganglionic bowel and create an anastomosis to the distal rectum. For this reason the surgeon performs intraoperative seromuscular biopsies of the rectum and colon to assess the lenghth of the aganglionic and ipoganglionic portion with enzymo-histochemistry. The most common complication of HD are related to problems of misdiagnosis. These are: – False positive diagnosis in Pseudo-HD. – False negative diagnosis in true HD with risk of occlusion, enterocolitus and death. – Non-radical treatment with persistent aganglionosis. – Too radical treatment with risk of extensive resection of a long segment of normoganglionic intestine. The gold standard techniques for this pathology are: – AChE: to assess the infiltration of cholinergic fibers in the lamina propria of the gut, the criterion standard of HD, in the pre-operative mucosal biopsies; and the – ANE technique: useful for intraoperative examination to determine the anastomosis level, where the ganglion cells begin to appear. In the pathology laboratories it is often very difficult to prepare the incubation media within a limited time, by technicians. The Bio-Optica presents here a new enzymo-histochemical diagnosis kit for pathologists, produced with a lyophilization technologie. The kit, ready for use, can be easy purchased at room temperature and stored at +4°C, for several months. It contains AChE and ANE lyophilized reagents for preoperative diagnosis and for intraoperative examinations on criostatic sections. The kit has to provide different synergic enzyme-histochemical techniques. In a near future also Succinic Dehidrogenase and NADPH-diaphorase will be added to the kit. References Scharli AF, Meier-Ruge W. Localized and disseminated forms of neuronal intestinal dysplasia mimicking Hirschsprung’s disease. J Pediatr Surg 1981;16:164-70. PATHOLOGICA 2005;97:251-252 Transizione pre-cancerosi – cancro SEL1 expression in high grade prostatic intraepithelial neoplasia and acinar adenocarcinoma Evaluation of oncogenic hpv dna quantification by real-time pcr assays in cervical samples M. Barberis, E. Roz, I. Biunno* F. Broccolo*, R. Garcia Parra* **, S. Chiari**, A. Brenna***, P. Perego***, M. Viltadi*, G. Cassina*, A. Maneo**, C. Mangioni**, C.E. Cocuzza* Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Multimedica, Milano; * CNR, Div. Biologia Cellulare, Milano Background SEL1L gene is most likely involved in cancer progression possibly by cell-matrix interactions. Here we report the differential immunohistochemical expression of SEL1L in benign prostatic hyperplasia, high grade prostatic intraepithelial neoplasia (HGPIN) and acinar adenocarcinoma of the prostate. Materials and methods Seventeen whole-mount blocks from retropubic prostatectomies, containing at least 2 foci of HGPIN adjacent to adenocarcinoma and the needle biopsies containing at least one focus of HGPIN were choosen from our archives. 3-5 µ/thick macrosections were immunostained with antiSEL1L. The results were valuated with a scoring method considering the degree of staining intensity and the percentage of the stained cells. Results The foci of HGPIN were always strongly positive and at least the 80% of the epithelial cells were decorated by SEL1L. Within the infiltrating areas of acinic adenocarcinoma, SEL1L was variably, but consistently expressed. The morphological heterogeneity of prostatic carcinoma was confirmed by the different expression of the target in microscopic fields of the same tumor with different Gleason’s grade. The well differentiated areas (Gleason 2-4) were generally negative or weakly positive, whereas in poorly differentiated areas (Gleason > 7) SEL1L was expressed with moderate or (focally) strong intensity. Conclusions This study suggests that the variability of SEL1L-expression reflects different phases of tumor progression. Our results could indicate thate depending on the cancer model system, SEL1l encoded protein may either enhance or inhibit cancer progression and this depends on the presence of the protein in the tissue normal cells. Moreover SEL1L expression could be a useful tool for the pathologist in the the differential diagnosis of HGPIN with its mimics: lobular atrophy, post-atrophic hyperplasia, post radiation metaplastic changes and adenocarcinoma. * Department of Clinical Medicine, Prevention and Biotechnology, University of Milano-Bicocca; ** Departments of Obstetrics and Gynecology and *** Pathology, “San Gerardo” Hospital, Monza, Italy Introduction High-risk (oncogenic) HPV types (16, 18, 31, 33, 45 and 58) are known to be a major risk factor in the development of cervical cancer. Currently, HPV infections are monitored primarily by HPV DNA detection assays but these qualitative DNA determinations do not distinguish between persistent infection, considered to be the pre-cursor of neoplastic progression, and transient infection. Recently, HPV viral load has been proposed as marker of viral replication suggestive of persistant infection. This quantitative method remains controversial as most studies have not standardised the number of cells per sample; furthermore many investigators have focused only on HPV 16, responsible for not more 50% of all oncogenic HPV infections. The aim of this study was evaluate the clinical significance of the HPV viral load and to compare it with cytological and histological findings. Methods The study was performed on total of 363 cervical cytology samples recruited from patients attending Monzàs “San Gerardo” Hospital. Of these, 95 were obtained from patients with recent abnormal cytology (ASCUS, L-SIL, H-SIL and carcinoma), 90 with normalized cytology after surgical treatment (conisation) and 90 with previous diagnosis of ASCUS or LSIL but with normal cytological findings at the time of the sampling. A cohort of 88 women with negative Pap test were also included. All patients included in study had cytological findings confirmed by colposcopic/bioptic examination. The viral load of oncogenic HPV-16, 18, 31, 33, 45, 58 types was evaluate by normalized quantitative real-time PCR assays adjusting the signal obtained for HPV DNA with the amount of cellular DNA calculated from amplification of a single copy human gene (CCR5). Results The prevalence for the six carcinogenic HPV types (16, 18, 31, 33, 45 and 58) ranged from 22% (normal cytology) to 89% (recent diagnosis of H-SIL) as showed in Table I. The frequency for HPV genotypes 16, 31, 33, 18, 45 and 58 was 44%, 27%, 23%, 7%, 3% and 0%, respectively. The viral load increased with increasing severity of associated lesions (Tab. I). By contrast, although the median of the viral load was significantly lower in patients with normal cytology following surgical treatment (cone biopsy) (Tab. I), a relevant percentage (16%) showed still a high quantity of HPV DNA (≥ 105 copy/105 cells) in cervical samples. The quantity of HPV DNA was also found to be very high (≥ 105 copy/105 cells) in 8% of patients with previous diagnosis of ASCUS/LSIL, but normal cytology at the time of sampling. COMUNICAZIONI E POSTER 252 Tab. I. Prevalence and viral loads of oncogenic HPV as determined by Real-Time PCR assays in cervical samples. Diagnosis (No. patients) Patients No. positive for one or more genotype (%) New cases: ASCUS/L-SIL (50) H-SIL (45) Normal: Previously ASCUS/L-SIL (90) After conisation (90) Normal (88) Viral load by TaqMan assay (No. of HPV Genome Equivalent/105 cells) Median 30 (60) 40 (89) 7,000 21,000 37 (41) 38 (42) 19 (22) 370 290 30 Conclusions In this study HPV genotype 31 was found to be the second most frequent genotype in Italy. 16% of women, who had undergone surgical treatment for a previous history of cervical precancerous lesions, still showed high HPV viral loads; these patients could be at higher risk of developing recurrent cervical neoplasia. A small group of patients with normal cytology but with a previous history ASCUS/L-SIL were also found to have high HPV viral loads; this finding may be indicative of a persisting infection leading to disease progression. These findings suggest that increased HPV DNA viral load could represent a possible early marker for the presence of cervical precancerous lesions. Lichen planus orale come modello interpretativo del ruolo del sistema dei recettori per EGF nelle condizioni precancerose e nei rispettivi carcinomi D. Vitolo, L. Ciocci, S. Cortese, G. Deriu, R. Pippi, G. De Muro, S. Cortese, C.D. Baroni Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, I Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma Introduzione Il ruolo svolto dai recettori dell’EGF è stato indagato in molti tumori, ma non è stato ancora del tutto compreso. Alcuni di questi recettori, come EGFR nei carcinomi della testa-collo e ErbB-2 nel carcinoma della mammella, vengono considerati indice prognostico o bersaglio per immunoterapia. Nel presente studio abbiamo valutato l’espressione dei recettori dell’EGF nel lichen planus orale che come noto, rappresenta una condizione precancerosa che può evolvere in carcinoma invasivo senza fasi di displasia. Metodi Abbiamo valutato l’espressione e la codistribuzione di EGFR, ErbB-2, ErbB-3 e ErbB-4, in 11 casi di lesioni flogistiche aspecifiche del cavo orale, in 15 casi di neoplasia intraepiteliale a basso grado, in 11 casi di carcinoma invasivo e in 29 casi di lichen planus orale, mediante metodica immunoistochimica. Risultati Nelle lesioni flogistiche aspecifiche e nelle neoplasie intraepiteliali a basso grado, abbiamo osservato codistribuzione di due o più recettori in tutti i casi. In particolare, nelle neoplasie intraepiteliali a basso grado, EGFR, ErbB-2 e ErbB-3 sono stati osservati codistribuiti rispettivamente nel 93%, 46% e 93% dei casi. Nel carcinoma invasivo, la codistribuzione di due o più recettori è stata osservata in tutti i casi; EGFR, ErbB-2 e ErbB-3 sono stati osservati codistribuiti nel 73%, 91% e 63% dei casi rispettivamente. Nel lichen planus, abbiamo osservato codistribuzione di 2 o più recettori in 27 casi; EGFR, ErbB-2 e ErbB-3 sono stati osservati codistribuiti nel 70%, 81% e 74% dei casi. Conclusioni La frequenza assoluta di codistribuzione dei recettori dell’EGF, ed in particolare di ErbB-2, nel lichen planus e nel carcinoma invasivo è simile, ed è superiore a quella osservata nella neoplasia intraepiteliale di basso grado. Al contrario, EGFR e ErbB-3 sono più frequentemente codistribuiti nei casi di neoplasia intraepiteliale di basso grado che nel lichen planus e nel carcinoma invasivo. L’insieme di queste osservazioni suggerisce che il lichen planus orale sia una condizione patologica in cui la bassa espressione di EGFR e ErbB3 da un lato, e l’aumentata espressione di ErbB-2 dall’altro, possano contribuire al difetto di maturazione dell’epitelio e all’aumentata incidenza di trasformazione neoplastica. Infine il pattern recettoriale di espressione osservato può rappresentare un modello per comprendere i meccanismi EGF-correlati alla base dello sviluppo di un carcinoma in una condizione precancerosa. PATHOLOGICA 2005;97:253-256 Markers tumorali Metilazione de novo di p16, hMLH1 e MGMT nei carcinomi sincroni endometriali e ovarici C. Riva, D. Furlan, R. Cerutti, I. Carnevali, E. Dainese, C. Facco, C. Capella Ridotta espressione di HIN-1 (High in Normal1) nei tumori polmonari non microcitomi: un evento frequente con potenziale significato prognostico Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese F. Barassi* **, C. Martella* **, L. Felicioni* **, A. Chella***, S. Salvatore* **, A. Castrataro*, F. Mucilli****, R. Sacco****, A. Marchetti* **, F. Buttitta* ** Introduzione La patogenesi e il profilo molecolare dei carcinomi sincroni endometriali e ovarici sono poco conosciuti, sebbene l’insorgenza indipendente dei tumori nelle due sedi sia un evento descritto da tempo e relativamente frequente. L’obiettivo della ricerca era la valutazione della frequenza della mutilazione de novo dei geni hMLH1, p16 e MGMT in una casistica di neoplasie sincrone endometriali e ovariche. Metodi La casistica comprendeva 14 pazienti con diagnosi di neoplasia sincrona endometriale e ovarica (in 5 casi bilaterale) definita su base morfologica e clinicopatologica. Sono state complessivamente studiate 33 neoplasie comprendenti 14 carcinomi endometriali (13 carcinomi endometrioidi e un carcinoma a cellule chiare) e 19 carcinomi ovarici di istotipo endometrioide (14) sieroso (2), mucinoso (2) e a cellule chiare (1) già precedentemente valutati per instabilità dei microsatelliti (IM). La determinazione della metilazione del DNA nelle isole CpG dei geni hMLH1, p16 e MGMT è stata indagata mediante PCR metilazione-specifica del DNA tumorale sottoposto a modificazione mediante bisolfito di sodio. Risultati In tutti i 14/33 (42%) tumori con IM e assente espressione immunoistochimica di hMLH1 si è osservata ipermetilazione di hMLH1. Un’anomala distribuzione della metilazione di p16 era presente in 12/27 casi (44%) e nella metà di essi era concomitante a IM. In 15/26 casi (57%) si è osservata ipermetilazione di MGMT e in 5 di essi era presente IM. Conclusioni La frequenza elevata di ipermetilazione nei promotori dei geni hMLH1, p16 e MGMT suggerisce che neoplasie sincrone endometriali e ovariche possano essere contraddistinte da un fenotipo metilatore a livello delle isole CpG (CIMP). La similarità dei profili molecolari suggerisce l’azione di un comune meccanismo patogenetico nelle due sedi come effetto di cancerizzazione di campo a livello di epiteli di derivazione mulleriana. * Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; ** Aging Research Center (CeSI), “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti; *** Dipartimento di Chirurgia, Università di Pisa; **** Dipartimento di Chirurgia, Università di Chieti Introduzione HIN-1 (High in Normal-1) è un ipotetico gene oncosoppressore recentemente scoperto mediante analisi di espressione ad alta processività. Con questo studio ci siamo prefissi di analizzare il livelli di espressione dell’RNA messaggero (RNAm) di questo gene in una serie di carcinomi polmonari non microcitomi (CPNM) e di valutarne il significato prognostico. Metodi L’espressione del gene HIN-1 è stata quantificata in una serie consecutiva di 91 pazienti con CPNM in stadio I mediante real-time RT-PCR effettuata sui campioni tumorali e rispettivi tessuti polmonari normali. Il rapporto tra i due livelli di espressione è stato comparato con i dati clinicopatologici mediante analisi statistica mono e multivariata. Risultati Settantuno tumori (78% dei casi) presentavano una riduzione dell’RNAm di HIN-1 rispetto al tessuto polmonare normale di riferimento. Il livello di riduzione variava notevolmente (fra -2n e -3350n). Utilizzando un cut-off a -46n (valore corrispondente alla mediana della distribuzione) 46 casi venivano definiti come affetti da marcata riduzione di espressione di HIN-1 e 45 come normali o con lieve riduzione di espressione. Si osservava una associazione statisticamente significativa tra bassi livelli di RNAm di HIN-1 e stadio T (P = 0,036). L’analisi univariata della sopravvivenza mediante il metodo di Kaplan-Meier rivelava una associazione dell’espressione di HIN-1 sia con la sopravvivenza globale (P = 0,0095) che con l’intervallo libero da malattia (P = 0,0122). Una analisi multivariata confermava che un basso livello di RNAm per HIN-1 rappresenta un fattore indipendente di prognosi sfavorevole. Conclusioni I risultati presentati indicano che l’espressione dell’RNAm di HIN-1, valutata mediante real-time RT-PCR, rappresenta un potenziale marcatore di prognosi nei pazienti con CPNM in stadio precoce di malattia. Ulteriori studi saranno necessari per validare questo dato. COMUNICAZIONI E POSTER 254 Perdita di espressione delle proteine MLH1, MSH2, MSH6 ed instabilità dei microsatelliti nel carcinoma dell’endometrio R. Gafà, E. Grandi, I. Maestri, L. Guerzoni, A. Gaban, L. Cavazzini, G. Lanza Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di Anatomia Istologia e Citologia Patologica, Università di Ferrara Introduzione Instabilità dei microsatelliti (MSI) è stata osservata nel 20% dei carcinomi endometriali (CE). Il ruolo della analisi immunoistochimica della espressione dei geni del DNA mismatch repair (MLH1, MSH2, MSH6) nella identificazione dei tumori endometriali con MSI necessita di essere definito. Nel presente studio sono state valutate l’espressione delle proteine del DNA mismatch repair e la MSI in una serie consecutiva di CE diagnosticati presso la nostra istituzione negli anni 2002-2003. Metodi Lo studio comprende 87 pazienti con CE di età compresa tra 39 e 83 anni. L’analisi genetica della MSI è stata effettuata su campioni fissati in formalina ed inclusi in paraffina con metodica di PCR fluorescente, utilizzando i markers mononucleotidici BAT26, BAT25 e BAT40. I tumori con instabilità in almeno uno dei loci esaminati sono stati classificati come MSI-H e quelli non instabili come MSS. L’analisi immunoistochimica dell’espressione delle proteine MLH1, MSH2 ed MSH6 è stata effettuata utilizzando anticorpi monoclonali anti-MLH1 (clone G168-728), anti-MSH2 (clone Fe11 e clone G219-1129) ed anti-MSH6 (clone 44). Risultati Degli 87 CE esaminati, 62 (71,3%) hanno evidenziato positività nucleare per MLH1, MSH2 ed MSH6, mentre 25 (28,7%) hanno presentato perdita di espressione di MLH1, MSH2 o MSH6. In particolare, in 21 tumori (24,1%) è stata osservata perdita di espressione di MLH1, in 3 perdita di espressione di MSH2 e di MSH6 e in un caso perdita di espressione della sola proteina MSH6. Degli 82 casi sottoposti ad analisi della MSI, 63 (72,4%) sono stati classificati come MSS e 19 come MSI-H. È stata evidenziata una ottima correlazione tra i risultati ottenuti con le due metodiche. Infatti tutti i 19 tumori classificati come MSI-H all’analisi genetica hanno presentato perdita di espressione all’indagine immunoistochimica, mentre delle 63 neoplasie classificate come MSS, 60 (95,2%) hanno mostrato normale reattività per le tre proteine (P < 0,001). Nessuna correlazione è emersa tra espressione di MLH1, MSH2 e MSH6 ed età della paziente, istotipo e grado di differenziazione della neoplasia. Conclusioni I risultati ottenuti indicano che la MSI è una alterazione genetica frequente nel CE, nella maggior parte dei casi determinata da inattivazione di MLH1. L’analisi immunoistochimica della espressione di MLH1, MSH2 ed MSH6 rappresenta una metodica semplice e attendibile per la individuazione dei carcinomi endometriali con deficit del DNA mismatch repair. Carcinomi con traslocazioni coinvolgenti i geni della famiglia MiTF/TFE S. Gobbo1, R. Tardanico2, G. Martignoni3, M. Pea1, L. Pecciarini5, M. Brunelli1 6, P. Balzarini2, E. Macri4, P. Cossu Rocca3, M. Chilosi1, F. Menestrina1, C. Doglioni5 1 Anatomia Patologica, Università di Verona; 2 Università di Brescia; 3 Università di Sassari; 4 Ospedale “San Martino”, Belluno; 5 Ospedale “San Raffaele”, Milano; 6 Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione Recentemente è stato descritto un gruppo di neoplasie renali con traslocazioni (tRC) della regione Xp11 e t(6;11) con relativa immunoespressione di rispettivamente TFE3 e TFEB, fattori di trascrizione della famiglia MiTF/TFE. Entrambe le neoplasie insorgono in giovani adulti e sono morfologicamente simili ai carcinomi renali a cellule chiare; le prime possono dare metastasi. Metodi Descriviamo 4 casi di tRC con indagini di immunoistochimica (ICH) con TFE3, TFEB, in un pannello inglobante CK818, HMB45, Mart1, vimentina, CD10 e parvalbumina (PV). Abbiamo incluso come controllo 15 angiomiolipomi. Risultati Le due tRC positive per TFE3 erano femmine di 9 e 24 anni e le 2 tRC positive per TFEB erano femmine di 52 e 42 anni. Le neoplasie con traslocazione TFE3 presentavano aspetti architetturali e citologici indistinguibili da un carcinoma a cellule chiare; le neoplasie mostravano focale positività alla CK8-18 in 1/2 casi ed i rimanenti marcatori non erano immunoespressi. Le neoplasie con traslocazione TFEB erano caratterizzate da una doppia popolazione di cellule epiteliomorfe, una medio-grande e a citoplasma chiaro e l’altra a piccole cellule raggruppate intorno a materiale ialino. Tali neoplasie erano positive al marcatore HMB45 e Mart1, focalmente per CK8-18 e vimentina; PV e CD10 positive in 1/2 casi. Un paziente ha sviluppato metastasi para-tracheali e pleuriche 3 anni dopo nefrectomia. Gli angiomiolipomi non esprimevano TFE3 e TFEB. Conclusioni 1) i tRC sono estremamente rari e non esclusivi dell’età pediatrica; 2) morfologicamente sono eterogenei ma sono simili ai carcinomi a cellule chiare; 3) l’indagine immunoistochimica deve considerare marcatori quali il TFE3 e TFEB nell’individuare tali neoplasie renali con traslocazione Xp11 e t(6;11) rispettivamente; 4) le neoplasie TFEB positive possono esprimere focalmente CK8-18; 5) le neoplasie con traslocazione t(6;11) precedentemente considerate a decorso benigno possono dare metastasi. Espressione della Timidina Fosforilasi nel tessuto pancreatico maligno e non maligno. Possibile ruolo terapeutico della Capecitabina E. Mattioli, R. Patruno*, A. F. Zito*, E. Ruggieri*, F. Vacca*, R. Ricco, G. Ranieri* Dipartimento di Anatomia Patologica, Bari, Italia; I.R.C.C.S. Oncologico, Bari, Italia * Introduzione La Timidina Fosforilasi (TF) è un enzima multifunzione: espresso da epiteli, endoteli e macrofagi, è coinvolto nel me- MARKERS TUMORALI 255 tabolismo nucleotidico, ha attività proangiogenica ed attiva farmaci fluoropirimidinici, quali la Capecitabina (CAP), trasformandoli in 5-FU; incremento della sua espressione è stato descritto in lesioni preneoplastiche (come la CIN) e in numerosi tumori solidi (tra cui carcinomi di mammella, colon, polmone) ed associato ad aumento della densità microvascolare (MVD). In questo studio abbiamo confrontato la sua espressione da parte di cellule epiteliali ed endoteliali nel tessuto neoplastico e in quello adiacente non neoplastico di 38 casi di carcinoma pancreatico. La componente endoteliale è stata valutata in termini di microvasi TF-positivi: laddove, infatti, i markers endoteliali classici (CD31, CD34, Fattore VIII) non sono in grado di distinguere tra endoteli quiescenti e non, noi ipotizziamo che TF, per le sue proprietà chemotattiche e mitogeniche su di essi, possa marcare gli endoteli attivati, esprimendo quindi l’attività neoangiogenica del tumore. Metodi Sezioni di 6 µm di materiale paraffinato sono state deparaffinate con xilene e alcoli, sottoposte ad antigen retrieval in forno a microonde e, previa inibizione della perossidasi endogena con H2O2 al 3%, colorate con anticorpo monoclonale anti-TF (P-GF.44C NeoMarkers). Lo staining è risultato diffusamente nucleare e focalmente anche citoplasmatico. La valutazione è stata effettuata sia con conta microscopica tradizionale (da due distinti osservatori) sia con un sistema di analisi d’immagine (Leica Quantimet 500); i microvasi sono stati identificati secondo il metodo Weidner modificato, escludendo le aree di necrosi. L’associazione tra espressione di TF e istologia (neoplasia vs. tessuto normale) è stata valutata con il test t-Student. Risultati L’espressione di TF è risultata in media significativamente più alta nel tessuto neoplastico che in quello limitrofo per entrambe le componenti considerate (Tab. I). Conclusioni Questi dati suggeriscono un coinvolgimento dell’espressione di TF nella tumorigenesi pancreatica e nel contempo interessanti presupposti per l’utilizzo della CAP in questo tumore: infatti, la più alta espressione di TF nella neoplasia potrebbe permettere una maggiore selettività di effetti rispetto all’uso del 5-FU; l’attivazione diretta del farmaco nelle cellule endoteliali potrebbe poi contrastare la neoangiogenesi della neoplasia, riducendone così la vitalità. Fosforilata nella diagnosi differenziale tra adenoma e carcinoma della tiroide R. Zamparese, F. Corsi, G. Pannone, A. Gatta, M.C. Pedicillo, P. Bufo Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Cattedra di Anatomia Patologica, Università di Foggia Introduzione Nel processo di apoptosi cellulare sono implicate numerose molecole fra cui l’ampio gruppo delle IAP (Proteine Inibitrici dell’Apoptosi) ed in particolare la forma attiva della survivina, la survivina fosforilata (P-Survivina). Quest’ultima una volta fosforilata in corrispondenza della THR34 ad opera della p34cdc2 impedisce l’apoptosi, consentendo alla cellula di proseguire nel ciclo cellulare. Le indagini fino ad ora condotte in vari tessuti sulla survivina sono basate sull’utilizzo di metodi di biologia molecolare e di immunoistochimica ed hanno dimostrato una spiccata espressione della survivina in numerosi tessuti fetali, ma non nei tessuti normali dell’adulto, e in numerosi tumori maligni dell’uomo. Il nostro studio ha lo scopo di valutare l’espressione immunoistochimica della survivina fosforilata negli adenomi e nei carcinomi della tiroide al fine di dimostrare una differente espressione delle reazioni immunoistochimiche per questa molecola nelle neoplasie benigne e maligne della tiroide. Materiali e metodi La nostra ricerca è stata condotta su 23 casi di carcinoma della tiroide e 10 casi di adenoma della tiroide. I 23 casi di carcinoma della tiroide sono costituiti da 14 casi di carcinoma ben differenziato della tiroide varietà papillare classica e 9 casi della varietà follicolare del papillare; trattasi di pazienti di età compresa tra 31 e 75 anni, 18 donne e 5 uomini. Dei 10 casi di adenoma, 9 sono pazienti di sesso femminile ed 1 di sesso maschile, di età compresa tra i 28 ed i 56 anni. Le sezioni istologiche di ogni campione sono state saggiate con anticorpi policlonali per la survivina umana ricombinante (ab469, Abcam, Cambridge) e per la survivina fosforilata di origine umana (sc-16320-R, Santa Cruz Biotechnology, INC.) e l’espressione immunoistochimica è stata valutata com metodo semiquantitativo. Risultati L’espressione immunoistochimica della survivina fosforilata è elevata nelle cellule neoplastiche dei carcinomi, mentre è negativa nei nuclei delle cellule degli adenomi della tiroide. L’espressione immunoistochimica della survivina, invece, è Tab. I. Espressione di TF negli epiteli (% di cellule positive a 400x, area di campo 0,19 mm2) Tessuto pancreatico neoplastico Tessuto pancreatico non neoplastico Valore p (t-test) * media ± deviazione standard Espressione di TF negli endoteli (% di microvasi positivi a 400x, area di campo 0,19 mm2) 31 ± 12* 37 ± 14* 9 ± 5* 14 ± 9* 0.005 0.01 COMUNICAZIONI E POSTER 256 positiva sia negli adenomi sia nei carcinomi della tiroide. Il parenchima sano circostante è solo debolmente e localmente positivo sia per la survivina fosforilata che per la survivina. Conclusioni I risultati incoraggiano l’utilizzo della survivina fosforilata per la diagnosi differenziale tra adenoma e carcinoma della tiroide nei casi di dubbia interpretazione. Bibliografia 1 Ito Y, et al. Oncol Rep 2003;10:1337-40. Valutazione dell’espressione delle oncoproteine del papillomavirus nella gestione e nel triage delle donne in follow-up per lesioni di basso grado R. Zappacosta, G. Di Bonaventura*, B. Zappacosta, A. Casoria, L. Brancone, M. Piccolomini, G. Di Girolamo, G. D’Egidio**, S. Rosini Sezione Citodiagnostica, Dipartimento Oncologia e Neuroscienze; * Dipartimento di Scienze Biomediche, Università “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara; ** U.O. Ginecologia e Ostetricia, P.O. Guardiagrele (CH) Introduzione L’infezione persistentemente 1 attiva, indotta dai Papillomavirus ad alto rischio oncogeno (HR-HPV), rappresenta un significativo fattore di rischio per lo sviluppo del cervicocarcinoma. È ormai chiara la correlazione tra infezione da HPV, mutazioni delle proteine p53 e pRB e rischio di sviluppo del cancro cervicale 2. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’utilità clinica della stima degli oncotrascritti virali E6/E7 su campioni cervico-vaginali in fase liquida, al fine di individuare, tra le pazienti con diagnosi citologica di lesione di basso grado, quelle ad alto rischio di sviluppare una lesione di alto grado o un cervicocarcinoma infiltrante. Metodi Sono state selezionate 48 donne di età compresa tra i 24 e gli 82 anni, in follow-up o in trattamento per lesioni cervicali. Su ciascuna è stato eseguito un esame colposcopico ed un prelievo citologico in fase liquida (Thin Prep). Parallelamente all’indagine morfologica, lo stesso campione residuo, in triplo cieco, è stato studiato con HPV-DNA test (Hybrid Capture II, Digene) e con HPV-mRNA test, per valutare l’espressione delle oncoproteine virali E6/E7 (tecnologia NASBA in Real-Time, Pretect HPV-Proofer, Norchip). Risultati Le correlazioni tra diagnosi citologica e biologia molecolare sono rappresentate in Tabella I. L’espressione di E6/E7 è presente in soli 9/48 casi (18,7%) e soltanto in 7/30 casi (23,3%) positivi per DNA-HR+. Un campione (L-SIL) risulta mRNA+ ma DNA-; un caso (ASCUS) è mRNA+ ma DNA-LR+. Tra le 27 pazienti colposcopicamente negative, 15 (55,5%) presentano DNA-HR+; 3 (20%) di queste sono anche positive per mRNA virale. Tra le 20 donne colposcopicamente positive, 11 (55%) mostrano DNA-HR+; di queste, 6 (54,5%) evidenziano il trascritto E6/E7. Conclusioni I nostri risultati preliminari mostrano come l’espressione delle oncoproteine virali E6/E7 sia riscontrabile solo in una piccola percentuale di casi positivi per HPV-DNA HR+. Poiché è la persistenza dell’espressione oncogenica di HPV il vero precursore della progressione neoplastica, solo la positività per E6/E7-mRNA potrà identificare le infezioni che molto verosimilmente evolveranno in neoplasia. In conclusione, pensiamo che l’associazione HPV-DNA test/NASBA-mRNA test possa candidarsi valido mezzo per migliorare la sensibilità diagnostica del Thin Prep Pap test e per individuare, tra le pazienti con lesioni di basso grado, quelle effettivamente da trattare perché ad alto rischio di sviluppare una neoplasia cervicale infiltrante. Bibliografia 1 Cuschieri KS. J Med Virol 2004;73:65-70. 2 von Knebel Doeberitz M. Eur J Cancer 38:2229-42. Tab. I. Diagnosi citologica (n. di casi) Negativo/BCC (14) ASC(9) L-SIL (22) H-SIL (3) DNA negativo DNA-LR+ DNA-HR+ Presenza mRNA E6/E/7 Tipo HPV 9 (64,3%) 0 5 (35,7%) 1 (7,1%) 18 4 (44,4%) 1 (11,1%) 4 (44,4%) 2 (22,2%) 16, 16 3 (13,6%) 1 (4,5%) 18 (81,8%) 4 (18,2%) 16, 16, 16, 31 0 0 3 (100%) 2 (66,6%) 16, 16 PATHOLOGICA 2005;97:257-264 Citopatologia Citologia diagnostica in fase liquida di lesioni del cavo orale: analisi del DNA con citometria a flusso A. Demurtas*, I. Rostan, P. Burlo**, A. Marsico, M. Pentenero***, S. Gandolfo***, R. Navone Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università di Torino, Sezione di Anatomia Patologica, Torino; * UOADU Anatomia Patologica 2 dell’A.O. “S. Giovanni Battista” di Torino, Torino; ** UOADU Anatomia Patologica 1 dell’A.O. “S. Giovanni Battista” di Torino, Torino; *** Struttura Universitaria convenzionata di Patologia ed Oncologia Orale dell’A.O. “S. Giovanni Battista” di Torino, Torino Introduzione La citopatologia esfoliativa per la diagnosi di displasie e neoplasie del cavo orale, benché nota da molti anni perché semplice, non invasiva, indolore e poco costosa, non ha trovato sinora un’applicazione così estesa come altri tipi di citologia diagnostica. L’impiego di nuove tecnologie (citologia computer-assistita, AgNORs, immunocitochimica, citologia in fase liquida) 1 ha consentito di migliorare sensibilità e specificità; un certo numero di casi resta tuttavia non diagnosticabile usando la sola citologia. Poiché è stato dimostrato, con lo studio del DNA di lesioni orali 2, che la ploidia è un buon indicatore di malignità, abbiamo valutato il DNA di cellule prelevate da lesioni orali sospette per neoplasia (in particolare leuco-eritroplachie e lichen) ed esaminate con la citologia in strato sottile. Tutti i casi sono stati biopsiati ed esaminati istologicamente. Metodi In 50 soggetti sono stati effettuati prelievi citologici orali da cui sono stati ottenuti preparati in strato sottile dopo diluizione nel liquido del Thin Prep (Cytic). Nel materiale residuo è stata valutata la ploidia utilizzando per la colorazione del DNA il CycleTEST PLUS DNA Reagent Kit e per l’analisi un citofluorimetro FACSalibur (Becton Dickinson) con laser Ioni Argon. Sono stati acquisiti almeno 20.000 eventi per ogni campione. Il DNA index (D.I.) è stato calcolato usando il programma statistico Multicycle. Per euploide si intende un D.I. uguale a 1, per aneuploide un D.I. diverso da 1. Risultati Su 18 casi di carcinoma squamoso o displasia di alto grado, in 11 l’analisi citometrica ha dimostrato la presenza di una popolazione aneuploide frammista alla popolazione euploide più numerosa (near-diploidia). I carcinomi verrucosi (2) erano euploidi o poliploidi. Lesioni non neoplastiche (13 casi) erano formate da cellule euploidi in 8 casi; 5 casi presentavano una near-diploidia. Conclusioni L’esame del DNA, effettuato sullo stesso campione usato per l’esame citologico, può fornire indicazioni utili alla diagnosi di tumori e displasie orali. Inoltre, se verranno confermati i dati di Sudbo et al. 3, l’eventuale presenza di aneuploidia in lesioni con displasia di basso grado o addirittura senza displasia morfologica potrebbe avere importanza prognostica. Bibliografia 1 Navone R. 3° Congresso Nazionale SIAPEC-IAP, Firenze 26-30 settembre 2004. 2 Remmerbach TW, et al. Anal Cell Pathol 2003;25:159-66. 3 Sudbo J, et al. Oral Oncol 2001;37:558-65. Determinazione immunocitochimica di p16INK4a per la caratterizzazione delle lesioni cervicali positive per papillomavirus ad alto rischio oncogeno S. Rosini, R. Zappacosta, M. Vizzino, P. Ascione, T. Orsini, A. Esposito, P. Visci**, M. Liberati* Sezione di Citodiagnostica, Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze; * Sezione di Ginecologia e Ostetricia, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara; ** Società Italiana di Colposcopia Introduzione Il valore aggiuntivo dell’HPV-DNA Test nel migliorare la sensibilità del Pap test è ormai acclarato: un test HPV negativo permette di “negativizzare” una diagnosi borderline con conseguenti evidenti vantaggi economici, per il SSN, e psicologici per la paziente. Di converso la sua bassa specificità risiede nella incapacità di discriminare le infezioni da HPV ad alto rischio oncogeno attive da quelle transienti. Questo comporta inutili allarmismi, disorientamento del clinico e rischio di sovratrattamento di una lesione spesso transitoria. Il presente studio è stato condotto al fine di determinare la validità dell’immunocitochimica con p16INK4a (inibitore chinasico ciclino-dipendente, legato all’espressione dell’oncoproteina virale E7) su casi di anormalità citologica associata a positività dell’HPV-DNA Test per i tipi virali ad alto rischio oncogeno. Metodi Lo studio immunocitochimico con p16INK4a (anticorpo monoclonale murino Dako; clone E6H4; diluizione 1:100) è stato condotto su 96 campioni citologici cervicovaginali residui in fase liquida con diagnosi citologica di: ASC-(46), L-SIL (44),H-SIL (6); tutti i casi selezionati risultavano altresì positivi per HR-HPV al test di ibridizzazione con sonda molecolare (Hybrid Capture II). I campioni sono stati valutati come significativamente positivi per p16INK4a se contenenti più del 25% di cellule squamose superficiali ed intermedie con espressione nucleare e citoplasmatica. Risultati L’espressione di p16INK4a è stata riscontrata immunocitochimicamente solo in 29 su 96 (30,2%) casi positivi per HPVHR. In particolare: 15/46 ASC- (32,6%), 10/44 L-SIL (22,7%), 4/6 H-SIL (66,7%). Conclusioni La positività per p16INK4a, evidenziata dai campioni citologici HR-HPV+, rappresenta l’espressione immunofenotipica dell’integrazione dell’HPV ad alto rischio oncogeno nel genoma della cellula ospite e della trascrizione delle proteine oncogeniche E6/E7. Ciò dimostra che l’HPV test è un esame indiretto, capace di individuare la presenza di sottotipi virali ad alto rischio oncogeno ma inadatto nel distinguere la natura della lesione e le sue potenzialità oncogene. Pensiamo, quindi, che la determinazione immunocitochimica di p16INK4a sulle lesioni HR-HPV+ possa rappresentare un mezzo standardizzato, automatizzato, altamente efficace ed efficiente, per la caratterizzazione ed il management delle pazienti. La negatività per p16INK4a del campione citologico cervicovaginale HR-HPV+ è in grado di escludere con ottima 258 COMUNICAZIONI E POSTER attendibilità la presenza di lesioni attive ed offre lo strumento per una più corretta programmazione del follow-up. Galectina-3 nella valutazione pre-operatoria dei noduli tiroidei: citologia convenzionale vs. citologia su strato sottile Metodica Immunocyt (u-Cyt+) nella diagnosi e follow-up del carcinoma transizionale della vescica R. Zappacosta, R. Bellocci, E. Dell’Osa, S. Andreozzi, M. Liberatore, S. Setta, F. Francomano*, U. Tatasciore, S. Rosini A. Bernardi, M. Gussio, P. Lovadina, P. Luparia, E. Berardengo Sezione di Citodiagnostica, Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara S.C. Anatomia Patologica 4, Ospedale “San Giovanni Antica Sede”, ASO San Giovanni Battista di Torino, Torino Introduzione A Fradet e Lockart si deve la messa a punto della metodica Immunocyt (uCyt+) che evidenzia markers specifici del tumore della vescica presenti in cellule esfoliate dall’epitelio transizionale in campioni di urina spontanea. Il test specie nei tumori a basso grado se combinato con la citologia può migliorare significativamente la sensibilità diagnostica. Metodi In uno studio prospettico preliminare 106 campioni di urina spontanea da pazienti, età media 64 anni, previa filtrazione su membrane Watman 25 um sono stati processati con u-Cyt+ Kit (DiagnoCure) che utilizza in immunofluorescenza gli anticorpi 19A211 coniugato con texas Red contro un antigene carcinoembrionale ad alto peso molecolare e M0.344 + LDQ10 coniugati con fluoresceina contro mucine citoplasmatiche presenti in molti tumori della vescica. La lettura con microscopio a fluorescenza, doppio filtro, obiettivo 40x è stata eseguita parallelamente al test citologico in doppio cieco. Risultati Sono stati identificati tre gruppi di pazienti (pz). Primo: 15 pz con patologia prostatica benigna o maligna, 14 con test citologico. Concordanza 76,92% (10/13) tra u-Cyt+ e citologia e discordanza in 3 casi u-Cyt+ positivi e citologia negativa, specificità di u-Cyt+ 53,84%. Secondo: 44 pz sintomatici per disuria, ematuria, cistiti: 43 con test citologico. Concordanza 60,46% (26/43) tra u-Cyt+ e citologia, discordanza in 6 casi u-Cyt+ negativi e citologia positiva (3 negativi alla cistoscopia, 1 G3) e in 11 casi u-Cyt+ positivi e citologia negativa (1 G1, 1 confermato negativo alla biopsia). Sensibilità dei due tests 69,76%, specificità di uCyt+ 55,81%. Terzo: 47 pz con pregresso tumore della vescica, 44 con test citologico. Concordanza 68,18% (30/44) tra u-Cyt+ e citologia, discordanza in 2 casi u-Cyt+ negativi e citologia positiva (1 confermato negativo) e in 12 casi u-Cyt+ positivi e citologia negativa (3 positivi al controllo istologico, 1 pz trattato con BCG, 1 falso positivo). Sensibilità 77,27%, specificità di u-Cyt+ 63,63%. Conclusioni Nel “management” del carcinoma transizionale della vescica Immunocyt abbinato alla citologia si conferma valido aiuto per diagnosi e follow-up. Lesioni delle basse vie urinarie possono dare false positività (nel 1° gruppo bassa specificità di u-Cyt+ che aumenta passando al 2°-3° gruppo). Incremento della sensibilità nel 2° e 3° gruppo di 9 punti %. Introduzione La caratterizzazione preoperatoria dei noduli tiroidei, mediante test immunocitochimico con Galectina-3 (Gal-3) è ormai una procedura diagnostica riconosciuta da molte Istituzioni Internazionali 1 2. Infatti oltre a fornire un criterio oggettivo di caratterizzazione biologica della lesione nodulare tiroidea, tale test combina anche la semplicità di esecuzione ad un ridotto time-consuming. Obiettivo del nostro studio retrospettivo è stato quello di comparare i risultati ottenuti dall’esecuzione del test su materiale residuo da citologia in fase liquida (TLC) con i risultati ottenuti su materiale citologico convenzionale (CC), al fine di individuare una metodica scevra da interferenze tecniche (causa di risultati discordanti) validandola per la pratica routinaria. Metodi L’espressione di Gal-3 (Ylem, 1:100) è stata valutata sul materiale residuo di 30 preparati TLC (4 carcinomi papillari, 11 proliferazioni papillari sospette; 12 proliferazioni follicolari sospette; 3 sospette neoplasie oncocitarie) e su 15 campioni preparati CC decolorati (5 carcinomi papillari e 10 proliferazioni follicolari sospette) tutti ottenuti da pazienti con noduli tiroidei palpabili candidati alla resezione chirurgica. Per tutti i casi citologici erano disponibili i corrispondenti esami istologici. Sui preparati sono stati valutati: pattern di immunopositività, cellularità, morfologia e conservazione cellulare, presenza di materiale di fondo. Risultati Le correlazioni tra diagnosi citologica ed espressione immunocitochimica di Gal-3 sono rappresentate in Tabella I. Abbiamo osservato spesso, sui preparati immunocitochimici da CC, false positività imputabili ad artefatti da fissazione all’aria nonché alterazioni del dettaglio citologico conseguenti alla formazione di spessi aggregati cellulari. Nei CC si rilevava costantemente un fondo “sporco” per la presenza di detriti ematici e cellulari. Infine, la metodica di allestimento ICC del preparato CC è stata di gran lunga più complessa. Conclusioni L’allestimento TLC dei campioni citologici tiroidei per lo studio immunocitochimico con Gal-3 permette, anche a distanza di ventiquattro mesi dal prelievo, di ottenere ottimi risultati. I vantaggi sono da ricondurre ad assenza di interferenze di fondo dovute ad aspecificità, (conseguente migliore interpretabilità dei risultati), ad omogenea distribuzione delle cellule positive su tutto il vetrino, a minore richiesta di anticorpo impiegato, a bassissimo time-consuming. Riteniamo, quindi, che lo studio immunocitochimico con Gal-3 dei preparati tiroidei da agoaspirazione, allestiti su strato sottile, possa aumentare l’efficienza e l’efficacia dello diagnostica tiroidea e confermarsi un valido mezzo per la caratterizzazione delle lesioni tiroidee e per la selezione dei pazienti effettivamente da sottoporre ad intervento chirurgico. CITOPATOLOGIA 259 Tab. I. Diagnosi Citologica Sospetto carcinoma papillare Controllo istologico Proliferazione follicolare Controllo istologico Neoplasia Oncocitaria Controllo istologico Carcinoma papillare Diagnosi Citologica/ Gal-3+ TLC 2/11 Gal-3+ CC 2/12 1/10 fondo+++ dettaglio cellulare+ componente ematica+++ 1/3 4/4 5/5 fondo+++ dettaglio cellulare+ componente ematica+++ Bibliografia 1 Bartolazzi A, et al. Lancet 2001;357:1644-50. 2 Rossi ED, et al. Cancer 2005;105:87-95. Molecular detection of breast cancer cells in fine needle aspiration cytology of resected sentinel lymph nodes M. Barberis, M. Cannone, C. Oliveri, E. Roz, F. Rispoli, S. Ferrarese, S. Alexiadis Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Gruppo Multimedica, Milano Background Sentinel lymph node (SLN) biopsy represents a new standard of care for patient with clinically lymph-node negative breast cancer. However the extensive, multilevel frozen section of the SLN is subject to false negative results, costly and time consuming. The use of immunohistochemistry does not overcome the need for a serial and complete sectioning of the node. Recently the suitability of high sensitivity molecular biology assays for the identification of “occult” metastases has attracted much interest. Unfortunately the part of the specimen used for molecular assays cannot be histologically examined. To overcome this drawback, we have devised a procedure to perform the molecular test before the extensive intraoperative examination: the fine needle aspiration cytology (FNAC) of the surgically removed SLN. Material and methods The diagnostic accuracy of the extensive histological examination and immunohistochemistry of 101 SLNs from 98 breast carcinoma patients were compared with that of the evaluation of two specific mRNA markers by reverse – transcription – polymerase chain reaction (Mammaglobin and MUC-1). Cell specimens were obtained by FNAC of the SLNs immediately before freezing. Results Metastases were detected on frozen in 19 cases (18.81%). Immunohistochemistry on serial sections confirmed the metastases and showed micrometastases or isolated tumor cells in 24 SLNs (23.76%). Diagnosi Istologica Benigno 9/11 TLC Adenoma maligno 2/11 TLC 10/12 TLC 9/10 CC 2/12 TLC 1/10 CC 2/3 TLC 1/3 TLC 4/4 TLC 5/5 CC Mammaglobin was expressed in 20 FNAC-specimens (19.80%). MUC-1 assay was positive in 11 cases only (10.89%). Conclusions This technique allows a complete histological examination without the sacrifice of a part of the SLN and in the same time gives a valuable diagnostic adjunct for the detection of occult tumour cells. Moreover it is less expensive and time consuming than extensive immunohistochemistry Comparison of cervical cytology with two molecular markers of HPV viral activity as predictors for the development of cervical neoplasia F. Broccolo*, R. Garcia Parra* **, S. Chiari**, A. Brenna***, P. Perego***, M. Viltadi*, G. Cassina*, A. Maneo**, C. Mangioni**, C.E. Cocuzza* * Department of Clinical Medicine, Prevention and Biotechnology, University of Milano-Bicocca; ** Departments of Obstetrics and Gynecology and *** Pathology, “San Gerardo” Hospital, Monza, Italy Introduction Human papillomaviruses (HPVs) play an essential part in the development of cervical cancer, particularly when infection is caused by “high risk” genotypes such as HPV 16, 18, 31, 33, and 45. HPVs infections are common among sexually active women and they are often transient and asymptomatic. Currently, the presence of HPV viruses is monitored primarily by HPV DNA detection assays but this qualitative DNA determination cannot distinguish between persistent infection, considered to be a pre-cursor of neoplastic progression, and transient infections. Emphasis has recently been placed on establishing accurate new methods to diagnose HPV infection. Recently, two different HPV markers with different clinical implications, “viral load” (a marker of active viral replication suggestive of persistant infection) and the presence of HPV transforming transcripts (indicative of oncogenic activity) have been proposed although their clinical value have been never compared. The aim of the present study was to com- COMUNICAZIONI E POSTER 260 pare the HPVs viral load with the presence of oncogenic transcripts and correlate them to the results of conventional screening methods (cytological, colposcopical and histological findings). Methods The study was performed on a total of 143 cervical cytology samples recruited from patients attending Monzàs San Gerardo Hospital. Of these, 60 were newly diagnosed as having altered cytology (ASCUS, L-SIL, H-SIL), 12 showed normal cytology subsequent to previous ASCUS/L-SIL, 8 normal cytology following surgical treatment for previous H-SIL and 43 women with negative Pap test. All cytological findings were confirmed by either colposcopy and/or biopsy specimen; patients with discrepancies between cytological and histological findings were excluded from the study. The carcinogenic HPV types DNA quantification and the presence E6-E7 oncogenic transcripts were determined by Real-time PCR assays (TaqMan) and NASBA (Pretect HPV-Proofer; Norchip), respectively. Results The prevalence of HPV DNA and E6/E7 mRNA for the carcinogenic HPV types (16, 18, 31, 33, and 45) was respectively 22% in cases of normal cytology, 92% in HSIL as compared to 0% in normal cytology to 66% in HSIL. The association rate between the two markers was calculated by evaluating different cut off values; a higher association was showed when the cut off value selected for the viral load was ≥ 103 copy/105 cells (0.58 Pearson’s χ2), irrespective of the cytological subgroup. In particularly, a higher association was found for genotypes 16 and 18 (0.93 and 1, respectively; Pearson’s χ2) while no significant association was shown for genotype 31. Although both markers showed a significant association with cytological and histological findings, the HPV DNA quantification was found to be a more sensitive marker than the detection of E6-E7 mRNA, as shown in Table I. Conclusions A good correlation was found between the results obtained for the two different markers of HPV viral activity studied, particularly for genotypes 16 and 18. The viral load (using as cut off value 103 copy/105 cells), however, showed a significantly better clinical correlation compared to the presence of oncogenic transcripts, especially in patients with early cervical precancerous lesions, indicating this as a useful early predictive marker for the development of cervical cancer. This probably refects the absence of E6/E7 expression in exfoliating epithelial cells in patients with early precancerous lesions. Tumore di Buschke-Lowenstein dell’ano: valutazione di 3 casi I. Castellano, P. Cassoni, A. Mobiglia*, M. Mistrangelo*, M. Bellò**, A. Mussa*, G. Bussolati Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, * Sezione di Chirurgia Oncologica e ** Sezione di Medicina Nucleare, Università di Torino, Italia Introduzione Il condiloma gigante acuminato o tumore di BuschkeLowenstein è una rara entità che interessa la regione anorettale e perianale. È una neoplasia papillomatosa a crescita lenta ed espansiva che può propagarsi alla vescica, al retto ed all’area vulvo-vaginale; frequentemente può andare incontro a recidive (66% dei casi) o a trasformazione maligna (56%), ma solitamente non dà metastasi. Vengono di seguito descritti tre casi di tumore di Buschke-Lowentstein giunti all’attenzione del Dipartimento di Chirurgia Oncologica e dell’Anatomia Patologica dell’Università di Torino. Metodi Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico locale dopo essere stati studiati mediante anoproctoscopia, ecografia, risonanza magnetica pelvica e linfoscintigrafia per la biopsia del linfonodo sentinella. Il materiale è stato fissato in formalina, incluso in paraffina e sono state allestite sezioni colorate con ematossilina-eosina e con anticorpi-anti HPV. Il linfonodo sentinella è stato esaminato mediante plurime sezioni e colorazione con anticorpi anti-citocheratine. Risultati Le lesioni avevano aspetto verrucoide grigiastro a larga base d’impianto. L’esame istologico evidenziava la presenza di un epitelio spiccatamente iperplastico ben differenziato, con acantosi, iperparacheratosi e con papille dermiche tozze ed allungate. Negli strati superficiali erano presenti cellule di aspetto coilocitico, risultate positive alla colorazione immunoistochimica con anticorpi anti-HPV. In tutti i pazienti la ricerca di cellule neoplastiche nei linfonodi sentinella è risultata negativa. Non si è osservata mortalità né recidive postoperatorie. Conclusioni Il carcinoma verrucoso dell’ano o tumore di BuschkeLowenstein è una neoplasia rara ma di difficile trattamento per l’ampiezza della lesione e la potenziale malignità. Il trattamento primario di scelta è l’ampia escissione locale con elettrocauterio o laser, anche se alcuni autori suggeriscono l’amputazione addomino-perineale sec. Miles o la radioterapia eventualmente associata alla chemioterapia in casi con Tab. I. Comparison of the cytological and histological findings with the HPV viral load and the detection of E6/E7 oncogenic transcripts. Patients No. positive for one or more genotype (%) Cytology and histology results (Patients No.) HPV viral load by TaqMan assay (No. of HPV genome Equivalent/105 cells) Cut-off: > 103 copy ASCUS/LSIL (29) H-SIL (31) Normal: Previously ASCUS/L-SIL (12) after conisation (8) Normal (43) Detection of HPV E6/E7 oncogenic transcripts by NASBA Cut-off: > 105 copy 15 (52) 24 (77) 10 (34) 19 (61) 9 (31) 21 (68) 3(25) 4 (50) 3 (7) 3 (25) 3 (38) 1 (2) 2 (17) 3 (38) 0 (0) CITOPATOLOGIA 261 ampie lesioni o molteplici recidive. L’identificazione tramite la valutazione istologica del linfonodo sentinella dei rari casi con metastasi linfonodali può altresì permettere di riconoscere e selezionare senza la necessità di un intervento chirurgico maggiormente invasivo i pazienti per i quali vi è indicazione alla chemioterapia. Aspirato con ago sottile dei noduli tiroidei: striscio convenzionale vs. preparato in strato sottile A. Cavaliere, R. Colella, A. Sidoni, M. Giansanti, G. Bellezza, I. Ferri, P. DeFeo*, E. Puxeddu*, N. Avenia**, E. Bucciarelli Istituto di Anatomia Patologica; * Dipartimento di Scienze Endocrine e Metaboliche; ** Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università di Perugia Introduzione La citologia aspirativa con ago sottile è ormai divenuta una metodica ampiamente utilizzata nella gestione dei noduli tiroidei. Accanto allo striscio convenzionale è stato introdotto, più di recente, l’allestimento di preparati in strato sottile. In questo studio abbiamo confrontato i risultati ottenuti con le due metodiche nel materiale osservato presso il nostro Istituto. Metodi Sono stati presi in considerazione 2.175 noduli tiroidei tutti aspirati con ago sottile (G 27 o 25) sotto guida ecografia. Di questi in 1.911 casi è stato possibile effettuare un doppio passaggio. Per convenzione il materiale ottenuto con il primo passaggio è stato strisciato con il metodo convenzionale; il secondo passaggio è stato allestito in strato sottile. Risultati I risultati, globalmente considerati, sono stati concordanti in 1.454 casi (76,08%) e discordanti i 457 (23,92%). È stata formulata una diagnosi di negatività in 1.481 casi (77,6%), di positività per neoplasia in 39 casi (2%) (26 carcinomi, 10 adenomi, 3 tumori a cellule di Hurthle), di sospetto per carcinoma in 2 casi (0,1%) e di inidoneo in 389 casi (20,3%). L’analisi dei dati discordanti ha messo in evidenza nello striscio convenzionale un maggior numero di casi di inidonei (273 vs. 171) ma anche un maggior numero di casi positivi per neoplasia (15 vs. 4). In 81 casi è stato possibile avere il confronto cito-istologico; i risultati sono stati concordanti in 69 casi (85%) ed in particolare in 47 noduli iperplastici, 20 Tab. I. Confronto Cito-Istologico dei Casi Discordanti. Citologia No. Negativa 4 1 Inidonea Sospetta per carcinoma 1 3 2 1 Istologia Adenomi Tumore ben differenziato ad incerto potenziale di malignità Carcinoma papillare Noduli iperplastici Adenomi Adenoma trabecolare ialinizzante carcinomi, 2 adenomi. Si sono avuti risultati discordanti in 12 casi (15%) (Tab. I). Conclusioni Nella nostra esperienza emerge che in presenza di materiale adeguato lo striscio convenzionale offre una maggiore possibilità diagnostica nei casi positivi e che la citologia in strato sottile consente di ridurre significativamente il numero degli inidonei. Citologia su strato sottile: validazione e controllo di qualità in ambito di screening mammografico presso IST Genova B. Gatteschi, F. Carli, P. Castellano, M.L. Maisto, B. Spina, G. Tanara, M. Truini, L. Bonelli* S.C. di Anatomia e Citoistologia Patologica, * S.S. Prevenzione Secondaria e Screening, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova Introduzione Il controllo di qualità (CdQ) citologico nello screening mammografico ne condiziona l’accuratezza e la riproducibilità: hanno importanza sia l’allestimento che la lettura dei preparati. Dal 2000 in IST tutti i campioni sono allestiti su strato sottile (n. medio di AA mammari 800/anno): il CdQ nella casistica di screening ha fornito l’occasione per effettuare una validazione e un CdQ della metodica di allestimento. Metodi Il periodo relativo al CdQ citologico va da Luglio 2002 ad Aprile 2005. I campioni sono stati ottenuti mediante agoaspirazione con ago sottile. Il materiale è stato immediatamente raccolto in Cytolyt (Cytyc Corporation) e allestito su strato sottile usando il processatore Thin Prep Cytyc 2000; i vetrini sono stati colorati con colorazione standard di Papanicolaou. Per la refertazione sono state seguite le Linee Guida Europee. I preparati sono stati rivisti collegialmente e in cieco rispetto alla prima diagnosi da 4 medici e 2 citologhe. La diagnosi di revisione si è basata sul consenso dei 6 operatori ed è stata effettuata la revisione dei preparati istologici disponibili. Risultati Il CdQ è stato effettuato in 146 campioni. Gli inadeguati sono stati il 18,5%. La fase diagnostica vs. revisione ha dimostrato una concordanza del 87%. Disaggregata per categorie la concordanza è stata: C1 = 92,6% C2 = 96,7% C3 = 10,0% C4 = 60,0% C5 = 88,9%. Il controllo istologico era disponibile in 36 pazienti (C1 = 6; C2 = 3; C3 = 10; C4 = 8; C5 = 9). Nelle classi C4 e C5 in fase diagnostica la% di cancro è stata del 75% e del 89%; in revisione la % è passata al 89% e al 100%, rispettivamente. Due cancri sono stati diagnosticati in C1 e uno in C2. La concordanza è stata soddisfacente nella classe C2 nonostante un FN (ca. lobulare diventato C3 in revisione). Nelle classi C3-C4 la concordanza è diminuita nettamente, evidenziando il problema già noto della “zona grigia” delle classi “atipiche”. Nella classe C5 si è verificato un miglioramento: un caso di ADH è stato riclassificato C3. Conclusioni Si osserva un miglioramento della concordanza cito/istologica nella fase di revisione. Il CdQ è stato utile e formativo: importante in fase di revisione il dialogo tra gli operatori. Il CdQ della metodica di allestimento, valutato attraverso la concordanza con la diagnosi istologica, è stato molto soddisfacente. La classe C3 conferma i gravi problemi di riproducibilità. 262 Citologia agoaspirativa (FNAC) e microbiopsia con mammotome nelle lesioni non palpabili della mammella C. Giardina, A.M. Guerrieri, G. Ingravallo, G. Cassandro, M. Zaccaria, A. Napoli, A. Cimmino, R. Ricco, V. Lattanzio Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari, Saris, Policlinico, Bari Introduzione Scopo dello studio è valutare la distribuzione di lesioni mammarie nelle classi diagnostiche citologiche C1-C5 e microistologiche B1-B5 e il loro significato rispetto alla diagnosi finale e confrontare l’affidabilità delle due metodiche. Metodi Negli anni 200-2004, 1.520 pazienti sono state sottoposte ad agoaspirato sotto guida stereotassica o ecografica (ago 23-24 G) e 524 pazienti hanno avuto un’agobiopsia con Mammotome (ago 11G). Le citologie sono state diagnosticate come: C1: 28,5%, C2: 38,8%, C3: 6,5%, C4: 8,6%, C5: 17,4%. Le agobiopsie sono state diagnosticate come: B1: 0,6%, B2: 55,2%, B3: 7,3%, B4: 1,2%, B5: 36%. Risultati L’esame istologico definitivo era valutabile in 365 casi di citologia: 46 C1 (10,6%), 36 C2 (6%), 25 C3 (25%), 61 C4 (46%), 147 C5 (55%) e in 183 casi di microbiopsia; nessun caso B1 è stato sottoposto a chirurgia, 3 casi B2 hanno avuto successiva chirurgia 2 erano benigni uno era un carcinoma (liponecrosi alla CB). Dei casi B3 17 hanno avuto intervento chirurgico: 15 erano benigni, 2 maligni. I 4 casi B4 sottoposti a chirurgia 3 erano lesioni atipiche uno era carcinoma in situ. L’istologia definitiva era valutabile in 159/180 casi B5: la diagnosi è stata confermata in 151 casi; (95 in situ e 56 invasivi); in 7 casi non c’era più tumore sul pezzo operatorio, in un caso (0,6%) la diagnosi carcinoma in situ ben differenziato è stata modificata in iperplasia duttale atipica. La sensibilità è risultata 71% per la FNAC e 97,8% per la CB, la specificità era 96,7% per la FNAC e 99,6% per CB. Il valore predittivo positivo (VPP) dell’agoaspirato è risultato 99,2 per la classe C5. Il valore predittivo negativo (VPN) per la FNAC è stato 96,8%. Il VPP della microbiopsia è risultato 99,4% per B5. Il VPN della microbiopsia è risultato 99,6. Conclusioni La distribuzione delle lesioni nelle categorie “C” e “B” è risultata diversa con un diverso significato in confronto con la diagnosi finale soprattutto per le classi C3 e B3 e C4 e B4. Molto diversa è risultata nelle due metodiche la percentuale di casi non diagnostici e di casi positivi per malignità. In conclusione la CB ha mostrato valori più elevati di specificità e sensibilità, e un maggiore valore predittivo negativo che la FNAC, tuttavia i valori di sensibilità, specificità, VPP e VPN della citologia sono risultati assolutamente accettabili ed essa può quindi a tutt’oggi essere considerata un valido mezzo diagnostico per molte lesioni mammarie. COMUNICAZIONI E POSTER Carcinoma duttale salivare a basso grado: diagnosi agoaspirativa E. Padolecchia, C. Montresor, P. Cusati, S. Fiaccamento, F. Zorzi Anatomia Patologica. Fondazione Poliambulanza; Brescia Introduzione Il carcinoma duttale salivare di “basso grado” è una rara neoplasia descritta di recente come variante a buona prognosi del carcinoma duttale che per definizione è ad “alto grado” 1. Sono descritte anche neoplasie in transizione da basso ad alto grado. Metodi Paziente di sesso maschile di anni 32 con formazione nodulare parotidea destra di cm 3. Agoaspirazione eseguita sotto guida ecografica con ago 27 G da cui si allestiscono n 5 vetrini colorati con EE. Pezzo operatorio di parotidectomia semplice; sezioni in paraffina colorate con EE e PAS. Risultati Agoaspirato: presenza di aggregati di cellule epiteliali ad architettura cribriforme con minori irregolarità citologiche. Istologia: prevalente componente di crescita epiteliale intraduttale con proiezioni micropapillari, aree fenestrate e aspetti cribriformi in assenza di comedonecrosi. Le cellule di piccola taglia hanno nuclei rotondi od ovali con cromatina finemente dispersa e nucleoli piccoli o assenti. Il citoplasma è privo di muco che è presente in alcuni lumi ghiandolari. Conclusioni La diagnosi citologica agoaspirativa può essere difficile ed erronee diagnosi di adenocarcinoma pleomorfo di basso grado, come pure falsi reperti di lesione benigna tipo adenoma pleomorfo sono riportate in letteratura 2. Bibliografia 1 Brandwien-Gensler M, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1040-4. 2 Khurana KK, et al. Cancer Cytopatholol 1997;81:373-8. Carcinoma mucoepidermoide differenziato, variante oncocitica: diagnosi citologica agoaspirativa E. Padolecchia, S. Fiaccavento, P. Cusati, M.C. Montresor, F. Zorzi Servizio di Anatomia Patologica, Fondazione Poliambulanza Brescia Introduzione Il carcinoma mucoepidermoide si caratterizza per una notevole variabilità della composizione cellulare con presenza di cellule mucosecretive, squamose, intermedie, colonnari, chiare e più raramente oncocitiche 1. Queste ultime possono essere presenti in una varietà di neoplasie benigne e maligne o essere espressione di modificazioni metaplastiche con i caratteri della oncocitosi diffusa, di una metaplasia oncocitica nodulare o di un’iperplasia oncocitica adenomatosa 2. Metodi Paziente di sesso maschile di anni 64 con nodulo parotideo sinistro palpabile del diametro massimo di cm 1,5. Agoaspirato di lesione ecograficamente cistica eseguito con ago 27 G ha ottenuto 2 cc di liquido torbido. Gli strisci sono colorati con EE. CITOPATOLOGIA Pezzo operatorio di cm 4,5 x 3,4 x 2 con lesione nodulare a profilo bozzuto del diametro di cm 1,5 con aree cistico-emorragiche. Si allestiscono sezione in paraffina colorate con EE e PASD. Risultati Nei preparati agospirativi prevalgono istiociti schiumosi di provenienza endocistica, ma sono presenti anche alcuni aggregati epiteliali di cellule ossifile prive di atipie che suggeriscono una diagnosi di tumore di Warthin; tuttavia ad un’accurata ricerca si rinvengono aggregati di cellule a citoplasma chiaro, microvacuolato, con moderate atipie nucleari e presenza di aggregati coesivi di cellule di piccola taglia con nucleo rotondo a fine disegno cromatinico. La valutazione di insieme della cellularità rinvenuta suggerisce la possibilità di un carcinoma mucoepidermoide con componente oncocitaria. La diagnosi citologica è confermata dall’esame istologico del pezzo operatorio che evidenzia anche un’area di invasione del parenchima ghiandolare circostante. Conclusioni La presenza di cellule ossifile (oncociti) in agoaspirati di lesioni nodulari delle ghiandole salivari pone problemi di diagnosi differenziale con oncocitoma, tumore di Warthin e neoplasie con modificazioni oncocitiche in particolare adenoma pleomorfo, carcinoma a cellule aciniche e variante oncocitica del carcinoma mucoepidermoide. L’evidenza di un’associazione con altre componenti cellulari consente in molti casi una diagnosi preoperatoria. Bibliografia 1 Brannon RB, et al. Oncocytic mucoepidermoid carcinoma of paratiroid gland origin. Oral Surg Oral Med Oral Pathol Oral Radiol Endod 2003;96:727-33. 2 Paulino AF, et al. Oncocytic and oncocytoid tumors of salivary gland. Semin Diagn Pathol 199;16:98-104. Fine needle aspiration cytology of intraductal papillary mucinous tumor. Case report L. Righi, D. Pacchioni, M. Volante, P.R. Mioli*, A. Sapino, G. Bussolati Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Università di Torino; * Chirurgia d’Urgenza, ASO “San Giovanni Battista”, Torino Introduction Intraductal Papillary Mucinous Tumor (IPMT) of the pancreas has become the accepted terminology of a group of mucin-producing epithelial proliferations lying within ectasic segments of the main pancreatic duct or its large branches. These neoplasms generally are associated with an indolent course, characteristic endoscopic-ultrasonographic (EUS) findings, and a variable histo- and cyto-morphology ranging from hyperplasia to carcinoma 1. Methods We report a case of a 67 year old woman presenting with dyspepsia and abdominal pain. Computerized Tomography scan demonstrated a pancreatic mass, 3 cm in size. EUS-guided fine-needle aspiration (FNA) was performed. Results In the cytological specimen, single or loosely cohesive clusters of neoplastic cells showing a goblet-cell morphology were entrapped in aboundant mucinous material. A variable 263 degree of nuclear atypia was present and the neoplastic elements were arranged in papillary structures. Immunocytochemistry for MUC1 and MUC2 2 was performed. The patient underwent surgical excision of the lesion. Histological examination showed a diffuse intraductal papillary mucinous tumor associated with an extensive invasive component (so called papillary mucinous carcinoma) with focal infiltration of the peripancreatic tissue. Conclusions Cytological diagnosis of IPMT by EUS-guided FNA is feasible. Clinical, radiographic and pathological correlations are recommended to improve cytological diagnostic accuracy in a differential diagnosis between IPMT and other tumors as cystic ductal adenocarcinomas and cystic mucinous neoplasms. References 1 Layfield LJ, et al. Diagn Cytopathol 2005;32:16-20. 2 Chu PG, et al. Am J Surg Pathol 2005;29:359-67. Valutazione dell’espressione di citocheratina 19 e p63 nella citologia agoaspirativa del carcinoma papillare della tiroide C.A. Sagramoso, M. Bonzanini, G. Marini*, P. Dalla Palma Anatomia Patologica, Trento, Italia * Radiologia, Ospedale “S. Chiara”, Introduzione Il carcinoma papillare (CP) è la più frequente neoplasia maligna della tiroide e l’esame citologico mediante agoaspirazione con ago sottile (FNA) rappresenta attualmente la metodica diagnostica pre-operatoria più accurata. Sebbene i criteri diagnostici citologi del CP siano ben stabiliti, casi dubbi, che pongono problemi di diagnosi differenziale con lesioni benigne, non sono infrequenti nella pratica routinaria. La citocheratina 19 (CK 19) si è rivelata molto sensibile ma poco specifica nella distinzione delle diverse lesioni tiroidee 1 . p63, una proteina omologa di p53, è stata recentemente descritta nel carcinoma papillare della tiroide e nella tiroidite di Hashimoto 2. Scopo di questo lavoro è stato quello di verificare l’espressione di questi due marcatori nella FNA del CP. Metodi Sono stati selezionate le FNA relative a 21 CP, a 3 carcinomi follicolari, a 5 adenomi follicolari, a 2 adenomi oncocitari, a 10 iperplasie nodulari e a 3 tiroiditi, accertati istologicamente. Per le indagini immunoistochimiche sono stati impiegati gli anticorpi CK 19 (clone DC-10, Medac) e p63 (clone 63P02, Bioptica). La metodica è stata eseguita come indicato dalle ditte produttrici. Risultati CK 19 è risultata positiva in 20/21 carcinomi papillari (95%), in 3/3 carcinomi follicolari (100%), in 2/5 adenomi follicolari (40%), in 1/2 adenomi oncocitari (50%), in 6/10 iperplasie plurinodulari (60%), in 3/3 tiroiditi (100%). La maggior intensità di espressione (+++) si è osservata nel CP (11 casi), in 2 adenomi, in 1 carcinoma follicolare e in 1 caso di iperplasia. p63 ha evidenziato una positività nucleare intensa ma spesso focale in 13/21 (62%) CP e in 2/10 iperplasie nodulari (20%). Tutte le altre lesioni sono risultate negative. 264 La coespressione di p63 e di una intensa positività di CK 19 (++/+++) si è osservata in 12 CP e in 1 caso di iperplasia nodulare. Conclusioni Dai nostri risultati emerge che la CK 19, a meno di un’intensa positività, non è specifica in citologia per il CP; p63 al contrario si è dimostrata meno sensibile ma più specifica risultando positiva pressoché esclusivamente nel CP. Sebbene ulteriori studi a riguardo siano indispensabili, la coespressione di CK 19 e p63 può essere di ausilio nell’identificazione citologica del CP, qualora gli aspetti morfologici si rivelino dubbi. Bibliografia 1 Sahoo S, et al. Am J Clin Pathol 2001;116:696-702. 2 Unger P, et al. Hum Pathol 2003;34:764-9. La citologia su strato sottile nel II livello di screening del carcinoma della cervice uterina. Risultati della nostra esperienza e confronti con il pap test convenzionale L. Saragoni, M. Liverani, S. Danesi, F. De Paola, R. Fedriga U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Pierantoni”, Forlì, Italia Introduzione La qualità della prestazione citologica rappresenta il cuore della prevenzione della patologia cervicale e vari studi hanno dimostrato che campionamenti inadeguati, errori nella metodologia organizzativa e gestionale del programma di screening associati ad interpretazioni diagnostiche errate giustificano incidenza e mortalità ancora troppo elevati. COMUNICAZIONI E POSTER Lo scopo di questo lavoro è di confrontare l’efficacia delle due metodiche: pap test convenzionale ed in strato sottile ThinPrep (TP) su un campione di 453 casi diagnosticati come “atypical squamous cells” ASCUS o “atypical glandular cells” AGUS. Metodi Tutte le donne con pap test con diagnosi citologica di ASCUS/AGUS sono state richiamate entro 3 mesi nell’ambito degli accertamenti di II livelli del programma di screening del cervicocarcinoma per eseguire un TP. Risultati Sulla diagnosi iniziale di ASCUS/AGUS con pap test convenzionale, 124 casi (27,37%) sono classificati adeguati mentre 329 casi (72,63%) sono classificati soddisfacenti ma con fattori limitanti (subottimali). Nella ripetizione della citologia con TP, 322 (71,08%) sono classificati adeguati, 129 casi (28,48%) come “subottimali” e 2 casi come insoddisfacenti (inadeguati) (p < 0,0001). Una analisi dei casi “subottimali” ha evidenziato che le principali cause nel pap test convenzionale sono: la cattiva conservazione (40,24%), la presenza di granulociti (36,43%), una intensa flogosi (12,14%) ed emazie (5,48%). L’analisi statistica mostra una differenza significativa (p < 0,0001) nelle proporzione tra i casi classificati “negativi” (80,29%), ASCUS/AGC (10%) e SIL (3,82%) con metodo TP e la diagnosi iniziale di ASCUS/AGC. Sui 54 casi confermati ASCUS/AGC con TP, 30 casi sono confermati categoria-specifica nella alterazione delle cellule coinvolte. Il follow-up istologico dei 19 casi con SIL ha confermato una lesione displastica in 7 su 10 casi (70%); in 9 casi non è stata eseguita nessuna biopsia. Conclusioni L’esperienza preliminare di questo studio, sembra evidenziare che un adeguato “training” nella raccolta del campione in fase liquida possa migliorare l’adeguatezza del campione e la accuratezza della diagnosi citologica. PATHOLOGICA 2005;97:265-307 Patologie varie L’interleuchina 7 induce mielopoiesi ed eritropoiesi: ruolo dei linfociti T F.B. Aiello* **, J.R. Keller* G. Dranoff***, S. Rosini**, R. Mazzucchelli*, S.K. Durum* * National Cancer Institute, Frederick MD, USA; ** Anatomia Patologica, Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze Università di Chieti; *** Dana Farber Cancer Institute, Boston, MA, USA Introduzione L’interleuchina 7 (IL-7) è indispensabile per la linfopoiesi, infatti in presenza di mutazioni che inattivano il recettore per IL-7 (IL-7R) si osserva Immunodeficienza Combinata Severa, patologia che comporta una mortalità infantile dell’80% entro il terzo anno di vita. L’IL-7 “in vivo” non ha effetti tossici, e sono in corso trials clinici nell’uomo, in quanto ne sarebbe auspicabile l’utilizzazione per la ricostituzione della linfopoiesi nell’AIDS, e nel trapianto di midollo osseo. Gli effetti della IL-7 su “lineages” non linfoidi sono poco noti ma potrebbero essere clinicamente rilevanti. Scopo del lavoro è stato di studiare gli effetti della somministrazione di IL-7 sulla mielopoiesi e l’eritropoiesi in modelli murini. Metodi IL-7 (20 microgrammi/0,2 ml di veicolo/iniezione/giorno per 9 giorni) o il suo veicolo da solo sono stati somministrati a topi immunocompetenti (C57BL/6), a topi privi di linfociti T maturi, (RAG1-/-) e a topi deficienti nella produzione delle citochine GM-CSF e IL-3 (GM-CSF-/-IL3-/-). Sono stati quindi studiati: 1) gli effetti sulla mielopoiesi ed sulla eritropoiesi mediante analisi citofluorimetriche, morfologiche e immunoistochimiche; 2) gli effetti sulla produzione di citochine “in vivo” e “in vitro” mediante ELISA; 3) l’espressione di IL-7R su cellule eritroidi purificate mediante citofluorimetria e RT-PCR; 4) gli effetti eritropoietici di IL-7 “in vitro” mediante saggio delle colonie eritropoietiche in metilcellulosa. Risultati IL-7 induce aumento del numero delle cellule mieloidi immature e mature “in vivo”, sia a livello splenico che a livello del sangue periferico. Tale azione risulta essere mediata dai linfociti T che producono citochine mielopoietiche quali GM-CSF e IL-3 e altre. IL-7 inoltre è in grado di indurre un aumento del numero dei progenitori eritropoietici a livello splenico. Tale effetto potrebbe essere diretto in quanto: 1) si osserva nei topi RAG-/- e GM-CSF-/-IL3-/-; 2) Il 30% delle cellule eritroidi TER-119+ esprime IL-7R; 3) IL-7 aumenta drammaticamente il numero delle colonie eritropoietiche formato da cellule IL-7R+ “in vitro”. Conclusioni IL-7 “in vivo” induce mielopoiesi ed eritropoiesi. Tali effetti positivi confermano la validità della sperimentazione di protocolli terapeutici che prevedono l’utilizzazione di IL-7 per la ricostituzione della linfopoiesi. Grave stenosi bilaterale congenita del giunto pielo-ureterale associata a dismorfismi faciali ed iperaccrescimento in prematuro. Ipotesi di diagnosi dismorfologica differenziale V. Arena, W. Lattanzi*, E. Arena, E. Stigliano, G. Monego*, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma, Italia Introduzione La stenosi del giunto uretero-pielico rappresenta la causa più frequente di ostruzione alta delle vie urinarie con conseguente idronefrosi. Forme gravi ad esordio precoce nella vita endouterina si associano a elevata mortalità perinatale. Descriviamo un caso autoptico di stenosi bilaterale del giunto calico-pielico in un neonato di 29 settimane, con sindrome da iperaccrescimento e tratti dismorfici. Metodi L’esame esterno con rilievo di parametri morfometrici e la valutazione dismorfologica hanno preceduto l’esame autoptico e le analisi istologiche del caso. Risultati All’esame esterno si è evidenziato un addome batraciano, subittero, lievi tratti dismorfici del volto e macroglossia. I parametrici morfometrici ponevano il sospetto di sindrome da iperaccrescimento prenatale. L’esame autoptico ha consentito di apprezzare, oltre alle alterazioni polmonari e cardiache tipiche dell’immaturità, reni notevolmente aumentati di volume con marcata dilatazione della pelvi renale. L’uretere è apparso stenotico prossimalmente sia a destra che a sinistra e al taglio si è potuta apprezzare una idronefrosi bilaterale senza evidenza di assottigliamento del parenchima renale che mostrava una marcata congestione ematica con evidenza, a livello delle colonne del Bertin, di aree serpiginose di colorito biancastro. Conclusioni Le alterazioni rinvenute nel parenchima renale mostravano una corteccia nefrogenica talora disorganizzata con evidenza solo in alcuni punti di strutture riferibili ad apici delle piramidi del Malpighi, delineando un quadro idronefrotico in un parenchima renale non giunto ancora a maturazione. Alcune evidenze in letteratura suggeriscono che le ostruzioni renali congenite siano conseguenza di disordini primitivi dello sviluppo renale. Sono descritte sindromi su base genetica in cui l’ostruzione ureterale si associa ad un quadro malformativo sistemico. In particolare, l’evidenza dell’iperaccrescimento, associato alla displasia renale con idronefrosi ed ai tratti dismorfici, pongono il sospetto di sindrome di Simpson-Golabi-Behmel (MIM 312870) e Beckwitt-Wiedeman (MIM 130650); la diagnosi differenziale in senso dismorfologico può essere posta anche con rare forme ad ereditarietà autosomica recessiva, quali la sindrome Schinzel-Giedion (MIM 269150), la cui origine etio-patogenetica è tuttavia ignota. 266 Acephalus acardius amorphous fetus V. Arena, W. Lattanzi*, E. Stigliano, C. Maggiore, R.P. De Vincenzo**, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica; * Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare; ** Istituto di Clinica Ostetrica Ginecologica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione Acephalus acardia is among the most severe malformations described in fetuses, with an incidence of about 1 in 35,000 births. This condition can be observed in 1% of monozygotic (MZ) twins and is due to twin-twin transfusion syndrome, frequently occurring in monochorionic twin pregnancies, when vascular anastomoses occur in the fused placenta. The pathogenesis of the acardia resides in the haemodynamical consequences of the fused placentation and the severity of the syndrome depends upon the type of the anastomoses arising between the vascular networks of the two fetuses, configuring the “twin reverse arterial perfusion syndrome” (TRAP). We report a case of monozygotic twins, one which being an acephalus acardius amorphus fetus, showing features of extremely severe sistemic immaturity with very few structured organs. Methods Defined external and autoptic examinations were performed on the dismorphic twin, along with the histological examination of tissue samples. The placenta was also examined and cytogenetical analysis was carried out on different specimens from the fetus, in order to complete the evaluation of the dismorphic syndrome. Results The fetus appeared as a 33 x 40 cm globular mass of tissue and the histological examination showed features of extremely severe sistemic immaturity with few structured organs within the inner mass. The karyotype was 46, XX. The placenta was monochorionic biamniotic with superficial anastomoses between the normal and the acardiac twin umbelical vessels. The umbilical cord was composed by 1 arterial and 1 venous vessel in the dismorphic twin while it was normal in the other twin. Conclusions The most severe type of acardiac acephalus malformation is represented by the acardius amorphous, very few cases with complete autoptical examination have been described so far. According to the results obtained by the feto-placental detailed examination along with the normal female karyotype, we believe that the low pressure and hypoxigenated blood which nourished the “perfused” twin (twin-to-twin transfusion syndrome) could provide the reason for the extremely severe dismorphic sequence, as suggested by previous scientific reports. Descrizione di un LBCL EBV e LES relato. Ruolo della terapia immunosoppressiva nella genesi di un fenotipo tumorale con particolari caratteri di aggressività V. Arena, S. Sioletic, I. Pennacchia, P. Federico, F. De Giorgio*, E. Stigliano, A. Capelli Istituto di Anatomia Patologica, * Istituto di Medicina Legale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Introduzione Recenti studi hanno indagato la stretta associazione tra Epstein Barr virus (EBV), Lupus eritematoso sistemico COMUNICAZIONI E POSTER (LES) e l’insorgenza di Linfomi non-Hodgkin (LNH) 1. Il ruolo dell’EBV nella patogenesi dei LNH è noto da tempo, meno nota è l’interazione con il LES. Le ragioni di quest’ultima risiedono nel fatto che l’EBV promuove la proliferazione B cellulare ed innesca un continuo stimolo antigenico che in individui predisposti potrebbe determinare il LES. Sono state inoltre evidenziate delle omologie di sequenza tra gli autoantigeni del LES e alcune proteine dell’EBV come EBNA1 ed EBNA2. Esiste comunque una stretta correlazione tra LES e insorgenza di linfomi. Studi epidemiologici confermano nei pazienti con LES una incidenza di LNH quattro volte superiore alla popolazione normale 2. Metodi e risultati Descriviamo il caso di una giovane donna (49 aa) affetta da LES dall’età di 20 anni sottoposta a riscontro diagnostico dopo un breve ricovero in rianimazione per una sospetta sepsi conseguente ad inappropriata terapia immunosoppressiva. All’esame macroscopico il quadro appariva quello di una morte per shock settico con massivi versamenti nelle cavità e abbondanza di linfonodi che apparivano di aspetto reattivo, non ponendo alcun sospetto macroscopico di patologia linfomatosa. L’acceleramento dei fenomeni putrefattivi corroborava il sospetto di una morte settica. L’esame istologico ha invece documentato una diffusa infiltrazione linfomatosa multiorgano (linfonodi, pericardio, rene e tessuti perirenali, corpo e cervice uterina). La popolazione blastica è risultata CD20 positiva, con crescita prevalentemente di tipo angiocentrico e perineurale configurando un quadro morfologico di Linfoma B a grandi cellule. Gli elementi neoplastici hanno altresì mostrato positività per EBNA ed LMP-1 indicando pertanto un ruolo dell’EBV nella patogenesi linfomatosa. Conclusioni Il caso da noi descritto suggerisce come la copresenza di una infezione da EBV e di una condizione di alterata risposta immunitaria dovuta sia alla malattia di base che alla terapia immunosoppressiva inappropriata, possa determinare l’insorgenza di un linfoma B a grandi cellule con caratteri di aggressività tali da portare rapidamente all’exitus senza possibilità di diagnosi od eventuale terapia. Bibliografia 1 Moon UY, et al. Arthritis Res Ther 2004;6:295-302. 2 Bernatsky S, et al. Arthritis Rheum 2005;52:1481-90. Significato diagnostico di PPARγγ e Galectina 3 nei tumori ben differenziati della tiroide C. Arizzi, V. Midolo*, A. Pizzocaro**, G. Franchi, A. Destro, L. Cozzaglio***, P. Travaglini**, S. Bosari*, M. Roncalli, L. Di Tommaso U.O. di Anatomia Patologica, Università di Milano, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano, Italia; * Anatomia Patologica, Università di Milano, Ospedale “S. Paolo”, Milano, Italia; ** U.O. di Endocrinologia, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano, Italia; *** U.O. di Chirurgia Generale, Istituto Clinico “Humanitas”, Rozzano, Milano, Italia Introduzione L’inquadramento dei tumori follicolari ben differenziati (TF) è tra i maggiori problemi diagnostici in patologia tiroidea. Seppur non in maniera univoca, la Galectina 3 (Gal3) è stata indicata come utile marcatore immunoistochimico di malignità. A questo stesso scopo, più di recente, è stato introdot- PATOLOGIE VARIE to l’anticorpo PPARγ come espressione fenotipica della traslocazione PAX8-PPARγ, specifica dei carcinomi follicolari. Questo lavoro si propone di comparare l’espressione dei due anticorpi in una casistica di TF della tiroide. Metodi Sono stati considerati 44 TF [19 adenomi follicolari (AF), 3 tumori follicolari ad incerto potenziale di malignità (TFIPM), 6 carcinomi follicolari minimamente invasivi (CFmi) e 16 carcinomi follicolari ampiamente invasivi (CFai)] e di ciascun caso selezionata una sezione rappresentativa. Di ogni lesione sono stati identificati i due principali aspetti istologici di crescita (follicolare, microfollicolare, trabecolare, solido); effettuate due reazioni immunocitochimiche per Gal3 (Santa Cruz) e PPARγ (Dako), e valutata la loro espressione in relazione all’intensità [assente, debole, intensa], all’estensione [assente, < 5%, 6-50%, > 50%] ed alla sede [periferica, centrale, entrambe]. Il follow-up medio è stato di 23 mesi (range 0-93). Risultati Dei 19 AF 11 risultavano PPARγ-/Gal3-; 4 PPARγ+/Gal3-; 0 PPARγ-/Gal3+; 5 PPARγ+/Gal3+, questi ultimi, istologicamente, mostravano aree microfollicolari ed in due casi aspetti di dubbio superamento della capsula. I 3 casi TFIPM risultavano PPARγ+/Gal3+. Dei 6 casi di CFmi 0 risultavano PPARγ-/Gal3-; 3 PPARγ+/Gal3-; 1 PPARγ-/Gal3+; 2 PPARγ+/Gal3+. Dei CFai 4 risultavano PPARγ-/Gal3- (prevalentemente solidi); 5 PPARγ+/Gal3- (prevalentemente microfollicolari); 4 PPARγ-/Gal3+ (prevalentemente follicolari) e 3 PPARγ+/Gal3+ (microfollicolari e follicolari). Conclusioni Franchi adenomi risultano PPARγ-/Gal3-; un gruppo di TF morfologicamente ancora compatibili con la diagnosi di AF (9%) mostra aspetti di crescita microfollicolare e PPARγ+/Gal3+ sovrapponendosi ai TFIPM e suggerendo una maggiore cautela nella loro gestione. In nessun caso di CFmi è presente la combinazione PPARγ-/Gal3-; nei CFai l’espressione di uno o entrambi i marcatori è in relazione a forme ben differenziate ed il profilo PPARγ-/Gal3- si associa ad aspetti di scarsa differenziazione. I nostri dati confermano il significato di Gal3 e PPARγ e ne suggeriscono l’uso combinato. Vascular endothelial growth factor expression (VEGF) in salivary glands of young and old hyperoxic rats L. Artese, V. Perrotti, C. Di Giulio*, G. Bianchi*, A. Piattelli Department of Stomatology and Oral Science, University “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara, Chieti, Italy; * Department of Biomedical Sciences, University “G. d’Annunzio” ChietiPescara, Chieti, Italy Introduction Vascular endothelial growth factor (VEGF) represents a family of secreted growth factors with a high specificity for endothelial cells. It has been demonstrated the pivotal role of VEGF in the physiological and physiopathological regulation of the neoangiogenetic process. The aim of this study was to evaluate if the hyperoxia and age could influence the expression of vascular endothelial growth factor (VEGF) in salivary glands of young and old rats subjected to barium hyperoxia. Methods Our study was carried out on four groups of male Wistar rats (total 24 rats). The rats belonging to the first two groups were 267 exposed to barium hyperoxia (98-100% O2) for a period of 60-65 hours in a large Plexiglas chamber; the other two groups were control groups. The rats were then anaesthetized with Nembutal (30 mg/kg) intraperitoneally and then put down. The submandibular glands were removed and processed for immunohistochemical analysis of VEGF. Results The exposure to hyperoxia decreases salivary gland VEGF expression in rats. The tissues analyzed (nervous tissue, vascular endothelium, myo-epithelial cells, ductal endothelium, mucinous glands) always expressed VEGF, thus demonstrating that not only vascular endothelial cells, but also the other elements evaluated, have a role in the neoangiogenesis. Only in sierous glands, in both normoxic and hyperoxic young and old rats, the VEGF expression is constantly negative and it does not influence the neoangiogenetic process. Conclusions The vascular growth is a fundamental part of normal salivary gland development, so we speculate that strategies aimed at preservation or promotion of salivary gland VEGF expression may mitigate or attenuate hyperoxia-induced gland microvascular injury. Further studies specifically aimed at investigating these prospects as well as undertaking a comprehensive examination of the effect of O2 and eventually NO on VEGF are warranted are warranted. Chronic hypoxia as a model for studying HIFα, VEGF and NOS during aging 1α L. Artese, V. Perrotti, A. Piattelli, G. Bianchi*, C. Di Giulio* Department of Stomathology and Oral Science, University “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara, Italy; * Department of Biomedical Sciences, University “G. d’Annunzio”, ChietiPescara, Italy Introduction Aging, as a physiological part of life, can be considered a cumulative result of oxidative damage to cells, deriving from aerobic metabolism. Aging is characterized by several modifications that include a reduction in VO2, decreased omeostatic capacity, reduction in ventilatory response and adaptation to stress. Both chronic hypoxia and chronic hyperoxia are considered stress stimuli. In these conditions, free radical species (ROS) are generated, so damaging structural and functional components of membranes. To test if oxygen sensitive mechanisms are affected by hypoxia, we studied hypoxia inducible factor-1alpha (HIF-1alpha), vascular endothelial growth factor (VEGF) and inducible nitric oxide synthase (iNOS) expression by immunohistochemical analysis in young and old rat carotid bodies (CBs) using hypoxia as a model for modulating aging. Methods Four groups each composed by six male Wistar rats, 3 and 24 months old were used. Two groups, each composed by three rats, were kept in room air (21% O2) and used as control. The other two groups were kept in a Plexiglas chamber and underwent intermittent hypoxic challenge for 12 days. Carotid bifurcation of the rats was exposed and carotid body was excised from each rat and promptly processed for electron microscopy and immunohistochemistry. Results HIF-1α, VEGF and iNOS are expressed in the carotid bodies. In a normoxic environment, the expression of HIF-1α is high- COMUNICAZIONI E POSTER 268 er in the old rats as compared to the young ones, and a lower expression of VEGF is revealed in the old rats as compared to the young rats. No significant difference in iNOS expression could be shown between young and old normoxic rats. On the other hand, chronic intermittent hypoxia increases HIF-1α expression in the young and the old rats, and such increase is more evident in the young rats. VEGF expression is increased in both young and old hypoxic rats, but such an increase is less evident in the hypoxic old rats. iNOS is more expressed in the hypoxic young rats as compared to the hypoxic old ones. In the CBs, aging shows a reduction in mitochondrial number and area, these effects are similar to those induced by hypoxia. Electron microscopy sections showed a reduced mitochondrial number and area in the aged CBs and during hypoxia. Conclusions Less responsiveness to hypoxia could be evidenced in the aged rats as compared to the young rats, suggesting an age dependency of the oxygen sensitive mechanisms. Banca cellule di campioni citologici criopreservati V. Ascoli, D. Bosco, C. Carnovale-Scalzo, D. De Mattia, D. Di Gianvito, L. Grillo, L. Marchese, L. Marinelli, L. Ranazzi, F. Nardi Università “La Sapienza”, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Roma, Italia Introduzione I campioni citologici residui dopo allestimento a fini diagnostici costituiscono prezioso materiale biologico da conservare a fini di ricerca. I versamenti sono i campioni più idonei, essendo vere e proprie colture cellulari in vivo. Un metodo adeguato per lo stoccaggio di cellule che permetta ampia utilizzazione (preparazione di strisci, colture cellulari, estrazione di DNA/RNA) è la criopreservazione. Metodi Dal 1993 stiamo criopreservando cellule vitali da campioni citologici, prevalentemente versamenti intracavitari. Il sedimento cellulare viene risospeso in DMSO (criopreservante), siero fetale bovino (fonte proteica) e mezzo di coltura, in proporzioni 1:7:1 in cryovials (1,5 ml) che vengono congelati lentamente e stoccati a -80°C, in scatole di cartone a 81 pozzetti. Si congelano inoltre aliquote di liquido dopo separazione del sedimento e pellets “secchi” (per estrazione DNA). Risultati Il materiale criopreservato corrisponde a circa 4.000 cryovials relativi a 778 casi (Tab. I). Si tratta prevalentemente di versamenti neoplastici da: (a) carcinoma metastatico (polmone, mammella, ovaio, pancreas, colon); (b) mesotelioma maligno; (c) linfoma (secondario o primitivo); (d) altre neoplasie rare. Un secondo gruppo è costituito da versamenti nonneoplastici contenenti cellule mesoteliali reattive (cirrosi HCV o HBV-correlate; pleuro-pneumopatie croniche). Alcuni campioni scongelati ed utilizzati per valutare la qualità delle cellule ai fini della conservazione antigenica e per l’estrazione di DNA ed amplificazione di geni, umani e virali, sono risultati ottimamente preservati. Conclusioni La criopreservazione di materiale citologico è un metodo semplice che richiede un congelatore -80°C e bassi costi di consumo. Consente di stoccare cellule di diverse patologie e cellule “controparti” normali di varia origine (mesoteliale, epiteliale, linfoide). Presenta diversi vantaggi rispetto alla criopreservazione di materiale istologico: (a) in caso di neoplasia la popolazione è > 80% tumorale, non essendo presente stroma; (b) le cellule sono vitali e pertanto potenzialmente utilizzabili per colture cellulari; (c) occupano poco spazio; (d) consente lo studio di patologie particolari come i linfomi intracavitari primitivi che crescono in fase liquida. Il materiale stoccato dalla nostra unità di ricerca è disponibile per future collaborazioni, alla luce della rilevanza di studi multicentrici in caso di patologie rare. Banca di materiale biologico di mesotelioma maligno V. Ascoli, C. Carnovale-Scalzo, D. De Mattia, D. Bosco, F. Nardi Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Roma, Italia Introduzione Con il termine mesotelioma maligno si classificano un grup- Tab. I Casi Campioni Versamenti Pleurici Versamenti Peritoneali Versamenti Pericardici Altre tipologie Materiale stoccato Vials-cellule Vials-liquidi sopranatanti Pellets secchi 778 932 532 337 35 28 3971 1875 2011 85 Positivi 416 Negativi 277 Sospetti 85 50% carcinomi metastatici 28% linfomi 21% mesoteliomi 1% miscellanea Iperplasia mesoteliale Linfociti reattivi Neoplastici vs. reattivi PATOLOGIE VARIE 269 428 campioni relativi a 148 casi di mesotelioma maligno Versamenti Pellets Cellule 771 1 8* Liquido Cell-block Tessuto paraffina Siero/sangue periferico 652 543 122* 9* ME Tessuto congelato DNA 55* 26* 12* 57 casi; 2 52 casi; 3 36 casi; * corrisponde al numero di casi; ME = microscopia elettronica po eterogeneo di varianti clinico-patologiche di neoplasie diverse sotto il profilo morfologico ed immunofenotipico e molecolare e di comportamento clinico. Metodi Da un archivio (1980-2004) di 270 casi di mesotelioma sono stati raccolti campioni biologici relativi a un sottogruppo di 148. Il materiale conservato consta di tessuti (in paraffina, congelati in OCT, o inclusi in resina per la microscopia elettronica), sieri/sangue periferico, cellule da versamenti (vitali, pellets “secchi” e citoinclusi in paraffina), liquidi da versamento, e DNA da sedimento. Risultati La Tabella in alto indica i campioni conservati dei 148 casi di mesotelioma maligno (pleura = 118; peritoneo = 20; pericardio = 2; sedi multiple = 8) con i seguenti istotipi: non ulteriormente specificato = 32; epiteliale = 76; bifasico = 26; sarcomatoso = 10; localizzato = 1; mesotelioma ben differenziato del peritoneo = 3. Per ogni soggetto è stato conservato almeno un tipo di campione su cui è stata effettuata la diagnosi di mesotelioma (tessuto o cellule da versamento). Per la maggior parte dei casi sono stati conservati vari tipi di campioni (tessuto, cellule da versamento). In altri casi sono stati conservati campioni multipli in diverse fasi della malattia (esordio, recidive e/o metastasi). Conclusioni Abbiamo costituito una banca di materiale biologico di mesotelioma maligno di casi ben caratterizzati per istotipo ed immunofenotipo di cui si conoscono anche informazioni rilevanti per storia di esposizione ad amianto. La diversa tipologia del materiale raccolto riflette l’evoluzione diagnostica nell’arco degli ultimi 20 anni. Negli anni ’80 la citologia non era considerata valida nella diagnosi di certezza di mesotelioma e i casi venivano accertati sulla base dell’esame istologico e talvolta mediante microscopia elettronica. Più recentemente, dopo la standardizzazione di panel di immunoistochimica, la diagnosi istologica è sempre più accurata e quella citologica (su citoincluso in paraffina) sempre più accettata in termini di affidabilità. Alla luce della rarità del mesotelioma maligno e della rilevanza di studi multicentrici in caso di patologie rare, il materiale stoccato dalla nostra unità di ricerca è disponibile per future collaborazioni per caratterizzazioni molecolari, al fine di valutare eventuali varianti molecolari e/o con espressione genica differenti. N° 1 2 3 4 5 Sex M M M M M Età 67 41 48 42 Nascita Sardegna SS Calabria CS Puglia BA Svizzera V. Ascoli, K. Giannakakis, D. Remotti*, A. Onetti Muda Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Roma, Italia; * Azienda Ospedaliera “S. Camillo - Forlanini”, Roma, Italia Introduzione Il virus umano HHV8 è associato a tre disordini di natura displastica/neoplastica: sarcoma di Kaposi (KS), malattia di Castleman multicentrica (MCD) e linfoma intracavitario primitivo (PEL). Il virus è endemico in Italia: 5-25% di sieropositività nella popolazione generale e fino al 35% in alcune aree in Sardegna e Sicilia. Le malattie HHV8-relate sono più frequenti, ma non esclusive, in soggetti coinfettati da HIV. Altro gruppo a rischio sono i pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido e gli anziani (immunosenescenza). In vivo, HHV8 infetta a vita i linfociti B. In letteratura non sono molto noti gli aspetti anatomopatologici dell’infezione in specifici organi. Lo studio presenta il quadro clinico-patologico relativo al fegato in 5 casi autoptici di soggetti sieropositivi per HHV8 e coinfettati da HIV, e affetti da KS e/o MCD e/o PEL. Metodi Frammenti di parenchima epatico prelevati in corso di autopsia di 5 soggetti HIV-positivi di sesso maschile, omosessuali. (Tabella in basso). Sezioni istologiche di 4 micron sono state colorate con: ematossilina-eosina, rosso sirio, CK 7, anti-HHV8 (LANA e v-IL-6), anti-HBsAg e anti-HBcAg. Risultati Abbiamo osservato le seguenti alterazioni: 1) danno epatocitario (steatosi e necrosi a ponte); 2) modificazioni della deposizione della matrice extracellulare (fibrosi portale, esili setti incompleti); 3) danno biliare (neoduttulogenesi, metaplasia colangiocitica degli epatociti, attivazione delle cellule ovali). 4 casi su 5 presentavano infiltrazione dei sinusoidi e degli spazi portali da parte di cellule linfoidi atipiche HHV8positive (LANA-positive); in alcuni casi queste cellule sembrano avere intimo contatto con gli epatociti. Conclusioni Non sembra che in corso di malattie HHV8-relate, il virus abbia un tropismo per gli epatociti e le cellule dei dotti bi- HIV Infezioni virali HHV8 EBV KS MCD Pos Pos Pos Pos Pos Pos Pos Neg Neg Pos No Sì Sì Si Sì Sì No Sì Sì Sì Autopsia 1998 1998 1998 1997 2002 Danno epatico in corso di malattie HHV8associate Pos Pos Pos Pos Pos Malattie HHV8-relate PEL-Morfologia Sì-plasmocitoide No Sì-anaplastico Sì-anaplastico No 270 liari. Tuttavia è però presente un danno epatico che si esprime prevalentemente come sofferenza biliare e/o fibrosi, in assenza di infezione da HCV e HBV. Il danno è associato ad infiltrato di cellule linfoidi atipiche HHV8-positive degli spazi portali e dei sinusoidi (4 casi), compatibile con compromissione epatica da malattia linfoproliferativa, oppure è indipendente (1 caso). Sviluppo, prevenzione e cura di carcinomi salivari in topi transgenici M. Baldacci, M. Liberatore, M. Mariotti, T. Pannellini, P. Ascione, C. Sulpizio, R. Spizzo, L. Borgia, M. Iezzi Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti Introduzione I carcinomi delle ghiandole salivari, della parotide in particolare, costituiscono il 3-5% di tutti i tumori maligni della testa e del collo. L’amplificazione del gene HER-2 associata all’inattivazione della p53 sono gli eventi genici che si riscontrano più frequentemente e che comportano la prognosi peggiore. Metodi Abbiamo dapprima generato i topi transgenici BALB-neuT nel cui codice è inserito il gene attivato di ratto HER-2 sotto il “promoter” MMTV. Mentre le femmine di tali animali sviluppano carcinomi lobulari nella mammella, i maschi a 10 settimane di vita presentano nei dotti intercalari e negli acini della parotide focolai multipli di iperplasia, prima tipica poi atipica, che, confluendo, danno luogo a carcinomi di tipo acinico molto simili a quelli umani. Abbiamo potuto osservare che solamente durante la fase iperplastica si manifesta una qualche attività angiogenica e che il cancro si avvale della rete vascolare precostituita. Abbiamo generato poi topi BALB-neuT funzionalmente deficitari di p53. In tale ceppo sia i maschi che le femmine sviluppano nella parotide, assai precocemente, focolai di iperplasia evolventi rapidamente in carcinomi indifferenziati metastatizzanti al polmone. Ripetute vaccinazioni a DNA codificante per il prodotto del gene HER-2, associate a somministrazioni di interleuchina 12, durante la fasi di iperplasia e carcinoma “in situ” sono in grado di proteggere tutte le femmine ed il 50% dei maschi. Risultati e conclusioni Le indagini morfologiche (in grado di monitorare nella parotide il susseguirsi degli eventi anti-vascolari e citotossici indotti dai trattamenti), insieme alle analisi immunologiche, indicano che la prevenzione e cura esercitata dalla vaccinazione si basa essenzialmente sulla produzione di anticorpi contro la proteina codificata dal Her-2 ed in minor grado sull’attività anti-angiogenica svolta dall’interleuchina 12. COMUNICAZIONI E POSTER Increased toll-like receptor 4 expression in thymus of myasthenic patients with thymitis and thymic involution M. Barberis, P. Bernasconi*, F. Baggi*, L. Passerini, M. Cannone*, E. Arnoldi*, L. Novellino, F. Cornelio*, R Mantegazza* Dipartimento di Anatomia Patologica e Medicina di Laboratorio, Gruppo Multimedica, Milano; * Istituto Neurologico “Besta”, Milano Background Thymic abnormalities are present in about 80% of myasthenia gravis (MG) patients; the thymus seems to be the main site of autosensitization to the acetylcholine receptor (AChR). Materials and methods In view of findings that the innate immune system can generate an autoimmune response, we studied the expression of Toll-like receptors (TLR) 2-5, key components of innate immunity signaling pathways, in 37 thymuses from patients with autoimmune MG. Results TLR4 mRNA levels were significantly greater in thymitis (hyperplasia with diffuse B-cell infiltration) and involuted thymus, than germinal center hyperplasia and thymoma. By immunohistochemistry and confocal microscopy, cells positive for TLR4 protein were rare in thymoma; while in thymitis TLR4 protein was mostly found on epitheliomorphic (cytokeratin-positive) cells located in close association with clusters of AChR-positive myoid cells in thymic medulla, and also at the borders between cortical and medullary areas. B cells were never TLR4-positive. TLR4 protein was also present in remnant tissue of involuted thymus. Conclusions This is the first observation of a restricted pattern of TLR expression in pathological MG thymuses. We can speculate that in a subgroup of MG patients innate immunity might be a critical step in the development or substaining acquired immunity. Undifferentiated (embryonal) sarcoma of the liver: report of a pediatric case with cytogenetic study M. Barisella, P. Collini, P. Dagrada, A. Pellegrinelli, M. Casanova*, A. Ferrari*, C. Meazza*, F. Fossati-Bellani*, V. Mazzaferro**, S. Pilotti Department of Anatomic Pathology; * Unit of Pediatrics; Department of Surgery ** Introduction Undifferentiated (embryonal) sarcoma (UES) of the liver 1 is a rare and aggressive hepatic tumor of older children displaying a divergent differentiation, reported to have a worst outcome in older literature. Case history We report on a case of UES occurring in a previously healthy 10-year old boy complaining of a serotine fever for 1 month. A mass was discovered in his right liver resulting on magnetic resonance as an expansive polycyclic and solid mass of IV and V hepatic segments with a suspected connection with the sovrahepatic vein. No elevation of hepatic markers nor alfa-feto protein were found. A FNAC was performed under PATOLOGIE VARIE 271 ultra-sound control, which showed a proliferation of pleomorphic, large, epithelioid cells, adjacent to an area with periductal tumoral cell condensation and myxoid stroma resembling the cambium layer of embryonal rhabdomyosarcoma. Co-expression of AE1-AE3 and 8-18 CKs, vimentin and desmin led to a diagnosis of UES. The patient underwent 3 cycle of chemotherapy sec VAIA scheme with a > 50% regression of the liver mass. A right enlarged hepatectomy was performed 3 months later. It showed a 8.5 cm diffusely jelly and friable mass, surrounded by a thin fibrous capsule. On histologic sections, most of the tumor was necrotic with residual small foci of vital neoplastic cells that showed an IIC fenotype super imposable to that of the preoperative FNAC. Classical cytogenetic analysis showed a peculiar cariotype, i.e., 46XY,del(6)(q23), der(19)t(11;19)(q13.4;q12), similar but not identical to that reported in both benign liver hamartoma and liver UES. The child is still alive and well four months after diagnosis. Conclusions Respect to the poor prognosis reported previously, a multimodal therapeutical approach, consisting of a correct preoperative diagnosis, feasible also on FNAC, followed by neoadjuvant chemotherapy and then radical surgery could offer a better prognosis to patient with UES 2. ously reported how H. pylori has a special tendency to induce autoimmunity through a mechanism of antigenic mimicry. Gastric mucosa infected by H. pylori and thyroid tissue in AITD are both characterized by the appearance of mucosaassociated lymphoid tissue (MALT). MALT lymphoid cells have a strong tendency to re-circulate to the MALT due to their specific receptors. Given these observations, a possible pathogenic mechanism could be the following: autoantibodies and T-helper lymphocytes activated by H. pylori in the stomach recognise cross-reacting antigens expressed in the thyroid and initiate a local immuno-inflammatory response. The release of cryptic antigens by the damaged thyrocytes aggravates the autoimmune reaction. This process accounts for the MALT appearance of thyroid tissue. Chronic immune response induced by H. pylori continues to activate cross-reactive B and T lymphocytes whose migration to the thyroid gland is further facilitated by the homing tendency of these cells to MALT. These preliminary results suggest that patients with AITD shoud be examined for the presence of H. pylori because eradication of the infection could yield clinical benefit in this disease. References 1 Lack, et al. Am J Surg Pathol 1991;15:1-16. 2 Bisogno, et al. Cancer 2002;94:252-7. Lipomielomeningocele associato con resti nefrogenici ectopici Decrease in thyroid autoantibodies after eradication of Helicobacter pylori infection G. Bertalot, M. Favret, R. Negrini Dipartimento dei Servizi, Azienda Ospedaliera Desenzano d/G, Leno (BS), Italia Introduction In Italy each year some 250,000 people are affected by autoimmune thyroid diseases (AITD) and their prevalence among the adult population of all age groups is 3.5%. As for most autoimmune diseases, AITDs are thought to arise from an interaction between genetic and environmental factors. Two earlier reports described that patients with AITD have a high incidence of gastric infection by H. pylori. In this limited case-control study we aimed to further understand whether H. pylori is implicated in AITD, by evaluating the effect of H. pylori eradication therapy on the titres of serum autoantibodies. Methods We randomly selected ten patients (all females, mean age 46 years) positive for anti-TPO and positive for H. pylori by the urea breath test (UBT). Five of them were treated for H. pylori infection with a triple therapy regimen for seven days. Eradication was confirmed by UBT after two months of finishing treatment. Results During the follow-up period, four out of the treated patients showed a considerable decrease in the autoantibody titre, whereas no significant variations were seen in the five control patients. Conclusions A possible mechanism that explains how an infection in the stomach can produce pathological effects on a distant organ is the induction of an autoimmune reaction. We have previ- D. Bifano, M.E. Errico, M. Rocco, V. Donofrio S.C. Anatomia Patologica AORN “Santobono-Pausilipon”, Napoli Introduzione È opinione comune che i resti nefrogenici originino dal blastema nefrogenico persistente e sono considerati lesioni che precorrono il tumore di Wilms. Questi resti usualmente occorrono come lesioni perilobari e intralobari nel rene e, raramente, in siti ectopici quali cuore, torace, surrene, colon e canale inguinale. I pochi casi di resti nefrogenici nell’area lombosacrale sono stati associati, nella maggior parte, con anomalie spinali. Riportiamo il caso di un bambino di 6 mesi affetto da lipomielomeningocele. Macroscopica Campione costituito da losanga cutanea e da numerosi frammenti fibroadiposi il maggiore dei quali di cm 4,5 x 4 x 3,5 con area centrale nodulare di cm 2 di diametro massimo, solida. Microscopica Nel contesto di tessuto adiposo maturo si osserva tessuto neurogliale ed ependimale ben differenziati con focale rivestimento meningeo; l’area nodulare appare non lipomatosa ma costituita da tessuto renale immaturo disorganizzato con abbozzi glomerulari e strutture tubulari, anche cisticamente dilatate; alcuni tubuli immaturi sono circondati da un collaretto di mesenchima condensato e da lobuli di cartilagine. Morfologicamente ricorda resti nefrogenici intralobari con dotti primitivi e foci di cartilagine come si osserva nella displasia renale. Conclusioni Gli aspetti descritti sono consistenti con Lipomielomeningocele associato con resti nefrogenici ectopici. che ricordano quelli intralobari e con dotti primitivi circoscritti da mesenchima e foci di cartilagine come si osserva nella displasia renale. Si esclude la possibilità di un teratoma con elementi ne- COMUNICAZIONI E POSTER 272 frogenici immaturi per l’organizzazione complessiva delle varie componenti. Bibliografia 1 Sharma MC, Arora R, Sharma P, Mehta VS, Sarkar C. Diastematomyelia associated with ectopic dysplastic renal tissue – report of a rare case. Child’s Nerv Syst 2001;17:689-92. 2 Horenstein MG, Manci EA, Walker AB, Dehner LP. Lumbosacral ectopic nephrogenic rest unassociated with spinal dysraphism. Am J Surg Pathol 2004;28:1389-92. Analisi frattale in patologia umana G. Bianciardi, C. Miracco, D. Spina, M.T. Del Vecchio, M.M. De Santi, P. Luzi Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Sezione di Anatomia e Istologia Patologica, Siena, Italia Introduzione Un processo neoplastico esaminato a livello microscopico presenta una struttura ramificata e complessa che mantiene lo stesso livello di complessità al cambiare della scala 1. Questa è la legge, probabilistica, dell’omotetia base della geometria frattale fondata da B.B. Mandelbrot. Da più di una decade l’applicazione di questa geometria allo studio dei tumori umani ha permesso l’ottenimento di indici numerici, quali la Dimensione Frattale (D), utili nella diagnosi e nella prognosi della malattia neoplastica. In questo Lavoro presentiamo risultati ottenuti presso il nostro dipartimento nello studio di materiale bioptico utilizzando i principi dell’analisi frattale. Metodi Abbiamo studiato in microscopia ottica il confine del tumore in biopsie di carcinoma a cellule basali della cute (n = 157) e di carcinoma invasivo della vescica (n = 27) e il pattern vascolare in prelievi chirurgici di adenocarcinoma polmonare (stadio IA, n = 64). In microscopia elettronica è stato analizzato il contorno del nucleo del linfocita T nella micosi fungoide (n = 18) e nella dermatite cronica (n = 16). L’analisi frattale è stata eseguita secondo la metodica del box-counting mediante apposito software da noi realizzato. Risultati I basaliomi infiltrativi, misti e espansivi hanno fornito un valore medio di D decrescente, statisticamente significativo (classificazione corretta 75%, p < 0,001). I valori di D del carcinoma invasivo della vescica è risultato maggiore nel tumore di alto grado rispetto al basso grado (p < 0,05). I valori di D dei nuclei dei linfociti T nella micosi fungoide sono risultati maggiori che nella dermatite cronica (p < 0,001). I valori di D della vascolarizzazione nell’adenocarcinoma del polmone è risultata più bassa nei pazienti con sopravvivenza maggiore. Conclusioni In tutte le patologie neoplastiche da noi esaminate l’analisi frattale è stata in grado di fornire un indice (dimensione frattale) oggettivo, utile a distinguere tra classi diagnostiche e nel determinare la prognosi del paziente. C-kit and PDGFRA expression characterizes not only AIDS-related but also classic and iatrogenic type of Kaposi’s sarcoma. An immunohistochemical and molecular study N. Bigiani, G. Sartori, L. Schirosi, G. Rossi, M. Migaldi, G.P. Trentini Sezione di Anatomia Patologica, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena Introduction High levels of c-kit and PDGFRα have been previously detected in AIDS-related Kaposi’s sarcoma (KS) 1. In addition, a clinical benefit has been recently reported using a selective inhibitor against c-kit and PDGFRα in this setting 2. We studied immunoexpression and mutational status of these tyrosine kinase receptors (TKR) in a series of KS arisen in different clinical conditions (AIDS-related, iatrogenic and classic types) in order to have a more comprehensive landscape of the role of these molecules in KS. Methods Thirtheen cases of KS (4 AIDS-related, 4 iatrogenic and 5 classic types) were randomly selected for the study. In all cases, several 4-micron thick sections were obtained from formalin-fixed and paraffin-embedded reperesentative blocks. Immunohistochemical analysis was performed using c-kit (Dako) and PDGFRα (Santa Cruz) in an automated immunostainer (Benchmark, Ventana). Sequencing analyses were performed by PCR and c-kit (exons 9, 11) and PDGFRα (exon 12) were investigated. Results Among iatrogenic KS (post-transplant patients), all expressed c-kit, while 3 out of 4 stained with PDGFRα. In classic type KS, 3 co-expressed c-kit and PDGFRα and 2 did not stain for both. Finally, the AIDS-related KS showed c-kit expression in 3 and PDGFRα in 2. Of note, nodular stage KS, regardless of the clinical setting, showed a more pronunced immunoreactivity. All the 5 cases (1 iatrogenic, 1 AIDS-related, 3 classic) analysed for mutational status revealed a wild-type set-up. Conclusions Our results first show that c-kit and PDGFRα expression characterizes a subset in all variant of KS and no mutations were detected at least in the tested exons of these TKR. Given that some AIDS-related KS patients have had a clinical response with a selective inhibitor of these type III TKR commonly used in c-kit mutated gastrointestinal stromal tumors 2 and we did not evidence these mutational events in KS, it has still to be clarified the involved molecular mechanism related to the clinical response with targeted therapies. However, since the TKR set-up in all different KS types seems identical, it is reasonable to consider this alteranative treatment also in non AIDS-related KS patients, particularly in posttransplant subjects in which KS may behave in aggressive fashion. References 1 Moses AV, et al. J Virol 2002;76:8383-99. 2 Koon HB, et al. J Clin Oncol 2005;23:982-9. PATOLOGIE VARIE Il vetrino digitale nella routine diagnostica istologica A. Bondi, E. Scarselli, S. Cerasoli, F. Nuzzo, D. Bartolini, F. Scarpellini, L. Riccioni, L. Mancini, E. Elegibili, I. Lucchi Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica, Azienda USL di Cesena Il vetrino digitale, impropriamente definito anche “caso virtuale”, si basa sul trasferimento di tutte le informazioni morfologiche presenti in un vetrino istologico o citologico in un file. Si ottiene così una dettagliata foto del vetrino (in realtà è un collage di molte immagini digitali affiancate) che viene esaminata sul monitor di un computer grazie ad un adeguato software che permette i movimenti fra i vari campi del preparato, in modo simile al funzionamento del tavolino traslatore di un microscopio. Anche gli ingrandimenti possono essere variati entro un range (in genere 4x 400x). Sono state descritte esperienze di teleconsulti che sfruttavano vetrini digitali, oppure controlli di qualità e verifiche di riproducibilità: viene qui testata la possibilità di utilizzare uno scanner di digitalizzazione per vetrini nella routine diagnostica. Tutti i vetrini relativi a 200 casi istologici consecutivi sono stati scansionati con uno Mirax-Scan (Zeiss), per un totale di 540 sezioni colorate con ematossilina-eosina. I vetrini digitali così ottenuti sono stati osservati su un monitor ad alta risoluzione al posto dei vetrini convenzionali per arrivare alla diagnosi istologica. Durante lo studio dei casi digitali sono state richieste le colorazioni speciali ed immunoistochimiche come usuale, che a loro volta sono state sottoposte a scansione e consegnate al richiedente in formato digitale. Se il Patologo era in grado di formulare la diagnosi esclusivamente sui vetrini digitali, si effettuava la scrittura del referto, il caso veniva controllato sui vetrini convenzionali da un altro Patologo senza conoscere la diagnosi formulata sul digitale e, se le due interpretazioni erano coincidenti, il referto veniva licenziato, altrimenti il caso era sottoposto a verifica ed eventualmente ad una terza opinione, Oltre alla concordanza diagnostica sono stati valutati: – un parametro soggettivo di affidabilità del caso digitale percepita dal Patologo: uno score da 0 a 10 per esprimere l’attendibilità percepita delle immagini digitali; – il tempo impiegato per la lettura su file, confrontato con quello richiesto per la lettura convenzionale; – il numero ed il tipo di colorazioni richieste. La affidabilità diagnostica è risultata molto alta, anche se alcuni dettagli tecnici sono migliorabili: la difficoltà maggiore nel fare “microscopia senza microscopio” è stata l’accettazione del metodo da parte di patologi con grande esperienza sulle metodiche convenzionali. Adenocarcinoma di tipo mammario della vulva con componente in situ M. Bonucci, E.D. Rossi, L. Bonito*, A. Cappucci* Servizio di Anatomia Patologica, Casa di Cura “San Feliciano” Roma; * U.O. Ostetricia Ginecologia, Casa di Cura “Santa Famiglia”, Roma Introduzione L’adenocarcinoma vulvare di tipo mammario rappresenta una patologia estremamente rara. In letteratura risultano citati so- 273 lo 13 casi. Tale tipo di patologia deve la sua origine patogenetica alla riconosciuta possibilità che il tessuto ectopico mammario localizzato nella vulva derivi da residui della linea mammaria. Metodi Una paziente di 53 anni viene inviata all’esame ginecologico per la presenza di una lesione rilevata di cm 1,5. sottocutanea sul grande labbro sinistro. La lesione viene asportata con una piccola losanga di cute sovrastante. L’esame macroscopico evidenzia una neoformazione di 1,2 cm di colorito biancastro e margini poco definibili. Risultati L’esame istologico mostra una proliferazione di dotti atipici che infiltrano il tessuto adiposo; aspetti morfologici compatibili con un carcinoma mammario. Lo studio mammario ha dato solo l’evidenza di un’area di carcinoma duttale in situ del seno sinistro con linfonodo “sentinella” negativo. La diagnosi viene conclusa come adenocarcinoma vulvare di tipo mammario (G2) infiltrante il tessuto fibroadiposo con ampia componente di carcinoma in situ di tipo solido pari al 60%. Conclusioni Tale neoplasia tende a metastatizzare molto precocemente ed a presentare una prognosi sfavorevole. Tale patologia vista la rarità della casistica non presenta chiare linee guida nel management. Fibro-miofibromatosi infantile M. Bonucci, E.D. Rossi, G.L. Corsetti*, E. Torri* Servizio di Anatomia Patologica; * Servizio di Otorinolaringoiatria, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma Introduzione La fibro-miofibromatosi rappresenta una entità patologica descritta con diverse terminologie a partire dal 1951. Questa patologia è costituita da una proliferazione benigna di fibroblasti e miofibroblasti con una presentazione bifasica di elementi fusati con una zona centrale costituita da cellule non ben differenziate e focalmente organizzate in un pattern simile all’emengiopericitoma. Questa patologia viene descritta nei bambini sotto i due anni di cui circa i 2/3 alla nascita. La manifestazione clinica più tipica consiste in una lesione non dolente e consistenza soffice con differenti pattern di crescita spesso con ulcerazioni. Metodi Il nostro caso è rappresentato da una bambina di 5 anni che in corso di adenoidectomia ha mostrato una lesione ipofaringea aggettante nel lume di circa 2 cm che l’otorino ha asportato con ansa diatermia. La neoformazione di colorito roseo e di consistenza molle teso elastica al taglio mostrava una architettura fascicolata. Risultati L’esame istologico evidenzia una proliferazione fibroblastica e mioide in fascicoli, con focale pattern emangiopericitoma simile, scarsissime mitosi, coerente con la diagnosi istologica di fibro-miofibromatosi infantile. Conclusioni Tale patologia richiede una ampia escissione per la sua intrinseca, anche se bassa, capacità di recidivare. Questo caso si è presentato in un’età più elevata della norma, senza ulcerazioni ed in assenza di sintomatologia. COMUNICAZIONI E POSTER 274 Osteosarcoma extrascheletrico primitivo cardiaco con aree condroblastiche (G3) M. Bonucci, E.D. Rossi Servizio di Anatomia Patologica e Citopatologia Diagnostica, Casa di Cura “San Feliciano”, Roma Introduzione I tumori primitivi cardiaci rappresentano una entità di non frequente riscontro diagnostico. La maggior parte sono tumori primitivi benigni di cui il 75% costituiti da mixomi atriali. I tumori maligni sono prevalentemente sarcomi tra cui il sarcoma osteogenico risulta una delle più rare entità con solo 30 casi citati in letteratura. Metodi Un nuovo caso viene da noi riportato in una paziente di 62 anni che si presenta al cardiochirurgo con diagnosi ecografica di neoformazione striale sinistra di 5,5 cm di diametro ad ecostruttura disomogenea. La neoformazione ha rapporti con la parete posterolaterale dell’atrio sinistro ed impegna parzialmente l’ostio atrioventricolare, con infiltrazione dell’ostio delle vene polmonari di sinistra e della base del cuore. La paziente viene sottoposta ad intervento chirurgico con parziale debulking della neoformazione atriale. Risultati L’esame macroscopico evidenzia una serie di frammenti di consistenza duro-calcifica, teso elastica e molle. L’esame istologico evidenzia una proliferazione neoplastica caratterizzata da aree di cartilagine maligna diffusamente cellulata, aree a cellule fusate e cellule giganti ed aree di ossificazione maligna con abbondante osteoide. La proliferazione risulta positiva alla colorazione per S100, Vicentina e negativa per CD34, Actina muscolo specifico (HHF35), Citocheratina. Conclusione La diagnosi istologica definitiva conclude per osteosarcoma extrascheletrico con aree condroblastiche (G3). La prognosi a lungo termine per tali sarcomi risulta limitata anche dovuta alla non completa radicalità chirurgica. I trattamenti radio e chemioterapici possono essere utilizzati senza tuttavia risultare di grosso successo. L’osteosarcoma primitivo cardiaco con differenziazione condroblastica rappresenta una rara entità istologica. La componente condrosarcomatosa in questo caso abbastanza preponderante, pone il problema di diagnosi differenziale con la ben più rara forma di condrosarcoma primitivo cardiaco; la presenza di diffusa osteoide maligna dà in finale la caratterizzazione della lesione come osteosarcoma primitivo cardiaco. Adrenocortical carcinomas: case report and review of the literature mon in women (58.6%) than in man (41.4%). The etiology of disease is still unknown. Most ADC are hormone functional. These tumors most commonly produce cortisol (30%), then androgens (20%), estrogens (10%) or aldosterone (2%). The most common clinical finding was a recent diagnosis of moderate-to-severe hypertension (68%), poorly controlled by pharmacological treatment 1. Case report We report a rare case of low-stage ADC of the left adrenal gland, of a 29-year-old man. The large (cm 10 x 6), non-functioning and poorly-differentiated ADC was metastatic to the liver and lung at time of the diagnosis. The positivity for synaptophysin and vimentin was detected. The moderate hypertension was only symptom, poorly – controlled by pharmacological treatment. After surgery also chemotherapy treatment was performed, (caelix 50 mg, cisplatin 60 mg, ciclofosfamide 500 mg). Results of treatment are not satisfying. Conclusions This tumor have an unpredictable prognosis. A number of prognostic factors have been identified in patients with ADC, but criteria predicting survival are not uniform. Factors associated with a worse prognosis were stage of disease, nonoperative management, positive surgical margins, vascular invasion, and older age. In conclusion, curative surgery was the most effective treatment. Treatment also includes chemotherapy, especially with mitotane, usually in combination with doxorubicin, etoposide, and cisplatin. Results of treatment are not satisfying, so adjuvant multicenter trials are still underway. Tumor morphology is a better predictor of metastatic risk in ADC than current immunohistochemistry-detected cell cycle regulatory and proliferation-associated proteins. Survival for ADC is poor. Even after complete surgical excision, up to 80% of the patients show locoregional recurrence or metastases 2. Monitoring arterial pressure, endocrine parameters, and metabolic parameters can be helpful for the early detection of ADC recurrences. References 1 Gomez-Rivera F, et al. Adrenocortical carcinomas: twelve – year prospective experience. Am Surg 2005;71:90-4. 2 Meyer A, et al. Long-term survival over 28 years of a patient with metastatic adrenal cortical carcinoma-case report. Anticancer Res 2004;24:1901-4. Carcinomi a cellule renali di tipo cromofobo aggressivi: studio di citogenetica in interfase M. Brunelli* ***, S. Gobbo*, M. Pea*, R. Colombari***, M. Chilosi*, A. Scarpa*, F. Bonetti*, F. Menestrina*, G. Martignoni** * F. Brunelli, T. Curti, P. Siciliano, S. Discepoli ASL Avezzano, Sulmona, P.O. Avezzano, U.O. Anatomia Patologica Introduction Medical records of patients with the diagnosis of adrenal carcinoma (ADC) between 1990 and 2005 were reviewed. ADC is a rare and highly malignant tumour with up to 70% of the patients diagnosed at an advanced clinical stage, up to 40% presenting with metastases. The annual incidence is of 1 to 2 cases per million people. It is a very aggressive tumor, with a median survival of 28 months, and is slightly more com- Anatomia Patologica, Università di Verona; ** Università di Sassari; *** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione Il carcinoma a cellule renali di tipo cromofobo (chRCC) è un tumore che metastatizza in rari casi. Il chRCC primitivo presenta un assetto di anomali cromosomiche numeriche come la monosomia dei cromosomi 1, 2, 6, 10 e 17. Tali anomalie cromosomiche non sono state studiate nelle varianti aggressive del chRCC (lesioni metastatiche e/o varianti sarcomatoidi). Metodi Abbiamo raccolto 10 casi di chRCC aggressivi, 3 con metastasi a distanza nel polmone, nel pancreas e nei linfonodi re- PATOLOGIE VARIE troperitoneali rispettivamente 10, 12 e 5 anni dopo la nefrectomia e 7 casi con trasformazione sarcomatoide. Abbiamo eseguito l’analisi di ibridazione in situ fluorescente (FISH) su materiale incluso in paraffina, utilizzando sonde centromeriche per i cromosomi 1, 2, 6, 10 e 17. I segnali sono stati contati in un numero di nuclei variabile da 100-200. Risultati Nei 3 casi con metastasi abbiamo rilevato un pattern costituito da un singolo segnale presente in tutti i cromosomi sia nella lesione primitiva che nelle relative metastasi (pancreas, polmone) (20% dei casi totali) (singolo segnale nel 66-88% dei nuclei); un pattern costituito da doppio segnale fluorescente presente in tutti i cromosomi sia nella lesione primitiva che nelle metastasi linfonodali (10%) (doppio segnale in > 78% dei nuclei). Un caso (10%) con trasformazione sarcomatoide presentava come anomalie un singolo segnale per i cromosomi 1, 6, e 17 nella porzione epiteliale e nella porzione sarcomatoide e tre/più segnali per il cromosoma 10 e 17 nella porzione sarcomatoide; 3 casi (30%) presentavano un pattern privo di anomalie nella porzione epiteliale ed aberranti (mosaico) nella porzione sarcomatoide quali la simultanea presenza di singolo e tre o più segnali fluorescenti per tutti i cromosomi; 3 casi (30%) avevano aberrazioni cromosomiche numeriche (mosaico) sia nella componente epiteliale che nella componente sarcomatoide. Conclusioni 1) tre pattern di anomalie cromosomiche numeriche caratterizzano le varianti aggressive dei chRCC; 2) il pattern di anomali cromosomiche presenti nei chRCC con metastasi sono le stesse sia nella lesione renale che in quella metastatica; 3) la componente sarcomatoide dei chRCC ha anomalie cromosomiche più frequenti della componente epiteliale e più complesse (mosaico); 4) nella diagnosi differenziale delle lesioni metastatiche alla valutazione morfologica tali pattern di anomalie possono avvalorare l’ipotesi di una origine renale e con istotipo chRCC. Adenoma pleomorfo a localizzazione mammaria: case report G. Calvisi*, S. Saltarelli*, A.R. Vitale, D. Barbera, V. Ciuffetelli, M. De Vito Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Cattedra di Anatomia Patologica; * ASL4 U.O. Anatomia Patologica Introduzione L’adenoma pleomorfo (AP) è la neoplasia più comune delle ghiandole salivari, rappresentando il 60%-65% di tutti i tumori della ghiandola parotide ed il 45% dei tumori delle ghiandole salivari minori. È stato descritto in sedi meno comuni quali: seni paranasali, laringe e palato; a livello cutaneo è più noto come “siringoma condroide”. La localizzazione mammaria appare un’evenienza rara 1. È più frequente nel 5°-6° decennio di vita, con una predominanza nel sesso femminile (60%). Caso clinico Paziente di 80 aa che all’esame obiettivo presentava una tumefazione adesa ai piani superficiali, mobile rispetto ai piani profondi, non dolente né dolorabile, in sede sottoareolare destra. All’esame ecotomografico la formazione nodulare appariva a pareti calcifiche, con multiple calcificazioni interne, delle dimensioni di mm 17,8 x 15,5 x 16,7, a margini lieve- 275 mente irregolari. I cavi ascellari apparivano liberi. La paziente veniva sottoposta a tumorectomia. Risultati All’esame macroscopico il campione operatorio appariva di consistenza dura, di colore biancastro, apparentemente capsulato. Previa inclusione in paraffina, il campione è stato colorato con ematossilina eosina e sottoposto ad indagini immunoistochimiche. L’esame istologico ha evidenziato cellule di natura epiteliale disposte in strutture duttali e cordonali intersecantesi e cellule di tipo mioepiteliale. Lo stroma interposto si presentava di tipo denso, con aree mixoidi ed aree di metaplasia condroide ed ossea. Le indagini immunoistochimiche evidenziavano positività per S100 e vimentina ed in minor misura per actina e p63 nella maggior parte delle cellule. Il quadro morfologico era indicativo di adenoma pleomorfo. Discussione Sebbene di raro riscontro, la localizzazione mammaria dell’adenoma pleomorfo non è sorprendente in quanto la mammella, essendo una ghiandola sudoripara modificata, condivide con le ghiandole salivari e la cute la medesima origine embriologica. Nel caso in esame la diagnosi differenziale si poneva con il carcinoma metaplastico ed il papilloma intraduttale con differenziazione ossea e condroide. Nel primo vi è la presenza di cellule epiteliali poco differenziate infiltranti, frammiste ad elementi mesenchimali atipici o francamente maligni (minime atipie nell’AP). Nel secondo invece manca la componente mioepiteliale (caratteristica dell’AP). Bibliografia 1 Reid-Nicholson M, et al. Arch Pathos Lab Med 2003;127:474-7. Metastasi pancreatiche da carcinoma renale a cellule chiare D. Campani, L.E. Pollina, N. Funel, M. Menicagli, U. Boggi, M. Del Chiaro, G. Bevilacqua Divisione di Anatomia Patologica e Diagnostica Molecolare ed Ultrastrutturale e Centro di Riferimento Regionale Toscano per la Cura delle Malattie del Pancreas, Dipartimento di Oncologia, Università di Pisa ed Azienda Ospedaliera-Universitaria di Pisa Introduzione Il pancreas è sede inusuale di metastasi rappresentando meno del 5% di tutte le neoplasie pancreatiche. Le neoplasie che più frequentemente metastatizzano al pancreas sono il carcinoma della mammella, del polmone, della cute (melanoma) e del rene. Il carcinoma renale ha particolare predisposizione a metastatizzare in siti rari, come tiroide e pancreas e le metastasi solitarie al pancreas sono difficilmente distinguibili da un carcinoma pancreatico primitivo. Un’adeguata anamnesi che escluda un pregresso carcinoma renale è essenziale per un corretto orientamento diagnostico prima della resezione pancreatica. In questo studio viene riportata la casistica del Centro di Riferimento Toscano per la Cura delle Malattie del Pancreas. Materiali e metodi Da 232 resezioni pancreatiche, eseguite dal 2001 al 2005, sono stati selezionati 6 casi di metastasi da carcinoma renale (2,6%). Risultati L’età media dei pazienti era 65 anni (range 52-73) 2 maschi e 4 femmine. L’intervallo mediano tra la diagnosi di carcino- 276 ma renale e il riscontro della metastasi pancreatica era di 96 mesi (range 0-192). In 2 casi con metastasi singola nella testa del pancreas è stata eseguita duodeno-cefalo-pancreasectomia (DCP). In 1 caso con metastasi multiple localizzate alla testa del pancreas è stata eseguita DCP. In 1 caso con una metastasi cefalopancreatica ed una nel corpo veniva eseguita DCP ed enucleazione della lesione del corpo. Due casi presentavano metastasi multiple nella testa e nel corpo-coda e i pazienti sono stati sottoposti a pancreasectomia totale, in 1 di questi la metastasi pancreatica era sincrona al carcinoma renale ed il paziente è stato sottoposto anche a nefrectomia. Le dimensioni dei noduli pancreatici variavano da 3 mm a 60 mm. La diagnosi istologica in tutti i casi era di carcinoma a cellule chiare interpretata come metastasi da carcinoma renale sulla base dell’anamnesi dei pazienti. I linfonodi regionali erano in media 25 (range 16-53) e risultavano tutti negativi per metastasi. Conclusioni Poiché il carcinoma a cellule chiare del pancreas rappresenta un’entità molto rara è necessaria un’accurata anamnesi del paziente per escludere la possibilità di metastasi da carcinoma renale. Queste possono manifestarsi anche molti anni dopo l’insorgenza della neoplasia primitiva. La bassa frequenza di complicanze post-operatorie nelle resezioni pancreatiche permette di migliorare la prognosi dei pazienti con metastasi da carcinoma renale. Expression of CD205 (DEC-205), a receptor involved in antigen-processing, in thymic epithelial tumours M. Chilosi, A. Brighenti, A. Zamò, S. Pedron, L. Montagna, P. Piccoli Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia, Università di Verona CD205 (also known as DEC-205), is a membrane protein acting as an endocytic receptor for extracellular antigens. Accordingly, high expression of the molecule is observed in mature antigen-presenting dendritic cells, including interdigitating and Langerhans’ cells. In these cell subsets CD205 is involved in antigen processing, greatly enhancing the efficiency of antigen presentation. Interestingly, CD205 is also expressed by cortical thymic epithelial cells, where the receptor is involved in the clearance of apoptotic thymocytes. This phenomenon is intriguing since impaired clearance of apoptotic cells has been suggested to be involved in the development of autoimmunity. Nevertheless, information regarding the expression of CD205 in thymic epithelial tumours (TET) is currently not available. In this study we have investigated a series of human TET by immunohistochemistry using the monoclonal antibody NCL-L-DEC205 and the Bond Polymer Detection System (Novocastra - Menarini). In control thymic samples CD205 immunoreactivity was restricted to cortical epithelial cells and medullary interdigitating dendritic cells, as previously described. TET were classified following W.H.O. criteria as A (3 cases), AB (3 cases), B1 (3 cases), B2 (3 cases), B3 (3 cases), and thymic carcinoma (1 case). Neoplastic epithelial cells of all types of TET were intensely immunoreactive for CD205, with the exception of the case of thymic carcinoma where neoplastic epithelial cells were completely negative. Focal aggregates of negative cells were also present in one B3 sample, characterised by more atypical COMUNICAZIONI E POSTER morphology. In our opinion these data are relevant for the following reasons: first, the expression of CD205 is maintained in all types of thymomas, without any relation with their putative origin (e.g. cortical versus medullary). These data are in line with the recent demonstration of a common thymic epithelial cell precursor. Second, the observation of heterogeneity of CD205 expression in thymomas and thymic carcinoma suggests that this marker could be associated with undifferentiated and aggressive features, thus representing a useful diagnostic marker. Further study is needed on larger series to evaluate this interesting possibility. Sarcoma a cellule follicolari dendritiche con componente sarcomatoide a localizzazione intracranica: case report A. Chiominto*, G. Coletti*, D. Barbera, V. Ciuffetelli, R. De Franco, P. Leocata Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Cattedra Anatomia Patologica; * ASL 4 L’Aquila, U.O. Anatomia Patologica Introduzione Il sarcoma a cellule follicolari dendritiche è una rara neoplasia a sede nodale ed extranodale tipica dell’età adulta, che colpisce entrambi i sessi con eguale prevalenza. Le sedi extranodali più comuni sono: tonsille, nasofaringe, pancreas, tessuti peripancreatici e peritoneali. Nel 2003 Hasselblat et al. ne hanno descritto un caso a localizzazione intracranica 1. Caso clinico Il caso giunto alla nostra osservazione è relativo ad un paziente di 81 aa ricoverato per trauma cranico; all’esame CT veniva riscontrata la presenza di una lesione nodulare a sede parietale-parasagittale destra, confermata da una MR con mdc. Il paziente, che 2 anni prima era stato nefrectomizzato per carcinoma renale, veniva sottoposto ad intervento chirurgico. Il campione operatorio misurava cm 3,5 x 3 x 2,8 e presentava contorni netti e aspetto lobulato. Previa inclusione in paraffina, è stato colorato con ematossilina-eosina e sottoposto a colorazioni immunoistochimiche. Risultati L’esame istologico ha evidenziato un tessuto neoplastico a contorni ben definiti, costituito da fasci di ampie cellule fusate, anche in sede perivascolare, disposte in pattern prevalentemente vorticoide; tali cellule presentavano citoplasma eosinofilo ed ampio nucleo vescicoloso, spesso provvisto di piccoli nucleoli; piccoli linfociti apparivano associati alle cellule neoplastiche. Erano presenti figure mitotiche in numero di 4-5 x 10/HPF ed aree di necrosi. Il tessuto neoplastico era positivo per vimentina, CD68, CD35, CD23, fascina e focalmente per EMA. Alcuni cluster di cellule erano positive per CK AE1/AE3 e CK8. Veniva posta diagnosi di sarcoma a cellule follicolari dendritiche (FDCs) con componente sarcomatosa rappresentata da fibroblastic reticulum cells. Conclusioni L’FDC sarcoma è una rara neoplasia a malignità intermedia caratterizzata da recidive locali, ma potenzialmente metastatizzante. Di fondamentale importanza per la diagnosi sono l’esame morfologico e le colorazioni immunoistochimiche, tipicamente positive per CD21, CD23 e CD35. La positività PATOLOGIE VARIE per tali marker consente di porre diagnosi differenziale con gli altri tumori a cellule dendritiche; la negatività per cheratine e desmina dirime invece problemi di diagnosi differenziale. Alcune caratteristiche morfologiche, sovrapponibili a quelle dei meningiomi, possono indurre ad una sottostima dei FDCs a localizzazione intracranica. Bibliografia 1 Hasselblatt M, et al. J Neurosurg 2003;99:1089-90. Rilievi morfologici ed immunoistochimici su un caso di carcinoide associato a struma ovarico M. Chimenz*, P. Napoli, M. Starrantino, M.P. Sciacca, M. Righi*, R.A. Caruso* Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “Piemonte”; * Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Messina Gli Autori descrivono un caso di carcinoide associato a struma ovarico, asportato chirurgicamente ad una paziente di 38 anni. L’esame microscopico della lesione ha evidenziato follicoli tiroidei contenenti colloide, inclusi in un connettivo denso contenente un carcinoide trabecolare. L’indagine immunoistochimica mostra la positività per cromogranina e sinaptofisina nella componente carcinoide, mentre la tireoglobulina è presente nell’epitelio follicolare tiroideo. L’indice di proliferazione (MIB1) evidenzia una positività pari al 3% nelle cellule del carcinoide. Lo struma ovarico associato a carcinoide è una lesione proliferativa benigna, che può essere erroneamente diagnosticata come adenocarcinoma. Il riconoscimento di tale rara entità è quindi importante, in quanto il trattamento chirurgico è curativo. Carcinoma a cellule renali: valutazione dell’istotipo come fattore prognostico D. Dalfior*, A. Parisi*, L. Bortesi*, I. Franceschetti*, A. Caneva****, V. Ficarra**, P. Cossu Rocca***, M. Brunelli* **** , M. Pea*, F. Menestrina*, G. Martignoni*** * Anatomia Patologica, ** Clinica Urologica, Università di Verona; *** Anatomia Patologica, Università di Sassari; **** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione Vi sono dati discordanti riguardo il ruolo dell’istotipo del carcinoma del rene come fattore prognostico. Lo scopo di questo studio è quello di valutarne l’importanza su 491 casi. Metodi Abbiamo considerato 491 carcinomi a cellule renali consecutivi sottoposti a nefrectomia e/o enucleazione dal 1986 al 2000. Tutti i preparati istologici sono stati rivisti da un patologo che ne ha ridefinito l’istotipo in accordo con la classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) del 2004. Le curve di sopravvivenza causa-specifica sono state comparate mediante log rank test (p < 0,05 a due code). Risultati I 491 carcinomi sono stati così suddivisi: 388 (79%) a cellule chiare, 57 papillari (11,6%), 25 cromofobi (5,1%), 8 dei dotti collettori (1,6%) e 16 inclassificabili (3,2%). Il followup mediano era di 54 mesi (range interquartile 24-96 mesi). 277 Nell’analisi dei tre istotipi più frequenti la sopravvivenza causa-specifica era peggiore nell’istotipo a cellule chiare (sopravvivenza a 5 anni dell’81,3%), rispetto all’istotipo papillare (p = 0,04) (sopravvivenza a 5 anni del 90,1%) e cromofobo (p = 0,01) (sopravvivenza a 5 anni del 100%); non vi sono differenze di sopravvivenza causa-specifica statisticamente significative tra l’istotipo papillare e cromofobo (p = 0,13). I pazienti affetti dal carcinoma dei dotti collettori hanno una mediana di sopravvivenza di 12 mesi. Conclusioni 1) la recente classificazione WHO suddivide istotipi con prognosi diverse; 2) tra gli istotipi più frequenti il carcinoma a cellule chiare risulta più aggressivo di quello papillare e cromofobo; 3) il carcinoma dei dotti collettori ha prognosi severa; 4) la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma inclassificabile mostra diverse curve di sopravvivenza ed ulteriori studi sono necessari per distinguere nel loro ambito categorie di carcinomi con comportamento biologico distinto. β2 gene protects from The IL-12rβ autoimmunity and functions as a tumor suppressor in B cell malignancies E. Di Carlo, I. Airoldi*, C. Sorrentino, T. D’Antuono, B. Banelli**, L. Moserle***, E. Rossi****, A. Amadori***, V. Pistoia* Department of Oncology and Neurosciences, Surgical Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti, Italy; * Laboratory of Oncology, “G. Gaslini” Institute, Genoa, Italy; ** Laboratory of Tumor Genetics, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genoa, Italy; *** Department of Oncology and Surgical Sciences, University of Padua, Padua, Italy; **** Department of Hematology, Azienda Ospedaliera “S. Martino”, Genoa, Italy Introduction IL-12 is a cytokine endowed with a powerful antitumor activity that binds to a receptor (R) composed of the β1 chain and the β2 chain which is a specific IL-12R component. We have previously shown that lymphoblastoid B cell lines (LCLs) and Burkitt lymphoma (BL) cell lines express IL12Rβ1 mRNA but lack IL-12Rβ2 mRNA, while normal naive, germinal center, and memory B cells express the transcripts of both genes. These findings led us to speculate that malignant B cells could benefit from the silencing of the IL12Rβ2 gene. Methods We first investigated, by RT-PCR and fluorescence microscopy, IL-12R gene expression in primary tumor cells from 41 patients with different chronic B cell lymphoproliferative disorders. Second, we studied the mechanism(s) involved in and the functional consequences of the silencing of IL-12Rβ2 gene in primary neoplastic B cells and in transformed B cell lines, by using the MSP technique (to test the methylation status of the IL-12Rβ2 gene) and the hIL-12Rβ2 gene transfection of B cell lines which were tested for their response to human recombinant IL-12 (hrIL-12) in vitro and in vivo (in SCID-NOD mice). Third, we investigated whether the targeted inactivation of the IL-12Rβ2 gene in mice resulted into increased susceptibility to development of B cell malignancies. Results 1. Primary malignant B cells isolated from mantle cell lymphoma (MCL), marginal zone lymphoma (MZL), and follic- 278 ular lymphoma (FL) B cells, analogously to LCLs and BL cell lines, did not express IL-12Rβ2 mRNA. 2. Hypermethylation of a CpG island in the noncoding exon 1 was associated with silencing of this gene in malignant B cells. The DNA methyltransferase inhibitor 5-Aza-2β-deoxycytidine restored IL-12Rβ2 mRNA expression in primary neoplastic B cells that underwent apoptosis and decreased proliferation following exposure to hrIL-12. HrIL-12 strongly reduced the tumorigenicity of IL-12Rβ2transfected BL cells in SCID-NOD mice through antiproliferative and proapoptotic effects, coupled with neoangiogenesis inhibition related to hIFN-γ-independent induction of hMig/CXCL9. 3. IL-12Rβ2 KO mice developed immune complex-mediated mesangial glomerulonephritis, systemic vasculitis, Sjogren’s syndrome and oligoclonal B cell lymphoproliferative disorder in the kidney and liver. Lymph node monoclonal plasmacytomas were observed in a half of aged animals. Conclusions The IL-12Rβ2 gene acts as tumor suppressor in chronic B cell malignancies, and IL-12 exerts direct antitumor effects on IL-12Rβ2-expressing neoplastic B cells. Occurrence of autoimmunity, lymphoproliferation and B cell neoplasia in IL-12Rβ2 KO mice supports the novel concept that IL-12 acts physiologically to restrain aberrant B cell activation. Tumori pediatrici delle ghiandole salivari: descrizione di un caso di sialoblastoma M.E. Errico, D. Bifano, M. Rocco, V. Donofrio S.C. Anatomia Patologica, A.O.R.N. “Santobono-Pausilipon”, Napoli Introduzione Il sialoblastoma è una estremamente rara neoplasia epiteliale congenita che insorge a livello della parotide e più raramente della sottomandibolare, e che morfologicamente ricapitola l’embriogenesi delle ghiandole salivari; tumori con morfologia simile sono state riportati in letteratura come embriomi, carcinomi congeniti, adenocarcinoma basalioide di basso grado, carcinoma adenoideo-cistico, etc.; tali neoplasie sono infatti aggressive e potenzialmente maligne. Caso clinico Presentiamo un caso di sialoblastoma manifestatosi come una grossa massa della regione angolomandibolare/laterale del collo ed asportato a 20 giorni dalla nascita. L’aspetto della lesione è quello di una massa ovalare bozzuta, di cm 9 x 8 x 4 del peso di 200 grammi, in sezione solida, multinodulare, di consistenza molle-elastica e colorito grigio-giallastro. Istologicamente la neoplasia appare costituita da piccoli nidi di cellule basaloidi con scarso citoplasma, nucleo rotondoovalare, cromatina dispersa e piccolo nucleolo, talora solidi, talora cribriformi, talora con un lume simil-duttale, contenente secreto basofilo e rivestito da cellule cubico cilindriche con citoplasma più evidente, eosinofilo, e nuclei basali; si osservano anche “sheets” solidi più grandi, con palizzata periferica, focale differenziazione sebacea e focolai di necrosi, sepimentati da stroma fibroso in parte denso in parte fibromixoide. È presente apprezzabile attività mitotica, mentre non si sono repertati immagini di crescita perineurale. All’indagine immunoistochimica le cellule mostrano positività per COMUNICAZIONI E POSTER CK di alto p.m. e CK pan nella componente duttale e focale positività per S-100; debole e solo focale la positività per Actina; negative vimentina, CEA, EMA e CD117. Conclusioni Il sialoblastoma è una neoplasia embrionale delle ghiandole salivari. Lo spettro istologico dei tumori delle salivari nell’infanzia comprende quattro categorie: la controparte dei tumori benigni dell’adulto; gli amartomi, i sialoblastomi/embriomi ed infine le neoplasie maligne analoghe a quelle dell’adulto. Tra queste, il termine di sialoblastoma sta ad indicare neoplasie epiteliali basalioidi, con caratteristiche morfologiche che ricapitolano gli stadi di embriogenesi delle salivari; tale termine comprende tumori più o meno differenziati, da indolenti a potenzialmente maligni. I criteri istologici indicativi di un decorso aggressivo sono l’invasione perineurale e vascolare e la necrosi, per cui il nostro caso rientra nelle neoplasie a basso potenziale di malignità, con capacità di recidiva locale. Bibliografia 1 Brandwein M, Al-Naeif NS, Manwani D, Som P, Goldfeder L, Rothschild M, et al. Sialoblastoma: clinicopathological/immunohistochemical study. Am J Surg Pathol 1999;23:342-8. 2 . Batsakis JG, Frankenthaler R. Embryoma (sialoblastoma) of salivary glands. Ann Otol Rhinol Laryngol 1992;101:958-60. Tumori pediatrici delle ghiandole salivari: descrizione di un caso di “salivary gland anlage” tumor M.E. Errico, D. Bifano, M. Rocco, V. Donofrio S.C. Anatomia Patologica A.O.R.N. “Santobono-Pausilipon”, Napoli Introduzione Il “salivary gland anlage tumor”, noto anche come anche adenoma pleomorfo congenito, è una inusuale lesione del rinofaringe che origina dalle ghiandole salivari minori e che si manifesta in genere con disturbi respiratori alla nascita o durante le prime settimane di vita. Caso clinico Riportiamo un caso di un neonato di 20 giorni con grave di stress respiratorio per la presenza di un polipo rinofaringeo della linea mediana. La lesione appare come una formazione ovalare polipoide, peduncolata, di cm 2, a superficie esterna liscia, grigiastra, in sezione solida. L’esame istologico ha mostrato una proliferazione sottomucosa solida, rivestita da epitelio squamoso non cheratinizzante, e caratterizzata da noduli densamente cellulari, sepimentati e circondati da uno stroma fibroso per lo più lasso; nello stroma si osservano nidi squamosi e strutture simil duttali con metaplasia squamosa, talvolta anastomizzatesi e in più punti in continuità con l’epitelio sovrastante, che appare focalmente eroso. Le aree solide sono costituite da cellule in parte rotondo-ovalari, in parte fusate, con nucleo monomorfo, cromatina dispersa e bordi citoplasmatici indistinti, talora con alone chiaro perinucleare, strettamente commiste a strutture duttali; in queste aree è presente attività mitotica. L’indagine immunoistochimica ha mostrato positività di tale popolazione per vimentina, pan-CK, CK di alto e basso p. m., actina e focalmente EMA, negatività per CD99, Desmina, S100 e CD34; le strutture epiteliali sono risultate CK e EMA positive. PATOLOGIE VARIE Conclusioni Il “salivary gland anlage tumor” è una rara lesione congenita del rinofaringe, costituita da una doppia componente cellulare, epiteliale e mioepiteliale, entrambe non completamente differenziate, simile a quella delle ghiandole salivari embrionali. Tale lesione ha in comune con gli amartomi la localizzazione mediana e il comportamento clinico, in genere indolente, e con il tumore misto la simile composizione cellulare (da cui il termine di adenoma pleomorfo congenito), rappresentando un esempio di lesione con caratteristiche intermedie tra un amartoma e una vera neoplasia. Bibliografia 1 Dehner LP, Valbuena L, Perez-Atayde A, Reddick RL, Askin FB, Rosai J. Salivary gland anlage tumor (“congenital pleomorphic adenoma”). A clinicopathologic, immunohistochemical and ultrastructural study of nine cases. Am J Surg Pathol 1994;18:25-36. Amartoma mesenchimale infantile epatico: presentazione di un caso M.E. Errico, D. Bifano, M. Rocco, V. Donofrio S.C. Anatomia Patologica, A.O.R.N. “Santobono-Pausilipon”, Napoli Introduzione L’amartoma mesenchimale è una rara lesione epatica dell’infanzia, che origina dal piatto duttale del fegato fetale; si manifesta in genere nei primi due anni di età, con distensione addominale o come massa palpabile asintomatica, in piccoli pazienti con normale funzionalità epatica e normali livelli di alfa-feto proteina. A causa della sua crescita rapida, prima o immediatamente dopo la nascita, esso viene spesso clinicamente diagnosticato come tumore maligno. Caso clinico Noi presentiamo un caso di amartoma mesenchimale in una bambina di due anni, manifestatosi con emoperitoneo, e considerato, anche alla luce del quadro strumentale, un ematoma organizzato. Il campione esaminato è costituito da un frammento vagamente polipoide di cm 3,5 x 2 al taglio di aspetto parenchimatoso emorragico. Istologicamente in un background siero-emorragico con aree di necrosi ischemica, si osserva una commistione di tessuto mesenchimale, dotti biliari e cordoni di epatociti; la componente mesenchimale contiene sparse cellule di aspetto fusato e stellato; i dotti biliari proliferanti circoscritti da mesenchima mostrano un pattern talvolta ramificante; i cordoni di epatociti sono frammisti e dislocati alla periferia del campione simil-polipoide; sono presenti suggestive immagini di ematopoiesi extramidollare. Conclusioni L’amartoma mesenchimale è una rara lesione epatica con pattern vascolare simile a quello osservabile in caso di torsione di un lobo accessorio; tale aspetto, evidente anche nel nostro caso, potrebbe suggerire una origine ischemica, ma la recente scoperta di una specifica traslocazione cromosomica (19q13), depone per una natura neoplastica. Il comportamento biologico dell’amartoma mesenchimale infantile è tuttavia benigno, con rara capacità di recidiva locale, se non completamente escisso; esso può tuttavia determinare insufficienza cardiaca, dovuta a “shunt” arterio-venoso, e/o complicanze emodinamiche e respiratorie, se non correttamente diagnosticato e trattato. 279 Bibliografia 1 Dehner LP, Ewing SL, Sumner HW. Infantile mesenchymal hamartoma of the liver. Histologic and ultrastructural observations. Arch Pathol 1975;99:379-82. 2 Rakheja D, Margraf LR, Tomlinson GE, Schneider NR. Hepatic mesenchymal hamartoma with translocation involving chromosome band 19q13.4: a recurrent abnormality. Cancer Genet Cytogenet 2004;153:60-3. L’espressione nucleare di bcl10 si associa alla deregolazione dell’apoptosi nei linfomi MALT degli annessi oculari, indipendentemente dalle traslocazioni che coinvolgono il gene MLT1 e correla con ridotti intervalli di sopravvivenza libera da malattia R. Franco, S. Staibano*, M. Laise, M.E. Errico*, F.I. Camacho**, F. Tranfa*, M. Iorio, M. D’Angelo, G. Liguori, A. De Renzo*, R. Merola***, G. Botti, M. Piris**, G. De Rosa* Istituto dei tumori “G. Pascale”, Napoli; * Università “Federico II”, Napoli; ** CNIO, Madrid; *** Istituto “Regina Elena”, Roma Introduzione Come altri linfomi MALT non gastrointestinali, i linfomi MALT degli annessi oculari (OABLM) rispetto al modello gastrico mostrano caratteristiche distintive, che implicano specifiche sequenze etiopatogenetiche, interessanti per decorso clinico e per la scelta di specifiche strategie terapeutiche. Materiali e metodi 39 casi di OABLM e 8 casi di linfomi non MALT dello stesso distretto mediante Tissue-microarrays sono stati studiati per l’espressione immunoistochimica delle principali molecole coinvolte nella regolazione dell’apoptosi e del ciclo cellulare, per l’indice apoptotico (TUNEL) e la presenza delle principali traslocazioni descritte nei linfomi di tipo MALT (FISH). Inoltre, per l’importanza che gli agenti infettivi nell’etiopatogenesi dei linfomi MALT, abbiamo valutato l’incidenza dell’infezione da HCV, la presenza di EBV (ibridazione in situ) e, in un gruppo selezionato, la presenza della Chlamydia psittaci, potenziale agente patogeno nei OABLM (PCR). I dati sono poi stati valutati statisticamente in relazione agli intervalli liberi da malattia (DFS). Risultati Abbiamo osservato nel gruppo OABLM rispetto ai linfomi non MALT una deregolazione apoptotica (ridotta caspasi 3 e aumentata pIkB, marker dell’attività di NfkB). La FISH mostrava assente t(11;18) e in 5 casi presenza di t(14;18) (q32;q21), statisticamente correlata con l’espressione di pIkB. 14 casi mostravano espressione nucleare aberrante di bcl10 associata all’espressione di IkB fosforilata, a un ridotto indice apoptotico e a più corti DFS. L’aumento delle grandi cellule, inoltre, era associato ad aumentata espressione di Cycline A e E e Ki67 e a ridotta espressione di p16. Negli OABLM 6/12 erano HCV+, mentre EBV non era presente in nessun OABLM. La presenza di Chlamydia pittaci è stata studiata in 6 pazienti: 2 casi (1 Linfoma OABLM e un DBCL ex MALT della congiuntiva) positivi e 4 (3 OABLM MALT e 1 linfoma follicolare) negativi. Conclusioni I linfomi MALT degli annessi oculari mostrano deregolazio- 280 ne dell’apoptosi, in cui un ruolo chiave è giocato dall’espressione nucleare di bcl10, indipendentemente dalle traslocazioni che coinvolgono il gene MLT1. L’espressione nucleare aberrante di bcl10, inoltre, sembra associato a più corti DFS. La positività per HCV in 50% dei pazienti con sierologia nota, indica un possibile ruolo di questa infezione nell’etio-patogenesi di questi linfomi. Necessita, invece, di ulteriori verifiche il ruolo della Chlamydia psittaci. Ruolo della reazione microgliale e delle Caspasi nella Corea di Huntington – osservazioni immunoistochimiche S. Galatioto, M. Righi, C. Crisafulli, M. Chimenz, G. Trombetta, M. Nunnari Dipartimento Patologia Umana, Università di Messina, Italia Introduzione La Corea di Huntington (HD) è una malattia neurodegenerativa a trasmissione autosomica dominante, clinicamente caratterizzata da una sindrome ipercinetica e da demenza progressiva. Dal punto di vista neuropatologico l’HD è ricondotta prevalentemente ad una perdita di neuroni “spinosi” efferenti GABA-ergici presenti a livello del neostriato e della corteccia. Analogamente ad altre malattie neurodegenerative. anche nella HD è stata segnalata la presenza di un precoce e progressivo accumulo di microglia (c.d. reazione infiammatoria) (Sapp et al., 2001). In quest’ottica alcuni Autori hanno ipotizzato che sostanze citotossiche, come l’IL-1beta, secrete dalla microglia “attivata” siano in grado di accelerare e perpetuare il processo neurodegenerativo alla base della condizione. (Sarra et al., 2005). Peraltro è stato anche sostenuto, specie su modelli sperimentali della HD, il ruolo importante svolto dal gruppo delle Caspasi nella regolazione dei meccanismi apoptosici che concorrono alla morte neuronale (Sanchez Mejia, Friedlander, 2001). Metodi 9 casi di HD precedentemente studiati dal punto di vista neuropatologico classico nonché da quello immunoistochimico con particolare riferimento ai neuropeptidi dimostrabili nei neuroni sopravvissuti del neostriato, sono stati ripresi ed allestite altre sezioni paraffiniche utilizzate per la ricerca attuale. È stato impiegato il metodo immunoistochimico all’avidinabiotina per la dimostrazione degli anticorpi CR3/43, GLUT5, Caspasi-9 e IL-1beta. L’immunoreattività dimostrata per i diversi anticorpi è stata confrontata in una scala semiquantitativa. Risultati A) I risultati immunoistochimici con gli anticorpi impiegati per visualizzare lo stato di “attivazione” della reazione “infiammatoria” confermano quelli di altri Autori circa la esistenza nella HD di una reazione microgliale sin negli stadi tardivi della malattia. B) Il riscontro, a livello dei neuroni sopravvissuti dello striato di una modesta immunoreattività anti-Caspasi 9, sebbene meno dimostrativi di quelli ottenuti da altri Autori con l’impiego di metodi più sensibili, sembrano tuttavia sostanzialmente concordare con gli stessi. COMUNICAZIONI E POSTER Conclusioni I nostri dati, per quanto preliminari, potrebbero suggerire, tenuto conto dei contributi della letteratura, la possibile esistenza, nel meccanismo apoptosico della HD, di un circolo vizioso comprendente la microglia “attivata”, la secrezione di sostanze neurotossiche come ad es. l’IL-1beta, oltre al ciclo delle caspasi nel quale, com’è noto, un ruolo centrale è svolto dalla Caspasi 9. Bibliografia Sapp E, Kagel KB, Aronin N, et al. J Neuropathol Exp Neurol 2001;60:161-72. Sanchez Mejia RO, Friedlander RM. Neurosci 2001;7:480-9. Riscontro del virus HPV nei tratti superiori dell’apparato genitale femminile: studio molecolare su campioni di isterectomia ed annessiectomia bilaterale con carcinoma cervicale HPV positivo G. Giordano, T. D’Adda, L. Gnetti, M. Melpignano* Dipartimento di Patologia e Medicina di Laboratorio, Sezione di Anatomia ed Istologia Patologica, Università di Parma, Italia; * Dipartimento di Scienze Ostetriche-Ginecologiche e Neonatologia, Università di Parma, Italia Introduzione In questo studio gli Autori, per la prima volta, valutano la presenza del virus papilloma umano (HPV), mediante la tecnica dell’amplificazione DNA (Polymerase Chain reaction) (PCR) nei tratti genitali superiori dell’apparato genitale femminile, su campioni di isterectomia ed annessiectomia bilaterale con carcinoma cervicale infiltrante HPV positivo, allo scopo di stabilire se un’infezione da HPV potrebbe estendersi dalla cervice uterina ai tratti più prossimali dell’apparato genitale. Materiali e metodi Sono stati selezionati dalla casistica del Dipartimento di Patologia e medicina di Laboratorio dell’Università di Parma 8 casi di carcinoma cervicale infiltrante in campioni di isterectomia ed annessiectomia bilaterale. Tutti i campioni sono stati processati secondo tecniche di routine e sono stati esaminati istologicamente. La stadiazione delle neoplasie è stata effettuata secondo il sistema FIGO ed il sistema TNM. Per l’estrazione del DNA, tre sezioni istologiche della neoplasia cervicale, della mucosa endometriale, della mucosa tubarica e dell’epitelio ovarico di superficie sono state microdissezionate manualmente. Il DNA estratto è stato amplificato mediante PCR, utilizzando primers G5+/G6 per la regione altamente conservata L1 del genoma dell’HPV (genotipi: 6, 11, 13, 16,18, 30-35, 39, 40, 42, 45, 51- 53, 56, 58, 61, 66) 1. Risultati Istologicamente le neoplasie cervicali selezionate comprendevano 7 carcinomi squamosi ed un adenocarcinoma villoghiandolare. Lo stadio di sviluppo variava da IA1 a IVB secondo il sistema FIGO e da T1a1 a T2b, secondo il sistema TNM. La mucosa uterina e quella tubarica non rilevavano alcuna neoplasia. Solo in un caso un ovaio presentava un teratoma cistico maturo. All’analisi molecolare PCR tutte le neoplasie cervicali erano HPV positive. In sei casi una debole positività per HPV è stata individuata nella mucosa endometriale, in quella tubarica e nell’epitelio ovarico di superficie. I risulta- PATOLOGIE VARIE ti erano, tuttavia, eterogenei, poiché la distribuzione dell’HPV DNA variava nei diversi tratti dello stesso caso e da caso a caso. Conclusioni Questo studio dimostra che in casi di carcinoma cervicale infiltrante, HPV positivo, l’HPV può estendersi ai tratti superiori dell’apparato genitale. Probabilmente tale infezione è latente e, pertanto, non produce altri virioni, non determina effetti citopatici e può essere individuata solo come un debole segnale all’analisi molecolare. La differente distribuzione dell’HPV DNA nei diversi tratti dello stesso campione di isterectomia ed annessiectomia e nei diversi casi potrebbe essere dovuta al fatto che l’HPV non infetti l’intera superficie ovarica e l’intera mucosa endometriale e tubarica, ma solo una loro parte. Bibliografia 1 de Roda H, et al. J Gen Virol 1995;76:1057-62. Identification of Lf mRNA isoforms from human neoplastic cells harvested by lasermicrodissection G. Giuffrè, S. Penco*, V. Barresi, C. Garrè**, G. Barresi, G. Tuccari Department of Human Pathology, University of Messina; * Department of Laboratory Medicine, Medical Genetics Unit, “Niguarda-Cà Granda” Hospital, Milan; ** Department of Oncology, Biology and Genetics, University of Genoa, Italy Introduction Lactoferrin (Lf), a 80 kDa basic glycoprotein, is a member of the transferrin family of iron-binding proteins, which has been previously documented mainly in the cytoplasm of human neoplastic cells from several tissues by immunohistochemistry. Nevertheless, the origin of Lf as well as its biological meaning remain still controversial. In order to verify if Lf is produced by neoplastic cells or alternatively it can be absorbed from other elements such as mononuclear cells or polymorph granulocytes, we have investigated the expression of Lf mRNAs utilizing a laser-assisted microdissection procedure. In fact, this latter technique allows to cut small tissue fragments as well as single cells by an ultraviolet laser beam in order to select a specific cell population of interest from a heterogeneous sample under direct microscopic visualization. Methods Laser-microdissection has been performed using a Leica AS LMD system (Leica Microsystems, Germany) on cryostatic sections of breast, gastric and colorectal cancers obtained at surgery and post-fixed with ethanol. From each section stained with Haematoxilin-Eosin, a variable number of neoplastic epithelial cells (from 300 to 600) has been harvested in different PCR tubes. RNA extraction has been performed by RNeasy Micro Kit (Qiagen); successively, using the 1st Strand cDNA Synthesis Kit for RT-PCR (Roche Applied Science), RNA has been reverse transcribed into singlestranded cDNA. Finally, cDNA has been amplified utilizing primer pairs designed for the specific detection of target sequences of human Lf as well as its alternative isoform ∆Lf. Results Sufficient cDNA for Lf amplification has been obtained starting from 300 neoplastic cells. Lf expression has been 281 detected in all breast cancer samples, although a different and variable evidence of Lf isoforms has been noted. In addition, Lf expression has been variably encountered in gastric and colorectal cancers. Conclusions In our opinion the laser microdissection may represent a valid tool to perform Lf molecular analysis; in fact, by this procedure, we have demonstrated the presence of different Lf isoforms in selected epithelial cells obtained from various kinds of human neoplasms. Finally, the investigation of Lf mRNAs variation along the tumorigenic cell progression in human neoplasms may be also performed. Espressione di Na+/I-symporter (NIS) nelle ghiandole endometriali di donne infertili M. Trovato1, L. Grosso1, E. Vitarelli1, M. Tripepi2, A. Abbate3, P. Rizzo2, V. Benedetto2, S. Sciacchitano4 5, G. Barresi1 1 Dipartimento di Patologia Umana, Università di Messina, Messina, Italia; 2 Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e Medicina della Riproduzione, Università di Messina, Messina, Italia; 3 Centro di Riproduzione Umana, Messina, Italia; 4 II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ospedale “S. Andrea”, Università di Roma “La Sapienza”, Roma, Italia; 5 Centro di Ricerca Ospedale “S. Pietro Fatebenefratelli”, AfaR, Roma, Italia La tiroide accumula ed organifica lo Iodio tramite il NIS. Tuttavia il NIS è stato dimostrato in altri organi che non sono in grado di organificare lo Iodio come le ghiandole salivari, lo stomaco e le ghiandole endometriali. Nei tessuti extratiroidei, l’espressione del NIS suggerisce un possibile coinvolgimento di questo trasportatore di Iodio nei processi fisiologici. Allo scopo di chiarire il ruolo del NIS nelle ghiandole endometriali, noi abbiamo studiato l’immunoespressione del NIS in biopsie endometriali di 20 pazienti con infertilità primaria, non altrimenti specificata, ed in 14 donne fertili. Le 34 donne erano state sottoposte ad ecografia transvaginale ed isteroscopia in fase estrogenica tardiva (pre-ovulatoria) per determinare lo spessore dell’endometrio ed effettuare la biopsia. A tutte le pazienti infertili era stato dosato l’estradiolo. NIS era osservato nell’epitelio ghiandolare in 17/20 delle biopsie endometriali delle pazienti infertili ed in 12/14 di quelle fertili. Nelle ghiandole endometriali delle pazienti infertili l’immunoreattività del NIS era significativamente più espressa (60% ± 21% vs. 19% ± 9%, media ± SD; P = 0,0001). L’immunocolorazione del NIS era sempre localizzata sulla membrana e nel citoplasma dell’epitelio ghiandolare. Tuttavia, una positiva reazione al NIS poteva anche osservarsi a livello del nucleo. Questa tipo di localizzazione si riscontrava più frequentemente nelle ghiandole endometriali delle pazienti infertili rispetto alle donne fertili (12% vs. 1%, P = 0,004). L’espressione del NIS non correlava con lo spessore dell’endometrio o i livelli di estradiolo. In conclusione, i nostri risultati sono indicativi di un possibile ruolo del NIS nel regolare la fertilità a livello dell’endometrio. 282 Sindrome di Richter a localizzazione colecistica. Descrizione di un raro caso M. Guerriero, L.M. Larocca, M. De Ninno*, A. Carbone* Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; * Servizio di Anatomia Patologica, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso La sindrome di Richter (SR) è lo sviluppo nel tempo di un linfoma non Hodgkin di alto grado in pazienti affetti da leucemia linfatica cronica B (LLC-B) o da altro disordine linfoproliferativo di basso grado come ad esempio un linfoma plasmocitoide. Presentiamo il caso di un paziente di 59 anni affetto da 3 anni da LLC-B. Insorgeva improvviso dolore all’ipocondrio destro in genere dopo i pasti e con andamento ingravescente. L’ecografia epato-biliare dimostrava ispessimento della parete della colecisti che era aumentata di volume, senza infiltrazione del circostante parenchima epatico (controllato con TC). Si eseguiva una colecistectomia. Successive TC total body non documentavano presenza di lesioni sospette o di ripetizioni in altre sedi. La colecisti misurava 10 cm di lunghezza ed il colletto era duro e ispessito per un diametro complessivo di 4,5 cm. Al taglio la parete era biancastra. L’esame istologico documentava un linfoma nonHodgkin diffuso pleomorfo a grandi cellule con talora elementi sternbergoidi (alto grado) della colecisti. Gli elementi linfomatosi risultavano intensamente Pan-B (MB2) positivi, CD20 negativi (controllo interno positivo), CD30 negativi. Si osservava inoltre un numero discreto di linfociti T di accompagnamento CD3 positivi, con quota del 70% positiva per CD8 (distribuita in tutto l’ambito) e quota del 30% positiva per CD5 (distribuita alla superficie mucosa e alla periferia della massa linfomatosa). Gli elementi linfoidi presentavano una positività nucleare non dirimente per EBV. Alla luce della storia clinica e dei risultati delle indagini morfologiche ed immunoistochimiche la diagnosi di SR veniva fatta. È raro l’esordio di SR con coinvolgimento extra linfonodale: sono stati descritti casi di localizzazioni al tratto gastrointestinale (giunzione gastro-esofagea, stomaco, valvola ileo-ciecale), al SNC, alla cute (lesioni singole o multiple), agli occhi, ai testicoli ai polmoni ed ai reni. Sino ad oggi, è stato riportato un solo caso di SR a localizzazione alla colecisti. Bibliografia Maryniak RK, et al. Acta Haematol Pol 1991;22:165-9. Tsimberidou AM, et al. Cancer 2005;103:216-28. COMUNICAZIONI E POSTER Riscontro autoptico in un caso di sindrome mieloproliferativa associata a sindrome 5qsfociata in leucemia mieloide acuta con mielopoiesi extramidollare M. Guerriero, L.M. Larocca, S. Storti*, G. Giordano*, A. Carbone** Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; * U.O.C. di Oncoematologia, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso; ** Servizio di Anatomia Patologica, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso La sindrome 5q- (delezione interstiziale del braccio lungo del cromosoma 5) è caratterizzata da andamento clinico indolente e prognosi relativamente buona. Presentiamo un caso di sindrome 5q- con presentazione clinica a tipo di sindrome mieloproliferativa cronica evoluta in leucemia mieloide acuta. Una donna di 78 anni giunge alla nostra osservazione lamentando dolore al fianco sinistro. È presente forte leucocitosi e l’esame fisico rivela una severa epatosplenomegalia. La prima ipotesi diagnostica è di leucemia mieloide cronica. L’esame morfologico dello striscio di sangue periferico dimostra, tuttavia, presenza di displasia eritroide e granulocitaria con il 15% di blasti, con isolati corpi di Auer e molti dacriociti. La biopsia osteomidollare (BOM) documenta presenza di marcata iperplasia della serie megacariocitica e granulocitaria e con quota blastica superiore al 30% della cellularità. Viene avanzato il sospetto di evoluzione blastica di patologia mieloproliferativa. L’esame del cariotipo mostra delezione 5q. Dopo un mese di trattamento la epatosplenomegalia aumenta ulteriormente. Una nuova BOM mostra mielofibrosi con presenza di numerosi megacariociti e megacarioblasti con presenza di blasti CD34 positivi (1-2%). In corso di una sepsi da P. aeruginosa la paziente muore. L’esame autoptico evidenziava leucemia mieloide acuta con blasti MPO e CD68 positivi, CD34 negativi. A livello midollare è presente una minima quota megacarioblastica residua (CD61+). La milza è sede di localizzazione massiva alla polpa rossa con presenza di quota marginale eritropoietica vicaria, con partecipazione anche di elementi megacarioblastici (CD61+). Il fegato presenta localizzazione a livello sinusoidale. Il soggetto presentava inoltre segni polmonari indicativi di una fase precoce di ARDS. I polmoni, inoltre, presentavano fibrosi interstiziale con aspetti pseudo-ghiandolari. Questo caso suggerisce l’esistenza di un sottogruppo di delezioni 5q con caratteristiche proliferative marcate tali da poter sfociare in una leucemia acute secondaria. Il nostro caso supporta i l concetto di sindrome mieloproliferativa-mielodisplastica mista e sostiene la possibile esistenza di nuove entità patologiche. Bibliografia 1 Washington LT, et al. Leuk Lymphoma 2002;43:761-5. 2 Takahashi H, et al. Am J Hematol 2000;64:120-3. PATOLOGIE VARIE 283 Metastasi ovarica destra e pseudomixoma peritoneale da carcinoma mucinoso primitivo dell’appendice, 15 mesi dopo carcinoma mucinoso ovarico sinistro Tumore gigantocellulare tenosinoviale di insolite dimensioni a partenza dall’articolazione coxo-femorale presentatosi come ernia inguinale M. Guerriero, G.F. Zannoni, M. De Ninno*, A. Carbone* M. Guerriero, F.M. Serafini*, I. Paris**, M. De Ninno***, J. Rosai****, A. Carbone*** Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; * Servizio di Anatomia Patologica, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso L’adenocarcinoma dell’appendice è una neoplasia molto rara: rappresenta meno dello 0,5% di tutte le neoplasie gastrointestinali ed il 5% di tutte le neoplasie appendicolari. Descriviamo il caso di una paziente di 52 anni che veniva sottoposta a escissione di massa ovarica sinistra, risultata essere all’esame istologico tumore mucinoso primitivo ovarico, e che sviluppava 15 mesi dopo neoplasia mucinosa primitiva dell’appendice con pseudomixoma peritoneale e metastasi all’ovaio destro. Il tumore ovarico sinistro presentava diametro di 30 cm, aspetto multiloculato con presenza di gelatina densa ed aree più solide con aspetto cribroso. Istologicamente il tumore si presentava come una neoplasia mucinosa tipo intestinale con aspetti da cistoadenoma, aree da tumore borderline con estese aree di franca trasformazione in adenocarcinoma. Quindici mesi dopo, la paziente si ripresentava con una massa ovarica destra di 20 cm con aspetto multiloculato e gelatinosa, con aderenze alla superficie esterna dell’utero e a segmento colico, con congelamento fibro-gelatinoso degli organi. L’omento presentava placche gelatinose. La colecisti e la milza erano congelate in tessuto neoplastico. Erano presenti altri noduli neoplastici peritoneali, il maggiore perisplenico di 16 cm. L’appendice presentava un aspetto a salsicciotto (lunga 6 cm, spessa 2 cm). La superficie esterna appariva tesa. Al taglio si osservava tessuto neoplastico biancogiallastro con aspetti gelatinosi che occupava quasi tutto l’organo. Al microscopio il tumore appendicolare e quello ovarico avevano gli stessi caratteri. Erano presenti amputazione ghiandolare e necrosi “sporca”. Una revisione globale del caso corredata da indagini IIC ha dato i seguenti risultati. Il primo tumore ovarico di sinistra è risultato CK7 positivo e CK20 negativo. Il tumore appendicolare e quello ovarico destro, nonché le diverse localizzazioni peritoneali comparse successivamente, sono risultati CK20 positivi e CK7 negativi. La conclusione è stata che si trattava di due tumori differenti: una neoplasia ovarica primitiva a sinistra e una successiva neoplasia primitiva appendicolare con localizzazione ovarica destra (e con altre localizzazioni), comparsa 15 mesi dopo la prima. Istituto di Anatomia Patologica, Policlinico “A. Gemelli”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; * U.O.C. di Chirurgia Oncologica, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso; ** U.O.C. di Terapie Palliative, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso; *** Servizio di Anatomia Patologica, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche, Università Cattolica del Sacro Cuore, Campobasso; **** Centro Consulenze Anatomia Patologica Oncologica, Centro Diagnostico Italiano, Milano I tumori gigantocellulari tenosinoviali (c.d. tenosinovite nodulare) di tipo diffuso con ampio coinvolgimento dei tessuti limitrofi (sinovite villonodulare pigmentata dei tessuti molli) sono lesioni rare, specie quando raggiungono notevoli dimensioni. Descriviamo il caso di una massa iliaca destra con protrusione attraverso il canale inguinale, a lungo interpretata come ernia inguinale, in un maschio di 40 anni. L’insorgenza di dolore all’arto inferiore destro induceva ulteriori indagini. Una TC documentava la presenza di una massa ovoidale ben demarcata di 17 x 15 cm disomogenea per presenza di cisti centrale. La massa veniva riferita al muscolo ileopsoas destro. Veniva sospettato un interessamento della testa del femore destro. Una biopsia della fossa inguinale mostrava linfonodi reattivi. Una agobiopsia TC-guidata della massa presentava caratteri suggestivi per schwannoma. La massa veniva asportata e veniva resecata una propaggine che penetrava nella testa del femore. La cavità ossea veniva sigillata con cemento osseo antiblastico. La massa si presentava come ovoidale e pseudocapsulata di 17 x 15 x 3,5 cm, del peso di 375 g. Al taglio la neoplasia appariva di colore bianco-giallastro con aree brunastre e cisti centrale di 10 x 8 cm contenente liquido sieroso. Al microscopio si osservavano elementi istiodi con aspetto epitelioide con citoplasma eosinofilo, a tratti fusati. Presente pigmento emosiderinico (Perl’s positivo) in sede intra- ed extracellulare. Abbondante la componente infiammatoria con molte cellule a citoplasma schiumoso. Si osservavano aree alveolari e pseudopapillari con stratificazione di elementi di tipo sinoviale con quadri non lontani da quanto si osserva nella sinovite villonodulare pigmentata. Non erano presenti segni istologici di malignità (necrosi, elevata attività mitotica, controllata anche con Ki67, o marcato pleomorfismo cellulare), sebbene la propaggine di tessuto prelevata all’interno della testa del femore contenesse gli stessi elementi istioidi presenti nella lesione. Nell’insieme i dati morfologici depongono per tenosinovite nodulare dell’articolazione coxo-femorale (tumore gigantocellulare tenosinoviale), tipo diffuso (sinovite villonodulare pigmentata dei tessuti molli), con ampio coinvolgimento dei tessuti molli, con erosione ossea della testa del femore. Bibliografia 1 Ushijima M, et al. Cancer 1986;57:875-84. 2 Somerhausen NS, et al. Am J Surg Pathol 2000;24:479-92. 284 Role of protease-activated receptors in orofacial granulomatosis S. Ketabchi, D. Massi, G. Ficarra*, I. Rubino*, A. Franchi, M. Paglierani, E. Maiorano***, S. Capodiferro*, P. Geppetti**, M. Santucci Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, * Dipartimento di Odontostomatologia, ** Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università di Firenze; *** Dipartimento di Anatomia Patologica e Genetica, Università di Bari Introduction The term orofacial granulomatosis (OFG) refers to a heterogeneous group of conditions, including Melkersson-Rosenthal Syndrome (MRS), Miescher’s cheilitis, oral Crohn’s disease and sarcoidosis, all characterized histologically by the presence of granulomatous inflammation. Clinically, patients show persistent and/or recurrent labial swelling and enlargement, oral ulcers and a variety of other abnormalities involving the oral cavity and facial tissues. Protease-activated receptors (PARs) are members of the G-protein-coupled receptor superfamily that are activated by the proteolytic cleavage of their amino terminal domain. There is compelling evidence that PAR-1 and PAR-2 have a crucial role in inflammatory diseases of several tissues, including the gut, skin, and airways. PAR-1, activated by thrombin, contributes to inflammation by inducing neutrophilic aggregation and chemotaxis of neutrophils and monocytes. PAR-2 induces edema and NO-dependent vasorelaxation. It has been recently demonstrated that the activity of thrombin and of other proteinases is significantly increased in the colon of inflammatory bowel disease (IBD) patients. The aim of the study was to investigate a possible role of PAR-1 and PAR-2 in the pathogenesis of OFG. Methods PAR-1 and PAR-2 expression was evaluated by immunohistochemistry in tissue biopsies taken from oral Crohn’s disease (5 cases), MRS (7 cases) and normal oral mucosa (5 cases), as controls. The avidin-biotin-peroxidase complex (ABC) method was used with monoclonal antibodies against PAR-1 and PAR-2 (Zymed). PARs immunoreactivity was semiquantitatively evaluated. Results Overall, PAR-1 and PAR-2 expression was related to the intensity of the inflammatory infiltrate. PAR-1 positivity was mostly observed in mononuclear inflammatory cells in lichenoid and edematous lesions, whereas a strong PAR-2 immunostaining was detected in the cell cytoplasm of epithelioid histiocytes and giant cells in granulomatous lesions, irrespective of the clinical features (Crohn vs. MRS). Conclusions PAR-2 overexpression in OFG tissue biopsies featuring granulomatous inflammation supports a role of PAR-2 in the pathogenesis of the disease. It is conceivable that PARs-induced oral inflammation may involve prostaglandin release and MMP activation. However, the exact mechanism through which PAR-2 activation modulates oral inflammation in vivo requires further investigation. COMUNICAZIONI E POSTER Expression of inducible nitric oxide synthase by tumor-associated macrophages in cutaneous malignant melanoma S. Ketabchi, D. Massi, L. Calorini*, A. Franchi, F. Bianchini*, M. Paglierani, C. Miracco**, P. Geppetti***, M. Santucci Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia e * Dipartimento di Patologia e Oncologia Sperimentali, Università di Firenze; ** Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università di Siena; *** Dipartimento di Area Critica MedicoChirurgica, Università di Firenze Introduction The biological significance of tumor-associated macrophages (TAMs) in melanoma growth is not yet completely clarified. Macrophages may exert a direct anti-tumoral activity, however, tumor cells may redirect the release of bioactive molecules by macrophages to facilitate tumor progression. Macrophages use arginine to synthesize nitric oxide (NO) through the inducible NO synthase (iNOS). NO can contribute to the tumoricidal activity of macrophages, however NO may increase blood flow and promote angiogenesis. Thus, the net effect of NO in tumor cell-host cell interactions is still unclear. The aims of this study were the following: i) to evaluate in vivo iNOS expression by TAMs; ii) to investigate in vitro whether tumor cells may affect the release of NO in macrophages. Methods In vivo studies were performed by immunohistochemistry in tissue sections from 30 invasive melanomas representative of different pT categories (pT1-pT4). The avidin-biotin-peroxidase complex (ABC) method was used for the immunostaining with monoclonal antibody against CD68 (clone PGM-1, Dako) and polyclonal antibody against iNOS (Biomol Res Lab). In vitro experimental model was represented by B16 murine melanoma cells co-cultivated with inflammatory macrophages isolated from the peritoneal exudates collected from thioglycolate-treated syngeneic mice. Results Immunohistochemical analyses revealed that the number of CD68+ TAM expressing iNOS was variable, according to location. This subpopulation was most frequently found in peritumoral location. High numbers of iNOS+/CD68+ TAMs were found in thin (pT1) melanomas, predominantly in peritumoral location, whereas the number of iNOS+/CD68+ TAMs, both in peritumoral and intratumoral location, significantly decreased in more advanced tumors (pT2-pT4). Regarding in vitro studies, the level of NO generation by inflammatory macrophages co-cultivated with murine melanoma cells was found to be greater than that of macrophage cultures, when co-cultures were stimulated with IFN-γ plus LPS. The specificity of this phenomenon was indicated by the finding that, contact with murine melanoma cells did not influence NO generated by mouse fibroblasts under the same culture conditions. Conclusions Overall, our results suggest that iNOS expression by TAMs might be a marker of host response to melanoma growth, even though in vitro experiments reveal that for an effective NO release by macrophages, TAMs require a further stimulation with IFN-γ plus LPS. PATOLOGIE VARIE 285 Combined high grade basal cell carcinoma and malignant melanoma of the skin (“malignant basomelanocytic tumor”): report of two cases L’espressione di p16Ink4 è utile per distinguere l’atrofia dal SIL di alto grado nel tratto cervico-vaginale E. Kuhn, J. Rodriguez*, D. Nonaka**, M. Reichel***, J. Rosai* Anatomia Patologica, Ospedale Maggiore Policlinico “Mangiagalli-Regina Elena”, Milano, Italia U.O. Anatomia Patologica, Clinica “Mangiagalli”, Milano, Italia; * Centro Consulenza Anatomia Patologica Oncologica, Centro Diagnostico Italiano, Milano, Italia; ** Department of Pathology, University of New York, NY, USA; *** Department of Dermatology, Columbia University, NY, USA Introduction Cutaneous combined carcinoma and melanoma is a very rare entity, with a only a handful reported of cases, including combined squamous cell carcinoma (SCC) and melanoma, and combined basal cell carcinoma (BCC) and melanoma (malignant basomelanocytic tumor) 1. We report 2 cases of combined high-grade BCC and melanoma. Methods Both cases were sent in consultation to one of the authors. H&E slides were reviewed. Immunostains for AE1/AE3, CK903, p63, HMB45, MART-1, Melan-A, S100 and double immunostain for p63 and MART-1 were performed. Results Clinical features Case 1: A 90-year-old man with history of sun-damaged skin, numerous SCC and BCC, and melanoma in situ excised from his back 3 years previously, presented with a 10 mm plaque on the neck, suspicious for SCC or BCC. The lesion was excised. 12 months later the patient is free of disease. Case 2: A 79-year-old man with history of cutaneous SCC and BCC, presented with a 5 mm flat lesion on left pretragal area, suspicious for BCC. It was excised. 6 months later the patient is free of disease. Pathologic features Both cases showed a tumor composed of dermal nests of basaloid cells with peripheral palisading and high nuclear grade, associated with basaloid nests and larger single cells at the junctional area. Melanin was scanty. Reactivity for keratins and p63 was seen in the tumor cells of all the nests. Melanocytic stains reacted in a subset of tumor cells within the same dermal nests. Double stains showed tumor cells positive for both p63 and Melan-A within the same nests. Conclusions Our cases showed features of combined high-grade BCC and melanoma. They need to be distinguished from: 1) Collision tumor, in which the 2 components are sharply demarcated; in contrast to our cases that were intimately intermingled; 2) Colonization by non-neoplastic melanocytes, in which the melanocytes are highly pigmented with a dendritic configuration and without atypia, in contrast to our cases in which they were atypical, not particularly dendritic and with scanty pigmentation; 3) Antigen transfer resulting in non-specific staining, thought unlikely because our cases showed an appropriate staining pattern, such as cytoplasmic with membrane accentuation with MART-1. We favor the hypothesis of dual epithelial-melanocytic differentiation, a phenomenon that has also been described in the breast 2. References 1 Erickson L, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:1393-6. 2 Padmore R, et al. Cancer 1996;78:2515-25. E. Kuhn, F. Pallotti, M. Cattaneo, S. Carinelli Introduzione L’epitelio squamoso cervicale atrofico e il SIL di alto grado hanno in comune ridotta maturazione, affollamento nucleare e aumento del rapporto nucleo/citoplasma. La diagnosi differenziale pertanto è spesso difficile nella post-menopausa. Per risolvere tale problema sono stati impiegati differenti metodi quali la ripetizione del prelievo dopo terapia estrogenica e l’indagine immunoistochimica con markers di proliferazione cellulare come Mib1(Ki67) e proteina PCNA. Recentemente è stato dimostrato che nelle neoplasie squamose cervicali associate ad infezione da HPV di alto rischio, l’inattivazione della proteina del retinoblastoma (pRb) da parte dell’oncoproteina virale E7 porta ad elevato accumulo intracellulare di proteina p16 1. Questo studio valuta l’impiego immunoistochimico della proteina p16 nella diagnosi differenziale tra atrofia e SIL di alto grado. Metodi In uno studio su 58 biopsie cervico-vaginali selezionate prospetticamente per scarsa concordanza diagnostica interosservatore, sono stati individuati 12 casi di donne in post-menopausa (età 50-68 anni, media 59 anni) con atrofia/CIN sulla biopsia. Un Pap-test atipico era presente in 6 su 7. Fra queste pazienti una era stata sottoposta (10 anni prima) ad isterectomia radicale e radioterapia per carcinoma cervicale ed un’altra (9 anni prima) ad isterectomia per CIN3; due avevano avuto condilomatosi (4 e 16 anni prima). Sezioni di 3 micron sono state colorate con metodo immunoistochimico per la proteina p16. I dati sono stati correlati con la revisione dei preparati istologici. Risultati La revisione istologica dei casi ha confermato l’atrofia in 11 casi e un caso è stato classificato CIN2. I problemi interpretativi nelle lesioni atrofiche sono risultati: ipercromasia (8), polimorfismo nucleare (5), vacuolizzazione citoplasmatica (4), polarizzazione atipica dei nuclei (2). La p16 è risultata negativa nei 11 casi di atrofia e positiva nel caso di CIN2. Conclusioni La p16 rappresenta un test utile nella diagnosi differenziale tra lesioni atrofiche e SIL di alto grado in casi difficili. Bibliografia 1 Keating JT, et al. Am J Surg Pathol 2001;25:884-91. Utilizzo di indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica per la diagnosi postmortem di linfoma non Hodgkin a grandi cellule a fenotipo Null G. Lattanzio, A. Casoria, B. Zappacosta, M.L. Brancone, M. Piccolomini, S. Magnasco, D. Angelucci Istituto di Anatomia Patologica, Chieti, Italia Introduzione Il riscontro diagnostico su un paziente di anni 69, deceduto per scompenso cardiaco acuto ha evidenziato un nodulo polmonare, versamento e masse solide pleuriche nell’emitorace 286 di sinistra, un nodulo surrenalico e adenopatie sopra e sotto diaframmatiche. L’utilizzo di indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica ha consentito la diagnosi postmortem di linfoma non Hodgkin anaplastico a grandi cellule a fenotipo Null. Metodi campionamento multiplo del processo eteroformativo nelle varie sedi (polmonare, pleurica, linfoghiandolare, surrenalica). Esame istologico dei preparati ottenuti. Utilizzo di un ampio “panel” di anticorpi (Melan-A, HMB-45, Vimentina, CD 3, CD 30, CD 20, CD 68, AML, Desmina, ALK). Risultati L’esame istologico dei preparati ha evidenziato aggregati di cellule epiteliomorfe, talora raggruppate in strutture simil-alveolari, con aree “spindle” a pattern di crescita “herringbonelike”. Tali aspetti morfologici avrebbero potuto suggerire una diagnosi di mesotelioma bifasico/adenocarcinoma pseudomesoteliomatoso. Le indagini di morfologia molecolare con immunoistochimica hanno dimostrato: positività per CD 30 (di membrana), per ALK (citoplasmatica e nucleare) e negatività per gli altri markers. Conclusioni L’esame istologico, supportato dalle indagini di morfologia molecolare con markers immunoistochimici, ha consentito di porre diagnosi di linfoma non Hodgkin anaplastico a grandi cellule a fenotipo Null in paziente con diagnosi clinico-strumentale di neoplasia maligna di verosimile origine polmonare o pleurica. Bibliografia 1 Kawai A, et al. Intern Med 1997;36:591-4. 2 Wasik MA, et al. Am J Clin Pathol 2002;118(Suppl):S81-92. Leucemia linfatica cronica/linfoma linfocitico (LLC): l’espressione di Zap-70, analizzata alla diagnosi su biopsia ossea, è un importante fattore prognostico M. Lestani, A. Remo, A. Ambrosetti*, R. Zanotti*, G. Pizzolo*, A. Zamò, F. Menestrina, M. Chilosi Unità Operativa di Anatomia Patologica e * Divisione di Ematologia, Policlinico “G.B. Rossi”, Verona Introduzione Negli ultimi anni sono stati individuati diversi marcatori biologici in grado di identificare – nel contesto di una patologia dal comportamento spesso imprevedibile – gruppi di pazienti a prognosi omogenea. Lo stato mutazionale delle regioni variabili delle immunoglobuline (IgVH) si è rivelato uno strumento efficace e con importanti implicazioni biologiche. Le LLC a cellule naive o pre-follicolari hanno un comportamento più aggressivo, rispetto alle forme postfollicolari/ipermutate. L’espressione dello Zap-70, considerata possibile surrogato dello stato mutazionale delle IgVH, è stata valutata con metodiche di citometria a flusso. Se efficacemente applicabile sulla biopsia ossea, il metodo consentirebbe di identificare i pazienti a prognosi sfavorevole già alla diagnosi. Metodi 154 biopsie ossee (BOM) selezionate sulla base a) dell’espressione di criteri morfologici ed immunofenotipici; b) della data del prelievo (entro sei mesi dalla diagnosi). Tutte le BOM sono state trattate secondo protocolli standard. Dopo COMUNICAZIONI E POSTER un ciclo di “antigen retrieval” (bagnomaria per 30’) le sezioni sono state incubate con un AbMo specifico per ZAP-70 (clone 2F3.2, 1:200 – Upstate Biotechnology, Buckingham, UK). Un prodotto polimerico (DAKO cytomation EnVision+, HRP) è stato utilizzato come sistema di rivelazione. L’espressione citoplasmatica di ZAP-70 sui linfociti T rappresenta il controllo positivo. Nonostante ZAP-70 sia costituzionalmente espresso, a bassa intensità, dalle cellule della LLC, le condizioni immunoistochimiche scelte consentono di identificare due distinte popolazioni di pazienti (ZAP-70 neg./ZAP-70 pos.). Risultati 74/154 (48%) casi di LLC sono stati definiti ZAP-70 positivi. I dati sono stati correlati con età (33-83; mediana 62), sesso (95 m/59 f), stadio Binet, sopravvivenza e decorso clinico. L’espressione di ZAP-70 correla con a) stadio (alta percentuale di stadi avanzati B-C) (P = 0,001); b) bassa percentuale di “overall survival” (38% vs. 86% a 10 anni) (P = 0,0004); c) bassa percentuale di “progression free survival” (6% vs. 46% a 10 anni) (p < 0,0001). Conclusioni ZAP-70 può essere efficacemente identificato nei linfociti della LLC su BOM. Il dato è prognosticamente rilevante, soprattutto nei casi in stadio A alla diagnosi: nel contesto di un gruppo considerato a prognosi favorevole, si identifica una sottopopolazione di pazienti ad alto rischio. Questi pazienti potrebbero trarre beneficio da un trattamento terapeutico precoce o più intenso. Una mutazione nel gene codificante WIP potrebbe essere alla base delle sindromi tipo Wiskott-Aldrich senza alterazioni del gene WAS M. Liberatore, M. Iezzi, M. Mariotti, T. Pannellini, P. Ascione, M. Baldacci, C. Sulpizio, R. Spizzo, L. Borgia Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti Introduzione La sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS) è una rara forma di immunodeficienza caratterizzata da microtrombocitopenia, eczema, infezioni ricorrenti ed aumentato rischio di malattie autoimmuni. La WAS è dovuta a mutazioni del gene che codifica la proteina WAS (WASp). WASp è espressa in tutte le cellule del sangue non eritroidi ed è coinvolta nella polimerizzazione dell’actina influenzando forma e motilità cellulare. Le mutazioni del gene WAS determinano per lo più un’alterazione di WASp nella porzione alla quale si associa, per l’attivazione e regolazione, la proteina WIP. Metodi Abbiamo studiato le alterazioni patologiche che si sviluppano nei topi resi geneticamente deficitari del gene codificante WIP (topi WIP-/-). Risultati Tali topi presentano, a cominciare da 8 settimane, linfopenia, granulocitosi ed un ridotto numero di piastrine che risultano più piccole del normale. Nel midollo osseo non si osservano alterazioni se non aspetti lievi di iperplasia mieloide. L’esame immunoistochimico della milza mostra una lieve diminuzione delle cellule B. A 16 settimane di vita tutta la polpa bianca è marcatamente diminuita con evidentissi- PATOLOGIE VARIE ma riduzione della componente B cellulare. La zona marginale risulta praticamente assente. La polpa rossa è aumentata per una mielopoiesi molto pronunciata. Tale condizione patologica si aggrava con il procedere dell’età ed a 36 settimane di vita la milza, macroscopicamente ingrandita, è costituita pressoché totalmente da tessuto emopoietico mentre la polpa bianca (sia T che B) è estremamente ridotta o assente. Nonostante la variabilità presente nei vari topi e nei vari distretti corporei, i linfonodi a cominciare da 16 settimane di vita presentano una riduzione nel numero dei centri germinativi ed un assottigliamento della zona corticale B linfoide. I topi WIP-/- sono poi affetti da colite ulcerosa, si ammalano per svariate infezioni batteriche e virali e soffrono di malattie autoimmuni. Il difetto del sistema immune è determinato da alterazioni non nello sviluppo ma nella funzione dei T e B linfociti poiché entrambe le componenti cellulari rispondono in maniera abnorme allo stimolo esercitato sui rispettivi recettori per l’antigene. Conclusioni Le alterazioni patologiche osservate nei topi WIP-/-, assolutamente simili a quelle riscontrate nei pazienti con WAS, suggeriscono che un’alterazione del gene WIP potrebbe essere alla base dei casi di WAS in cui non si è trovata alterazione di WASp. Ruolo di FHIT nella patogenesi e progressione del melanoma umano M. Mariotti, M. Iezzi, M. Liberatore, P. Ascione, M. Baldacci, C. Sulpizio, R. Spizzo, L. Borgia, T. Pannellini Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università di Chieti; Aging Research Center, CeSI, “G. d’Annunzio” University Foundation, Chieti Introduzione Fragile histidine triad (FHIT) è un gene situato su uno dei più noti siti fragili del genoma umano (3p 14.2) e codifica per una proteina di 16.8 kd appartenente alla famiglia delle nucleotide-binding proteins con funzioni biologiche poco definite. Molti dati suggeriscono che il gene FHIT agisca come oncosoppressore. FHIT è infatti alterato per delezione o translocazione in molti tipi di cancro (in particolare nei carcinomi squamosi e negli adenocarcinomi del polmone, nei carcinomi dello stomaco e del pancreas) e meno frequentemente per metilazione. È stato dimostrato che l’espressione del trascritto di FHIT è normale in vari tumori della cute, non esistono dati sull’espressione della proteina FHIT nelle lesioni neviche benigne e maligne della cute. Metodi Allo scopo di chiarire tale aspetto abbiamo studiato l’espressione di FHIT e Ki67, mediante immunoistochimica, su 10 nevi intradermici, 10 nevi giunzionali, 10 nevi con moderato grado di displasia, 10 melanomi in situ, 10 melanomi a crescita superficiale, 10 melanomi nodulari, 10 metastasi polmonari o linfonodali da melanoma. Risultati FHIT è intensamente espresso nel 100% dei nevi intradermici e mediamente espresso nel 40% dei nevi giunzionali o composti. FHIT è scarsamente presente nel 40% dei nevi displastici, nel 20% dei melanomi in situ, e nel 10% dei melanomi a crescita radiale. Tale espressione correla inversamente con la presenza del Ki67 e quindi con il grado di proliferazione cellulare. Nei melanomi nodulari e nelle metastasi FHIT è presente nel 100% dei casi con pattern di espressione 287 di tipo focale, alternandosi aree intensamente positive ad altre negative. In tali casi, inoltre, si perde la chiara correlazione inversa con il grado di proliferazione cellulare. Conclusioni I dati raccolti nel presente studio indicano che FHIT è espresso soprattutto in cellule melanocitarie normali non proliferanti. Tale espressione è ridotta nelle lesioni pretumorali e in quelle tumorali preinvasive o in fase di invasione precoce. Ciò suggerirebbe un ruolo di FHIT nei primi momenti della trasformazione tumorale. L’espressione di FHIT nelle fasi avanzate della progressione neoplastica dei melanomi suggerisce che le cellule tumorali, accumulando nel tempo ulteriori alterazioni geniche, possono rendersi indipendenti dalla funzione di questo oncosoppressore. Pax 8 expression in urothelial carcinoma L. Mariuzzi, L. Pellizzari*, G. Damante*, F. Saro, M. De Luca, D. Pivetta, M. Pandolfi, F. Zattoni**, C.A. Beltrami Istitute of Pathology, University of Udine, Italy; * Istitute of Genetics, University of Udine, Italy; ** Department of Urology, General Hospital of Udine, Italy Introduction The transcription factor Pax8 was described as an important determinant for thyroid development in mice and in man. Its function was also established in kidney ontogenesis, where Pax8 plays its role together with the homologous factor Pax2. In this study we demonstrate, by means of immunohistochemistry and RT-PCR, the expression of Pax8 in neoplastic human adult bladder mucosa. Material and methods The material consisted of tissue microarrays comprising 116 bladder biopsies from 45 subjects (32 male and 13 female, mean age 71): 9 normal controls, 2 papillary urothelial neoplasia of low malignant potential, 12 non invasive papillary urothelial carcinoma, low grade and 16 non invasive papillary urothelial carcinoma, high grade, of which 7 deriving from papillary urothelial carcinoma, low grade. Fresh material was obtained from 6 normal subjects and from 13 patients with transitional cell carcinoma (7 low grade papillary urothelial carcinomas and 6 high grade papillary urothelial carcinomas). All carcinomas were graded according to the 2004 WHO classification system. We also analyzed 4 cell lines derived from human urothelial carcinoma of different grade. Immunohistochemistry was performed on formalin fixed, paraffin embedded material for the detection of Pax8 protein; RNA was extracted from fresh material for evaluation of Pax8 expression by means of RTPCR. Results Immunohistochemistry demonstrated Pax8 positivity in 2/2 papillary urothelial neoplasia of low malignant potential, in 9/12 non invasive papillary urothelial carcinoma, low grade, 7/7 non invasive papillary urothelial carcinoma, high grade (ex low grade) and in 9/9 non invasive papillary urothelial carcinoma, high grade; normal urothelial mucosa had no reactivity for Pax8. Immunohistochemistry results were confirmed by means of RT-PCR: normal human bladder mucosa does not display any Pax8 expression while all urothelial carcinomas show variable Pax8 expression in term of splicing isoforms. Moreover, the 4 cell lines deriving from different grade urothelial carcinomas demonstrated Pax8 expression. COMUNICAZIONI E POSTER 288 Conclusions With this work we demonstrate, for the first time, Pax8 expression in human bladder tumors. This expression is not present in normal human bladder but it appears in papillary urothelial carcinomas. Thus, evaluation of Pax8 expression could represent a new diagnostic tool in human bladder neoplastic pathology. Metodiche di smascheramento dell’antigene nella valutazione di ki67 e valutazione morfometrica dell’indice di proliferazione L. Mastracci, P. Spaggiari, L. Repetto, S. Pigozzi, P. Ceriolo, A. Cusimano, R. Fiocca DICMI Sezione Anatomia Patologica, Università di Genova Introduzione Precedenti osservazioni hanno dimostrato che l’utilizzo di metodi combinati di immunoistochimica e di analisi di immagine per la valutazione dell’indice di proliferazione dell’epitelio squamoso costituisce un parametro obiettivo e riproducibile nella diagnosi di esofagite microscopica. Scopo dello studio è di identificare la migliore metodica immunoistochimica in relazione al tempo di fissazione per la valutazione di Ki67 con sistemi di analisi di immagine. Metodi Frammenti di mucosa esofagea, gastrica, colica sono stati prelevati da campioni chirurgici e fissati in formalina tamponata al 10% a temperatura ambiente per tempi scalari progressivi (da 24 ore a tre mesi). Su tali campioni sono state eseguite reazioni immunoistochimiche per la valutazione dell’indice di proliferazione utilizzando differenti metodiche: 1) manuale pretrattamento termico in forno a microonde con tampone citrato pH 6, anticorpo primario (clone MIB-1 DAKO), sistema di sviluppo UltraVision (bioptica); 2) semiautomatica - pretrattamento termico in forno a microonde con tampone citrato pH 6, immunocoloratore semiautomatico (modello OptiMax Plus BioGenex) con anticorpo primario (clone MIB-1 DAKO); 3) automatica - immunocoloratore automatico BenchMark xt; pretrattamento termico a temperatura controllata, anticorpo primario clone K-2 VENTANA. I risultati sono stati valutati e raffrontati sia in termini qualitativi che quantitativi, mediante sistema di analisi di immagine (LUCIA 4.6). Risultati e conclusioni Per tempi brevi di fissazione (1-3 giorni) le metodiche di im- munocolorazione semiautomatica ed automatica hanno fornito risultati positivi e sostanzialmente analoghi, mentre la metodica manuale ha fornito risultati meno intensi sulle mucose gastrica e colica e risultati negativi su mucosa esofagea (Tab. I). Fissazioni prolungate (7-90 giorni) determinano una progressiva diminuzione di immunoreattività in campioni di epitelio squamoso esofageo ma non nei campioni di mucosa gastrica e di mucosa colica. Tale effetto è limitato alle metodiche immunoistochimiche manuali e semiautomatiche, eseguite a temperatura ambiente dopo pretrattamento in forno a microonde con tampone citrato pH 6. Con metodica automatica a temperatura controllata l’immunoreattività è conservata anche dopo fissazione protratta fino a 90 giorni. L’analisi di immagine applicata a campioni di mucosa esofagea non ha dimostrato alcuna significativa riduzione di percentuale d’area positiva in immunoreazioni eseguite con metodica automatica tra 1 e 30 giorni di fissazione. Linfoma di Hodgkin e virus di Epstein Barr: studio biomolecolare ed immunoistochimico A. Menin, E. D’amore, E. Bonoldi, P. Bevilacqua, S. Cazzavillan U.O. Anatomia Patologica Ospedale “S. Bortolo” ULSS 6, Vicenza Introduzione I casi di linfoma di Hodgkin correlati ad EBV sono circa il 40-50% nei Paesi sviluppati e raggiungono percentuali ancora maggiori nei Paesi in via di sviluppo (Asia 65%, Sud America e Africa 90-100%). Le conoscenze sempre maggiori sul ruolo di EBV nella patogenesi dell’HL possono fornire nuovi spunti terapeutici per i casi HL EBV correlati. Obiettivi del nostro studio: 1) ricercare la presenza del virus di Epstein Barr (EBV) nelle cellule R-S e loro varianti in una casistica di 52 casi di linfomi di Hodgkin; 2) Effettuare una comparazione fra i diversi metodi di rivelazione del virus al fine di valutarne la sensibilità ed ottimizzarne l’utilizzo nella pratica diagnostica. Materiali e metodi È stata presa in esame una casistica retrospettiva di 52 casi di linfoma di Hodgkin, su cui è stato ricercato il virus EBV tramite: a) amplificazione del DNA virale mediante Polymerase Chain Reaction (geni LMP1, EBNA2 ED BMLF1) e b) metodiche di immunoistochimica (antigene LMP1) ed ibridizzazione in situ (EBER), tramite allestimento di singolo bloc- Tab. I. Intensità della immunoreazione in mucosa esofagea, gastrica e colica confrontando metodiche manuale, semiautomatica e automatica con crescenti tempi di fissazione. Mucosa Esofagea Mucosa Gastrica Mucosa Colica Metodica 1g 3 gg Manuale Semiautomatica Automatica Manuale Semiautomatica Automatica Manuale Semiautomatica Automatica ++ ++ + ++ ++ +/++ ++ ++ ++ + ++ ++ +/++ ++ 7 gg + ++ + ++ ++ +/++ ++ 14 gg 30 gg + ++ +/++ ++ ++ ++ ++ + ++ + ++ 60 gg ++ + ++ + ++ 90 gg ++ +/++ +/++ PATOLOGIE VARIE chetto di paraffina di Tissue Microarrays. Il materiale è costituito da tessuto fissato in formalina tamponata al 10% e incluso in paraffina secondo protocolli standard. Risultati Il 50% dei casi di Linfoma di Hodgkin è risultato positivo alla ricerca dell’EBV con la combinazione di tutte le metodiche utilizzate (PCR, ICH, ISH). La valutazione delle singole tipologie di analisi ha mostrato una maggiore sensibilità diagnostica della metodica molecolare (18/52 - 34,6%), e fra i geni testati, l’amplificazione del gene BMLF1 (16/52 30,8%). Per quel che riguarda le indagini istomorfologiche, la metodica di ISH (EBERs) si è rivelata più sensibile (13/51 - 25%) rispetto alla indagine immunoistochimica con anticorpo LMP1 (5/50 - 9,6%) con una buona concordanza (casi positivi ad entrambe). Conclusioni I dati ottenuti dall’analisi della nostra casistica hanno evidenziato maggiore sensibilità dei metodi di biologia molecolare nei confronti dell’ICH e dell’ISH. I metodi istomorfologici sono tuttavia più affidabili, in quanto non risentono degli artefatti tecnici e dei diversi adattamenti virali. Le metodiche immunoistochimiche non hanno mostrato, nei confronti delle metodiche biomolecolari, una concordanza statisticamente significativa, ovvero si sono rivelate indipendenti e non sempre sovrapponibili. A nostro avviso l’iter diagnostico dovrebbe comprendere ambedue i metodi non potendo essere considerati alternativi. Luteoma gravidico con ascite massiva: descrizione di un caso D. Micello, C. Riva, F. Sessa, M.A. Audi Grivetta, C. Capella Dipartimento di Morfologia Umana, Sezione di Anatomia Patologica, Università dell’Insubria, Varese Introduzione Il luteoma gravidico è una lesione ovarica non tumorale caratterizzata da una proliferazione di grandi cellule luteiniche e formazione di noduli unici o multipli. La sua patogenesi è probabilmente correlata a un’esagerata risposta di cellule stromali ovariche agli ormoni gravidici. La lesione è generalmente asintomatica e regredisce completamente durante il puerperio. Descriviamo un caso di luteoma gravidico con ascite massiva materna insorta nel II trimestre. Caso clinico Una donna di 42 anni, primigravida, esegue amniocentesi alla 16° settimana con diagnosi di cariotipo fetale 46XX. Alla 20° settimana presenta distensione addominale marcata con riscontro ecografico di versamento ascitico e neoformazione ovarica sin. solida di cm 5. Viene sottoposta a 2 successive paracentesi con evacuazione di lt 2 e 2,5 di liquido limpido citrino. L’esame citologico del versamento dimostra numerose cellule grandi poligonali isolate, con nucleo vescicoloso nucleolato e citoplasma eosinofilo, alfa-inbina+, citocheratina e calretinina-, commiste a una popolazione di cellule mesoteliali reattive calretinina+. La paziente viene sottoposta a laparotomia con evacuazione di oltre 6 lt di liquido ascitico e annessiectomia sin. L’ovaio presenta neoformazione solida giallastra di cm 7 con estesa rottura spontanea capsulare. L’esame istologico mostra distese solide e trabecole di cellule con abbondante citoplasma eosinofilo, nuclei vescicolosi grandi, rotondi o ovali con nu- 289 cleolo prominente. Le cellule appaiono intensamente e diffusamente alfa-inibina+. Il quadro è diagnostico per luteoma gravidico. Il decorso successivo della gravidanza è regolare con parto a termine mediante taglio cesareo e reperto di normalità addomino-pelvica. Conclusioni Il luteoma gravidico è generalmente asintomatico e costituisce un reperto incidentale in corso di taglio cesareo. Nel 25% dei casi induce virilizzazione nella 2° metà della gravidanza. L’interesse del caso descritto è legato alla eccezionalità della presentazione con ascite materna nel II trimestre. Esiste infatti un’unica altra descrizione di luteoma gravidico con ascite, insorta però nel post-partum (Rodriguez et al., 1999). Questa rara entità deve essere pertanto considerata nella diagnostica differenziale di una massa pelvica con ascite in una paziente gravida. Nodulo necrotico solitario del fegato: segnalazione di tre casi Y. Musizzano, M. Mora, L. Mastracci, S. Bonadio, P. Ceppa, R. Fiocca DICMI, Sezione di Anatomia Patologica, Università di Genova Introduzione Il nodulo necrotico solitario (NNS) del fegato è un’entità estremamente rara. Costituisce spesso un reperto accidentale in corso esami radiologici, esami istologici estemporanei intraoperatori o riscontri autopsici. I NNS sono lesioni benigne caratterizzate da un’area centrale di necrosi delimitata da una capsula fibrosclerotica contenente fibre elastiche e cellule infiammatorie. L’aspetto ecografico è solitamente quello di una lesione “a bersaglio” con centro iperecogeno, mentre alla TC appaiono come lesioni ipodense, senza rinforzo in seguito a somministrazione di MdC, con un comportamento radiologico sovrapponibile a quello delle metastasi da adenocarcinoma o dei colangiocarcinomi periferici, potendo quindi essere interpretati come lesioni neoplastiche, sospetto ulteriormente rafforzato dall’eventuale reperto bioptico di materiale cellulare necrotico. Per quanto riguarda l’eziologia del NNS sono state formulate varie ipotesi, quali la possibile derivazione da un emangioma sclerosante, un’eziologia infettivo-parassitaria (malaria o infestazione da clonorchis sinensis) o post-traumatica, un danno di natura ischemica o fattori iatrogeni. Inoltre, in una percentuale variabile di pazienti (fino al 50% in alcune casistiche) è dimostrabile una concomitante neoplasia primitiva potenzialmente in grado di produrre metastasi epatiche (lesione tumore-associata?), senza che sia tuttavia dimostrabile la natura neoplastica dei noduli. Riportiamo 3 casi di NNS osservati presso il nostro Istituto. Metodi I casi sono stati valutati in base al sesso ed età dei pazienti, alla storia clinico-anamnestica, alla patologia correlata ed alle metodiche strumentali eseguite. In tutti i casi i noduli sono stati esaminati in toto su sezioni multiple corredate di indagini istochimiche ed immunoistochimiche (PAS, AB-PAS, Grocott, Ziehl-Nielsen e citocheratine). Risultati I casi descritti riguardavano 2 donne ed 1 uomo di 59, 61 e 63 anni. In 2 pazienti la neoformazione fu riscontrata casualmente in corso di ecotomografia addominale e di colecistec- 290 tomia videolaparoscopica; in 1 paziente fu riscontrato un nodulo a 18 mesi da una colectomia per adenocarcinoma con metastasectomie epatiche multiple. In nessun paziente erano segnalate pregresse malattie infettive-parassitarie o uso di farmaci epatotossici. In tutti i casi l’esame istologico evidenziò la presenza di focolai di necrosi coagulativa, delimitati da un vallo fibrosclerotico con occasionali infiltrati linfoplasmacellulari. Negative le indagini istochimiche atte ad evidenziare l’eventuale presenza di forme fungine o di batteri acido-alcol resistenti. Conclusioni Solo 1 dei 3 casi da noi osservati era associato a malattia neoplastica al momento della diagnosi e nel follow-up; negli altri 2 casi non si è potuto evincere alcuna causa certa. Dato l’aspetto sia strumentale che macroscopico sospetto per neoplasia l’esame istologico dopo asportazione della lesione nella sua totalità costituisce l’unico strumento per definire la natura della neoformazione. Tissue engineering. Formazione di un lembo epidermico: metodica feeder-layer e su supporto di collageno S. Negri, C. Fila*, A. Bellomi, P. Pagliaro* Servizio Anatomia Patologica, Ospedale “C. Poma”, Mantova; * Servizio Trasfusionale, Ospedale “C. Poma”, Mantova Introduzione L’ingegneria tessutale è un’area multidisciplinare di ricerca che ha come scopo la rigenerazione di tessuti ed organi danneggiati del nostro organismo, partendo dal presupposto che la quasi totalità delle cellule animali possono essere coltivate in laboratorio. Lo scopo di questa ricerca è quello di isolare cheratinociti umani, derivanti da prelievi di cute autologa, farli crescere e differenziare in coltura in modo da formare lembi cutanei con caratteristiche morfo-funzionali e immunoistochimiche molto simili a quelle dell’epidermide normale. Questi lembi possono essere utilizzati per la terapia di ulcere, ustioni e per interventi di chirurgia ricostruttiva. Materiali e metodi Estrazione enzimatica dei cheratinociti provenienti da biopsia cutanea con formazione di una coltura primaria, utilizzando metodica su feeder-layer con linea di fibroblasti 3T3 murini in fiasca. La coltura primaria a sub-confluenza viene riseminata (coltura secondaria) con due modalità diverse: 1)in fiasca di coltura con metodica feeder-layer con formazione di un lembo epidermico; 2)oppure su supporto di collageno tipo I quasi completamente immerso nel terreno di coltura DMEM. I fibroblasti 3T3 vengono seminati 24 ore prima dei cheratinociti provenienti dalla coltura primaria. Dopo 19 giorni i due lembi così formati vengono fissati in formalina ed inclusi in paraffina. Risultati - Esame istologico 1)Il lembo di epidermide con metodica feeder-layer è sottile e formato solo da 3-4 file di cellule: basale, spinoso, granuloso; 2)il lembo di epidermide coltivato su collageno presenta maggiore spessore e struttura tridimensionale. Indagini immunoistochimiche eseguite: P63, KAE1, HMB45. COMUNICAZIONI E POSTER Conclusioni Il lembo epidermico ottenuto con metodica feeder-layer mostra normale maturazione e rappresentazione di tutti gli strati epidermici, tranne lo strato corneo. Si segnala la presenza dei melanociti a livello basale e quindi la possibilità di ottenere epidermide normo-pigmentata. I limiti del lembo epidermico così ottenuto, che ne riducono la possibilità d’impiego clinico, sono il ridotto spessore e la conseguente fragilità. Risulta quindi evidente la necessità di impiegare un supporto idoneo da utilizzare come carrier per le cellule in coltura. Riteniamo che l’utilizzo di supporto di collageno per i cheratinociti sia la soluzione ideale per i vari impieghi clinici. Tissue engineering: colture di condrociti su supporto di collageno di tipo I S. Negri, C. Fila*, P. Pagliaro*, A. Bellomi Servizio Anatomia Patologica, Ospedale “C. Poma”, Mantova; * Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, Ospedale “C. Poma”, Mantova Introduzione Il tessuto cartilagineo è dotato di limitata capacità di rigenerazione delle lesioni ad esso associate, in quanto il naturale processo di riparazione porta alla formazione di tessuto fibrocartilagineo che non presenta le caratteristiche di resistenza e deformabilità al carico tipiche della cartilagine ialina che ricopre la superficie articolare. In campo ortopedico è stata dimostrata la possibilità di trapiantare condrociti umani per la ricostruzione di cartilagine. Scopo della nostra ricerca è di valutare la possibilità di coltivare e di espandere condrociti umani e seminarli su supporto di collageno di tipo I. Materiali e metodi Il frammento di tessuto cartilagineo proviene da cartilagine di testa femorale asportata per artroprotesi. Tale frammento viene sottoposto a digestione enzimatica seguita da isolamento e coltura dei condrociti con formazione di una coltura primaria. La coltura primaria a sub-confluenza viene riseminata (coltura secondaria) su supporto di collageno, successivamente fissato in formalina ed incluso in paraffina. Risultati L’estrazione dei condrociti, ha permesso di ottenere 2 milioni di cellule che vengono seminati in fiasca F 75. Durante la prima settimana di coltura le cellule perdono il loro aspetto tondeggiante, assumendo forma fusata e ramificata fibroblasto-simile e si moltiplicano. Alla II settimana le cellule diventano molto voluminose, globose e ramificate. Dopo 14 gg si procede a staccare le cellule dalla fiasca tramite tripsinizzazione e a riseminarle (1 milione per cm quadrato) sul supporto di collageno trattato opportunamente. Dopo 2 settimane l’esame istologico mostra la presenza di condrociti di forma tondeggiante, circondati da matrice extracellulare. Conclusioni I nostri risultati mostrano che le cellule di cartilagine articolare umana sono in grado di crescere su substrato di collagene di tipo I con produzione di matrice extra-cellulare. Queste colture di condrociti su supporto possono essere impiegate per riparare lesioni cartilaginee. PATOLOGIE VARIE 291 L’impiego di scaffolds dovrebbe portare ad un miglioramento della tecnica chirurgica, consentendo di trattenere “fisicamente” le cellule nella zona da riparare e una malleabilità di utilizzo che possa favorire un adattamento spaziale ottimale all’interno di lesioni di qualsiasi forma. Involvement of chromosome 3 and X gains in cervical carcinogenesis G. Orlandi, R. Merola, E. Vico, M.A. Carosi, F. Tomassini, A.M. Cianciulli Componente genetica HLA e artrite reumatoide in una mummia italiana del XVI secolo F. Papola, G. Fontecchio, L. Ventura*, C. Mercurio*, M.A. Fioroni, R. Azzarone, C. Battistoni, C. Cervelli, R. Ciranni**, G. Fornaciari** Centro Regionale di Immunoematologia e Tipizzazione Tissutale e * U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL 4, L’Aquila; ** Sezione di Storia della Medicina, Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di Pisa “Regina Elena” Cancer Institute, Rome To investigate cumulative genetic changes during development and progression of cervical carcinoma, we examined isolated nuclei from 70 cervical squamous intraepithelial lesions (SIL) of different histological groups (LSIL, HSIL and cancer) for chromosome 3, X and 7 aneuploidy and for EGFR gene amplification by Fluorescence in situ Hybridization. Polysomy of chromosomes 3 and X defined genetic transition from HSIL to cervical carcinoma, showing statistical differences (p = 0.0001 and p = 0.0001, respectively). Regarding monosomy, only chromosome 3 showed significant differences (P = 0.039) when we compared HSIL and cervical carcinoma. No other statistical significant result emerged. Taking into account all three groups simultaneously by the Kruskal-Wallis test, polisomy of chromosome 3 and X increases with progressing from LSIL to cervical carcinoma (Tab. I). Since eight samples (1 HSIL and 7 cervical carcinoma) showed chromosome 7 polysomy higher than 20%, we evaluated the status of EGFR gene to establish true amplification. Our results showed all ratios, EGFR/Chromosome 7, lower than 2, meaning no EGFR amplification. Our findings revealed an accumulation of chromosome 3 and X aberrations during neoplastic transformation, while the frequency of chromosome 7 aneusomy was similar in all three groups. We propose that chromosome 3 and X alterations in premalignant lesions could be considered a potentially useful intermediate biomarker of tumorigenesis to detect patients at high risk of cervical carcinoma who may benefit from preventive intervention. Introduzione In campo paleoepidemiologico era risultata finora piuttosto sostenibile l’ipotesi che l’artrite reumatoide (AR) fosse comparsa inizialmente nelle popolazioni indigene del continente americano, mentre si sarebbe diffusa in Europa solo in tempi assai recenti 1. L’evidenza radiologica ed anatomopatologica dei segni tipici della malattia in una mummia del XVI secolo, rinvenuta nella Basilica di S. Francesco in Arezzo e denominata la “Dama dalle Trecce”, ha condotto ad una rivisitazione di tale teoria, retrodatando di 200 anni l’origine dell’AR nel Vecchio Mondo 2. La componente genetica assume un ruolo significativo nell’AR, grazie alla stretta associazione tra predisposizione a sviluppare la malattia e geni appartenenti al sistema polimorfico MHC codificante per gli antigeni di istocompatibilità, quali gli alleli HLA di classe II DRB1*0101, *0401, *0404, *0405, *1001 (fenotipicamente DR1, DR4 e DR10), frequenti nei pazienti europei, e *1402 (corrispondente all’antigene DR14), comune fra i nativi americani. Metodi Si è proceduto alla tipizzazione genomica del locus HLADR, impiegando DNA isolato da sezioni deparaffinate e campioni di osso secco, analizzato mediante le tecniche di biologia molecolare PCR-SSO (Polymerase Chain Reaction-Sequence-Specific Olygonucleotides) e PCR-SSP (SequenceSpecific Primers). Risultati Entrambe le metodiche hanno fornito risultati concordanti, assegnando alla mummia il genotipo DRB1*0101; 11. Conclusioni Poiché gli alleli su citati condividono la sequenza “EQK/RRAA”, altamente conservata nella terza regione Tab. I. LSIL vs. HSIL* Chromosome 3 7 X * Monosomy Polysomy Monosomy Polysomy Monosomy Polysomy Mann-Whitney test (non-parametric test) Kruskal Wallis test ns = not significant ** ns ns ns ns ns ns LSIL vs. Tumour* ns 0.008 ns ns ns 0.0001 p value HSIL vs. Tumour* 0.039 0.0001 ns ns ns 0.0001 LSIL vs. HSIL vs. Tumour** ns 0.0001 ns ns ns 0.0001 292 COMUNICAZIONI E POSTER ipervariabile (HVR3) della catena DRβ1, è verosimile che omologie di sequenza tra svariati agenti infettivi e determinanti self dell’ospite diano luogo a reattività crociata innescando la reazione autoimmunitaria dell’AR (mimetismo molecolare). Agenti etiologici differenti possono avere agito su diversi substrati genetici delle varie popolazioni dando origine al medesimo fenotipo patologico. Sebbene il possesso di fattori genetici di rischio per l’AR non possa esser considerato un marcatore diagnostico, la positività per DRB1*0101 nella “Dama dalle Trecce” contribuisce a sostenere l’ipotesi che l’AR fosse presente nel Vecchio Mondo già nella metà del XVI secolo. Nella diatriba riguardante l’antichità della malattia in Europa il presente studio costituisce il primo esempio del contributo che le tecniche di genotipizzazione HLA possono fornire alla valutazione diagnostica dell’AR nei resti umani antichi. 20/21 (95.2%) of intestinal type lesions, 9/18 (50%) of pancreatico-biliary and 6/6 (100%) of unusual type. A significant statistical difference was found between pancreatico-biliary vs. intestinal type (P = 0.001) and between pancreatico-biliary vs. unusual type (P = 0.032). Furthermore, a negative statistical significant correlation was found between T factor and COX-2 expression (P = 0.048). No significant correlation was found between N factor and COX-2 expression (P = 0.267). Conclusion Our results suggest that COX-2 is highly expressed in ampullary carcinomas and may represent the rational for targeting COX-2 in ampullary cancer therapy. Moreover, differences found in COX-2 expression among histopathological types support the concept of histogenetically different types of ampullary carcinomas. Bibliografia 1 Rothschild BM, et al. Semin Arthritis Rheum 1990;19:278-84. 2 Ciranni R, et al. Clin Exp Rheumatol 2002;20:745-52. References 1 Kune GA, et al. Cancer Res 1988;48:4399-404. 2 Zhou H, et al. Am J Surg Pathol 2004;28:875-82. COX-2 expression in ampullary carcinomas: correlation with histopathologic type and clinico-pathological parameters Densità microvascolare (MVD) ed espressione del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) in rialzi di seno; valutazione immunoistochimica a tre e sei mesi G. Perrone, A. Verzì, D. Santini*, B. Vincenzi*, D. Borzomati**, E. De Dominicis, R. Coppola**, G. Tonini*, C. Rabitti Anatomia Patologica, * Oncologia Medica, ** Chirurgia Generale, Università Campus Bio-Medico, Roma Background Epidemiological studies suggest that regular intake of nonsteroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) are associated with reduced incidence of gastrointestinal cancer 1. Several lines of evidence indicate that the anti-neoplastic effect of non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) is attributable to COX-2 inhibition. To data, there have been few clinico-pathological studies concerning COX-2 expression in human ampullary carcinoma and no data have been reported about its relationship with histopathologic type. The ampulla of Vater consists of papilla, common cannel, distal common bile duct, and the distal main pancreatic duct. The papilla is covered by intestinal mucosa. The other parts of ampulla are lined by a simple mucinous epithelium like that of pancreatico-biliary tree 2. In consequence, from the pathophysiological point of view, ampullary carcinoma appears as a heterogeneous disease arising from two different types of mucosa, which might reflect the broad histomorphologic spectrum of these tumors. The aim of our study was to assess COX-2 expression within different histopathologic types in a series of primary untreated ampullary carcinomas and its possible correlation with pathological parameters. Methods Material included 45 surgical specimens of invasive ampullary carcinomas categorized according International Union Against Cancer. Ampullary carcinomas were histologically classified into pancreatico-biliary, intestinal and unusual types and were analyzed for evaluation of COX-2 expression by immunohistochemical method. Results High COX-2 expression was detected in 35 (77.8%) ampullary carcinomas. High COX-2 expression was detected in G. Petrone, L. Artese, M. Degidi, C. Rubini*, V. Perrotti, G. Iezzi, A. Piattelli Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche, Università “G. D’Annunzio”, Chieti-Pescara; * Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Ancona Introduzione Il Bio-Oss è un materiale da innesto di origine bovina, molto utilizzato nelle tecniche rigenerative, in quanto risulta estremamente biocompatibile e dotato di proprietà osteoconduttive. Alla base dei processi rigenerativi, quindi nei meccanismi di formazione di nuovo osso, gioca un ruolo fondamentale l’angiogenesi. Un metodo per valutare la presenza di vasi sanguigni in un tessuto è la conta dei microvasi che serve per calcolare la densità microvascolare (MVD). Lo scopo di questo studio è una valutazione immunoistochimica, a tre e sei mesi del VEGF e della densità microvascolare (MVD) nelle tecniche di rialzo di seno mascellare con l’utilizzo del Bio-Oss. Metodi In questo studio hanno partecipato un totale di 10 pazienti. In tutti i pazienti, che presentavano un certo grado di riassorbimento dell’osso mascellare, è stato eseguito un rialzo di seno, utilizzando come materiale da innesto il Bio-Oss. I prelievi sono stati eseguiti in 5 pazienti dopo 3 mesi ed negli altri 5 dopo 6 mesi. Come controlli sono stati utilizzati dei prelievi di osso basale di 4-5 mm, al di sotto del pavimento del seno. Tutti i campioni sono stati sottoposti a valutazioni immunoistochimiche. Risultati I dati della densità microvascolare ottenuti dalle valutazioni sono stati: MVD controllo di 23,9, MVD Bio-Oss a tre mesi di 23,3, MVD Bio-Oss a sei mesi di 29,5. Da questi dati emerge che non ci sono differenze statisticamente significative tra il gruppo Bio-Oss a tre mesi ed il gruppo Bio-Oss a sei mesi. L’analisi statistica confrontando il tessuto osseo di controllo con Bio-Oss a tre mesi è risultata non significativa (P = 0,52). Per quanto riguarda l’espressione del VEGF, esso PATOLOGIE VARIE è presente nei vasi sia a tre mesi che a sei mesi. A tre mesi sembra maggiore poiché è presente più tessuto connettivo cellulato. Conclusioni I risultati ottenuti mostrano che non ci sono differenze statisticamente significative della densità microvascolare tra i siti rigenerati ed i siti controllo. L’osteogenesi, è strettamente correlata alla rivascolarizzazione dei tessuti che rigenerano, poiché questi ultimi hanno un maggiore fabbisogno metabolico; ciò richiede la formazione di un denso network di capillari. Le interazioni tra i processi di neoformazione ossea ed angiogenesi non sono ancora completamente chiare, nel futuro saranno necessari ulteriori studi per approfondire tale problema. Carcinoma a piccole cellule dell’ovaio, variante ipercalcemica. Descrizione di un caso E. Piazzola, E. Manfrin, I. Franceschetti, L. Bortesi, F. Menestrina Anatomia Patologica, Ospedale Policlinico “G.B. Rossi”, Università di Verona, Italia Introduzione Si descrive un caso di carcinoma a piccole cellule dell’ovaio, variante ipercalcemica, raro tumore aggressivo ad istogenesi ancora incerta. Metodi Una donna di 35 anni, P2002, si presenta per aumento di volume dell’addome ed astenia. All’esame obiettivo è presente massa ovarica destra, versamento peritoneale ed idrotorace destro. La paziente viene sottoposta ad isteroannessiectomia bilaterale, appendicectomia, linfoadenectomia pelvica, omentectomia e resezione del legamento infundibulo pelvico destro. Risultati L’ovaio destro è sostituito da massa del peso di g 960 a superficie liscia e bozzuta. In sezione, la lesione è prevalentemente solida, di aspetto carnoso, con aree di necrosi ed emorragia. Istologicamente è caratterizzata da una proliferazione diffusa di cellule neoplastiche con elevato indice proliferativo, disposte in filiere, cordoni, aree solide. Focalmente gli elementi neoplastici formano strutture simil follicolari, di fondamentale importanza diagnostica 1. Dal punto di vista citologico, si riconosce una doppia popolazione di cellule: una di piccole dimensioni, con nucleo ipercromico a profilo irregolare ed un’altra, maggioritaria, di grandi dimensioni con nucleo vescicoloso fornito di macronucleolo e citoplasma ampio debolmente eosinofilo. In alcune aree si apprezzano globuli citoplasmatici ialini che rendono eccentrica la posizione del nucleo. Sono presenti emboli neoplastici endovasali. Alla diagnosi la lesione metastatizza ai linfonodi iliaci comuni, otturatori destri, para-aortici destri e lombo-aortici; si localizza inoltre al legamento infundibulo pelvico mentre non coinvolge l’ovaio controlaterale. La calcemia non è stata dosata. Il profilo immunofenotipico mostra espressione disomogenea per CK8-18-19 ed EMA, vimentina, actina, desmina). Risultano negativi i marcatori neuroendocrini, CD30, alfa feto proteina, fosfatasi alcalina placentare, hCG, inibina ed i recettori per estrogeni e progesterone. Nonostante la chemioterapia, la paziente muore per malattia 10 mesi dopo la diagnosi. 293 Conclusioni Il carcinoma a piccole cellule dell’ovaio, variante ipercalcemica è una neoplasia ovarica molto rara, di difficile diagnosi. Il caso in esame presenta caratteri comuni a quanto descritto in letteratura per età di insorgenza (giovanile), stadio avanzato alla diagnosi, prognosi infausta 2. Bibliografia 1 Young RH, et al. Am J Surg Pathol 1994;18:1102-16. 2 McCluggage WG. Adv Anat Pathol 2004;11:288-96. La tomografia a coerenza ottica nella identificazione precoce dell’aterosclerosi G. Pizzicannella, M. Zimarino*, F. Prati**, E. Stabile***, J. Pizzicannella*, T. Fouad**, A. Filippini, M. Chiariello***, R. De Caterina* U.O. Anatomia Patologica, ASL di Lanciano, Vasto; * Istituto di Cardiologia, Università “G. d’Annunzio”, Chieti; ** U.O. Cardiologia Invasiva, Ospedale “San Giovanni”, Roma; *** Istituto di Cardiologia, Università “Federico II”, Napoli Introduzione Le attuali tecniche diagnostiche non consentono una accurata identificazione “in vivo” dei primi stadi dell’aterosclerosi. La tomografia a coerenza ottica (OCT) è un analogo ottico dell’ecografia intravascolare e consente la realizzazione di immagini ad elevata risoluzione (circa 10 µm) all’interno del lume arterioso. Obiettivo del presente studio è stato di analizzare la capacità diagnostica dell’OCT nell’identificare i primi stadi di aterosclerosi, ovvero le lesioni di tipo I-III secondo la classificazione di Stary. Materiali e metodi Otto conigli bianchi maschi di razza “New Zealand” (peso 3,5-4 kg) sono stati sottoposti a danno elettrico perivascolare su entrambe le carotidi comuni per una lunghezza di circa 10 mm. Gli animali hanno poi ricevuto una dieta ad elevato contenuto lipidico (1,5% di colesterolo) per circa 2 mesi. Il catetere da OCT è stato successivamente posizionato prossimalmente al segmento lesionato in entrambe le arterie, accedendo alle carotidi comuni mediante le carotidi esterne ed ottenendo le immagini durante il “ritiro”, che è stato eseguito ad una velocità di 0,5 mm/sec. Gli accumuli lipidici sono stati identificati come aree di ridotta densità di segnale e “backscattering” più eterogeneo rispetto al tessuto fibroso. Dopo la visualizzazione con OCT i conigli sono stati sottoposti ad eutanasia e le arterie sono state fissate con formalina neutra al 10% e processate secondo routine. Le sezioni sono state colorate in ematossilina-eosina, tricromia di Masson e pentacromica di Movat. Risultati Dopo 41 ± 16 giorni, il colesterolo-LDL è aumentato dal valore basale di 28 ± 15 mg/dL al valore prima del sacrificio di 643 ± 135 mg/dL (P < 0,001). Una carotide è risultata completamente occlusa; 9 carotidi sono state visualizzate con OCT e sono stati identificate 32 lesioni aterosclerotiche, delle quali 23 (72%) nel segmento sottoposto a danno elettrico. All’analisi istomorfometrica, 13 lesioni sono state definite come Stary tipo I (con macrofagi isolati), 10 tipo II (con accumuli lipidici intracellulari), and 9 tipo III (con la presenza di piccoli depositi lipidici extracellulari). Non sono state identificate lesioni avanzate (≥ type IV), verosimilmente a COMUNICAZIONI E POSTER 294 causa della brevità di durata della dieta ipercolesterolemica. L’OCT non ha identificato alcuna lesione di tipo I o II. Nelle lesioni di tipo III, la sensibilità, specificità ed accuratezza diagnostica dell’OCT sono risultate rispettivamente 56%, 100%, e 88%. La localizzazione di tutte le lesioni di tipo III identificate con l’OCT corrispondeva con la localizzazione documentata dall’istologia. Conclusioni L’OCT documenta accuratamente lesioni aterosclerotiche “intermedie” (tipo III sec. Stary) “in vivo”, ma non è in grado di identificare stadi più precoci di aterosclerosi. Feocromocitoma: studio morfologico, immunoistochimico e di Biologia Molecolare dei marcatori di malignità L. Reggiani Bonetti, E. Siopis , G. Sartori, D. Santini , C. Cirilli***, L. Losi, G.P. Trentini * ** Dipartimento Integrato di Servizi Diagnostici, di Laboratorio e di Medicina Legale, Università di Modena e Reggio Emilia; * U.O. Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, “S. Orsola-Malpighi”, Università di Bologna; ** Anatomia Patologica “S. Orsola-Malpighi”, Università di Bologna; *** Registro Tumori della Provincia di Modena Introduzione Il feocromocitoma è una rara neoplasia surrenalica che origina dalle cellule cromaffini. La maggior parte dei feocromocitomi è fatta di tumori benigni e la percentuale di forme maligne riportate in letteratura varia dal 2,4% al 26%. Attualmente l’unico indice certo di malignità è rappresentato dalla presenza di metastasi. Scopo del presente studio è quello di identificare differenti categorie di pazienti (con diagnosi di feocromocitoma benigno, maligno, borderline) sulla base dei differenti marcatori riportati in letteratura. Metodi Dagli archivi di Anatomia Patologica del Policlinico di Modena e del Policlinico “S. Orsola-Malpighi” di Bologna sono stati selezionati 62 casi di feocromocitoma (31 uomini e 31 donne) di età compresa tra i 20 e i 90 anni, diagnosticati nel periodo 1984-2004. Dal pezzo operatorio fissato in formalina al 10%, sono stati eseguiti prelievi mirati poi inclusi in paraffina. Da ciascun preparato si sono ottenute sezioni seriate di 5 micron colorate con ematossilina-eosina. Sono state eseguite indagini di immunoistochimica utilizzando i seguenti anticorpi: proteina S100, Cromogranina A, CD31, VEGF e MIB-1. È stata inoltre eseguita uno studio LOH 1 delle regioni 1p36.33 e 1p34.3 dei geni SDHD ed SDHB. Infine è stato calcolato il PASS score. Risultati Dei 62 casi studiati, 5 presentavano metastasi e all’indagine immunoistochimica sono risultati negativi con proteina S100 e si è dimostrata correlazione tra neoangiogenesi tumorale e mutazioni a carico dei geni che codificano per alcune subunità mitocondriali (SDHB e D) determinata con studio LOH. L’attività citoproliferativa di questi casi è risultata > 5%. Il PASS score non si è rivelato un indice specifico di malignità. Conclusioni L’utilizzo del PASS score, isolato, non sembra un fattore prognostico attendibile nel differenziare le forme benigne da quelle maligne, pertanto si propone un aumento del punteggio di alcuni valori quali l’invasione vascolare e il superamento della capsula, oltre alla correlazione con i risultati im- munoistochimici e di biologia molecolare come sopra riportati. Si propone inoltre l’introduzione di una categoria “borderline”, con caratteri intermedi di malignità per la quale si propone una differente gestione del paziente. Bibliografia 1 Gimenez-Roqueplo AP, et al. Mutation in the SDHB gene are associated with extra-adrenal and/or malignant pheocromocytomas. Cancer research 2003;63:5615-21. Iperplasia focale nodulare in fegato cirrotico D. Reghellin*, P. Capelli*, M. Brunelli* **, A. Caneva**, V. Rucco**, L. Bortesi*, F. Menestrina*, G. Martignoni***, R. Colombari** * Anatomia Patologica, Università di Verona, Arzignano, Vicenza, *** Università di Sassari ** Ospedale di Introduzione l’iperplasia focale nodulare è una lesione che si riscontra nel fegato non-cirrotico. Del tutto recentemente sono stati riportati 5 casi in fegato cirrotico. La diagnosi differenziale di tale lesione include principalmente l’epatocarcinoma, il nodulo displastico e i noduli macrorigenerativi. La diagnosi indica quadri anatomo-clinici e prognosi differenti. Metodi Descriviamo un caso di iperplasia focale nodulare in fegato cirrotico. Risultati Una donna di 65 anni, anti-HBc+, è stata ricoverata in precoma epatico per encefalopatia porto-sistemica in cirrosi epatica scompensata tossietilica, ipertensione portale con varici esofagee. Sia l’ecografia addominale che la TAC evidenziava una neoformazione solida al lobo sinistro di mm 40, iperdensa in fase arteriosa e con cercine denso marginale. Entrambe le indagini orientavano per la diagnosi di epatocarcinoma in fegato cirrotico micronodulare. La resezione epatica del nodulo evidenziava un lesione ovalare di aspetto plurinodulare, colorito brunastro chiaro del diametro massimo di mm 35; tessuto fibroso delimitava e sepimentava il nodulo. Istologicamente non vi era atipia cellulare; erano inoltre presenti colestasi canalicolare, presenza di proteine rame-associate e corpi di Mallory negli epatociti peri-settali. Gli epatociti erano organizzati in lamine multiple ben ordinate, con trama reticolare preservata. La vascolarizzazione era aumentata con aumento della positività al marcatore immunofenotipico CD34 verso i setti e la periferia del nodulo. Vasi arteriosi e dotti biliari erano contenuti nel connettivo fibroso che circondava e sedimentava il nodulo. Il parenchima epatico circostante presentava alterazione cirrotica dell’architettura acinare con micronoduli. Conclusioni 1) l’iperplasia focale nodulare è una lesione che può svilupparsi anche in fegato cirrotico; 2) l’iperplasia focale nodulare in fegato cirrotico è morfologicamente simile a quella descritta più frequentemente in fegato non-cirrotico; 3) in presenza di nodulo in fegato cirrotico l’iperplasia focale nodulare deve essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale con l’epatocarcinoma, i noduli displastici e macrorigenerativi; 4) non dovrebbe pertanto essere escluso dal trapianto il paziente cirrotico con evidenza clinico-radiologica di nodulo, senza la conferma istologica dell’eventuale diagnosi di epatocarcinoma. PATOLOGIE VARIE 295 Carcinoma a cellule renali di tipo papillare a cellule oncocitiche: studio clinico-patologico di 10 casi Diagnosi molecolare dei linfomi non Hodgkin B in Genescan (GS) mediante elettroforesi capillare (EC): criteri di valutazione A. Remo*, G. Martignoni**, M. Brunelli* ***, P. Cossu Rocca**, S. Gobbo*, M. Pea*, M.M. Mina*, M. Chilosi*, A. Scarpa*, F. Menestrina* M. Riccardi, P.M. Donisi, N. Di Lorenzo, A. Paparella, V. Stracca-Pansa * Anatomia Patologica, Università di Verona, ** Università di Sassari, *** Ospedale di Arzignano, Vicenza Introduzione Il carcinoma a cellule renali di tipo papillare (RCCp) mostra un ampio spettro morfologico variabile da papille delimitate da un monostrato di cellule di piccola taglia, a papille delimitate da un epitelio pseudostratificato con cellule di grande taglia e con citoplasma eosinofilo. L’RCCp è caratterizzato da trisomie dei cromosomi 7, 17 e perdita dell’Y ed evidenzia un immunofenotipo con espressione della racemasi (100%) e CK7 (60%). Sono state riportate rare neoplasie del rene ad architettura papillare composte da cellule oncocitiche, ma non i loro dati clinici e genetici. Materiali e metodi Abbiamo studiato 10 neoplasie composte da papille rivestite da cellule oncocitiche con citoplasma eosinofilo, granulare, con nucleo rotondo e nucleolo evidente, caratterizzate da un’alternanza di aree solide e papille ben distinte, con indagini ultrastrutturali (2 casi), immunoistochimiche (AE1/AE3, EMA, Cam5.2, anti-mitocondrio, MIB1, racemasi, CK7 e CK19) (7 casi) e di citogenetica in interfase (FISH) con sonde centromeriche (Abbott) su materiale incluso in paraffina (10 casi) per l’analisi dei cromosomi 7, 17 e Y. Risultati 7 pazienti erano maschi, 3 femmine, con una media d’età di 64 anni (range 40-78); il diametro massimo della neoplasia variava da cm 1,7-7,5 (media 4,2) ed il follow-up da 1 a 12 anni (media 6). L’AE1/AE3, l’anti-mitocondrio, la racemasi e la vimentina sono risultate espresse nel 100% dei casi, CK19 nel 86%, EMA nel 71%, CK7 nel 43%, Cam5.2 nel 29%, Il MIB1 è risultato positivo con range di 0-7 cellule X C.F.I. L’analisi ultrastrutturale ha evidenziato cellule stipate di mitocondri con creste lamellari. Tre o più segnali fluorescenti erano presenti nell’80% delle neoplasie: per il cromosoma 7 nel 70% e per il cromosoma 17 nel 60%. La perdita del cromosoma Y era presente in 4/7 pazienti maschi. Un paziente è deceduto per la neoplasia 4 anni dopo la prima diagnosi con metastasi epatiche e cerebrali. Conclusioni 1) le neoplasie papillari del rene a cellule oncocitiche appartengono all’istotipo del RCCp; 2) il profilo immunoistochimico è simile ai RCCp; 3) tali neoplasie condividono le stesse anomalie cromosomiche numeriche dei RCCp; 4) il carcinoma a cellule renali di tipo papillare a cellule oncocitiche può metastatizzare; 5) la descrizione morfologica del RCCp deve essere ampliata al fine di valutare meglio il comportamento biologico dei RCCp a cellule oncocitiche. Supportato da Fondazione Cassa di Risparmio di Verona. U.O. Anatomia Patologica, Struttura Semplice di Patologia Molecolare, Dipartimento di Medicina di Laboratorio ed Anatomia Patologica, Venezia Introduzione Lo sviluppo di protocolli di PCR per l’amplificazione di sequenze dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline ha facilitato l’identificazione di clonalità nei linfomi non Hodgkin B (LNH-B). Lo studio dei prodotti di PCR mediante EC, utilizzando GS come software di analisi, ha migliorato l’interpretazione dei risultati rispetto all’utilizzo di tecniche convenzionali (gel di agarosio-AGGE), caratterizzate da falsi negativi e falsi positivi legati alla difficile risoluzione delle oligoclonalità. Considerata la scarsità di riferimenti in letteratura per l’interpretazione dei risultati ottenuti dall’analisi di clonalità in GS, riportiamo una serie di criteri utili all’analisi dei caratteristici elettroferogrammi. Metodi Dal 2003 sono stati raccolti circa 3.000 campioni (sangue periferico, midollare e tessuto) di soggetti affetti da LNH-B e, all’introduzione dell’analisi con GS, è stata effettuata una valutazione di clonalità dei prodotti di PCR in doppio utilizzando sia AGGE che EC. Abbiamo scelto un approccio combinato di analisi delle regioni FR2 e FR3 con PCR seminested, ed amplificato il gene “housekeeping” (GHK) bcl-6 dallo stesso campione come riferimento della qualità del DNA estratto e dell’efficienza della PCR. Sono stati inoltre eseguiti test di risoluzione (diluizioni scalari in acqua del DNA amplificato) e di sensibilità (diluizioni seriali del DNA di campioni monoclonali in pool di DNA ottenuto da soggetti sani). Risultati In EC il limite di risoluzione è risultato dell’1% (3% in AGGE), e il limite di sensibilità dello 0,5% (5% in AGGE). La valutazione in doppio AGGE/EC ha permesso di associare ad ogni condizione (mono-, poli- e oligoclonalità) uno specifico elettroferogramma. L’esperienza maturata con GS invece ha portato ad individuare specifici criteri di valutazione e accorgimenti: 1) altezza del picco clonale almeno doppia rispetto agli adiacenti; 2) picchi non elevati ma eccentrici rispetto alla distribuzione policlonale sono indice di clonalità; 3) corsa dell’amplificato in esame insieme al GHK bcl-6; 4) uso di scale di riferimento costanti per peso molecolare dell’amplificato e per sua quantità relativa appaiono condizioni metodologiche irrinunciabili. Conclusioni Considerata la notevole capacità di risoluzione e sensibilità dell’EC, essa appare la tecnica di elezione per l’analisi delle proliferazioni linfocitarie B purché vengano adottati precisi criteri per la corretta interpretazione dei risultati. COMUNICAZIONI E POSTER 296 In vitro expression of h-Mammaglobin gene in mononuclear cells activated by PHA-E S. Roncella*, G. Cutrona**, P. Ferro* *****, M.R. Mariani***, L. Boffa***, S. Matis**, D. Gianquinto****, B. Bacigalupo*, M. Ferrarini**, F. Fedeli* * U.O. di Anatomia ed Istologia Patologica e **** Dipartimento di Chirurgia, ASL 5 La Spezia; ** Divisione di Oncologia Medica C e *** Sezione di Epigenetica Istituto Nazionale Ricerca Cancro (IST), Genova; ***** Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma Sezione “Francesca Lanzone” La Spezia Introduction Human Mammaglobin (hMAM) gene is considered a specific marker expressed in normal and neoplastic epithelial cells of the breast 1. Since it is never found in peripheral blood cells of non neoplastic patients, hMAM is considered a promising candidate marker for detection of circulating rare malignant cells in the breast cancer patients 2. However, peripheral blood mononuclear cells (MNC) may show an aberrant expression of several genes following activation. This finding may produce false-positive results in clinical interpretation. In this study, the specificity of hMAM expression was evaluated in the normal blood cells following in vitro activation. Methods Eighty-one cases of MNC from normal donors were separated by Ficolle-Hipaque density gradient. Twelve samples were cultured for 24 hour (h) in the presence or in the absence of phaseolus vulgais lectin (PHA-E) (1:1000 v/v) and/or Interleukin 2 (IL-2) (10IU) and tested in RT-PCR for detection of hMAM mRNA. In another set of experiments, a time course expression of specific hMAM mRNA was performed by culturing MNC for 12, 24, 48, 72 h as above. Results Both the freshly isolated and the unstimulated MNC never expressed the hMAM mRNA. After 24h, hMAM mRNA was found in PHA-E stimulated cultures (5/12 experiments). In contrast, stimulation with IL-2 alone was not enough to induce hMAM mRNA expression in all the samples tested. Time course experiments demonstrated that hMAM was expressed in a period of time between the 12 and the 48 hours of stimulation, thus suggesting a variability in its induction. In addition, hMAM expression was transient and could be lost in a short time period. Conclusions Our data demonstrated that activation by PHA-E in vitro, may lead to the expression of hMAM in normal MNC. However, freshly isolated MNC of patients without breast cancer do not express hMAM, this would suggest that this gene is suitable for breast cancer determination in peripheral blood. Infact, hMAM expression in vivo may follow different pathway. However, further experiments are needed to analyze whether viral or bacterial conditions may influence hMAM expression. References 1 Watson MA, Fleming TP. Mammaglobin, a mammary-specific member of the uteroglobin gene family, is overexpressed in human breast cancer. Cancer Res 1996;56:860-5. 2 Zehentner B, Carter D. Mammaglobin: a candidate diagnostic marker for breast cancer. Clin Biochem 2004;37:249-57. Flow cytometry analyses of CD10, CD5 and CD23 expression by lymph-node biopsy of Bcell non-Hodgkin’s lymphomas and benign lymph-node diseases S. Roncella*, P. Ferro* **, M. Moroni*, N. Gorji*, S. Tozzini*, P. Dessanti*, A. Giannico*, M.R. Romano***, M. Dono***, F. Fedeli* * U.O. Anatomia ed Istologia Patologica, ASL 5 La Spezia; ** Associazione Italiana Leucemie Linfoma e Mieloma Sezione “Francesca Lanzone” La Spezia; *** Laboratorio Analisi, ASL 5 La Spezia Introduction Each Non-Hodgkin B Cell Lymphomas (NH-BL) is associated with the expression of particular markers. These markers may be shared among different types of NH-BL, thus making difficult the interpretation of the data for a final correct diagnosis. In this study, we evaluated the presence of CD10, CD5 and CD23 antigens in a cohort of NH-BL and benign lymphnode biopsy (bLN) and correlated this expression with the ultimate diagnosis. Methods 16 Follicle Center Lymphomas (FCL), 11 Mantle Cell Lymphomas (MCL), 4 B- CLL/Small Lymphocytic Leukemias (SLL), 2 Marginal Zone Cell Lymphomas (MZL), 16 Diffuse Large Lymphomas (DLCL), 4 Lymphoplasmocytoid Lymphomas (LPC) and 52 bLN were double stained and analyzed by flow cytometry. Markers were arbitrarily considered positive when expressed at least on 25% of the cells analysed. Results The majority of bLN showed a CD10- CD5- CD23- pattern phenotype, but one exceptional atypical case co-expressing the three markers was found. The CD10 was expressed in 70% of the FCL cases and only in 25% of DLCL. An unusual expression of this marker was found in one MZL case. The CD23 was displayed by all the SLL cases but also in one MCL case. The CD5 was unequivocally expressed in 100% of SLL cases and in 91% of MCL. In contrast, CD5 was found also in 25% of DLCL, in 12% of FCL, and one case of LPC. When contemporary expression of the three markers was analyzed, we found that all SLL showed the CD10- CD5+ CD23+ phenotype, but, interestingly, this pattern was also seen in one case of MCL. DLCL were mostly heterogeneous, since only 44% accounted for a CD10- CD5- CD23- phenotype. Instead, the remaining cases may include a CD10+ CD5- CD23(19%), a CD10- CD5- CD23+ (13%), a CD10- CD5+ CD23(13%), a CD10+ CD5+ CD23- (6%), and finally a CD10- CD5+ CD23+ (6%) phenotype. Three major typical patterns were observed for the FCL cases: a CD10+ CD5- CD23+ (50%), a CD10+ CD5- CD23- (31%) and a CD10- CD5+ CD23+ (13%). Two atypical cases were found: both were negative for CD10 and CD5 but one was CD23 positive and one CD23 negative. While the CD10 marker was absent in all of the 4 LPC cases studied, the CD5 and CD10 showed variability in their expression. Conclusions In this study we analyzed the CD10, CD5, CD23 expression in lymph node biopsy by flow cytometry. The knowledge of the spectrum of immune phenotypes, including the atypical cases may be helpful in achieving a correct diagnosis of the different NH-BL. PATOLOGIE VARIE 297 Carcinoma uroteliale della vescica: studio FISH del cromosoma 17 e del gene HER2-neu su biopsia vescicale R. Russo * ** ** , M. Galdi , P. Angrisani * * U.O.C. Anatomia ed Istologia Patologica; ** Struttura Semplice Dipartimentale di Genetica Introduzione Il carcinoma uroteliale infiltrante della vescica appare caratterizzato da una bassa frequenza di amplificazione del gene HER2-neu con valori tra 3,4 e 7% e da una alta frequenza di polisomia del cromosoma 17 con valori tra 65,5% e 97% su campioni chirurgici. Scopo di questo studio è stato quello di testare con FISH in interfase il gene HER2-neu ed il cromosoma 17 su campioni di biopsia vescicale con diagnosi di carcinoma vescicale in stadio pre-invasivo ed invasivo al fine di valutare: 1) la frequenza della amplificazione del gene HER2-neu e della polisomia del cromosoma 17 su biopsia vescicale; 2) la correlazione tra il grado e lo stadio della neoplasia e la presenza di alterazioni del cromosoma 17 e/o del gene HER2-neu. Materiali e metodi Sono stati studiati 23 campioni bioptici da TUR di pazienti affetti da carcinoma vescicale di cui 13 casi in stadio pre-invasivo (pTa) e 10 casi in stadio invasivo (6 pT1, 4 pT2). Il grading era: grado 2 in 12/23 casi e grado 3 in 11/23 casi. È stata applicata la metodica FISH in interfase su materiale fissato in formalina e incluso in paraffina secondo i protocolli standard. Sono state utilizzate la sonda CEP 17 per la sequenza alfa satellite del cromosoma 17 e Sonda LSI specifica per il locus del gene HER2/neu (17q11.2-q12). Il calcolo dei segnali è stato fatto su 60 nuclei neoplastici in tre aree diverse. Risultati La amplificazione gene HER2-neu è stata riscontrata in 1 solo caso pT2G3 con un rapporto HER2/CEP17 pari a 4.12. La polisomia del Cromosoma 17 è stata rilevata in 15/23 casi (65,2%) con un range di valori medi di segnale tra 2,11 e 4,08 (valore di cutoff 1,88); La polisomia del gene HER2-neu in 15/23 casi (65,2%) con un range di valori medi di segnale tra 2,05 e 4,73. (valore di cutoff 2,0). I casi di carcinoma uroteliale invasivo (pT1/pT2) hanno espresso polisomia del cromosoma 17 e del gene HER2-neu nel 100%. I casi di carcinoma uroteliale non invasivo di grado 2 (pTa G2 = 8 casi) non hanno presentato polisomia 17 e HER2-neu mentre questa era invece presente nei casi di carcinoma uroteliale non invasivo di grado 3 (pTa G3 = 5 casi) Conclusioni L’amplificazione del gene HER2-neu è un evento raro e tardivo nella progressione della neoplasia vescicale. La polisomia del cromosoma 17/HER2-neu è presente nel carcinoma uroteliale in stadio invasivo ed in una quota di carcinomi uroteliale non infiltranti (pTa) in particolare i casi G3. Pertanto, lo studio FISH del Cromosoma 17/HER2-neu potrebbe rappresentare un utile contributo alla selezione su biopsia dei casi di carcinoma uroteliale non invasivo che potrebbero avere un decorso biologico più sfavorevole ed una più precoce capacità infiltrativa Ulcera del Buruli: studio anatomo-clinico su una patologia di interesse internazionale F. Sanguedolce, A. Cimmino, G. Ostuni*, F. Sisto*, V. Navach*, R. Ricco DAP-Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Bari; * Divisione di Chirurgia Plastica Ospedaliera, Policlinico, Bari Introduzione L’ulcera del Buruli rappresenta la terza micobatteriosi nel mondo per prevalenza dopo la tubercolosi e la lebbra. Si tratta di una malattia cutanea cronica necrotizzante che colpisce soggetti immunocompetenti, provocando dapprima una lesione rilevata (nodulo o placca) e successivamente estesa ulcerazione della cute e dei tessuti profondi (tessuti molli e ossa) esitando in amputazioni e deformità. Le aree endemiche sono rappresentate dalle regioni subtropicali dell’Africa, dell’America Centrale e Meridionale, dell’Asia e dell’Australia; finora, 7 sono i casi riportati nei Paesi occidentali in seguito a viaggi internazionali. Nel maggio 2004 la 57a World Health Assembly ha invitato tutti gli stati membri dell’OMS a intensificare la ricerca al fine di implementare le conoscenze diagnostiche, terapeutiche e prognostiche in merito. Riportiamo i primi risultati (anni 20022005) della nostra esperienza in Benin in collaborazione con l’Istituto di Chirurgia Plastica Ospedaliera e l’Istituto di Igiene dell’Università di Bari. Materiali e metodi Sono stati esaminati finora 32 casi di sospetta ulcera del Buruli in vari stadi provenienti da pazienti di età compresa tra 2 e 55 anni. È stata effettuata terapia chirurgica mediante ampia escissione dell’ulcera e successiva copertura con innesti dermo-epidermici interi ed a rete. I campioni operatori sono stati fissati in formalina tamponata al 10%, e inclusi in paraffina; le sezioni ottenute sono state colorate con ematossilinaeosina e con Ziehl-Neelsen. Inoltre, sono stati effettuati sul materiale a fresco prelevato dalle lesioni colorazioni per evidenziare i micobatteri ed esami colturali su terreni specifici. Risultati L’esame istologico delle lesioni si è basato sull’individuazione e valutazione semiquantitativa delle seguenti lesioni elementari: necrosi (classificata in base alla sede), edema interstiziale, presenza di cellule infiammatorie linfo-granulocitarie, vasculite e trombosi dei vasi dermo-ipodermici, fibrosi e cicatrizzazione, iperplasia dell’epidermide. Nell’80% dei casi le lesioni esaminate presentavano gli aspetti caratteristici della fase preulcerativa e ulcerativa; la fibrosi risultava presente nel 35% dei casi, anche in concomitanza con la necrosi. Conclusioni In base ai dati clinico-microbiologici ed istopatologici, l’evoluzione delle lesioni da una fase preulcerativa alla cicatrizzazione appare come un continuum comprendente lesioni elementari attribuibili a più stadi. Pertanto, non esistendo una corrispondenza precisa con l’aspetto macroscopico in vivo l’esame microscopico è necessario ai fini diagnostici e prognostici della lesione. 298 Rilevazione dei recettori della somatostatina in casi di osteosarcoma mediante tecniche di immunoistochimica e di ibridizzazione in situ B. Sardella, M. Leopizzi, L. Ciocci, C. Nuzzo, C. Della Rocca* Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università di Roma “La Sapienza”; * Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, Università di Roma “La Sapienza”, Polo Pontino sede di Latina Introduzione Le proprietà antiproliferative e proapoptotiche della somatostatina, mediate da recettori specifici espressi dalle cellule bersaglio, sono alla base di protocolli terapeutici nei quali sono valutati gli effetti dei suoi analoghi sulla crescita neoplastica. Non esistono lavori sperimentali in letteratura che forniscano risultati circa l’espressione di tali recettori in vivo nel sarcoma osteogenico, probabilmente anche a causa delle difficoltà tecniche relative al trattamento dei tessuti calcificati. Scopo di questo studio è stato di valutare l’espressione dei recettori per la somatostatina nell’osteosarcoma, variante classica, sia con metodiche di immunoistochimica che con tecniche di ibridizzazione in situ. L’identificazione di tali recettori potrebbe consentire di elaborare protocolli terapeutici mirati che prevedano l’impiego degli analoghi della somatostatina in questo tipo di neoplasia. Metodi Mediante metodica immunoistochimica, con l’impiego di anticorpi policlonali specifici, è stata valutata l’espressione dei cinque recettori noti (SSTR1, SSTR2A, SSTR2B, SSTR3, SSTR4, SSTR5) della somatostatina in 5 casi di osteosarcoma, variante classica. Contemporaneamente è stata valutata l’espressione dell’mRNA specifico per SSTR2B e SSTR5 nei medesimi casi, tramite metodica di ibridizzazione in situ, impiegando sonde commerciali fluoresceinate. Entrambe le metodiche sono state appositamente standardizzate per lo studio di tessuti ossei sottoposti a processazione routinaria e a decalcificazione. Risultati Nei 5 casi di osteosarcoma valutati le cellule neoplastiche sia mono- che multi-nucleate sono risultate positive (diffusa positività citoplasmatica, con rinforzo di membrana), sebbene in diversa misura, per SSTR1, SSTR2A, SSTR2B, SSTR3, SSTR5. Costantemente negativa è risultata la colorazione per SSTR4. L’espressione dell’mRNA specifico per i recettori SSTR2B e SSTR5 è stata osservata nelle cellule neoplastiche sia mono- che multi-nucleate, con pattern granulare citoplasmatico e focale rinforzo di membrana nucleare. Conclusioni 1)È possibile applicare tecniche immunoistochimiche e di ibridizzazione in situ, ormai standardizzate, nello studio di tessuti ossei processati routinariamente e decalcificati. 2)Le cellule neoplastiche dell’osteosarcoma, variante classica, esprimono tutti i recettori per la somatostatina, in misura diversa, ad eccezione del SSTR4. 3)Le cellule neoplastiche dell’osteosarcoma esprimono mRNA specifico per SSTR2B e SSTR5. COMUNICAZIONI E POSTER Guided bone regeneration using demineralized laminar bone sheets in the treatment of implant-associated defects. A clinical and histological study A. Scarano, B. Assenza, L. Artese, A. Piattelli Dental School, University of Chieti-Pescara, Chieti, Italy Introduction One of the problems in oral implantology is the use of implants in athophic bone; the bone should be of the correct height and thickness to receive an implant placed in an exakt way. In order to solve this problem, many regenerative techniques and materials have been investigated, such as resorbable and non resorbable membranes or filling materials. Materials and methods This study was designed to evaluated the regenerative potential at dehisced implant sites of the resorbable demineralized laminar bone (Lamina corticale Tecnoss s.r.l., Torino-Italy). Eight screw-type fixtures (Bone System, Milano, Italy) showing buccal dehiscences in 8 patients were treated using the laminar bone. Was inserted into a defect resulting from the extraction of an impacted tooth; the defect was filled by collagenized sterilized pig bone particles (OsteoBiol, Tecnoss Srl, Turin, Italy). Results After a four months healing period it was possible to see that there had been a complete healing of the bone defect and the tissue present had macroscopical features similar to mature bone. All particles were united and surrounded by newlyformed bone. This bone was woven or lamellar. Between the implant surface and the OsteoBiol particles there was always the presence of newly-formed bone. This bone was constituted by primary and secondary osteons with concentric sheets of lamellae with a central longitudinal Haversian canal. Conclusion In the laminar bone-treated sites, the membrane maintained its integrity in almost all cases. Neuroblastoma olfattorio: rilievi morfologici ed immunoistochimici su un caso e revisione della letteratura P. Napoli, M.P. Sciacca, S. Agabiti, A. Labate, G. Trombetta*, R.A. Caruso* Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “Piemonte”; * Dipartimento di Patologia Umana, Policlinico Universitario, Messina Il neuroblastoma olfattorio, neoplasia di raro riscontro, origina nell’area dell’epitelio olfattorio. La bassa incidenza di questa neoplasia rende difficile la formulazione di una classificazione clinica e istopatologica standardizzata. Il tumore è a lenta crescita, può invadere i seni paranasali, l’orbita e l’encefalo, ed è caratterizzato da un tasso elevato di recidive locali. Le metastasi si verificano negli stadi avanzati della neoplasia. Un nuovo caso, giunto alla nostra osservazione, riguarda un uomo di 52 anni, impiegato, con anamnesi patologica negativa. Nel corso di un esame rinoscopico, effettuato in seguito a reiterati episodi di epistassi, si riscontra una lesione polipoide. Si esegue una polipectomia e il materiale viene inviato al nostro Servizio per l’esame istopatologico. PATOLOGIE VARIE Macroscopicamente, la neoplasia appare come una massa polipoide, ricoperta da mucosa ampiamente erosa. Istologicamente, la proliferazione neoplastica è costituita da piccole cellule rotonde disposte in ampi nidi. L’immunoistochimica evidenzia positività per cromogranina, sinaptofisina e NSE. Citocheratine ed EMA risultano negativi. Sulla base di tali dati viene posta la diagnosi di neuroblastoma olfattorio. In seguito all’analisi della letteratura viene consigliato ai clinici una accurata stadiazione TNM della neoplasia e uno stretto follow-up. 299 tissue. This finding adds further support to the current belief that in the normal skin, melanocytes (or their precursors) migrate from the central neural crest to assume their permanent position in the basal layer of the epidermis. The lipoleiomyoma of the uterus. A case report N. Scibetta, L. Marasà Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS Civico “Di Cristina, Ascoli”, Palermo Pigmented nevoid lesion in a benign cystic ovarian teratoma. A case report N. Scibetta, L. Marasà Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS Civico “Di Cristina, Ascoli”, Palermo Introduction Mature cystic teratoma of the ovary, or dermoid cyst, is a benign tumor composed of well-differentiated derivatives of three germ layers, with predominating ectodermal elements. Mature cystic teratoma occasionally may undergo neoplastic change in one of its elements, squamous cell carcinoma is the predominant entity. There have been no report, however, of secondary benign tumors other than a few cases of benign melanocytic nevus, including cases of blue nevus and compound nevus. We describe a case of collections of dendritic melanocytes, of the type occurring in a blue nevus, in a mature cystic teratoma of the ovary, and we discuss briefly about the embryogenic origin of melanocytes. Methods A 53-year-old, nonparous, has been subjected to left laparosalpingo-oophorectomy, because ultrasound and abdomen TAC disclosed left complex adnexal masse. The haematic tumoral markers and the uterus and the right ovary were normal. The specimens sent were formalin 4% fixed and paraplast plus included. Sections of 3-5 µm thickness have been prepared for H&E stain, Masson-Fontana silver stain and prussian blue, and immunohistochemical stains. Results Macroscopically the left ovary harboured a round neoformation, with maximum diameter cm 6, with a smooth, graywhite, glistening surface. The cut surface revealed a unilocular cavity, filled with fatty material and hair, surrounded by a firm capsule. The microscopic observation pointed out a mature trifoliate cystic teratoma, with prevalence of epidermoid tissues. A dense, multifocal proliferation of pigmented dermal cells, greatly elongated, wavy and slender, positive for S100 protein and HMB45 stains, negative for CD34, with abudant fine melanin granules that stained positively with Fontana-Masson silverstain and negatively with prussian blue, were found. These cells were consistent with dendritic melanocytes. This lesion resembled a benign blue nevus, due to the absence of mitotic figures, junctional activity, and cellular atypia. Multiple poorly circumscribed clusters of these dendritic cells were also present scattered in teratoma, and some of these were found adjacent to mature neuroglial tissue. Conclusions This case represents a rare report of a nevoid lesion, arising in ovarian cystic teratoma. Dense collections of dendritic melanocytes were found occasionally adjacent to neuroglial Introduction The uterine lipoleyomioma is a mesenchymal benign neoplasm characterized by the presence of fatty tissue in an otherwise typical leiomyoma. It is a rare tumor wich constitute about the 0,8% of the leiomyomas uteri. They occur in middle-aged or erderly women and may arise in any part of the uterus, including the cervix. Here we report a case of uterine lipoleiomyoma and briefly discuss about the pathogenesis of this lesion. Methods A 63 years old woman, was subjected to a bilateral hysterosalpingo-oophorectomy for several uterine leiomyomas. The specimens sent were formalin 4% fixed and paraplast-plus embedded. Sections of 3 µm thickness have been prepared for typical stains (H&E and PAS). The immunohistochemycal stains have been perfomed by following antibodies: α smooth muscle actin, caldesmon, vimentin, S100, CD10, desmin, HMB45. Results Macroscopically the corpus uteri harboured several leiomyomas of different size, ranged from cm 5 to cm 1. One of these node, intramural, with maximum diameter cm 3.5, had soft yellow areas on the cut surface and softish consistence. Microscopically we noticed wide areas of fat cells with rare bundles of smooth muscle cells, without atypia, necrosis and mitoses. The smooth muscle cells were also positive for αsmooth muscle actin, desmin, caldesmon, negative for CD10. The fat cells were positive for vimentin, negative for α smooth muscle actin and caldesmon. Conclusions The presence of fatty tissue in the myometrium has been interpreted either as a lipomatous degeneration, or as a metaplasia of smooth muscle cells, or still as a real neoplasm frequently associated with a leiomyoma, the so-called lipoleiomyoma. The presence, in the our case report, of adipose tissue areas in the middle neoplasm let us exclude that these fat cells came from a periuterin loose connective tissue, trapped within the leiomyoma. Finally, the pathogenesis of this lesion can be fully ascribed to a mixed, benign, heterologous, mesenchymal neoplasm. Furthermore the uterine mesenchima can differentiate in lacked tissue in the uterus, without passing through a phenomen of metaplasia, as clearly expressed in the uterine malignant mixed mesodermal tumor with omologous and or heterologous sarcomatous elements. COMUNICAZIONI E POSTER 300 Tumor of collision: sarcomatoid carcinoma and small cell carcinoma of the urinary bladder. A case report Well-differentiated papillary mesothelioma of the peritoneum. A case report N. Scibetta, L. Marasà Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS Civico “Di Cristina, Ascoli”, Palermo Servizio di Anatomia Patologica, ARNAS Civico, “Di Cristina, Ascoli”, Palermo Introduction SCC of the urinary bladder is a malignant neoplasm that comprises less than 0.5% of all bladder neoplasm and it frequently occurs in mixed carcinomas. The sarcomatoid carcinoma (SC) is a unusual tumor composed of malignant splindle and pleomorphic cells, positive for both vimentin and CK. We present the clinical and histopathological features of a case of SCC and SC to better understand the characteristics of this bladder tumour. Methods A 66 years old man presented an undifferentiated carcinoma with infiltration of the tunica muscularis in the transurethral biopsy specimens. A radical cystoprostatectomy was perfomed. The sections of 3 µm were routinely stained with H&E, alcian blue, PAS, Masson trichrome and immunohistochemical studies were perfomed. He was alive without evidence of disease at 15 months of follow-up. Results Macroscopically, nodular ulcerated masse, sized 3 cm, was localized in the anterior wall of the bladder. At cut a firm grey tissue invaded the whole of posterior bladder wall. The specimens of anterior wall disclosed a malignant neoplasm, that infiltrated inside the wall, composed of loosely cohesive sheets of small cells with scanty cytoplasm, hypercromatic nuclei and inconspicuous nucleoli, numerous mitoses, positive for chromogranin A, CK, synaptophisyn, NSE, CEA, negative for vimentin, PSA, CD44. The specimens of posterior wall disclosed a high-grade neoplasm in wich a malignant epithelial component (undifferentiated type) coexisted with an area having sarcoma-like appearance with splindle and pleomorphic cells, positive for vimentin, CK, CA19.9, CD44, CEA, negative for PSA and NE markers, without heterologous elements. The junction between the two components was abrupt. Prostate and seminal vesicles were found negative for neoplasm. Conclusions In the sarcomatoid component the areas of transition between epithelial undifferentiated and sarcoma-like cells, the immunoreactivity for CK of the latter and the lack of areas of specific mesenchymal differentiation suggested that it was of epithelial nature. This we preferred to designate as a SC rather than carcinosarcoma. The SCC occurring in the urinary bladder must be carefully differentiated from direct invasive foci of SCC of the prostate and metastatic cancer originating from the lung. In these cases the small cells were negative for TTF, PSA. There are few neoplasm described in the literature, that are similar to the present case. Most cases reported mixed SCC with SC. The two components described in our malignant bladder tumor are separated, without areas of a transition, although several histological samples have been taken, suggesting a collision tumor. N. Scibetta, L. Marasà Introduction WDPM of the peritoneum is a rare indolent mesothelial neoplasm, that occurs mostly in women (80% of the cases), who are usually in reproductive age; occasional patients are postmenopausal. The lesions are usually an incidental finding at surgery, rarely have been associated with abdominal ascites. The cause of these rare tumors is not apparent, and they do not have a link with exposure to asbestos. In this report, we describe a rare case of WDPM of peritoneum and the correlated problems of differential diagnosis. Methods A woman 64 years old, 10 years ago has been subjected, to hysterectomy with left salpingo-oophorectomy for leiomyomas. Some month ago ascites appeared, with a growing of haematic values of CA125 (56UI). At laparatomy small tumor foci described as “papillary”, were on the ovarian surface, in addition to multiple omental and pelvic tumor nodules, with size variable in the 0.5 cm to 2.0 cm range. The patient was subjected to right salpingo-oophorectomy, omentectomy and toilette of peritoneal cavity. She was alive without evidence of disease at 18 months of follow-up. The tissues were fixed in buffered 4% formalin, embedded in paraffin and sections routinely stained with H&E, alkaline alcian blue, PAS. Immunohistochemical studies were performed. Results The histological study of the specimens disclosed fibrous papillae, covered by a single layer of flattened to cuboidal mesothelial cells, lacking atipias and mitoses. No psammoma bodies and evidence of stromal invasion are encountered in this case. The cells were negative for CEA, B72.3, BER-EP4, LEUM1, P53, positive for EMA, CK5/6, calretinin, trombomodulin, WT1. Conclusions The morphologic and immunohistochemical features reported in this case are consistent with WDPM, an indolent neoplasm. From the gross standpoint, the multiple peritoneal nodules in WDPM may lead to confusion with peritoneal carcinomatosis. Another major source of diagnostic confusion is the occasional example of diffuse peritoneal malignant mesothelioma in wich well differentiated papillary elements are prominent. When the lesions of WDPM are small, the possibility that they represent iperplasia rather than neoplasia may come under consideration. The picture that emerges from the follow-up current study of WDPMP is that of a predominantly benign tumor. Currently there is no indication of the cause of WDPMP, and there is no evidence that it is related to asbestos. In our case the patient referred a pelvic surgery and no exposure to asbestos. PATOLOGIE VARIE 301 The role of B lymphocytes and NK cells in cardiac allograft rejection Carcinoma papillare della tiroide in bambina di nove anni. Descrizione di un caso C. Sorrentino, T. D’Antuono, A. Scarinci*, A. Pellicciotta, R. Bellocci, M. Pasquale*, C. Di Iorio*, E. Di Carlo F. Tallarigo, R. Patarino, A.V. Filardo*, M.G. Scalia Department of Oncology and Neurosciences, Surgical Pathology Section, “G. d’Annunzio” University, Chieti, Italy; * Medical and Surgical Department of Cardiology, Cardiology Section, “SS Annunziata” Hospital, Chieti, Italy Introduction Acute rejection episodes still occur in transplanted patients despite improvement of the immunosuppressive regimens. They constitute a critical risk factor for the subsequent development of chronic rejection and are the leading cause of allograft loss. A better understanding of the mechanisms leading to intramyocardial inflammatory cell recruitment and activation and to cardiomyocyte damage may suggest new ways of controlling graft rejection. Methods In accordance with the criteria established by International Society for Heart and Lung Transplantation (ISHLT), we analysed 39 endomyocardial biopsies (EMB) from transplanted patients undergoing constant immunosuppressive therapy (cyclosporin A, azathioprine, deltacortene). Then, we selected EMB with G 3A rejection, the grade in which aspects of cardiomyocyte replacement or damage by infiltrating cells become to appear. These EMB were analysed, by immunohistochemistry and laser scanning confocal microscopy, to investigate a) the presence and the functional state of the different leukocyte populations and, b) the expression of mediators possibly involved in their recruitment. Results In comparison with EMB with G 0 or G 1A/B rejection, EMB with G 3A rejection showed a significant infiltration of macrophages, CD4+ and CD8+ T lymphocytes and of both CD209+ and CD83+ dendritic cells. Four out of ten EMB with G 3A rejection were marked by a significant influx of CD20+ B lymphocytes and CD94+ NK cells. Co-localisation analyses revealed that B lymphocytes expressed MHC II, CD80 and CD86 and co-operate to IL-12 production, while NK cells tested positive for CD69 and co-operate to IFN-γ production. In these EMB, we also observed a low but distinct expression of the B cell attracting chemokine-1, BCA-1/CXCL13 by macrophages and of the NK cell attracting chemokine namely fractalkine/neurotactin/CX3CL1 by macrophages and endothelial cells. Interestingly, the clinical and istopathological monitoring of this few patients revealed a trend toward a recurrence of the rejection episodes. Conclusions Intramyocardial infiltration by functionally activated B and NK cells may play a key role in the dynamic of allograft rejection and the chemokines CXCL13 and CX3CL1, respectively, may be involved their recruitment. Our findings, although have to be confirmed in a larger group of patients, strongly suggest that a) B lymphocytes and NK cells are involved in the development of immunosuppressive drug resistance, b) analyses of the cellular and molecular profile of acute rejection may be predictive of graft outcome and useful for planning individualization of therapy. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San Giovanni di Dio” Crotone; * Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro Introduzione Il Carcinoma della tiroide è una entità rara nelle prime due decadi di vita. È stimato che il 10% del totale di casi di carcinoma della tiroide si verifichino entro questo range di età, e rappresenta una percentuale compresa tra lo 0,5 e il 3% di tutte le neoplasie maligne che interessano bambini ed adolescenti. C’è una netta predominanza del sesso femminile con un rapporto femmine/maschi che è di 2-2,5:1. L’istotipo più comune è quello papillare. Metodi Ad una bambina di nove anni veniva riscontrato un nodulo latero-cervicale sinistro che all’esame ecografico si diagnosticava come linfonodo a struttura sovvertita. Si eseguiva FNA del linfonodo che mostrava una ricca popolazione di elementi epiteliali, di tipo cuboidale, dispersi, talora aggregati a formare strutture di tipo micropapillare, con nuclei ingranditi ed irregolari, cromatina finemente dispersa con presenza di incisure e pseudoinclusi. Veniva pertanto fatta diagnosi di neoplasia papillare di possibile derivazione tiroidea. La piccola paziente era sottoposta ad intervento chirurgico di tiroidectomia con svuotamento linfonodale latero-cervicale sinistro. Risultati All’esame macroscopico la tiroide presentava una piccola (< 1 cm Ø) lesione nodulare, biancastra, di consistenza aumentata a livello del lobo sin. Istologicamente questa area corrispondeva ad un carcinoma papillare di tipo classico con presenza di aree solide. La neoplasia presentava dal punto di vista immunofenotipico una intensa positività alla citokeratina 19, alla galectina-3 e all’anticorpo HBME-1. L’esame dei linfonodi, relativi allo svuotamento latero-cervicale, mostrava un solo linfonodo (2 cm Ø) quasi completamente metastatico. Tutti gli altri linfonodi isolati risultavano indenni da metastasi. Conclusioni Clinicamente il carcinoma tiroideo dell’infanzia si comporta in maniera diversa rispetto alla forma adulta. Il coinvolgimento linfonodale è la principale manifestazione clinica della neoplasia (35%-53%), mentre il riscontro di metastasi polmonari è in relazione al tempo intercorso per la diagnosi (5%-16%). Comunque la prognosi, anche nei casi con localizzazione a distanza, è relativamente buona. Oltre all’istotipo papillare, che è il più comune, c’è la variante follicolare che è meno comune, mentre le varianti midollare ed anaplastica sono estremamente rare. L’eziologia è sconosciuta, anche se esistono specifici fattori di rischio che ne aumentano l’incidenza e che includono l’esposizione alle radiazioni ionizzanti, soprattutto nei primi anni di vita. L’importanza delle radiazioni come fattore di rischio per il carcinoma della tiroide è stata dimostrata dall’aumento dell’incidenza di questa patologia nei bambini della Bielorussia dopo l’incidente di Chernobyl. Altri fattori di rischio sono, la deficienza di iodio, la tiroidite cronica di Haschimoto, situazioni che si associano ad aumentati livelli, per lungo periodo, di TSH, fattori genetici dovuti a mutazioni spontanee (riarrangiamento RET/PTC) o a trasmissione ereditaria, come nel caso del carcinoma midollare. Nel caso in esame non sussisteva nessun fattore di rischio. 302 COMUNICAZIONI E POSTER Melanoma della mucosa della cavità nasale: descrizione di due casi Primary splenic B-cell lymphoma (marginal zona lymphoma). Report of a case F. Tallarigo**, S. Squillaci, A.V. Filardo***, D. Lambertenghi*, N. Hadjmohammadi, G. Pizzoli F. Tallarigo, R. Patarino, S. Squillaci*, G. Mammolenti, F.V. Murgi, M.G. Scalia Servizi di Anatomia Patologica e * Radiologia, Ospedale di Vallecamonica, Esine (Italia); **Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone (Italia); *** Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “PuglieseCiaccio”, Catanzaro (Italia) Anatomia Patologica, Ospedale “San Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Esine (BS) Introduzione Il melanoma primitivo della regione seno-nasale e del rinofaringe è un evento raro con un’incidenza stimata ≤ 4% di tutte le neoplasie primitive del distretto; comprende circa il 4% di tutti i melanomi localizzati alla testa ed al collo. Metodi Caso n. 1: donna di 71 anni presenta, nell’Aprile 2005, rinorrea limpida ed epistassi recidivanti a causa di una neoformazione polipoide nella cavità nasale destra a contatto con il setto nasale. Pervengono per esame estemporaneo due frammenti, il maggiore di 2,5 cm di colorito grigio-roseo e consistenza molle-elastica, refertati come neoplasia mesenchimale benigna da definire dopo inclusione e in un secondo momento altri 6 frammenti, due dei quali riferibili a base di impianto della lesione. Caso n. 2: uomo di 60 anni, affetto da epistassi recidivanti, viene escisso in toto polipo carnoso nella fossa nasale sinistra adeso al turbinato inferiore di 1,7 cm e dopo 74 mesi è vivo e libero da malattia. Risultati All’esame microscopico tutti i frammenti del caso n. 1 sono sostituiti da una proliferazione di cellule con nucleo ovale o allungato, frequenti nucleoli, rima di citoplasma acidofilo, talora disposte in aggregati o nidi separati da una ricca componente vascolare con alcuni elementi plurinucleati e altri con granuli di pigmento nel citoplasma, negativo al Pearls. Le mitosi sono 2-3/10 HPF. Nel caso n. 2 spiccano elementi epitelioidi a citoplasma ampio con indice mitotico di 3-4/10 HPF. L’immunoistochimica risulta in entrambi i casi positiva per vimentina, S-100, MART-1 e HMB-45 con negatività di altri marcatori e viene posta diagnosi di melanoma della mucosa nasale. Conclusioni L’incidenza del melanoma primitivo della regione seno-nasale varia tra lo 0,3% ed il 2% di tutti i melanomi. Pone problemi di diagnosi differenziale sia con un secondarismo che con altre neoplasie, quali il carcinoma scarsamente differenziato, il linfoma, il plasmocitoma, il neuroblastoma olfattorio, il tumore neuroectodermico, il carcinoma neuroendocrino a piccole cellule e il rabdomiosarcoma. Non agevole la diagnosi clinica pre-operatoria e l’esame estemporaneo può indurre il patologo a diagnosi errate. Recentemente è stato proposto un sistema di staging e si è osservato che la grandezza delle lesioni più che lo spessore (> 3 cm) e l’indice mitotico (> 10/10 HPF) potrebbero avere significato come fattori prognostici sfavorevoli 1. Bibliografia 1 Thompson LDR, et al. Am J Surg Pathol 2003;27:594-611. Introduction Splenic marginal zone lymphoma (SMZL) is a specific lowgrade small B-cell lymphoma that is incorporated in the World Healt Organization classification. Characteristic features are splenomegaly, moderate lymphocytosis with villous morphology, intrasinusoidal pattern of involvement of various organs, especially bone marrow, and relative indolent course. Tumor progression with increase of blastic forms and aggressive behaviour are observed in a minority of patients. Methods The case of a 45-year-old female patient admitted for abdominal pain due to large splenomegaly is reported. The patient present mild pancytopenia. Laparotomy with splenectomy was performed. Macroscopic examination present marked splenomegaly (1,800 g). Results and conclusion Histologically, the spleen is characterised by a nodular infiltrate. Neoplastic cells extend from the marginal zone to the red pulp with variable involvement. Cytologically, the neoplastic cells are medium sized with roundish or slightly irregular nucleus, clumped chromatin, frequent small nucleolus, and moderate amount of cytoplasm with distinct borders sometimes of villous appearance. Involvement of hilar splenic lymph nodes and liver is observed. Bone marrow biopsy has not bee performed. Immunophenotypically, the tumor cells has a mature B-cell phenotype and express positivity for CD20, CD45RA, Cd79a, bcl2, IgM, and negativity for CD5, CD43, CD23, CD10, Bcl-6 and cyclin D1. Histological differential diagnosis include a number of entities such as lymphoid hyperplasias, other marginal lymphomas, mantle cell lymphoma, follicular lymphoma, and B-CLL. Germinoma extragonadico: descrizione del primo caso a localizzazione orbitaria L. Ventura, P. Perrini*, F. Liberati**, A. Ricci*, A. Dal Mas, M. Di Franco, R. Galzio* UU.OO. di Anatomia Patologica e di * Neurochirurgia, Azienda USL 4, L’Aquila; ** U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL, Rieti Introduzione I casi a localizzazione extragonadica costituiscono il 2-5% delle neoplasie germinali dell’adulto e solitamente insorgono in strutture mediane, quali retroperitoneo, mediastino, pineale e regione soprasellare. L’orbita rappresenta una sede assai rara per tali neoplasie, tipicamente diagnosticate nei giovani; nessun report ha mai riguardato il germinoma 1. Presentiamo il primo caso di germinoma primitivo dell’orbita in un maschio adulto esente da lesioni in altra sede. Metodi Un uomo di 56 anni giungeva alla nostra osservazione con proptosi sinistra ingravescente da 3 mesi, associata a dolore e diminuzione del visus. L’esame obiettivo evidenziava che- PATOLOGIE VARIE 303 mosi e congiuntivite dell’occhio sinistro, con acuità visiva di 1/30 a sinistra e 10/10 a destra. La risonanza magnetica mostrava una massa tondeggiante di 22 x 20 x 18 mm situata nell’adipe retrobulbare, che comprimeva il globo oculare senza deformarlo e spostava medialmente il nervo ottico. La lesione, isointensa alle immagini T1 e T2-pesate, era più evidente dopo iniezione del mezzo di contrasto. A seguito della diagnosi clinica di angioma il paziente veniva sottoposto ad orbitotomia laterale ed escissione della neoformazione. Il campione veniva fissato in formalina, campionato e processato per colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Risultati L’esame macroscopico evidenziava una formazione nodulare grigiastra, parenchimatosa, di cm 2 x 1,8 x 1,5, parzialmente circondata da adipe. L’istologia mostrava aggregati di ampie cellule rotondeggianti, a citoplasma chiaro, PAS-positivo, con nuclei ipercromatici, nucleoli eosinofili prominenti e 4 mitosi/10 HPF. Tali cellule, immunopositive per PLAP, CD117 e cheratine AE1/3 (focalmente) e negative per vimentina, AFP, CD30, βHCG, LCA, S100 e CD68, erano circondate da macrofagi, linfociti e plasmacellule. Il decorso postoperatorio è risultato privo di inconvenienti, con immediato miglioramento dei sintomi clinici, in assenza di terapie adiuvanti. Dopo 24 mesi il paziente risulta libero da malattia locale ed in altre sedi, con livelli serici dei marcatori tumorali nella norma. Conclusioni Sebbene eccezionale, il germinoma orbitario deve esser considerato nella diagnostica differenziale delle lesioni intraorbitarie. Considerato l’elevato rischio di cancro del testicolo metacrono dopo la diagnosi di neoplasia germinale extragonadica 2 e nell’ipotesi di una metastasi da seminoma testicolare occulto, appare giustificato un lungo follow-up di questi pazienti. Metodi Abbiamo effettuato lo studio retrospettivo delle lesioni associate ai GIST autoptici e chirurgici da noi osservati nel periodo 1980-2004, unitamente alla revisione della letteratura. Risultati Sono stati individuati due pazienti maschi di 65 anni con GIST gastrico a categoria di rischio molto bassa, incidentale, e coesistente RCC a cellule chiare, Fuhrman 2, rispettivamente pT1 e pT3b, entrambi del rene sinistro. In totale, sono noti 12 casi di tale associazione, comprendenti 4 carcinomi papillari (M:F = 3:1, età media: 59,7), 5 carcinomi a cellule chiare (M:F = 3:2, età media: 69,4) e 3 carcinomi non altrimenti specificati. Conclusioni La differenza di età tra i due sottogruppi può avere significato, mentre l’evenienza di GIST multipli descritta in un caso conferma la possibilità di neoplasie differenti che condividono meccanismi biologici simili. Sebbene la maggioranza dei GIST in entrambi i sottogruppi appartenga alle categorie di rischio inferiori e costituisca riscontro occasionale in corso di chirurgia o autopsia, la presenza di casi a rischio elevato suggerisce un’associazione non casuale tra le due neoplasie. Ulteriori studi sono necessari per verificare se tali associazioni dipendono da meccanismi genetici o rappresentano semplici coincidenze. In ogni caso, il carcinoma renale amplia lo spettro delle neoplasie maligne che possono essere anamnesticamente riscontrate nei pazienti affetti da GIST. Bibliografia 1 Kivela T, et al. Surv Ophthalmol 1994;38:541-54. 2 Bokemeyer C, et al. APMIS 2003;111:49-63. U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL 4, L’Aquila; * U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL, Rieti Associazione GIST-carcinoma renale: descrizione di due casi e revisione della letteratura L. Ventura, F. Calista*, T. Ventura, C. Ficorella*, E. Ricevuto* U.O. di Anatomia Patologica, Azienda USL 4, L’Aquila; * Oncologia Medica, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di L’Aquila Introduzione Un recente contributo scientifico sottolinea l’associazione tra carcinoma a cellule renali (RCC) papillare e tumore stromale gastrointestinale 1. Poiché le due neoplasie sono legate a mutazioni di oncogeni della famiglia delle tirosinchinasi recettoriali, rispettivamente c-met e c-kit, è stato ipotizzato che mutazioni attivanti a monte di questi sistemi possano spiegare tale associazione. Anche l’istotipo a cellule chiare del RCC può associarsi a GIST, condividendo con quest’ultimo la perdita del braccio cromosomico 14q 2. Descriviamo due ulteriori casi di associazione GIST-RCC a cellule chiare, effettuando la completa revisione della letteratura. Bibliografia 1 Au WY, et al. Ann Oncol 2004;15:843-4. 2 Tzankov A, et al. Cancer Detect Prev 2003;27:256-8. Linfadenite di Piringer-Kuchinka con dimostrazione istologica di cisti toxoplasmica L. Ventura, F. Liberati*, M. Sarra, E. Pompili, T. Ventura Introduzione La toxoplasmosi rappresenta una causa relativamente frequente di linfadenopatia. Sebbene esistano criteri istologici definiti per la dimostrazione della malattia a livello linfonodale, l’identificazione microscopica dell’agente eziologico risulta eccezionale 1 2. Per tali motivi, il valore diagnostico dei reperti istologici è usualmente subordinato ai risultati delle analisi sierologiche 2. Presentiamo un caso di linfadenite toxoplasmica diagnosticata istologicamente dopo identificazione di cisti toxoplasmica. Metodi Un uomo di 32 anni si presentava all’osservazione clinica con linfadenopatia laterocervicale destra di recente insorgenza, in assenza di rilievi anamnestici significativi. L’intervento chirurgico evidenziava due stazioni linfonodali di consistenza duro-elastica, dei diametri massimi rispettivi di cm 3 ed 1, che venivano bioptizzate. Il campione operatorio veniva fissato in formalina, campionato e processato per ottenere colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Risultati Entrambi i linfonodi presentavano architettura conservata e la classica triade di iperplasia follicolare florida, iperplasia dei linfociti B monocitoidi e focolai irregolari di istiociti epitelioidi, talora posti nei centri germinativi. Ulteriori sezioni 304 del linfonodo di maggiori dimensioni mostravano una cisti toxoplasmica PAS-positiva situata alla periferia di un centro germinativo follicolare, non evidente alle prime colorazioni di routine. Gli esami sierologici, eseguiti un mese dopo l’intervento, mostravano marcato innalzamento dei valori di IgG ed IgM specifiche. Conclusioni La forma tissutale del Toxoplasma gondii (bradizoite o cisti toxoplasmica) può restare silente per anni e dare manifestazioni cliniche in caso di diminuzione dell’immunità dell’ospite. La biopsia linfonodale viene solitamente effettuata al fine di escludere neoplasie maligne. La classica triade istopatologica è considerata altamente specifica e relativamente sensibile per la diagnosi di linfadenite toxoplasmica 2, ma la dimostrazione diretta del microrganismo costituisce un reperto occasionale 1 e la ricerca del DNA toxoplasmico mediante PCR ha mostrato risultati discordanti 2. Poiché nel caso in esame la cisti toxoplasmica era presente solo in alcuni dei preparati allestiti, l’analisi di numerose sezioni a differenti livelli potrebbe aiutare ad evidenziare un reperto probabilmente sottostimato. Bibliografia 1 Aisner SC, et al. Am J Clin Pathol 1983;79:125-7. 2 Lin M-H, et al. Pathol Int 2001;51:619-23. Carcinoma renale mucinoso, tubulare ed a cellule fusate. Descrizione di un caso L. Ventura, G. Coletti, A. Dal Mas, G. Romano*, B. Di Pasquale*, R. Mazzucchelli** UU.OO. di Anatomia Patologica e di * Urologia, Azienda USL 4, L’Aquila; ** Sezione di Anatomia Patologica ed Istopatologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona Introduzione Il tipo istologico mucinoso, tubulare ed a cellule fusate rappresenta un’entità introdotta di recente nella classificazione dei carcinomi renali 1. Descriviamo il caso di un carcinoma renale da noi recentemente osservato, con caratteristiche che ne consentono l’inclusione in tale categoria. Metodi Il caso riguarda una donna di 77 anni, giunta alla nostra osservazione in seguito ad un singolo episodio di ematuria macroscopica. Un’ecografia ed una successiva TC rilevavano la presenza di neoformazione solida del rene sinistro del diametro di circa 4 cm. La paziente veniva quindi sottoposta a nefrectomia radicale per via laparoscopica retroperitoneale e dimessa in terza giornata postoperatoria. Il campione operatorio veniva fissato in formalina, campionato e processato per ottenere colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche. Risultati All’esame macroscopico il rene, di cm 11 x 5 x 4, presentava una formazione nodulare mediorenale ben circoscritta, solida, giallastra chiara, del diametro massimo di cm 3,5. Microscopicamente la neoplasia risultava costituita da strutture tubulari ramificate, separate da stroma mixoide alcian-positivo e rivestite da cellule cuboidali che focalmente assumevano morfologia fusata. Tali elementi presentavano citoplasma chiaro o debolmente eosinofilo e nuclei uniformi, rotondeg- COMUNICAZIONI E POSTER gianti, senza evidenza di nucleoli e mitosi. Erano presenti foci microscopici di necrosi con emosiderofagi e cellule stromali multinucleate. Al di fuori della neoplasia erano presenti adenomi papillari corticali, una cisti da ritenzione e pielonefrite cronica aspecifica. Il profilo immunoistochimico mostrava: positività diffusa per citocheratine AE1/3; positività multifocale per citocheratine 7, CAM 5.2 e 34βE12; positività focale per vimentina ed EMA; negatività per CD10, citocheratina 20, CD15, CD117, cromogranina A, sinaptofisina e p53. Meno dell’1% delle cellule era positivo per Ki67. Sette mesi dopo l’intervento la paziente è in buona salute. Conclusioni Nonostante la discreta variabilità istopatologica ed immunofenotipica dei casi finora descritti in letteratura, questo istotipo inusuale di carcinoma renale potrebbe addirittura rappresentare una distinta entità clinicopatologica, che predilige il sesso femminile ed è caratterizzata da differenziazione nefronica distale, basso grado di malignità e decorso clinico favorevole 1 2. Bibliografia 1 Aubert S, et al. Int J Surg Pathol 2004;12:179-83. 2 Rakozy C, et al. Mod Pathol 2002;15:1162-71. Diffusione parotidea da epatocarcinoma: case report A.R. Vitale, G. Coletti*, S. Saltarelli*, M. De Vito, S. Di Rito, P. Leocata Università dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Cattedra di Anatomia Patologica; * ASL4 U.O. Anatomia Patologica Introduzione Il carcinoma epatocellulare raramente metastatizza alle ghiandole salivari 1. Solitamente le metastasi alla parotide hanno origine da tumori primitivi localizzati nella testa e nel collo. Una corretta diagnosi differenziale fra tumore primitivo e metastatico è fondamentale per un’adeguata valutazione prognostica e terapeutica. Caso clinico Paziente di 82 aa con tumefazione nella regione parotidea destra, di consistenza duro lignea, non dolente né dolorabile alla palpazione. All’esame ecografico si evidenziava nella regione mandibolare destra una tumefazione di cm 3,8 x 3,4 x 1,5 ad ecostruttura solida, disomogenea, con piccole aree liquide e con intenso segnale vascolare intranodale. È stato eseguito un FNAB che ha evidenziato “cluster di cellule epitelioidi atipiche, ad ampio citoplasma granulare e nucleo tondeggiante, provvisto di evidente nucleolo”. I reperti erano suggestivi di “neoformazione di ghiandola salivare del tipo a cellule acinose e/o oncocitaria” che necessitava di ulteriori approfondimenti istologici. Il successivo esame istologico su biopsia ha messo in evidenza un tessuto neoplastico costituito da filiere di cellule ad ampio citoplasma eosinofilo e nucleo tondeggiante, nucleolato con una vascolarizzazione di tipo sinusoidale. In alcuni campi microscopici si osservavano diversi corpi acidofili tipo Councilman e piccoli aggregati di materiale granulare giallo-oro (di tipo biliare). Il tessuto neoplastico, all’indagine immunoistochimica, era positivo per CD10 ed Hepatocyte. I reperti erano compatibili con diffusione di epatocarcinoma trabecolare. Un’anamnesi più approfondita ha permesso di rilevare una primitività epatica non segnalata dai clinici. PATOLOGIE VARIE Discussione Escludendo testa e collo il 20% delle metastasi parotidee deriva da polmone, rene, mammella e più raramente dal tratto GI e GU. Tipicamente le metastasi da epatocarcinoma coinvolgono i polmoni attraverso il sistema della vena porta. Nel nostro caso non ci sono evidenze di coinvolgimento polmonare ma solo parotideo. Ciò rende la presentazione della malattia peculiare, anche se possibile per la presenza del plesso venoso perivertebrale di Batson. La rarità del caso in esame tuttavia è dovuta al fatto che in letteratura sono stati descritti solo altri 2 casi di epatocarcinoma metastatizzante alla ghiandola parotide. Bibliografia 1 Romanas MM, et al. Diagn Cytopathol 2004;30:401-5. Espressione e distribuzione dei recettori della somatostatina nei timomi D. Vitolo, G. Deriu, L. Ciocci, M. Matarrazzo, S. Cortese, C.D. Baroni Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, I Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma Introduzione La “somatostatin receptor scintigraphy” utilizza gli analoghi marcati della somatostatina (octeotride) nella diagnostica per immagini e nel follow-up di pazienti affetti da timoma. Non è però descritta in letteratura l’espressione e la distribuzione “ex vivo” dei recettori della somatostatina in neoplasie epiteliali primitive del timo. Abbiamo valutato l’espressione dei recettori della somatostatina in queste neoplasie al fine di comprenderne il significato fisiopatologico e per dare una base anatomopatologica all’uso degli analoghi della somatostatina nella diagnostica per immagini e nella terapia neoadiuvante e adiuvante di questi tumori. Metodi Mediante immunoistochimica, abbiamo studiato espressione e distribuzione di SSTR1, SSTR2A, SSTR2B, SSTR3, SSTR4 e SSTR5 nel timo fetale (5 casi), involuto (5 casi) e nell’iperplasia follicolare (4 casi), e in neoplasie epiteliali primitive (3 casi di Timoma A, 1 di Timoma AB, 6 di Timoma B2, 3 di Timoma B3, 3 di Timoma C). Risultati SSTR1, SSTR3 e SSTR5 sono espressi in tutti i casi di timoma studiati. L’espressione di SSTR2A non è stata mai osservata nei timomi tipo A e B3; si osserva invece nel caso di timoma AB, in 4 casi di timoma B2 e in 2 casi di timoma C. L’espressione di SSTR2B è stata osservata in 2 casi di timoma A, in un caso di timoma AB, in 5 casi di timoma B2, in 2 casi di timoma B3 e in 2 casi di timoma C. L’espressione di SSTR4 non è stata mai osservata. Conclusioni I timomi esprimono gli stessi recettori del timo normale e iperplastico, ma con patterns diversi. Il recettore ad alta affinità SSTR2A è espresso nei timomi di tipo B2, caratterizzati da aspetti di differenziazione midollare, mentre è assente nei timomi di tipo A e B3, che ne sono privi. I timomi di tipo B1 e B2 presentano aree di differenziazione midollare che suggeriscono che in questi istotipi le cellule neoplastiche mantengono aspetti di differenziazione funzionale. Pertanto l’espressione dei recettori della somatostatina nei timomi di tipo B2 conforta l’ipotesi che questi siano costituiti da cellule 305 neoplastiche funzionalmente differenziate. Ciò è in parte confermato dall’assenza di SSTR2A nei timomi di tipo A e B3, privi di differenziazione midollare. La mancata espressione di SSTR2A in queste ultime varietà di timoma potrebbe comprometterne l’efficacia del monitoraggio strumentale e della terapia con gli analoghi della somatostatina. Espressione di TP73L nei linfomi B a grandi cellule primitivi del mediastino: un utile marcatore diagnostico A. Zamò, G. Malpeli, A. Scarpa, C. Doglioni*, M. Chilosi, F. Menestrina Dipartimento di Patologia, Università di Verona, Verona, Italia; * Dipartimento di Istopatologia, Ospedale “San Raffaele”, Milano, Italia Introduzione Il linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino è un’entità nosologica ben distinta la cui patogenesi molecolare è solo parzialmente nota, che difetta di marcatori diagnostici ben definiti. Recentemente studi di profilamento genetico hanno rivelato caratteristiche in comune tra il linfoma di Hodgkin ed il linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino. Studi morfologici ed immunoistochimici hanno successivamente confermato questa parziale sovrapposizione. Metodi In questo studio abbiamo analizzato l’espressione delle diverse isoforme di TP73L (nota anche come p63) nel linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino sia a livello di proteina che di mRNA. Risultati Abbiamo così dimostrato che solamente le isoforme transattivanti (TA) di TP73L erano presenti nei casi di linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino. Abbiamo anche dimostrato che TP73L è espressa in un sottogruppo di cellule del centro germinativo, ed anche in una percentuale di linfomi B diffusi a grandi cellule, ma non è mai presente nel linfoma di Hodgkin di tipo classico. Anche il linfoma di Hodgkin di tipo nodulare a prevalenza linfocitaria è risultato positivo per TP73L. L’analisi delle isoforme tramite RT-PCR quantitativa ha mostrato che TA-TP73L-alfa era la più rappresentata linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino, ma TA-TP73-gamma era la più deregolata in confronto sia a cellule del centro germinativo purificate, sia a linfomi B diffusi a grandi cellule. Conclusioni L’espressione di TP73L si è dimostrata un utile marcatore diagnostico del linfoma B a grandi cellule primitivo del mediastino, e ha fornito nuovi indizi sulle vie molecolari che giocano un ruolo in questo linfoma. Tumore adenomatoide del testicolo R. Zamparese, F. Corsi, W. Giannubilo*, P. Bufo Università di Foggia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Ospedale “Colonnello D’Avanzo”; * Università Politecnica delle Marche, Azienda Ospedaliera “Umberto I”, Clinica Urologica, Ancona Introduzione Il tumore adenomatoide è una neoplasia benigna rara, che interessa il testicolo, di solito, per estensione dalla tonaca albuginea, è raro che la neoplasia prenda origine dal parenchi- 306 ma testicolare, in letteratura, infatti, a nostra conoscenza, ne sono stati segnalati solo 5 casi ben documentati. Caso clinico Uomo di 32 anni con tumefazione del testicolo destro. L’esame ecografico evidenzia una lesione nodulare intraparenchimale del diametro di circa 2 cm. Il paziente viene sottoposto ad orchiectomia e all’esame macroscopico si apprezza la presenza di una neoformazione intratesticolare, ben delimitata rispetto al parenchima circostante da una evidente cercine fibroso, nettamente distinta dalla tunica albuginea, dalla quale dista circa 5 cm. All’esame istologico la neoformazione ha, nella porzione centrale, aspetto anfrattuoso per la presenza di estroflessioni similpapillari, rivestite da cellule epiteliomorfe di forma cubica-appiattita, che sporgono in cavità. Nello stroma si riconoscono aree fibrose talora ialinizzate e aggregati di cellule che formano nidi, tubuli e minute strutture cordonali. Nella porzione che microscopicamente ha aspetto compatto prevalgono cellule raggruppate nello stroma con aspetto simil-castoniforme. Dal punto di vista immunoistochimico, sono risultate positive le reazioni immunoistochimiche per le citocheratine pool e per le citocheratine AE1/AE3 nelle cellule che rivestivano le cavità e le proiezioni papillari. Le reazioni per il CD34 e per il Fattore VIII sono risultate positive negli endoteli dei vasi presenti nello stroma, mentre sono negative le reazioni per il CD15, per il CA-125 e per l’HBME-1 Discussione I casi di tumore adenomatoide intratesticolare ben documentati sono, a nostra conoscenza, estremamente rari e la prima segnalazione è abbastanza recente 1. Presentiamo questo ulteriore caso in quanto riteniamo che la conoscenza della localizzazione intratesticolare possa consentirne la diagnosi preoperatoria e quindi, in futuro, un approccio terapeutico conservativo. Nel nostro caso, come in quello riportato da Samad et al. 2 si tratta di soggetti giovani, è pertanto importante sospettare preoperatoriamente tale lesione, all’esame ecografico ed evitare erronee diagnosi di neoplasia maligna del testicolo all’esame intraoperatorio, al fine di evitare, qualora possibile, l’orchiectomia radicale. COMUNICAZIONI E POSTER trazione dell’utero, degli ureteri, del tenue e del grosso intestino. La paziente viene sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione di vescica, utero ed annessi, parte del duodeno, colon ascendente, trasverso e parte del colon discendente. All’esame istologico viene posta diagnosi di carcinoma uroteliale della vescica, varietà micropapillare, costituito da cellule neoplastiche che si organizzano, in superficie, a formare sottili papille, con o senza asse connettivo vascolare evidente, mentre, nella componente infiltrante, sono aggregate all’interno di lacune, talora ampie. Sebbene, inizialmente, tali aspetti siano stati interpretati come invasione vascolare, le colorazioni immunoistochimiche con marcatori vascolari (CD31, CD 34) hanno dimostrato che nella maggior parte dei casi si tratta di artefatti con retrazione dello stroma. Trattasi di una neoplasia estremamente aggressiva che infiltra la parete vescicale a tutto spessore, ed interessa anche l’uretra, il corpo ed il collo uterino, entrambe le ovaie, la tuba destra, gli ureteri, il mesentere, il tenue ed il grosso intestino e l’appendice, con metastasi in 5 linfonodi mesenterici. Si apprezza, inoltre, una spiccata tendenza alla permeazione neoplastica perineurale, endolinfatica ed endovasale. Discussione Il carcinoma micropapillare della vescica rappresenta una varietà del carcinoma a cellule transizionali a prognosi estremamente infausta, colpisce principalmente i maschi, con un rapporto M:F pari a 4:1, con un’età d’insorgenza tra i 45 ed i 91 anni (media 68,5). Il caso che stiamo segnalando è particolarmente rimarchevole in quanto la paziente è di sesso femminile ed ha solo 38 anni e, pertanto, si tratta, del soggetto più giovane di sesso femminile segnalato in letteratura. L’individuazione della presenza di aree micropapillari in un carcinoma transizionale della vescica è molto importante perché implica una prognosi particolarmente infausta e richiede un atteggiamento terapeutico aggressivo. Bibliografia 1 Amin MB, et al. Am J Surg Pathol 1994;18:1224-32. Istiocitoma fibroso maligno della vescica: case report e revisione della letteratura Bibliografia 1 Horstman WG, et al. Urology 1992;40:359-61. 2 Samad AA, et al. Eur Urol 1996;30:127-8. R. Zamparese, I. Tolve*, A. Caniglia**, L. Cormio*, P. Bufo, G. Carrieri* Una variante rara di carcinoma uroteliale della vescica: il carcinoma micropapillare Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Cattedra di Anatomia Patologica, Università di Foggia; * Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Cattedra di Urologia, Università di Foggia; ** U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “Santa Maria Delle Grazie”, Matera R. Zamparese, F. Corsi, W. Giannubilo*, P. Bufo Università di Foggia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Sezione di Anatomia Patologica, Ospedale “Colonnello D’Avanzo”; * Università Politecnica delle Marche, Azienda Ospedaliera “Umberto I”, Clinica Urologica, Ancona Introduzione Il carcinoma micropapillare è una varietà rara di carcinoma transizionale della vescica, rappresenta, infatti, solo lo 0,7% di tutti i tumori della vescica. Nel 1994 è stato descritto il primo caso di carcinoma micropapillare della vescica 1 e fino ad oggi sono stati segnalati in letteratura solo 48 casi. Caso clinico Donna dell’età di 38 anni si ricovera per episodi di ematuria e dolori addominali, l’esame cistoscopico e l’esame TAC evidenziano ispessimento diffuso della parete vescicale, con infil- Introduzione Riportiamo un caso di istiocitoma fibroso della vescica. Il riscontro di questa neoplasia mesenchimale in sede vescicale è eccezionale, infatti sino ad oggi sono stati descritti in letteratura soltanto altri 24 casi. Metodi Un paziente di 57 anni giunse alla nostra osservazione in seguito ad episodi di macroematuria e disuria. L’ecografia vescicale e la uretrocistoscopia indicarono la presenza di una neoformazione solida, sferica, del diametro di 6 cm situata in corrispondenza della parete postero-laterale destra della vescica. Il paziente venne sottoposto a resezione transuretrale. Risultati L’esame istologico mise in evidenza una neoplasia connettivale maligna della vescica ad elementi fusati con elevato in- PATOLOGIE VARIE dice mitotico. L’immunofenotipo caratterizzato dalla negatività immunoistochimica (IIC) per le citocheratine pool, l’α1 antichimotripsina e positività per il CD 68 fece escludere una diagnosi di carcinoma sarcomatoide deponendo per un istiocitoma fibroso maligno 1. Nel corso della stadiazione mediante TC furono riscontrate metastasi polmonari, linfonodali ed ossee. A distanza di 5 mesi dalla diagnosi, dopo un ciclo di chemioterapia con TAXOL e Gencitabina, il paziente decedeva per cachessia neoplastica. Discussione L’istiocitoma fibroso maligno della vescica è tra le più frequenti neoplasie mesenchimali dell’adulto, tuttavia, in sede vescicale è di rarissimo riscontro e ad oggi solo altri 24 casi sono stati riportati in letteratura. Dal punto di vista istologico ha un pattern di crescita simile al carcinoma sarcomatoide, la cui diagnosi va esclusa quan- 307 do viene accertata l'assenza di cellule epiteliali mediante IIC. Nella maggior parte dei casi riportati in letteratura l’indagine IIC non è stata eseguita è pertanto la diagnosi di carcinoma sarcomatoide non poteva essere esclusa del tutto. La terapia nelle forme organo confinate prevede la cistectomia radicale con radioterapia adiuvante, mentre in presenza di malattia metastatica la chemioterapia rappresenta l’unica opzione terapeutica anche se associata a risultati poco soddisfacenti. Conclusione L’istiocitoma fibroso maligno della vescica è una rara neoplasia, a prognosi infausta, la cui diagnosi definitiva può essere fatta soltanto dopo indagine IIC, che escluda la presenza di cellule epiteliali, patognomoniche, invece, di carcinoma sarcomatoide. Bibliografia 1 Hasui Y, et al. Urol Res 1991;19:69-72. INDICE DEI NOMI INDICE DEI NOMI Abbate A., 281 Aceto G., 230 Aiello F.B., 265 Airoldi I., 277 Alberti S., 187, 189 Albiero F., 229, 245 Alexiadis S., 259 Allavena A., 243 Alloisio M., 227 Altimari A., 196 Altomare V., 233 Amadori A., 277 Ambrosetti A., 286 Andreozzi S., 258 Angelini A., 195 Angelucci D., 167, 225, 235, 236, 285 Angrisani P., 297 Anniciello A.M., 241 Arena E., 265 Arena V., 242, 265, 266 Aretini P., 227 Arisio R., 225 Arizzi C., 227, 266 Arnoldi E., 270 Arrigoni A., 243 Artese L., 267, 292, 298 Ascione P., 219, 232, 257, 270, 286, 287 Ascoli V., 268, 269 Asioli A., 224 Assenza B., 298 Audi Grivetta M.A., 289 Avenia N., 261 Azzarone R., 291 Azzoni C., 248 Bacigalupo B., 296 Bacillo E., 215 Baggi F., 270 Balal A., 230 Baldacci M., 219, 232, 270, 286, 287 Baldi A., 235 Baldi F., 235 Balzarini P., 223, 237, 254 Banelli B., 277 Barassi F., 223, 234, 253 Barbareschi M., 230, 234 Barbera D., 243, 246, 275, 276 Barberis M., 243, 251, 259, 270 Barbieri F., 172 Barisella M., 270 Baron L., 242 Baroni C.D., 240, 252, 305 Baronio P., 237 Barresi G., 281 Barresi V., 281 Bartolini D., 273 Basile G., 243 Battista F., 230 Battistoni C., 291 Bellahcène A., 222 Bellezza G., 222, 234, 261 Bellò M., 260 Bellocci R., 167, 235, 236, 258, 301 311 Bellomi A., 290 Bellomo P.F., 245 Beltotti P., 242 Beltrami A.P., 185 Beltrami C.A., 185, 231, 287 Benech F., 225 Benedettini E., 196 Benedetto V., 281 Benetti A., 223, 237 Berardengo E., 224, 258 Berenzi A., 223, 237 Bergamin N., 185 Bergero N., 201 Bernardi A., 224, 258 Bernasconi P., 270 Bertalot G., 271 Bettelli S., 239 Bevilacqua G., 203, 227, 275 Bevilacqua P., 288 Bhakta V., 241 Bianchi A., 233 Bianchi G., 267 Bianchini F., 284 Bianciardi G., 272 Bifano D., 271, 278, 279 Biganzoli E., 190 Bigiani N., 238, 239, 272 Biunno I., 251 Boffa L., 296 Boggi U., 275 Bollito E., 215 Bonadio S., 289 Bonanno A., 243 Bondi A., 273 Bonelli L., 261 Bonetti F., 183, 229, 230, 274 Bonifacio D., 197 Bonin S., 203 Bono F., 247 Bonoldi E., 288 Bonucci M., 273, 274 Bonzanini M., 263 Boracchi P., 190 Bordi C., 241, 248 Borelli I., 243 Borgia L., 219, 232, 270, 286, 287 Bortesi L., 277, 293, 294 Borzomati D., 292 Bosari S., 170, 266 Boscaino A., 169, 249 Bosco D., 268 Bosco M., 225 Bottarelli L., 248 Bottecchia M., 185 Botti G., 220, 228, 249, 279 Bracarda S., 222 Bragantini E., 219 Brancone L., 230, 256 Brancone M.L., 235, 236, 285 Brenna A., 251, 259 Brighenti A., 276 Broccolo F., 251, 259 Brunelli F., 274 INDICE DEI NOMI 312 Brunelli M., 183, 219, 221, 254, 274, 277, 294, 295 Bucciarelli E., 222, 234, 261 Buccoliero A.M., 198, 200 Bufo P., 236, 255, 305, 306 Burelli S., 185 Burlo P., 257 Bussolati G., 225, 260, 263 Buttitta F., 164, 223, 230, 234, 253 Cagini L., 234 Calabrese F., 195 Caligo M.A., 227 Calista F., 303 Calistri D., 208 Callahan R., 234 Calorini L., 284 Calvisi G., 243, 275 Cama A., 230 Camacho F.I., 279 Camilot D., 231 Campani D., 223, 230, 275 Campanini N., 241, 248 Canavese G., 224 Candelaresi G., 224 Caneva A., 277, 294 Caniglia A., 306 Cannizzaro C., 219 Cannone M., 259, 270 Cantile M., 220 Capella C., 253, 289 Capelli A., 242, 265, 266 Capelli P., 294 Capodanno A., 227 Capodiferro S., 284 Cappia S., 201 Capurso G., 241 Carafa V., 249 Carbone A., 193, 282, 283 Cardillo I., 235 Carelli V., 244 Carinelli S., 228, 244, 285 Carli F., 261 Carlini P., 221 Carnevali I., 253 Carnovale-Scalzo C., 268 Carosi M.A., 291 Carrieri G., 306 Caruso R.A., 243, 244, 277 Casanova M., 270 Caserta C., 222 Casoria A., 235, 236, 256, 285 Cassandro G., 262 Cassina G., 251, 259 Cassoni P., 225, 260 Castellano I., 225, 260 Castellano P., 261 Castiglione F., 200 Castrataro A., 253 Castrilli G., 167, 225 Castronovo V., 222 Catalano M., 225 Cattaneo M., 285 Cavaliere A., 222, 234, 261 Cavallari V., 229, 245 Cavazza A., 238, 239 Cavazzini L., 246, 254 Cavone D., 236 Cazzavillan S., 288 Ceppa P., 247, 289 Cerasoli S., 273 Ceriolo P., 288 Cerutti R., 253 Cervelli C., 291 Cesselli D., 185 Chella A., 234, 253 Chiari S., 251, 259 Chiariello M., 293 Chilosi M., 237, 254, 274, 276, 286, 295, 305 Chimenz M., 277, 280 Chiodini P., 220 Chiominto A., 246, 276 Cianchetti E., 225 Cianciulli A.M., 177, 221, 291 Cicciarello R., 229, 245 Cillo C., 220 Cimmino A., 262, 297 Cindolo L., 220 Ciocci L., 240, 252, 298, 305 Cipollini G., 203 Ciranni R., 291 Cirilli C., 294 Citro G., 235 Ciuffetelli V., 243, 246, 275, 276 Cocuzza C.E., 251, 259 Coggi G., 171 Colasante A., 225, 235 Colella R., 234, 261 Coletti G., 276, 304 Collecchi P., 227 Collini P., 193, 270 Colombari R., 274, 294 Conte P.F., 172 Coppola R., 292 Cormio L., 306 Cornelio F., 270 Corsetti G.L., 273 Corsi F., 236, 255, 305, 306 Cortese S., 240, 252, 305 Corti B., 196 Cossu Rocca P., 183, 254, 277, 295 Costa G., 229, 245 Cozzaglio L., 266 Crisafulli C., 243, 280 Crnogorac-Jurcevic T., 241 Cucchi C., 224 Cuccurullo F., 223, 230, 234 Curcio M., 226 Curti T., 274 Cusatelli P., 226 Cusati P., 262 Cusimano A., 288 Cutrona G., 296 D’Adda T., 248, 280 d’Amati G., 244 D’Amore E., 288 INDICE DEI NOMI D’Angelo M., 220, 279 D’Antuono T., 167, 225, 277, 301 D’Armiento F.P., 241 D’Armiento M., 241 D’Aurizio F., 185 D’Egidio G., 256 D’Errico Grigioni A., 196 Dafaallah Awadelkarim K., 230 Dagrada P., 270 Daidone M.G., 193 Dainese E., 253 Dal Mas A., 302, 304 Dalfior D., 219, 221, 229, 230, 277 Dalla Palma P., 220, 234, 263 Damante G., 287 Danesi S., 264 Dardanoni G., 239 David E., 243 De Carli P., 221 De Caterina R., 293 De Chiara A., 228 De Dominicis E., 292 De Franco R., 276 De Giorgio F., 242, 266 De Luca M., 287 De Mattia D., 268 De Muro G., 252 De Ninno M., 282, 283 De Paola F., 264 De Renzo A., 279 De Rosa G., 279 De Santi M.M., 272 De Stefano N., 242 De Vincenzo R.P., 266 De Vito M., 243, 246, 275, 304 De Feo P., 261 Degidi M., 292 Dei Tos A.P., 225 Del Chiaro M., 275 Del Prato I., 227 Del Sordo R., 222, 234 Del Vecchio M.T., 272 Dell’Osa E., 258 Della Cioppa P., 228 Della Rocca C., 298 Delle Fave G., 241 Delsedime L., 243 Demichelis F., 220 Demurtas A., 257 Deriu G., 240, 252, 305 Dessanti P., 296 Dessy E., 223, 237 Destro A., 227, 266 Di Blasi A., 220 Di Bonaventura G., 256 Di Bonito L., 197 Di Bonito M., 226 Di Carlo E., 164, 277, 301 Di Costanzo G.G., 245 Di Cristofano C., 227 Di Francia R., 228 Di Franco M., 302 Di Gianvito D., 268 313 Di Gioacchino M., 230 Di Giorgi M., 239 Di Giovannantonio L., 167 Di Girolamo G., 256 Di Giulio C., 267 Di Iorio C., 301 Di Lorenzo N., 295 Di Loreto C., 231 Di Marino M.P., 235 Di Pasquale B., 304 Di Rito S., 246, 304 Di Tommaso L., 227, 266 Discepoli S., 274 Doglioni C., 254, 305 Donisi P.M., 295 Dono M., 296 Donofrio V., 271, 278, 279 Dranoff G., 265 Ducati A., 225 Dudine S., 197 Dulbecco P., 174 Durum S.K., 265 Eccher A., 219, 229, 230 Eldin Elwali N., 230 Elegibili E., 273 Elgaili E., 230 Errico M.E., 271, 278, 279 Esposito A., 257 Eusebi V., 188, 224 Facco C., 253 Falleni M., 171 Favre A., 250 Favret M., 271 Fazzari C., 243 Fedele F., 243 Fedeli F., 296 Federico P., 242, 266 Fedriga R., 264 Felicioni L., 223, 234, 253 Ferrarese S., 259 Ferrari A., 270 Ferrarini M., 296 Ferri I., 261 Ferro P., 296 Ferro S. 2 Feudale E., 220 Fiaccavento S., 200, 262 Ficarra G., 284 Ficarra V., 219, 221, 277 Ficorella C., 303 Fila C., 290 Filardo A.V., 301, 302 Filippini A., 293 Finato N., 185 Fiocca R., 174, 247, 288, 289 Fiorentino F., 228, 249 Fiorentino M., 196 Fioroni M.A., 291 Fogliano A., 219 Fontecchio G., 291 Formichelli F., 226 INDICE DEI NOMI 314 Fornaciari G., 291 Fornari A., 201 Fortunati N., 225 Foschini M.P., 224 Fossati-Bellani F., 270 Fouad T., 293 Franceschetti I., 277, 293 Franchi A., 284 Franchi G., 266 Franco R., 220, 228, 279 Francomano F., 258 Fresu G., 223 Funel N., 275 Furlan D., 253 Gaban A., 254 Gabusi E., 196 Gafà R., 246, 254 Gagliardi M.E., 229, 245 Galati R., 235 Galatioto S., 280 Galdi M., 297 Galetta D., 238 Gallo A., 220 Galloro P., 169 Gallucci M., 177, 221 Galzio R., 302 Gandolfo S., 257 Garagnani L., 239 Garbini F., 200 Garcia Parra R., 251, 259 Garrè C., 281 Gatta A., 255 Gatteschi B., 261 Gentile M., 238 Geppetti P., 284 Gerardi E., 197 Giannakakis K., 269 Giannico A., 296 Giannubilo W., 305, 306 Gianquinto D., 296 Giansanti M., 261 Giardina C., 262 Giordano C., 244 Giordano G., 280, 282 Giuffrè G., 281 Giustozzi G.M., 234 Gnetti L., 280 Gobbato M., 221 Gobbo S., 183, 254, 274, 295 Gorji N., 296 Grandi E., 254 Grigioni W.F., 196 Grigolato P., 223, 237 Grillo F., 247 Grillo L., 268, 281 Grosso E., 243 Gruppioni E., 196 Guerrieri A.M., 262 Guerriero M., 282, 283 Guerzoni L., 246, 254 Gugliotta P., 213 Gussio M., 258 Hadjmohammadi N., 302 Iacono A., 241 Ieni A., 244 Iezzi G., 292 Iezzi M., 168, 219, 232, 270, 286, 287 Inferrera C., 244 Ingravallo G., 262 Insabato L., 249 Iorio M., 279 Isola P., 227 Keller J.R., 265 Ketabchi S., 284 Kirchner T., 244 Kuhn E., 228, 244, 285 La Mura A., 245 La Vecchia F., 226 Labate A., 229, 245 Laise M., 279 Laise R., 228 Lambertenghi D., 302 Lanza G., 246, 254 Lapini A., 200 Larocca L.M., 282 Lasorda R., 187 Lattanzi W., 265, 266 Lattanzio G., 236, 285 Lattanzio R., 187 Lattanzio V., 262 Lattimore S., 241 Legrenzi L., 223 Lemoine N.R., 241 Leocata P., 243, 246, 276, 304 Leonardo C., 221 Leone B.E., 247 Leopizzi M., 298 Lestani M., 286 Liberati F., 302, 303 Liberati M., 257 Liberatore M., 219, 232, 258, 270, 286, 287 Liguori G., 220, 249, 279 Liverani M., 264 Lombardi G., 227 Longo F., 240 Longo M., 215 Losi L., 294 Losito S., 220 Loss R., 219 Lovadina P., 224, 258 Lucchi I., 273 Luparia P., 258 Luzi P., 272 Macri E., 254 Maestri I., 246, 254 Maggiore C., 266 Magnasco S., 236, 285 Magrini E., 224 Maiorana A., 238, 239 Maiorano E., 284 Maisano D., 250 INDICE DEI NOMI Maisto M.L., 261 Malpeli G., 305 Mammolenti G., 302 Mancini L., 273 Maneo A., 251, 259 Manfrin E., 229, 230, 293 Mangili F., 247 Mangioni C., 251, 259 Mantegazza R., 270 Marasà L., 232, 299, 300 Marchese L., 268 Marchetti A., 170, 223, 230, 234, 253 Marchioni A., 238 Marcon P., 185 Margaria E., 224 Mariani M.R., 296 Mariani-Costantini R., 230 Marinelli L., 268 Marini G., 263 Marino Marsilia G., 245 Mariotti M., 219, 232, 270, 286, 287 Mariotto R., 229 Mariuzzi L., 185, 287 Marsico A., 257 Martella C., 223, 234, 253 Martellani F., 197 Martignoni G., 183, 219, 221, 254, 274, 277, 294, 295 Martucciello G., 250 Marucci G.L., 188 Masci G., 227 Maselli F., 238 Masolini P., 185 Massi D., 284 Mastracci L., 174, 247, 288, 289 Matarrazzo M., 240, 305 Matis S., 296 Mattioli E., 236, 254 Mazzaferro V., 270 Mazzon E., 229 Mazzucchelli R., 164, 265, 304 Meazza C., 270 Melato M., 231 Melpignano M., 280 Menestrina F., 183, 219, 221, 230, 254, 274, 277, 286, 293, 294, 295, 305 Menicagli M., 275 Menin A., 288 Mercurio C., 291 Merola R., 177, 221, 279, 291 Mezzetti A., 223, 234 Micello D., 289 Micheletti M., 243 Midolo V., 266 Migaldi M., 238, 239, 272 Migone N., 243 Milione M., 241 Mina M.M., 295 Mioli P.R., 263 Miotto E., 246 Mira A., 239 Miracco C., 272, 284 Mistrangelo M., 260 Mobiglia A., 260 315 Mohamadani A., 230 Monaco R., 169, 245 Monego G., 265 Montagna L., 237, 276 Montironi R., 164 Montresor C., 262 Mora M., 289 Morandi L., 188 Morelli L., 220 Morenghi E., 227 Moroni M., 296 Moserle L., 277 Mucilli F., 253 Murgi F.V., 302 Musizzano Y., 174, 247, 289 Mussa A., 260 Musti M., 236 Naccarato G., 227 Napoli A., 262 Napoli P., 277 Napoli Nania P., 245 Nappi O., 169 Nardi F., 268 Navach V., 297 Navone R., 247 Nazzaro P., 236 Negri S., 290 Negrini M., 246 Negrini R., 271 Nenna R., 236 Nicita C., 239 Nicolin V., 231 Nicolosi A., 239 Nicòtina P.A., 250 Niedobitek G., 244 Nonaka D., 285 Nosotti M., 171 Novella G., 219, 221 Novellino L., 270 Nunnari M., 280 Nuzzo C., 298 Nuzzo F., 273 Oliveri C., 259 Onetti Muda A., 269 Orefice S., 227 Orlandi G., 177, 221, 291 Orsini T., 257 Ostuni G., 297 Pacchioni D., 263 Padolecchia E., 262 Pagetta E., 226 Pagliaro P., 290 Paglierani M., 200, 284 Pagliuca F., 249 Pagni F., 247 Pallotti F., 244, 285 Pandolfi M., 231, 287 Pannellini T., 219, 232, 270, 286, 287 Pannone G., 255 Panzuto F., 241 INDICE DEI NOMI 316 Paolizzi D., 223 Paparella A., 295 Papola F., 291 Papotti M., 200, 215 Paris I., 283 Parisi A., 219, 221, 277 Pasini B., 243 Pasquale M., 301 Pasquali C., 248 Passerini L., 270 Patarino R., 301, 302 Path F.R.C., 164 Patruno R., 254 Pea M., 183, 219, 254, 274, 277, 295 Pecciarini L., 254 Pedicillo M.C., 255 Pedron S., 237, 276 Pellegrinelli A., 193, 270 Pellegrinelli C., 171 Pellicciotta A., 167, 301 Pellini F., 229, 230 Pellizzari L., 287 Penco S., 281 Pennacchia I., 266 Pennella A., 236, 238 Pentenero M., 257 Perego P., 251, 259 Perrini P., 302 Perrone G., 233, 292 Perrotti V., 267, 292 Pession A., 188 Petrone G., 242, 292 Piacibello W., 184 Piantelli M., 187, 189, 219 Piattelli A., 267, 292, 298 Piazzola E., 293 Piccoli P., 237, 276 Piccolo A.M., 234 Piccolomini M., 235, 236, 256, 285 Pignochino Y., 184 Pigozzi S., 288 Pilotti S., 270 Pilozzi E., 241 Pippi R., 252 Pirini M.G., 196 Piris M., 279 Pistoia V., 277 Pivetta D., 287 Pizzi G., 243 Pizzi S., 248 Pizzicannella G., 293 Pizzicannella J., 293 Pizzocaro A., 266 Pizzoli G., 302 Pizzolo G., 286 Poletti V., 237 Pollice L., 236, 238 Pollina L.E., 275 Pollini G.P., 229, 230 Pompili E., 303 Postiglione M., 242 Prati F., 293 Puppato E., 185 Puxeddu E., 261 Quarto F., 242 Quattrocchi E., 243 Rabitti C., 233, 292 Ragazzini T., 224 Rago C., 195 Rahal D., 227 Ranazzi L., 268 Ranieri G., 254 Rapa I., 201 Raspollini M.R., 180, 200 Reggiani Bonetti L., 294 Reghellin D., 229, 230, 237, 294 Reichel M., 285 Remo A., 183, 229, 230, 286, 295 Remotti D., 269 Repetto L., 288 Riccardi M., 295 Ricci A., 302 Riccioni L., 273 Ricco R., 254, 262, 297 Ricevuto E., 303 Righi L., 263 Righi M., 277, 280 Rigo S., 185 Riminucci M., 186 Rindi G., 178, 215, 248 Risio M., 178 Rispoli F., 259 Riva C., 253, 289 Rizzardi C., 231 Rizzo P., 281 Rocca Rossetti S., 163 Rocco M., 271, 278, 279 Rodriguez J., 285 Romagnoli S., 171 Romano G., 304 Romano M.R., 296 Roncalli M., 176, 205, 227, 266 Roncella S., 296 Rosai J., 283, 285 Rosas R., 215 Rosini S., 198, 256, 257, 258, 265 Rossi E., 223, 237, 277 Rossi E.D., 273, 274 Rossi G., 238, 239, 272 Rossi S., 180 Rostan I., 257 Roz E., 251, 259 Rubini C., 292 Rubino A., 227 Rubino I., 284 Rucco V., 294 Ruggieri E., 254 Runza L., 228, 244 Russo R., 249, 297 Sabbioni S., 246 Sacco R., 227, 253 Saggiorato E., 201 Sagramoso C., 219 Sagramoso C.A., 263 Sale P., 244 Saltarelli S., 275, 304 INDICE DEI NOMI Salvatore S., 223, 234, 253 Salzano L., 220 Sanguedolce F., 297 Santambrogio L., 171 Santini D., 233, 292, 294 Santoro A., 227 Santucci M., 284 Sapino A., 213, 225, 263 Saragoni L., 264 Sardella B., 298 Saro F., 231, 287 Sarra M., 303 Sartori G., 238, 239, 272, 294 Sauter G., 249 Savarino V., 174 Scalia M.G., 301, 302 Scarano A., 298 Scarinci A., 301 Scarpa A., 274, 295, 305 Scarpellini F., 273 Scarselli E., 273 Scattone A., 236, 238 Schirosi L., 238, 239, 272 Schneider M., 231 Sciacca M.P., 277 Sciacchitano S., 281 Scibetta N., 232, 299, 300 Scondotto S., 239 Sebastiani M., 244 Sentinelli S., 177, 221 Serafini F.M., 283 Serio G., 236, 238 Sessa F., 289 Sessa S., 258 Siciliano P., 274 Sidoni A., 222, 234, 261 Sioletic S., 266 Siopis E., 294 Sisto F., 297 Sorrentino C., 277, 301 Spaggiari P., 174, 247, 288 Spagnoli L.G., 192 Spina B., 261 Spina D., 272 Spizzo R., 219, 232, 270, 286, 287 Spugnini E.P., 235 Squillaci S., 302 Stabile E., 293 Staiano M., 226 Staiano T., 241 Staibano S., 279 Stanta G., 203 Starrantino M., 277 Stigliano E., 242, 265, 266 Storti S., 282 Stracca-Pansa V., 295 Stuppia L., 208 Sulpizio C., 219, 232, 270, 286, 287 Taddei G.L., 198, 200 Tallarigo F., 301, 302 Tanara G., 261 Tancredi M., 227 317 Tapia C., 249 Tardanico R., 254 Tatangelo F., 249 Tatasciore U., 225, 258 Terracciano L., 249 Tironi A., 237 Tolve I., 306 Tomassini F., 291 Tonini G., 233, 292 Tornillo L., 249 Torri E., 273 Tozzini S., 296 Tranfa F., 279 Travaglini C., 244 Travaglini P., 266 Trentini G.P., 238, 239, 272, 294 Trerotola M., 189 Trezzi R., 247 Tripepi M., 281 Trombetta G., 280 Trovato M., 281 Truini M., 261 Tuccari G., 281 Tumino R., 239 Ubiali A., 223 Vacca F., 254 Vacca G., 189 Valente M., 195 Valentino M.L., 244 Valle M., 215 Vecchione A., 241 Venerucci F., 250 Ventre F., 241 Ventura L., 291, 302, 303, 304 Ventura T., 303 Venturini C., 192 Verdina A., 235 Verzì A., 292 Veschi S., 230 Vico E., 177, 221, 291 Vignolini G., 200 Villari D., 250 Viltadi M., 251, 259 Vincenzi B., 233, 292 Visci P., 257 Vitale A.R., 243, 246, 275 Vitarelli E., 281 Vitolo D., 240, 252, 305 Vittorio R., 219 Vizzino M., 257 Volante M., 201, 215, 263 Vurro L., 236 Zaccaria M., 262 Zagami M., 233 Zamò A., 237, 276, 286, 305 Zamparese R., 236, 255, 305, 306 Zanconati F., 197 Zannoni G.F., 283 Zanotti R., 286 Zappacosta B., 235, 256, 285 INDICE DEI NOMI 318 Zappacosta R., 214, 235, 236, 256, 257, 258 Zentilin F., 287 Zimarino M., 293 Zito F.R., 254 Zorzi F., 262 Zorzi M.G., 221 dghdh dghdh