Stratificazione sociale e istruzione

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Capitolo 5
capitolo
5
L’analisi del territorio nella programmazione degli interventi di sviluppo agricolo
Stratificazione sociale
e istruzione
Oltre ai dati relativi alla condizione professionale e alla partecipazione al mercato del lavoro, i caratteri socio-economici di una popolazione possono essere
analizzati anche in rapporto alla distribuzione degli individui e delle famiglie
nelle diverse posizioni socio-professionali. Gli indicatori proposti in questo
capitolo riguardano per l’appunto tale distribuzione, rientrando nell’ambito
tematico più generale della stratificazione e della mobilità sociale.
a proposito di stratificazione sociale
Tutte le società complesse si contraddistinguono per una distribuzione
ineguale delle risorse tra i gruppi di individui che le compongono. Le risorse rispetto alle quali si generano posizionamenti sociali differenziati sono
sia di tipo materiale (beni e risorse finanziarie), sia di tipo immateriale
(potere, autorità, prestigio, istruzione, competenze professionali). A
seconda dell’ammontare e del tipo di risorsa controllata, a ciascun individuo o gruppo familiare viene riconosciuta una determinata posizione, l’appartenenza a uno strato sociale. L’insieme degli strati, e l’ordinamento
gerarchico a essi assegnato, identifica quella che viene definita stratificazione sociale.
Dal momento che esistono risorse diverse in grado di influenzare il posizionamento sociale degli individui, la stratificazione sociale non deve considerarsi in modo univoco. A seconda delle risorse sulle quali ci si focalizza, si ottiene una diversa composizione della stratificazione sociale. I due
criteri usualmente richiamati sono quelli relativi alla classe sociale e al
ceto. La classe sociale è identificata in relazione al posizionamento che i
gruppi di individui hanno in rapporto ai mezzi di produzione. Il ceto viene
invece definito come una forma di raggruppamento rispetto alla distribuzione del prestigio connesso all’appartenenza ad uno status o gruppo professionale.
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Classe e ceto, comunque, sono a volte utilizzati come sinonimi. In un’accezione più ampia, e con significati che per alcuni versi si sovrappongono
a quelli di ceto, il concetto di classe viene anche utilizzato per richiamare
la collocazione degli individui in rapporto alla posizione professionale,
secondo una gerarchia che identifica ai vertici una classe composta da
dirigenti, imprenditori e professionisti e alla base gli operai, i contadini, i
lavoratori non qualificati. La parte centrale, costituita da un insieme composito di professioni intermedie, corrisponde invece a quella che viene
indicata come classe media, che nelle economie capitalistiche avanzate,
caratterizzate da uno sviluppo crescente del settore dei servizi, assume
un ruolo sempre più preponderante.
Per la stretta connessione esistente tra i fenomeni, agli indicatori più specificamente attinenti il posizionamento socio-professionale affianchiamo quelli relativi all’istruzione. Istruzione e professione, in effetti, sono due fenomeni che presentano correlazioni abbastanza significative, nel senso che l’una rappresenta
una condizione importante, se non determinante, dell’altra. A un livello di istruzione elevato, cioè, corrisponde ancora un posizionamento socio-professionale
generalmente superiore. Non si tratta di una corrispondenza sempre verificata,
ma certamente ricorrente, del resto condizionata dal fatto stesso che alcune
professioni richiedono il possesso di adeguati titoli di studio.
Dal nostro ambito di interesse, invece, escludiamo gli indicatori relativi alla
distribuzione delle risorse materiali. Ciò per due ragioni. In primo luogo perché le fonti statistiche a tal proposito risultano incomplete, riguardando solo
alcune componenti della ricchezza, oltretutto rilevate solo in modo approssimativo.
In secondo luogo, perché i dati sono spesso disponibili soltanto a un livello territoriale sovracomunale, oppure derivano da procedure di stima utili piuttosto a
stabilire differenziazioni territoriali nei livelli di benessere.
Gli indicatori proposti, dunque, rispondono soltanto parzialmente alla funzione di rappresentazione, della stratificazione sociale, che resta un fenomeno
più complesso, la cui descrizione richiede molteplici strumenti di rilevazione
e misurazione.
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5.1 La posizione nella professione
Nell’analisi della stratificazione sociale, una prima grande ripartizione può
essere operata sulla popolazione occupata, distinguendo il tipo di posizione
professionale in rapporto al grado di autonomia nell’espletamento delle proprie mansioni.
Sono da considerarsi in posizione di maggiore autonomia gli imprenditori, i
liberi professionisti, gli artigiani e i lavoratori in proprio. Assimilate alle posizioni delle professioni autonome sono anche quelle dei soci di cooperative e
dei coadiuvanti, benché per queste due posizioni professionali possono di
fatto esistere situazioni di autonomia ben diverse, a volte tendenti piuttosto
verso posizioni più simili al lavoro dipendente.
Nel raggruppamento delle posizioni professionali dipendenti ritroviamo in
ordine gerarchico i dirigenti, i direttivi e i quadri, gli impiegati e gli altri lavoratori dipendenti: tecnici, operai, braccianti, personale non qualificato. A
parte il rapporto formale di dipendenza, nelle imprese o nelle istituzioni, la
condizione di autonomia associata a ciascuna di queste posizioni è comunque
diversa, a seconda del livello di responsabilità riconosciuto alla specifica professione, e a seconda del settore d’occupazione considerato.
Fig. 14 - Mappa delle posizioni nella professione
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versus
LAVORO
DIPEN DENT E
Aspetti
sostanziali
LAVORO
AUTONOMO
LAVORO
AUTONOMO
Aspetti formali
Imprenditori
versus
LAVORO
DIPENDENTE
Dirigenti
Liberi professionisti
Lavoratori in proprio
Direttivi e quadri
Soci di cooperative
Coadiuvanti
Impiegati
Altri lavoratori
dipendenti
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Facendo riferimento a questa distinzione in macro categorie, un primo indicatore utile alla descrizione della struttura socio-professionale è il tasso di concentrazione del lavoro autonomo. Nella definizione che qui proponiamo, esso
equivale al rapporto percentuale tra l’insieme degli occupati nelle posizioni
professionali di imprenditori, liberi professionisti e lavoratori in proprio, e il
totale degli occupati presenti nel territorio considerato. Utilizzato nel confronto tra contesti sociali diversi, questo indicatore permette di evidenziare eventuali differenze nella localizzazione di quelle professioni autonome che generalmente segnalano la presenza di un’economia locale più dinamica e meno
dipendente. Varianti di questo indicatore si ottengono modificando di volta in
volta la composizione delle professioni autonome prese in considerazione,
ossia restringendo o ampliando il loro numero a seconda dei criteri distintivi
identificati come più rilevanti.
Rispetto alle altre posizioni professionali, un secondo indicatore significativo
è rappresentato dal tasso di concentrazione del ceto medio. Esso misura l’incidenza di tutte quelle categorie professionali intermedie, tra le quali rientrano: i direttivi e quadri, gli specialisti e i tecnici, i dipendenti in posizioni esecutive relative all’amministrazione e alla gestione.
Infine, per le posizioni professionali collocate più in basso nella scala sociale,
l’indicatore cui fare riferimento è il tasso di concentrazione del lavoro dipendente non impiegatizio. Questo indicatore equivale al rapporto percentuale tra
gli occupati che nei censimenti della popolazione sono classificati come “altri
lavoratori dipendenti” e il totale degli occupati. Esso in particolare permette
di valutare l’incidenza di quegli strati sociali corrispondenti alle professioni
esecutive nel campo delle vendite e dei servizi alle famiglie, oltre che tutte
quelle posizioni assimilabili alla forza lavoro operaia, specializzata e non specializzata.
Nell’applicazione di questi indicatori, comunque, è necessario prestare attenzione alla significatività delle aggregazioni proposte, tenuto conto che la stessa distinzione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente identifica raggruppamenti professionalmente disomogenei, le cui componenti si collocano in modo
diverso all’interno della stratificazione sociale. Le diverse posizioni professionali, cioè, non implicano condizioni necessariamente simili rispetto ad altri
criteri distintivi della stratificazione sociale quali il reddito, l’istruzione, lo status, la posizione di classe.
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Il quadro d’insieme della stratificazione socio-professionale che si ricava dall’applicazione degli indicatori sopra proposti può essere meglio interpretato
se analizzato anche in rapporto al settore di attività economica. Questa ulteriore informazione è resa disponibile attraverso i censimenti della popolazione con riferimento alla ripartizione operata dall’Istat tra agricoltura, industria
e altre attività.
Con riferimento a questa ripartizione è possibile calcolare l’insieme degli indicatori sull’occupazione ottenendo un quadro della distribuzione della popolazione in condizione professionale rispetto alla struttura del sistema produttivo locale. L’incidenza percentuale degli occupati nei tre macro settori è uno
degli indicatori più comunemente usati - oltre che per sintetizzare le caratteristiche del sistema economico locale - per evidenziare caratteri generali della
composizione socio-professionale. Così, un valore relativamente elevato rispetto alla media del contesto di riferimento - dell’incidenza degli occupati
in agricoltura, può essere interpretato come significativo di un certo tipo di
composizione sociale, oltre che di una caratterizzazione rurale dell’economia
locale.
L’Istat, oltrettutto, rende disponibili i dati sulla distribuzione della popolazione attiva nei tre macro settori di attività incrociandoli con i dati sulla distribuzione della popolazione per posizione nella professione. Ciò rappresenta un
grande vantaggio ai fini dell’analisi della stratificazione socio professionale in
quanto permette di verificare eventuali differenze nella distribuzione delle
diverse posizioni professionali in rapporto a ciascun settore preso singolarmente. Così è possibile riconoscere, ad esempio, che un valore elevato del
tasso di concentrazione del lavoro autonomo è determinato in misura prevalente dal settore agricolo, riconducibile alla diffusa presenza di famiglie contadine. Oppure che il tasso di concentrazione del ceto medio è associato principalmente al settore dei servizi, il che può segnalare la presenza di una stratificazione di status sociali prodottasi per effetto della diffusione del pubblico
impiego e di una concentrazione dei servizi, situazione questa tipica dei centri urbani maggiori.
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Fig. 15 - Indicatori relativi alla posizione nella professione
Totale
occupati
Imprenditori, liberi
professionisti e
lavoratori in proprio
Dirigenti, direttivi,
quadri e impiegati
Altri lavoratori
dipendenti
Tasso di
concentrazione del
lavoro autonomo
Tasso di
concentrazione del
ceto medio
Tasso di
concentrazione del
lavoro dipendente
non impiegatizio
5.2 Il livello di istruzione
Il livello di istruzione della popolazione rappresenta l’altro aspetto sul quale
focalizzare la definizione di indicatori utili alla ricostruzione della stratificazione sociale. Alcuni di essi sono già codificati e trovano un uso frequente
nelle analisi sociali.
Tra questi vi è in primo luogo il tasso di analfabetismo. Esso corrisponde al
rapporto percentuale tra la popolazione completamente analfabeta e il totale
della popolazione residente con età uguale o superiore ai sei anni. Si tratta di
un indicatore utile ancora oggi, nonostante il tasso di scolarizzazione della
popolazione si sia progressivamente innalzato in tutto il paese. Esso permette infatti di identificare le aree locali socialmente più marginali, dove un analfabetismo diffuso può essere significativo della presenza di una popolazione
anziana che in gioventù ha avuto scarse possibilità d’accesso all’istruzione,
ma anche di situazioni di disagio e povertà sociali che interessano la stessa
popolazione appartenente alle classi d’età intermedie.
Passando a considerare la distribuzione della popolazione per titolo di studio
conseguito, un secondo indicatore di uso abbastanza comune è il tasso di conseguimento della sola scuola dell’obbligo, che equivale al rapporto percentuale tra il numero di persone che hanno conseguito il titolo di scuola media e la
popolazione totale con oltre 13 anni.
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Per ciascun livello di istruzione, è poi possibile calcolare la consistenza della
popolazione che ne è in possesso, ottenendo i corrispondenti tassi di conseguimento dei titoli di studio, indicati anche come tassi di scolarità scegliendo,
di volta in volta, a quale insieme più ampio della popolazione commisurare
tale consistenza. Piuttosto che calcolare l’incidenza sul totale della popolazione residente, comunque, risulta più significativo stabilire il rapporto che esiste tra la popolazione in possesso di un determinato titolo di studio, e la popolazione che abbia l’età minima per possedere quel titolo.
Tra questi indicatori segnaliamo in particolare il tasso di conseguimento dell’istruzione superiore, che equivale al rapporto tra la popolazione in possesso di
diploma o laurea, e la popolazione da 18 anni in su. Similmente a quanto
osservato per il tasso di analfabetismo, questo indicatore è particolarmente
utile a riconoscere situazioni di concentrazione di alcune categorie sociali, fornendo indicazioni per l’analisi sia della stratificazione sociale, sia del sistema
socio-economico locale.
Un indicatore che riassume globalmente l’impegno temporale medio dedicato
all’istruzione è infine il numero medio di anni di istruzione. Si tratta di un indicatore molto interessante in quanto sintetizza la distribuzione della popolazione per titolo di studio, ponderandola sulla durata media necessaria ad ottenere il titolo stesso. Esso si applica sulla popolazione in età dai 6 anni in poi,
ma potendo disporre dei dati incrociati della popolazione per classi d’età e
grado di istruzione, risulta più significativo se applicato sulla popolazione con
oltre 13 anni. Il suo calcolo risulta relativamente più elaborato rispetto agli
altri indicatori applicabili per l’analisi del livello di istruzione della popolazione, ma questo indicatore ha il vantaggio di ridurre a un’unica misura comparabile una distribuzione che altrimenti richiede un’analisi disaggregata per
ciascun titolo di studio conseguito.
Questi indicatori possono inoltre essere applicati distinguendo la popolazione
maschile e femminile. Si tratta di una distinzione importante perché in alcuni
contesti locali, soprattutto con riferimento alla popolazione meno giovane, è
possibile riscontrare una forte disparità di genere nella distribuzione della
popolazione per grado di istruzione, disparità che ha poi connessioni con il
tipo di inserimento sul mercato del lavoro.
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Fig. 16 - Indicatori relativi al livello di istruzione della popolazione
Popolazione
analfabeta
Popolazione
da 6 anni
in poi
Popolazione
con titolo superiore
(diploma o laurea)
Popolazione
con titolo di
licenza media inferiore
Tasso di
analfabetismo
Popolazione
da 13 anni
in poi
Popolazione
da 18 anni
in poi
Numero medio di anni di istruzione
Tasso di
conseguimento della
scuola dell’obbligo
Tasso di
conseguimento
dell’istruzione superiore
5.3 La scolarizzazione
Gli indicatori relativi al livello di istruzione che abbiamo preso in considerazione riguardano l’insieme delle generazioni sopra una certa età. Essi si riferiscono, pertanto, sia ai giovani ancora impegnati nei corsi di studio, sia alle
generazioni precedenti. Volendo valutare il livello di scolarizzazione, cioè la
frequenza dei corsi di studio da parte della popolazione più giovane, quegli
stessi indicatori andrebbero calcolati sulla sola popolazione residente appartenente alle classi d’età interessate al ciclo di studio considerato. Ciò permette di focalizzare l’attenzione sulle dinamiche più recenti dell’accesso all’istruzione e sugli eventuali mutamenti in atto rispetto alla stessa stratificazione sociale.
A questo scopo c’è oltretutto da segnalare che la fonte di informazione non è
più solo quella dei censimenti della popolazione, bensì quella del Ministero
della Pubblica Istruzione, che raccoglie annualmente i dati sulle iscrizioni e i
conseguimenti dei titoli relativi a ciascun ciclo di studi, partendo dalle rilevazioni operate negli istituti scolastici e nelle sedi universitarie distribuite sul
territorio.
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Da questi dati, pubblicati periodicamente dall’Istat, è possibile ricavare alcuni significativi indicatori, tra i quali sono da segnalare i tassi di scolarizzazione, equivalenti al rapporto percentuale tra gli iscritti a ciascun ciclo di studi
(elementare, media inferiore, media superiore) e la popolazione appartenente
alla classe d’età corrispondente. Questi indicatori, e in particolare quelli relativi alla scuola primaria (elementari e medie inferiori), servono anche a riconoscere eventuali fenomeni di abbandono scolastico o di emarginazione
socio-culturale. Allorché, infatti, il valore assunto dall’indicatore si discosta in
modo sensibile da 100 si è probabilmente in presenza di situazioni di disagio
sociale diffuso, che si traduce o in un numero relativamente elevato di ripetenti, o in un numero relativamente elevato di assenze dei ragazzi in età della
scuola dell’obbligo. Questi fenomeni sono d’altra parte misurabili anche utilizzando i dati Istat relativi agli esiti delle iscrizioni scolastiche, tra cui, appunto, i dati sugli abbandoni.
Il tasso di abbandono, calcolabile per ciascun ciclo di studio, sarà allora uguale al rapporto percentuale tra il numero di abbandoni registrati sugli studenti
iscritti, e il numero complessivo degli iscritti.
Nel ricorrere a questo tipo di indicatori c’è però da tener presente che i dati
sugli iscritti a ciascun ciclo di studi non riguardano perfettamente la popolazione residente nei comuni considerati, bensì gli allievi degli istituti ivi localizzati. La non corrispondenza tra luogo di residenza e luogo di studio della
popolazione studentesca è rilevante soprattutto nel caso degli istituti di istruzione secondaria, mentre è generalmente marginale per gli istituti della scuola dell’obbligo.
Un ultimo indicatore cui fare riferimento è il tasso di passaggio, equivalente al
rapporto percentuale tra i giovani che proseguono gli studi al ciclo successivo in rapporto al totale degli studenti che hanno concluso quello precedente.
Gli indicatori più utilizzati in tal senso sono il tasso di passaggio dalla scuola
dell’obbligo alle scuole superiori e quello dalla scuola superiore all’università.
Ai fini dell’analisi di situazioni locali circoscritte a territori sovracomunali, tuttavia, questo indicatore è applicabile soprattutto per valutare il passaggio
dalle scuole elementari a quelle medio-inferiori, in quanto per i dati relativi
alle iscrizioni alle scuole superiori e all’università resta il problema della non
corrispondenza tra luogo di residenza e luogo di studio della popolazione studentesca.
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Capitolo 5
Fig. 17 - Indicatori relativi alla scolarizzazione
Iscritti alle
scuole elementari
e medio-inferiori
Popolazione
da 6 a 13 anni
Licenziati
della scuola
elementare
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Iscritti al
primo anno
della scuola media
Tasso di
scolarizzazione
primaria
Tasso di
scolarizzazione
secondaria
Popolazione
da 14 a 18 anni
Abbandoni tra gli
iscritti alle scuole
elementari e medie
Iscritti alle
scuole secondarie
Tasso di
abbandono nella
scuola dell’obbligo
Tasso di passaggio
dalla scuola element.
alla scuola media inf.
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