SoSpendere la produzione di peSche? Ma poi coSa facciaMo?

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EDITORIALE
Sospendere la
produzione di pesche?
Ma poi cosa facciamo?
Colgo l’occasione di questa proposta lanciata da
UNAPROA (Unione Nazionale dei Produttori
Ortofrutticoli) per condividere alcune riflessioni con
i nostri lettori, relativamente a questo caso gravissimo
ma rappresentativo del comparto ortofrutta “fresco”.
Ricordiamo che l’Italia, con oltre 1,5 milioni di
tonnellate di produzione, è il leader europeo e la
peschicoltura coinvolge economie e paesaggi di molte
regioni italiane, come riportato da numerosi articoli
di Karpòs.
Analizziamo prima di tutto ciò che propone
UNAPROA in un suo comunicato: “Ciclicamente
ci troviamo a fronteggiare problemi del settore, ma
quest’anno la campagna è particolarmente sotto tono,
con prezzi inferiori al 40%. Caduta delle quotazioni
dovuta ad una complessa congiuntura di fattori
(decremento dei consumi, circostanze climatiche, forte
deperibilità del prodotto, crisi economica). Risultato
è un prezzo pagato al produttore inferiore al costo di
produzione e che non coincide con un abbassamento
del prezzo per il consumatore finale, che si mantiene
alto e non proporzionale al valore d’acquisto pagato al
produttore. Sono totali oneri del produttore i costi che
garantiscono al consumatore salubrità e sicurezza del
prodotto, mentre l’onore di questa eccellenza viene
del tutto incassato dal distributore che, a suo esclusivo
vantaggio, ne fa leva di marketing verso l’acquirente”.
Devo dire che, se prendiamo per buone le considerazioni
sopra riportate, l’idea di sospendere la produzione di
pesche rappresenta una soluzione estrema ma anche
terribilmente umana. E’ immaginabile una economia
che costringa il produttore ad avere costi superiori
ai benefici? Evidentemente no! Ma sarebbe da
sonnambuli ridurre la questione solo alla asimmetrica
ripartizione dei ricavi tra produttori e distributori.
A mio avviso esiste anche un problema insidioso
legato a ciò che potremmo definire “l’impatto
della percezione del consumatore sulla qualità del
prodotto”. Perché a livello di consumo registriamo
una netta caduta della “soddisfazione” dei clienti?
Evidentemente, tanto per usare un linguaggio
semplice, le pesche non sono percepite come “buone”,
“salutari” etc. Perché la gente non le mangia più?
Cosa dobbiamo fare per trasformare il loro consumo
in una esperienza positiva?
Vi propongo di riflettere su queste quattro idee
risolutrici:
Ritrovare la fiducia del cliente (o la cultura del cliente):
non intendo prioritariamente il buyer della GDO o il
Renzo Angelini
Direttore editoriale
distributore bensì il consumatore che, acquistando una
pesca, si aspetta una qualità intesa come gusto e non
come semplice rispondenza a disciplinari, protocolli,
rintracciabilità ecc., che rendono i costi insostenibili
senza dare una percezione di valore a chi acquista.
Razionalizzare e finalizzare a questo obiettivo le
varietà ed il percorso di filiera, per garantire la qualità
percepita, sono punti inderogabili.
Promuovere una cultura di marca o di brand che
permetta al consumatore di riconoscere e associare
la qualità percepita negli acquisti precedenti, per
confermare o evitare quella offerta. Chi ha deciso che
le pesche possono essere solo commodity?
Rivalutare il legame con il territorio (IGP e DOP): i
nostri produttori, destinatari per anni di ingenti fondi
europei, stanno perdendo la loro visibilità per garantire
al distributore di approvvigionarsi unicamente in base
al prezzo di acquisto. Ribaltare l’attuale soffocamento
significherebbe “premiare” le produzioni nazionali
informando il consumatore che quell’acquisto è più
sostenibile (risparmio di risorse) e può aiutare la
ripresa economica.
Infine, occorrerebbe una decisa azione per favorire
l’aggregazione della offerta e della comunicazione,
superando i campanilismi, le settorializzazioni, le
distinzioni che hanno contribuito a creare questa
situazione.
L’efficacia del mio punto di vista quindi dipende
dall’integrazione delle quattro decisioni che vi ho
brevemente descritto. L’obiettivo finale deve essere la
trasformazione del consumo di pesche e ortofrutta in
una esperienza di piacere. E quando parlo di piacere
intendo la necessaria fusione tra il gusto estetico e il
benessere psico-fisico. Infatti mi piace ricordare che
la posta in gioco di tutta questa faccenda è superiore
ai pur importanti fattori economici. Consumare frutta
fa star bene gli individui e di conseguenza migliora il
capitale umano del nostro Paese.
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