CRONOGRAMMI SEZIONE QUARTA ROSMINIANA 6 Direttori Paolo Armellini “Sapienza” Università di Roma Angelo Arciero Università degli Studi “Guglielmo Marconi” Comitato scientifico Nicola Antonetti Università di Parma Maria Sofia Corciulo “Sapienza” Università di Roma Francesco Maiolo Università di Utrecht Andrej Marga Università Napoca–Cluji, Romania Gaspare Mura Urbaniana, Roma Philippe Nemo European School of Management, Parigi Rocco Pezzimenti Lumsa, Roma CRONOGRAMMI SEZIONE QUARTA ROSMINIANA Ispirandosi all’arte di istituire, all’interno di una frase latina, una corrispondenza tra lettere e numeri in grado di rimandare a uno specifico evento temporale (e, per estensione, alla costruzione di una correlata dimensione spaziale) la collana “Cronogrammi” intende offrire, a studiosi, personalità della politica e lettori interessati ai problemi della vita comunitaria, una serie di monografie, saggi e nuovi strumenti critici aperti a una pluralità di linee interpretative e dedicati a temi, questioni, figure e correnti del pensiero politico. La consapevolezza del complesso e, talvolta, controverso rapporto fra verità e storia costituisce, in tale prospettiva, il presupposto di un approccio critico concepito come una riflessione sul pensiero occidentale incessantemente attraversato da problemi e situazioni che coinvolgono al massimo grado la dimensione della politica sia nella sua fattualità empirica, sia nella sua normatività razionale. Le diverse sfere della convivenza umana hanno da sempre imposto alla politica di affrontare e risolvere (attraverso la decisione o la teorizzazione intellettuale) il nesso spesso ambiguo fra la ragione, il bene comune, l’universalità dei diritti e l’insieme degli interessi individuali e collettivi. Questo insieme di relazioni ha sollecitato pensatori, personalità politiche e osservatori sociali a disegnare una pluralità di modi diversi di regolare l’attività politica, presente sia nella società civile, sia nella sfera istituzionale, in modo da scorgere un terreno di differenziazione e di convergenza fra la forza legittima della decisione e la ragione dell’esattezza legale, tenendo conto della distinzione e a un tempo dell’indissociabilità dell’astrattezza normativa con la molteplicità degli interessi in gioco nella ricerca del consenso. Le distinte sfere della noumenicità della giustizia e della fenomenicità dell’utilità, sempre finalizzate alla felicità della persona e della comunità, hanno presentato nella storia dell’uomo diversi gradi di approssimazione e vicinanza che corrispondono anche alla formulazione dell’estesa quantità di teorie politiche, antiche e moderne. Per questo motivo “Cronogrammi” si propone di offrire un quadro critico, sia dal punto di vista filologico che ermeneutico, della geostoria del pensiero politico affrontando i suoi diversi volti ideali, storici e istituzionali. La sezione “Politica, storia e società” comprende studi e monografie dedicati all’analisi del percorso dialettico e diacronico di pensatori, correnti e personalità politiche affermatesi in Occidente, sulla base di una duplice prospettiva, dell’analisi dottrinale e della concreta realtà storico-politica, che tenga sempre conto del nesso fra teoria e prassi. La sezione “Testi e antologia di classici” è dedicata alla pubblicazione di opere (in particolare inedite o rare), traduzioni e antologie dei grandi pensatori della storia e delle principali ideologie, corredate da aggiornate introduzioni e commenti critici di studiosi e specialisti che ne mettano in rilievo prospettive stimolanti e originali. La sezione “Protagonisti e correnti del Risorgimento” intende valorizzare, nell’attuale contesto internazionale di studi politici e sociali e a fronte della mutevolezza delle circostanze storiche, l’idea di una ricorrente centralità di valori, in linea con la presenza nella storia di una philosophia perennis, che i diversi politici, pensatori e storici (dal Rinascimento al Risorgimento, dal Barocco all’Illuminismo), hanno espresso nei loro studi insistendo sulla specificità di una storia italiana mai disgiunta dal contesto europeo. La sezione “Rosminiana” intende pubblicare studi e ricerche sul pensiero teologico e politico di Antonio Rosmini Serbati e sulla relativa storiografia, che a partire dall’Ottocento e passando per tutto il Novecento, ha fatto risaltare l’originalità di questo pensatore, la cui fedeltà al cattolicesimo ha contribuito a rinnovare il nesso fra tradizione e innovazione alla luce dell’eterno problema del rapporto fra fede e ragione e in vista della difesa della persona contro ogni forma di dispotismo. Il bello dell’insieme Per una educazione enciclopedica a cura di Elena Mannucci Giorgio Salzano Contributi di Andrea Annese Paolo Armellini Mauro Bontempi Giovanni Franchi Giuseppe Ignesti Oronzo Labarile Elena Mannucci Domenico Mariani Giorgio Salzano Samuele Francesco Tadini Copyright © MMXIV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (RM) (06) 93781065 isbn 978-88-548-7382-7 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: luglio 2014 Indice 9 Introduzione Parte I Uno sguardo d’insieme 17 Ontologia e antropologia allo specchio Giorgio Salzano 49 La filosofia di Rosmini tra conoscenza, morale e storia Paolo Armellini Parte II Teosofia e Teodicea 79 La novità della Teosofia rosminiana Samuele Francesco Tadini 95 La Teodicea di Antonio Rosmini Domenico Mariani Parte III Verbo di bellezza 139 Cristo–Verbo nel pensiero estetico rosminiano Andrea Annese 163 Manzoni rosminiano Elena Mannucci Parte IV Pedagogia 187 Linee di pedagogia rosminiana Domenico Mariani 205 Educazione e fede Oronzo Labarile 7 8 Indice 231 Il rinnovamento pedagogico della Chiesa sulla base dei Santi Padri nel pensiero di Rosmini Giuseppe Ignesti 255 La libertà di insegnamento Oronzo Labarile Parte V Economia e politica 283 Antonio Rosmini maestro di economia: dall’utilità all’appagamento Mauro Bontempi 301 Problemi di etica della cultura in Rosmini Giovanni Franchi 323 Bibliografia Il bello dell’insieme ISBN 978-88-548-7382-7 DOI 10.4399/97888548738271 pp. 9-14 (luglio 2014) Introduzione Sono ormai alcuni anni che ci riuniamo come “Amici di Rosmini” a riflettere su questioni filosofico-teologiche, nell’eredità intellettuale e spirituale del beato Antonio. Due anni fa abbiamo pubblicato una prima raccolta degli interventi ai nostri incontri con il titolo di “Briciole di enciclopedia”. Il titolo era la parafrasi del “briciole di filosofia” ben noto ai cultori di Kierkegaard. L’“enciclopedia” del titolo richiamava la fondamentale preoccupazione di tutta la carriera intellettuale e di scrittore di Rosmini con l’unità del sapere — il suo essere tale per cui tutte le cose si richiamano l’un l’altra — che fin da ragazzo lo avevano portato a progettare una enciclopedia cattolica da contrapporre a quella illuminista. Il “briciole” rappresentava invece una affermazione di umiltà rispetto alle pretese enciclopediche. Proponiamo ora alcune nuove briciole, in cui come sempre l’enfasi va sul senso dell’insieme che ingenera bellezza. Più che nel volume precedente, gli interventi qui presentati si soffermano sull’uso rosminiano del vocabolario dell’essere, nel quale l’enciclopedia del sapere trova il suo fondamento. Rosmini resta infatti oggi, in seno alla filosofia moderna e contemporanea, il più grande maestro di una cultura dell’essere: intendendo con questo che l’essere è, comunque sia, l’oggetto del sapere che si qualifica socialmente come cultura; ma anche che il sapere è operativamente un coltivare, in quel terreno altrimenti selvatico che è la realtà, tutte quelle “cose” di cui abbiamo cognizione: realtà a cui viene dato comunemente il nome di “essere”. Volendo raggruppare i diversi contributi in parti, abbiamo dovuto tenere conto del fatto che un corposo gruppo di essi ri9 10 Introduzione guardava la “pedagogia”: che è di nuovo un altro modo di dire la cultura, in quanto sapere che si trasmette di generazione in generazione. Attorno a questo gruppo dovevamo perciò situare gli altri disparati interventi, così che ne emergesse, se possibile, in senso d’insieme. Nell’enciclopedia rosminiana la pedagogia occupa infatti un posto particolare: senza negare, anzi pur sottolineando l’esistenza di facoltà innate in ogni uomo, Rosmini afferma però che è attraverso l’educazione che si attivano le facoltà di intelligenza e di sensibilità, che permettono l’acquisizione del sapere ed il suo arricchimento. Ciò avviene grazie all’autorità di un maestro, il quale alla fin fine, e cioè all’inizio, non può che essere divino: il Logos che era al principio e che si è fatto carne. Abbiamo dunque aperto il libro con una prima parte contenente i due contributi di Giorgio Salzano e Paolo Armellini, che offrono uno “sguardo d’insieme” sul pensiero di Rosmini, che si estende enciclopedicamente dalle più rarefatte questioni filosofiche alle più corpose realtà sociali, ed è quindi di grande utilità per fare chiarezza sulle controversie odierne. In termini più specificamente filosofico–teologici, infatti, esse si caratterizzano per l’abbandono nella riflessione antropologica moderna del vocabolario classico dell’essere; ma, come abbiamo detto, la peculiarità di Rosmini sta proprio nell’aver recuperato quel vocabolario in seno alla riflessione antropologica, o, viceversa, nell’aver saputo integrare questa riflessione in quella più antica che nel vocabolario dell’essere si esprimeva. Ciò che ha innanzitutto bisogno di essere chiarito, per Salzano, è che cosa intendiamo per antropologia: su che cosa rifletta un discorso sull’uomo, e quindi se e come una simile riflessione si differenzi da quella delle epoche passate sull’essere. Il nome antropologia ha assunto infatti nel corso del Diciannovesimo Secolo un diverso significato, a seconda che designiamo con esso i discorsi sull’uomo in generale o la disamina delle testimonianze degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Mentre quelli si vogliono filosofici, con questa disamina l’antropologia è stata qualificata in sociale e culturale. Ma è forse la più filosofica. Armellini sottolinea perciò la connessione nel pensiero ro- Introduzione 11 sminiano della problematica cognitiva e morale con quella storica – nel senso che il nome storia ha assunto, di designazione della realtà delle testimonianze degli uomini nel loro complesso. Ed è proprio attraverso le diverse testimonianze, che diventa peculiare nella riflessione di Rosmini l’individuazione di un possibile triplice orientamennto dell’essere: tre forme o categorie che egli designa come “essere ideale” o “oggettivo” (quando il verbo essere è usato come predicato di tutti i predicati), “essere reale” o “soggettivo” (quando esso è usato anche per qualunque soggetto di predicazione), ed “essere morale” (quando attribuendo un predicato a un soggetto indichiamo anche la perfezione a cui questo tende). Questo triplice orientamento nell’uso del vocabolario dell’essere, che costituiva la visione d’insieme della prima parte, è fatto oggetto esplicito della trattazione nella seconda parte. In essa abbiamo pensato di unificare i due contributi ai nostri incontri specificamente dedicati a “teosofia e teodicea”. Infatti, come Samuele Francesco Tadini spiega nel suo contributo riguardante la presentazione dell’edizione da lui curata della Teosofia di Rosmini, la novità è rappresentata proprio dalla detta tripartizione dell’essere. L’opera presentata è un frammento, già di per sé mastodontico nei suoi sei libri, della “teosofia” progettata da Rosmini, che doveva dividersi in tre parti, distinte ma strettamente interconnesse, come lo è il triplice senso nell’uso del verbo essere: “ontologia” (che è tutto quel che ci è pervenuto, ed anch’essa incompiuta), “cosmologia” e “teologia razionale”. Purtroppo di queste ultime due parti quasi nulla ci è pervenuto, e dobbiamo inferirne il possibile contenuto dalla prima parte e dalle altre opere di Rosmini. In particolare dalla Teodicea, di cui padre Mariani ci presenta una corposa descrizione. In quest’opera Rosmini tratta della Provvidenza, tema a lui carissimo: e infatti, dopo i primi due libri, di epoca giovanile, ad essa dedicati, vi ritorna con il terzo, opera della piena maturità, scritta quando ormai egli aveva pienamente elaborata la dottrina delle tre forme o categorie dell’essere. C’è un ordine ideale manifestativo di sapienza — argomenta Rosmini — riscontrabile nella realtà co 12 Introduzione smica e sociale delle cose, ed esso si lascia riassumere in alcune leggi, eminentemente rappresentate nella coincidenza di idealità e realtà nella persona di Gesù Cristo. Nella parte successiva, la terza, abbiamo incluso due contributi alquanto diversi, ma accomunati dal tema della bellezza. Il primo, di Andrea Annese, mostra l’importanza di questo tema, condensato nelle pagine ad esso dedicate nel libro terzo della Teosofia, nel pensiero complessivo di Rosmini, e come esso si riporti, appunto, alla persona di Gesù Cristo. Che è perciò in quanto verbo incarnato – suggeriamo nel titolo di questa parte – “verbo di bellezza”. Il secondo è dedicato da Elena Mannucci al Manzoni, che in quanto amico e fervente seguace della filosofia di Rosmini, prova a riflettere, appunto in termini rosminiani, su “che cosa fa l’artista quando crea”, e cioè in che cosa consista quell’invenzione all’origine dell’opera d’arte, che è capace di suscitare il plauso di chi guarda, ascolta o legge. L’opera di riferimento è il non molto noto dialogo Dell’invenzione, in cui Manzoni si conforma “filosoficamente” all’insegnamento rosminiano, ma Mannucci sostiene inoltre che anche “artisticamente” Manzoni è pienamente interprete di quella idea di bellezza che Rosmini trae dalla filosofia platonica, sviluppandola in senso cristiano. La quarta parte riguarda la pedagogia rosminiana: come abbiamo detto precedentemente, tutti i discorsi di Rosmini, qualunque sia il campo del sapere cui si riferiscono, hanno quel carattere pedagogico di riattivazione del sapere trasmesso dalle generazioni precedenti, che ha nel Logos creatore il suo autore, da ultimo manifesto nell’efficacia redentrice della sua incarnazione in Gesù Cristo. È in questa linea che si realizza l’intervento, come sempre improntato alla massima chiarezza, del padre Domenico Mariani, il quale prende in esame l’intero sviluppo del pensiero pedagogico rosminiano, dal suo primo formarsi fino agli ultimi scritti. L’inquadramento che Oronzo Labarile ne fa all’interno dei progetti educativi della Chiesa di oggi, e la sua trattazione dello spinoso problema della libertà di insegnamento, per Rosmini assolutamente cruciale, si rivelano una lettura utilissima per tutti coloro che oggi si occupano di Introduzione 13 scuola e educazione. Infine il contributo di Giuseppe Ignesti, che prende in considerazione la valenza educativa che ha per Rosmini il richiamo, tutt’altro che marginale, ai Padri della Chiesa, dimostra ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, la necessità di avvalerci dell’apporto dell’antica sapienza per il nostro tempo, spesso così distratto e prevenuto nei confronti del passato. La quinta ed ultima parte tratta di “politica e economia”, campi della vita ordinaria di cui tendiamo oggi a parlare come se fossero separati dal resto delle questioni che si agitano nel sapere complessivo del nostro tempo, ma a cui con grande impegno si volge l’attenzione pedagogica di Rosmini. Nel suo intervento, Mauro Bontempi mostra che, benché Rosmini non abbia dedicato all’economia un trattato separato, le sue opere morali, politiche e giuridiche, sono piene di notazioni al riguardo che permettono di ricostruire una visione d’insieme di grande consistenza e attualità. Il contributo di Giovanni Franchi, infine, ci reintroduce al tema della cultura che ha fatto da leitmotiv di questa nostra breve presentazione: egli sottolinea l’importanza di rimettere in discussione il rapporto tra moralità e cultura, in particolare riguardo alle questioni politico–religiose che investono il rapporto Stato–Chiesa, segnalando la validità e l’efficacia della risposta rosminiana rispetto ad altre, pur se formulate in tempi più recenti. Un’ultima notazione, prima di licenziare questo volume. Le nostre riunioni hanno avuto luogo in seno a quella grande eredità di Rosmini che è la congregazione da lui costituita col nome di Istituto della Carità. Incoraggiate e promosse dall’allora rettore della basilica romana di San Giovanni a Porta Latina, padre Pierluigi Giroli, sono state tenute sotto gli auspici di padre Domenico Mariani, che ha sempre dato ad esse anche un suo importante contributo. Con nostro dispiacere, ma siamo sicuri con suo grande gaudio, egli ci ha recentemente lasciati per tornare al Padre. Gli articoli che figurano in questo volume sono quindi gli ultimi suoi scritti, e sono per noi tanto più preziosi in quanto vediamo in essi un suo ultimo lascito di carità intellettuale. 14 Introduzione A lui, che si trova adesso “nella luce di Dio”, come dice il titolo di una sua recente pubblicazione, vogliamo dedicare questo libro. Elena Mannucci e Giorgio Salzano Roma, 1° Luglio 2014. PARTE I UNO SGUARDO D’INSIEME Il bello dell’insieme ISBN 978-88-548-7382-7 DOI 10.4399/97888548738272 pp. 17-48 (luglio 2014) Ontologia e antropologia allo specchio Giorgio Salzano 1. Aporia: riflessione ontologica o antropologica Forse vi sono state epoche, o vi sono contesti sociali, in cui vi è consenso culturale, o, che è lo stesso, religioso, tale che mai una domanda susciterebbe risposte incerte o contrastanti. Tutti sarebbero, allora, della stessa idea. Qualunque cosa sia la filosofia se ne potrebbe fare bellamente a meno, poiché si sarebbe tutti d’accordo. I problemi sorgono quando non è questo il caso; e sospetto che non lo sia mai del tutto, poiché sempre l’accordo si rinnova in relazioni sociali nelle quali è in causa la posizione rispettiva delle parti coinvolte. L’idea che ci facciamo di noi stessi gli uni in relazione agli altri va dunque sempre riconfermata. Tanto più dunque quando siamo rimessi in causa al divergere delle idee. Si noti che ho buttato là questa parola idea, come se sapessimo bene cosa sia. Certo la usiamo correntemente, in un senso che resta però nelle conversazioni quotidiane vago, ed in quanto tale l’ho usata anche io qui, ma questo senso avrà bisogno di chiarificazione. Ecco, quando cerchiamo di chiarire cosa intendiamo in ciò che ordinariamente diciamo e facciamo, la domanda se vi sia bisogno di filosofia già trova una risposta, poiché è qualcosa che c’è bisogno di fare, ed era quello che originariamente ci si propose di fare sotto il suo nome. Ordinariamente, senza troppo riflettervi, giudichiamo nelle nostre azioni come stanno le cose con le quali abbiamo a che fare tra noi. Ma questi giudizi sono anche oggetto di conversazione. E non sempre ci troviamo d’accordo, discutiamo anzi anche accanitamente su come effettivamente stiano le cose: se ad esempio qualcosa o qualcuno sia buono e giusto. Questo ci pone 17 18 Giorgio Salzano in una situazione di “aporia”, ovvero in una situazione di indecisione, ad un bivio, incerti sul da farsi. Possiamo anche accapigliarci, oppure discuterne all’infinto, senza raggiungere un accordo. Siamo, in tal caso, incapacitati: la diversità dei giudizi ci impedisce, privandoci della capacità di fare o dire le cose giuste nelle diverse circostanze della vita. Ma può anche succedere, ad un certo punto, che ci rendiamo conto che la ragione del disaccordo non riguarda la cosa o la persona su cui si porta il giudizio, quanto piuttosto il criterio che impieghiamo nel giudicarle. Se la discussione assume in questo modo una torsione riflessiva, allora siamo già entrati in filosofia. Di fronte a giudizi diversi, quel che credevamo di sapere è rimesso in causa. Di questo si tratta dunque quando il discorso si porta riflessivamente su come giudichiamo le cose: del sapere, che diventa nella riflessione sapere di sapere. Si tratta di saper dire che cosa sia davvero sapere, ed essere quindi capaci di render conto di ciò che affermiamo di sapere. Ma vi sono stati storicamente in filosofia due fondamentali orientamenti della riflessione a questo riguardo: chiamiamoli “ontologico” e “antropologico”. Una illustrazione provvisoria, introduttiva, della differenza tra i due orientamenti è data dal nostro uso corrente dell’infinito sostantivato sapere: nel suo rinviare al participio presente ed al participio passato1. Il participio passato, saputo, è in effetti poco usato, ma bene designa quel che si sa, tutto ciò di cui abbiamo cognizione, o in diversi campi (come quando diciamo ad esempio “il sapere scientifico”), o nel suo complesso. Ma già dire così, che il sapere è ciò di cui abbiamo cognizione, lo riferisce a noi: collettivamente, come alla cerchia sociale in cui certe cose sono date come risapute, ed individualmente, come ho detto, per la capacità che esse conferiscono ad ognuno di orientarsi nel 1 La connessione espressa dalla differenza tra participio presente e participio passato è rappresentazione linguistica di quella che chiamiamo, con parola del pensiero medioevale ripresa in particolare da Edmund Husserl, intenzionalità: parola con cui egli richiama l’attenzione sul fatto che qualunque atto psicologico comporta sempre un complemento di specificazione – per cui ad esempio la coscienza è “coscienza di…”, oppure l’amore è “amore di…”. Ontologia e antropologia allo specchio 19 mondo. Il participio presente invece, sapiente, ha assunto come aggettivo e sostantivo un significato molto forte2; ma di per sé non significa altro che colui che sa: chiunque, perciò, nei limiti di ciò che sa. E abbiamo già visto che con riferimento al “sapiente” il sapere assume il senso di una capacità: l’esercizio delle facoltà che egli mette in atto. Participio passato e participio presente fanno riferimento, in altre parole, all’oggetto ed al soggetto del sapere. L’uso sostantivato dell’infinito oscilla infatti tra l’uno e l’altro, perché è inconcepibile un oggetto di sapere senza il soggetto che sa, e viceversa. In breve, in tutti i nostri atti, noi intendiamo sempre qualcosa – e viceversa, non ha senso parlare di qualcosa, che non sia intesa da qualcuno. Che la riflessione sul sapiente si porti su “l’uomo” (anthropos in greco), e sia perciò chiamata “antropologica”, non pare richieda spiegazioni: tutti sappiamo, o almeno riteniamo di sapere, di che cosa si parli. Che quella sul saputo sia chiamata “ontologica” richiede invece qualche delucidazione in più. È un aggettivo che viene dal greco antico, in cui il participio presente di einai (essere), on, era comunemente usato per nominare genericamente le cose del mondo: ta onta. L’on on, o in latino ens qua ens – “ente in quanto ente” o “essere in quanto essere” in italiano – è stato quindi preso, a cominciare da Aristotele, come oggetto di riflessione in una disciplina a sé, detta “metafisica”, che prendesse in esame che cosa si afferma quando si afferma qualunque cosa, ed identificasse quindi un qualcosa che è primariamente oggetto di affermazione. Da qui l’aggettivo ontologico, per qualificare la riflessione sul “saputo”, oggetto nel sapere di possibile affermazione da parte del “sapiente”. Siamo invece talmente abituati, come ho detto, alla riflessione di tipo antropologico, che, mentre il vocabolario dell’essere è diventato alieno, per non dire incomprensibile, alla cultura odierna, il parlare de “l’uomo” non sembra farci problema – benché poi discutiamo aspramente di ciò che costituisce la sua 2 Chiamiamo sapiente chi tra noi è ci appare dotato di una particolare visione d’insieme, per cui non solo sa sempre cosa fare, ma è anche per noi modello del da farsi. Giorgio Salzano 20 umanità. Ciò non toglie che in effetti la riflessione si porti in ogni caso su entrambi i lati del sapere allo stesso tempo, in discorsi che coniugano il “saputo” con il “sapiente”, e viceversa: quando dall’antichità fino al medioevo la riflessione si volgeva con il vocabolario dell’essere sull’oggetto del sapere, questo abbracciava anche il soggetto che sa; e quando con il vocabolario antropologico la riflessione si è volta, in epoca moderna, primariamente al soggetto del sapere, è sempre però per poter decidere di ciò che è oggetto di sapere. Più di uno sono stati quindi i tentativi di speculazione, volti a porre ontologia e antropologia allo specchio (speculum) l’una dell’altra. Ma fra tutti spicca negli ultimi due secoli quello di Antonio Rosmini. 2. Quale antropologia Parlare come facciamo correntemente dell’uomo è fonte di insormontabili difficoltà. Un simile parlare è maturato a partire dal XVII secolo nei discorsi de homine dei filosofi3, già da allora con pretesa di scienza. Con essi l’antropologia assumeva quel carattere prevalentemente bio–psicologico che era destinato a mantenere fino ad oggi. Da una parte “l’uomo” è riguardato come organismo vivente, alla pari di qualunque altro animale, e rientra così nelle scienze dette della natura, in quanto scienze dei corpi ai quali la coscienza è del tutto estranea4; dall’altra è riguardato come qualcuno che, a differenza di altri organismi viventi, è cosciente di sé, perciò capace di intendere e di volere, nel far mostra di quel sapere in cui anche le dette scienze rientrano. Da qui le insormontabili difficoltà: nello stato odierno del sapere, il “bio” e lo “psico” sono separati. Nel pretendere di spiegare tutto il sapere sulla base dell’esercizio delle facoltà 3 On man, on human understanding, on human nature, come recitano famosi titoli inglesi: cfr. l’Essay on human understanding di John Locke, oppure ilTreatise on human nature di David Hume. 4 A voler essere più analitico, dovrei dire che la vita è tanto estranea alla fisica ed alla chimica quanto la coscienza lo è alla biologia.