Le Muse e l`InCanto

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NOTE di REGIA
Le Muse e l'InCanto è uno spettacolo fondato sulla fusione di tutte le arti performative:
recitazione, musica e danza. Uno spettacolo che proprio su queste arti fa leva al fine di
mostrare la validità del portato della cultura classica ed in particolare la perenne attualità
dei miti, che si muovono trasversalmente dall'antichità ai giorni nostri. Questo senso di
trasversalità ha ispirato anche le scelte grafiche per la locandina, in cui dalla citazione di
un'immagine di Poema a fumetti di Dino Buzzati (che propone fra l'altro una graphic novel
del mito di Orfeo e Euridice) si passa senza soluzione di continuità ad un suonatore di lira,
alto esempio di scultura dell'arte cicladica.
Sulla scena rivivono i miti come portatori di valori attuali, partendo dall'assunto che
l'uomo è condannato alla ricerca di qualcosa. Tale ricerca diviene ossessiva perché solo di
rado riesce a trovare soddisfazione, in quanto non tende al sé, ovvero della sostanza delle
cose, ma a qualcosa di altro e si esplica, ad esempio, attraverso il viaggio o l'amore per
l'altro.
I nuclei mitici fungono da esempi paradigmatici positivi e negativi di tale ossessiva
ricerca, e tendono a mostrare come l'uomo man mano si sia sempre più allontanato dalla
ricerca dell'io per concentrarsi sulla superficie delle cose, sull'immagine che l'io stesso
restituisce, o quella che sul contenitore stesso si riflette, scindendo definitivamente
significante e significato.
L'io però, l'essenza delle cose, si mantiene viva in una dimensione che è
contemporaneamente spazio e tempo e da quella dimensione cerca disperatamente di
uscire e ricucire lo strappo che ha subìto: vuole tornare ad animare l'umanità, ad essere
valore fondante, consistenza delle cose.
In questa dimensione agisce tutta la piece. L'ambientazione è una sorta di scatola
immaginaria in cui Kronotopos (lo spazio in cui agisce il tempo) conserva tutte quelle cose
a cui gli uomini non danno più valore e che per lui, invece, hanno un significato
fondamentale, in quanto sono passato, memoria e ricordo, sono vita vissuta, sentimenti e
passioni, sono valore. Kronotopos è come un robivecchi e, nel suo magazzino di oggetti -,
preziosi per ciò che rappresentano e non per ciò che sono - prendono vita attraverso le sue
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parole tutti quei valori accantonati da un mondo ormai intorpidito dalla religione
dell'immagine.
Non sono personaggi quelli in scena, ma involucri animati dalle parole del narratore che
custodiscono una storia e la condividono per un breve momento.
La storia si apre e si chiude con l'emblema della ricerca ossessiva, Ulisse, per poi passare
subito a chi ha saputo attraverso il distacco dalle cose, agire con la giusta lucidità per
riscattare il valore, l'arete che le divinità avevano cercato di strappargli: Aiace. La sua
solitudine, nella scelta eroica della morte, si contrappone alla solidarietà che lega Eurialo e
Niso, caratterizzati da uno spirito di dedizione totalizzante, che traduce lo slancio del dare
nella possibilità di prendere: ciascuno mostrando all'altro il suo stesso volto, finisce con il
trovare se stesso in un gioco di specchi che si capovolge totalmente nel mito di Narciso.
Superficiale, egoista, egotico egli è in grado di amare solo un'immagine, che diviene la più
alta ed irrinunciabile espressione del sé. Il suo "maggior patire" è il distacco dall'amato,
che cerca e brama senza mai riuscire a raggiungere, in un anelito che lo consuma: Narciso
soffre, in realtà, alla ricerca di un sé fatto solo di immagine e privo dunque di essenza.
Anche Galatea soffrirà amaramente il distacco dall'amato, come una punizione meritata. Il
dramma si giocherà attraverso il fortissimo contrasto tra la disperazione profonda di
Galatea e le rimostranze del rude Polifemo, che sarà solo un'idea grottesca e bestiale che
aleggia sulla scena. Galatea nello scegliere l'amore finisce per perderlo: le resterà solo
un'immagine tremolante ed evanescente a cui cercare di aggrapparsi, invano. La stessa
scelta spetta ad Orfeo. Una volta sceso nell'Ade e sottoposto a processo per aver infranto
ogni legge di natura, varcando da vivo la soglia del regno dei morti, dovrà scegliere tra
amore e morte: riprendere Euridice e trascorrere i giorni che gli restano nell'ombra della
morte, o scegliere la vita, accettando il peso di una nuova solitudine e di una nuova
consapevolezza? Mentre Euridice tenta di resistere alla morte, in uno sdoppiamento evidente e circolare in scena - fra la rassegnazione e la voglia di vivere (o semplicemente la
paura dell'oblio), solo di fronte alla donna amata e alla consapevolezza della morte, Orfeo
si renderà conto che la sua vita è altrove e che il viaggio compiuto era, in fondo, solo la
ricerca di se stesso. Il dolore e l'accettazione di esso consentiranno al mitico cantore di
raggiungere la consapevolezza del dopo, che sarà anche consapevolezza del sé e della
propria storia.
La stessa consapevolezza è raggiunta da Ulisse che, lungo il cammino della scoperta e
della conoscenza, fra mostri e maghe, come l'eccentrica e terrifica Circe, riuscirà in fondo a
comprendere che lo scopo del viaggio era in fondo proprio il nostos, il ritorno. Non un
ritorno al passato, ma un ritorno al sé, l'acquisizione di un io più consapevole maturato a
poco a poco attraverso la conoscenza delle cose. Tale sentimento si esplica sulla scena
attraverso lo sdoppiamento che prima era stato di Euridice sospesa tra la resa alla morte e
l’anelito alla vita; quello di Orfeo e Bacca, l’uno consapevole delle proprie scelte, l’altro
ancora vinto dall’illusione; poi l’Ulisse giovane, quello del viaggio, e l’Ulisse del ritorno.
Un altro personaggio importante nella dinamica dello spettacolo è Lo Stagno, in cui si
specchia ciascuno e che, totalmente disinteressato a ciò che vede, è anch’esso perso alla
ricerca di se stesso o (della sua immagine?).
Fondamentali nello spettacolo i movimenti in scena: una figura ricorrente agirà come una
sorta di braccio del narratore: Kinesis è l’azione che si muove nel tempo e nello spazio,
restituendo coscienza alle cose.
I costumi tutti neri (eccezion fatta per Kronotopos, il narratore) sottolineano che ciascuna
figura incarna una storia per un breve momento, non è un personaggio. Inoltre il nero
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rappresenta il lutto che indossa la sostanza ormai dimenticata delle cose, mentre la fascia
rossa è contemporaneamente simbolo della ferita subita nel distacco dalle cose stesse e
segno di protesta e ribellione nel tentativo di riappropriarsi del proprio spazio nel mondo.
Le canzoni eseguite dal vivo hanno diretti richiami con i nuclei mitici trattati e fungono da
paratesto. Gli interventi del pianoforte e della chitarra, e alcuni interventi non dal vivo
servono a creare dei paesaggi interiori, in modo da dare a ciascuna storia lo spazio in cui
svolgersi, al di fuori della scatola in cui è chiusa.
Auretta Sterrantino
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