2 Indice 1 La fusione nucleare: una visione d’insieme 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Condizioni generali per la fusione . . . . . . . . . . 1.2.1 Un modello classico . . . . . . . . . . . . . 1.2.2 La formula di Gamow . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Il tasso di reazione . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Il bilancio energetico del reattore . . . . . . . . . . 1.3.1 La radiazione di frenamento . . . . . . . . . 1.3.2 La radiazione di sincrotrone . . . . . . . . . 1.3.3 Il criterio di Lawson . . . . . . . . . . . . . 1.4 Confinamento del plasma . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Un semplice modello: gli specchi magnetici 1.4.2 I tokamak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.3 Fenomeni di diffusione . . . . . . . . . . . . 1.4.4 I moti collettivi del plasma . . . . . . . . . 1.5 Immissione di energia nel plasma . . . . . . . . . . 1.5.1 Correnti ohmiche . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Pompaggio magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 5 6 6 7 9 9 10 11 12 12 13 13 14 15 15 17 2 I fasci neutri per la fusione nucleare 2.1 Produzione degli ioni . . . . . . . . . . 2.1.1 Produzione per contatto . . . . 2.2 Accelerazione degli ioni . . . . . . . . . 2.3 Neutralizzazione . . . . . . . . . . . . 2.4 L’interazione fascio-plasma . . . . . . . 2.4.1 Collisioni binarie . . . . . . . . 2.4.2 Sezione d’urto media . . . . . . 2.4.3 Energia trasferita al plasma . . 2.5 Perdite di energia ed efficienza . . . . . 2.5.1 Auto-riscaldamento da prodotti 2.5.2 Tempo di rallentamento . . . . 2.5.3 Tempo di termalizzazione . . . 2.5.4 Energia trasferita agli ioni . . . 2.6 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 19 20 20 22 23 23 24 26 28 30 30 31 32 34 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di fusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3 4 Indice Capitolo 1 La fusione nucleare: una visione d’insieme 1.1 Introduzione La crescente necessità di energia dell’Umanità, unitamente all’aumento dell’inquinamento ambientale e dell’assottigliamento delle riserve energetiche fossili, rende necessario lo sviluppo di una tecnologia capace di superare i limiti che le fonti ora sfruttate presentano. Ciò è assolutamente indispensabile per la salvaguardia della civiltà industriale e dell’accresciuta ricchezza materiale che essa ha garantito all’Occidente, nonché per rendere la restante parte di popolazione mondiale partecipe di tale benessere. Finora, l’unica prospettiva di ottenere tutto questo è data dalla fusione nucleare. Lo sviluppo della tecnologia della fusione nucleare richiede la costruzione di prototipi al fine di ricavare i dati sperimentali necessari ad affrontare i vari problemi che lo sfruttamento di tale fonte di energia pone. Attualmente (2016), la punta di diamante in questo campo è ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor ), il reattore nato da una collaborazione internazionale tra UE, USA, Russia e Giappone in costruzione a Cadarache (Francia). Tale macchina dovrà raggiungere il punto di break-even e poi superarlo di un fattore 10, dimostrando la sfruttabilità commerciale della fusione nucleare per la produzione di energia, inoltre fungerà da banco di prova per le tecnologie sviluppate nel corso degli anni riguardanti la produzione e la gestione del plasma. Il suo completamento è previsto per il 2019 e la produzione del primo plasma per il 2024. Il passo successivo sarà la costruzione di un modello dimostrativo di reattore commercialmente sfruttabile, ora in fase di progettazione e che si avvalerà dei risultati ottenuti con ITER. DEMO (DEMOnstration power plant), questo il nome dell’impianto, fungerà da anello di congiunzione tra la fase di sviluppo e quella di produzione di energia da fusione nucleare su scala industriale. Se tutto procederà come previsto, tale passaggio dovrebbe avvenire per la metà del XXI secolo. 1.2 Condizioni generali per la fusione La fusione nucleare è il processo per il quale due nuclei leggeri si fondono a formarne uno più pesante. Esso coinvolge due forze fisiche fondamentali contrastanti: la forza nucleare forte e la forza elettromagnetica. I nuclei sono dotati di carica di ugual segno e tendono perciò a respingersi. Tuttavia, se due nucleoni riescono ad avvicinarsi al punto da permettere lo scambio di gluoni interviene la forza forte, più intensa, che finisce per legarli assieme 5 6 La fusione nucleare: una visione d’insieme Tabella 1.1: parametri dei progetti ITER e DEMO a confronto. Essendoci quattro diversi progetti allo studio per quest’ultimo, sono stati segnalati i valori massimi e minimi [8] Parametro ITER DEMO Potenza da fusione Fattore di rendimento Raggio interno del plasma Raggio esterno del plasma Volume della camera Massimo campo toroidale Corrente di plasma Tempo di confinamento 500 10 2 6.2 837 5.3 15 >400 2500-5000 13.5-35 4.1-6.6 8.2-13.1 924-1700 5.6-7.0 14.1-30.5 ∞ MW m m m3 T MA s nonostante la repulsione coulombiana, liberando energia nel processo. Di conseguenza la fusione si ottiene qualora il primo nucleo abbia energia cinetica sufficentemente alta, rispetto ad un sistema di riferimento centrato nel secondo, da superare la barriera di repulsione coulombiana. Le principali reazioni allo studio per applicazioni tecnologiche sono: 2 D + 2D → 3He + n + 3.2 MeV (1.1) 1.2.1 2 D + 2D → 3T + p + 4.0 MeV (1.2) 2 D + 3T → 4He + n + 17.6 MeV (1.3) 2 D + 3He → 4He + p + 18.3 MeV (1.4) Un modello classico Per distanze nell’ordine di grandezza dell’interazione nucleare forte (10−15 m) e carica pari a quella elementare (1.6 × 10−19 C) l’energia potenziale elettrostatica tra due nuclei vale: Ue = q1 q2 ∼ 1 MeV 4π0 r e di conseguenza, affinché avvenga la reazione, l’energia cinetica delle particelle in questione dovrebbe, classicamente, eccedere tale soglia. Supponendo di avere a che fare con gas ionizzato o plasma, nel quale nuclei e elettroni hanno una distribuzione maxwelliana di velocità, e richiedendo che l’energia cinetica media sia uguale all’energia potenziale elettrostatica, si avrebbe una temperatura di: T = 2Ē ∼ 1010 K 3kb ovvero due ordini di grandezza superiore alle temperature raggiunte negli attuali tokamak. Bisogna però ora ricordare che, su queste scale di distanza e temperatura, intervengono altri fenomeni, il più importante dei quali è l’effetto tunnel. 1.2.2 La formula di Gamow Volendo calcolare con precisione le sezioni d’urto per le reazioni di maggior interesse nella fusione nucleare non è possibile trascurare gli effetti dovuti alla meccanica quantistica, in 7 1.2 Condizioni generali per la fusione Figura 1.1: modello di potenziale atomico utilizzato per ricavare la formula di Gamow particolare l’effetto tunnel. Un possibile modello per la descrizione di potenziali nucleari è quello "a buca" (figura 1.1). Il profilo iperbolico descrive la repulsione coulombiana tra le cariche, idealmente puntiformi, mentre la buca descrive l’interazione forte che si instaura non appena i due nuclei si trovano alla reciproca portata dei gluoni, appunto nell’ordine di qualche unità di femtometro. Fissando ad E l’energia cinetica del nucleo in arrivo rispetto a quello che genera il profilo di potenziale, come stato si ha una funzione oscillante quando E > V (x) e un esponenziale descrescente quando E < V (x). Dalla richiesta di continuità e derivabilità della funzione d’onda complessiva per ogni x si ottengono le condizioni al contorno e dal calcolo del fattore di trasmissione, ovvero il rapporto tra i moduli quadri delle funzioni d’onda in entrata e in uscita dalla regione II, la probabilità che la particella in analisi attraversi la barriera di potenziale. Il risultato di questo procedimento è la formula di Gamow [10]: ! Z −2 p P ∝ exp (1.5) 2m(V (x) − E)dx h̄ l dalla quale appare chiaro come la probabilità aumenti all’aumentare dell’energia cinetica della particella proiettile rispetto al nucleo e diminuisca all’alzarsi della barriera di poteniziale. 1.2.3 Il tasso di reazione A questo punto si può calcolare la densità di reazione come: Z Z r= f A (v~1 )f B (v~2 )|v~1 − v~2 |σ(|v~1 − v~2 |) d3 v1 d3 v2 v~1 (1.6) v~2 ovvero integrando nello spazio delle velocità di ciascuna specie isotopica (A e B) le funzioni di distribuzione di Maxwell moltiplicate per la sezione d’urto ricavata dalla formula di Gamow e le relative densità numeriche. Più esplicitamente: !3 !3 Z Z 2 2 −1 mA mB (m v 2 +m v 2 ) r = nA nB e 2kb T A 1 B 2 |v~1 − v~2 |σ(|v~rel |) d3 v1 d3 v2 (1.7) 2πkb T 2πkb T v~1 v~2 8 La fusione nucleare: una visione d’insieme Figura 1.2: andamento delle sezioni d’urto al variare della temperatura Per risolvere questa equazione è conveniente passare alle coordinate del centro di massa per una coppia di particelle: ~v = v~2 − v~1 ~ | = mA v1 + mB v2 |V mA + mB mA mB µ= mA + mB rappresentanti rispettivamente la velocità relativa tra i due corpi, la velocità del centro di massa del sistema e la massa ridotta. Per comodità definiamo anche M = m1 + m2 , ovvero la massa totale. Allora l’integrale di cui sopra diventerà: !3 !3 Z Z 2 2 −1 M µ (M V 2 +µv 2 ) r = nA nB e 2kb T vσ(v) d3 V d3 v (1.8) 2πkb T 2πkb T ~ ~v V ed effettuando l’integrazione in d3 V e sull’angolo solido di d3 v si otterrà dunque: !3 Z 2 ∞ −µv2 µ r = nA nB 4π e 2kb T v 3 σ(v) dv 2πkb T 0 (1.9) Sostituendo la sezione d’urto ricavata dall’equazione di Gamow ed integrando sui moduli delle velocità relative si ottiene infine l’equazione voluta: !1/3 r B 2 1/3 2 1 1/3 −3( 4kT ) r ' 4nA nB AB e = nA nB < σv > (1.10) 3µ 2kb2 T 2 con A e B costanti e dipendenti dal tipo di reazione. E’ stata fatta un’approssimazione, sostituendo l’integrale che appare nella 1.5 con un potenziale rettangolare medio. Si evidenzia così un fatto importante, ovvero che il tasso di reazione non cresce indefinitamente all’aumentare della temperatura bensì presenta un massimo ben definito, come si può vedere nella figura 1.2. Per la reazione D-T è a 4 × 108 K e questo valore è da confrontarsi con quello trovato nel paragrafo 1.2.1. 9 1.3 Il bilancio energetico del reattore Figura 1.3: schematizzazione dell’interazione elettrone-ione classica 1.3 Il bilancio energetico del reattore Nel costruire una macchina in grado di produrre energia da reazioni di fusione nucleare ci si deve innanzitutto chiedere quale sia la condizione minima per il suo funzionamento, ovvero quella per cui l’energia prodotta dalla reazione sia in grado di mantenere la reazione stessa. Tale condizione, nella sua forma più elementare, è espressa dal criterio di Lawson: 3 (n1 n2 < σv > w12 )t ≥ (n1 + n2 )kT 2 (1.11) ovvero il prodotto del tasso di reazione per l’energia rilasciata in ogni reazione (w12 ) per il tempo di confinamento in un volume definito (t) deve eguagliare l’energia cinetica media degli ioni reagenti presenti in tale volume. Questo criterio si ricava dal calcolo del bilancio energetico generale del plasma, che comprende le perdite dovute a bremmstrahlung e radiazione di sincrotrone e l’apporto dovuto proprio alla fusione. Ora si ricaveranno le leggi che permettono di valutare classicamente tali perdite, che come si vedrà saranno legate, in definitiva, alla temperatura. 1.3.1 La radiazione di frenamento Quando un elettrone si muove all’interno del campo elettrico di uno ione esso subisce un’accelerazione con conseguente emissione di radiazione per effetto Larmor. La potenza irradiata è pari a: dE e2 a2 Pb = = (1.12) dt 6π0 c3 con Z lo stato di carica dello ione. Bisogna ora cercare di esprimere l’accelerazione a e per farlo si considera che anche il più leggero degli ioni presente nel plasma (H + ) è quasi 2000 volte più massiccio dell’elettrone e che perciò l’intero processo è ben approssimato considerando fisso il nucleo e in movimento con velocità v l’elettrone. Nel punto di massimo avvicinamento tale accelerazione vale: a= e2 Z 4π0 me b2 (1.13) Tuttavia l’interazione elettrostatica viene percepita dall’elettrone durante tutta la fase di avvicinamento e allontanamento e nel calcolo dell’energia persa bisogna tener conto dell’accelerazione subita durante tutto il percorso. Supponendo che l’elettrone si muova su 10 La fusione nucleare: una visione d’insieme una linea retta si ha che a dipende inversamente da (b2 + v 2 t2 ). E’ possibile allora passare alla variabile tempo per descrivere il processo e calcolare l’impulso totale sulla direzione perpendicolare al moto. A questo punto, introducendo un tempo d’interazione effettivo t∗ , la quantità di moto impartita può essere immaginata come causata da un’accelerazione costante per un tempo finito, situazione che corrisponde a risolvere l’equazione seguente per t∗ : Z Z +∞ Ze2 ∗ 2Ze2 +∞ dx Ze2 b 2Ze2 dt = t = = (1.14) 3 2 2 2 3/2 b2 bv 0 bv −∞ (b + v t ) (1 + x2 ) 2 Si ricava così che: t∗ = 2b v (1.15) Moltiplicando questo risultato per la 1.12 si ottiene l’energia totale irradiata durante l’interazione: e6 Z 2 2b Eb = Pb t∗ = (1.16) 3 3 4 2 3 96π 0 b m c v Moltiplicando ora per il flusso di elettroni ne v e per la densità degli ioni ni si ottiene l’energia emessa per unità di area d’impatto in una unità di volume. Dall’ulteriore prodotto per 2πb e dall’integrazione su tutti i parametri d’impatto possibili si ottiene la potenza complessiva persa da un volume unitario di plasma per bremmstrahlung: e6 Z 2 ne ni Pb = 24π 2 30 m2e c3 ∞ Z bmin db e6 Z 2 ne ni v = b2 24π 2 30 me c3 h̄ (1.17) dove bmin è pari alla lunghezza d’onda di De Broglie per l’elettrone e infine, sostituendo la velocità media alla temperatura Te : √ e6 Z 2 ne ni 3kb Te p Pb = 24π 2 30 m3e c3 h̄ (1.18) Oltre alla dipendenza dalla temperatura si può così mettere in evidenza la proporzionalità inversa rispetto alla massa della particella che emette radiazione. Si può così concludere che, nonostante il range di applicabilità di questa specifica equazione si limiti a proiettili leggeri rispetto a bersagli pesanti, in generale il maggior contributo alla perdita di energia per fenomeni collegati all’effetto Larmor sia attribuibile agli elettroni. 1.3.2 La radiazione di sincrotrone Ioni ed elettroni all’interno del plasma vengono fatti percorrere delle orbite all’interno della camera del reattore al fine di evitare il contatto macroscopico del plasma con le pareti e questo induce l’emissione di radiazione. Il processo di fondo è lo stesso che per la bremmstrahlung: l’effetto Larmor. Tuttavia la causa prossima è differente e perciò tale contributo va calcolato a parte. Si consideri dunque nuovamente l’equazione 1.12. In questo caso, però, l’accelerazione è quella centripeta, ovvero v 2 /R, con R raggio medio dell’orbita degli elettroni. R è a sua volta uguale a v/ωce , con la frequenza ciclotronica (non relativistica) ωce = eB/me . Sostituendo ottengo quindi che: Pc = e4 B 2 v 2 6π0 m2e c3 (1.19) 11 1.4 Confinamento del plasma A questo punto, moltiplicando per la densità degli elettroni e ricordando la relazione tra velocità media e temperatura si trova la potenza emessa da un volume unitario di plasma: Pc = e4 B 2 ne kb T 2π0 m3e c3 (1.20) E’ possibile ampliare questo ragionamento considerando l’equivalenza tra la pressione del plasma e quella del campo magnetico, ovvero: B2 = kb (ni Ti + ne Te ) 2µ0 (1.21) e supponendo che ni = ne e Ti = Te . Così facendo B non è più una variabile indipendente nella 1.20, che può essere riscritta come: Pc = 2µ0 n2e e4 kb2 T 2 π0 m3e c3 (1.22) Quest’equazione esprime una quantità approssimata: non si sta tenendo conto di molti fattori, il primo e più importante tra i quali è l’opacità del plasma, anch’essa fortemente dipendente dalla temperatura. Anche in questo caso si può notare la forte dipendenza inversa rispetto alla massa della particella che emette, fatto che rende trascurabile il contributo degli ioni a tale processo. 1.3.3 Il criterio di Lawson Si può ora comporre assieme le equazioni ricavate nei paragrafi precedenti per ottenere il criterio generale voluto sin dall’inizio. Affinché la reazione venga mantenuta nel tempo e sia sfruttabile deve essere, pur con le debite approssimazioni, che: Pout > Pin dove Pout è la somma di tutti i fattori che inducono perdite di potenza e Pin quella dei fattori che apportano potenza al plasma. Separando nelle varie componenti si trova che: 3nkb T + t(Pb + Pc ) + tPr > 3nkb T + t(Pb + Pc ) (1.23) dove t è l’intervallo di tempo in cui il plasma resta confinato. Considerando il fatto che l’energia dovrà essere in gran parte iniettata nel plasma dall’esterno al fine di mantenerlo alla temperatura operativa, si deve tenere in considerazione il fattore di efficienza di conversione dell’energia termica da fusione in energia elettrica , stimabile in 1/3. L’equazione 1.23 diventa perciò: 3nkb T + t(Pb + Pc ) + tPr >1 (1.24) 3nkb T + t(Pb + Pc ) Rimaneggiando i termini di quest’equazione si può riscrivere il criterio di Lawson per come è stato presentato nella 1.11. Si può concludere osservando come, date le diverse dipendenze dalla temperatura dei due principali fenomeni di dissipazione dell’energia (Pb ∝ T 1/2 e Pc ∝ T 2 ), essi siano dominanti in diversi range di temperatura. Sostituendo i valori delle costanti si trova che, per un plasma D-T, la temperatura che divide le regioni di diversa dominanza è nell’ordine di alcune decine di keV. Dunque per la temperatura in cui < σv > è massimo per tale reazione le due tipologie di perdita sono dello stesso ordine di grandezza. 12 La fusione nucleare: una visione d’insieme Figura 1.4: principio di funzionamento di una trappola a specchi magnetici 1.4 Confinamento del plasma Ci sono due principali tipi di approccio al problema di mantenere il plasma confinato sufficentemente a lungo da garantire di soddisfare il criterio di Lawson: tramite campi magnetici (confinamento magnetico) e tramite la pressione di radiazione (confinamento inerziale). L’approccio sul quale ci si concentrerà sarà il primo, quello impiegato tra l’altro nella costruizione di ITER. 1.4.1 Un semplice modello: gli specchi magnetici Il confinamento magnetico del plasma si basa sull’uso di campi magnetici spazialmente disomogenei. Tali campi producono sui momenti di dipolo dei singoli nuclei ed elettroni una forza netta con trasformazione di energia da potenziale a cinetica. Quest’idea, nella sua versione più semplice, può essere sviluppata in questo modo. Si consideri un cilindro cavo chiuso alle estremità e vi si avvolga attorno un filo conduttore, in modo tale da avere una densità di spire molto maggiore vicino alle basi di quanto non lo sia nella regione intermedia di tale cilindro. Si avrà allora che ogni particella dotata di momento magnetico m sentirà una forza F pari a: ~ B ~ F~ = (m ~ · ∇) (1.25) ~ campo magnetico. Sapendo ora che il lavoro è: con B ~ dL = F~ · dr (1.26) ~ l’equazione 1.25 e applicando il teorema delle forze vive si ha quindi che: integrando in dr K⊥ = mB (1.27) dove K⊥ è l’enegia cinetica sulla direzione perpendicolare alle linee di campo magnetico. Data la conservazione del momento magnetico e dell’energia cinetica totale si ha che: K = K// + K⊥ = K// + mB (1.28) K// = K − mB (1.29) ma allora: 13 1.4 Confinamento del plasma Figura 1.5: schema dei campi magnetici presenti in un tokamak di conseguenza, all’aumentare del campo magnetico, si ha una diminuzione dell’energia cinetica nella direzione parallela alle linee di campo. Nel momento in cui K// si annulla la particella inverte il suo moto e viene dunque riflessa, da qui il nome di "specchio magnetico". Questo tipo di confinamento ha però un difetto: l’energia cinetica di particelle sufficientemente veloci non può essere annullata, e data una qualsiasi distribuzione continua delle velocità servirebbe un campo di intensità infinita per fermarle tutte. 1.4.2 I tokamak Un modo per ovviare alle perdite che sussistono agli estremi di un dispositivo a specchi magnetici è chiudere la camera cilindrica su sé stessa, ovvero adottare una configurazione a toroide. In questo modo solo il confinamento radiale deve essere ottenuto, cosa che avviene instaurando un campo toroidale. Una qualsiasi particella carica comincerà così a seguire una traiettoria elicolidale indotta dalla componente magnetica della forza di Lorentz: ~ F~ = q~v × B (1.30) di raggio orbitale (detto di Larmor) dipendente dalla componente perpendicolare al campo della velocità: v⊥ m r= (1.31) qB e finché tale raggio resta minore di quello del toro la particella è confinata. Anche in questo caso non è possibile trattenere tutti gli ioni e gli elettroni. Tale configurazione può essere ulteriormente migliorata in base a considerazioni basate sulla magnetoidrodinamica, aggiungendo un campo poloidale ed ulteriori altri campi magnetici ausiliari (verticali, orizzontali...), i quali non hanno più la sola funzione di contenere il plasma, ma anche di scaldarlo comprimendolo. 1.4.3 Fenomeni di diffusione Un altro fenomeno da considerare nel momento in cui si studia la bontà di un sistema di confinamento è quello della diffusione delle particelle attraverso le linee di campo. Esso, per 14 La fusione nucleare: una visione d’insieme una densità generica ρ e con un coefficente di diffusione costante, è regolato dall’equazione: ∂ρ(~r, t) = −D∇2 ρ(~r, t) ∂t (1.32) ottenuta dall’equazione di continuità e definendo la densità di corrente come: ~ r, t) ~j = D∇ρ(~ (1.33) Il parametro fondamentale per valutare la velocità di diffusione è perciò D. Per un plasma, esso è ricavabile come segue. In generale, si ha che: δ2 D= = v2τ (1.34) τ con δ cammino libero medio delle particelle interessate dalla diffusione, τ tempo medio tra due collisioni e v velocità media tra due collisioni. Sperimentalmente si osserva che in un plasma magnetizzato, ad alta temperatura e bassa densità (ovvero il tipo di plasma per applicazioni di fusione nucleare), la frequenza delle collisioni ν = 1/τ è nell’ordine della frequenza ciclotronica e di conseguenza si può prendere come δ il raggio di Larmor e come velocità la velocità quadratica media della distribuzione di Maxwell: √ kb T m 2 eB kb T T = ∝ (1.35) D= eB m eB B le dipendenze da T e B sono esatte nonostante questa relazione sia stata derivata in maniera approssimata. Esse caratterizzano la diffusione nei plasmi e la sua derivazione rigorosa si deve a Bohm. Un ragionamento più sofisticato produce un fattore moltiplicativo pari a 1/16, mentre la crescita di moti turbolenti dovuti, tra gli altri fattori, anche dalle disomogeneità del campo magnetico di contenimento, può far crescere tale coefficiente fino a un valore di 100. 1.4.4 I moti collettivi del plasma In questo stato della materia, la meccanica di ogni particella può essere pensata come indipendente dalle altre solo su scala inferiore alla lunghezza di Debye, che per elettroni con una certa temperatura Te e densità ne è: r 0 kTe λD = (1.36) ne e2 Tale quantità si definisce nel momento in cui si voglia valutare il potenziale elettrico generato da una carica all’interno del plasma, nell’ipotesi in cui ioni ed elettroni siano alla stessa temperatura e quindi i primi siano approssimativamente fermi rispetto ai secondi e siano distribuiti uniformemente [7]. Esso avrà un andamento esponenziale decrescente, a differenza che nel caso di una carica nel vuoto, e la lunghezza di Debye ne è il fattore di scala. Quindi per distanze superiori a λD nel plasma tendono ad instaurarsi moti collettivi, che se opportunamente risonanti possono portare alla formazione e crescita di anomalie nella distribuzione di velocità delle particelle e quindi alla distruzione del confinamento. Una grandezza caratteristica di cui tenere conto in questo caso è la frequenza del plasma: ne e2 νpl = (1.37) me 0 1.5 Immissione di energia nel plasma 15 Figura 1.6: andamento della temperatura in funzione del tempo per un plasma sottoposto a solo riscaldamento ohmico, a densità fissata. Si noti come la potenza trasferita al plasma diminuisca all’aumentare della temperatura. Essa si ricava supponendo di muovere collettivamente un volume infinitesimo S · dx di elettroni rispetto ad una distribuzione di carica inizialmente omogenea. Tale spostamento produrrà un campo elettrico, questo a sua volta una forza di richiamo di tipo elastico e quindi insorgerà di un moto armonico [2]. Un’ulteriore categoria di moti collettivi hanno origine idrodinamica, ovvero emergono in qualsiasi fluido complessivamente neutro e approsimativamente continuo. A questa categoria appartengono le instabilità di Rayleigh-Taylor, che si presentano nel momento in cui un liquido più denso viene posto sopra ad uno meno denso. In questo caso ogni lieve increspatura sulla superficie di separazione tra i due liquidi tenderà a crescere fino a portare il secondo sopra il primo, minimizzando così l’energia libera del sistema. Nel caso dei reattori a fusione, il plasma è il liquido più denso, il vuoto tra plasma e pareti permeato dal campo magnetico è quello meno denso. Questo fatto riporta alla necessità di sovrapporre più campi magnetici di contenimento, ognuno con una sua funzione specifica. 1.5 Immissione di energia nel plasma Un aspetto di fondamentale importanza da considerare nello studio della tecnologia della fusione nucleare è quello che riguarda i metodi per immettere energia nel plasma del reattore. Di seguito verranno presentati brevemente due dei principali approcci utilizzati al di fuori dei fasci neutri, a cui invece sarà dedicato il capitolo successivo. 1.5.1 Correnti ohmiche Un possibile approccio al trasferimento di energia nel plasma è quello di indurre una corrente all’interno dello stesso scaldandolo così per effetto Joule. Tali correnti vengono indotte dall’esterno tramite un campo magnetico oscillante. Nella configurazione toroidale, tale campo è generalmente quello poloidale ed il plasma agisce alla stregua del secondo solenoide di un trasformatore. 16 La fusione nucleare: una visione d’insieme La potenza trasferita al plasma è, in prima approssimazione, quella calcolabile con la legge di Joule: P = RI 2 (1.38) Per valutare la bontà di tale metodo si ha dunque la necessità, innanzitutto, di ricavare il termine R. Un modo per ricavarlo classicamente è quello di considerare la frequenza di collisione elettrone-ione: νcoll = nσv (1.39) La sezione d’urto σ può essere ricavata da considerazioni analoghe a quelle utilizzate per quella coulombiana. Tuttavia data la schermatura di potenziale prodotta dalle altre cariche nel plasma si può supporre che l’interazione si riduca bruscamente all’aumetare della distanza e approssimare al limite questo comportamento supponendo che lo scattering avvenga solo per grandi angoli (' 90o ) oppure non avvenga affatto. In questo caso la variazione di quantità di moto dell’elettrone incidente è nell’ordine di grandezza della quantità di moto stessa, quindi: e2 |m~ vi | ' ∆(|m~ vi |) = |F~e t| ' (1.40) 4π0 bv con F~e forza di Coulomb, b parametro d’impatto e t ' b/vi tempo d’interazione (ovvero tempo in cui possiamo idealmente concentrare l’intero scambio di quantità di moto). Si può quindi ricavare b e, definendo σ = πb2 ottenere: σ= e4 16π20 m2 vi4 → νcoll = ne4 16π20 m2 vi3 (1.41) E’ ora possibile sostituire tale risultato nella relazione che esprime la resistività ρ: ρ= m e2 ν = coll ne2 16π20 mvi3 (1.42) e infine, considerando vi = vt ovvero la velocità quadratica media della distribuzione di Maxwell, si trova che: m1/2 e2 ρ= ∝ T −3/2 (1.43) 16π20 (kb T )3/2 ovvero che la resisitività del plasma diminuisce al crescere della temperatura. Questo fatto, unitamente all’aumento delle perdite di energia per radiazione di frenamento rendono questa metodologia pratica solo per scaldare il plasma fino a qualche unità di keV (nell’ordine della decina di milioni di K), contro i 30-40 keV ottimali per la reazione D-T (a tale proposito si veda la figura 1.6). Per andare a temperature maggiori sono quindi necessarie altre tecniche. Una nota a margine è necessaria a spiegare come è stata trovata la relazione che definisce la resistività utilizzata nel passaggio 1.42. Il termine ρ compare come coefficiente di proporzionalità qualora si voglia trovare la quantità di moto trasferita collettivamente dagli ioni agli elettroni. Tuttavia il moto complessivo di questi ultimi può a sua volta essere espresso in relazione ad un campo elettrico (sia esso indotto dall’esterno o prodotto dalle disomogeneità del plasma). Eguagliando i due termini si scopre così che ρ funge da coefficiente di proporzionalità anche per la relazione che lega tale campo elettrico alla densità di corrente elettronica ed è quindi interpretabile proprio come resisitività [2]. 17 1.5 Immissione di energia nel plasma Figura 1.7: schematizzazione usata nella dimostrazione della costanza del flusso 1.5.2 Pompaggio magnetico Un altro approccio al trasferimento di energia al plasma è quello di utilizzare le onde elettromagnetiche a radiofrequenza. In questo caso si tratta di immettere nella macchina un’onda della frequenza opportuna da produrre periodiche compressioni e decompressioni del plasma, trasferendovi energia in maniera analoga ad un gas soggetto a trasformazioni termodinamiche. Quindi l’aumento di temperatura sarà dato dalla differenza di lavoro fatto sul sistema durante la compressione e quello fatto dal sistema durante la decompressione. Di fondamentale importanza per questo approccio è la conservazione del flusso magnetico nel plasma che si provvederà ora a dimostrare. Si consideri una sezione verticale di area circolare S con raggio r. Il flusso attraverso quell’area sarà quindi Φ = πr2 B se, come in figura 1.7, il campo magnetico è perpendicolare a S e spazialmente uniforme. Si applichi ora la legge di Maxwell: ~ ~ ×E ~ = − ∂B ∇ (1.44) ∂t e la si integri aiutandosi con il teorema di Stokes. Si ottiene quindi: ~ ~ = − r ∂B E 2 ∂t Questo campo elettrico induce quindi una corrente nel plasma, corrisponente ad una certa velocità di deriva degli elettroni, calcolabile dalla legge di Lorentz per F~ = 0, pari a: ~ × B| ~ dr |E E r ∂B = = =− (1.45) 2 dt B B 2B ∂t considerando il secondo e l’ultimo termine della catena di uguaglianze si ricava che: vd = 2rB dr dB d + r2 = (r2 B) = 0 dt dt dt (1.46) ovvero che r2 B è costante nel tempo. Tuttavia si ricordi che il flusso magnetico è pari a πr2 B e di conseguenza anche Φ è costante nel tempo. Ma allora, chiamando B1 e B2 il modulo del campo magnetico e r1 e r2 i raggi del plasma in tali istanti si ha che: B1 r12 = B2 r22 (1.47) Infine si consideri che, essendo invariata la lunghezza del toro di plasma, ri2 ∝ Vi e di conseguenza: B1 V 1 = B2 V 2 (1.48) 18 La fusione nucleare: una visione d’insieme Quindi una variazione del campo magnetico indotta dall’esterno porta ad una compressione del plasma con conseguente aumento di temperatura. Tale variazione può essere ripetuta nel tempo sfruttando proprio la componente magnetica di una onda a radiofrequenza. Capitolo 2 I fasci neutri per la fusione nucleare Tra i metodi utilizzabili per portare il plasma a temperatura operativa per la fusione v’è l’utilizzo di fasci di atomi neutri accelerati. Quest’idea cerca in parte di sopperire ai problemi che hanno altri approcci e fornisce ulteriori risvolti desiderabili, come la possibilità di usare tali fasci per iniettare il carburante nella camera man mano che la reazione procede. La necessità di utilizzare atomi (invece di protoni/deuteroni/elettroni carichi) è data dal fatto di non poter interagire con i campi magnetici di confinamento del reattore, pena la perdita di gran parte di energia del fascio. La generazione di fasci neutri può essere suddivisa di tre fasi: • generazione di un fascio di ioni ad alta energia; • neutralizzazione del fascio di ioni; • trasporto del fascio neutro al plasma Data l’impossibilità di neutralizzare ioni positivi ad energie superiori ai 100 keV/nucleone (a causa della ridotta sezione d’urto per scambio di carica, si veda a tale proposito la figura 2.2) è necessario produrne con carica negativa e poi provvedere a rimuovere l’elettrone in eccesso con un opportuno stripper. Inoltre, per poter iniettare una potenza consistente nel plasma, è necessario mantenere correnti elevate (nell’ordine di decine di ampere di D− ). 2.1 Produzione degli ioni Il primo passo per la produzione di un fascio di particelle di qualsiasi genere è la produzione di ioni. Questa può essere effettuata inducendo un arco elettrico tra due terminali oppure immettendo un’onda a radiofrequenza che ecciti gli elettroni fino a indurre ionizzazione. La seconda è preferibile alla prima in quanto non inquina il plasma con ioni metallici provenienti dagli elettrodi e riduce la necessità di manutenzione. Nel caso gli ioni negativi vengano prodotti a partire da un volume di gas, l’esatto processo è così schematizzabile e prende il nome di dissociative attachment: D2 + eveloce − →D2 ∗ + e− (2.1) D2 ∗ + elento − →D− + D (2.2) Il principale processo con cui tali ioni vengono distrutti è invece: D− + e− →D + 2 e− 19 (2.3) 20 I fasci neutri per la fusione nucleare Figura 2.1: Andamento delle sezioni d’urto in funzione della temperatura per Dissociative Attachment ovvero il principale processo di formazione degli ioni negativi, per Electron Detachment ovvero principale processo di distruzione, e della densità ionica [9] detto electron detachment. Scegliendo opportunamente il campo magnetico si possono selezionare in energia gli elettroni liberi, allontanando i più collisionali e riducendo così il numero di reazioni di neutralizzazione degli ioni. Dallo studio delle sezioni d’urto si può notare come tale accorgimento possa aumentare di più di un fattore 1 la densità di ioni negativi nel plasma (figura 3.1). 2.1.1 Produzione per contatto Gli ioni negativi possono anche essere prodotti per contatto con superfici opportunamente trattate. In questo caso ciò che avviene è la rimozione di due elettroni dalla banda di conduzione da parte del deuterone positivo incidente, che rimbalzando su tale superficie diviene in questa maniera negativo. Per ottenere ciò si deposita uno strato spesso pochi atomi di cesio (idealmente, monoatomico) su di un metallo con bassa funzione lavoro. Questo abbassa ulteriormente tale energia aumentando le probabilità che avvenga il processo appena descritto [9]. 2.2 Accelerazione degli ioni Una volta prodotti, gli ioni negativi devono essere accelerati. Per fare ciò si utilizza un semplice campo elettrostatico tra due terminali forati, il primo negativo ed il secondo positivo. In questo modo è possibile estrarre gli ioni, che possono poi essere successivamente ulteriormente accelerati o meno. L’entità della corrente estratta è dettata dalla legge di Child-Langmuir, che ora si procederà a dimostrare. Nella sua versione originale, tale equazione è stata derivata partendo dall’equazione di Poisson e risolvendo una equazione 21 2.2 Accelerazione degli ioni differenziale del secondo ordine, tuttavia è stata sviluppata una dimostrazione che si basa su alcuni semplici assunti sulla capacità del vuoto e su conservazione di energia e carica. Si considerino perciò due armature piane immerse nel vuoto di area A alla distanza d l’una dall’altra. L’entità della carica legata al catodo Qb sarà: Qb = CV = 0 AV d Possiamo ora supporre in prima approssimazione che la carica libera Qf attraversante il gap sia pari alla carica accumulata sulle armature. Il tempo di transito sarà pari a: τ= d v̄ dove v̄ è la velocità media delle cariche nel gap. Questa può a sua volta essere stimata come: r 0 + vmax 1 2eV v̄ = = 2 2 m calcolando la velocità finale vmax dalla conservazione dell’energia. La corrente passante per il gap sarà dunque: r Qf 0 AV 2eV I= = τ 2d2 m e quindi la densità di corrente risulterà essere: r 0 2e V 3/2 J= 2 m d2 (2.4) Questo risultato è inesatto solo nel coefficiente iniziale 1/2. Volendo correggerlo, si consideri il potenziale φ(x) tra le piastre. Allora da quanto appena visto: 0 J(x) = 2 r 2e V 3/2 0 = 2 m d 2 r 2e φ3/2 (x) m x2 richiedendo semplicemente che l’equazione trovata resti valida per qualuque 0 < x < d. Dunque si ha che: 4/3 x φ(x) = V d la cui derivata seconda rispetto a x sarà: 4V φ (x) = 2 9d 00 −2/3 x d ma ora, considerando l’equazione di Poisson (monodimensionale): d2 φ(x) ρ(x) = 2 dx 0 e sostituendo, abbiamo che: 4V 0 ρ(x) = 9d2 −2/3 x d (2.5) 22 I fasci neutri per la fusione nucleare Figura 2.2: efficienza dello stripper a gas per ioni positivi e negativi di deuterio. Si possono poi vedere le efficienze teoriche di altri due tipi di stripper (laser e plasma) [3] Infine, si consideri la p definizione di densità di corrente e si ricordi che per conservazione dell’energia si ha v = 2eφ/m. Valutando allora tale potenziale all’anodo otteniamo che: 40 J(d) = ρ(d)v(d) = 9 r 2e V 3/2 m d2 (2.6) che è esattamente l’equazione di Child-Langmuir [4]. Si può notare come J sia facilmente selezionabile in funzione della differenza di potenziale e della struttura geometrica dell’estrattore-acceleratore. Ulteriori e più complesse considerazioni sono possibili sulla forma del foro negli elettrodi e sul rapporto tra tali aree e la distanza dei due. Scegliendoli opportunamente è infatti possibile aggiustare la focalizzazione del fascio. 2.3 Neutralizzazione Una volta accelerati, gli ioni devono essere neutralizzati per permettere loro di penetrare il campo di confinamento magnetico senza perdite di energia. Tale neutralizzazione è in realtà un processo effettuato in due fasi: nella prima si provvede a strappare gli elettroni in sovrannumero per neutralizzare gli ioni, nella seconda a ripulire il fascio dagli ioni rimasti e dagli elettroni prodotti dalla neutralizzazione stessa. Lo stripper, ovvero il componente adibito alla neutralizzazione, è, nel caso di iniettori per la fusione nucleare, un tenue gas di deuterio molecolare (D2 ), mantenuto ad una pressione di 0,03-0,3 Pa. Tale range è stato scelto considerando il fatto che, per diffusione, esso sarà quello a cui deve essere tenuto l’intero apparato e che a pressioni maggiori l’inefficienza nell’accelerazione degli ioni cresce. D’altro canto, diminuendo la pressione, diminuisce invece l’efficienza dello stripper e della sorgente di ioni. Queste ultime sono infatti strettamente legate al cammino libero medio di una particella: dato che avviene tramite urto, ad un minore cammino l corrisponde una maggiore efficienza η, quindi: η∝ 1 ∝P l (2.7) dove la proporzionalità inversa tra l e la pressione P può essere facilmente ricavata dalla teoria cinetica dei gas e che per valori intermedi di η è una buona approssimazione [5]. 23 2.4 L’interazione fascio-plasma Figura 2.3: struttura schematica dell’iniettore di fasci neutri pensato per ITER [6] Per una pressione operativa di 0.3 Pa, all’uscita dal neutralizzatore ci si aspetta un fascio composto per il 60% da D, per il 20% da D− e per il restante 20% da D+ . I processi che avvengono nel passaggio del fascio attraverso questa regione di gas neutro sono: D− + D2 →D− + D + D+ + e− (2.8) dove la barra bassa indica le particelle del fascio, ovvero la comune ionizzazione del mezzo, e: D− + D2 →D+ + 2 D + e− (2.9) D− + D2 →D+ + D + D+ + e− + e− (2.10) ovvero la reazione di neutralizzazione desiderata. Dopo il passaggio attraverso lo stripper, il fascio entra nel RID (Residual Ion Dump) che tramite campo elettrostatico ripulisce il fascio dagli ioni residui. Esso è costituito di una serie di armature tenute ad una opportuna differenza di potenziale. La struttura complessiva tipica di un iniettore di fasci neutri è visibile in figura (2.3). 2.4 L’interazione fascio-plasma Dopo essere stato opportunamente accelerato e neutralizzato, il fascio viene immesso nella camera toroidale. Qui esso provvede ad aumentare la temperatura del plasma, principalmente per collisione tra le particelle ad alta velocità del primo e quelle più lente del secondo, da cui l’importanza di avere un elevato flusso. Da notare che una volta entrati nel plasma, alla loro prima collisione, gli atomi ridiventano ioni positivi. 2.4.1 Collisioni binarie Si studieranno perciò innanzitutto le collisioni binarie. Si consideri una particella proiettile ~ e massa M e sia θ l’angolo di velocità ~v e massa m e una particella bersaglio di velocità V 24 I fasci neutri per la fusione nucleare Figura 2.4: geometria di una collisione binaria compreso tra i due. Si definisca poi la velocità di ogni particella rispetto al centro di massa, ~,w ~ 0 . La velocità relativa tra le particelle è quindi: prima e dopo l’urto: w, ~ W ~ 0, W ~ Vr = w ~ +W (2.11) Vr2 = V 2 + v 2 − 2V vcosθ (2.12) e, riferendosi alle velocità iniziali: Dalla conservazione della quantità di moto abbiamo poi che: Vm2 = m M mM v2 + +2 V vcosθ m+M m+M m+M (2.13) con Vm velocità del centro di massa. Definendo ora l’angolo φ tra Vm e w ~ si possono scrivere le velocità iniziali e finali della particella proiettile come: v 2 = Vm2 + M2 M mM Vr2 + −2 Vm Vr cosφ 2 (m + M ) m+M m+M e (v 2 )0 = Vm2 + 2.4.2 M2 M mM −2 Vm Vr cosθ Vr2 + 2 (m + M ) m+M m+M (2.14) (2.15) Sezione d’urto media Si cercherà ora una relazione che leghi la sezione d’urto media alle grandezze macroscopiche di fascio e plasma. Questo servirà poi per calcolare l’energia effettivamente depositata nel reattore. Si consideri una sezione d’urto per urti binari pari a quella coulombiana (o di Rutherford) classica: 2 q1 q2 1 σ(Vr , α) = (2.16) 2 8π0 µVr (sen(α/2))4 25 2.4 L’interazione fascio-plasma con q1 e q2 cariche degli ioni del fascio e del plasma rispettivamente e α angolo di diffusione. Dato quindi un plasma con distribuzione maxwelliana di velocità si avrà una densità numerica nelle velocità del tipo: 3/2 MV 2 M 2 F (V ) = 2πV e− 2kT (2.17) 2πkT allora la sezione d’urto media si potrà calcolare come: Z Z 1 Z ∞ ¯ =1 d(cosθ) dΩ σ(Vr , α)F (V ) dV σ(v) v 0 Ω −1 (2.18) con Ω direzione del vettore velocità delle particelle del plasma. Ora, nel paragrafo precedente abbiamo trovato una relazione che lega cosθ alle velocità relativa tra le particelle (eq. 2.12). Differenziandola otteniamo quindi: d(cosθ) = − Vr dVr vV (2.19) Si potrebbe procedere all’integrazione, tuttavia per grandi parametri d’impatto (ovvero piccoli angoli α) non si può trascurare la schermatura di carica offerta dagli altri ioni ed elettroni. Di conseguenza bisogna modificare l’equazione che definisce lo scattering di Rutherford in modo che tenga conto di questo ulteriore effetto. La soluzione proposta da Bohm e derivata dalla meccanica quantistica è: 2 q1 q2 1 σ(Vr , α) = (2.20) 2 2 8π0 µVr (sen (α/2) + 1/4(h̄/µλD Vr )2 )2 Tuttavia d’altro canto, nel caso che (q1 q2 )/(h̄Vr ) >> 1 l’interazione può di nuovo essere descritta dalla normale sezione d’urto coulombiana. Per tenere conto di entrambi i comportamenti, si può utilizzare la 2.20 e, nel momento in cui si effettua l’integrazione per trovarne il valore medio, definire un angolo di minimo α0 sotto il quale σ(Vr , α) sia zero. Ciò che si sta cercando di ottenere è quindi una distribuzione equivalente al posto dell’esatta funzione che soddisfi tutti i comportamenti. Richiedendo una transizione continua fino alla derivata prima della sezione d’urto in α0 si può definire opportunamente l’angolo limite come: h̄ q1 q2 α0 = 1+ (2.21) µλD Vr 4π0 h̄Vr di conseguenza la 2.20 diventa: σ(Vr , α) = q1 q2 2µVr2 2 1 (sen2 (α/2) + 1/4α02 )2 (2.22) Essendo tuttavia interessati ad una soluzione approssimata, si può operare una ulteriore semplificazione e definire l’angolo limite come: α0 = α0 = h̄ µλD Vr q1 q2 2π0 µλD Vr2 se 0 < Vr < se q1 q2 2π0 h̄ q1 q2 < Vr < ∞ 2π0 h̄ (2.23) (2.24) Quindi, nel calcolo della sezione d’urto media, si provvederà a suddividere l’integrale sui moduli delle velocità della 2.18 in due parti, il cui valore di demarcazione sarà proprio q1 q2 /2π0 h̄. 26 I fasci neutri per la fusione nucleare Effettuando le opportune sostituzioni si trova dunque l’espressione: 1/2 Z M q1 q2 2 ∞ 4 ¯ = 8π dVr σ(v) 2 α2 (4 + α2 ) v 2 2πkb T 4π0 µ V 0 r 0 0 (2.25) e tale integrale è proprio quello che andrà spezzato in due, sostituendo in ciascuna sezione la relazione opportuna per α0 così come è stata data nelle 2.23 e 2.24. Per il calcolo, può essere riscritto appoggiandosi alle seguenti variabili ausiliarie: x= M V2 2kb T r M 2 v 2kb T q1 q2 2 M δ= 2kb T 2π0 h̄ M q1 q2 β= 2kb T 4π0 µλD 2 M h̄ γ= 2kb T 2µλD R2 = di conseguenza: ∞ Z 0 1 = 2 β Z 0 δ 4 dVr = 2 2 Vr α0 (4 + α02 ) Z 0 ∞ 2 2 r) 4senh(M vVr /kb T ) − M (v2k +V bT e dVr = Vr2 α02 (4 + α02 ) √ √ Z ∞ x3 senh(2R x) −(R2 +x) dx xsenh(2R x) −(R2 +x) dx 1 √ √ e e + β 2 + x2 γ+x x γ2 δ x Tale espressione va ulteriormente semplificata, approssimandola, se la si vuole calcolare analiticamente. Sperimentalmente si ha che i parametri β e γ sono numericamente piccoli rispetto a x e di conseguenza possono essere trascurati nell’integrando. Ci si riduce così a: 1 β2 Z 0 δ √ √ 1 2 xsenh(2R x)e−(R +x) dx + 2 γ Z δ ∞ √ 1 2 √ senh(2R x)e−(R +x) dx x che può essere valutato in termini di funzione di errore: Z 2 z −t2 Φ(z) = e dt π 0 2.4.3 (2.26) Energia trasferita al plasma Al fine di calcolare l’energia effettivamente trasferita al plasma bisogna innanzitutto considerare l’energia persa in media da una singola particella. Per farlo si consideri l’equazione 2.18 da cui siamo partiti per il calcolo della sezione d’urto media. Inserendo nell’integrando di tale relazione la quantità: m(v 2 − (v 0 )2 ) 2 2.4 L’interazione fascio-plasma 27 ovvero l’energia cinetica persa dopo ogni urto da una particella del fascio, si otterrà la seguente quantità: 3/2 Z ∞ Z |V~ +~v| Z 2π M m(v 2 − (v 0 )2 ) − M L= 2 V e 2kb T Vr2 σ(Vr , α) dV dVr dΩ (2.27) v 2πkb T 2 ~ −~v | 0 |V che si rapporta alla velocità con cui il fascio perde energia secondo la relazione: dĒ = −nLv (2.28) dt Il calcolo di questo integrale può essere effettuato con le sostituzioni già utilizzate per ricavare la sezione d’urto media, tuttavia richiede alcuni ragionamenti ulteriori. Innanzitutto si noti che, esprimendo kb T in keV: 2 γ n −22 M e = 2.52 · 10 δ µ 4π0 Z12 kb T con Z1 stato di carica della particella di cui stiamo considerando la perdita di energia. Allora si vede che, a meno che n non sia dell’ordine di grandezza di 1022 , γ è trascurabile rispetto a x qualora x > δ. Quindi possiamo dire che: γ+x x x x ln − ' ln −1 ' ln (2.29) γ γ+x γ γ Data la presenza del fattore esponenziale e−x nell’integrando si può dire che ln(x) sia trascurabile nelle regioni dove esso è dello stesso ordine o maggiore di 1/γ, perciò si ha infine che: x 1 γ+x ln − ' ln (2.30) γ γ+x γ Si noti poi che: 2 β γ = (2.31) δ δ da cui deriva che: 2 β + x2 x2 1 ln − 2 ' ln 2 (2.32) 2 2 β β +x β Armandosi di tali considerazioni l’integrazione può essere effettuata più agevolmente. Omettendo la complessa soluzione trovata, si può direttamente valutare il limite classico per L, ovvero: π q1 q2 2 2m 4 1 −R2 lim L ' Φ(R) − √ Re ln 2 (2.33) δ→∞ µ 4π0 v m+M β π Infatti, data la forma di δ, quando h̄ → 0 tale parametro tende ad infinito. Nonostante questo sia il risultato che verrà poi utilizzato per calcolare l’efficienza dei fasci neutri nello scaldare il plasma, può essere interessante valutare anche un altro limite: π q1 q2 2 2m 4 1 −R2 lim L ' Φ(R) − √ Re ln δ→0 µ 4π0 v m+M γ π Come si può infatti vedere dalle figure 2.5 e 2.6 l’andamento effettivo di dE/dt degli atomi accelerati è ottimamente approssimabile con il limite classico per basse energie (fino ad una energia di fascio di 200 keV), mentre ad alte energie prevale il comportamento espresso dall’espressione trovata quando δ → 0. In entrambi i grafici i limiti sono rappresentati dalle curve tratteggiate, il valore vero da quella continua, che si sovrappone ottimamente alle prime nelle regioni ad energia opportuna. 28 I fasci neutri per la fusione nucleare Figura 2.5: andamento della perdita di energia di un fascio di deuteroni in funzione della propria energia, su un target di deuteroni con densità n = 1014 m−3 e temperatura kb T = 1 keV 2.5 Perdite di energia ed efficienza Si vuole ora analizzare l’efficienza di tale metodo nello scaldare il plasma e le possibili problematiche a cui è associato. Verrà in particolare esaminato il limite classico (equazione 2.33). Si consideri quindi: dĒ 2m n (q1 q2 )2 4 1 −R2 √ = −nLc v = − Φ(R) − Re ln 2 dt µ 16π20 v m + M β π (2.34) Definendo la funzione F (x) come: 1 F (x) = x Z x e 0 −t2 M −x2 dt − 1 + e m (2.35) è possibile riscrivere la 2.34 in forma più compatta: dĒ n (q1 q2 )2 v 1 = −nLc v = − F ln 2 2 3/2 dt M 4π 0 vt Vt β (2.36) con Vt velocità quadratica media delle particelle bersaglio, ovvero del plasma. E’ possibile esprimere il rateo di perdita di energia in funzione della velocità dello ione/elettrone coinvolto ricordando l’equivalenza: dE dv = mv dt dt il risultato è: d(v 3 ) 3n (q1 q2 )2 v 1 =− G ln 2 2 3/2 dt mM 4π 0 Vt β (2.37) 29 2.5 Perdite di energia ed efficienza Figura 2.6: andamento della perdita di energia di un fascio di deuteroni in funzione della propria energia, su un target di elettroni con densità n = 1014 m−3 e temperatura kb T = 1 keV dove G(x) = xF (x). Dato che nelle condizioni d’interesse v >> Vt è possibile limitarsi a valutare l’andamento asistotico di tale funzione. Si trova così che: √ π lim G(x) = lim F (x) = x→+∞ x→+∞ 2 Inoltre si nota che se: v 3 M = Vt 2 m (2.38) ovvero la situazione che si ha quando l’energia cinetica delle particelle in arrivo equivale quella delle particelle nel plasma, sia F che G si annullano. E’ di particolare interesse studiare la perdita di energia causata da elettroni e ioni separatamente, dato che l’obbiettivo è scaldare questi ultimi. Siano quindi Vi e Ve le velocità termiche delle due specie contenute nel plasma. Allora applicando 2.37 si ottiene: 2 d(v 3 ) 3 (q1 q2 )2 1 Z ni v ne v =− ln 2 G + G 2 3/2 dt m 4π 0 β Mi Vi Me Ve (2.39) Volendo ora valutare i pesi relativi dei due termini, nel caso che v >> Vi e v >> Ve , si nota che: ( dE Mi ne dt )elettroni (2.40) = Me Z 2 n i ( dE dt )ioni ovvero che gran parte dell’energia viene trasferita proprio agli elettroni. Per una applicazione tecnologica, si deve allora cercare la velocità che devono avere gli atomi del fascio per far si che tali tassi di energia trasferita siano uguali. Questa velocità u soddisferà la condizione: u u Z 2 ni ne G = G (2.41) Mi Vi Me Ve 30 I fasci neutri per la fusione nucleare Per facilitare il calcolo, si può sostituire G(x) con i primi due termini della sua espansione in serie attorno a x = 0: −M 2 M G(x) ' x+ + x3 (2.42) m 3 m In questo modo si può facilmente trovare una soluzione nel caso in cui v >> Vi e v << Ve : √ 2 3 3 Me ni 3 πZ u ' Ve (2.43) Mi n e 4 ricordando che nella 2.42 M , ovvero la massa degli elettroni bersaglio in questo caso, è molto più piccola della massa m dei deuteroni del fascio e di conseguenza M/m → 0. Se, poi, si ha in particolare che Ti = Te , la velocità u diventa: √ Mi 1/2 3 πZ 2 ni u3 ' vi3 (2.44) Me 4ne Volendo infine valutare numericamente u rispetto a Vi e Ve si ha, con ni = ne , Z = 1, Mi /Me ' 3700, rispettivamente: Ve 14 Ti 6= Te u = 4Vi Ti = Te u= 2.5.1 Auto-riscaldamento da prodotti di fusione Si possono ora utilizzare le equazioni appena trovate per valutare la frazione di energia rilasciata nel plasma da parte delle particelle prodotte dalle reazioni di fusione stesse. A titolo di esempio, si può valutare l’energia trasferita dai protoni a 3.2 MeV prodotti dalla reazione D-D ad un plasma alla temperatura di 10 keV. Si avrà quindi che: v ' 24 Vi v ' 0.4 Ve Considerando ora una forma più adatta della 2.40, dove sussistano le condizioni v >> Vi e v << Ve : 3 ( dE Mi ne v 2 dt )elettroni √ = (2.45) 2n dE M Z V π ( dt )ioni e i e si trova che, anche in questo caso, il trasferimento di energia favorisce gli elettroni con un rapporto pari a circa 170. 2.5.2 Tempo di rallentamento Un ulteriore parametro da valutare è dato dal tempo di rallentamento della particella nel plasma. Se tale tempo fosse superiore al tempo in cui si è in grado di tenere confinato il plasma una parte dell’energia del fascio andrebbe persa. Per valutare tale parametro si consideri la 2.36. Si può poi considerare il fatto che, per particelle veloci rispetto alla temperatura di background, gran parte dell’energia viene trasferita agli elettroni, quindi per semplicità si consideri un gas formato da questa sola specie. Nell’ipotesi che v << Ve la funzione d’errore (come definita alla fine del paragrafo 2.4.2) può essere espansa al secondo ordine in zero come: 2 R3 Φ(R) ' R− (2.46) π 3 31 2.5 Perdite di energia ed efficienza Si ha poi una massa ridotta del sistema particella veloce-elettrone pari a : µ= mme ' me m + me Sostituendo ora questi due risultati nella 2.36 si ottiene che: s dĒ 1 ne (q1 q2 )2 2πme ln 2 E =− 2 3 3 2 dt β 12π 0 m kb Te (2.47) Di conseguenza si può definire il tempo di rallentamento come: s me kb3 Te3 12π 2 20 m τs = 2π (q1 q2 )2 me ne ln( β12 ) (2.48) In questo modo la 2.47 diventa quindi: E dĒ =− dt τs (2.49) Questo risultato produce una legge esponenziale per l’energia del fascio e permette di puntualizzare che il tempo di confinamento tc debba essere pari ad almeno qualche unità di τs per evitare che essa venga sprecata. 2.5.3 Tempo di termalizzazione Sempre nell’ambito dei parametri temporali, si può definire il tempo di termalizzazione, ovvero quello impiegato da uno ione del fascio a raggiungere un’energia pari a quella termica dei costituenti del plasma. Bisogna dunque ampliare il discorso fatto per trovare il tempo di rallentamento ampliandolo anche agli ioni del plasma. Quindi: dĒ dĒ dĒ = + (2.50) dt tot dt e dt i Il primo termine di destra è già stato valutato (equazione 2.49). Per il secondo si noti che se R >> 1 allora Φ(R) ' 1 e quindi la 2.34 presenta un forma particolarmente semplice. Il risulato complessivo è: dĒ dt nln( β12 )(q1 q2 )2 E =− − τs 8π20 Mi tot r m −1/2 E 2 (2.51) Normalizzando convenientemente le energie a quella elettronica E 0 = E/kb Te l’equazione di cui sopra si riduce a: dE 0 1 = − (E 0 + r3 (E 0 )−1/2 ) (2.52) dt τs con: √ 3 πm3/2 3 r = (2.53) 4 Mi Me1/2 Questa equazione differenziale può essere risolta considerando che E00 = E 0 (t = 0). Allora: E 0 (X) = ((r3 + (E00 )3/2 )e−X − r3 )2/3 con X = 3t 2τs (2.54) 32 I fasci neutri per la fusione nucleare Figura 2.7: tempo di termalizzazione in funzione dell’energia del fascio. Il plasma ha una densità ni = ne di 1013 m−3 , una temperatura elettronica Te di 1 keV e una temperatura ionica Ti di 0.5 keV da cui, ponendo E 0 (t) uguale all’energia termica delle particelle e invertendo, si ottiene infine il tempo di termalizzazione, pari a: 0 3/2 2 (E0 ) + r3 tth = τs ln (2.55) 0 )3/2 + r 3 3 (Eth Si è così ottenuti un preciso limite inferiore per il tempo di confinamento al fine di utilizzare efficacemente i fasci neutri, infatti solo se tc sarà maggiore di tth gli atomi accelerati avranno depositato interamente la loro energia nel reattore. 2.5.4 Energia trasferita agli ioni E’ possibile ora utilizzare il risultato trovato per stimare l’energia totale trasferita dal fascio agli ioni, che è la questione centrale da affrontare per stabilire la bontà di questo approccio al problema di portare e mantenere il plasma in condizioni ottimali per la fusione nucleare. Tale energia ∆Ei0 sarà uguale all’integrale sul tempo del secondo membro della 2.50, ovvero: Z Xth 0 3 − ∆Ei = r dx(E 0 (x))−1/2 (2.56) 0 con Xth pari al tempo di termalizzazione scalato su τs . Per risolverlo è utile introdurre la variabile ausiliaria s definita come: s3 = (E00 )3/2 ottenendo quindi: −∆Ei0 = 3r3 Z (E00 )1/2 0 )1/2 (Eth s ds = s3 + r 3 (2.57) 33 2.5 Perdite di energia ed efficienza 3 = r ln q 0 1/2 (s − 2r )2 + 43 √ 2s + r (E0 ) + 3arctan √ s+r 3r (E 0 )1/2 (2.58) th funzione monotona crescente di E00 , ovvero p dell’energia iniziale del fascio, che per grandi valori di tale quantità cresce come arctan( E00 ). Interessante notare come tale primitiva sia superiormente limitata dall’asintoto: p π 0 −∆Ei∞ = √ r2 3 dipendente solamente dalle masse delle particelle coinvolte. Si può poi ricavare l’energia E 0 ∗ che deve avere un atomo del fascio affinché essa risulti infine equiripartita tra elettroni e ioni. Basta eguagliare i due termini a destra della 2.52, ottenendo: E 0 ∗ = r2 (2.59) 0 abbastanza piccola da essere trascurata, si possono A questo punto, supponendo Eth confrontare i valori di energia trasferita ottenuti, trovando che: 0 ∆Ei∞ = 2.44 ∆Ei0 (E00 = E 0 ∗) Questo significa che aumentando l’energia del fascio al di sopra a quella di equipartizione E 0 ∗ si può comunque trasferire più energia agli ioni, al prezzo di una minore efficienza: infatti aumenterà di pari passo la percentuale trasferita relativa agli elettroni. A questo proposito si veda la figura 2.8. Figura 2.8: frazione di energia trasferita a elettroni e ioni in funzione dell’energia iniziale del fascio 34 2.6 I fasci neutri per la fusione nucleare Conclusioni Si può ora giungere ad alcune conclusioni riguardo alla tecnologia della fusione nucleare, non prima di aver dato uno sguardo d’insieme al lavoro svolto. Innanzitutto, è stato costruito un modello semplificato semi-classico dei più importanti aspetti riguardanti la realizzazione di un reattore funzionante: il bilancio energetico complessivo, il confinamento del plasma e l’immissione di energia necessaria a portare la macchina al punto di break-even. Tutti questi aspetti sono stati collegati a grandezze macroscopiche del plasma (come densità e temperatura) e del fusore (intensità dei campi magnetici prodotti), permettendo quindi di porre alcune condizioni generali alla realizzabilità di tale tecnologia. Dopodiché ci si è concentrati sullo specifico approccio dei fasci neutri, dimostrandone la validità teorica e ricavandone due principali risultati atti a valutarne l’efficacia: il tempo di termalizzazione e la frazione di energia trasferita agli ioni del plasma. Il primo relaziona l’applicabilità del metodo direttamente al tempo in cui si è in grado di tenere confinato il plasma, il secondo ne valuta l’efficienza effettiva. Si può così concludere che l’uso di fasci di atomi accelerati per portare e mantenere il plasma nelle condizioni ideali per permettere la fusione nucleare è pienamente valido, dal momento che è stata sviluppata la capacità di confinare il plasma per tempi "lunghi" (centinaia di secondi) rispetto al tempo di termalizzazione. La sua efficienza è limitata dal fatto che gli elettroni assorbono percentuali crescenti dell’energia del fascio, fatto che colpisce, tuttavia, anche gli altri approcci analizzati (correnti ohmiche e pompaggio magnetico). Ha invece il notevole vantaggio di poter essere utilizzato anche per iniettare carburante nel plasma. Si può quindi infine osservare come a decidere la sorte a lungo termine dei fasci neutri per fusione nucleare sarà principalmente l’efficienza all’origine (ovvero nella produzione, accelerazione e neutralizzazione degli ioni). Bibliografia [1] T. Kammash (1975), Fusion reactor physics, Ann Arbor Science Publishers [2] F. F. Chen (1984), Introduction to plasma physics and controlled fusion, Plenum Press [3] M. Kikuchi, K. Lackner, M. Q. Tran (2012), Fusion physics, International Atomic Energy Agency [4] R. J. Umstattd, C. G. Carr, C. L. Frenzen, J. W. Luginsland, Y. Y. Lau, Am. J. Phys. 73 (2) (2005) [5] E. Surrey, AIP Conf. Proc. 925 (2007) [6] A. Krylov and R. S. Hemsworth (2005), Gas flow and related beam losses in the ITER neutral beam injector, http://www-pub.iaea.org/MTCD/publications/PDF/ P1256-cd/papers/krylov.pdf [7] K. Knizhnik (2005), Derivation of the plasma Debye length, http://www.pha.jhu. edu/~kknizhni/Plasma/Derivation_of_Debye_Length.pdf [8] D. Stork (2009), DEMO and the route to fusion power, http://fire.pppl.gov/eu_ demo_Stork_FZK%20.pdf [9] A. Mimo (2014), Diagnostics for negative ion source NIO1, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Padova [10] E. Gozzi (2012), Notes on quantum mechanics, Università degli Studi di Trieste 35