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naviganti: diretta da Anna Angelucci
Sboom
Sappiamo ancora sostenere il cambiamento?
Roberto Sommella
Quanto siamo cambiati dopo la crisi? Debito, differenze sociali, disoccupazione, sono tutti
aumentati, ma non dipende solo dalle ricette sbagliate dei governi. È in atto una rivoluzione
industriale che sta trasformando tutto: capitale, lavoro, ricchezza, povertà. E nessuno sembra in
grado di capire quando finirà l'era dello sboom. A meno che non si diventi protagonisti della
trasformazione, ripartendo dall'uomo.
Roberto Sommella è direttore delle Relazioni Esterne dell'Autorità Antitrust. Laureato in Scienze
Politiche con una tesi su Schumpeter, si è sempre occupato di economia. Già condirettore di Milano
Finanza, ha lavorato per molti anni all'Agenzia Ansa. Esperto di finanza pubblica e temi europei, è
autore del libro I veleni di Op (1995) e del saggio ''Un nuovo lettore un nuovo quotidiano'' (2014).
Editorialista economico di Europa, scrive anche su altri quotidiani nazionali ed è opinionista
televisivo e radiofonico.
Indice
Presentazione
di Francesco Boccia
VII
2
SBOOM
1
PARTE PRIMA
Storia di uno sboom economico
5
PARTE SECONDA
La Terza rivoluzione industriale
è arrivata in Europa?
53
PARTE TERZA
Lo sboom delle notizie.
Tutti vogliono scrivere,
nessuno vuole più leggere
75
CONCLUSIONI
Sappiamo ancora sostenere il cambiamento?
99
Bibliografia e sitografia
105
Presentazione
di Francesco Boccia
Per governare il cambiamento è necessario guardare la trasformazione del nostro mondo e della società
europea con occhi diversi. Roberto Sommella con Sboom ci propone una prospettiva nuova.
Attualmente quella europea è l’unica importante economia del pianeta (insieme a quella giapponese, ma
quest’ultima ha troppe specificità per essere agevolmente comparabile) a non crescere, configurandosi come
un’area che perde progressivamente peso rispetto a tutte le altre, in particolare quella americana, cinese e quelle
di altri paesi emergenti. Ma è anche l’area che, a fronte di circa il 25% del prodotto lordo mondiale e del 7%
della popolazione, sostiene il 50% delle spese mondiali per il welfare: spese che la bassa dinamica demografica
tende a far crescere. Alla fine del 2007, l’area euro si presentava con un debito pubblico mediamente del 66,4%
sul Pil nei 17 paesi della zona euro ed una spesa pubblica al 45% del Pil.
Sembra, quindi, opportuna una riflessione sulle regole europee. Regole che, in presenza di una situazione di
bassa crescita e di deflazione, andrebbero forse riconsiderate. Potrebbe essere il caso dell’effetto congiunto
3
della regola del pareggio di bilancio (obiettivo di medio termine, Mto) e della regola sul debito. Quella del
rispetto del Mto è più stringente della seconda e, in condizioni normali, il rispetto della prima implica il rispetto
della seconda. Le condizioni normali sono quelle in cui il Pil nominale cresce anche in assenza di crescita reale,
per l’aumento del livello generale dei prezzi. Poiché, con riguardo agli effetti sul debito, ciò che di esso va
ridotto di un ventesimo in media all’anno, ai sensi del Six-Pack, non è lo stock di debito in valore assoluto,
bensì il rapporto tra due variabili espresse in termini nominali (il debito a numeratore, il Pil a denominatore), si
può dimostrare che, in presenza di un sostanziale equilibrio di bilancio (vale a dire rispetto del Mto), la crescita
del Pil nominale tende a ridurre il rapporto debito-Pil, con la possibile conseguenza che possono evitarsi
manovre correttive addizionali. Il problema si pone, invece, quando il Pil nominale si riduce. Un evento che,
nel nostro Paese è capitato finora solo tre volte del dopoguerra, ma tutte e tre nel corso della crisi economica
post-2008: nel 2009, nel 2012 e nel 2013.
A questa situazione, fonte di possibili gravi problemi, non sembra possibile fare fronte con l’incerta
flessibilità prevista attualmente dalla complessa impalcatura delle regole europee: flessibilità non trasparente,
ma soprattutto né sufficiente, né abbastanza certa e tempestiva da compensare, nelle situazioni più gravi, come
quella italiana, la mancanza di una politica anticiclica discrezionale di livello europeo o quantomeno coordinata
in modo vincolante tra tutti i paesi dell’Unione monetaria.
Le ricette che Sommella suggerisce, già con il volume L’euro è di tutti, ci impongono una riflessione. Se
inoltre, come molti ritengono, la riduzione del Pil potenziale fosse da attribuirsi in misura rilevante alle
politiche di austerity avviate in tutta l’Eurozona su spinta della Commissione, avremmo il paradosso che una
riduzione della crescita potenziale innescata da politiche di bilancio restrittive provocherebbe un peggioramento
dei saldi strutturali, i quali dovrebbero portare a ulteriori misure di austerity. Ci si troverebbe allora in presenza
di strumenti che creano una situazione di dannosità delle regole.
Quali sono i possibili rimedi? Tra gli interventi chiave: significativo taglio delle tasse, estensione degli
obiettivi di disavanzo di bilancio ed emissione di debito pubblico a lungo termine, acquistato dalla Bce, senza
sterilizzazione. In sintesi, serve un Quantitative “fiscale’’ insieme all’ormai famoso Quantitative Easing. La
sfida principale che l’Eurozona si trova ad affrontare è infatti la mancanza di domanda aggregata. Ma la politica
fiscale è vincolata dal Patto di stabilità e la politica monetaria è nelle mani della Bce.
Cosa si può fare quindi per aumentare la domanda aggregata nella zona euro e ricondurre il continente in
una posizione non di subalternità verso le altre economie? Personalmente, penso che tutti i paesi dovrebbero
varare un significativo taglio delle tasse fino al 3% del Pil. Per ridurre il deficit di bilancio creatosi in seguito al
taglio delle tasse, i paesi dovrebbero avere a disposizione 5 anni e dovrebbero cercare di raggiungere questo
obiettivo attraverso una combinazione di maggiore crescita e minori spese. Parallelamente, dovrebbero
emettere debito pubblico a lungo termine con scadenza a 30 anni acquistato integralmente dalla Bce, senza
alcuna sterilizzazione.
Per ora, invece, tutto è quasi fermo. A meno che non cambi qualcosa nella politica monetaria. Proprio il
presidente della Bce, Mario Draghi, ha ribadito la possibilità per Eurotower di acquistare sul mercato
secondario obbligazioni emesse dalla Bei. Un’opportunità da cogliere. Il piano del Presidente della
Commissione Europea Juncker si sta delineando sempre più come una maxi garanzia da 21 miliardi finalizzata
a stimolare investimenti privati, ma un supporto straordinario, come potrebbero essere le obbligazioni Bei,
consentirebbe di abbassare il costo del debito oneroso e dare una spinta vera al moltiplicatore di 1 a 15 che sta
alla base dello stesso piano. Piano che, se restasse così, sarebbe fragile, considerato anche il brusco calo degli
investimenti in conseguenza della crisi: pari al 15% circa rispetto al 2007 nell’Ue nel suo complesso, con punte
particolarmente acute in alcuni paesi, tra cui l’Italia (-25%).
Se si analizzano poi gli effetti dello sboom derivanti dall’economia digitale, il discorso si fa ancora più
complesso. Non c’è dubbio infatti che la vita delle persone grazie alle tecnologie possa cambiare in meglio
nella percezione della modernità, ma se le stesse alterano i principi cardine dell’equità fiscale, rischieremo di
sentirci tutti più moderni e più poveri. Con una concentrazione di ricchezza e d’informazione mai vista prima
nella storia del capitalismo mondiale.
Usa e Cina competono intrecciandosi finanziariamente e commercialmente, si sfidano saltando i confini
geografici tradizionali, ma sfidandosi assorbono il valore prodotto dalle piccole economie continentali che il
mondo pre-Internet riconosceva. Gli Usa di fatto controllano gli scambi e le informazioni in rete di gran parte
del cosiddetto mondo occidentale, superando abbondantemente il miliardo di consumatori tra Americhe,
Europa, Russia compresa, Oceania, oltre a rilevanti parti di Africa e Asia. Pechino ha sul web oltre 600 milioni
di cinesi ed è in grado di raggiungere un miliardo di consumatori, compresi quelli oltre confine. Oggi, tra i
primi 10 miliardari cinesi, 5 appartengono al web e nel mondo, tra le prime 10 società della rete, 6 sono
4
americane e 4 cinesi. 800 miliardi la capitalizzazione di borsa delle prime 4 americane che non hanno attività
manifatturiere (Google, Facebook, Amazon e Ebay), senza contare colossi come Apple nel business degli
smartphone e tablet; 450 miliardi per le cinesi (Alibaba, Baidu, Tencent e JD.com). Numeri impressionanti non
solo per il business e il valore che producono, ma per come e quanto aspirano la ricchezza di tutti gli altri paesi.
Tasse praticamente inesistenti, investimenti solo nei loro quartieri generali e tanti conti offshore. E l’Europa?
Schiacciata, in deflazione, assiste silente alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo. Ogni
giorno miliardi viaggiano in rete e vanno tutti verso l’estero: vendita di spazi pubblicitari, e-commerce,
piattaforme connesse a giochi legali e illegali, pirateria informatica.
Come può funzionare una democrazia che considera ancora oggi, nel mondo globalizzato, l’economia
digitale cosa diversa rispetto all’economia reale? Oggi la catena del valore di interi comparti dell’economia
reale è profondamente cambiata, in molti casi si è accorciata, stravolta. Oggi nel campo dell’informazione, del
turismo, del commercio, della musica, ci ritroviamo interi flussi finanziari che partono dall’Italia e non tornano
più, il tutto rigorosamente esentasse. Stiamo parlando di multinazionali che connettono tra loro persone e
imprese fino a un numero impressionante di oltre due miliardi. Con ricchezze che si concentrano, come le
informazioni, nelle mani di non più di dieci multinazionali che sfruttano un trattamento fiscale ‘privilegiato’,
eludono il fisco, dando vita ad un’emorragia finanziaria senza precedenti. Regolare finalmente un mercato di
vaste dimensioni che ad oggi presenta dei forti elementi di iniquità e ingiustizia credo debba essere la priorità. E
non esistono mediazioni: si tratta di decidere se si è dalla parte dell’equità oppure no.
È arrivato il momento di spostare l’intelaiatura fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette in modo da creare
un fisco uguale per tutti, dalle multinazionali del web all’artigiano di provincia. L’elusione fiscale dei big della
rete non è più tollerabile. Nel suo complesso l’economia digitale vale quasi il 6% del Pil mondiale e cresce a
ritmi mai visti prima. E trovo assurdo che di questa crescita noi riusciamo ad intercettare soltanto le briciole.
Copertina di Tiziano Zuliani
prezzo: € 10,00
p.120
[email protected]
www.fioriti.it
ISBN: 978-88-99318-00-0