PROMORAMA ::: PRESS

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BAND: FINAL FANTASY
TITLE: HE POOS CLOUDS
LABEL: TOMLAB
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2006_finalfantasy.htm
Owen Pallett è un giovane violinista di Toronto, che ha attirato grande attenzione su di sé lo scorso anno,
con il suo disco d'esordio, "Has A Good Home". L'album, composto per solo violino e pedale del loop , era
stato inquadrato dalla critica un po' come una prova generale: sarebbe stato il seguito a mostrare la vera
pasta del canadese.
E il seguito, intitolato "He Poos Cloulds", è giunto prestissimo. In esso, Pallett ha dato un rivestimento
completo ai pezzi, lavorando con un vero e proprio ensemble di musica da camera (quartetto d'archi, piano,
harpiscord e percussioni), curando con pari diligenza composizione e arrangiamento, finendo nel solco di
quel "cantautorato moderno" un po' alla Patrick Wolf o alla Dave Longstreth (Dirty Projectors).
Quando si ascolta l'opening track, "Arctic Circle", è infatti proprio l'Inghilterra a venire in mente, con la linea
melodica, stesa su di un incalzante tappeto d'archi, a vagare in territori morrisseyani. Dell'ex cantante degli
Smiths e del new dandy Wolf, Pallett riprende altresì la vena romantica, rivestendola anche di enfasi
maggiore, come in "I'm Afraid Of Japan", tanto da smorzare una desolazione potenzialmente degna di Nico.
Il canto a tratti va a lambire, in modo "normalizzato", quello di Jamie Stewart (specie, e palesemente,
nell'introverso lento conclusivo di "The Pooka Sings").
La qualità dei brani citati è alta, e sarà così per tutti i pezzi: anche rispetto alla media di livello, non
mancano, comunque, highlight. E' il caso della spigliata orchestrazione della title track, con la melodia che va
a inseguirsi e a rilanciarsi; dell'andatura pensosa di "Many Lives -> 49 MP", con inserti di voce maschile a
fare da guastafeste; ma soprattutto della splendida "This Lamb Sells Condos", dolce motivetto di piano, che,
lentamente, si apre in base per coro femminile, in epico crescendo di sovrapposizioni di voci.
Meritano segnalazione, infine, anche un paio di riuscite variazioni a tema, come la catchy "Song Song Song",
con i violini squillanti e la struttura sempre sul punto di un decollo che non arriverà mai, scivolando in
religiose note d'organo; e come l'ubriaco e caracollante canto diviso fra osteria e salotto di "Do You Love?".
Il salto è riuscito. Pallett non sarà bagnato dal genio, ma sguazza nel talento. "He Poos Clouds" è
un'operetta che coniuga piacere, fantasia, qualità e frubilità. Un disco che merita ascolti. Chissà poi che il
futuro non porti anche qualcosa di più.
UNMUTE
http://www.unmute.net/recensioni/f/final_fantasy.htm
Presentazioni: Owen Pallet è un musicista di talento ugualmente innamorato del folk-rock, del jazz e della
musica da camera; Final Fantasy è il suo progetto musicale (con cui ha debuttato nel 2005, dando alle
stampe “
Final Fantasy Has A Good Time”
); “
He Poos Cloudsӏ la seconda tappa del suo percorso artistico di
one-man band. Acquisite queste informazioni necessarie, possiamo addentrarci nel rubicondo mondo sonoro
firmato dal giovane Owen (già distintosi, comunque, per avere collaborato con gli Arcade Fire). Per questa
nuova prova, l’
eclettico musicista si è avvalso di un ènsemble di strumenti davvero nutrito, arruolando
quartetto d’
archi, piano, clavicembalo e percussioni. Facile intuire, dunque, il soffio cameristico di cui il disco
è pervaso; non così semplice, tuttavia, prospettarne i suoni, perfettamente incastonati su di un tessuto
armonico complesso e avvincente. Innumerevoli risultano essere, infatti, le capriole atmosferiche con cui,
all’
interno degli episodi, questo giovanotto mette a fuoco il proprio talento di musicista e compositore: dai
saliscendi ritmici dell’
iniziale Arctic Circe, al guizzo ragtime cosparso di armonie vocali di This Lamb Sells
Condor, sino al tribalismo meccanico travestito da pop-ballad di Song Song Song. Giochi strumentali che
inscenano atmosfere di corti postmoderne (Many Lives…) e ripiegamenti intimistici surreali illustrati dal
soffice timbro vocale di Pallet, accompagnano, ancora, i trentasette minuti di questo gradevole disco.
Consigliato ma con una avvertenza: se i tre accordi (tre) di chitarra elettrica stanno alla base del vostro
credo musicale, lasciate perdere!
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KALPORZ
http://www.kalporz.com/recensioni/hepoosclouds-finalfantasy.htm
Vidi Owen Pallett per la prima e unica volta aprire uno strepitoso concerto degli Arcade Fire a Milano
(recensione), lo scorso anno. Aveva un nome buffo, Final Fantasy, come un videogioco, e sembrava un
bambino: un caschetto biondo da pubblicità Kinder, un violino, e qualche pedale; eppure, il ragazzino
mostrava un gran talento, ed è da lui che tutta la scena di Montreal va per arrangiare le partiture d’
archi.
Mandava in loop il suo violino, la voce calma gli si strozzava in urla furiose, costruiva canzoni complesse e
senza alcun supporto ritmico. Lo ritrovai così in “
Has a good home”pochi mesi dopo e lo incontro di nuovo
ora, in un’
opera seconda che è un passo in avanti gigantesco.
Owen non è più solo: le canzoni sono arrangiate per quartetto d’
archi, pianoforte, harpsichord e percussioni,
e così le intricatissime melodie che sa costruire prendono una forza incredibile, odorano di rock sinfonico,
colto, pieno di riferimenti che vanno dalla classica contemporanea di György Ligeti e Bela Bartòk al pop
sublime dei Beatles (la title-track, qui, non corteggia forse “
Eleanor Rigby”
?). Le canzoni di “
He poos clouds”
hanno una costruzione più ricca, ma non si liberano dalle ombre: non è del tutto rassicurante il violoncello
che scresce in “
Arctic circle”
, né lo è il passo furtivo dell’
amante che spia in silenzio in “
Do you love?”
, né la
perturbante “
If I were a carp”
, con quella voce che sembra provenire dal fondo di un pozzo.
Il talento di Final Fantasy è anche quello di saper dare una sensazione di spazialità al suono; le sue canzoni
non sono solo ricche di dinamica musicale, e sanno descrivere “
fisicamente”le visioni che evocano: così,
quando in “
I’
m afraid of Japan”la voce si assottiglia lentamente, la sensazione che si ha è quella di vedere il
protagonista che si allontana per non voler guardare una scena orribile.
È musica altamente suggestiva, che vive di contrasti (il buio contro il ritmo di mambo nel pizzicato d’
archi di
“
Sing sing sing”
): le urla squarciano “
Many lives -> 49 MP”
, e poco dopo un pianoforte ricama con grazia su
“
The Pooka sings”
.
Owen Pallet ha finalmente iniziato ad usare tutto il proprio enorme talento anche nei dischi a suo nome: un
egoismo di cui non possiamo che essere grati.
KATAWEB
http://www.kwmusica.kataweb.it/kwmusica/review_scheda.jsp?idContent=136795&idCategory=2068
La fantasia ha un gusto antico nelle corde compositive di Owen Pallet, giovane di belle speranze che ritorna
con un secondo CD veramente piacevole. La sua idea è di un pop raffinato in cui la voce si accompagna a un
quartetto d'archi, pianoforte, clavicembalo e percussioni per i quali Owen scrive tutte le partiture. Un'opera
in dieci canzoni che rende lieta una giornata iniziata storta. Il cantato del protagonista è quello di un
gentleman un po' bohemien senza i tormenti di questa convenzionale figura, il tutto impostato su una voce
pulita e rassicurante. Gli strumenti, poi, hanno netti richiami alla musica classica, con interventi più sostenuti
in alcuni frammenti e più soffusi in altri, con temporanee aperture verso gli orizzonti della contemporanea. E'
l'essenza di un album che vuole evitare di farsi giudicare come intellettuale mentre si rivela pop vestito di
panni insoliti.
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KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=%09%09%09%09%0913524
Ovvero, del barocco spinto. Roba da far impallidire pure le vecchie copertine degli Army of Lovers (e chi se li
ricorda alzi una mano), roba che se lo sentisse Moira Orfei piangerebbe così tante lacrime da portarle via
tutto (tutto!) il trucco.
Il ritorno su Tomlab di Owen Pallett lo configura sempre più come ricettacolo di tutte le speranze vanificate
con il secondo, a tratti deludente e immaturo, Patrick Wolf. Abbandonate pedalina e violino
temporaneamente non più solo, il nostro Arcade Fire in trasferta si porta dietro un’
orchestrina intera e
decide di fare le cose in grande, grandissimo stile. L’
idea di partenza era un concept a tema Dungeons and
Dragons, e per fortuna ci sono solo vaghi ricordi nei testi ma niente di serio… Aperture orchestrali, il violino
che appoggia grazia e bellezza su idee spavalde e grandeur a fiumi. “
The Arctic Circle”in mezza strofa
contiene tutta la cifra del cambiamento radicale del suono di Owen, solo che a differenza dell’
inquieto
appiattimento di Patrick su nenie inutili, qui ci sono saggezza pop, orecchiabili sperimentazioni, inusuale
utilizzo dell’
arrangiamento più gigantesco e pacchiano possibile (la struggente e bellissima “
He Poos
Clouds”
). Passaggi di echi Jamie Stewart (il singolo “
--->”
), ancora le casse deviate e le conseguenti
schizofrenie assortite di “
Song Song Song”
, il moto barrylyndoniano di “
Do You Love”
, a struggente chiosa di
“
The Pooka Sings”
.
Il destino di Owen non è solo quello di prendere (temporaneamente?) il posto del compagno di etichetta, per
ora deve solo vivere e migliorare, il giorno che i suoi pezzi voleranno senza il fardello di una produzione
eccessivamente pesante, sarà nata una stella di proporzioni incredibili.
MOVIMENTA
http://www.movimenta.com/recensioni/cd/ffclouds.html
C’
è ancora qualcuno che produce un certo pop di ottima fattura e, perché no, da canticchiare senza
vergogna; e nella sua ultima incarnazione questo pop ci arriva dal fantastico mondo di Owen Pallet, ovvero
Final Fantasy, col suo secondo album.
Già arrangiatore e turnista per una certa nicchia dell’
indie canadese (da Arcade Fire a Polyphonic Spree e
Picastro), nel debutto ‘
Has A Good Home’
aveva esaltato le sue capacità di violinista, con la tecnica del
pedale loop, con cui poteva sovrapporre diversi passaggi e accumularli fino a farne diventare il giusto
accompagnamento alle comunque rilevanti doti vocali.
Rimane traccia delle suddette evoluzioni al violino in “
Many Lives -> 49 MP”e nella successiva “
Do You
Love?”
, ma in ‘
He Poos Clouds’la storia è diversa; qui Owen si mette alla direzione di una piccola orchestra
fatta di archi, ma anche clavicembalo e percussioni: ed il risultato è assolutamente delizioso. Maestosa
l’
apertura con “
Arctic Circle”con l’
incrocio delicato degli archi con la melodia del cantato.
La musica di Final Fantasy arriva a porsi come la media pesata tra Sufjan Stevens e Patrick Wolf: il primo lo
conosciamo come l’
ambizioso cantautore del Midwest col sogno patriottico di far conoscere ciascun stato
degli USA attraverso la sua musica e i suoi album (Michigan e Illinois fin ora); il secondo è il graffiante
violinista irlandese che crea le sue ballate con sullo sfondo di panorami elettro-gotici.
Final Fantasy, a differenza dei citati colleghi, non si prende poi così tanto sul serio, come dimostrano i testi
ma anche gli arrangiamenti (vedi la title-track o “
Song Song Song”
). C’
è tanto ritmo, ma non mancano i lenti
come la sussurrata “
If I Were A Carp”e toni cupi di “
I’
m Afraid Of Japan”che fanno di questo lavoro uno dei
più completi sentiti quest’
anno.
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IL POPOLO DEL BLUES
http://www.ilpopolodelblues.com/rev/maggio06/anteprima/Final-Fantasy.html
“
Final Fantasy“è il progetto solista di Owen Pallett, sulle scene solo dal 2005. Il giovane, violinista diplomato
si fece notare nel suo disco d’
esordio del 2005, “
Has a good home“per l’
uso personale dello strumento e
dell’
elettronica ad esso applicata.
Questa volta per il nuovo album “
He Poos Clouds“
, Pallett, già collaboratore di Arcade Fire, basta ascoltare
per capire perché!, si avvale della collaborazione di un quartetto d’
archi, di un pianista e di un
percussionista. Un vero e proprio ensemble di musica da camera, aumentato.
Appare chiaro sin dal primo ascolto che il maggior pregio di Owen è la capacità di scrivere melodie
accattivanti che scorrono su arrangiamenti quantomeno singolari e, a volte, pericolosi per l’
uso che fa
dell’
ensemble. C’
è da esultare della pericolosità di Owen perché si sente sempre il bisogno che fra i musicisti
più giovani qualcuno si lanci senza paracadute nel mondo della scrittura delle canzoni e Pallett gioca bene la
sua scommessa.
Il violinista, a metà strada fra gli Sparks di “
Hello Young Lovers “
, il cabaret mitteleuropeo e le canzoni di
Weill e Brecht per Lotta Lenya, ha carpito il sapore di una certa cultura europea –come la musica dei fratelli
Mael, The Sparks, d’
altronde, che sono due losangelini alla ricerca di un cabaret futurista da top 40 –e il
retaggio classico. Owen Pallettt Invece di restare involuto, come accade per molti giovani, se pur di talento,
che passano la vita a scrollarsi di dosso le colpevolizzazioni dei proprio studi classici, pare essersi buttato a
capofitto nella scrittura, senza troppe preoccupazioni, sulla base delle sue capacità piccole o grandi che
siano.
Ci sono in “
He Poos Clouds”perciò brani che il musicista porta a termine particolarmente bene, come nel
caso di “
If i were a carp “
, altri assolutamente sperimentali e altri ancora che non tengono per nulla conto
della metodologia di scrittura tipica delle canzoni pop, universo a cui, ci pare poter affermare, Pallett vorrei,
almeno provare, accedere.
Tutto “
He poos clouds”mantiene una certa intimità e un certo rigore che affascina anche quando il violinista
si azzarda per strade più aggressive. Più complesso da descriversi che non da ascoltare “
He poos clouds “di
Owen Pallett si segnala per una certa incosciente lucidità, si ascoltino le tracce sete ed otto, “
Song Song
Song”e “
Many Lives –49 MP“per valutare, e si fa notare come un album che, dotato di una attitudine
giovane e contemporanea, potrebbe trovare spazio su quegli stessi palcoscenici che presentano concerti e
programmi di Philip Galss o del Krons Quartet o di quanti come loro con un punto a favore di Pallett che è
costituito dal suo coraggio di avventurarsi nel mondo della canzone, ben diverso da quello di sua
provenienza.
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MUCCHIO ONLINE
http://www.ilmucchio.it/contents.php?sezione=interviste&id=21
In questo secondo album sembri essere più un compositore più che una one man band con violino e laptop.
È stimolante fare tutto ciò che si può con il poco che si ha, ma forse con un vero e proprio ensemble da
camera, si riesce a raggiungere una idea che hai già in mente ma non riesci a realizzare.
Sì ho sempre desiderato lavorare con gli archi, e si è finalmente presentata questa opportunità, ho potuto
utilizzare strumenti da camera, viola da gamba e clavicembalo inclusi….. spero di poter proseguire su questa
strada in futuro…
Dà la possibilità di ottenere una visione estesa
Ho sempre scritto la mia musica su di uno spartito, la mia è l’
impostazione di un musicista classico.
Ci sono più riferimenti nella tua musica, molto diversi, classica, classica contemporanea, folk, minimalismo,
pop. Ci puoi raccontare in breve qual è stata la tua formazione?
Il mio background, come ho detto, è classico, ma negli ultimi dieci anni ho sempre fatto delle cose in ambito
pop. Quando cresci con una formazione del genere ti cambia le prospettive, e in ogni caso nel corso degli
anni non è che abbia cercato in modo particolare le contaminazioni con altre forme di musica, è qualcosa
che è accaduto in modo naturale. Ti immagini sempre i musicisti pop che hanno un background classico, ti
puoi scavare la tua nicchia anche con quel tipo di background, ma si entra in contatto con qualcuno senza
conoscerne il background spesso, come Damon Albarn dei Blur, quando li ascolti non ti fai domande sul loro
background, quando ascolti i Blur non ti curi molto del loro background,che non esclude che ti possa piacere
musica meno complicata. Noncredo che la classica sia meglio del pop, forse ti mette l’
orecchio in una
differente prospettiva, magari da un punto di vista delle dinamiche del suono.
A volte si pensa che una impostazione classica sia troppo vincolata al mondo accademico, ma può anche
fornire libertà di movimento.
Sì,voglio dire,ci sono così tanti gruppiin cui i musicisti si limitano a divertirsi,con le quali non posso
assolutamente competere, ma questa attitudine mi ha comunque influenzato, per questo la mia musica non
è accademica.Credo che la mia musica abbia più a che fare con la ricerca di una musica ideale. Ma mi piace
la musica complessa, ho scritto dei brani per un progetto, ogni brano va dai 45”al minuto e sviluppa una
idea accademica molto precisa… Diciamo che i confini non sono netti in quello che faccio.
È limitante definire canzoni le tue, sono quasi micro-sinfonie, mondi in se, non molto usuali in campo pop ma
con precedenti illustri, viene in mente Van Dykes Parks, Smile…
Sì, capisco che cosa intendi, Pet Sounds, quell’
album mi è sempre sembrato un po’hippy, anche se è un
album musicalmente estremamente ambizioso…. Non lo so, alla fine sono molto felice di come è venuto fuori
questo disco, ma ho appena ascoltato il nuovo di Scott Walker, l’
ho ascoltato moltissimo, è l’
album migliore
che abbia sentito da anni. Lo sento da un lato, da un lato me lo godo come disco,dall’
altra micolpisce come
suono, il modo in cui ha utilizzato l’
orchestra, incredibile, ha un suono che mozza il fiato come pochi altri
dischi, è così bello….. it makes me feel lazy, da un lato mi esalta, dall’
altra mi deprime…
I musicisti sono sempre un po’insoddisfatti però, ed essere soddisfatti diventa un rischio...
No, no, mi piacerebbe essere completamente soddisfatto… (risata)
Ma aiuta a non esserlo troppo...
Si, hai ragione, solamente che non è sempre facile essere obbiettivo rispetto a quello che fai… ho sempre
pensato che la musica che faccio non sarebbe mai piaciuta a nessuno quanto piace a me (risata).
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/FinalFantasy.html#hep
Se Sufjan Stevens, con il suo progetto di scrivere un disco per ognuno dei 50 stati americani, ha dimostrato
che non c’
è limite all’
ambizione di un singolo musicista, anche Final Fantasy ha da dire la sua.
L’
immaginario di riferimento di Owen Pallett, come dimostra in maniera più o meno inequivocabile lo
pseudonimo che si è scelto, è legato al mondo dei giochi di ruolo e delle grandi saghe postmoderne. E del
resto, ascoltandolo, si ha l’
impressione che lo slancio verso i mondi fittizi sia sorretto dal salto dell’
asta
spiccato dagli arrangiamenti dei suoi pezzi: niente meno che un quartetto d’
archi, un clavicembalo, un piano,
la scelta ricorrente di cantare a cappella negli intermezzi strumentali. Insomma, l’
aggettivo “
pomposo”
, uno
dei primi che viene in mente ascoltando entrambi i suoi lavori, il vecchio Has A Good Home ed il nuovo He
Poos Clouds, è praticamente il minimo che la sua musica possa tirarsi dietro. E c’
è dell’
altro. He Poos Clouds
è un concept-album programmato nel dettaglio perché ogni canzone assomigli ad uno dei livelli di Dungeons
And Dragons, il celeberrimo passatempo epico per gli appassionati del genere “
fantasy”
, appunto.
Chiarezza di idee o eccesso di narcisismo che sia, Pallett non è un musicista da sottovalutare. Archista degli
Arcade Fire - di cui lo strascico è facilmente percettibile - e clone più o meno palese di Patrick Wolf (cui del
resto assomiglia molto persino fisicamente), il giovane Final Fantasy si comporta da compositore e portavoce
di un sistema in cui la musica e il reame della fantasia codificata vanno di pari passo in maniera che, c’
è da
immaginarsi, sia eccellente. La fisarmonica, i cori distorti, il registro magniloquente in cui la voce canta pure
in piedi di Do You Love? o di This Lamb Sells Kodos lasciano pochi dubbi: non si può parlare più di canzoni,
ma di piccole sinfonie, così come non si può più parlare di una band, ma di una piccola orchestra.
Una cosa è sicura, la musica di Owen Pallett si nutre di eccesso. E questo, necessario dirlo, vale tanto dalla
parte dell’
artista quanto da quella dell’
ascoltatore: lo si ama, o lo si detesta.
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