Economia dell’informazione e di internet: Il passaggio alla New Economy: I nuovi mercati che hanno preso piede sono mercati caratterizzati da un forte innovazione tecnologica, che hanno modificato l’economia, portandola ad essere basata sulla conoscenza. Ovviamente anche i settori che producono o sfruttano beni dell’intelletto (settori knowledge intensive) hanno un loro valore e contribuiscono alla crescita economica del paese (influiscono sul PIL). Questo tipo di beni, potrebbe risultare apparentemente non tutelato, ma gode della cosiddetta proprietà intellettuale, ovvero: i beni della new Economy contengono conoscenza e informazione in cui il prodotto è tutelato da una sorta di “diritto d’autore”. I diritti applicabili sono di due tipi (dicotomia dei diritti): Chiudo il prodotto con un brevetto/Copyright -> il produttore crea una sorta di monopolio sulla sua opera, limitandone l’accesso ad altri. Posso far sfruttare anche a soggetti terzi la mia idea, utilizzando le clausole che identificano i contratti di Copyleft. Le reti P2P sono un esempio di utilizzo della rete per scambio di dati, conoscenza, materiale protetto (es. Napster o le reti di scambio etico). Il P2P è anche un buon esempio di rete nella rete, con una propria organizzazione che mette in condivisione beni dell’intelletto. Il P2P pertanto ha un proprio valore specifico che ne determina l’interesse da parte del mondo economico. La rete: dalla Best Effort Policy al Content Delivery Inizialmente la rete era disponibile a pochi utenti, per far si che almeno questi vi accedessero era distribuita in maniera gratuita, per consentirne una rapida espansione ed allargarne velocemente il bacino di consumatori. La saturazione dell’internet a banda stretta ha determinato l’obbligo del passaggio alla banda larga, aumentando le capacità della rete ad accogliere il content delivery, ovvero la vendita di contenuti e prodotti. Per questo motivo, quando si guarda alla rete si nota subito la sua dinamicità evolutiva, che ha consentito in pochi anni una trasformazione della rete, per riadattarsi rapidamente alle nuove necessità degli utenti. Caratteristiche dei mercati digitali: Quando si parla di mercati digitali, si considerano spesso mercati atipici, ovvero che presentano grosse differenze con quelli che sono i mercati definiti dalla teoria economica, le principali differenze sono: 1. Se l’informazione è proprietaria (ovvero chi la detiene la conserva esercitando il diritto d’autore), chi commercializza il prodotto ha potere decisionale sulla vendita, così ciascun venditore è monopolista del proprio prodotto, quindi price maker del proprio prodotto. 2. I beni digitali non sono beni totalmente privati (ovvero non valgono i principi di rivalità ed escludibilità della teoria economica classica), sono classificati come beni spuri. (es. Licenza 1 software, se io acquisto una licenza il mercato non dispone di m-1 unita del bene da me acquistato). 3. La replica del bene avviene a costi praticamente nulli, si ha una cosiddetta asincronia dei costi di produzione. Ovvero, i costi marginali per la prima unità sono molto alti, mentre per ogni copia successiva i costi sono significativamente abbattuti. (Es. lo sforzo per produrre un CD musicale è notevole, per cui la creazione del master richiede un alto investimento, ogni singola unità copiata risentirà del prezzo di produzione, ma i costi necessari a produrla saranno i soli di copia dell’originale). Quest’ultimo concetto rende inutilizzabile il cost-oriented pricing, ovvero il fare prezzi in base ai costi di produzione, è facile dunque fare economie di scala sul lato della produzione, motivo per cui le imprese dei mercati digitali sono generalmente molto grandi (così è possibile per loro produrre in larga scala) ed in grado di orientare il mercato su prezzo, disponibilità e quantità di prodotto. Esistono però delle economie di scala sul lato della domanda, ovvero i consumatori del bene digitale spesso creano gruppi di consumatori, stimolando a loro volta la nascita di una rete (social networking). Questo non è un vantaggio per i soli utilizzatori: tanto più una tecnologia è utilizzata, tanto più un consumatore sarà intenzionato a sceglierla per ottenere una maggiore utilità, facendo di conseguenza aumentare anche il guadagno, in termini di domanda, per il produttore di quel bene. Per questo motivo, è nell’interesse del produttore gestire la rete di consumatori, per sfruttare la loro influenza su nuovi possibili entranti (influenza di rete) Nel mercato dell’informazione non sono presenti soli beni-ricerca (ovvero quei beni il cui uso è immediato e la valutazione dipende unicamente dalla ricerca di un determinato bene all’interno di un insieme di prodotti analoghi, sforzo e spesa minimi), ma anche da beni-esperienza, ovvero un bene che per essere valutato in termini di utilità, deve essere prima di tutto consumato, questo richiede costi di investimento e di apprendimento che variano di bene in bene (es. apprendimento di un determinato software). Si parla di effetto Lock-in qualora, all’arrivo di un nuovo bene digitale analogo a quello attualmente posseduto, sia impossibile il passaggio a questo nuovo bene poiché i costi di transazione sono molto alti, tendenzialmente superiori ai benefici derivanti dal cambio di prodotto. Oltre alla natura spuria del bene, all’interno dei mercati digitali è significativa la presenza di beni ad alta intensità di conoscenza, per cui essendo i beni di natura differente dai beni di consumo tradizionali, anche la loro creazione osserverà un processo differente. Fasi di produzione di un bene digitale: Raccolta: vengono raccolti i contenuti e gli elementi cognitivi preliminari utili alla creazione di un nuovo prodotto (raccolta dati e analisi prodotti simili); Creazione: del prodotto “master”; Codifica: i processi produttivi vengono descritti in un meccanismo, o linguaggio, replicabile e divulgabile; Replicazione: del master ottenuto; Distribuzione: scelta del canale di distribuzione adatto; Vendita 2 Analisi dei costi: Nelle prime tre fasi sarà possibile analizzare costi semi-fissi, ovvero che non variano a seconda della quantità replicata, ovvero, che il prodotto venga riprodotto in poche o molte copie non incide in questa fase, tali costi sono comunque da sopportare. In realtà, questi costi presentano delle discontinuità (motivo per cui sono detti semi-fissi e non fissi) in presenza di livelli critici di produzione, ovvero sono costanti fino a determinati valori di soglia. Esempio di costo semi-fisso: Un database che contiene le informazioni sulle serie storiche avrà i costi più alti all’aumentare dei dati e dei dettagli che necessita di raccogliere. Esempio di costo fisso: Far volare un aereo vuoto costa (in proporzione) circa quanto farlo volare pieno, quello che cambia è il guadagno, che mi permette di recuperare i costi necessari. A volte questi costi potrebbero anche intervenire in fase di creazione o di codifica. I costi sono pertanto discontinui ed asincroni, al termine di questa prima fase, otteniamo un master replicabile sul quale intervengono costi variabili analoghi a quelli di un qualsiasi bene normale, on la particolarità che per un bene digitale i costi di replicazione sono molto bassi. Costi di distribuzione: dopo aver replicato il master, occorre cercare un canale di distribuzione tramite il quale diffondere il mio prodotto, generalmente i canali possono essere di natura: - On Line: I costi di distribuzione tendenzialmente non esistono. Fisica: Catene di distribuzione, anche in questo caso i costi di distribuzione sono comunque più bassi rispetto a quelli di un qualsiasi bene normale, perché la rete ha semplificato la comunicazione (per esempio: accordi sulla distribuzione stimati in base alle aspettative). Costi di vendita: se la commercializzazione del prodotto non necessita di supporto, prestazioni aggiuntive (manutenzione ecc.…) allora i costi di vendita sono minimi (~0), come nel caso della distribuzione di contenuti digitali (film, musica), altrimenti sono analoghi a quelli di un qualsiasi bene normale Anche i costi di menù (catalogo dei prodotti/aggiornamento dei prezzi), sono abbattuti, dato che aggiornare i dati relativi ad un bene richiede uno sforzo minimo e, tramite l’ausilio della rete, aggiorna immediatamente tutti gli interessati. Per cui come si fanno i prezzi? I costi marginali, così come i costi medi, non sono più un buon indice di pricing, per cui al “Cost-oriented pricing” subentra il cosiddetto “ValueOriented pricing”, basato principalmente sul valore attribuito da un consumatore al bene (ovvero il prezzo di riserva dello stesso). Siccome i beni digitali godono del diritto d’autore, il produttore ha la possibilità di adottare prezzi personalizzati (il produttore è un soggetto price maker) per cui è facile adottare questa seconda scelta. 3 Dato che i prezzi sono gestiti non dal mercato, ma direttamente dal produttore, quest’ultimo può indicare dei prezzi di discriminazione, utili a selezionare i potenziali acquirenti. Supponiamo pertanto che non sia possibile l’arbitraggio fra soggetti di domanda (ovvero è impossibile la rivendita del prodotto fra i consumatori, poiché se il prodotto viene comprato direttamente dal produttore, un acquirente lo potrà rivendere solamente ad un prezzo maggiore di quello di acquisto) Se queste clausole sono valide (produttore price-maker e impossibilità d’arbitraggio), allora si possono avere tre tipologie di discriminazione di prezzo: Forma perfetta: 1. Prezzi personalizzati: Ogni consumatore paga il suo vero prezzo di riserva per quel bene (prevede la conoscenza perfetta della clientela -> il produttore assume così tutto il benessere di mercato). Forme imperfette: 2. Menù Pricing: Il produttore sa che esistono delle categorie di consumatori e che queste hanno prezzi di riserva differenti, ma non è in grado di distinguere il prezzo di una categoria. Il produttore risolve questa mancanza di informazione con un menù di opzioni che permette di personalizzare il prodotto. I consumatori potranno scegliere fra le opzioni disponibili quelle che più si adeguano alle loro caratteristiche, ovvero ai propri prezzi di riserva. Il menù potrebbe essere realizzato tramite sconti sulla quantità acquistata oppure tramite la qualità del prodotto (versioning) che nel software trova la sua implementazione nel bundling. 3. Group Pricing: Il produttore riesce a distinguerei prezzi di riserva dei gruppi di consumatori , ma non riesce a distinguere il prezzo di riserva del singolo. Per cui viene individuata una variabile di grouping (non economica e non manipolabile) che serve a segmentare il mercato con dei prezzi di vendita medi (basati sull’elasticità di prezzo di quel determinato gruppo). La discriminazione di prezzi impone dunque la rivalutazione delle formule che determinano il profitto di un’impresa. Se l’impresa è price-maker e monopolista del proprio prodotto, per cui non vale la legge del prezzo unico (ovvero non c’è un mercato che determina i prezzi per tutti i produttori di quel bene), queste scelte portano a dividere i mercati tanto da ottenere dei veri e propri mercati separati, nei quali le sole decisioni di produzione influenzano i prezzi di mercato (non i fattori esterni). L’unico vincolo per la decisione dei prezzi è dato dalla funzione di domanda, per il resto sta al produttore scegliere come e dove investire le proprie risorse. Il prezzo di vendita, in questi mercati in cui vige l’asincronia dei costi, è determinato dalla quantità prodotta, per cui è possibile indicare 𝑃 = 𝑃(𝑄), ovvero il prezzo è in funzione della quantità (non è più costante bensì è variabile). Problema della massimizzazione del profitto: Partendo dalla formula del profitto 𝜋 = 𝑅 − 𝐶 → 𝑃(𝑄) ∙ 𝑄 − 𝑐 ∙ 𝑄 (ricavi totali-costi totali), per trovare il massimo profitto occorre studiare la derivata del profitto in funzione della quantità 𝛿𝜋 =0 𝛿𝑄 4 Ovvero: 𝑅′ = 𝛿𝑅 𝛿𝑃(𝑄) = ∙ 𝑄 + 𝑃(𝑄) 𝑒 𝐶 ′ = 𝑐 𝛿𝑄 𝛿𝑄 R’ rappresenta la curva dei ricavi marginali ed ha lo stesso andamento della curva di domanda, mentre C’ sono i costi marginali. Naturalmente se i prezzi non dovessero essere personalizzati, avrò alcuni consumatori che acquisteranno ai rispettivi prezzi di riserva, mentre la maggior parte di loro accederà al bene pagando un prezzo inferiore al proprio esborso massimo. Se questa condizione non venisse controllata c’è il rischio di vendere a prezzi non vantaggiosi, ovvero in punti dove il benessere del produttore è fortemente schiacciato dal surplus del consumatore (quando la domanda, e quindi i prezzi si avvicinano ad una condizione di concorrenza perfetta. Sostituendo le derivate appena calcolate nello studio del profitto massimo, otteniamo che: (1) 𝛿𝑃(𝑄) ∙ 𝑄 + 𝑃(𝑄) − 𝑐 = 0 𝛿𝑄 Da cui ricaviamo l’indice di mark-up, che esprime la quantità ottimale di prezzo che l’impresa deve applicare ai consumatori rispetto ai costi di produzione, quindi un livello di margine di guadagno ottimale. (Il mark-up è una percentuale che viene aggiunta al costo di produzione di un bene al fine di determinarne il prezzo di mercato.) 𝛿𝑃(𝑄) − 𝑐 𝛿𝑃(𝑄) 1 𝛿𝑃(𝑄) 𝑄 =− ∙𝑄∙ →− ∙ 𝑃(𝑄) 𝛿𝑄 𝑃(𝑄) 𝛿𝑄 𝑃(𝑄) L’indice di mark-up corrisponde al reciproco dell’elasticità di prezzo della domanda di mercato, pertanto indichiamo tale valore come: 𝛿𝑃(𝑄) − 𝑐 1 = 𝐷 𝑃(𝑄) |𝜂𝑝 | La quantità massima è quella in cui i ricavi marginali sono pari ai costi marginali, ovvero sopra tale livello è svantaggioso produrre (quantità 𝑄 ∗ ), questo si deduce dal fatto che: le prime unità prodotte saranno disponibili ai soli che hanno un prezzo di riserva molto alto, man mano che la quantità aumenta, mi è possibile espandere il numero di clienti, fino al raggiungimento del punto E, che è il punto di equilibrio in cui il surplus dei produttori è pari a quello dei consumatori, dopo tale soglia si giungerebbe ad un mercato più tendente alla concorrenza perfetta, per cui sconveniente al produttore. Prezzo uniforme: Se l’impresa non conosce per nulla i propri consumatori, non può attuare nessuna strategia di discriminazione se non quella di limitare la quantità prodotta, per escludere prezzi di riserva bassi, appartenenti ai soli che comprerebbero il bene in un regime di concorrenza perfetta. 5 Prezzi personalizzati: Nel caso in cui il soggetto d’offerta abbia una conoscenza perfetta dei propri clienti potrà personalizzare il prezzo di vendita al valore esatto dei prezzi di riserva dei soggetti di domanda. Così facendo non ci sarà bisogno di discriminare alcun consumatore imponendo dei limiti alla produzione, la quantità prodotta sarà, anzi, pari al numero di soggetti che la richiedono (l’unico vincolo rimane come sempre la retta dei costi marginali, poiché non si vuole produrre in perdita). In questa situazione l’imprenditore acquisisce l’intero surplus, azzerando il benessere dei consumatori. Come già detto, questa situazione è assolutamente ideale. Group pricing: Supponiamo che l’azienda sia in grado di partizionare il mercato in due gruppi, si avranno quindi: 𝑃1 = 𝑃(𝑄1 ) } 𝑃 = 𝑃(𝑄) 𝑒 𝐶 = 𝑐𝑄 = 𝑐(𝑄1 + 𝑄2 ) 𝑃2 = 𝑃(𝑄2 ) Dato che è possibile applicare il group pricing, il venditore ha la possibilità di vendere il medesimo prodotto a prezzi diversi ai due gruppi, per cui ci sarà una quantità 𝑄1 destinata al gruppo 1, mentre una seconda quantità sarà riservata all’altro gruppo. Il profitto in questo caso sarà: (2) 𝜋 = 𝑃(𝑄1 ) ∙ 𝑄1 + 𝑃(𝑄2 ) ∙ 𝑄2 − 𝑐(𝑄1 + 𝑄2 ) Scelta del prezzo ottimale nel group pricing: Fare prezzi ottimali a gruppo significa trovare la combinazione prezzo/quantità per ogni singolo gruppo. La massimizzazione sarà dunque da fare derivando il profitto parziale dato dalla singola vendita a ciascuno dei gruppi, per cui si ha: 𝛿𝜋 𝛿𝑃(𝑄1 ) 𝛿𝑃(𝑄1 ) − 𝑐 1 → ∙ 𝑄1 + 𝑃(𝑄1 ) − 𝑐 = 0 → = 𝐷1 𝛿𝑄1 𝛿𝑄1 𝑃(𝑄1 ) |𝜂𝑝 | 𝛿𝜋 𝛿𝑃(𝑄2 ) 𝛿𝑃(𝑄2 ) − 𝑐 1 → ∙ 𝑄2 + 𝑃(𝑄2 ) − 𝑐 = 0 → = 𝐷2 𝛿𝑄2 𝛿𝑄2 𝑃(𝑄2 ) |𝜂𝑝 | La discriminazione sarà dunque data dai due indici di mark-up ottenuti, e discrimineranno entrambi un insieme di consumatori appartenenti rispettivamente al primo e al secondo gruppo. 6 Versioning : creazione di versioni alternative del medesimo prodotto Il versioning fa parte delle tecniche di menù pricing. I produttori non riescono a risolvere il problema della identificazione del consumatore (cioè capire chi è disposto a pagare di più); però sanno che ci sono diversi tipi di prezzi di riserva. Si costruiscono perciò delle alternative (Opzioni) al consumo, sperando che i consumatori attuino un processo di autoselezione. Se il menù e costruito bene dovrebbe attuarsi in modo automatico. Vincoli di costruzione del menu: Principio di compatibilità degli incentivi individuali: Bisogna che le opzioni siano profilate affinché il consumatore effettui la scelta giusta. Vincolo di partecipazione individuale: Bisogna che l’opzione profilata per un particolare tipo di agente sia davvero conveniente per quel consumatore perché non vada ad acquistare un menù non pensato per lui. 1. Quantità: il prezzo finale 𝑃 è composto da 𝑝 ∙ 𝑞 + 𝑘(struttura di prezzo a due parti) K=quota fissa 𝑘 del prezzo , il prezzo medio d’acquisto è 𝑃𝑀 = 𝑝 + 𝑞, all’aumentare delle quantità acquistate avvicino sempre più il prezzo al prezzo unitario, essendo 𝑘 𝑞 è decrescente sulla quantità. 2. Qualità: E’ meno semplice fare menu pricing sulla qualità, perché per creare versioni differenziate si richiedono investimenti in produzione. Quando si fa menù pricing rispetto al prezzo e alla qualità abbiamo il Versioning. Nei mercati digitali è necessario fare versioning (software), questo per ottenere profitti maggiori. Partendo dal prodotto principale (completo), lo degrado fino ad avvicinarmi ai prezzi di riserva dei consumatori. Definiamo due tipologie di consumatori: pesanti: danno peso alla qualità. leggeri: danno più peso al prezzo che alla qualità. Ipotizziamo che i costi di produzione per entrambe le versioni siano gli stessi e che siano pari a 0. Se facessi una unica versione sarebbe giusto commercializzare la completa perché in tutti i casi la disponibilità a pagare è più alta mentre i costi di produzione sono i medesimi. Per vendere a tutti dovrei fare un prezzo di 60 ottenendo un profitto pari a 6000. In questo caso i consumatori “pesanti” avrebbero un surplus di (110-60=40). La cosa migliore sarebbe vendere la versione completa a 110 ai “pesanti” e 60 ai “leggeri”, però come abbiamo detto non sappiamo stabilire quale sia il consumatore “pesante” e quello “leggero”. Per questo opto per il Versioning: 1)realizzo una versione degradata per i consumatori “leggeri” e la vendo al prezzo di 40 2)realizzo la versione completa, cercando di fare un prezzo tale per cui il consumatore “pesante” sia indifferente fra acquistare la versione base o quella completa, e per questo devo calcolare un surplus del consumatore identico: per la versione base il surplus del consumatore “pesante” è 50-40=10, quindi devo fare in modo che 7 percepisca lo stesso surplus per la versione completa; per questo alla disponibilità a pagare del consumatore “pesante” sulla versione completa, tolgo 10 (110-10=100). In questo modo essendo indifferente fra le 2, sceglierà ovviamente la versione completa ed avrò una autoselezione. 𝑃𝑉2 = 40 𝑄𝑉2 = 60 Π𝑉2 = (40 ∙ 60) = 2400 𝑃𝑉1 = 100 𝑄𝑉1 = 40 Π𝑉1 = (100 ∙ 40) = 4000 𝑃𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 → 𝜋 = 4000 + 2400 = 6400 che è superiore al prezzo di vendita della sola versione completa. Non profittabilità del versioning (quando non conviene fare versioning): Se il consumatore “pesante” compra la versione 2 a 40 ha un surplus di 80-40=40 Quindi devo abbassare il prezzo della versione completa di 40. 110-40=70 (che è meno del prezzo di riserva del consumatore pesante per la versione degradata). Il risultato che ottengo è: (70*40)+(40*60) = 5200 profitto totale Che è inferiore al totale che avrei ottenuto facendo una unica versione al prezzo di 60, cioè 6000! Versioning come strumento per allargare il mercato: Supponiamo che l’impresa voglia aumentare le vendite praticando versioning, ipotizziamo però che l’impresa non sia a conoscenza delle preferenze di ogni singolo consumatore, ma che abbia solo informazioni limitate alla loro distribuzione. L’impresa non riuscirà a fare una discriminazione perfetta, tuttavia può attuare strategie commerciali per segmentare il mercato ed estrarre almeno una parte del surplus dei consumatori. Genericamente il versioning non è profittevole o non vantaggioso quando: il numero di consumatori a cui l’impresa vende offrendo solo la sola versione di alta qualità è minore del numero di consumatori a cui vende offrendo solo la versione di bassa qualità. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------N sono i consumatori, essi si distinguono da una certa caratteristica del prodotto (qualità) chiamata 𝑚, la preferenza alla caratteristica (qualità) viene espressa da un parametro 𝜃 compreso fra 0 e 1. Un valore basso di indica una bassa valutazione della caratteristica 𝑚. L’impresa sta valutando l’opzione di creare 2 versioni del prodotto, 𝑉1 e 𝑉2 con diversi livelli di qualità rispettivamente 𝑚1 e 𝑚2 . L’utilità, goduta dal consumatore di tipo 𝜃 che acquista la versione i al prezzo 𝑃𝑖 è pari a: 𝑈(𝜃, 𝑚𝑖 , 𝑝𝑖 ) = 𝑘 + 𝜃𝑚𝑖 − 𝑝𝑖 si può anche definire come il livello di soddisfazione al consumo 8 𝜃𝑚𝑖 è la componente di utilità variabile che dipende dalla preferenza della versione 𝑚 per il consumatore. A parità di prezzo i consumatori preferiscono sempre la versione con un maggior contenuto di m. Assumeremo che la versione 2 sia quella con la qualità più alta e quindi 𝑚2 > 𝑚1 Realizzazione di una sola versione: Si fissa un prezzo 𝑃𝑁 (prezzo senza versioning) e si sceglie la versione 𝑚2 (la versione completa) Dobbiamo individuare il consumatore indifferente, cioè colui che ha una utilità 𝑈(𝑃𝑁 , 𝑚2 ) = 0, ovvero 𝑘 + 𝜃𝑚2 − 𝑃𝑁 = 0 otteniamo quel valore 𝜃 che contraddistingue il consumatore indifferente: 𝜃(𝑃𝑁 ) = 𝑃𝑁 − 𝑘 𝑚2 I consumatori che acquistano, sono i soli al di sopra della soglia di indifferenza. Assumendo che 𝜃 si distribuisca uniformemente tra [0,1] un numero pari a 𝐷 = 1 − 𝜃(𝑃𝑁 ) di individui acquisterà il prodotto. Assumiamo che i Costi Marginali siano pari a 0. Quindi la funzione di profitto del monopolista risulta essere pari a: 𝑃𝑁 − 𝑘 𝜋𝑁 (𝑃𝑁 ) = 𝑃𝑁 ∙ 𝐷 = 𝑃𝑁 ∙ (1 − ) 𝑚2 La massimizzazione del profitto si ottiene derivando questa funzione per il prezzo 𝑃𝑁 e ponendo: 𝛿𝜋𝑁 =0 𝛿𝑃𝑁 Da cui otteniamo la condizione di massimo profitto: 2𝑃𝑁 − 𝑘 1− 𝑚2 Il prezzo ottimale per il produttore nel caso di un solo prodotto: 𝑚2 + 𝑘 𝑃𝑁∗ = 2 e il profitto ottenuto: (𝑘 + 𝑚2 )2 𝜋𝑁∗ = 4𝑚2 ∗ sostituendo poi 𝑃𝑁 nell’espressione 𝜃(𝑃𝑁 ), si può verificare come in equilibrio l’impresa venda con valori di 1 𝑘 𝜃 ≥ 2 − 2𝑚 2 9 Realizzazioni di due versioni del prodotto: Dobbiamo trovare quei 2 prezzi 𝑝1 e 𝑝2 tali che ci sia una autoselezione dei consumatori e quindi una segmentazione ottima del mercato. Dobbiamo individuare due consumatori indifferenti: 1)consumatore indifferente all'acquisto della versione completa piuttosto che quella base. 2)consumatore indifferente tra l'acquisto della versione base o di nessuna versione. Indichiamo con 𝜃1,2 il primo e 𝜃0,1 il secondo. -Condizione di indifferenza per 𝜽𝟏,𝟐 : 𝑢(𝜃, 𝑚1 , 𝑝1 ) = 𝑢(𝜃, 𝑚2 , 𝑝2 ) da cui otteniamo 𝑘 + 𝜃𝑚1 − 𝑃1 − 𝑘 − 𝜃𝑚2 + 𝑃2 = 0 → 𝜃(𝑚2 − 𝑚1 ) = 𝑃2 − 𝑃1 da cui otteniamo: 𝑃2 − 𝑃1 𝜃1,2 = 𝑚2 − 𝑚1 -Condizione di indifferenza per 0,1: 𝑈(𝜃, 𝑚1 , 𝑝1 ) = 0 da cui otteniamo 𝑃1 − 𝑘 𝜃0,1 = 𝑚1 Segmentazione mercato: affinché ci sia segmentazione del mercato deve valere che: 0 ≤ 𝜃0,1 ≤ 𝜃1,2 ≤ 1 supponendo che 𝜃 si distribuisca uniformemente in [0,1] possiamo quindi scrivere le due funzioni di utilità e capire per che livelli di 𝑚 (qualità del prodotto) i consumatori si segmentano: 𝐷1 = 𝜃1,2 − 𝜃0,1 𝐷2 = 1 − 𝜃1,2 Assumiamo sempre che si distribuisca uniformemente in [0,1] da 0 a 𝜃0,1 i consumatori non acquistano, da 𝜃0,1 a 𝜃1,2 acquistano la versione base, da 𝜃1,2 a 1 acquistano la versione completa. Massimizzazione dei profitti dell'impresa: 𝑃1 − 𝑃2 𝑃1 − 𝑘 𝑃1 − 𝑃2 𝜋 = 𝑃1 ( − ) + 𝑃2 (1 − ) 𝑚2 − 𝑚1 𝑚1 𝑚2 − 𝑚1 -Possiamo di conseguenza ricavare i prezzi ottimi per le due versioni, nonché il livello di profitto che il monopolista ottiene in caso applicasse il versioning, studiando la derivata: 𝛿𝜋 𝑚1 + 𝑘 = 0 → 𝑃1 = 𝛿𝑃1 2 𝛿𝜋 𝑚2 + 𝑘 = 0 → 𝑃2 = 𝛿𝑃2 2 -Sostituiamo i prezzi e otteniamo il massimo profitto in caso di versioning: 𝑘 2 + 2𝑘𝑚1 + 𝑚1 𝑚2 ∗ 𝜋𝑉 = 4𝑚1 1 𝑘 l'impresa venderà quindi ai consumatori con valori di 𝜃 ≥ 2 − 2𝑚 1 Confronto il profitto ottenuto con il versioning, al profitto ottenuto senza versioning: notiamo che 4𝑚2 > 4𝑚1 , poiché 𝑚2 > 𝑚1 10 se ↑ k il versioning è conveniente ↑ 𝑚1 il versioning potrebbe diventare sconveniente, soprattutto se supera il valore di 𝑚2 se 𝑚1 rimane fisso e ↑ 𝑚2 , allora ↑ anche 𝜋𝑉∗ (profitto in caso di versioning) se 𝑚1 = 𝑚2 ; abbiamo una identica qualità, allora conviene sempre fare un unica versione. Riflessioni sul versioning: L’introduzione di una seconda versione del prodotto comporta però anche un effetto negativo di “cannibalizzazione”, questo si verifica quando il prezzo della versione di bassa qualità risulti essere inferiore a quello praticato in assenza di versioning: mentre in assenza di versioning avrebbero acquistato al prezzo 𝑃𝑁∗ , ora in presenza di versioning acquisteranno al prezzo 𝑃1∗ < 𝑃𝑁∗ -La presenza di una versione di bassa qualità, impedisce all’impresa di alzare il prezzo della versione di alta qualità, altrimenti avremmo una riduzione del surplus del consumatore e di conseguenza rovineremmo la segmentazione diminuendo di conseguenza il numero di persone che acquistano. In Breve: il beneficio principale del versioning non si basa sulla possibilità di alzare il prezzo, ma è legato unicamente all’allargamento del mercato e quindi a maggiori profitti. Bundling o creazione di un paniere (forma particolare di Versioning): Una strategia di discriminazione di prezzo molto popolare è il Bundling, le imprese offrono ai propri clienti pacchetti composti da più prodotti/servizi che potrebbero essere messi sul mercato separatamente. Come si trae vantaggio dal bundling? La principale caratteristica di una offerta di bundling è di ridurre l’eterogeneità nelle preferenze del consumatore. Pensiamo di avere 2 consumatori con preferenze eterogenee e negativamente correlate, e 2 prodotti distinti valutati in modo differente dai due consumatori. In particolare 𝐶1 valuta maggiormente il prodotto A e 𝐶2 valuta maggiormente il prodotto B Ipotizziamo per semplicità che i CT=0, in questo modo i ricavi coincidono con i guadagni. Rispetto al versioning abbiamo situazioni differenti, i due consumatori sono sia “pesanti” che “leggeri” -Potrei fissare 𝑃𝐴 = 𝑃𝐵 = 20 venderei così 4 unità del bene con un ricavo totale 𝑅𝑇 = 20 ∙ 4 = 80 -Potrei vendere invece fissare 𝑃𝐴 = 𝑃𝐵 = 22 riducendo però le vendite a 2 unità, rispettivamente il cons1 acquisterà A e il cons2 acquisterà B 𝑅𝑇 = 22 ∙ 2 = 44 -Potrei ancora fissare il prezzo di un prodotto a 22 e uno a 20, indipendentemente dal prodotto otterrei un 𝑅𝑇 = 2 ∙ 20 + 1 ∙ 22 = 62 11 -Faccio invece un Bundle (A+B): Bundling Puro (vendo solo il pacchetto(A+B)) P(A+B)=42 in questo modo ogni consumatore percepirà il prezzo come giusto, e questo perché scelgo un prezzo di bundle che è il minore fra le somme delle disponibilità a pagare dei due consumatori per il bene A + il bene B: 𝑚𝑖𝑛(𝐶𝑜𝑛𝑠1(𝑃(𝐴) + 𝑃(𝐵)), 𝐶𝑜𝑛𝑠2(𝑃(𝐴) + 𝑃(𝐵)) = = 𝑚𝑖𝑛((22 + 20), (20 + 22)) = 42 → per semplicità della tabella le somme fanno 42 avrò quindi un 𝑅𝑇 = 42 ∙ 2 = 84 che è nettamente superiore alle alternative precedenti. In questo caso abbiamo applicato un bundling puro, in cui l’impresa vende esclusivamente il pacchetto. Esistono altre forme di Bundling più complesse: -Impuro : quando P(A+B)>P(A)+P(B) -Misto : quando i prodotti si possono acquistare anche separatamente dall’accorpamento di A e B Esempio di misto dal libro: Ipotizziamo che la disponibilità a pagare per l’abbonamento ad un pacchetto di due o più canali sia pari alla somma delle disponibilità a pagare per i singoli canali che lo compongono. -Utilizzando un bundling puro, troverei le seguenti disponibilità a pagare per il pacchetto dei 3 canali: A=10+1+1=12 B=9+1+5=15 C=1+10+1=12 D=1+9+5=15 utilizzando come prezzo del bundle il minore fra le disponibilità a pagare, farei un prezzo di 12 RT=12*4=48 Utilizzando un bundle misto potrei accorgermi che: -Se faccio un pacchetto per i canali I e S al prezzo di 10 (dove tutti sono disposti a darmi 10) -e un pacchetto per il canale n a prezzo 5 (dove perdo solo 2 consumatori, A e C) ottengo 𝑅𝑇 = (10 ∙ 4) + (5 ∙ 2) = 50 che è superiore al ricavo con il bundling puro. 12 Lock-in: Il lock-in è un blocco della transizione che può avvenire indifferentemente sia sui soggetti di domanda che di offerta. Applica il concetto di esclusività nello scambio ovvero limita la sostituibilità dei contraenti, ovvero l’impossibilità di cambiare parte di riferimento per un determinato bene/servizio per una delle due parti. Caso domanda: Un consumatore è vincolato ad un prodotto poiché i costi di transizione ad uno nuovo risultano maggiori ai vantaggi tratti dall’uso di un nuovo bene. Caso offerta: Un produttore ha specializzato il prodotto per un solo consumatore, tanto che gli è impossibile venderlo ad altri consumatori. Il lock-in sul software: Anche sul software è possibile osservare dinamiche di blocco della transizione. Lato domanda: Essendo il software un bene esperienza, un utente con il tempo acquisisce un’utilità del prodotto sempre maggiore, per cui all’acquisto un prodotto di questo genere necessita di un investimento in conoscenza ed esperienza d’uso, a maggior ragione se il software è particolare, per cui l’investimento esperienziale specifico è difficilmente trasferibile (ovvero un programma è unico nel suo genere, fare esperienza su questo programma non renderà più facile l’apprendimento di un nuovo programma, per definizione, totalmente diverso). Lato offerta: La richiesta che viene fatta al produttore di software richiede investimenti specifici in conoscenza, per realizzare un prodotto adeguato al solo committente del prodotto. Fino a quando l’investimento specifico è rilevante, allora il produttore sarà costretto a mantenere un rapporto con il consumatore (un software gestionale realizzato specificamente per una particolare azienda). Quando esiste un effetto lock-in abbiamo elevati costi di transizione (switching costs), tanto elevati da sconsigliare la modifica del prodotto (o dell’altra parte contrattuale). Supponiamo di avere un consumatore che possa scegliere fra i beni x,y. Supponiamo che il nostro consumatore abbia acquistato il bene x e lo stia consumando, accumulando esperienza di utilizzo, che dopo un po’ di tempo generano dei costi di transizione 𝑠>0 (ovvero, per il nostro consumatore l’esperienza accumulata ha un valore). Consumando il bene x, il consumatore otterrà un’utilità 𝑢0𝑥 − 𝑝𝑥 , se il consumatore 𝑦 decidesse di cambiare prodotto, migrando verso y, l’utilità che otterrà alla fine sarà pari a 𝑢0 − 𝑝𝑦 − 𝑠. Per valutare se il cambio di prodotto è o meno conveniente, occorre valutare la seguente proporzione, detta equazione fondamentale della transizione. 𝑦 𝑢0𝑥 − 𝑝𝑥 <> 𝑢0 − 𝑝𝑦 − 𝑠 Se i due beni hanno la medesima utilità e il medesimo prezzo allora non conviene migrare da x 13 a y poiché ci sono da sostenere i costi di transizione, nel caso in cui i prezzi siano gli stessi, allora occorre vedere se la variazione di utilità (che è per forza positiva, altrimenti non cambierei prodotto) vale più dei costi di transizione, ovvero il dover riapprendere l’uso di un nuovo prodotto. Tassonomia del lock-in: Lock-in tecnologico: spiegato dagli effetti economici che possono accompagnare il consumo di beni digitali, il blocco è legato alla piattaforma che il consumatore sta utilizzando (sistema operativo), questo da luogo a due effetti che un consumatore deve tenere in considerazione al fine di valutare la transizione: o Effetto incompatibilità: Una volta che il consumatore sceglie una determinata piattaforma è vincolato ad essa per tutti i beni accessori complementari/supplementari costruiti da un produttore differente. Il prodotto può essere incompatibile, sia a livello hw che sw. Se un consumatore ha già acquisito una buona esperienza d’uso o un alto numero di dispositivi accessori per quella piattaforma, per cui potrebbe essere oneroso effettuare una transizione. o Effetto stock: Si riferisce al supporto riguardo alle informazioni che il consumatore ha in possesso su quella determinata piattaforma, per cui se il consumatore possiede tanti dati su una determinata piattaforma risulta rilevante la perdita di informazioni dovute al cambio con una piattaforma incompatibile (Es. passaggio vinile -> CD) Lock-in cognitivo: Dovuto dall’esperienza (costi relativi allo studio del prodotto) accumulata sulla piattaforma. Sempre collegato ai beni esperienza, ovvero beni che forniscono un flusso di utilità non omogeneo, ogni volta che accumulo esperienza nel tempo l’utilità che ne traggo e sempre maggiore (flusso omogeneo -> ogni volta che consumo un prodotto ne ottengo la medesima utilità, es. mangio una mela). Lock-in commerciale: legato al fenomeno degli acquisti ripetuti, quando un consumatore reitera un contratto d’acquisto con il produttore nel tempo, quest’ultimo potrebbe garantire degli sconti al consumatore, fornendogli condizioni di acquisto più vantaggiose rispetto al “consumatore spot” (es. aggiornamento software gratuito a chi ha comprato la versione precedente). Nei beni digitali il lock-in è un parametro dinamico, ovvero che cambia di rilevanza nel tempo, dato che spesso un consumatore di questo genere di beni acquisisce dinamicamente l’utilità. All’acquisto presumibilmente il lock-in sarà zero, e crescerà fino ad arrivare alla sua fase di consolidamento, in cui il costo di transizione s sarà ragionevolmente alto. Il decadimento di questo fenomeno potrebbe essere causato dal progresso tecnologico: anche se ho dei costi di transizione alti perché ho accumulato esperienza, l’utilità che traggo da questo passaggio è molto alta, per cui il consumatore è disposto a riavviare il ciclo di investimento specifico. Conseguenze del Lock-in: Incremento del potere contrattuale di un contraente sull’altro: o Lato domanda: Se il produttore del bene sa che il consumatore ha costi di transizione elevati, potrà alzare arbitrariamente il prezzo del ben, al massimo fino ai costi di transizione, per esempio, il rinnovo di una licenza software, per l’anno successivo potrebbe essere appena inferiore a quanto basterebbe a far cambiare prodotto all’utente. 14 o Lato offerta: Potrebbe essere messo in atto l’hold-up contrattuale, che si manifesta in un’ingiusta riduzione del prezzo d’acquisto, ovvero il consumatore compra il prodotto (personalizzato e specifico) ad un prezzo inferiore al suo reale valore. Massa critica di consumatori/produttori bloccati: Mi permette di mostrare ai potenziali consumatori esterni, una forte esternalità di rete. Più consumatori tengo bloccati più posso garantire ai nuovi entranti una solida rete di consumatori. Prezzi di penetrazione: la tecnica di pricing utilizzata è volta a fare del lock-in (un prezzo basso oggi per crescere domani), un prezzo che tende ad aumentare nel tempo una volta che il consumatore è soggetto ad effetto blocco, ben visibili sul lato della domanda. Economie di scala sul lato della domanda (Effetto rete ed esternalità): Come parametro di scala viene preso l’insieme di consumatori, o utilizzatori, di un bene. Se questi beni sono di natura sociale o comunicativa, la rete che si forma è una vera e propria rete di consumatori interattiva (dove il bene stesso fa uso degli elementi della rete). Generalmente, più è alta la scala di diffusione di un bene, maggiore sarà la dimensione della rete e quindi l’utilità del bene stesso agli occhi di un nuovo consumatore. Possiamo quindi ridefinire il concetto di utilità di un bene, che non dipende più soltanto dalla quantità consumata di quel bene, bensì dipenderò anche dalla quantità presente sul mercato di quel bene (ovvero, consumata da altri soggetti). Supponiamo di avere un bene 𝑋 soggetto ad esternalità di rete, con 𝑖 = 1. . 𝑁 consumatori, l’utilità appena definita è riassunta nella formula: 𝑢𝑖 = 𝑢(𝑥𝑖 , 𝑥−𝑖 ) dove 𝑥𝑖 indica la quantità consumata dal soggetto i-esimo, mentre 𝑥−𝑖 , rappresenta la quantità consumata dal resto della rete. Esternalità di rete: Per esternalità di rete si intende un effetto esterno di un comportamento di consumo o di produzione, che agisce su un soggetto terzo, rispetto a colui che genera l’esternalità, causando una variazione del valore del prodotto appartenente a quest’ultimo. L’esternalità di rete, influenza l’aumento del valore di un prodotto, secondo la seguente relazione: 𝛿𝑢𝑖 = 𝑣(𝑥𝑖 , 𝑥−𝑖 ) 𝛿𝑥−𝑖 Dove più grande è 𝑥−𝑖 , più il fenomeno dell’esternalità di rete sarà percepibile (se c’è una rete molto ampia, che consuma una grande quantità del bene 𝑋 allora si avrà una forte dipendenza del valore da questo fattore, altrimenti il valore del bene sarà solamente quello attribuito dal consumo di 𝑥𝑖 ). Reti grandi → forte esternalità Reti piccole → poca esternalità L’esternalità può essere un parametro sia negativo che positivo: 15 Per esternalità positiva si intende il fenomeno che determina un incremento dell’utilità per il consumatore al crescere del numero di consumatori (es. e-mail: più persone la usano, più è semplice ed economica la comunicazione). Per esternalità negativa si intende l’opposto ovvero, se un prodotto è soggetto ad e. negativa l’utilità che il consumatore i-esimo ne trae è minore, ovvero è scoraggiato al consumo (es. utilizzo di una rete congestionata perché satura di utenti). Esistono diversi tipi di esternalità di rete, che possono verificarsi contemporaneamente sullo stesso prodotto, vale la pena ricordare: Diretta: Correlata direttamente con la dimensione del network di utilizzatori del prodotto. Indiretta: L’utilità del bene varia a seguito di reti esterne (es. complementari) Innovazione: Qualora l’insieme dei consumatori costituisca non una rete sociale, ma una fonte di informazioni per far evolvere il prodotto, in modo che risponda alle necessità degli utilizzatori. Analisi della curva di domanda in un mercato che presenta esternalità di rete: Supponiamo di avere 𝑁 potenziali clienti all’interno di un mercato. Gli effettivi clienti sono 𝑁 𝐷 , tutti i consumatori hanno acquistato il prodotto ad un prezzo 𝑝 tale che, data la loro disponibilità all’acquisto d (prezzo di riserva), l’utilità risultante sia: 𝑑 = 𝜃𝑁 𝐷 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝜃 è un parametro uniformemente distribuito su [ 𝜃, 𝜃 ] 𝑢 = 𝑑 − 𝑝 = 𝜃𝑁 𝐷 − 𝑝 Per ottenere la funzione di domanda, occorre considerare il consumatore indifferente, ovvero colui che on trae utilità dal consumo di un determinato bene, ovvero per cui vale: 𝜃0 𝑁 𝐷 − 𝑝 = 0 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑢𝑖 𝜃0 = 𝑝 𝑁𝐷 Il numero di consumatori effettivi sulla rete è duque: 𝑁 𝐷 = 𝑁(𝜃 − 𝜃0 ) 𝑜𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑁 𝐷 = 𝑁 (𝜃 − 𝑝 ) 𝑁𝐷 Da questa relazione riusciamo a determinare la curva di domanda in relazione ai prezzi, ovvero 𝑁𝐷 𝑝=𝑁 𝜃 − 𝑁 2 𝐷 16 In questo caso è possibile vedere come la relazione dia luogo ad una parabola (l’equazione sopra è di secondo grado), dove i prezzi rappresentano l’asse delle ordinate e il numero di individui sul mercato costituisce l’asse delle ascisse. Se questa curva viene rappresentata in relazione con la funzione d’offerta si ottiene un grafico di questo tipo: E’ possibile notare come, a differenza dell’incontro fra domanda ed offerta della teoria classica, questo grafico dia luogo al cosiddetto fenomeno degli equilibri multipli, ovvero i punti 𝐸0 , 𝐸1 , 𝐸2 . Il punto 𝐸0 è detto equilibrio degenere e si verifica quando il prodotto non è diffuso, ovvero la dimensione della sua rete è pari a zero. In 𝐸1 si parla di mercato a bassa soglia di diffusione, mentre in 𝐸2 si osserva un equilibrio di mercato ad alta soglia di diffusione e di utilizzo, 𝑁1𝐷 e 𝑁2𝐷 sono le masse critiche collegate ai livelli di consumo). Fra 0 ed 𝑁1𝐷 il prezzo che il produttore può applicare è sempre superiore alla disponibilità a pagare dei consumatori (la curva di domanda è sempre sotto a quella di offerta), per cui, in questo caso l’effetto dovuto all’esternalità è molto basso, ci sono pochi utenti sulla rete, e quindi l’ingresso di nuovi utenti attratti dalla comunità è molto ridotto, in questo caso capiamo bene come sia importante avere una rete in questo genere di mercati, poiché senza le vendite sarebbero nulle, per cui in questi casi si assiste ad un evento di sussidio del produttore nei confronti dei consumatori, volto al fine di costituire la rete per il raggiungimento della massa critica (questo può essere raggiunto tramite prezzi di penetrazione, oppure regalando il prodotto). Al raggiungimento della massa critica 𝑁1𝐷 il prezzo della domanda è pari a quello dell’offerta, da questo momento si assiste ad un eccesso di domanda, che il produttore può sfruttare vendendo ad un prezzo più alto rispetto a quello che la funzione d’offerta gli consiglia, in questo caso il numero di consumatori continuerà comunque a crescere (ovvero, il prezzo risente dell’esternalità di rete, quindi non dipende più solo dai costi del produttore), questa fase dura fino al raggiungimento della massa critica ottima 𝑁2𝐷 e (l’intero intervallo) prende il nome di feedback positivo . Da 𝑁2𝐷 , il prodotto ha raggiunto la maturità, la domanda è più bassa dell’offerta, per cui la rete non necessita più di nuovi consumatori. Per un produttore è importante sfruttare al meglio l’intervallo di feedback, al fine di massimizzare i profitti, per cui dovrà essere in grado di distinguere le masse critiche ed operare al meglio nell’intervallo 𝐸1 , 𝐸2 . Sviluppi irrazionali della massa critica: Ci potrebbero essere fenomeni di rete che non seguono questo sviluppo, ma si caratterizzano seguendo uno dei due fenomeni descritti da: Effetto inerzia: Lo sviluppo della massa critica è lento o inesistente, la rete di consumatori per quel determinato prodotto non si verrà a formare. Effetto valanga: Lo sviluppo della massa critica fra 𝐸1 , 𝐸2 è talmente rapido che il produttore non fa in tempo a sfruttare il feedback positivo, trovando la rete già matura. 17