Rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica
Schweizerische Zeitschrift für Architektur, Ingenieurwesen und Stadtplanung
2 2017
Progettare in sezione
Im Schnitt planen
T E S T I T E X T E André Bideau | Lorenzo Giuliani e Christian Hönger | Luca Ortelli
P R O G E T T I P R O J E K T E Mario Botta | Buzzi studio d’architettura |
giuliani.hönger | Stefanie Hitz | Davide Macullo Architects
Regolamenti improntati alla prassi
n. 2 aprile
Con TEC21, TRACÉS, Archi
e la piattaforma comune
www.espazium.ch
creiamo uno spazio di
riflessione sulla cultura
della costruzione.
3 VE TRINA
4 INTERNI E DESIGN a cura di Gabriele Neri
7 ACC ADEMIA DI ARCHITE T TUR A A AM
a cura di Mercedes Daguerre
12 SCUOL A UNIVERSITARIA PROFES SIONALE SUPSI
a cura di Manuel Lüscher
16 DIARIO DELL’ARCHITE T TO a cura di Paolo Fumagalli
Progettare in sezione
Im Schnitt planen
a cura di Debora Bonanomi e Gabriele Neri
Dai progettisti per i progettisti!
Spazio interdisciplinare,
interculturale, specialistico,
indipendente e critico.
19 EDITORIALE L A SE ZIONE E IL R AUMPL AN DI LOOS
Alberto Caruso
21 L A SEZIONE SOT TO LO SK YLINE
André Bideau
28 SEZIONI DI STR ADE, SEZIONI DI EDIFICI
Luca Ortelli
33 L A SEZIONE COME STRUMENTO DI PROGE T TA ZIONE
Lorenzo Giuliani e Christian Hönger
38 CENTRO PER L’INNOVA ZIONE HILTI, SCHA AN
giuliani.hönger
44 EDIFICIO FUORIPORTA, MENDRISIO
Mario Botta
50 RESIDENZ A LE STELLE, SOLDUNO
Buzzi studio d’architettura
56 TR ASFORMA ZIONE DI UNA CASA STORICA , SALORINO
Stefanie Hitz
60 SWIS S HOUSE X XII, PREONZO
Davide Macullo Architects
Nel prossimo numero:
Dal progetto al piano
Dello stesso editore:
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Tracés n.07
Réfection du pont
d’Aigremont
espazium.ch/traces
COMUNIC ATI SIA a cura di Frank Peter Jäger
COMUNIC ATI OTIA a cura di Daniele Graber
LIBRI a cura di Mercedes Daguerre
CONCORSI TI a cura di Teresa Volponi
Tec21 n.12
Hamburger Himmelsstürmer
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«Umsicht – Regards – Sguardi 2017»
La SIA premia sei opere esemplari e lungimiranti.
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3
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4
INTERNI E DE SIGN
Architetture
viste in sezione
Gabriele Neri
In linea con il tema approfondito in
questo numero di «Archi», abbiamo
deciso di dare spazio a un’esperienza
didattica svolta in Ticino durante lo
scorso semestre alla SUPSI (corso di
laurea in Architettura), che ha avuto
come punto focale proprio l’analisi
della sezione come strumento indispensabile per la comprensione e la
creazione del progetto di architettura. L’interesse non è però solo didattico o tecnico. Partendo da questioni
rappresentative e costruttive, questa
esperienza – che guarda a simili ricerche svolte in altri atenei negli scorsi
anni – punta infatti a sviluppare e
promuovere la conoscenza culturale
dell’architettura contemporanea ticinese, come ci spiegano Giuseppe Rossi
e Stefano Zerbi, responsabili del laboratorio.
Archi: Com’è nata l’idea di dedicare
l’intero semestre allo studio della sezione?
Giuseppe Rossi e Stefano Zerbi: Lo
spunto è stato il progetto di ricerca «Details. Architecture seen in section» diretto da Marco Pogacnik negli anni
scorsi (cfr. www.detailsinsection.org) e
presentato alla Biennale di Architettura
di Venezia nel 2014, il cui risultato è il ridisegno di sezioni costruttive in scala
1:10 di architetture eloquenti contemporanee e moderne. Questo progetto è andato recentemente in mostra anche a
Lucerna (Hochschule Luzern, 3-21 marzo 2017). Partendo da questo riferimento, per il Laboratorio di Costruzione del
primo semestre di Bachelor del corso di
laurea in Architettura della SUPSI si è
deciso di sviluppare con gli studenti il
tema delle architetture viste in sezione
e della centralità della sezione costruttiva nella definizione materica e del carattere di un edificio. Tale approccio all’architettura ha permesso di definire sia
l’inquadramento teorico sia quello didattico del corso. Per il primo, si è ripreso il rapporto tra struttura, involucro
e spazio trattato da Giovanni Fanelli
e Roberto Gargiani nella loro Storia
dell’architettura contemporanea (Laterza, 1998). Si sono così introdotti alcuni concetti fondamentali della storia
della costruzione, come la teoria del
rivestimento o la supremazia della struttura. Per quanto riguarda l’inquadramento didattico, si è scelto di circoscrivere l’ambito delle analisi al tema
dell’abitazione costruita in muratura e
della copertura a falda.
Perché questa delimitazione?
Tale scelta dipende da due motivazioni. In primo luogo, tali tipologie costruttive risultano essere in sintonia
con quanto gli studenti svilupperanno
in altri corsi, e poi perché queste tecniche appartengono alla tradizione del
Cantone Ticino. Si è tentato quindi di
mostrare agli studenti degli esempi
che potessero costituire una base per
una storia materiale della costruzione
nel nostro Cantone. In aggiunta, ricorrere al disegno in sezione permette di
indagare «quelle parti dell’organismo
architettonico in cui la facciata si relaziona al tetto, la finestra al muro o la parete al controsoffitto», come recitava il
manifesto della mostra alla Biennale di
Architettura di Venezia del 2014.
Come è stata affrontata l’analisi?
Quale metodo per l’analisi si è scelto
di attingere direttamente alle sezioni
costruttive originali fornite dagli archi-
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vi o dai progettisti stessi. Queste sono
state ridisegnate integralmente dai
docenti al fine di ottenere un risultato
grafico omogeneo. Il ridisegno collettivo in classe con gli studenti ha seguito
una scomposizione tettonica e cantieristica, partendo dalle fondazioni e
lo zoccolo, l’elevazione e i solai, per terminare con la copertura. Queste fasi
hanno permesso non solo l’approfondimento costruttivo e materico delle scelte operate dai progettisti, ma anche
l’analisi statica elementare dei sistemi strutturali. I particolari costruttivi sono stati situati nel periodo storico dell’opera e, in alcuni casi, la loro
attualizzazione è stata discussa con gli
studenti.
Quali sono i casi studio che avete selezionato?
I casi di studio affrontati durante il semestre d’autunno 2016 sono stati scelti
al fine di evidenziare – nell’ambito
5
Casa Müller, Morcote, 2003. Markus Wespi
con Jérôme de Meuron architetti
1-2 Sezione di dettaglio della gronda e sezione
longitudinale della copertura a falde
3-4 Sezione di dettaglio e vista assonometrica
(assonometria isometrica) di un’apertura con
serramento fisso
5-6 Sezione di dettaglio e vista assonometrica
(assonometria isometrica) dell’incastro della
soletta in calcestruzzo armato nella muratura
omogenea composta in mattoni di cotto
alveolare intermedio e mattoni di cotto faccia
vista esterno ed interno
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Casa Prada, Ambri, 1985.
Pietro Boschetti architetto
Vista assonometrica di un architrave
in BKS armato
Vista assonometrica dell’appoggio
del solaio sulla mensola prefabbricata
di calcestruzzo armato
Sezione di un’apertura con serramento
apribile e vista assonometrica
di un architrave in BKS armato
Vista laterale e pianta dell’appoggio
del solaio sulla mensola prefabbricata
di calcestruzzo armato
Sezione di dettaglio della doppia muratura
perimetrale in mattoni BKS faccia vista
esterno ed interno; zoccolo di calcestruzzo
armato; solai di legno; copertura a falde
INTERNI E DE SIGN
dell’architettura ticinese – due figure
considerate quali «maestri», un materiale e un tema contemporaneo. Nel primo
caso, sono state scelte le figure di Franco Ponti e Rino Tami, i quali durante la
loro carriera hanno affrontato il tema
dell’abitazione in muratura con tetto a
falde in modo esemplare. Il materiale
scelto è il mattone di cemento conosciuto con l’acronimo di BKS, perché costituisce un periodo storico dell’architettura
ticinese ben definito. Esso ha permesso
di introdurre figure quali Pietro Boschetti e i fratelli Moro. Per il tema contemporaneo si è scelto quello della costruzione
massiccia con riferimento all’opera degli
architetti Wespi & de Meuron.
In conclusione, con l’introduzione della rappresentazione dell’edificio attraverso le sezioni costruttive sin dal primo semestre, questo metodo diventa un filo
conduttore nell’ambito dei Laboratori di
costruzione, perché già utilizzato anche
nei semestri successivi. Si introduce quindi un metodo per sintetizzare la complessità dell’organismo costruito che permette una lettura simultanea di più livelli
d’approfondimento: uno strumento indispensabile all’architetto e costruttore per
misurare le conseguenze delle proprie
scelte architettoniche, costruttive, statiche e materiche. Inoltre, queste esperienze e il patrimonio che le sezioni formeranno sono volti a costituire uno spaccato
della storia della costruzione del Canton
Ticino; un supporto non solo per descrivere, ma soprattutto per progettare il futuro di questi edifici nel rispetto della loro sostanza.
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ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM
Insegnare la
sostenibilità
Andrea Roscetti
L’architetto e professore Muck Petzet, nell’ambito delle attività della
cattedra di Progettazione Sostenibile
recentemente istituita all’Accademia
di architettura di Mendrisio, ha dato
inizio a un percorso di scambio di
concetti e riflessioni sul tema dell’insegnamento della sostenibilità.
Il simposio Teaching Sustainability rappresenta la prima attività in
questo ambito; intrapresa nell’ottobre
dello scorso anno, è stato un momento
di scambio tra i diversi attori presenti
nel campo dell’insegnamento dell’architettura e del design sostenibile.
Il simposio è nato rispondendo alla
domanda: «come possiamo insegnare una materia che appare essere più
un atteggiamento che una scienza?»
In tutte le scuole universitarie, e in
special modo nelle facoltà di architettura, sono state create cattedre e corsi per
l’insegnamento del design e dell’architettura sostenibile, sia in risposta alle
crescenti sfide e richieste di sviluppare
nuova architettura sostenibile, sia per
definire le modalità di sviluppo verso un
futuro più sostenibile per gli edifici esistenti, per il tessuto e per le infrastrutture urbane.
I «professori della sostenibilità» invitati stanno sviluppando presso le proprie
istituzioni dei programmi di insegnamento che tentano di definire un campo
che risulta esteso, aperto e con confini
relativamente indefiniti. Questa discussione ha coinvolto attivamente scuole,
istituzioni e docenti con una notevole
esperienza nell’insegnamento dell’architettura che riguarda gli edifici efficienti e
a basso consumo, coinvolgendo anche
professori di nuova nomina – anche appartenenti a campi adiacenti.
Con Muck Petzet abbiamo verificato i
risultati della due giorni di presentazioni, discussioni e dialoghi, che hanno
mostrato differenti approcci e atteggiamenti, ospitando personalità provenienti da tutto il mondo.
Andrea Roscetti: Prof. Petzet, potrebbe
spiegare nel dettaglio gli intenti di questo
evento?
Muck Petzet: L’input di base è una
mia necessità personale. La mia esperienza di insegnamento in questo campo è iniziata in un periodo relativamente recente e sono molto interessato a ciò
che sta accadendo nel resto del mondo.
Desidero imparare dalle esperienze de-
1
1 Manifesto del simposio Teaching Sustainability
gli altri. Tutti parlano di sostenibilità,
ma nessuno sembra avere una panoramica chiara e completa su ciò che realmente è e potrebbe essere. Al momento
non ci sono molte attività di scambio
culturale in questo campo tra scuole o
altre istituzioni. Abbiamo probabilmente una letteratura veramente ampia in
materia ma c’è carenza in merito a che
cosa realmente significhi la sostenibilità per gli architetti, e a come insegnarla
e quali siano i diversi approcci ad essa.
Questo simposio va inteso come un
primo passo per raccogliere e confrontare approcci diversi nell’insegnamento
– cio che penso è che in questo tema ci
siano da un lato eccessive semplificazioni e dall’altro estreme complessità.
È una situazione strana. Pensando
all’insegnamento della sostenibilità nell’architettura dapprima si percepisce
un’immagine molto semplice e chiara:
efficienza negli edifici, edifici green, sistemi o elementi di facciata smart per gli
edifici. Dalla mia esperienza di architetto, però, credo ci siano molti più elementi
da tenere in considerazione e da analizzare – di fatto si tratta di un ambito molto
complesso e interessante che coinvolge
anche i comportamenti umani, gli aspetti economici, l’analisi nel ciclo di vita ma
anche le caratteristiche fondamentali tipiche degli oggetti architettonici quali la
longevità, la funzionalità, la creazione di
benessere – il tutto a un livello realmente
basilare. Credo che sia necessario guardare oltre il quadro ben definito dell’efficienza: quali sono realmente la responsabilità degli architetti nella nostra epoca?
L’altra questione è rappresentata dal
fatto che la sostenibilità è un concetto
talmente olistico da essere praticamente nebuloso. Tutto può essere incluso in
questo vasto campo. Non mi è quindi
ancora molto chiaro quali siano i contenuti da offrire ai nostri studenti.
L’iniziativa rappresentata dal simposio tenutosi all’Accademia è un primo
tentativo di ricerca di una valida metodologia di insegnamento, tramite il confronto tra differenti approcci. Desideravamo una discussione aperta su come
fare, come provare ad aprire e attivare le
menti degli studenti a contenuti che riteniamo «utili» ma anche spesso «noiosi» e
che spesso appaiono essere una mera
necessità legale e una distrazione rispetto alla progettazione architettonica.
A mio parere è sempre stato chiaro
che sia cruciale insegnare non solo il
«come» ma anche il «perché» della sostenibilità. Insegnare un’attitudine – ma
8
ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM
come? Sembrerebbe praticamente impossibile… Possiamo seguire regole, leggi, sistemi di certificazione, ma se gli architetti non sono in grado di sentire
l’attitudine il tutto ha poco senso. Per risvegliare questa sensibilità negli studenti e chiarire il fatto che la sostenibilità può essere connessa con i principi
base del pensiero architettonico, è necessario a mio parere sviluppare approcci metodologici che creino connessioni tra i temi classici dell’architettura
e il pensiero sostenibile.
Ero curioso di vedere come stanno lavorando diversi docenti in giro per il
mondo – e sono sorpreso che la nostra
cattedra sia una delle poche interessate
a un approccio più teorico… lavorando
sull’attitudine stessa. Praticamente tutti i docenti invitati stanno invece seguendo un approccio molto pragmatico,
orientato al progetto, molto vicino alla
realtà. Probabilmente è il dubbio personale riguardante la validità delle convenzioni che riguardano la progettazione sostenibile che mi ha spinto a mettere in
discussione i luoghi comuni e i principi
sin dall’inizio della programmazione dei
miei corsi: gli studenti, nel mio primo corso, hanno sviluppato un loro proprio sistema di certificazione della sostenibilità, una certificazione «fai da te».
Riguardo l’approccio, il coinvolgimento
di differenti attori che provengono da settori molto diversi, anche al di fuori della progettazione architettonica, fornisce un reale
valore aggiunto alle attività didattiche?
Certamente il coinvolgimento di differenti figure nel processo educativo è
un plusvalore. Alcuni anni fa la stessa
Accademia organizzava gli atelier orizzontali, coinvolgendo colleghi dei differenti ambiti didattici nel processo di
progettazione. Una soluzione simile
dev’essere stata un’ottima modalità di
integrazione dell’insegnamento per tematiche complesse come la sostenibilità. Credo che sia fondamentale far comprendere agli studenti, già durante il
loro ciclo formativo, che fare architettura oggi è un’attività di squadra, ma per
lavorare con successo con questi specialisti è necessario comprendere leggi
e relazioni semplici – abbandonare i propri timori, l’eccessivo rispetto, ma anche
la frequente negazione delle complesse
necessità attuali.
Il nostro obiettivo è quello di consentire agli studenti di diventare non solo progettisti ma, come veri e propri architetti,
essere leader di un processo complesso in
cui per non essere messi in scacco dagli
esperti e giocare quindi autonomamente
è necessaria una grande esperienza.
Quali sono stati i risultati più evidenti
del simposio: approcci, contenuti, discussioni? Che cosa le ha insegnato quest’esperienza?
Aver tutti questi interventi differenti
tra loro, con opinioni personali e discussioni così ricche, è stato per me un
dono e un piacere allo stesso tempo. Ho
imparato molto – e il simposio stesso
mi ha posto nuove domande in merito a
ciò che stiamo facendo attualmente a
Mendrisio. È giusto porre tutte queste
domande a livello teorico? Non dovremmo essere più pragmatici e orientati al
progetto?
Penso che la densità della discussione si rifletta nei contenuti del blog che
abbiamo creato per l’occasione.
Dato che anche gli studenti dei suoi corsi sono stati coinvolti nel simposio, ha ricevuto spunti interessanti da quest’ulteriore
interazione?
Certamente. Mi sono piaciute in particolare le interviste che gli studenti
hanno fatto agli ospiti. In esse sono
emersi pensieri realmente personali e in
alcuni casi conclusioni più profonde rispetto a quanto presentato al pubblico
presente nell’aula del simposio. Credo
che invitare tutte queste personalità
con una tale esperienza – in alcuni casi
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Questa discussione potrebbe includere
anche gli atelier di progettazione? come crede sia possibile integrare maggiormente le
attività nel campo della sostenibilità nelle
attività didattiche più legate alla pratica?
Una forte base teorica è fondamentale per rendere i futuri architetti realmente attivi nel campo della sostenibilità,
ma senza applicazione pratica queste
conoscenze restano teoriche e quindi
spesso poco utili. Noi già proviamo a
combinare lezioni teoriche con applicazioni pratiche. Con 120 studenti nel corso
bachelor (di secondo anno) è praticamente impossibile lavorare individualmente su questioni pratiche di progettazione, date le condizioni e la mancanza
di tempo a disposizione. Proviamo a fornire delle opportunità di applicazione
delle nozioni teoriche all’interno dei task
che assegniamo – che sono il più possibile in stretta relazione con il tema di progetto proposto dagli atelier dell’anno di
corso frequentato dagli studenti.
Ad esempio quest’anno gli studenti
del secondo anno hanno sviluppato la
propria certificazione fai da te utilizzando il risultato del loro stesso lavoro di
atelier di progettazione – alla fine certificando il proprio progetto. Nei corsi del
master (quarto e quinto anno) cerchiamo di sviluppare un modello più orientato al progetto e sperimentale – ma seguendo sempre lo schema di lezioni
teoriche associate a task. Questa modalità a mio parere rappresenta un approccio
valido per combinare le lezioni teoriche
ex cathedra e il lavoro svolto negli atelier
di progettazione – che nella nostra scuola è particolarmente importante.
Rimane in ogni caso la difficoltà ad
introdurre le nozioni teoriche, in questo
campo complesso, in un ambiente scolastico in cui è posta un’attenzione particolare ai corsi di progettazione, e in un
semestre di breve durata.
Integrare le basi della progettazione
sostenibile direttamente nel lavoro dei
laboratori di progettazione significa molte volte influenzare e modificare l’approccio al progetto da parte degli studenti: non vogliamo questo, dato che
pensiamo che la libertà e le differenze
nei diversi atelier di progetto sia cruciale per l’Accademia. Con i nostri corsi intendiamo solo aiutare gli studenti a svi-
luppare principi generali che guidino il
loro lavoro durante la carriera scolastica
e successivamente lavorativa.
Un evento come il simposio, dedicato
esclusivamente a questioni didattiche, è
una «prima». Come evolverà quest’esperienza?
A mio parere è stata un’attività di
successo e molto promettente: i contenuti molto densi, la forma molto aperta e
le opportunità di scambio hanno entusiasmato gli ospiti. Mi piacerebbe organizzare un secondo evento simile. Abbiamo anche chiesto agli intervenuti di
suggerirci quali siano le mancanze in
termini di programma e di contenuto.
All’interno del nostro blog www.sustainabledesignblog.tumblr.com proviamo
a condividere i contenuti e cerchiamo di
creare una comunità che integri i partecipanti passati e futuri.
Sono fermamente convinto che dobbiamo – e possiamo – ridefinire che cosa
sia la sostenibilità in architettura. Il simposio è stato un ottimo supporto e un passo per farlo. Nella mia terra natale, la
Germania, c’è una certa fissazione per il
risparmio energetico e per la massima efficienza possibile. Nonostante questi rappresentino solo una minima parte di un
approccio realmente sostenibile all’archi-
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ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM
lunga una vita – abbia suscitato reazioni e favorito il coinvolgimento degli studenti. Credo che durante il simposio gli
studenti abbiano percepito fortemente
ciò che provo a insegnare durante i mei
corsi: un’attitudine alla responsabilità e
all’integrazione.
ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM 10
tettura, la sostenibilità è identificata principalmente dalle leggi sull’efficienza e
dalle regole che come architetti siamo tenuti a seguire. Ciò è principalmente dovuto alle strategie diversive dell’industria
delle costruzioni, che deve assicurarsi
una crescita continua… ma in ogni caso è
una corrente di pensiero forte e inconscia.
Credo che in particolar modo i pionieri del
movimento dell’architettura sostenibile –
molto rappresentato nel simposio – possano fornire una visione di un mondo
molto differente, probabilmente non
più attuale ma potenzialmente valido, in
cui gli architetti come Buckminster Fuller
sfidavano il mondo industriale. Architetti
convinti che il loro ruolo non era quello di
seguire le regole, ma di crearle.
Sono rimasto impressionato dalle basi teoriche che Ben Eli ha mostrato grazie alla sua «formula mondiale» della sostenibilità, dai Vale che hanno mostrato
la loro costanza e coerenza nel vivere e
insegnare una vita realmente sostenibile, nonostante i forti dubbi riguardanti il
successo dei propri insegnamenti: «abbiamo realmente salvato il mondo?». Ci
sono state molte cose che mi hanno colpito e dalle diverse storie, dai differenti
background e culture di provenienza, è
stato possibile percepire un forte coinvolgimento e un interesse comune.
FERTILITY
DEMAND ON
RESOURCES
BIRTH
GROWTH
RATE
POPULATION
CARRYING
CAPACITY
ACTIVITY
BY PRODUCT
GENERATION
DEATH
2
MORTALITY
TECHNOLOGY
2 Sostenibilità: definizione di Michael Ben-Eli
in The Sustainability Laboratory,
www.sustainabilitylabs.org
Che cosa è mancato nel simposio e che
cosa manca nel mondo (piccolo) della sostenibilità?
Per questo primo evento abbiamo
provato a focalizzarci sugli architetti
che insegnano agli studenti di architettura nelle università. Credo ci siano molte attività interessanti che si sviluppano
all’esterno di questa cerchia – abbiamo
avuto un assaggio di questo grazie alla
presentazione di Rotor – ma penso che
dovremmo progredire ulteriormente.
Siamo partiti dagli architetti e dai docenti, adesso è il momento di allargare
la nostra visuale.
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SCUOL A UNIVERSITARIA PROF E S SIONALE SUPSI 12
La sezione:
uno strumento
didattico
Dario Galimberti
Architetto. Responsabile del corso
di laurea in Architettura
Nell’affollato atrio della Postsparkasse di Vienna, edificio costruito tra il 1904
e il 1912 da Otto Wagner, l’attrazione del
recente viaggio di studio – con gli studenti del primo anno del corso di laurea
in Architettura della SUPSI – non erano
le vetrinette d’acciaio inossidabile e vetro opale, o le sobrie greche nere sulla
struttura perlacea, e tantomeno i marmi
lucidi dei banconi, ma un accattivante
disegno appeso all’entrata. Una sezione
costruttiva dell’intero edificio. Un disegno preciso, minuzioso, dove nulla pareva fosse stato trascurato dall’abile disegnatore. Ogni parte sezionata e in vista,
dell’imponente costruzione, era stata
rappresentata con un’incredibile dovizia
di particolari. Con la curiosità con cui si
osserva un’anamorfosi o fors’anche una
scala di Escher, quel disegno meritava la
stessa attenzione e concentrazione. Particolari inediti e inaspettati mai sarebbero emersi, se non perché mete di linee
astruse da inseguire tra i vari livelli.
Delle rappresentazioni grafiche della
realtà in genere e in particolare dell’architettura, la sezione è di certo il metodo più misterioso. Tutti hanno utilizzato
– magari in maniera istintiva – la pianta,
l’alzato, la prospettiva o l’assonometria,
per rappresentare di volta in volta usuali fatti della quotidianità, come un percorso stradale, lo schema di un appartamento, un oggetto e così via: giammai
una sezione.
La sezione è uno strumento decisamente professionale, non ha nulla di
2
1
istintivo e la sua comprensione non è da
tutti. In essa sono celati i punti cardini di
un edificio e di un qualsiasi oggetto realizzato o che s’intende costruire. A volte
non è definita da una linea retta che taglia la pianta, ma da un segmento indomito che si sposta nello spazio alla ricerca delle complessità di quanto stiamo
elaborando, perché sono quelli gli ostacoli che dobbiamo e vogliamo indagare.
La sezione è dunque uno degli strumenti per eccellenza della professione,
indispensabile per l’esecuzione e la messa in cantiere di quanto immaginato e
progettato nello studio, e di riflesso è
uno degli strumenti basilari nell’inse-
3
gnamento sia del progetto e sia dell’elaborazione costruttiva.
Il corso di laurea in Architettura della
SUPSI inizia – almeno per molti che vogliono accedere al primo anno bachelor
– con la costruzione di una sezione. Date
le piante, i prospetti e alcune immagini:
disegnare la sezione. Superata la meccanicità delle proiezioni ortogonali, le
future matricole si confrontano con il
complesso tema della comprensione
dello spazio e degli elementi che lo compongono; che s’intersecano, si sovrappongono, si annidano, s’intravvedono e
si nascondono. Si raffrontano poi con la
profondità, gli spessori, le altezze, le di-
4
stanze e le vicinanze. Alla fine dell’esercizio, se ne avranno le capacità, comprenderanno l’oggetto analizzato, così
come le parti che l’hanno generato.
Se da un lato la sezione è uno strumento indispensabile per esplorare e
comprendere lo spazio dell’architettura,
dall’altro, allo stesso modo, è un efficace
dispositivo per sviscerare quei particolari tecnici necessari alla costruzione
dell’idea.
Il numero 14 della rivista «Element»,
pubblicata dall’Association suisse des
fabricants de briques et tuilles all’inizio
degli anni settanta, trattava la sezione
costruttiva da un originale punto di vista, con un risultato didattico e divulgativo non indifferente. Su una sezione di
progetto, in scala minima, erano evidenziati i nodi principali. Attraverso degli
usuali occhielli circolari numerati, che
fungevano da riferimento, erano rappresentati i particolari costruttivi. Fin qui
niente di speciale, salvo che, oltre al dettaglio completo, vi erano le immagini di
vere e proprie tomografie degli elementi
reali, come se fossero stati tagliati da
una gigantesca motosega. Dunque un
disegno di progetto, un particolare costruttivo e il medesimo eseguito al vero
con i materiali effettivi: per qualunque
neofita una visione illuminante.
Nel frattempo la rivista «Element»
non è più stata pubblicata, e quell’introvabile numero, anche se non aggiornato
allo stato dell’arte, rimane tuttora uno
strumento didattico eccezionale.
In diverse occasioni l’«Element» numero 14 è stato ispiratore di compiti mirati, come ad esempio l’esercizio citato
di seguito e svolto al primo anno bachelor. Utilizzando dei rotoli di carta da pacco, gli studenti dovevano eseguire dei
disegni in scala al vero, focalizzandosi su una sezione dell’involucro di un
edificio a un piano. Con differenti tecniche di rappresentazione: matita, china, pennarelli ecc., ogni studente ha
eseguito il compito assegnatogli, con-
frontandosi con le dimensioni reali delle parti. In un secondo momento i disegni sono stati appesi alle pareti in modo
tale che lo zero della tavola corrispondesse al piano di calpestio dell’atelier.
Davanti a quella coreografia dazebao di
colore marrone, si è potuto effettuare
una prima verifica architettonico-funzionale, scandagliando gli elementi non
facilmente controllabili quando rappresentati in scala, come ad esempio: l’altezza di una traversa; di un parapetto; di
uno zoccolino; o la posizione di una soglia; la grandezza di una finestra; la
sporgenza di una gronda e così via. Si
sono poi esaminati i dettagli, dapprima
sulla rappresentazione grafica, per verificare se le linee rappresentative delle
parti e dei materiali corrispondessero
a un’ipotetica e realistica figurazione
della fase costruttiva: questione non discutibile ed esente da bluff nella scala al
vero. Sul modello realistico, infine, si è
poi verificato l’effetto tridimensionale
del lavoro svolto.
In altre occasioni l’apprendimento è
avvenuto tramite lo studio di casi. Attraverso le sezioni di edifici significativi e la
puntuale esplosione dei pezzi che compongono l’insieme, si è riusciti a definire
un percorso coerente e logico, che dimostra come la costruzione sia parte essenziale e inscindibile dell’architettura.
Così come gli strumenti da disegno, le
tecniche di rappresentazione del progetto si evolvono e si adattano ai nuovi mezzi. I sistemi digitali ci sorprendono giorno
dopo giorno e algoritmi sempre più performanti esaminano lo spazio e l’astratta
nuvola di punti che lo riempie. Forse l’elaborazione tridimensionale e il design computazionale, o la progettazione generativa fatta da macchine pensanti – che
secondo il MIT saranno in grado di creare
modelli unici che oltrepasseranno il pensiero umano – o chissà cos’altro ancora,
soppianteranno questo antico metodo
di raffigurazione che, da Imhotep in
poi, ci ha fatto comprendere e amare
l’architettura.
1-4 Estratti da: Numero 14
della rivista «Element»,
pubblicata dall’Association suisse des
fabricants de briques
et tuilles.
5-6 Esercizio studenti AR1,
docente architetto
Marta Monti. Foto
Architettura SUPSI
7 Tesi, laureando Matteo
Zendralli, docente
architetto Emanuele
Sauerwein. Foto
Architettura SUPSI
7
SCUOL A UNIVERSITARIA PROF E S SIONALE SUPSI 13
5
6
Pietra, legno, metallo, acqua e fuoco.
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DIARIO DELL’ARCHITE T TO 16
Milo Navone,
l’ultimo degli
«organici»
Paolo Fumagalli
Un omaggio a Milo Navone
Con la morte di Milo Navone (Torino,
11 marzo 1933 - Viganello, 5 gennaio
2017) scompare l’ultimo architetto che
fu tra i protagonisti di quel movimento
apparso all’inizio degli anni Sessanta in
Ticino: l’architettura organica. Un movimento che ha attraversato tutto il Novecento a fianco – o forse è più corretto dire
in opposizione – all’altro movimento del
Moderno, quello dell’architettura razionalista. Due movimenti, due modi di pensare l’architettura che allora caratterizzarono – e qualificarono direi – le ricerche e
i dibattiti durante l’intero secolo, attraversando in diagonale le Avanguardie e
sintetizzandosi in numerosi saggi, tra cui
quelli pubblicati alla fine degli anni Trenta e Quaranta.
Entrambi, il movimento razionalista e
quello organico, hanno quindi radici che
affondano nell’inizio del secolo e che –
con un abuso di sintesi – hanno avuto
soprattutto due protagonisti. Da un lato
Le Corbusier (1887 - 1965), svizzero ma
parigino di adozione, architetto, pittore,
ricercatore, teorico e saggista del razionalismo. Il movimento organico ha invece in Frank Lloyd Wright, nato negli Stati
Uniti, nel Wisconsin nel 1867, e morto a
Phoenix nell’Arizona a 92 anni, il suo protagonista, architetto, designer, saggista.
Due origini quindi profondamente diverse, così come la cultura in cui sono nati e
dentro cui sono vissuti: quella europea
di Le Corbusier, a contatto e in un intreccio con gli architetti e le avanguardie artistiche della Parigi di allora; quella
1
dell’America profonda di Wright, più
chiusa, più individualista, vicino ad architetti e artisti e scrittori della Chicago
di allora. Personalità e culture quindi
differenti tra loro, così come la loro architettura. Ma entrambi protagonisti dalla
forte personalità, entrambi infaticabili
ricercatori e innovatori, entrambi promotori e coinvolti in ricerche sui materiali e
sui metodi costruttivi.
L’architettura organica di Wright
Frank Lloyd Wright, sul finire dell’Ottocento, con la realizzazione di una serie
di case unifamiliari a Chicago e nella vicina Oak Park, inizia un vero e proprio
laboratorio progettuale. Dentro il quale
passo dopo passo si ancorano quei principi progettuali che sono specifici della
sua architettura domestica e del movimento organico. La comunione con la
natura, architettura e natura in simbiosi,
l’edificio è integrato nella natura. La casa è un luogo di rifugio per l’individuo, è
introversa verso un centro, il camino:
quale oggetto simbolico del cuore della
casa. Ma gli spazi non sono introversi, e
proprio dal suo centro (il camino) nasce
un’ininterrotta continuità spaziale dilatata in orizzontale, modellata dalla dinamica dei muri interni, che va oltre i limiti dell’edificio, e complici i lunghi tetti
e i loro spioventi questa continuità spaziale coinvolge le terrazze esterne, e
nell’ideale wrightiano si estende ben oltre il giardino, nel paesaggio. Il tutto controllato, comunque, dall’ordine compositivo della geometria e dall’attenzione
per i materiali costruttivi: la pietra, il
mattone a vista, il legno.
Questa è – raccontata brevemente –
l’architettura organica relativa all’abitazione, che Wright svilupperà ulteriormente, fino a quello che è ritenuto il suo
capolavoro e senz’altro il suo edificio più
conosciuto: casa Kaufmann (1936) a Bear
2
Run in Pennsylvania, più nota come la
Casa sulla cascata. Negli anni successivi realizza anche opere di maggior respiro, tra cui occorre citare almeno due
edifici: il Museo Guggenheim (1959) a
New York e quello che è il suo capolavoro, l’Amministrazione (1939) e i Laboratori (1950) della Johnson & Johnson a
Racine nel Wisconsin. Dove le straordinarie qualità spaziali interne si saldano
alle ondulate volumetrie esterne, e dove
mattoni faccia a vista, passerelle incluse in tubi di vetro e alti pilastri a fungo
confermano l’abilità e l’interesse di Wright per i materiali e la costruzione.
1-2 Case di vacanza sull’isola Vulcano nelle Eolie,
facciata e pianta della casa grande.
Fonte Archivio Architetti ticinesi
3 Case di vacanze sull’isola Vulcano nelle Eolie,
pianta della casa piccola. Fonte Archivio
Architetti Ticinesi
4-5 Case di vacanza sull’isola Vulcano nelle Eolie:
fronte e pianta delle 10 case previste.
Fonte Archivio Architetti Ticinesi
3
DIARIO DELL’ARCHITE T TO 17
4
L’architettura di Wright viene conosciuta in Europa nel 1910 specie per il
successo della mostra a Berlino e il relativo catalogo Ausgeführte Bauten und Entwürfe. In anni più recenti, si tenne una
mostra su Frank Lloyd Wright nel 1952 a
Zurigo, preceduta da due conferenze
dello stesso Wright nel 1950 e nel 1951.
Milo Navone
Milo Navone arriva a Lugano da Torino – dove è nato nel 1933 e ha conseguito il diploma di geometra nel 1954 – e nel
1955 entra nello studio di architettura di
Tita Carloni e Luigi Camenisch, dove ri-
mane fino alla fine d’aprile del 1956, lavorando agli esecutivi dell’Albergo Arizona
e ad altri progetti. Rientra poi in Italia
per gli obblighi militari e compie poi lunghi soggiorni di studio a Roma, Napoli,
Parigi. Rientra in Ticino nel 1960 e lavora nello studio di Rino Tami per due anni, e dal 1962 al 1968 nello studio di
Alex Huber. Navone è poi assunto nello
studio di Leonardo Mosso, a Torino, dove
si occupa dei progetti di Alvar Aalto che
Mosso è chiamato a realizzare in Italia, e
in particolare il Centro civico di Dronero.
Il 1° agosto del 1969 Milo Navone si
associa con Franco Ponti – che conobbe
quando lavorò da Carloni – fondando lo
studio Ponti e Navone, con cui negli anni successivi realizza la maggior parte
delle sue opere.
Quando si associa con Ponti, Navone
ha alle spalle un’esperienza di lavoro
straordinaria: lavorare in quei due decenni da Carloni, e poi da Tami, e ancora
da Huber e infine da Mosso significa immergersi nelle discussioni, nei dibattiti
e confronti attorno all’architettura di
quel periodo, anni di straordinaria energia e vitalità. Il 1968 è una data che dice
qualcosa, in questo senso.
5
DIARIO DELL’ARCHITE T TO 18
Nello studio Ponti e Navone nascono
importanti progetti, di cui molti giungono a realizzazione, come – per citarne
alcuni – casa Tettamanti a Castagnola
(1971) e casa Tognola a Breganzona
(1972) oggi sfigurata, come la magnifica
casa Boillat a Vezia (1972), e poi casa Masoni ad Arogno (1975), casa Marchi a Porza (1973), casa Maurino a Biasca (1975),
casa Cattaneo ad Aldesago (1976) e la casa dello stesso Navone a Viganello (1976).
Architetture sensibili alla cultura e al
contesto locale, tutte declinate nell’organicità dell’architettura domestica le cui
radici affondano nei concetti di Wright.
Architetture con la pietra a dettare gli
elementi fondanti il progetto, e il legno a
esprimere le facciate e ad avvolgere gli
spazi interni. E il legno ancora per gli arredi fissi interni – parti costituenti il progetto. E tutto con straordinaria cura dei
dettagli e sapere del costruire.
Il 31 maggio 1979 si scioglie il sodalizio professionale con Franco Ponti, e Navone avvia un’attività indipendente, prima a Lugano, poi a Viganello. Dove
muore, nella casa che ha costruito per
sé e la sua famiglia, il 5 gennaio 2017.
Nelle Eolie, sull’isola Vulcano
Un progetto che Milo Navone, quando
ancora era associato a Ponti, sviluppò nel
1975, e che deriva da una sua iniziativa e
va ascritto in gran parte alla sua mano, è
quello delle case di vacanza sull’isola
Vulcano, nelle Eolie. Mai realizzato, del
progetto rimangono i magnifici disegni,
dalla pianta e facciate dell’insieme delle
10 case previste – cinque per lato in una
disposizione a L – alle piante e sezioni e
facciate delle due tipologie abitative, l’una più ridotta per ospitare fino a quattro
persone, l’altra con una superficie più generosa, per otto persone.
Emergono dal progetto con estrema
chiarezza i temi propri dell’architettura organica, così come privilegiata da Navone
– in tandem con Ponti. È un progetto di
grande valore, dire che è esemplare è la
parola giusta: per il concetto che lo sorregge, per l’idea spaziale che contiene. Il muro
ne è il protagonista: è massiccio, in pietra,
dove la pietra non è solo il radicamento
dell’edificio al suolo, ma è ben di più. Perché è proprio il muro nelle sue diverse declinazioni che determina il progetto, ne è
l’ossatura, l’impalcatura, fissa l’ordine geometrico attorno a cui tutto si svolge. È un
progetto costruito sul minimalismo concettuale, quello di due muri a U e quattro
pilastri (nella casa piccola), oppure di due
muri a U, due pilastri e quattro frammenti
murari (in quella grande). Con sopra un tetto. Fatto, il progetto è concluso.
Dentro questo minimalismo concettuale si nasconde l’idea spaziale: se i
muri a U avvolgono al loro interno l’intimità del singolo, essi definiscono anche
(nell’edificio maggiore) un unico spazio
che si estende fino ai due estremi, un
«corridoio spaziale» che attraversa l’intera abitazione, che spalanca l’interno verso l’esterno, verso i due lati opposti, verso il portico e la terrazza e il paesaggio, e
il mare lontano.
Le utopie sono oramai
tramontate da un pezzo
Oggi non si discute più di razionalismo o di architettura organica, il tempo
delle teorie e delle visioni e delle utopie
è oramai tramontato da un pezzo. E poi,
l’architettura organica, così come intesa
allora, è scomparsa. E probabilmente oggi non avrebbe nemmeno più senso discutere dei temi di allora, di razionale e
organico. I temi oggi sono – o dovrebbero essere – altri. Perché quella natura,
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quel paesaggio dentro il quale le architetture dovevano confrontarsi o immergersi, non esiste più. Non solo i dintorni,
non solo la valle, ma anche il monte lontano sono antropizzati, nulla è più naturale. O forse anche allora la natura naturale non esisteva, era solo dentro di noi.
Alberto Caruso
La sezione è la rappresentazione ottenuta secando il manufatto progettato
con un piano verticale. Anche la pianta è ottenuta secando il medesimo manufatto,
con un piano orizzontale. Ma essa non è considerata oggi alla stessa stregua della sezione. Mentre la sezione è lo strumento per indagare e descrivere la sostanza costruttiva degli edifici, è lo strumento adottato e utilizzato da coloro che si occupano della
cultura e dell’esecuzione della costruzione, la pianta ha invece un valore più universale, è una modalità di rappresentare e comunicare la forma degli spazi conosciuta
e compresa da tutti. Quando è tale, è espressa in termini sommari, sintetici, che non
riproducono la complessità delle parti costruttive secate. La pianta offerta ai clienti
dalle società immobiliari viene letta e assume senso perché è integrata dal disegno
degli arredi, gli unici elementi in grado di fornire la misura e di prefigurare la sensazione degli spazi.
Tuttavia, tutte le più importanti definizioni di pianta, che leggiamo nei
racconti della storia dell’architettura, prevedono una relazione di necessità con la
sezione, senza la quale la pianta perde grande parte della sua sostanza rappresentativa. Quando la cultura della costruzione era una cultura unitaria, prima della separazione avvenuta nel XIX secolo tra le conoscenze tecniche e quelle estetiche,
pianta e sezione erano due aspetti della medesima rappresentazione. Ne I quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, la pianta dei fabbricati descritti è accoppiata
a un fronte e a una sezione, tracciata secando il fabbricato nella parte spazialmente
più significativa.
I protagonisti del movimento moderno, fin dal suo inizio, hanno sostenuto la
necessità di ricostruire l’unità delle conoscenze nella concezione del progetto di architettura. Come sostiene anche Luca Ortelli nel testo che ospitiamo, è con il Raumplan di Adolf Loos che il progetto diventa progetto di spazio, e la pianta e la sezione
riacquistano assoluta necessità vicendevole: «Quando a Stoccarda cercai di partecipare all’esposizione con una mia casa, mi fu decisamente negato. Avrei avuto qualcosa da mostrare, cioè un’abitazione i cui locali fossero distribuiti nello spazio e non
sul piano, come è stato fatto finora sovrapponendo un appartamento all’altro. Grazie
a questa soluzione, avrei consentito all’umanità di risparmiare parecchio tempo e lavoro sulla via del progresso…». Nei progetti loosiani più significativi, si rompe la meccanica sovrapposizione condominiale degli alloggi e la terza dimensione si impone,
attraverso la rappresentazione di pianta e sezione. Sarà poi con Le Corbusier che la sezione verticale diventa protagonista anche del progetto urbano, quando il suolo della
città viene pensato a strati, su più livelli, come nelle visioni e nei progetti di seguito
raccontati da André Bideau.
Progettare in sezione è la chiave, in questo numero di Archi, per illustrare architetture recenti, a cominciare da quelle degli zurighesi Giuliani e Hönger, che hanno fatto della sezione verticale il centro della loro poetica architettonica già dall’eccellente Fachhochschule Sihlhof, del 2003. Tra i progetti pubblicati, l’edificio di Mario
Botta ospita la doppia altezza del suo studio, utilizzando la complessa planivolumetria per realizzare lo spazio urbano di ingresso al nucleo di Mendrisio, mentre i piccoli
edifici di Stefanie Hitz e di Davide Macullo sono validi esercizi di fluidità spaziale.
Ci interessa, infine, trasmettere ai lettori qualche riflessione sulla residenza
a Solduno di Buzzi Architetti, che ci sembra un’interpretazione aggiornata del Raumplan loosiano. Facendo le dovute proporzioni tra la potenza espressiva delle esemplari modulazioni spaziali della casa di Tristan Tzara di Loos e l’effetto della compressione ed estensione provocate dai piccoli dislivelli degli alloggi di Solduno, bisogna
riconoscere a questo progetto il coraggio di avere rotto il criterio aggregativo degli
alloggi, che il mercato e i costumi costruttivi hanno consolidato da decenni. L’esperimento ha il merito di aprire, nel vivace Laboratorio Ticino, una ricerca stimolante
sull’abitazione borghese e sulla densità urbana.
Nel contempo, osserviamo come il rivestimento in pannelli di mattoni di cotto, proposto dallo studio locarnese che ha fatto della sperimentazione la cifra del suo
lavoro, ci lascia invece perplessi sulla direzione della ricerca, che ci sembra contrasti con il rigore dell’ispirazione loosiana. Come osservava l’allievo e biografo di Loos
Heinrich Kulka, gli spazi a seconda del loro scopo hanno dimensioni diverse ma anche altezze diverse e «…Loos riesce così, con gli stessi strumenti edilizi a creare più superficie abitabile, perché in questo modo ospita nello stesso cubo, tra gli stessi muri
esterni, più spazi». La novità della ricerca loosiana è l’affermazione della parsimonia
dei mezzi sia economici che espressivi.
EDITORIALE PROGE T TARE IN SE ZIONE 19
La sezione
e il Raumplan di Loos
«Prima di Kant, l’umanità
non poteva ancora pensare
nello spazio e gli architetti
erano costretti a fare
il gabinetto alto quanto il
salone. Soltanto dividendo
tutto in due potevano
ottenere locali più bassi.
E come un giorno l’uomo
riuscirà a giocare a scacchi
su un cubo, così anche gli
altri architetti risolveranno
il problema della pianta
nello spazio».
Adolf Loos, 1929
1
EDITORIALE PROGE T TARE IN SE ZIONE 20
Der Schnitt und der Raumplan von Loos
Alberto Caruso
«Vor Immanuel Kant konnte die menschheit noch
nicht im raum denken, und die architekten waren gezwungen, die toilette so hoch zu machen wie den saal.
Nur durch die teilung in die hälfte konnten sie niedrige räume gewinnen. Und wie es einmal der menschheit
gelingen wird, im kubus schach zu spielen, so werden auch
die anderen architekten künftig den grundriß im raume
lösen».
Adolf Loos, 1929
Der Schnitt ist die Darstellung, die man erhält, wenn
man das Bauvorhaben vertikal durchschneidet. Auch der
Grundriss wird nach dem gleichen Prinzip erstellt, wenn
man das Bauvorhaben horizontal teilt. Doch dem Grundriss
kommt heute nicht die gleiche Bedeutung zu wie dem
Schnitt. Mit dem Schnitt wird die Bausubstanz eines Gebäudes untersucht und beschrieben – er ist das Instrument derjenigen, die sich mit der Kultur und der Ausführung des Baus
befassen. Der Grundriss hat dagegen einen allgemeingültigeren Wert. Mit ihm wird die bekannte und für alle verständliche Form der Räume dargestellt und kommuniziert. Wenn
er diesem Zwecke dient, dann ist er so kurz und knapp dargestellt, dass die Komplexität der Bauteile, durch die sich der
Schnitt zieht, nicht wiedergegeben wird. Der Grundriss richtet sich an die Kunden von Immobilienunternehmen. Seine
Bedeutung und sein Verständnis gehen auf die Tatsache
zurück, dass er durch die Zeichnung der Einrichtungsgegenstände vervollständigt wird. Dies sind die einzigen Elemente, die dem Betrachter ein Gefühl für die Grössenverhältnisse und die Wahrnehmung des Raums geben können.
Alle wichtigen Definitionen des Grundrisses, die wir in
der Architekturgeschichte lesen, erfordern jedoch eine Beziehung zum Schnitt, ohne den der Grundriss einen Grossteil
seiner Aussagekraft verliert. Als die Kultur des Bauens noch
eine einheitliche Kultur war, also vor der im 19. Jahrhundert
erfolgten Trennung zwischen technischem und ästhetischem Wissen, waren der Grundriss und der Schnitt zwei
Aspekte der gleichen Darstellung. In den Vier Büchern der
Architektur von Andrea Palladio wird der Grundriss der
beschriebenen Gebäude mit einer Front und einem Schnitt
kombiniert, der das Gebäude an der räumlich bedeutungsvollsten Stelle durchteilt.
2
Die wichtigsten Vertreter des Neuen Bauens waren
von Anfang an der Auffassung, dass dieses Wissen bei der
Konzeption von architektonischen Vorhaben wieder vereint
werden muss. Auch Luca Ortelli bestätigt in dem in diesem
Heft abgedruckten Text, dass der Entwurf mit dem Raumplan von Adolf Loos zum Raumprojekt wird und Grundriss
und Schnitt eine Beziehung der absoluten gegenseitigen
Notwendigkeit eingehen: «Denn als ich es in Stuttgart versuchte, auch ein haus ausstellen zu dürfen, wurde mir dies
rundweg abgeschlagen. Ich hätte etwas auszustellen gehabt, nämlich die lösung einer einteilung der wohnzimmer
im raum, nicht in der fläche, wie es stockwerk um stockwerk
bisher geschah. Ich hätte durch diese erfindung der menschheit viel arbeit und zeit in ihrer entwicklung erspart.» In den
wichtigsten Projekten von Loos wird mit der mechanischen
Übereinander-Anordnung der Wohnungen gebrochen. Eine
dritte Dimension behauptet sich dank der Darstellung durch
Grundriss und Schnitt. Mit Le Corbusier erobert der vertikale Schnitt auch im städtebaulichen Vorhaben eine führende
Rolle, wenn der Boden der Stadt wie in den in diesem Heft
von André Bideau erzählten Visionen und Projekten schichtweise auf mehreren Ebenen gedacht wird.
Entwerfen im Querschnitt ist der Blickwinkel, aus dem
wir in diesem Archi-Heft jüngere Bauvorhaben betrachten,
angefangen bei denen der Zürcher Giuliani und Hönger, die
den vertikalen Schnitt bereits seit der herausragenden Fachhochschule Sihlhof aus dem Jahr 2003 zum Inhalt ihrer architektonischen Poetik gemacht haben. Unter den veröffentlichten Bauten zeichnet sich das Gebäude von Mario Botta
durch die doppelte Höhe des Studios aus, wobei der komplexe Massenplan genutzt wird, um den städtischen Raum am
Ortseingang von Mendrisio zu gestalten, während die kleinen Gebäude von Stefanie Hitz und Davide Macullo gute
Übungen für räumliche Kontinuität sind.
Weiterhin möchten wir mit unseren Lesern einige Gedanken über das Wohnhaus in Solduno von Buzzi Architetti
teilen, das als aktuelle Interpretation des Raumplans von Loos
daherkommt. Rückt man die Ausdruckskraft der vorbildhaften räumlichen Modulation des von Loos entworfenen Hauses von Tristan Tzara und die Wirkung von Kompression und
Ausweitung durch die kleinen Höhenunterschiede der Wohnungen in Solduno ins richtige Verhältnis, muss man anerkennen, dass dieses Projekt den Mut hatte, mit dem aggregierenden Kriterium der Wohnungen zu brechen, die der
Markt und die Baugewohnheiten seit Jahrzehnten konsolidiert hatten. Das Experiment öffnet im lebhaften Labor Tessin
eine spannende Debatte über den bürgerlichen Wohnraum
und die urbane Dichte.
Gleichzeitig stellen wir fest, dass die Backsteinplattenverkleidung des Büros aus Locarno, das für seine experimentelle Arbeit bekannt ist, uns über die Stossrichtung der Suche im Unklaren lässt, die im Gegensatz zu dem strengen
Ansatz nach Loos zu stehen scheint. Heinrich Kulka, Schüler
und Biograf von Loos, stellt fest, dass Räume je nach Zweck
nicht nur unterschiedliche Grössen, sondern auch unterschiedliche Höhen haben und «… es Loos so gelingt, mit den
gleichen baulichen Instrumenten mehr Wohnraum zu schaffen, denn auf diese Weise entsteht in dem gleichen Würfel,
innerhalb der gleichen Aussenmauern, mehr Raum». Die
Neuheit der Suche von Loos ist das Sich-Behaupten der wirtschaftlichen und formsprachlichen Sparsamkeit der Mittel.
1 Adolf Loos, Casa Tzara, Parigi 1926.
Fonte renatosantoro2015.wordpress.com
2 Adolf Loos, Casa Tzara, Parigi 1926. Sezione.
Fonte urbipedia.org
PROGE T TARE IN SE ZIONE 21
La sezione
sotto lo skyline
L’urbanistica stratificata
della Défense
André Bideau
Storico e teorico dell’architettura, professore all’Accademia di architettura di Mendrisio
e alla Harvard Graduate School of Design
L’urbanistica viene concepita innanzitutto in termini di piani e volumi, programmazione, zonizzazione e circolazione. Meno evidente appare il ruolo di motore
della forma urbana rivestito dalla sezione architettonica, la quale ha un carattere
discreto e quasi nascosto, lontano se non addirittura opposto alla concezione del
progetto architettonico convenzionale. Quando si considera il rapporto tra sezione
e città, si è costretti a pensare a spazi nascosti, a infrastrutture di servizio o a sistemi obsoleti – ruderi, reti di strutture abbandonate o ormai superflue – che nonostante tutto possono avere una loro rilevanza e rappresentare persino un’eroica
impresa ingegneristica, ma che per un caso del destino o un mutamento della pubblica opinione non vengono mai ultimati o risultano compromessi. Ne è un esempio
il mondo sotterraneo della Zürich Hauptbahnhof, dove la stazione di una linea della
metropolitana e la galleria di una futura arteria stradale hanno assunto entrambe
una funzione diversa da quella progettata.
Il livello del suolo cittadino diventa quasi una barriera posta dal caso in
una stratificazione funzionale in cui la sezione verticale solleva la questione di cosa
si voglia rendere visibile e cosa invece debba rimanere nascosto. La sezione urbana
regola questo rapporto nella stessa misura in cui cela la sovrapposizione di attività
dell’ambito civico. Tale organizzazione evidenzia il tema della contrapposizione tra
ciò che è nascosto e ciò che è presentabile: delle modalità con cui le eredità architettoniche sono soggette a severi protocolli di conservazione. E questi ultimi rimandano spesso a un atto drastico di sventramento che fa dell’architettura un’espressione
di arte civica al di sopra delle infrastrutture sotterranee.
L’infrastruttura dalla tradizione Beaux-Arts al superblock
La città nuova di Antonio Sant’Elia (1914) celebrava l’integrazione verticale in un nodo infrastrutturale di tipo monumentale che riuniva ferrovia, aeroporto e traffico veicolare; le sue prospettive disegnavano un’architettura fortemente
stimolata da un apparato circolatorio e davano risalto formale al collegamento tra
le varie componenti funzionali. Non si può disgiungere la visione di Sant’Elia da
quell’evento sensazionale che fu la realizzazione del Grand Central Terminal, ultimato l’anno prima a New York e divenuto famoso grazie alle prospettive del progetto pubblicate in tutto il mondo. Con l’avvento della trazione elettrica la New York
1 Stazione della Linea A della RER nel 1969 poco
dopo l’inaugurazione. Fonte archivio Defacto,
La Défense
1
PROGE T TARE IN SE ZIONE 22
Central Railroad cominciò a trasformare il loro punto di arrivo. La grandiosa tettoia venne sostituita da una struttura
sotterranea che portò un considerevole incremento del traffico passeggeri. Si costruì poi un super-isolato orizzontale
di 44 banchine disposte su due livelli, al di sopra dei quali
la compagnia ferroviaria ebbe l’opportunità di attuare una
vasta operazione immobiliare: il complesso sorto in Park
Avenue sopra ad una megastruttura d’acciaio nascosta,
primo esempio di sfruttamento dello spazio aereo nella storia dell’urbanistica, abbracciava la futura sede dell’Hotel
Waldorf-Astoria, palazzi di uffici, un grande ufficio postale
e, al centro, una serie di spazi pubblici in stile Beaux-Arts
dedicati ai passeggeri. Il cosiddetto «corpo» della stazione,
caratterizzato da un atrio grandioso, mediava abilmente fra
il sottosuolo elettrificato e la movimentata città in superficie, nell’area che all’indomani della prima guerra mondiale
sarebbe diventata «Midtown Manhattan». Il Grand Central
Terminal progettato da Warren & Wetmore simboleggiò l’arrivo della rete ferroviaria continentale nella sconfinata scacchiera urbana. L’ingresso trionfale di 42nd Street era – ed è
tuttora, miracolosamente – un point-de-vue unico, affine alle
moderne porte cittadine che Napoleone III aveva voluto creare nella Parigi del Secondo Impero ristrutturando le stazioni ferroviarie.
La massiccia riorganizzazione del paesaggio urbano operata a Manhattan tramite l’impresa immobiliare
privata era di fatto piuttosto simile all’opera di rinnovo intrapresa un secolo prima dal barone Haussmann. La capitale francese occupa in effetti una posizione di spicco nella
tradizione del rifacimento cittadino incentrato sulla sezione architettonica. La mappatura catastale di Parigi, avviata nel 1853 dopo la nomina di Haussmann a prefetto della
città, fu la premessa che preparò la via a un ripensamento
dell’organizzazione urbana in termini di sistemi infrastrutturali sovrapposti. Ciò consentì di estendere al sottosuolo
i cosiddetti grands travaux attraverso vasti interventi per
la fornitura di acqua potabile, gas e fognature. Le gallerie
a volta della rete fognaria anticipavano quelle di un altro
sistema di vitale importanza per la capitale francese, il sistema della ferrovia metropolitana, inaugurato alla vigilia
della Éxposition Universelle del 1900: non a caso, le gallerie
delle prime linee del métro parigino hanno la stessa sezione della volta costruita sopra Canal St. Martin negli anni
Sessanta dell’Ottocento.
I sistemi infrastrutturali sotterranei lasciarono campo
libero a un processo di estetizzazione della superficie fondato su un caratteristico coordinamento delle altezze degli
edifici. Così come le geometrie altamente formalizzate della
pianta urbana, anche la sezione verticale fu essenziale per
ripensare Parigi come una moderna entità reticolare. Con
Haussmann, l’intervento urbanistico si basò sulla logica della zonizzazione e dell’igienizzazione e i costruttori poterono
contare sulla presenza stratificata di infrastrutture per i loro
imponenti progetti edilizi. I grands travaux favorirono la nascita di un rapporto fra la tecnocrazia del settore pubblico e
il settore privato. A un secolo di distanza, il coordinamento
fra intervento statale ed edilizia privata è tornato a concretizzarsi nel progetto della Défense, incontro di modernità e
tecnocrazia, esportate dal centro di Parigi alla sua periferia
occidentale con la fondazione di un quartiere di uffici e di
attività commerciali: un quartiere nato per decreto, che nel
proprio skyline dà una dimostrazione del potere del mondo
imprenditoriale francese, da sempre in intima relazione con
lo Stato.
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PROGE T TARE IN SE ZIONE 23
Meno nota dei suoi grattacieli è la condizione del suolo da cui La Défense dipende.1 Le torri di uffici, che configurano un superblock (superisolato) con un’immensa piazza
pedonale, sono sostenute da una complessa sezione infrastrutturale. L’organizzazione assiale prende le mosse da un
piano di sviluppo del 1964 ed è un incrocio fra lo scenario urbano stile Beaux-Arts e le astrazioni della Carta d’Atene. In
sostanza, il superblock postbellico rappresenta la crosta che
ricopre vari sistemi circolatori strategicamente raggruppati
tra Parigi e la sua vasta periferia; ma pur essendo in pratica
un edificio multipiano, in quanto manufatto esso resta invisibile. Questo basamento del centro direzionale, vetrina della Francia, è stato alimentato con investimenti pubblici ogni
volta che una crisi economica minacciava di bloccarne i lavori. Si può dire che il plinto lineare che lo organizza sia un
«monumento continuo». Intorno alla sua sezione estrusa,
le torri si innalzano come elementi di uno scenario architettonico che possono essere fiorenti ma anche in decadenza,
com’è accaduto per alcune torri di uffici della prima generazione, che sono state sostituite o sventrate fino a risultare irriconoscibili.
Un’immagine nuova per la cultura degli affari
L’allungamento dello storico asse est-ovest della capitale francese era già stato l’obiettivo di un concorso indetto
nel 1931 per collegare Nanterre a Porte Maillot con un boulevard che arrivasse fino a St. Germain.2 L’idea di una porta
trionfale nella zona ovest di Parigi fu rivisitata all’inizio degli
anni Cinquanta con considerazioni analoghe a quelle che
a Roma avevano ispirato la creazione dell’EUR per coniugare un’esposizione universale con un centro direzionale e
culturale. L’instabilità politica della Quarta Repubblica e la
guerra d’Algeria indussero però ad abbandonare entrambi i
progetti.3 Alla fine del decennio, tuttavia, lo sviluppo edilizio
compì un salto qualitativo che ha portato all’ideazione di un
puro quartiere d’uffici il cui massimo potenziale fosse assicurato da una pianificazione tecnocratica del sito. L’esteso
superblock lineare così concepito si focalizzava sull’accesso
e sulla distribuzione dei pendolari all’interno di una struttura orizzontale integrata. Sopra l’articolato piano orizzontale,
il progetto prevedeva la realizzazione di una serie ripetitiva
di torri d’uffici su entrambi i lati della piazza pedonale. Dal
punto di vista estetico, le torri si allontanavano drasticamente dal tessuto architettonico della capitale francese,
rimasta inviolata dalla seconda guerra mondiale e dunque
ancora caratterizzata per lo più da palazzi commerciali ottocenteschi. L’immeuble haussmanniano era denso e verticalmente integrato, e si differenziava nel rapporto con la strada
parigina. Tuttavia, la sua mancanza di flessibilità fu vista
come antitetica rispetto al carattere fordista di un quartiere
monofunzionale occupato da uffici. L’eleganza commerciale
della strada uniformata di Haussmann si trasferiva adesso a
un’architettura di spazi aperti fedele ai principi dell’International Style.
La Défense, con le sue sedi societarie torreggianti sopra una spina infrastrutturale, aspirava appunto all’apertura.
Considerato il tessuto suburbano esistente, ciò significava un
tipo di urbanistica «copia-incolla» affine agli innesti che avevano contraddistinto molti interventi di Haussmann: facciate
di boulevard applicate come un sottile strato di modernità
sopra quartieri sgradevoli alla vista. Una conseguenza tipica
dei tagli chirurgici operati a Parigi su immobili degradati o semi-urbani è stata una prima forma di gentrificazione, che ha
spinto altrove ampi segmenti della popolazione. Ma cos’è stato eliminato via via che il superblock della Défense prendeva
forma? Agli inizi degli anni Sessanta era ancora ben visibile il
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2 Antonio Sant’Elia, La città nuova (1914). Fonte Luciano Caramel e Alberto
Longatti, Antonio Sant’Elia. L’opera completa, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano 1987
3 Warren & Wetmore / Reed & Stem: Grand Central Terminal, New York
(1903-1913), disegno della sezione. Fonte «Scientific American»,
7 dicembre 1912
4 Il Canale St. Martin racchiuso da una volta (1860-62). Fonte Jean
Des Cars e Pierre Pinon, Paris-Haussmann: «le pari d’Haussmann»,
Éd. du Pavillon de l’Arsenal, Paris 1991
5 Puteaux e Courbevoie durante i lavori di costruzione del superblock
e dell’anello stradale della Défense, con a sinistra il palazzo del CNIT (1971).
Fonte archivio Defacto, La Défense
6 Edifici da demolire e torre in costruzione da cui è visibile
il futuro livello del suolo (1967). Fonte Paris-la Défense, Métropole
européenne des affaires, Editions du Moniteur, Parigi 1987
7 Bidonville nelle vicinanze del Rond Point de la Défense, sullo sfondo
il palazzo del CNIT, fine anni Cinquanta. Fonte archivio Defacto,
La Défense
Rond Point con la statua di Louis Barrias del 1883 che commemorava l’assedio di Parigi del 1870, e la difesa della città da cui
il centro direzionale ha preso il nome. Come si nota da immagini aeree, tuttavia, adiacenti alla rotonda si trovavano realtà
dimensionali assolutamente disparate: un tessuto suburbano eterogeneo caratterizzato da padiglioni, botteghe, piccole
fabbriche, cimiteri, caseggiati e bidonville che durante la
guerra d’indipendenza dell’Algeria divennero i più grandi insediamenti informali del paese. A seguito del conflitto civile,
tanti profughi giunti nella madrepatria avevano cercato rifugio nella periferia scarsamente regolamentata della capitale
e un’area del genere era sorta fra Nanterre e Courbevoie, nelle
immediate vicinanze del Rond Point de La Défense.
La crisi algerina non solo diede il via a una consistente
migrazione che interessa tuttora la periferia urbana francese: spianò anche la strada a riforme istituzionali che riformularono il rapporto fra Parigi e i suoi sobborghi con interventi
infrastrutturali varati nella Quinta Repubblica del generale
De Gaulle.4 Quest’ultimo salì al potere nell’ottobre del 1958,
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quando un fallito colpo di stato militare ad Algeri rese inevitabile la riduzione delle ostilità. La costituzione redatta
in seguito dal nuovo governo sancì la nascita della Quinta
Repubblica, che diede rinnovato vigore allo Stato centrale.
In questo processo di consolidamento rientrava la creazione dell’EPAD, l’Etablissment public pour l’aménagement de La
Défense, un ente pubblico che aveva l’autorità di confiscare e rivendere proprietà fondiarie lungo il futuro asse della
Défense. Istituito per aggirare strategicamente le amministrazioni di Nanterre, Courbevoie e Puteaux, l’EPAD ha svolto un ruolo essenziale nell’opera di persuasione che ha portato varie società francesi a trasferire alla Défense la propria
sede centrale.5 L’ente, che aveva pieno controllo dell’apparato pubblico, ha unito in una imponente operazione svariate
imprese del settore immobiliare privato. E grazie a questo
più potente strumento di programmazione è stato possibile
esportare da Parigi ai sobborghi la tradizione dell’assainissment, cioè della riqualificazione urbana su grande scala.
Per attirare gli investimenti privati verso luoghi specifici, sotto la Quinta Repubblica sono stati adottati metodi
nuovi di intervento statale in cui il progetto, per mezzo della
sezione verticale, risultava essenziale. Ciò è avvenuto non
solo nella periferia, ma anche in progetti di risanamento
come quelli della stazione di Montparnasse o del Front de
Seine, iniziative coordinate di vaste proporzioni nelle quali
è stato sempre introdotto il superblock sopraelevato. Questi
progetti, che prevedevano la sovrapposizione di un suolo
artificiale sul territorio urbano, adeguavano all’epoca attuale l’eredità lasciata dalla Carta d’Atene. Il piano di sviluppo
della Défense messo a punto nel 1964 da Camelot, De Mailly e Zehrfuss stabiliva la separazione fra traffico veicolare e
traffico pedonale, declassando con ciò le vie locali esistenti.
Sotto la piazza pubblica il superblock raggruppava un terminal degli autobus, un parcheggio, una stazione della RER
(Réseau express régional) e – in seguito – del métro, come
pure l’arteria che collega Parigi alla sua periferia ovest e, al
di là di questa, alla Normandia. La piattaforma, congiungendo queste infrastrutture, mette in relazione La Défense con
la dimensione regionale e con quella nazionale.
Collegamenti sottotraccia
La creazione di un centro direzionale è stata strategica ai fini della riorganizzazione dell’Île-de-France. Insieme alle villes nouvelles, all’aeroporto di Roissy e alla nuova
rete ferroviaria pendolare della RER, La Défense occupava
un posto di rilievo nel piano di sviluppo regionale varato
dal governo francese nel 1965, che a sua volta ha portato
allo sventramento dell’area di Les Halles nel centro di Parigi, per far posto al nodo sotterraneo di tutte le future linee della RER. La stazione di Châtelet-Les Halles, interrata
a notevole profondità sotto gli ex mercati generali, è stata
collegata al cuore della città tramite un centro commerciale multipiano sopra il quale sarebbero dovuti sorgere alti
palazzi di uffici. Ma a seguito di un intervento presidenziale e della recessione che ha colpito il paese alla metà degli
anni Settanta, il previsto sfruttamento edilizio dello spazio
aereo sopra il centro commerciale di Les Halles ha ceduto il
posto alla realizzazione di un parco pubblico.
Ultimati nel 1977, il Forum des Halles e la sottostante
stazione di treni pendolari sono diventati il punto d’accesso alla capitale per molti abitanti della periferia diseredata.
In quanto nodo centrale di interscambio per l’intero sistema della RER, Châtelet-Les Halles ha fatto conoscere ai parigini un sottosuolo infrastrutturale radicalmente modernizzato, del quale La Défense rappresentava il polo occidentale.
Qui l’infrastruttura ferroviaria ha partorito un segno urbano
8
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visibile, via via che lungo il superblock sono sorti edifici multipiano sempre più numerosi. Ma in entrambi i siti si è delineato un rapporto problematico tra infrastruttura dei trasporti,
progettazione commerciale e ambito pedonale di superficie.
Parecchi tentativi sono stati fatti per vivacizzare lo spazio civico fantasma che fino al 1971 era stato occupato dal mercato coperto di Victor Baltard, ultimo dei quali il progetto
Canopée concepito da Patrick Berger e Jacques Anziutti,
inaugurato un anno fa.6
Analogamente, l’assenza di un sistema di attività compromette il superblock della Défense a livello identitario: gli
spazi ferroviari, metropolitani e commerciali che si estendono
a strati sotto l’immenso spazio aperto del quartiere non contribuiscono granché ad animare la piazza pedonale sopraelevata. Proprio a causa della sezione sopraelevata, il superblock dà
le spalle agli adiacenti quartieri di Nanterre, Puteaux e Courbevoie e questa segregazione, tanto verticale quanto orizzontale,
viene accentuata dall’anello stradale che gira intorno al quartiere di uffici, scaricando impiegati e consegne nella cavernosa
sottostruttura individuata dalla sezione stessa.
Mentre la rinascita sotterranea del Grand Central
Terminal ha favorito la formazione di una grandiosa di-
8 Planimetria risalente alla fase iniziale,
con il CNIT da poco ultimato (1958):
si conservano il Rond Point de la Défense
e l’Avenue du Général de Gaulle, mentre
il superblock rialzato è ancora di là da venire.
Fonte archivio Defacto, La Défense
9 Robert Camelot, Jean de Maillu, Bernard
Zehrfuss: progetto di massima approvato della
Défense con grattacieli lungo il superblock
rialzato (1964). Fonte archivio Defacto,
La Défense
10 Il futuro centro commerciale parigino
del Forum Les Halles con la stazione
di interscambio della RER.
Fonte archivio Defacto, La Défense
11 Sezione trasversale della piattaforma
rialzata del superblock. Fonte archivio
Defacto, La Défense
12 Piattaforma pedonale rialzata con l’Immeuble
Esso al centro (Jacques Gréber, 1963).
Fonte archivio Defacto, La Défense
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mensione civica nel Midtown di Manhattan, il superblock
della Défense ha avuto effetti ambivalenti. Paradossale è
stata l’eclissi di due delle sue primissime strutture: l’elevazione artificiale del suolo ha compromesso infatti le sorti del palazzo delle esposizioni con copertura a volta del
CNIT, il Centre des nouvelles industries et technologies
(Bernard Zehrfuss, Robert Camelot, 1959), e del palazzo di
uffici dell’Immeuble Esso (Jacques Gréber, 1963). Questi
due edifici trasparenti erano stati ultimati prima che fosse
varato il piano di sviluppo del 1964 e si rapportavano dunque al livello del suolo esistente; la zona pedonale rialzata
di 6 metri ha però sommerso visivamente entrambi. La
sede della Esso, primo edificio francese con curtain wall e
risposta alla Lever House di S.O.M., è stata circondata da
un fossato profondo 7 metri con funzione di parcheggio,
uno spazio per cui si è reso necessario costruire un ingombrante ponte pedonale che collegasse l’Immeuble con la
piazza sopraelevata. Nel 1971 il muro cieco che cingeva il
superblock, ribattezzato «muro del pianto» dai dipendenti
della Esso,7 è stato trasformato in una incisione monumentale dall’artista Vincent Guiro. Ma già all’inizio degli anni
Novanta la Esso aveva venduto il complesso a un costruttore che successivamente lo ha demolito.
Con l’evolversi del contesto in cui era sorto, anche il
CNIT è diventato obsoleto. Ideato negli anni Cinquanta
con l’ambizione di sbaragliare la cupola rivale del Grand Palais sugli Champs Elysées, questo spazio spettacolare non
ospitava più fiere commerciali già negli anni Ottanta; la sua
sezione e le sue attività hanno dunque subito una metamorfosi, tant’è che oggi il salone con la volta triangolare funge
essenzialmente da accesso sotterraneo all’adiacente centro
commerciale Quatre Temps. La parte superiore della cupola è stata invece colonizzata dall’Hilton Paris La Défense a
partire dal 1988. Si sta lavorando per potenziare la sezione
verticale del complesso in vista dell’inaugurazione della fu-
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tura linea E della RER e della sua stazione La Défense, prevista per il 2020; la linea passerà direttamente sotto il CNIT
e sfrutterà l’immagine simbolo della sua cupola. Il tratto più
profondo dell’infrastruttura ferroviaria andrà a incrementare la connettività della Défense su scala internazionale,
poiché la linea E della RER stabilirà un collegamento diretto
con i treni Eurostar in partenza dalla Gare du Nord per Londra e Bruxelles.
Con l’aumento costante degli elementi infrastrutturali calati nelle profondità della Défense, il superblock sembra
sempre più una copertura che uno spazio urbano. Pur nella
sua monumentalità, appare in qualche modo un residuato,
popolato di elementi scultorei e paesaggistici ma privo di
una sua vera funzione. La Défense, omaggio tardivo alla
Carta d’Atene, ha facilitato l’evolversi di un’ipertrofia urbana: non solo il suolo estruso ha soffocato il CNIT e l’Immeuble Esso, ma le torri inserite successivamente nel superblock si sono imposte sempre più come volumi immobiliari
autonomi, accentuando con la propria introversione l’indeterminatezza dello spazio esterno.
Un incubatore
L’isolamento fisico della Défense si replica in un isolamento discorsivo, perché l’architettura degli uffici non
ha mai ricevuto grandi attenzioni da parte del discorso architettonico francese. Dallo stile Beaux-Arts e dall’International Style al postmodernismo e al neomodernismo, La
Défense è sempre stata un terreno di prova deideologizzato
per le modernità intercambiabili legate al capitale finanziario. E, incoraggiata dal governo francese e dal suo ente
EPAD, è diventata un incubatore di sistemi ibridi di gestione
di progetti e di investimenti immobiliari come la «partnership pubblico-privato».8
Nel 1969 Jean Millier, da poco nominato direttore dell’EPAD, ha portato alcuni architetti e promotori immobiliari francesi a fare un viaggio negli Stati Uniti, allora
modello di interazione fra mondo dell’architettura e imprenditoria. Il grand tour comprendeva visite al Peachtree
Center di John Portman ad Atlanta e alle sedi newyorkesi
degli studi S.O.M., Pei & Cossutta, Harrison & Abramowitz
13
13 Ieoh Ming Pei, Araldo Cossutta, progetto
per torri gemelle di uffici della Tête Défense
(1971), futuro sito della Grande Arche de la
Défense realizzato nel 1984-1989 su progetto
dell’architetto Johann Otto von Spreckelsen.
Fonte Paris-la Défense, Métropole européenne
des affaires, Editions du Moniteur, Parigi 1987
14-18 Percorsi pedonali e veicolari su diversi livelli
nel superblock. Gennaio 2016.
Foto André Bideau
14 15
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Negli anni successivi al viaggio del ’69 negli Stati Uniti, a ovest di Parigi si è andata disegnando uno skyline metropolitano a dispetto delle proteste dell’opinione pubblica,
contraria alla foresta di torri sorta sul Grand Axe. Quando
poi, alla metà degli anni Settanta, ha avuto inizio la recessione, l’EPAD, sostenuto dai successivi governi della Quinta
Repubblica, ha assunto un ruolo sempre più attivo di intermediazione immobiliare. All’epoca, tuttavia, la dinamica
accelerata del packaging stava ormai prendendo le distanze
dall’unità formale voluta da Camelot, De Mailly e Zehrfuss
nel piano di sviluppo. Le società che da Parigi si trasferivano
alla Défense esigevano che le loro nuove sedi avessero una
propria individualità e singolarità e hanno dunque optato
per un monumentalismo da mercato libero. Ma lo spazio
esistente fra questi manufatti non ha mai avuto un vero significato di spazio civico. Le opere d’arte pubblica di Yacoov Agam e Joan Miró o il faraonico «Arche de La Défense»
costruito durante il mandato del presidente François Mitterrand – di fatto, un palazzo di uffici governativi in incognito
– non sono riusciti a contrastare il campo di forze nascoste
nella sezione del superblock. La crosta pedonalizzata, pur
integrando l’ambito pubblico, mina alla base la vita urbana.
Guarda caso, pare che i grandi manager francesi non vogliano pranzare alla Défense e preferiscano il tradizionalismo
culinario della sofisticata Neuilly.
Traduzione di Scriptum
Der Schnitt unter der Skyline
Städtebau wird hauptsächlich über Masse, Nutzung,
Zonierung und Erschliessung gedacht. Weniger zentral
erscheint der Vertikalschnitt, der oft im Verborgenen als
Treiber auf die Stadtform einwirkt. Gleichzeitig sorgt der
Schnitt dafür, dass Programme hermetisch voneinander
getrennt werden oder unsichtbar bleiben – man denke an
den Zürcher Hauptbahnhof und seine komplexe Stapelung
von Nutzungen. Hier bildet das Nullniveau der Strasse die
Grenze, unterhalb derer sich die Infrastrukturen und
Kommerzflächen des Verkehrsknotenpunkts frei ausbreiten. Dieser hypertrophe Querschnitt ist die Folge absoluter
Zentraliät in beengten Verhältnissen. Dort, wo er von
Anfang an gewollt wurde, schafft er die konzeptionelle
Voraussetzung für einen radikal verdichteten Städtebau –
so etwa im New Yorker Ensemble des Grand Central
Terminal oder im Entwurf der Città Nuova von Antonio
Sant’ Elia. Über Tiefbahnhöfen türmen sich jeweils
grossartig urbane Kompositionen auf. Beide stammen aus
den Jahren umittelbar vor dem Ersten Weltkrieg und
zelebrieren Mobilität und Monumentalität. Dieser Beitrag
diskutiert ein halbes Jahrhundert später den Fall von La
Défense unter dem Aspekt des Vertikalschnitts. Das vom
französischen Staat gewollte Pariser Büroviertel wird
ebenfalls von einem Infrastrukturstrang befruchtet, über
dem sich seine Skyline entfaltet. Hochhäuser säumen eine
langgestreckte Plattform, in der S- und U-Bahnen sowie der
Autoverkehr gebündelt sind. Ganz im Sinn klassisch
moderner Funktionstrennung ist das Dach des Sockels dem
Fussgänger vorbehalten. In der Planung, Implementierung
und Fortentwicklung dieser Schnittlösung treten die
klassischen Züge der französischen Planungskultur hervor.
Doch erweist sich der künstliche Stadtboden bis heute als
Hypothek für La Défense: Innen weitläufig, nach aussen
hermetisch, reproduziert der Superblock weder die Dichte
der Haussmann’schen noch der amerikanischen Geschäftsstadt. (Zusammenfassung des Autors)
Note
1 Dai materiali forniti dagli archivi di Defacto, sono
emersi dati preziosi sulle prime opere edilizie della
Défense e lo sviluppo del centro direzionale.
Un ringraziamento speciale va a Johan Huynh-Tan
e Jean-Marc Lefevre di Defacto.
2 COFER Comité Français pour l’Expansion et le
Rayonnement International de Paris-La Défense
(a cura di), Paris - La Défense métropole européenne des affaires, Editions du Moniteur,
Paris 1987, p. 28.
3 Virginie Lefebvre, Paris - ville moderne.
Maine-Montparnasse et La Défense, 1950-1975,
Editions Norma, Paris 2003, p. 162.
4 Kristin Ross, Fast Cars, Clean Bodies. Decolonization and the Reordering of French Culture, The MIT
Press, Cambridge (Mass.) 1995, pp. 150-153.
5 Lefebvre 2003, p.166.
6 A questo proposito vedi: Françoise Fromonot, La
Campagne des Halles. Les nouveaux malheurs de
Paris, La fabrique éditions, Paris 2005.
7 Pierre Chabard, Virginie Picon-Lefebvre (a cura di),
La Défense, Editions Parenthèses, Paris 2012, p. 33.
8 COFER 1987, p.76.
9 Chabard, Picon-Lefebvre 2012, pp. 25-27.
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e Philip Johnson, i quali tutti – eccezion fatta per Johnson e
Portman – hanno ricevuto ben presto una commessa per La
Défense.9 A New York il cerchio si è chiuso con i progetti di
superisolati ai quali aveva contribuito Wallace K. Harrison.
Il Rockefeller Center e il Lincoln Center, insieme all’Empire
State Plaza di Albany, erano tutti manifestazioni di un’eredità compositiva che abbracciava Beaux-Arts, Art Déco e un
modernismo contemporaneo fondato su una versione diluita dei princìpi enunciati nella Carta d’Atene. Il complesso
monumentale ideato da Harrison per il governatore Nelson
Rockefeller ad Albany, capitale dello stato di New York, rivela una straordinaria somiglianza con La Défense: in entrambi i casi è presente un superblock pedonale sopraelevato in
cui la sezione è riservata a passeggiate e infrastrutture e
sulla piazza lineare si affacciano una serie di grattacieli. La
corrisponenza tardo-moderna appare già nel 1971 nelle torri gemelle progettate di Ieoh Ming Pei con l’associato Araldo Cossutta per Tète Défense. Dieci anni dopo, sullo stesso
asse parigino, Pei porterà il suo accademismo al disegno del
Grand Louvre.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 28
Sezioni di strade,
sezioni di edifici
Luca Ortelli
Architetto, professore ordinario all’EPFL
Alcuni manuali di urbanistica di fine Ottocento, e in particolare quello di
Stübben,1 affrontano con rigore il problema della costruzione della grande città
offrendo un repertorio di immagini che fa largo uso della sezione come strumento analitico e progettuale. Nel manuale di Stübben (la cui prima edizione risale al
1890) si trova una serie di sezioni stradali (Straßen Querprofil) di molte città europee che restituiscono un panorama articolato della cultura urbanistica dell’epoca.
Animato da un’autentica passione tassonomica, Stübben illustra le strade di molte
città europee: Berlino, Bruxelles, Strasburgo, Stoccarda, Budapest, Copenaghen,
Milano, Zurigo, Ginevra, per citarne solo alcune. Le strade delle città prese in considerazione sono rappresentate facendo ricorso alla sezione trasversale che costituisce lo strumento che permette il più alto grado di comparabilità degli oltre 100
esempi scelti. La grafica essenziale e l’utilizzo della stessa scala metrica rendono
questo repertorio particolarmente utile e efficace. Naturalmente, fra gli esempi illustrati da Stübben, figura anche Parigi con una decina di sezioni stradali, tutte relative ai grandi boulevards della ville lumière. Queste arterie costituiscono il segno più
immediatamente tangibile degli interventi voluti da Napoleone III e messi in pratica dal barone Haussmann. La loro presenza è rinforzata dagli edifici che le bordano
e che furono interpreti delle aspirazioni degli abitanti della nuova Parigi adattando
alcuni schemi degli hôtels particuliers alla forma che diventerà tipica della casa di
affitto o immeuble de rapport.
Il testo che accompagna l’illustrazione del Magasin pittoresque 2 qui riprodotta descrive le funzioni dei vari locali e le occupazioni degli abitanti.
«Questo disegno è la sezione di una casa situata in un quartiere ricco […]
Un ascensore indica che ci troviamo nella nuova Parigi. Al piano terreno, un
caffè dove le persone si accalcano: c’è più di un fannullone, ma ci sono anche dei commercianti, degli industriali che si danno appuntamento per discutere dei loro affari.
1 2
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Al mezzanino un ristorante. Il primo piano ci mostra
l’interno di una modista elegante. Al secondo, un personaggio serio ascolta due visitatori che sembrano discutere con
vivacità: si tratterà, a vostro piacimento, dello studio di un ausiliario di giustizia, di un avvocato o di un notaio. Ed ecco, al
terzo piano, un sarto alla moda.
Al quarto, un professore dimostra qualche teorema di
geometria a dei giovani che stanno preparandosi all’ingresso al Politecnico o alla Scuola Centrale. Il quinto piano è diviso in due abitazioni: da una parte la cameretta di un’operaia
con dei fiori su un piccolo balcone; dall’altra l’alloggio di un
domestico».
Questa illustrazione, con il testo che la accompagna, rende conto della tipica organizzazione degli edifici haussmanniani
e fornisce un ritratto della vita quotidiana della capitale francese sotto il Secondo Impero e durante la Terza Repubblica.
La rappresentazione accurata degli spazi interni
rende la sezione perfettamente comprensibile, più di quanto
lo sarebbe una pianta in cui gli arredi fossero disegnati con la
stessa precisione. La pianta – sezione orizzontale – presenta
infatti qualche difficoltà supplementare per essere «decifrata» dai non addetti ai lavori, priva com’è dell’immediatezza dei
quadretti animati che compaiono nella sezione in questione.
In Espèces d’espaces, Georges Perec ha raccontato che
nella moltitudine delle fonti da cui è nato il romanzo La vie
mode d’emploi figura anche un disegno di Saul Steinberg.
«J’imagine un immeuble parisien dont la façade a été
enlevée […] de telle sorte que, du rez-de-chaussée aux mansardes, toutes les pièces qui se trouvent en façade soient instantanément et simultanément visibles.
Le roman - dont le titre est La vie, mode d’emploi - se
borne […] à décrire les pièces ainsi dévoilées et les activités
qui s’y déroulent, le tout selon des processus formels […]
Les sources de ce projet sont multiples. L’une d’entre
elles est un dessin de Saul Steinberg, paru dans The Art of
Living en 1952…»3
Il disegno di Steinberg si rifà esplicitamente a un tipo
di rappresentazione in voga alla fine dell’Ottocento. Si tratta
di illustrazioni di carattere popolare che mostrano gli interni
delle case d’affitto parigine, mettendo in risalto la «stratificazione» sociale che le caratterizzava.
Lo stesso tipo di rappresentazione veniva utilizzato
per pubblicizzare il grado di comfort che quegli stessi edifici
offrivano agli abitanti, particolarmente per quanto riguarda
gli impianti idraulici o di riscaldamento.
Il carattere «utilitario» della sezione rende la rappresentazione di facile comprensione a un pubblico allargato. Questa «facilità di accesso» è sostenuta dalla possibilità di mostrare diversi interni domestici simultaneamente. In questo
senso, le sezioni parigine sono più efficaci delle prospettive
delle Zimmerbilder, più realistiche e più ricche di dettagli ma
incapaci di offrire la visione simultanea di numerose stanze
e dunque prive della dimensione «narrativa» che scaturisce
dalle sezioni degli immeubles de rapport. Non è dunque un
caso che Perec abbia subìto il fascino del disegno di Steinberg e che l’edizione tascabile del suo romanzo porti in copertina una di queste rappresentazioni.
La sezione come strumento di concezione e rappresentazione dell’architettura diviene in questo caso accessibile
grazie all’integrazione di due codici diversi. Il primo è quello
astratto che consiste nel rappresentare gli elementi costruttivi dell’edificio come apparirebbero se lo stesso venisse «tagliato» secondo un piano verticale, il secondo è di tipo figurativo e consiste nel presentare gli interni che il «taglio» ha reso
visibili, con gli arredi, gli elementi decorativi e i personaggi
che consentono di descrivere o immaginare la vita che si
svolge all’interno dell’edificio.
3
1 Sezioni trasversali di strade di Berlino e di Königsberg Hermann
Josef Stübben, Der Städtebau, Alfred Kröner Verlag, Stuttgart,
1907 (seconda edizione), p. 89
2 Tissandier et Gilbert, Paris qui travaille,
Le Magasin pittoresque, Série II, Tome Premier, 1883, p. 384
3 Illustrazione di Saul Steinberg The Art of Living, 1952
Naturalmente l’uso della sezione finalizzato a rivelare
l’interno di un edificio possiede una tradizione disciplinare prima di divenire strumento di comunicazione popolare
come nel caso degli esempi parigini.
Come detto, questi disegni si riferiscono agli immeubles de rapport che si moltiplicavano in quegli anni a Parigi,
in relazione con gli interventi haussmanniani. Per quanto
riguarda la progettazione e l’esecuzione di edifici di questo tipo, la sezione, intesa come strumento tecnico, riveste un’importanza limitata. Infatti, al di là delle variazioni
dell’altezza dei diversi piani, gli immeubles de rapport sono
rigidamente codificati nella loro composizione verticale: piano terreno e mezzanino (entresol) ad uso commerciale, piano nobile seguito da altri piani di abitazione, ultimo piano e
sottotetto per lo più occupati da appartamenti più piccoli e
destinati alle camere dei domestici. La stratificazione sociale che ne deriva risulta, nella realtà dei fatti, meno evidente
di come appare nei disegni di cui abbiamo parlato. In ogni
caso, nella progettazione di questi edifici, l’organizzazione
della pianta riveste un’importanza molto maggiore rispetto
alla sezione. Le numerose pubblicazioni che illustrano questo tipo di edifici si limitano infatti a presentare le piante, il
fronte su strada ed eventualmente qualche elemento decorativo. La qualità dell’immeuble de rapport derivava dalla capacità dell’architetto di «annullare» le deformazioni geometriche prodotte dagli interventi haussmanniani producendo
la tipica enfilade di locali rappresentativi quanto più possibile regolari e controllati. Questa capacità specifica, detta «art
du rachat», che consisteva nell’assorbire le irregolarità geometriche all’interno dei locali di servizio, giustifica l’importanza della pianta, a scapito della sezione.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 30
L’illustrazione di copertina del romanzo di Perec,4 realizzata da un illustratore caricaturista noto con lo pseudonimo di Bertall, presenta, non senza tenerezza ironica, «cinque
piani di vita parigina». Le scenette rappresentate nei vari
locali mostrano le diverse condizioni in cui le case d’affitto
venivano abitate, dal grande appartamento borghese alla
fredda soffitta occupata da artisti e famiglie operaie. Nonostante l’accuratezza di alcuni dettagli tecnici come la canna
fumaria o il profilo delle modanature di facciata, lo scopo
principale di questo disegno non ha nulla a che fare con l’architettura: da un punto di vista tecnico/costruttivo, questa
casa «non può esistere» (l’accostamento di appartamenti
diversi e la posizione del vano scala determinano l’impossibilità che gli spazi rappresentati siano effettivamente distribuiti). La sezione è qui utilizzata per quella sua speciale
capacità di rappresentare simultaneamente le situazioni più
diverse e offrire al lettore tredici «quadri» che, nel loro insieme corrispondono a uno spaccato della società dell’epoca. In
questo caso lo spaccato riunisce, all’interno di una cornice
grafica verosimile, diverse scene di vita quotidiana e proprio l’intrecciarsi delle storie degli abitanti sarà l’elemento
chiave del romanzo di Perec che dell’immeuble de rapport costituisce una sorta di radiografia poetica.
Si noti poi che l’espressione «spaccato», utilizzata per
indicare la restituzione sintetica di una realtà più o meno
complessa deriva dallo «spaccato» architettonico che altro
non è che una sezione.
La vignetta di Bertall, pubblicata nel 1845, anticipa di
un secolo le sinistre sezioni «dal vero» prodotte in molte città
europee dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, restituendo al termine «spaccato» il significato di azione
forzosa, in questo caso violenta, che ne costituisce la radice.
4
5
In tutta l’Europa, gli eventi bellici hanno mostrato edifici i
cui interni, drammaticamente messi a nudo, offrivano «l’immagine di quelle case sventrate dove tra le macerie rimanevano ferme le sezioni dei locali familiari con i colori sbiaditi
delle tappezzerie, i lavandini sospesi nel vuoto, il groviglio
delle canne, la disfatta intimità dei luoghi» descritte, fra gli
altri, da Aldo Rossi.5
Poché
Nell’architettura neoclassica tedesca o nella tradizione Beaux-Arts, la sezione come strumento progettuale
risulta più adeguata, se non necessaria, agli edifici pubblici – i teatri, in questo senso, ne costituiscono l’esempio più
esplicito. La sezione viene utilizzata per illustrare le qualità
spaziali interne piuttosto che per fini tecnici. L’unica eccezione riguarda le carpenterie dei tetti che vi sono rappresentate con dovizia di particolari, mentre gli elementi murari e i
solai sono in genere indicati come elementi omogenei, senza attributi particolari, secondo le convenzioni del «poché».
Jacques Lucan ha scritto che la parola «poché» indicava, in
ambito Beaux-Arts, «ciò che non necessitava di essere esplicitato con precisione, in quanto privo di dimensione teorica
particolare».6 Questo procedimento, che si applica tanto alle
piante che alle sezioni, era reso possibile dalle pratiche costruttive correnti e dalla natura stessa della muratura intesa
come «massa» i cui unici connotati degni di interesse erano
le modanature e i rilievi e la loro partecipazione alla definizione dello spazio interno o dell’articolazione dei fronti.
Va però ricordato il fatto che il poché è attualmente
praticato non solo come tecnica di rappresentazione ma anche come illustrazione della dimensione concettuale su cui
si fonda il progetto. Anche se gli esempi citati da Lucan si
riferiscono principalmente alle piante di celebri edifici contemporanei, le sue riflessioni possono applicarsi anche alle
sezioni (anche se, in realtà, è curioso che la maggior parte
di coloro che si sono occupati di poché si siano concentrati a
studiare questo procedimento in riferimento esclusivo alla
pianta). Per verificare l’importanza e la forza espressiva del
poché nelle sezioni, basti pensare a quelle elaborate da Peter Zumthor per il Kolumba Museum di Colonia nelle quali le
installazioni tecniche e gli elementi costruttivi sono campiti
in nero, in perfetta continuità con il suolo o con l’edificio adiacente. Il risultato, coerentemente con la poetica di Zumthor,
è un disegno in cui vengono esaltate le qualità delle sale
espositive come vere e proprie «cavità», riproponendo una
definizione di spazio descritta da Giedion7 e decisamente
opposta alla nozione di assemblaggio che caratterizza molta architettura contemporanea.
Nei progetti sette-ottocenteschi, la sezione possiede
un ruolo importante come strumento di comunicazione,
PROGE T TARE IN SE ZIONE 31
spesso accompagnata da vedute prospettiche. Nei confronti di queste ultime, la sezione architettonica rappresenta l’edificio progettato con maggior precisione, offrendo la
possibilità di misurarne i diversi elementi, a differenza delle
rappresentazioni «popolari» viste all’inizio di questo scritto.
Le sezioni con interno sono utilizzate nel caso di edifici pubblici e, nell’architettura domestica, sono riservate a dimore
prestigiose, presentando spesso un unico ambiente o a una
sequenza limitata di spazi.
Per la qualità grafica e architettonica, nella vasta produzione del XVIII e XIX secolo, oltre alla vasta produzione
Beaux-Arts, si possono citare, fra gli altri, Weinbrenner e
Klenze, senza dimenticare Schinkel, ma anche Quarenghi
o Fossati, questi ultimi attivi in Russia, a dimostrazione del
fatto che questo tipo di rappresentazione è di fatto internazionale e possiede il valore di un vero e proprio codice
espressivo condiviso. Non è dunque sorprendente ritrovare
queste belle sezioni in tutti i Paesi europei, compresi quelli
più lontani dai centri di elaborazione dei nuovi canoni architettonici. Fra questi figura la Svezia, caratterizzata, fin
dall’inizio del XVII secolo, da una cultura decisamente cosmopolita e dalla presenza di architetti stranieri di prestigio,
fortemente voluta da diversi sovrani. Nicodemus Tessin il
giovane (1654-1728), autore del Palazzo Reale di Stoccolma,
aveva visitato la Francia, l’Inghilterra e l’Italia prima di assumere importanti incarichi in patria. Il suo lavoro incarna
il passaggio, o meglio l’ibridazione, di tematiche e motivi
barocchi con i nascenti stilemi neoclassici. Fra i suoi progetti, ce n’è uno che colpisce proprio per il modo in cui viene
elaborata la sezione. Si tratta del progetto di un edificio per
spettacoli equestri dedicato a Carlo XII e datato 1713. Oltre
alle qualità del progetto, la sezione longitudinale presenta
un particolare «inquietante». Fra i personaggi che animano
il disegno facendone un vero e proprio quadro animato, alcu-
ni, seduti sulle gradinate disposte intorno all’invaso, sporgono le gambe al di là del piano di sezione, altri vi spingono le
vesti. In altri termini, questi personaggi «invadono» lo spazio
virtuale che si immagina speculare a quello rappresentato
e che, per convenzione, non deve e non può far parte della figurazione architettonica. È difficile trovare una più efficace
illustrazione dell’artificio concettuale che ogni sezione comporta. L’effetto – si potrebbe dire – è «magrittiano» e ci invita
a riflettere sullo statuto della rappresentazione architettonica, scardinandone le convenzioni. Non mancano certo gli
esempi di affreschi in cui i personaggi si pongono al di qua
degli elementi architettonici dipinti per produrre l’effetto di
una maggiore profondità spaziale ma nel caso della sezione
di Tessin, la finalità non è il trompe l’œil. Il registro, in questo caso, non è dettato dalla volontà di aumentare il realismo
della rappresentazione ma è piuttosto di ordine concettuale.
Strumento concettuale
Al di là di questo esempio estremo, la sezione come
strumento progettuale e di rappresentazione rivela sempre
un aspetto concettuale che può trascendere i limiti della verosimiglianza. La tecnica del poché ne è la dimostrazione in
quanto possibilità di restituire criticamente gli elementi del
progetto rendendone più evidenti alcuni a scapito di altri.
La sezione ha vocazione analitica e descrittiva, ma in senso
completamente diverso rispetto a una prospettiva o a una
rappresentazione pittorica e questo suo carattere la allontana dal realismo stucchevole dei rendering oggi in voga.
Per alcuni architetti, la sezione – sia essa verticale o orizzontale – è lo strumento più adeguato alla comprensione e
alla concezione dell’architettura. Per altri si tratterà piuttosto
della visione sintetica offerta dalla prospettiva o dall’assonometria anche se è chiaro che, in fase di realizzazione, pianta e
sezione occupano un ruolo fondamentale e irrinunciabile.
4 Bertall, Coupe d’une maison parisienne
le 1er janvier 1845 – Cinq étages du monde
parisien «L’Illustration, Journal universel»,
n. 98, vol. 4, 11 gennaio 1845, p. 293
5 Friedrich Weinbrenner, Torre gotica,
Erbprinzengarten, Karlsruhe, 1802-1803
Friedrich Weinbrenner 1766-1826.
Architektur und Städtebau des Klassizismus,
Michael Imhof Verlag, Petersberg 2015, p. 369
6 Nicodemus Tessin il Giovane, Progetto per
un Carosello, Stoccolma, 1713
Ragnar Josephson, Tessin. Förra delen,
Sveriges Allmänna Konstförenings publikation
XXXVIII, P. A. Norstedt & Söner, Stockholm
1930, tav. 186
7 Nicodemus Tessin il Giovane, Progetto per
un Carosello, Stoccolma, 1713 (particolare)
ibidem, tav. 187
6
7
PROGE T TARE IN SE ZIONE 32
8
9
In alcuni casi la concezione dell’opera sarebbe impensabile senza il ricorso sistematico alla sezione come strumento progettuale. Uno degli esempi più noti è il cosiddetto
Raumplan di Adolf Loos. Le case Moller, Rufer e Moissi mostrano con apparente semplicità lo «scheletro» della costruzione con i cambiamenti di livello delle solette che rendono
possibile la caratteristica articolazione volumetrica loosiana. La semplicità è solo apparente come ben sa chiunque
abbia provato a combinare mentalmente tutti i «tagli inferti»
all’oggetto architettonico o, in altre parole, a dare coerenza
logica e spaziale a piante e sezioni.
L’altra ragione che rende emblematico il caso di Loos
è l’utilizzo della sezione verticale come strumento di comprensione e aggiustamento non solo degli spazi interni e
delle loro relazioni ma anche del rapporto dell’edificio con il
suolo. Si veda, a tale proposito, la sezione della casa per Tristan Tzara. Qui è evidente che la concezione generale del
progetto prende le mosse dal confronto diretto con le condizioni morfologiche del terreno e questo, potremmo dire, è un
aspetto che caratterizza l’architettura del XX secolo.
Ovviamente, anche in passato il rapporto tra edificio
e suolo ha occupato una posizione di fondamentale importanza, ma senza diventare «tema di progetto». Le sostruzioni pur necessarie alla realizzazione di innumerevoli edifici
rinascimentali o neoclassici, per rimanere nell’ambito delle
presenti osservazioni, non costituivano un fenomeno meritevole di essere mostrato e spiegato «in quanto privo di dimensione teorica particolare». In altri termini si potrebbe dire
che è come se tutte le opere di preparazione del terreno finalizzate a renderlo più propizio all’edificazione venissero sistematicamente «inghiottite» da una sorta di invisibile… poché.
8 Adolf Loos, Studi per Casa Tzara, Parigi, 1925
Burkhardt Rukschcio, Roland Schachel,
Adolf Loos. Leben und Werk, Residenz Verlag,
Salzburg - Wien 1982, p. 311
9 Adolf Loos, Sezioni di Casa Moissi, Venezia,
1923-1924. Heinrich Kulka (a cura di),
Adolf Loos. Das Werk des Architekten, Löcker
Verlag, Wien 1979, ill. 170, 171 (facsimile
dell’edizione pubblicata da Anton Schroll & Co,
Wien 1931)
Schnitte von Strassen, Schnitte von Gebäuden
Der Schnitt ist ein unverzichtbares Darstellungselement
für jedes Bauvorhaben, aber auch ein herausragendes
Mittel zur Erstellung, Kontrolle und Konzeption des
Bauwerks. Im Gegensatz zu dem, was im Grundriss
darstellt werden kann, bietet der Schnitt einen höheren
Realismus und ermöglicht eine Illustration der Innenräume,
die durch Figuren und Personen mit einer Geschichte belebt
werden können. In diesem Sinn kann der Schnitt auch zu
einem Mittel der Darstellung für die Öffentlichkeit
werden wie im Fall der Schnitte, die das Pariser Leben nach
der Umgestaltung durch Haussmann darstellen.
Diese Visionen – realistisch und irreal zugleich – sowie die
ineinander verwobenen Lebensgeschichten waren eine
der Inspirationsquellen des Romans «La vie mode d’emploi»
(«Das Leben Gebrauchsanweisung») von Georges Perec.
In der Tradition der schönen Künsten wird der Schnitt
regelmässig, aber ohne jedes bauliche Detail verwendet.
Die sogenannte Poché-Technik hatte andere Zielsetzungen
als die technische Illustration. Auch in diesem Fall konzentriert sich der Schnitt auf die internen räumlichen Aspekte
und auf die Baukörper des dargestellten Gebäudes.
In einigen Fällen ist der Schnitt jedoch das bevorzugte
Mittel für den architektonischen Entwurf. Das beste
Beispiel dafür ist die Architektur von Adolf Loos. Sein
berühmter Raumplan wäre undenkbar ohne eine sorgfältige Untersuchung der Beziehungen zwischen den einzelnen
Räumen, aus denen das Gebäude besteht. Jeder, der schon
einmal versucht hat, im Geist alle dem Architekturobjekt
«zugefügten Schnitte» zu kombinieren oder, in anderen
Worten, Grundrissen und Schnitten logische und räumliche
Kohärenz zu verleihen, weiss, dass die Schnitte von Loos
einfacher erscheinen als sie tatsächlich sind.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 33
La sezione
come strumento
di progettazione
Lorenzo Giuliani e Christian Hönger
Architetti, titolari dello studio giuliani.hönger
La sovrapposizione di piani e la moltiplicazione delle superfici utili vanta
una lunga e variegata tradizione nello sviluppo dell’architettura. Già nel XIX secolo
la necessaria densificazione delle città condusse tra le altre cose all’ideazione dell’ascensore e allo sviluppo di nuove soluzioni portanti in calcestruzzo e acciaio. Negli
ultimi decenni, il rapido aumento della popolazione, la consapevolezza della scarsità di risorse energetiche a livello globale e la progressiva economizzazione della
costruzione hanno contribuito ulteriormente allo sviluppo di edifici molto grandi
e compatti. In considerazione di tali circostanze, la rinuncia a superfici utili negli
edifici per consentire l’inserimento di corti interne, spazi vuoti o cavità diventa sempre più difficile. Eppure, negli spazi della città densificata e nelle corti interne degli
edifici, il vuoto aveva un ruolo fondamentale per il necessario apporto d’aria, l’igiene, l’agognata luce naturale e la possibilità di scambi sociali. Proprio questi spazi
lasciati consapevolmente liberi e la loro configurazione spaziale rappresentano paradossalmente un’importante base e garanzia di qualità architettonica.1
Nelle discussioni quotidiane fra non addetti ai lavori, sugli annunci immobiliari dei giornali così come sulla stampa di settore, l’architettura viene percepita
e commentata principalmente attraverso viste frontali e piante schematiche. Contemporaneamente, a noi professionisti è chiaro che una pianta è al tempo stesso
una sezione orizzontale, sebbene spesso l’unica sezione a essere percepita come
tale è quella verticale. Nella nostra esperienza, per contro, la sezione verticale può
fungere altrettanto bene da chiarimento e illustrazione del progetto per il committente o da strumento di comunicazione e coordinamento fra i progettisti. Anche
nella formazione nel campo dell’architettura l’enorme e molteplice potenziale della
sezione quale strumento di conoscenza e progettazione 2 viene in parte trascurato.
In molti dei nostri progetti, a diversi livelli di scala e per diversi compiti ci è regolarmente utile quale mezzo per l’elaborazione delle qualità architettoniche. Anche qui
ci riferiamo alla triade topologia, tipologia e tettonica tracciata in maniera illuminante da Kenneth Frampton.3
Topologia
Assieme ad altri strumenti di lavoro, la sezione di un corpo di fabbrica ci
serve anche come ricerca per la conoscenza dello spazio urbano e del contesto,
nonché per l’individuazione di possibili nuove disposizioni degli stessi. Posizione,
geometria e volume del corpo di fabbrica assumono un ruolo decisivo per creare
riferimenti comprensibili alle strutture urbane esistenti. Nella nostra esperienza, le
forme di certi edifici servono spesso a trovare un rapporto equilibrato fra integrazione nel contesto e consapevole distacco locale, come dimostra in maniera esemplare il progetto della scuola universitaria professionale di Sihlhof. In considerazione dell’estensione limitata dell’articolo, ci limitiamo di seguito alle questioni legate
a tipologia e tettonica.4
1
PROGE T TARE IN SE ZIONE 34
Tipologia
La sezione quale strumento di progettazione rimanda alla magnifica occasione di sviluppare nuove successioni, rapporti e figure spaziali senza trascurare l’ampio bacino
di archetipi esistenti. Nonostante l’enorme quantità di edifici, nella storia dell’architettura le nuove combinazioni spaziali in sezione sono piuttosto rare rispetto alle combinazioni in pianta.
Nel primo modernismo classico, Adolf Loos aveva già
introdotto il principio del Raumplan come esemplare compenetrazione in sezioni di spazi sfalsati ma tra loro collegati.
Nel 1925, con lo spazio abitativo a due piani con galleria, Le
Corbusier sviluppò nel Pavillon de l’Esprit Nouveau anche
un esempio caratteristico e pluricitato che in seguito gli servì da modulo per l’Unité d’Habitation del 1947 a Marsiglia.
Claude Parent proponeva nel suo manifesto Vivre à l’Oblique del 1970 un abitare su piani inclinati collegati come un
unico continuum spaziale. Il collegamento diretto di spazi
archetipici nella tradizione architettonica premoderna delle
Beaux-Arts – come ad esempio nel caso dell’Opéra Garnier
di Parigi del 1875 (Fig. 2) o della Public Library di New York
curata da Carrère e Hastings nel 1911 (Fig. 1) – fu tuttavia
negato nella moderna ricezione dell’architettura. Nell’odierna prospettiva postmoderna ci riferiamo però meno al
repertorio stilistico quanto piuttosto alle soluzioni spaziali
allora introdotte.5 A tal proposito risulta molto significativa
specialmente la rappresentazione storica dello spazio, in cui
la sezione vera e propria dei livelli costruttivi veniva lasciata
bianca e quindi non tematizzata, mentre per contro la vista
della delimitazione degli spazi raffigurata con notevole atmosfera e ricchezza di dettaglio. Nelle rappresentazioni in
sezione scelte penetra una luce che illustra plasticamente
gli spazi interni e la loro configurazione.
Nel quadro dei nostri progetti la sezione assume spesso un ruolo determinante. In quanto strumento di proget-
1 Carrère e Hastings,
biblioteca pubblica, New-York
City 1911
2 Charles Garnier,
Teatro dell’Opera, Parigi 1861,
sezione trasversale 1861
3 giuliani.hönger,
Fachhochschule Sihlhof, Zurigo
2003, Sezione del modello
4 giuliani.hönger,
Fachhochschule Sihlhof, Zurigo
2003. Foto Walter Mair
5 giuliani.hönger, Schlotterbeck
Areal, Zurigo giugno 2016.
Foto David Willen
6 giuliani.hönger, Schlotterbeck
Areal, Zurigo giugno 2016.
Foto David Willen
7 giuliani.hönger, Schlotterbeck
Areal, sezione trasversale
8 giuliani.hönger, Schlotterbeck
Areal, sezione longitudinale
9 giuliani.hönger, Schlotterbeck
Areal, sezione trasversale
10 Auguste Choisy, Terme
di Caracalla, Parigi 1873
11 giuliani.hönger,
Fachhochschule Sihlhof, Zurigo
2003, sezione costruttiva
tazione contraddistingue i piani più di ogni cosa e spesso
quale forma di rappresentazione li caratterizza addirittura
nel modo migliore. Sulla scorta di queste considerazioni abbiamo scelto di trattare sinteticamente a titolo di esempio
tre casi che illustrano alcuni aspetti di questa variegata tematica. Alle due costruzioni esposte nel dettaglio (il centro
residenziale e commerciale Schlotterbeck a Zurigo e il Centro per l’innovazione Hilti di Schaan) aggiungiamo la scuola
universitaria professionale Sihlhof di Zurigo che rappresenta
per noi un progetto chiave per quanto riguarda il tema della
sezione (Fig. 3). Tutti e tre questi esempi sono accomunati dal
fatto che il concetto di spazio e quello di sezione sono stati
collegati anche con una specifica idea di struttura portante. 6
In considerazione della posizione centrale e nell’ottica
della creazione di valore aggiunto, il terreno sui cui sorge la
scuola universitaria professionale Sihlhof richiedeva il massimo grado di sfruttamento possibile. Siccome la profondità
di costruzione di 40 metri è eccessiva per un’illuminazione
naturale, all’interno è venuto a crearsi quasi automaticamente un vuoto non illuminato e non previsto dal programma. Dal momento che le scuole presentano spesso un cortile
quale luogo di incontro e identità, ciascuna delle due scuole
universitarie professionali inserite dispongono di un cortile
interno illuminato da un lucernario. A causa della suddivisione – richiesta dalle norme sulla costruzione – del complesso volume del manto, in sezione le due corti sono sfalsate l’una rispetto all’altra, così da creare due elementi che si
toccano ma formano un’unica coerente figura spaziale (Fig.
4). Quest’ultima comporta un ripiegamento dell’area pubblica verso l’interno, con un parallelo spostamento del confine
degli spazi d’uso privato dall’ingresso fino alle porte interne.
La figura spaziale scultorea e priva di pilastri è realizzata
come struttura portante tridimensionale a dischi in calcestruzzo a vista. Jacques Lucan ha definito lo spazio come
espace texturé,7 in cui elementi portanti e non portanti, alto
2 3
4
7.03.17
PROGE T TARE IN SE ZIONE 35
5 6
revidiert
e basso si confondono generando una leggero senso di vertigine nonostante l’imponente massa circostante.
Rispetto alla scuola universitaria professionale Sihlhof,
nel caso del Centro per l’innovazione Hilti di Schaan è la grande officina sperimentale al centro dell’edificio a fungere da
figura spaziale su cui si basa la riconoscibilità dell’intervento,
che rappresenta lo spazio dalle dimensioni maggiori nonché
il cuore della struttura. Essa incarna al tempo stesso l’idea di
7 8
innovazione e la cultura aziendale improntata alla comunica9
zione della ditta Hilti.8 La sezione consente non solo l’accesso della luce zenitale attraverso grandi finestre, ma anche la
struzione a rampa virtualmente innalzata fino a 40 metri, somassima interazione fra l’officina sperimentale e i laboratori
praelevando poi l’officina di un piano e l’estremità meridiocircostanti, le altre officine, gli uffici e le zone di comunicazionale di quattro. Contrariamente ai due esempi precedenti, il
ne sulle passerelle longitudinali e trasversali. L’assenza di
concetto di sezione consiste qui prevalentemente nel precipilastri in questo spazio, quasi incredibile, e il conseguente
so gioco di incastri e interconnessioni fra struttura nuova e
senso di sospensione delle passerelle interne sono resi pospreesistente, nonché nella penetrazione dell’illuminazione
sibili dall’ampia campata fino a 24 metri (v. presentazione del
naturale fino alla parte inferiore del corpo dell’edificio attraprogetto IC Hilti) realizzata mediante travi reticolari.
verso pozzi di luce. Nell’edificio dell’officina i pilastri a fungo
Il terzo progetto – il centro residenziale
e commerciale
0
5
10
esistenti sono stati mantenuti e messi in risalto quali elemenSchlotterbeck a Zurigo (Figg. 5-9) – consiste principalmenti plastici
te in un edificio a uso residenziale basato
su un’efficiente
ed
Schlotterbeckareal,
Zürich
1:500 portanti nelle zone di collegamento e negli apparPublikationspläne
gezeichnet giuliani.hönger
jk jku sz
Datum
07.03.17
revidiert
architekten
eth-bsa-sia,
Zürich
tamenti.
La sopraelevazione grava solo marginalmente sulla
economica sovrapposizione di superfici
abitative.
Richiecostruzione preesistente salvo che nel caso della struttura
dendo circa 110 appartamenti, presentava un margine ridotmeridionale, sorretta ora da due nuovi pilastri e dalla nuova
to per quanto riguarda la realizzazione di spazi a più piani
facciata rivolta a sud. Anche la nuova costruzione a torre non
rispetto ai due esempi descritti in precedenza. L’intervento
grava sulla sostanza storica, perché la costruzione a fungo
comprende inoltre la trasformazione e ampliamento di una
a struttura portante spaziale scarica le forze verso le fondaprecedente autofficina Citroën, realizzata nel 1951 dagli
menta in modo autoportante nell’occhio vuoto della rampa
architetti Suter e Suter e ora in parte sottoposta a vincolo.
e sfiora la parete esterna della rampa solo con una fascia di
L’impronta originaria è stata ripresa con precisione e la co-
0
5
10
giuliani.hönger a
PROGE T TARE IN SE ZIONE 36
vetro che funge da giunzione perimetrale. Le rampe originariamente destinate alle autovetture verranno mantenute
modificandone evidentemente la destinazione d’uso: nella
zona inferiore diventeranno posteggi per biciclette, mentre
in quella superiore si trasformeranno in un affascinante spazio commerciale con pedane applicate dove lavorare.
Tettonica
Mentre per quanto riguarda lo sviluppo tipologico delle sezioni sono importanti aspetti come il vuoto degli spazi,
la modellazione attraverso la luce naturale e il potenziale in
termini di relazioni, la sezione tettonica rivela la stratificazione dei materiali e la struttura dei confini spaziali interni
ed esterni. Alle nostre latitudini, gli attuali modi costruttivi
sono oggi contraddistinti da una disomogenea pluralità di
livelli. Procedendo dall’interno verso l’esterno si alternano
strati portanti, isolanti e protettivi che emergono nella cosiddetta stratigrafia.9 La discussione su forma esterna (artistica) e nucleo interno10 si veste così di una nuova e diversa attualità, visto che interni ed esterni non sono più identici dal
punto di vista costruttivo.
Mentre differiscono molto a livello tipologico, i progetti
qui illustrati presentano molte più affinità nella concezione della tettonica. Costruzione e modellazione dei
dettagli non sono discipline isolate in nessuno dei progetti,
ma servono a tradurre i concetti spaziali e la loro risultante
architettonica. Nonostante complesse successioni di livelli,
i tre progetti cercano un’espressione omogenea e corporea
verso l’esterno e si sottraggono a un’articolazione eccessivamente pronunciata delle stratificazioni. In particolare, la
stratigrafia non è nella nostra concezione la mera somma
degli spessori dei vari strati, ma riflette consapevolmente
scala e proporzioni dell’edificio nel suo complesso.
Con i suoi elementi tridimensionali prefiniti in pietra
artificiale per i livelli di facciate e tetti, la scuola universita-
10
ria professionale Sihlhof si presenta come una figura scolpita e levigata da un blocco monolitico. La facciata è composta dalla griglia degli elementi in pietra artificiale e dalle
finestre di grande formato, leggermente sfalsate a seguire
gli spazi interni. Quasi come doppie finestre a livello, hanno
l’effetto di cassette di vetro inserite e producono complessivamente una tessitura o pattern in leggero movimento.11
Con le sue fasce di diversa altezza in pietra artificiale
colorata e le fasce scure delle finestre, il Centro per l’innovazione Hilti di Schaan appare come un blocco massiccio a rilievi orizzontali, ma di notte le finestre offrono una visuale
4
1 Facciata
- Elemento in calcestruzzo levigato
prefabbricato 120 mm
- Elemento di ripartizione dei carichi 30 mm
- Isolamento termico con velo vetro 120 mm
- Calcestruzzo armato
- Intonaco di fondo
- Lisciatura in gesso
- Carta da parati in fibra di vetro
- Dispersione
2
-
3
Finestra a due luci
Serramento in alluminio
Anta apribile
Vetro anteposto esterno
Intercapedine di ventilazione
Protezione solare
Vetrocamera isolante interna
3 Terrazza
- Elemento in calcestruzzo levigato
prefabbricato 100 mm
- Sottofondo in ghiaietto in pendenza - Foglio di protezione
- Isolamento termico 100 mm
- Impermeabilizzazione bituminosa 10 mm
- Soletta in calcestruzzo armato 300 mm
4
-
1
2
Tetto piano
Inverdimento estensivo 100 mm
Strato di protezione 8 mm
Isolamento termico 120 mm
Impermeabilizzazione bituminosa 10 mm
Soletta in calcestruzzo armato 270 mm
11
1 : 70
1 Fassade
Betonelement vorfabriziert,
geschliffen 120 mm
Entspannungsschicht 30 mm
Wärmedämmung
2 Verbundfenster
Aluminiumfenster
Fensterflügel öffenbar
Vorverglasung aussen
Hinterlüftung
3 Terrasse
Betonelement vorfabriziert,
geschliffen 100 mm
Splittbett im Gefälle
Schutzvlies
4 Flachdach
Extensive Begrünung 100 mm
Schutzmatte 8 mm
Wärmedämmumg 120 mm
Bitumenabdichtung 10 mm
Note
1 Come esempio opposto si potrebbe citare l’area
della Città murata di Kowloon demolita nel 1994.
In questa «città dell’oscurità» si registrava nel
1987 la maggiore densità demografica al mondo:
1,3 milioni di abitanti per chilometro quadrato.
2 «La sezione trasversale quale strumento di
comprensione di situazioni complesse non è una
mia invenzione. Questo metodo di indagine
è uno stratagemma sperimentato da tempo che
permette di studiare praticamente qualsiasi cosa,
dagli insetti alle regioni geografiche. L’essenza
della sezione trasversale consiste nel fatto che ci
obbliga al confronto con cambiamenti
e differenze, che altrimenti nella vita quotidiana
non percepiremmo affatto. La sua forza quale
strumento esplicativo sta nella capacità di rivelare
gli aspetti affini e contrapposti, di rimandare a
un accostamento che attrae la nostra attenzione
e pone la sfida dell’analisi. Le sezioni trasversali
non sono necessariamente linee rette, e nemmeno
assolutamente la prima sezione eseguita.
Per dispiegare l’effetto rivelatore sono imprescindibili riflessione e gioia di sperimentare nella
3
4
5
6
Questa modalità di rappresentazione mostra la sezione
più significativa del progetto con un grado di dettaglio 1:10 a
cui viene per così dire sottratta l’aria o l’intero contenuto dello spazio. Ciò rende possibile e raffigura un paradosso interessante e contemporaneo: la forma individuale del progetto
diventa riconoscibile da lontano sulla base della sezione complessiva ancora leggibile, i singoli dettagli rimangono localizzati e localizzabili con precisione nel progetto e al tempo stesso la costruzione può essere studiata da vicino con precisione
e nel dettaglio senza perdere la visione d’insieme. I dettagli
sono raffigurati come di consueto in base alla raccomandazione SIA 400 Elaborazione dei piani nell’edilizia, ma non sono
riportate quote e denominazioni. Nonostante le informazioni
tecniche e costruttive vengano mantenute, questa rappresentazione in sezione genera una nuova, significativa e polivalente rappresentazione dell’edificio.
Traduzione di Andrea Bertocchi, editing Matteo Trentini
Der Schnitt als Entwurfsinstrument
Die Stapelung von Geschossen und die Vermehrung
von Nutzflächen hat in der Architekturentwicklung eine
lange und vielfältige Tradition. Die bewussten Aussparungen innerhalb der Gebäudemasse und ihre räumliche
Ausgestaltung bedeuten eine wichtige Grundlage zur
Sicherung von architektonischer Qualität. Das enorme und
differenzierte Potenzial des Schnitts als Erkenntnis- und
Entwurfsinstrument hilft uns in vielen unserer Projekte als
Mittel zur Erarbeitung architektonischer Qualitäten.
Topologie: Aus dem Schnitt durch den Kontext entwickelte
mehrdeutige Gebäudeformen dienen oft dazu, ein ausgewogenes Verhältnis zwischen Eingliederung und bewusster
örtlicher Absetzung zu finden, wie das Projekt der Fachhochschule Sihlhof exemplarisch zeigt.
Typologie: Der Schnitt als Entwurfsinstrument verweist
auf die Gelegenheit, neue Raumfolgen, Raumbeziehungen
und Raumfiguren zu entwickeln, ohne den grossen Fundus
an räumlichen Archetypen ausser Acht zu lassen.
Die direkte Koppelung archetypischer Räume in der
vormodernen Architekturtradition der Beaux-Arts ist
hinsichtlich der entwickelten Raumfiguren sowie der
Darstellungsformen heute interessant.
Tektonik:Der tektonische Schnitt entblösst die Materialschichtung und den Aufbau der inneren und äusseren
Raumgrenzen. Konstruktion und Detailgestaltung sind
bei den vorgestellten eigenen Projekten keine isolierten
Disziplinen, sondern dienen der Übersetzung der räumlichen Konzepte und den beabsichtigten architektonischen
Erscheinungen. (Zusammenfassung des Autors)
scelta della linea di taglio», Grady Clay, Mit Vesalius, Geddes und Jackson Amerika durchqueren:
Der Querschnitt als Lerninstrument, in Brigitte
Franzen, Stefanie Krebs (a cura di), Landschaftstheorie. Texte der Cultural Landscape Studies,
Verlag der Buchhandlung Walther König, Köln
2005, pp. 178-202.
Kenneth Frampton, Grundlagen der Architektur –
Studien zur Kultur des Tektonischen, MünchenStuttgart 1993, p. 6.
Il tema è trattato ampiamente in giuliani.hönger Architekten Zürich, Schnittwerk, gta Verlag, Zürich 2010.
In proposito si veda Arthur Drexler,
The Architecture of the Ecole des Beaux-Arts,
The Museum of Modern Art, New York 1977.
Questa architettura ha influenzato notevolmente
anche Louis I. Kahn. In proposito si veda Kenneth
Frampton, Louis Kahn and the French Connection,
in Louis Kahn. The Power of Architecture, Vitra
Design Museum, Weil am Rhein 2012, pp. 115-132.
A proposito si veda anche: Heinz Wirz (a cura di),
Starke Räume, Giuliani Hönger, EPFL 2013-2015,
Quart Verlag, Luzern 2016.
7 Jacques Lucan, Masse und Textur, in
giuliani.hönger – dreidimensional, gta Verlag,
Zürich 2006, p. 11; Lucan utilizza il concetto anche
in riferimento alla scuola di Olgiati a Paspels, cfr.
Jacques Lucan, Textured spatiality and frozen
chaos, in Valerio Olgiati, G. Gili, Barcellona 2006
8 Il principio guida formulato dall’azienda recitava:
«Hilti crea uno spazio in grado di fornire ispirazioni
a team eccellenti che lavorano con passione a
straordinarie innovazioni».
9 Heinz Ronner, Wand. Der Schichtenriss –
Ein Hilfsmittel, «Kontext 75», ETH Zürich,
aprile 1987, p. 12.
10 Carl Bötticher, Die Tektonik der Hellenen,
Ferdinand Riegel, Potsdam 1852, vol. 1, p. XV.
11 Lucan 2006, p. 9.
12 giuliani.hönger Architekten Zürich, Schnittwerk,
gta Verlag, Zürich 2010.
13 Per i nuovi progetti illustrati, questa rappresentazione non è stata ancora elaborata o aggiornata.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 37
priva di ostacoli sull’immensa profondità degli interni. Le
altezze differenziate delle fasce corrispondono agli spessori delle solette (impiantistica e davanzale compresi) e conferiscono al corpo dell’edificio un ritmo sottile. La facciata
è realizzata in elementi in pietra artificiale prefiniti a forma
di U profondi 45 cm che conferiscono all’edificio l’auspicata
plasticità, nonché da finestrature standard che soddisfano
tutti i requisiti tecnici. All’interno, le fasce delle finestre dei
piani superiori sono l’espressione dell’organizzazione aperta
e flessibile degli uffici e si aprono verso il panorama grandioso, quasi infinito, sull’antistante catena montuosa.
Nel caso del centro residenziale e commerciale Schlotterbeck l’espressione si basa sulla familiare affinità e sul sottile distacco tra struttura preesistente e nuova costruzione.
Sia nella finestratura che nella scelta dei materiali nascono
diversi riferimenti e contrapposizioni. Attraverso la disposizione alternata delle logge viene sottolineata e comunicata
all’esterno la rotazione delle rampe, così come le paratie portanti della torre. Per motivi di peso, la sopraelevazione sull’edificio dell’autofficina è stata rivestita con elementi di calcestruzzo rinforzato con fibra di vetro, mentre la nuova torre è
stata rivestita con elementi curvi in pietra artificiale.
Le consuete rappresentazioni costruttive, che servono
soprattutto a illustrare la struttura degli strati e a guidare i
lavori di costruzione, hanno un carattere prevalentemente
tecnico. In quest’ottica, la tavola esecutiva cerca di raffigurare globalmente il progetto complessivo attraverso piante
e sezioni, mentre le sezioni di dettaglio illustrano strutture
puntuali e giunti attraverso degli ingrandimenti. Raffigurazioni straordinarie ai fini della comprensione della costruzione dal punto di vista spaziale sono i disegni dell’architetto
Auguste Choisy che, con le proprie assonometrie, riassume
nel libro L’art de bâtir chez les romains del 1873 le opere edili
in un’unica immagine con pianta, vista e sezione (Fig. 10). È
interessante che mostri le costruzioni antiche dal basso al
fine di poterne illustrare la specificità di archi e solai, nonché il relativo effetto spaziale. Il suo allievo Auguste Perret
applicò poi tale rappresentazione assonometrica alla modernità e alle corrispondenti opere.
Nella nostra esposizione Schnittwerk presso la Galerie Aedes di Berlino nel 2010, sulla base di quattro progetti abbiamo
sviluppato un nostro personale modo di rappresentare la costruzione in sezione.12 Il principio riprende qui la sezione trasversale della scuola universitaria professionale Sihlhof (Fig. 11).13
PROGE T TARE IN SE ZIONE 38
giuliani.hönger
foto Walter Mair
Centro per
l’innovazione Hilti,
Schaan
┌
Committenza: Hilti Aktiengesellschaft, Schaan Architettura:
giuliani.hönger AG, Zurigo Collaboratori: M. Künzler
(capo progetto dal 2010), T. Hochstrasser (capo progetto
fino al 2009), M. Bircher, I. Bucher, I. Bürgin, M. Hartmann,
R. Heeb, C. Maag, M. Sailer, S. Schneider, L. Sonderegger,
T. Ziegler Ingegneria civile: Dr. Schwartz Consulting, Zug;
Wenaweser + Partner Bauingenieure, Schaan Progetto
impianti RVCS Sytek AG, Binningen (coordinamento, progetto
impianti elettrici); Aicher, De Martin, Zweng AG, Zürich
(climatizzazione); tib Technik im Bau AG, Luzern (sanitario)
Progetto facciate: kp Fassadentechnik, Aadorf (dal 2010),
Feroplan Engineering, Zürich (fino al 2009)
Fisica della costruzione, acustica ambientale: BAKUS
Bauphysik & Akustik, Zurigo Illuminazione: Reflexion, Zurigo
Management: Caretta+Weidmann Baumanagement, Zurigo
Pianificazione e gestione: Rapp-OTB, Basilea (dal 2011),
Resoplan, Brugg (fino al 2011) Visualizzazione: maaars
architektur visualisierungen Architettura del paesaggio:
Hager Landschaftsarchitektur, Zürich Fotografia: Walter Mair,
Basilea Date: concorso 2008, progetto e realizzazione
2008-2014 Pianificazione energetica: BAKUS Bauphysik &
Akustik, Zurigo Standard energetico: Requisiti standard
minimo di legge Tipologia edificio: Nuova costruzione
amministrativa (uffici e laboratori di ricerca) Superficie (Ae):
31’000 mq (SIA416) Modalità produzione calore:
Teleriscaldamento esistente Hilti Campus, distribuzione con
soffitti riscaldanti e raffrescanti Acqua calda: Teleriscaldamento esistente Hilti Campus Generazione elettricità: Media
tensione dalla rete di distribuzione, trasformatore nell’edificio
I luoghi di lavoro di colletti bianchi e tute blu non si sviluppano nello stesso modo, ma sono inseriti esplicitamente
in una struttura unitaria e sotto lo stesso tetto, in locali che
obbediscono agli stessi principi e sono realizzati con la stessa cura. Tutto ciò risponde a una cultura aziendale che si
colloca consapevolmente nella tradizione dell’ex officina di
lavorazione del ferro e tiene alto il valore del lavoro artigianale. Il fatto che la caffetteria all’ultimo piano venga utilizzata
congiuntamente da tutti ne è una conseguenza quasi ovvia.
Si percepisce nettamente che qui la costruzione industriale non è intesa solo come mero fattore di costo della produzione, bensì al tempo stesso come un contributo in chiave
di marketing, ma anche e soprattutto come un investimento
nella qualità dei posti di lavoro e nell’identità dell’azienda.
Naturalmente, l’architettura si rivolge poi anche ai visitatori.
Questi ultimi vengono sorpresi dalla facciata inverdita e colpiti dalla hall di ingresso che esalta in maniera drammatica
l’elemento verticale e trasforma in una virtù la necessità di
dover salire fino alla reception. Questa raffinata architettura
si rivolge tuttavia soprattutto al personale, per il quale crea
– in un contesto senza pretese – un luogo piacevole e stimolante con cui potersi identificare.
Centro per l’innovazione Hilti, Schaan
Il Centro per l’innovazione Hilti segue una strategia
per la quale il tema principale non è la differenziazione di un
sistema aperto, quanto piuttosto un sistema che parte da si-
tuazioni spaziali diverse e specifiche riunendole in un insieme compatto. Un sistema che può essere descritto come un
tipo di sezione che garantisce una certa flessibilità, ma che
prende le mosse dalla differenza. Unità e vicinanza nascono
qui da collegamenti spaziali e solo in un secondo momento
dall’affinità di atmosfera. La struttura portante, che anche
in questo luogo assume un ruolo di caratterizzazione dello
spazio, è ben differenziata ma mantiene nello stesso tempo
un riferimento all’ordinamento spaziale.
Alla base del concorso di architettura vi era un programma accuratamente elaborato. In collaborazione con
il Fraunhofer Institute for Industrial Engineering (IAO) era
stato infatti esaminato – sistematicamente e già in anticipo – il modo in cui si svolgevano i processi di sviluppo alla
Hilti e l’aspetto che avrebbe dovuto avere l’ambiente di lavoro, a sua volta collegato con spazi dedicati all’innovazione,
alla formazione e con una terrazza riparata sul tetto. Tutte
le aree comuni sono realizzate come ponti in senso spaziale
e figurato, ma anche sotto il profilo costruttivo. Si estendono
sopra all’ampia officina sperimentale che costituisce il cuore della struttura ed è circondata su tre lati da uffici, mentre
il quarto è stato lasciato libero per futuri ampliamenti.
In questo spazio centrale vengono testate le soluzioni
precedentemente elaborate nei locali circostanti, ed è qui
che sorgono le questioni che dovranno successivamente essere risolte negli spazi a fianco o sovrastanti. L’esigenza di ridurre le distanze viene quindi soddisfatta in maniera esem-
plare. Più importante ancora è tuttavia il fatto che con le sue
compenetrazioni e la sua chiarezza tipologica l’edificio trovi
un’impressionante forma simbolica per il tipo di collaborazione postulato. Attraversando la «fabbrica del pensiero» degli ingegneri, la luce penetra direttamente nell’officina.
Nonostante le proprie dimensioni, la costruzione cerca in ogni modo di generare un’atmosfera di partecipazione
all’insieme. Lo spazio centrale dedicato ai test è circondato da un anello aperto di officine e laboratori, sopra ai quali sono collocati uffici dai quali lo sguardo si getta su tutto
l’ampio locale. Al centro si estende in verticale verso il piano
di ingresso e ricevimento in modo da sviluppare anche qui
una presenza forte. Da questa posizione elevata gli ospiti interni, e più raramente anche esterni, ottengono una visuale
delimitata sull’attività sperimentale, possono entrare in contatto con il personale nel grande auditorium o nelle sale conferenza, nel bar o nel foyer, e possono all’occorrenza essere
condotti direttamente in basso per una dimostrazione.
Il piano più alto copre infine l’intera officina centrale.
Ciononostante, anche in questo caso viene mantenuta una
relazione: non solo attraverso i lucernari nelle corti, ma anche
e soprattutto mediante la forte presenza della struttura portante al centro dell’edificio. Con la sua massiccia materialità,
lo scheletro in acciaio apertamente visibile e tangibile ricorda in ogni momento che ci si trova in una costruzione a ponte, sopra lo spazio che è stato visto entrando nell’edificio.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 40
1
0
5
10
20
2
Foto Karin Gauch e Fabien Schwartz
PROGE T TARE IN SE ZIONE 41
0
0
5
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Innovations_Zentrum_Hilti Ebene 3
Publikationspläne
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gezeichnet aa
1:500
Datum 05.09.16
revidiert
giuliani.hönger architekten eth-bsa-sia, Zürich
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Assonometria della struttura
Sezione del modello
Pianta terzo piano
Pianta secondo piano
Sezione longitudinale
Disegni giuliani.hönger
0
5
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Innovations_Zentrum_Hilti Ebene 2
Publikationspläne
gezeichnet aa
Datum 05.09.16
revidiert
1:500
giuliani.hönger architekten eth-bsa-sia, Zürich
Pluralità nell’unità
Gli spazi, come da programma, hanno un carattere
variegato. Le aree semiaperte del piano di ingresso sono
contraddistinte da pavimento in pietra e soffitti in gesso
profilati attraverso dei fregi, gli uffici presentano moquette
e soffitti aperti con campi bianchi deputati all’acustica, alla
climatizzazione e all’illuminazione, mentre le zone intermedie hanno pavimenti in legno e gli stessi elementi a soffitto,
che qui tuttavia sono disposti in maniera più fitta.
Nonostante questa differenziazione, anche la configurazione degli spazi interni contribuisce all’unità. Com’è
naturale, il campo di test dell’officina sperimentale è accuratamente e fisicamente separato dal resto: qui in fondo si
sottopongono vari elementi a sollecitazioni fino al loro cedimento, si simulano terremoti e si svolgono altri esperimenti decisamente violenti. Grazie ai pavimenti chiari in calcestruzzo così come alle pareti e ai soffitti lisci, la realizzazione
è comunque simile a quella di tutti gli altri locali. Viceversa,
anche negli uffici c’è un tocco dell’atmosfera da officina dato
dai pilastri in calcestruzzo a vista, così come da impianti e
soffitti grezzi mantenuti a vista in alcuni punti. Le zone comuni, infine, sono collegate agli uffici per mezzo dei soffitti
e il carattere domestico di pavimenti in legno ed elementi
d’arredo trova il suo contraltare nella possanza nuda e cruda
del massiccio scheletro di acciaio. Solamente nelle aree di
rappresentanza del piano di ingresso la costruzione appare
completamente rilassata. Dove si lavora in maniera innovativa ci sono frizioni e contrasti leggeri ma continui, chiaramente ben calcolati.
Specificità e tipicità
Collocata nel punto di transizione verso la pianura
del Reno, con la sua ampia volumetria suddivisa sul piano
orizzontale la costruzione si inserisce con precisione nel suo
ambiente. I parapetti neri a fascia, fortemente sporgenti, sottolineano il peso della costruzione, i cui possenti elementi in
calcestruzzo dimostrano per inciso l’efficacia dei sistemi di
fissaggio che vengono sviluppati all’interno della stessa. Attraverso il rinnovamento dell’edificio centrale, posto più in
alto sull’altro lato della strada principale, l’orizzontalità del
Centro per l’innovazione è stata recentemente arricchita di
un vigoroso aspetto verticale. Guardando da lontano si potrebbe quasi avere l’impressione che si tratti di un basamento per la sede centrale del gruppo e gli edifici di produzione
a essa collegati. Un’immagine dall’elevato valore simbolico.
Dr. Martin Tschanz, architetto e docente alla ZHAW di Zurigo
Traduzione di Andrea Bertocchi
PROGE T TARE IN SE ZIONE 44
Mario Botta
foto Enrico Cano
Edificio Fuoriporta,
Mendrisio
┌
Committenza: Mario Botta, Mendrisio Architettura:
Mario Botta, Mendrisio Collaboratori: T. Botta, F. Bellini,
M. Pelli, N. Salvadè Ingegneria civile: Brenni Engineering SA,
Mendrisio Progetto impianti RVCS: IFEC Ingegneria SA,
Rivera Progetto impianti elettrici: Elettroconsulenze Solcà
SA, Mendrisio Fotografia: Enrico Cano, Como Date: progetto
2005 realizzazione 2007-2011 Pianificazione energetica:
IFEC Ingegneria SA Superficie (Ae): 4’092 mq
Modalità produzione calore: L’energia calorica necessaria al
riscaldamento dell’acqua calda sanitaria e al riscaldamento
dell’intero stabile è generata da un sistema bivalente alternativo
composto da una pompa di calore polivalente aria-acqua posata
sulla copertura dell’edificio e da una caldaia a gas ubicata nella
centrale termica al P-1.La resa del calore in ambiente avviene
principalmente tramite convettori a pavimento e pavimenti
radianti. Nei locali alti sono previsti anche isole radianti utilizzate
sia per il riscaldamento che per il raffrescamento degli spazi
Acqua calda: Supporto caldaia a gas, incluso apporto solare
termico (installati 12 pannelli solari termici sulla copertura)
Generazione elettricità: Superficie netta, potenza, rendimento
e produzione Requisito primario involucro dell’edificio:
Qh = 114 MJ/m2a (Qh,limite=170 MJ/m2a)
Fedele alla convinzione che ogni singolo progetto può
trasformare una «parte di città» in quanto elemento generatore di nuovi spazi collettivi, l’intervento architettonico
rappresenta un tassello di una proposta urbanistica di più
ampio respiro che cerca la riqualificazione dell’area novecentesca cresciuta attorno al nucleo, zona strategica nel
futuro assetto di Mendrisio. L’edificio si trova, infatti, tra le
pendici della collina dove è cresciuto il centro storico, a sud,
e la pianura di San Martino attraversata dalle infrastrutture
del traffico, a nord – autostrada, ferrovia e strada cantonale.
Si può quindi affermare che il nuovo manufatto contribuisce
a definire un limite – una nuova porta urbana – tra il tessuto
edilizio del borgo e il piano dei traffici e della campagna sottostanti. Per evidenziare questa condizione si sviluppa una
tipologia a L con il lato lungo verso valle, parallelo alla strada
che conduce alla stazione ferroviaria, e quello corto allineato su via Zorzi, che sale verso il centro storico. La volumetria,
completamente rivestita in conci di travertino giordano a
corsi orizzontali e segnata dai profilati di ferro nero dei serramenti, è articolata dalle due testate che segnano gli ingressi
alle estremità.
Il nuovo studio d’architettura di Mario Botta occupa
l’intero piano terra dell’ala allungata mentre i volumi edilizi
ai piani superiori sono adibiti a residenze o a uffici. Si presenta quindi come un lungo parallelepipedo a doppia altezza,
con un doppio affaccio (nord-sud) ritmato da alte finestre.
Come sempre accade nelle opere dell’architetto ticinese, noto interprete della migliore tradizione del moderno,
la definizione degli interni è parte inscindibile del progetto
architettonico complessivo e quindi, in questo caso, esprime con coerenza il suo modo di lavorare. Richiamandosi
alla nozione di «bottega», il rapporto tra maestro e discepolo va nutrito pazientemente giorno per giorno alla scoperta
PROGE T TARE IN SE ZIONE 45
dei preziosi segreti del mestiere, per cui ogni postazione
si concepisce come una cella. Non a caso è una luce quasi
monacale che scandisce lo spazio – filtrando dall’esterno
tramite ante metalliche traforate – e caratterizza l’ambiente
produttivo dell’atelier. L’uso del computer non fa che potenziare una metodologia professionale ormai collaudata, dagli
schizzi iniziali ai dettagli di cantiere, rielaborando soluzioni
sempre più calibrate in cui la tecnica e i materiali concorrono a configurare e consolidare l’idea portante del progetto. I
suoi oggetti di design – testimonianze di una ricerca ludica
e continua sulla logica costruttiva della forma – galleggiano
in questa atmosfera silenziosa, particolarmente adatta alla
riflessione che richiede ogni atto creativo. MD
MARIO BOTTA ARCHITETTO
EDIFICIO "FUORIPORTA", NUOVO UFFICIO MARIO BOTTA A MENDRISIO
2005 - 2010
SITUAZIONE
1
1
2
3
4
Sezione longitudinale
Pianta quarto livello
Pianta secondo livello
Pianta livello zero
2
3
0
5
10
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4
PROGE T TARE IN SE ZIONE 47
PROGE T TARE IN SE ZIONE 48
5 Sezione trasversale
6 Stralcio della sezione longitudinale
Disegni studio d’architettura Mario Botta
G
A
B
C
D
E
F
5
6
0
1
2
4
PROGE T TARE IN SE ZIONE 49
PROGE T TARE IN SE ZIONE 50
Buzzi studio d’architettura
foto Marcelo Villada Ortiz
Residenza le Stelle,
Solduno
┌
Committenza: Anastasi ingegneria SA, Locarno Architettura:
Buzzi studio d’architettura, Locarno Collaboratori:
M. Comaschi, M. Inches, D. Scardua, L. Nocerino, M. Martinelli
Ingegneria civile: Anastasi ingegneria SA, Locarno
Fotografia: Marcelo Villada Ortiz, Bellinzona; Tessa Donati,
Locarno Date: progetto 2006-2010 realizzazione 2012-2015
Pianificazione energetica: IFEC Ingegneria SA Standard
energetico: Rispetta normative RuEn Tipologia edificio:
Nuovo complesso residenziale Superficie (Ae): 3’062 mq
Modalità produzione calore: Pompa di calore aria-acqua
Acqua calda: Termopompa
I tre edifici sorgono in un luogo di transizione ai bordi
del sobborgo di Solduno a Locarno, tra una strada di quartiere e un ripido pendio verso il fiume Maggia. Il complesso
aperto si orienta all’urbanizzazione delle ville borghesi del
vicinato. Lungo la strada l’edificio orizzontale con appartamenti in affitto e un piano terreno commerciale crea un
fronte urbano, un indirizzo e un moderato spazio pubblico
adatto al quartiere. Verso il delta si elevano due snelle torrette condominiali in cui si è ideato un solo appartamento
per piano secondo la tipologia milanese della villa a piani. Le
piante variano di piano in piano grazie alla sezione con tre
differenti altezze interne (cucina intima 2.31 m, camere 2.62
m e salone borghese 2.93 m). Gli appartamenti e i loro spazi
s’incastrano tra loro innescando un dialogo individuale con
la corte interna, il vicinato e il paesaggio fluviale.
Come un tulle le facciate aderiscono ai corpi di fabbrica. La facciata ondulata in mattoni è stata fissata e sospesa a
mensole indipendenti dalla struttura in cemento armato isolata esternamente. Gli elementi incollati e accastellati da un
robot in orditura aperta creano l’effetto di una parete continua dal quale sono tagliate le aperture rettangolari che incorniciano le finestre. Rispetto alle finestre le aperture sono parzialmente sfasate e realizzate senza orlo ai bordi. La trama
ricorda le pareti delle stalle lombarde, riprese da Rino Tami
a metà anni Cinquanta in numerosi edifici residenziali e
nell’adiacente casa Beretta del 1962. Il disegno a patchwork
e l’irregolarità della parete ondulata nascono da un confronto progettuale con le tolleranze di cantiere e la produzione digitale. La facciata si compone di un assemblaggio casuale di
sette elementi tridimensionali – «pixel patchwork» – dall’effetto bugnato in mattoni ROB-brick di argilla del Giura, appositamente prodotti per questo edificio che si adattano alle
tolleranze e alle differenti misure della costruzione.
Il progetto e le sue premesse. Ville e palazzine
Sono nato in questo quartiere e quindi lo conosco bene.
Il progetto si è ispirato al carattere delle ville borghesi
d’inizio Novecento che sorgevano in questo quartiere. Le
loro facciate ecclettiche, i generosi spazi interni e i giardini
aperti che le circondavano sono stati reinterpretati nel progetto. Anche gli edifici in mattone sorti alla fine del XX secolo segnano il carattere di questo quartiere, in particolare
l’edificio contiguo dell’architetto Tami. Queste due premesse
storiche hanno ispirato il progetto che ne diventa una combinazione.
A
B
C
Un complesso aperto
Sia il carattere architettonico che la disposizione degli edifici integrano il complesso nel tessuto del quartiere
di Solduno. L’edificio di Tami, il parco fluviale del delta della
Maggia e i giardini interni del vicinato diventano le quinte
della corte interna. Se su via Varenna l’edificio risulta molto
urbano, quando si attraversa la corte si scopre un altro mondo, aperto sul fiume, immerso nel verde del delta. Grazie alla
loro intelligente disposizione tutti e tre gli edifici godono la
vista dello scenario sul delta e il lago Maggiore.
La tipologia interna variabile e le tre altezze interne regalano una forte individualità a ogni appartamento e ricordano il carattere generoso delle ville borghesi.
Anche i loggiati diventano dei giardini d’inverno, una
stanza all’aperto aperta sul panorama fluviale.
Ordine e disordine
Abbiamo creato una grande varietà architettonica
usando pochi elementi, che si ripetono, allo scopo di realizzare un’unità espressiva a un costo razionale. Grazie alla mancanza di qualsiasi allineamento di facciata la costruzione ha
potuto essere realizzata in maniera veloce ed economica.
PROGE T TARE IN SE ZIONE 52
1
2
1
2
3
4
5
6
7
Sezione longitudinale blocco B
Sezione trasversale blocco B e C
Pianta sesto livello
Pianta quinto e terzo livello
Pianta quarto livello
Pianta secondo livello
Pianta primo livello
3
0 1
5
10
Foto Tessa Donati
4
5
6
7
PROGE T TARE IN SE ZIONE 54
La filosofia di progetto. Tradizione e innovazione
La nostra architettura non è mimesi o una mera copia del
passato, ma ne è un’interpretazione contemporanea. Si nutre
del substrato urbano, dell’atmosfera del luogo in cui sorge, così
da diventarne un nuovo tassello adeguato alla sua specificità.
Progettare un edificio che si radica nel contesto e non
un oggetto alieno contribuisce a combattere la crescente banalizzazione del paesaggio costruito, riconcilia passato e presente. Solo così l’edificio diventa parte della città, ne stimola
il rinnovamento e la continuità, divenendo un contributo non
solo privato ma pubblico alla vita di tutti giorni per chi vi abita.
I processi e le tecnologie innovative della costruzione
che utilizziamo per interpretare le qualità formali e materiali del luogo esistente radicano la nostra architettura non
solo nel luogo ma anche nel tempo in cui nasce. Un architetto deve usare i mezzi della sua epoca, anzi possibilmente contribuire con modestia all’evoluzione della pratica
del mestiere. Anche il tempo è in fondo un luogo nel quale
l’architetto s’inserisce: oggi dobbiamo rispondere a nuove
esigenze ecologiche sociali ed economiche che rappresentano una sfida che si rinnova di giorno in giorno, e che richiede adeguati mezzi e conoscenze sempre nuove.
8
0
8 Dettaglio sezione
Testo Francesco Buzzi
Disegni Buzzi studio d’architettura
0
1
2
4
0.5
1m
PROGE T TARE IN SE ZIONE 56
Stefanie Hitz
foto Marcelo Villada Ortiz
Trasformazione
di una casa storica,
Salorino
┌
Committenza: Stefanie Hitz e Matteo Vegetti, Salorino
Architettura: Stefanie Hitz, Salorino con Luca Mostarda,
Atelier Nido, Mendrisio Ingegneria civile: Borlini & Zanini SA,
Pambio Noranco Pianificazione energetica: IFEC Ingegneria
SA, Rivera Geomatica (scan 3d): Lehmann Visconti Sagl,
Melano Fotografia: Marcelo Villada Ortiz, Bellinzona
Date: progetto 2014 realizzazione prima fase 2015,
seconda fase 2017
Il progetto consiste nella trasformazione di una casa
del 1719, situata al limite superiore del nucleo storico del paese di Salorino, in un’abitazione per una famiglia di tre persone, con uno studio, giardino e ampio terrazzo.
Il paese è collocato su un ripido pendio esposto a sud,
ai piedi del Monte Generoso. Il sito offre una visuale aperta
e panoramica verso Mendrisio e le Alpi italiane. L’orografia,
caratterizzata da versanti molto scoscesi, presenta vigneti
terrazzati, corsi d’acqua e strisce boschive selvatiche. Questo paesaggio condiziona la conformazione urbanistico-spaziale del piccolo borgo, quasi «aggrappato» alla montagna. I
volumi delle case sono accatastati e sovrapposti l’uno all’altro: infatti la sezione, dalla cantina della casa sottostante a
quella del progetto fino al tetto, si sviluppa su un’altezza di
cinque piani, e le facciate sud e ovest della cantina e del piano terra sono integrate nell’insieme dei volumi circostanti.
Per le condizioni generali dell’edificio si è adottata una
strategia di ricostruzione completa degli interni, mantenendo però la volumetria storica, salvo un piccolo rialzamento
del tetto. All’interno l’edificio è stato completamente smantellato e ricostruito. La sfida progettuale è consistita nel far
corrispondere l’esigenza di nuovi spazi interni con la conformazione originale delle facciate. Si trattava in sostanza
di sviluppare una sequenza armoniosa di spazi in funzione
dell’uso, e soprattutto in funzione della luce e delle viste.
L’ordine spaziale è pensato in base a una forte gerarchia
tra spazi privati e spazi comuni. Gli spazi comuni formano
un tutt’uno, un gioco di volumi che segue lo sviluppo delle
aperture e delle viste per formare una specie di torre di luce.
Il percorso genera così uno spazio fortemente ascensionale.
Una delle principali difficoltà del cantiere è stata l’impervia accessibilità al sito. Le piccole vie del nucleo non
consentivano infatti il lavoro con mezzi tradizionali quali camion e gru. Si è pertanto optato per un tipo di costruzione
non tradizionale, con elementi prefabbricati in legno, relativamente leggeri e montabili con l’elicottero. Tutta la struttura portante è realizzata in elementi in legno multistrato a
strati prodotti su misura, e progettati sulle basi di una scansione 3d dell’edificio esistente.
Il sistema statico, semplice ed efficace, rispecchia la
gerarchia spaziale. Simile a una casa di carte capovolta, la
struttura portante è incrociata tra i piani. Due grandi elementi-trave attraversano per la lunghezza lo spazio del sottotetto in cima alla casa. Ad essi sono appesi il pavimento
del piano-tetto e le quattro pareti trave che determinano la
divisione delle stanze al primo piano. Queste quattro pareti
portano a loro volta il soffitto dello spazio libero del piano terra. Gli sforzi vengono trasmessi tra i singoli elementi in legno
e scaricati ai muri perimetrali in sasso per mezzo di elementi
metallici appositamente realizzati.
Per una maggiore economia spaziale in sezione, le solette in legno dello spessore di 12 cm fungono da soffitto e
da pavimento allo stesso tempo. Gli impianti sono integrati
in appositi vani verticali e la distribuzione orizzontale avviene all’interno dei mobili fissi generanti gli spazi.
Gli elementi in legno dei pavimenti e delle pareti sono
trattati con pitture a cera bianche diversamente coprenti. Le
pareti perimetrali in sasso sono invece coperte con un intonaco semplice e una pittura bianca a base di calce. Il pavimento al piano terra è un getto a base di gesso sigillato con
delle resine. La casa assume così una parvenza molto semplice, internamente ed esternamente, per integrarsi bene
nel paesaggio circostante.
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PROGE T TARE IN SE ZIONE 58
PROGE T TARE IN SE ZIONE 59
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Pianta piano secondo
Pianta piano primo
Pianta piano terra
Sezione prospettica trasversale
Sezione prospettica longitudinale
Esploso degli elementi prefabbricati in legno
lamellare ed elementi metallici
Testo e disegni Stefanie Hitz
PROGE T TARE IN SE ZIONE 60
Davide Macullo Architects
foto Alexandre Zveiger
Swiss House XXII,
Preonzo
┌
Committenza: Ivan Figura, Preonzo Architettura: Davide
Macullo Architects, Lugano Ingegneria civile: Bonalumi
& Ferrari, Giubiasco Fotografia: Alexandre Zveiger, Lugano
Date: progetto 2012-2014, realizzazione 2013-2015
Pianificazione energetica: Bonalumi & Ferrari, Giubiasco
Standard energetico: Requisiti standard minimo di legge
Tipologia edificio: Costruzione nuova /riuso, casa unifamiliare
Superficie (Ae): 125 mq; superficie involucro: facciate 280
mq, tetto 120 mq Fattore di forma: 2.93 Modalità
produzione calore: Termopompa aria-acqua alimentazione
elettrica Generazione elettricità: Valvola entrata 25 A,
Potenza 18 Kw
Il terreno su cui sorge l’edificio si situa nella parte pianeggiante del paese di Preonzo, tra l’autostrada e la strada
cantonale, ai margini della zona agricola, dove costruzioni
in pietra, rimembranze dell’epoca contadina, contraddistinguono la campagna intorno. Ora lentamente le nuove «villette» del tessuto residenziale erodono queste terre, cancellando la memoria storica in esse contenute. Il progetto fa tesoro
di questa significativa presenza del passato, trasformando e
ampliando uno di questi manufatti.
Per soddisfare le nuove esigenze abitative della famiglia, la superficie abitabile è stata maggiorata, aggiungendo
al rustico esistente due volumi che per forma e dimensione
dialogano con il primo, stabilendo un nuovo equilibrio senza però alterarne la scala.
Gli edifici agricoli tradizionali, generalmente di due
piani e con tetto a falde, sono in pietra a vista o rasapietra,
con scale esterne che portano al livello del fienile. Erano di
supporto al lavoro nei campi e all’allevamento del bestiame.
Dalla planimetria si nota che sono orientati a sud, a differenza delle nuove costruzioni che seguono invece la geometria
delle strade. Questi nuovi tracciati segnano la campagna e
si distinguono per l’andamento perfettamente rettilineo in
seguito alla bonifica del piano, terreno alluvionale del fiume
Ticino. Il progetto si allinea alle due direzioni come un ventaglio: dal manufatto esistente, i due volumi addizionali ruotano fino a posizionarsi perpendicolarmente rispetto alla strada di quartiere.
Così come i volumi, anche la copertura è frastagliata:
potrebbero sembrare al primo sguardo tre tetti tradizionali
a due falde, invece sono il risultato di un gioco di coperture
inclinate, di superfici piegate. Una volta entrati, lo sguardo
coglierà perfettamente la loro configurazione.
Al piano terra, quello che era il rustico ospita ora
il soggiorno che si sviluppa su tutta l’altezza, esaltandone
il volume e la qualità delle proporzioni. Le funzioni restanti
dell’abitazione sono aree aperte o flessibili. Dall’ingresso al
soggiorno, passando dalla zona pranzo e cucina fino allo studio, lo spazio è libero e continuo non solo sul piano orizzontale, ma anche su quello verticale: pur avendo un disegno preciso, gli ambienti fluiscono in quelli accanto permettendo di
offrire una percezione di maggiore ampiezza all’abitazione,
seppure essa rimanga di modeste dimensioni.
Per ammirare al meglio il paesaggio della Riviera, le
finestre sono state ritagliate a diverse altezze: dallo stesso
locale si possono vedere contemporaneamente l’antico monastero benedettino di Santa Maria Assunta sopra Claro,
inerpicato a mezza montagna, i fabbricati caratteristici della
zona agricola e le cime delle montagne circostanti.
Le aperture sul fronte est sono due per porzione di facciata, ampie e poste in diagonale tra di loro: quella a livello del
suolo si riflette sulla pavimentazione esterna. Gli sguinci esaltano la plasticità dell’insieme ottenuto grazie al trattamento
omogeneo delle superfici. Le strutture portanti, incluse quelle del rustico, sono interamente isolate e intonacate in color
grigio; la copertura è rivestita in carta catramata ardesiata
anch’essa di colore grigio, ma di tonalità più chiara. L’edificio è stato isolato esternamente per rientrare negli standard
energetici di base e ottenere una coibentazione ottimale.
La sistemazione esterna prevede un accesso veicolare
e parcheggio in terra battuta, un’area verde e delle superfici
minerali in ghiaia in corrispondenza delle aperture sul fronte principale. DB
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PROGE T TARE IN SE ZIONE 62
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Prospettive dello sviluppo della copertura
Sezione trasversale
Pianta piano tetto
Pianta piano primo
Pianta piano terra
Sezione trasversale di dettaglio
Disegni Davide Macullo Architects
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Soggiorno
Cucina - Pranzo
Toilette
Camere ospiti
Portico - Entrata
Bagno
Vano tecnico
Camera
Studio
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PROGE T TARE IN SE ZIONE 63
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COMUNIC ATI
Regolamenti
improntati
alla prassi
Garanzia
di imparzialità,
un tema ricorrente
Rudolf Vogt
Architetto PF SIA FAS e presidente
della commissione concorsi SIA
[email protected]
In Svizzera i bandi di concorso
concernono un contesto relativamente contenuto, e la cerchia di specialisti competenti è piuttosto ristretta.
Di conseguenza, le commissioni incaricate si trovano spesso a dover decidere se l’uno o l’altro progettista abbia o no il diritto di partecipare o
se l’uno o l’altro membro giurato sia o
no imparziale.
Davanti al giudice, l’accusato è noto
sin dal principio, mentre i membri del
tribunale (giudici e cancellieri) sono definiti solo in un secondo momento. I
membri verso cui sussiste un sospetto
di parzialità sono ricusati. Quando è indetto un bando di concorso, specialmente nel caso di una procedura libera, tale regolamentazione va applicata
in modo analogo, ma invertendo l’ordine. In altre parole: prima sono designati i membri della giuria e poi, con la revoca dell’anonimato, è rivelato anche il
nome dei partecipanti. Per evitare casi
di parzialità durante i concorsi, sono
dunque i concorrenti a doversi ritirare
e non i membri giurati.
Nei regolamenti SIA 142 dei concorsi
d’architettura e d’ingegneria e SIA 143
dei mandati di studio paralleli sono definite le situazioni in cui i partecipanti
hanno l’obbligo di ritirarsi. Si legge che
al concorso non può partecipare: chi ha
un rapporto di impiego con il committente, un membro della giuria o un esperto;
chi è parente stretto di un membro della
giuria o di un esperto, oppure chi ha un
rapporto di dipendenza professionale o
è in associazione professionale con loro,
oppure chi ha partecipato alla preparazione del concorso.
Tali motivi sono spiegati nel dettaglio
nella direttiva SIA 142i-202i «Prevenzione e motivi di ricusazione» (cfr. infobox
al termine).
I seguenti esempi mostrano chiaramente quanto complesse possano essere le questioni che concernono la parzialità e le ricusazioni.
Discussione durante una riunione di giuria: per prendere la decisione giusta,
è fondamentale poter formulare una valutazione imparziale. Foto Beat Schweizer
Quando si prepara un concorso si
tratta soprattutto di decidere se un dato
progettista possa o no partecipare. Mentre durante la procedura stessa spesso
sorge la domanda se i singoli giurati siano veramente imparziali.
Legami di parentela
Un progettista nella tecnica della costruzione, che chiameremo X, partecipa a un concorso come membro di un
team, con a capo un architetto. Come
menzionato nel programma di concorso, il fratello di X è un esperto di fisica
della costruzione e interviene durante
l’esame preliminare, in veste di esperto.
La giuria decide di raccomandare il
progetto in cui c’è anche X. All’apertura
delle buste risulta però che X e l’esperto
sono parenti stretti. In situazioni come
queste il regolamento e la direttiva SIA
parlano chiaro: X non avrebbe dovuto
partecipare al concorso.
In tal caso la commissione concorsi
considera prioritario il principio di proporzionalità rispetto all’interpretazione ferrea del regolamento, e raccomanda all’ente banditore di considerare comunque il
progetto in questione per le tappe successive. Ciò soprattutto in ragione del fatto
che la commissione dubita che la giuria,
nel prendere la sua decisione, si sia fatta
condizionare in modo preponderante dal
legame di parentela esistente, tanto più
che le due persone interessate rivestono
un ruolo di secondo piano nella procedura: X è infatti membro di un team e suo
fratello un esaminatore preliminare.
Legami professionali
Nel seguente esempio, il docente A
(direttore in un istituto di una SUP) par-
tecipa a un concorso in veste di membro
giurato. Il suo collega B, anche lui docente presso lo stesso istituto, vuole
prendere parte al concorso. Purtroppo
però le disposizioni fissate nel programma di concorso non sono chiare, i regolamenti SIA non sono menzionati per
iscritto in modo vincolante, bensì ci si limita a fare riferimento alla direttiva SIA
142i-202i. Sul piano giuridico sorgono
vari interrogativi. Quali disposizioni legali vigono? Che significato ha il rimando a una direttiva se il regolamento non
è fissato in modo vincolante?
La commissione concorsi prende posizione e giunge alla conclusione che la
situazione lascia presupporre un conflitto di interessi. Si raccomanda dunque
che il docente B non partecipi al concorso di progettazione o, in caso contrario,
che venga escluso dalla procedura.
Studi preliminari
L’ultimo esempio illustra un caso diverso. L’architetto A è membro della
commissione urbanistica che ha valutato in modo negativo e respinto il progetto
presentato dall’architetto B. Su raccomandazione della commissione menzionata, la committenza decide di non chiedere a B una rielaborazione del progetto
e lancia invece un bando di concorso. Il
committente vuole sapere se è possibile
designare quali membri giurati sia l’architetto A sia l’architetto B, senza che vi
sia un rischio di parzialità. Per la commissione concorsi è chiaro che la precedente
implicazione di entrambi gli architetti
non rappresenta alcun problema, è tuttavia decisivo stabilire se l’imparzialità di
giurati ed esperti possa in qualche modo
essere influenzata dalle circostanze de-
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┌
Regolamenti improntati alla prassi:
il concetto di parzialità
Questa serie verte su un tema a cui si fa riferimento nei regolamenti SIA 142, 143 e 144.
Il testo attuale si riferisce all’articolo 12.2 del
regolamento SIA 142 dei concorsi d’architettura
e d’ingegneria che definisce i motivi di
ricusazione e parzialità. L’articolo 12.2 sancisce
chi abbia il diritto di partecipare a un concorso
e per quale motivo. Sempre su questo tema
complesso esiste una direttiva che chiarisce
le basi giuridiche e contempla numerosi esempi
in materia. Le direttive della commissione
SIA 142/143 sono scaricabili gratuitamente
su www.sia.ch/142i.
A voir − Architecture Romande
Petit Guide 2015–2016
228 pp., brossura; 18.70 franchi (membri
e studenti, al momento dell’ordinazione
indicare la propria affiliazione SIA).
Inviare l’ordinazione a: Segretariato SIA Vaud;
[email protected]. Nelle librerie della Svizzera
romanda: in vendita a 22.00 franchi.
Di più su: www.vd.sia.ch/avoir
1 Caserma intercomunale di Bernex-Confignon (GE).
progettata dallo studio bunq architectes.
Foto David Gagnebin de Bons
2 Sala polivalente a Sâles (FR),
progettata dallo studio Acarchitectes.
Foto Thomas Jantscher
Nuove opere
realizzate
nella Svizzera
romanda
Frank Peter Jäger
Redattore responsabile Pagine SIA
[email protected]
La sezione vodese della SIA ha pubblicato la 3a edizione di «A voir», una
guida tascabile sul panorama architettonico-ingegneristico contemporaneo della Svizzera romanda.
La guida tascabile presenta circa un
centinaio di opere realizzate tra il 2015 e il
2016 in diversi cantoni francofoni. I progetti architettonici e ingegneristici illustrati sono tutti, come ben suggerisce il
titolo, assolutamente «da vedere». La
presentazione di ciascuna opera occupa
una doppia pagina, con una breve descrizione, immagini, planimetrie e sezioni.
Il ventaglio è ampio e sfaccettato, spazia da nuovi ponti a (e soprattutto) case
d’abitazione, edifici pubblici, ma anche
65
«A voir»
stabili commerciali e industriali. La mini
guida illustra anche una dozzina di trasformazioni e risanamenti di monumenti
storici e si presenta in un attraente layout
di forma quadrata.
La sala polivalente raffigurata nella
foto è opera dello studio Alexandre
Clerc Architectes (Acarchitectes), si
trova ai margini di Sâles, un paesino
del Cantone di Friburgo, ed è stata progettata per completare la preesistente
palestra.
Oltre a diverse opere vodesi, il libretto
presenta anche ben 37 progetti realizzati
nel Cantone di Ginevra. Tra questi la caserma intercomunale di Bernex et Confignon (nell’immagine), realizzata nel comune ginevrino di Bernex dallo studio
d’architettura bunq Architectes.
L’edificio è composto da una serie di
fasce trasversali che si adattano in modo
sfalsato alla geometria della parcella, di
forma stretta. Questa particolare morfologia permette alla luce di entrare naturalmente e diffondersi in tutto l’edificio.
Il volume e le facciate cambiano in
funzione del contesto. Da un lato gli elementi che compongono la costruzione
richiamano la generosità di forme dei vicini stabili industriali; dall’altro si declinano in una successione di volumi di
misura più contenuta.
COMUNIC ATI
scritte. In questo caso no. Al contrario, il
fatto che entrambi gli architetti abbiano
già delle conoscenze preliminari sul progetto è persino vantaggioso ai fini dei dibattiti che intratterrà la giuria.
A prescindere dalle disposizioni legali, dai corrispettivi regolamenti e dalla direttiva SIA, ecco quindi che la questione
della parzialità non può definirsi una
scienza esatta. Ciascun caso presenta le
proprie peculiarità, e spesso ogni situazione va valutata ex novo. La commissione concorsi prende posizione, ma non
può predire la decisione dei tribunali.
Oltre alle disposizioni legali vigenti
in materia e ai regolamenti SIA vanno
considerati anche altri principi giuridici,
tra questi il principio di proporzionalità.
66
COMUNIC ATI
Partner
importanti
della politica
societaria
Michael Schmid
Arch. ETHZ, contitolare dello
studio Büro B, presidente del gruppo
professionale Architettura SIA
[email protected]
Un bilancio intermedio, dopo quattro anni in veste di presidente del
gruppo professionale Architettura:
benché in quest’arco di tempo si sia
compiuto un grande lavoro, il BGA è
ancora troppo poco conosciuto.
Il gruppo professionale Architettura
(BGA) SIA ha una struttura molto ben
organizzata. Il Consiglio del gruppo riunisce 25 membri, provenienti da diverse regioni della Svizzera e attivi in diversi ambiti professionali. Il BGA partecipa
all’Assemblea dei delegati con 19 rappresentanti, vale a dire circa un quarto dei
votanti, da qui il ruolo chiave che esso
svolge nella politica societaria. I membri
sono presenti anche in seno alle organizzazioni partner, tra cui Bauenschweiz,
Conference suisse des architectes CSA,
Runder Tisch Baukultur, Piattaforma Direzione Lavori ecc., e difendono attivamente gli interessi della SIA.
Conferenza «LowTec – NoTec»
I progetti promossi dal BGA completano in modo mirato l’ampio ventaglio di
proposte SIA, offrendo svariate attività
su questioni professionali specifiche. La
Giornata BGA ha luogo a cadenza biennale e offre la possibilità di discutere di
argomenti attuali e nel contempo intessere e ampliare la rete di contatti. La
conferenza di quest’autunno, organizzata in collaborazione con il gruppo professionale Tecnica (BGT), verterà sul tema «LowTec – NoTec». Si parlerà della
portata della tecnicizzazione nel ramo
della costruzione e di diverse possibili
soluzioni alternative.
Tra gli altri progetti vi sono le «Linee
guida per i committenti», un documento
che mira a illustrare, con spiegazioni e
documenti di facile comprensione, le peculiarità che contraddistinguono le varie procedure di aggiudicazione. La documentazione è pensata innanzitutto
come strumento ausiliario rivolto ai rappresentanti dei piccoli comuni che non
hanno grande dimestichezza nel ramo.
In collaborazione con la Piattaforma Direzione lavori è stato elaborato in questi
ultimi due anni il profilo di competenze
del direttore lavori, attualmente in consultazione. Il prossimo passo sarà quello di stilare un profilo di competenze anche per la professione dell’architetto. Il
progetto ha già preso il via, in collaborazione con la Conférence suisse des architectes (CSA).
Futuri colleghi
La premiazione dei lavori di master
più meritevoli, realizzati presso i due
Politecnici di Zurigo e Losanna e l’Accademia di architettura di Mendrisio, è
curata dall’associazione di specialisti
Architetti e cultura (A&C), con il sostegno del BGA. L’evento offre ai laureandi
una prima occasione per conoscere i loro futuri colleghi. L’idea è quella di coinvolgere i laureandi delle scuole universitarie e rendere onore al loro impegno
anche con il conferimento di premi SIA.
Un concetto al proposito è attualmente
in fase di elaborazione e dal 2018 dovrebbe concretizzarsi.
Seguiamo con attenzione gli attuali
sviluppi sul tema BIM. In questo contesto siamo chiamati a riflettere sulle responsabilità e ad analizzare con impegno e cautela non soltanto gli strumenti
ausiliari sul metodo, ma anche le implicazioni del BIM in materia di onorari e di
possibili slittamenti di prestazioni tra
progettisti o fasi progettuali.
Con «Svizzera 2050», la SIA ha avviato
un grande progetto, un progetto importante per il nostro Paese. Adesso si tratta
di definirne meglio i contorni. Il BGA desidera contribuire alla riuscita dell’iniziativa, accompagnando il processo in modo critico e impegnandosi con progetti
parziali.
Struttura duale
In occasione dell’Assemblea dei delegati 2015 si è discusso approfonditamente dell’efficacia attribuita ai gruppi
professionali. Nel frattempo si è migliorata in modo sensato e proficuo la collaborazione tra il Comitato SIA, l’Ufficio
amministrativo e i gruppi stessi. Il lavoro in seno ai gruppi professionali è ora coordinato e riflettuto in modo più mirato,
attraverso una pianificazione dinamica.
Sono fermamente convinto che in questo modo il lavoro dei gruppi potrà essere
sostanzialmente ottimizzato, rafforzando ulteriormente l’efficacia dell’impegno
profuso nel promuovere ciascuna disciplina.
Tra i membri tuttavia le nostre attività non suscitano ancora la risonanza
sperata. Al momento c’è ancora poca
consapevolezza sull’importanza del nostro lavoro, sul ruolo chiave rivestito dai
gruppi professionali e sul valore della
struttura duale della Società. Tale dualità prevede che in seno all’Assemblea
Michael Schmid. Foto Michael Mathis
dei delegati i rappresentanti delle sezioni e dei quattro gruppi professionali siano equamente rappresentati. È sicuramente opportuno fornire maggiori
informazioni al proposito. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che si
impegnano per portare avanti il prezioso lavoro fornito dal gruppo professionale Architettura.
┌
Rilevamento salariale SIA 2017
Quest’anno la SIA condurrà nuovamente,
in collaborazione con le proprie associazioni
partner, un rilevamento dei salari nel settore
della progettazione.
Contenuti principali
– Calcolatore salariale per effettuare confronti
tenendo conto dell’ambito
di specializzazione, della fascia di età
e delle qualifiche
– Rilevamento salariale in base al sesso
– Salari per praticanti e neolaureati
Nell’ultimo rilevamento, risalente al 2015,
ai fini della valutazione sono stati trasmessi
dati relativi a un totale di 10’355 salari,
con una somma salariale complessiva di
1,036 miliardi di franchi. A inizio maggio,
tutti i membri affiliati alla SIA in qualità di ditta
e tutti i membri delle associazioni partner
(FAS, FSAP, fsai, FSU, IGS, svu-asep, SITC
e usic) riceveranno un’e-mail per partecipare
al rilevamento.
Maggiori informazioni
www.benchmarking.sia.ch
┌
Fattura per la quota di adesione SIA:
d’ora in poi via e-mail
A fine febbraio avete ricevuto la fattura per
il versamento della quota di adesione 2017.
In passato, le nostre fatture vi sono sempre
pervenute per posta. D’ora in poi, per
ottimizzare le procedure contabili, abbiamo
deciso di passare progressivamente a una
gestione digitale della contabilità.
A partire da questo momento, la fattura per
la quota di adesione e le altre fatture per
i servizi SIA vi saranno pertanto recapitate
per via elettronica, in formato PDF.
Michel Kaeppeli
Arch. ETH, Responsabile del Servizio
Regolamenti SIA*
[email protected]
La Commissione centrale per i regolamenti si rafforza, con l’acquisizione di un nuovo membro, delegato
della Comunità d’interessi dei committenti professionali privati (IPB), e
dichiara di voler intensificare i rapporti intrattenuti con le sezioni.
In occasione dell’ultima seduta del
2016, la Commissione centrale per i regolamenti (ZO) ha accolto tra le proprie fila
Oliver Paasch, delegato della Comunità
d’interessi dei committenti professionali
privati (IPB). È stato così possibile, dopo
un periodo di interruzione, riunire di nuovo attorno a uno stesso tavolo i protagonisti coinvolti nel processo di progettazione.
Inoltre Ruedi Vogt, presidente della
commissione SIA 142/143, ha annunciato le proprie dimissioni a partire
dall’estate 2017. La ZO ha preso atto a
malincuore della sua decisione, ma ringrazia Ruedi Vogt per il grande impegno profuso nel garantire in Svizzera
procedure di aggiudicazione eque e di
elevata qualità.
La famiglia delle norme
sul rincaro è completa
All’inizio del 2017, ormai scaduto il
termine di ricorso, è stata pubblicata anche la norma SIA 125, l’ultima nata nella
famiglia delle norme sul rincaro.
Ora le norme SIA che concernono il
rincaro coprono tutti gli abituali metodi
di calcolo. Ecco la famiglia al completo:
– SIA 121 Verrechnung der Preisänderungen mit dem Objekt-Index-Verfahren
(OIV) / Facturation des variations de
67
prix par la méthode de l’indice spécifique d’ouvrage (MIS)
– SIA 122 Variazioni dei prezzi: Calcolo
secondo il metodo parametrico
– SIA 123 Variazioni dei prezzi: Calcolo
secondo il metodo dell’indice dei costi
di produzione (ICP sulla base dei modelli di costo CPN)
– SIA 124 Variazioni dei prezzi: Calcolo
secondo il metodo di computo e verifica delle quantità
– SIA 125 Preisänderungen infolge Teuerung für Leistungen der General- und
Totalunternehmer
– SIA 126 Variazioni dei prezzi: Calcolo
secondo il metodo parametrico per le
prestazioni di progettazione
Per quanto concerne la norma SIA
121, si è deciso, su richiesta della commissione competente, di interrompere
ufficialmente il progetto di revisione, già
avviato. Tra due o tre anni i membri della commissione valuteranno se la nuova
norma SIA 123 è ormai convalidata e se
la SIA 121 (2003) potrà essere ritirata.
Chi è responsabile?
Nello sviluppo del catalogo delle norme
si tiene già conto della digitalizzazione. La
ZO tuttavia ha constatato che, come già
menzionato nei precedenti rapporti, è necessario definire con maggiore chiarezza le responsabilità. A inizio anno, si è
pertanto fatto il punto della situazione
per sapere quali organi si stiano già occupando direttamente di alcuni aspetti
della digitalizzazione e in che modo si potrebbe ottimizzare la loro collaborazione.
In tale contesto riveste un’importanza di
primo piano la commissione SIA 112, responsabile del modello in fasi.
Coinvolgimento di tutti
i gruppi interessati
Per essere ancor meglio informata
sulla situazione dei progettisti nelle diverse regioni linguistiche, la ZO ha intensificato il dialogo con i rappresentanti
delle sezioni. Dai riscontri ottenuti risulta
che i regolamenti andrebbero struttura-
ti in modo più pratico, soprattutto in vista delle prossime revisioni. Nel 2017, oltre
agli scambi con le sezioni della Svizzera
romanda, si intensificherà il dialogo anche con la sezione ticinese, che parteciperà alla seduta della ZO in programma a
Bellinzona.
Tuttavia non si è semplificato soltanto lo scambio con le associazioni esterne. Si sta lavorando con impegno anche
in materia di regolamenti, affinché tra le
diverse commissioni e discipline le informazioni possano circolare meglio. In
tal senso, il 3 novembre 2016, la commissione ZO ha organizzato una cena conviviale a cui hanno preso parte circa cento
persone provenienti dalle diverse commissioni. In un’atmosfera rilassata, i partecipanti hanno avuto modo di incontrare
i membri di commissioni affini e conoscere meglio i vari ambiti di attività.
Tempo di commiati
Con la conclusione di questo rapporto è giunto per me anche il momento dei
commiati. Quando leggerete queste righe sarò già partito per un viaggio intorno al mondo, durante il quale seguirò
anche una formazione continua.
Colgo l’occasione per augurare a Daniela Ziswiler che prenderà le redini del
servizio Regolamenti in veste di responsabile, un ottimo inizio, successo e tante
soddisfazioni.
Non da ultimo, desidero rivolgermi ai
miei colleghi, al Comitato direttivo e al
Comitato SIA e ringraziare tutti per la
buona collaborazione intrattenuta. E per
concludere ringrazio di cuore i membri
delle commissioni, e in particolare Erich
Offermann, presidente della ZO, per l’immenso impegno profuso nel far evolvere
le basi di collaborazione e comprensione
tra progettisti e committenti, basi che rappresentano le fondamenta per una fiorente cultura della costruzione.
* Nuova responsabile dal 1° aprile 2017:
Daniela Ziswiler, arch. dipl. PF/SIA
Doghe di alta qualità in alluminio con forazione Metalon
Metalit: Il nostro
livello è sempre alto!
Riscaldare, camuffare – raffreddare, assorbire.
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Metalit Metallbauelemente AG, CH-6233 Büron
Sistematicità e versatilità
COMUNIC ATI
La digitalizzazione è in
programma
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COMUNIC ATI
La necessità
di regole
interne al
gruppo
mandatario
Daniele Graber
Consulente giuridico OTIA
L’approccio interdisciplinare rappresenta una realtà consolidata pure nel
settore della costruzione. Per gli architetti e gli ingegneri lavorare in una comunità di lavoro, già a partire dalla fase
di concorso di progetto, non è una novità. Sempre più i committenti propongono dei concorsi per gruppi mandatari.
Capita però molto raramente che i membri di un consorzio regolino in modo preciso la loro collaborazione durante la
partecipazione al concorso.
Nella fase di esecuzione del contratto
(progettazione, appalto e realizzazione),
i progettisti hanno per contro maggiore
dimestichezza con le regole contrattuali
applicabili ai consorzi. La SIA mette a
disposizione da molti anni uno specifico
formulario contrattuale e le relative condizioni generali contrattuali. Con la revisione del 2014 dei Regolamenti per le
prestazioni e gli onorari, la SIA ha rivisto
l’insieme dei formulari contrattuali. La
relazione contrattuale tra i membri di un
consorzio è ora definita dal formulario
contrattuale SIA 1001/2 Contratto di società per gruppo mandatario (scaricabile dal sito www.sia.ch/it/servizi/sianorm/contratti). Esso non è però stato
pensato per la fase di concorso.
Già a partire dal momento in cui, ad
esempio, un architetto, un ingegnere
civile e un ingegnere impiantista si iscrivono come gruppo a un concorso di progetto, essi costituiscono automaticamente un consorzio. Dal punto di vista
giuridico, essi formano una società semplice, ai sensi dell’art. 530 CO e seg., che
nella pratica è denominata consorzio,
gruppo mandatario o comunità di lavoro,
nozioni considerate come dei sinonimi.
Le regole del Codice delle obbligazioni per la società semplice sono troppo
generiche per soddisfare le particolarità
della partecipazione a un concorso di
progetto. Le regole fissate nel formulario contrattuale SIA 1001/2 sono per
contro troppo complesse. Di conseguenza, i membri del gruppo mandatario do-
vrebbero definire in una specifica convenzione come intendono regolare nel
caso concreto il loro rapporto di collaborazione durante la fase di concorso.
Di regola, il gruppo mandatario deve
fornire al committente l’atto di costituzione del consorzio. Non esistono dei formulari prestampati in merito. Ogni gruppo mandatario allestisce la propria
dichiarazione, indicando sovente unicamente i nominativi dei membri del
consorzio.
Per evitare litigi a fine concorso, che
non di rado si trascinano per molti mesi,
se non addirittura anni dopo la fine del
concorso, risulta sensato stabilire al momento della formazione del consorzio
con l’iscrizione al concorso, un minimo
di regole interne che definiscono la collaborazione.
Su iniziativa di OTIA, la SIA centrale
sta analizzando la possibilità di pubblicare un modello di convenzione per
gruppo mandatario, specifico per la fase di partecipazione a un concorso di
progetto.
In sintesi, oltre a elencare i membri
del gruppo mandatario, la convenzione
tratta i principali aspetti da regolare, segnatamente la partecipazione ai costi
del concorso, la ripartizione dei premi,
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Legge federale sui diritti d’autore. Tale
presunzione non è assoluta, visto che la
qualità di coautore dipende dell’effettivo contributo fornito. Il fatto di aver partecipato unicamente all’elaborazione
delle tavole o di altri elementi consegnati al committente non è sufficiente. Per
essere considerato coautore, e quindi
beneficiare dei diritti d’autore legati al
progetto consegnato, il membro del consorzio deve aver fornito delle idee e dei
concetti fondamentali per il progetto
del consorzio.
La convenzione è concepita come un
aiuto concreto e semplice ai progettisti
e rappresenta una proposta di regole
che deve essere adattata in ogni caso alle particolarità dello specifico concorso.
La definizione di regole chiare e precise
al momento dell’iscrizione al concorso
permette una partecipazione più motivante e costruttiva, a beneficio di tutti i
membri del consorzio e, non da ultimo, a
favore di una sana cultura del concorso.
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Per maggiori informazioni
[email protected]
COMUNIC ATI
acquisti e indennizzi in caso di procedura selettiva e concorsi a più fasi, i diritti
d’autore (compresa l’utilizzazione dell’elaborato consegnato al committente),
l’organizzazione interna, l’anonimato, i
conflitti d’interesse e l’assicurazione responsabilità professionale.
La partecipazione al concorso comporta una serie di costi che sono in minima parte coperti da eventuali premi o
indennizzi. Definire preliminarmente la
chiave di ripartizione di tali costi risulta
quindi necessario per evitare discussioni inutili, considerando che ogni membro interviene a grado differente. Di regola, l’architetto è chiamato a fornire la
prestazione principale, seguito dall’ingegnere civile e infine dagli altri progettisti. Generalmente, ogni membro si assume i propri costi per il tempo impiegato
nell’elaborazione del progetto. Nel caso
in cui il consorzio ottenesse un premio e
un indennizzo, la convenzione proposta
da OTIA prevedere la definizione di una
chiave di ripartizione dell’importo ricevuto dal committente.
La convenzione regola pure i diritti
d’autore, elemento fondamentale per i
progettisti. Di principio, i progettisti che
figurano nella busta d’autore sono considerati dei coautori, giusta l’art. 7 della
LIBRI 70
Libri
Mercedes Daguerre
Kenneth Frampton
L’altro Movimento Moderno
a cura di Ludovica Molo
Silvana Editoriale, 2015
Risultato di un ciclo di lezioni tenute
da Frampton presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio tra il 1998 e il
2001, il volume presenta una serie di architetti la cui produzione risulta divergente dal canone ufficiale del cosiddetto «Movimento Moderno» (teorizzato da
Nikolaus Pevsner nel 1936 e pubblicizzato in America dalle precoci tesi di Henry-Russell Hitchcock e Philip Johnson in
Lo Stile Internazionale), la cui costruzione
storiografica è stata messa in crisi fin dagli anni Settanta, basti ricordare lo smontaggio critico operato da Tafuri e Dal Co in
Architettura contemporanea (1976) o la
precisa storicizzazione del fenomeno realizzata da Scalvini e Sandri in L’immagine
storiografica dell’architettura contemporanea da Platz a Giedion (1984). All’interno di
questo orizzonte storiografico – troppo
stretto per accogliere la varietà e com-
Fulvio Irace
Storie d’interni.
L’architettura dello spazio
domestico moderno
Carocci editore, Roma 2015
plessità delle molteplici ricerche progettuali sorte nel mondo al di fuori dall’ortodossia sancita dai CIAM il secolo scorso –,
l’intenzione dell’autore è quella di compensare tale semplificazione. Da ciò deriva l’ipotesi sostenuta nell’introduzione:
«vale a dire che se da una parte certe opere possono essere comprese nella categoria di un astrattismo generico, dall’altra rivelano ciascuna una sottile declinazione
in risposta al contesto nel quale si situano, nonostante in tutte si ricorra al dogma
del tetto piano, accompagnato da un sistema strutturale in acciaio o cemento armato e da ampie superfici vetrate». Così, il
titolo del volume rammenta una certa
ambiguità: «mentre cerca di riaffermare
la validità del progetto moderno, la qualificazione di questa modernità con l’aggettivo “altro” intende portare l’attenzione su una differenza importantissima
rispetto ai paradigmi dell’architettura
moderna recepiti sino ad oggi».
Il libro è strutturato in diciotto capitoli secondo un doppio criterio: quello della relativa marginalità dei protagonisti
rispetto alla linea portante dei maestri (e
quindi architetture come espressione di
un regionalismo che risponde alle condizioni locali) e quello per cui l’opera scelta
possa ritenersi una «formulazione programmatica del nuovo», focalizzando
un’ampia varietà di temi progettuali alle
più diverse scale in un arco temporale di
quarant’anni. Dopo un breve profilo biografico dell’architetto selezionato, ogni
sezione indaga un edificio considerato
esemplare – alcuni più noti come la Maison de Verre (1932) di Pierre Chareau o la
Casa Kaufmann (1946) di Richard Neutra, i Freibad Allenmoos (1939) di Haefeli & Moser, il Municipio di Aarhus (1942)
di Arne Jacobsen o la Hochschule für
Gestaltung (1955) di Max Bill, altri meno
come l’Aeroporto di Kastrup del danese
Vilhelm Lauritzen, il Golf Club di Tokyo
(1932) di Antonin Raymond o il Padiglione cecoslovacco dell’Esposizione inter-
AA.VV.
Architettura
Movimenti e tendenze
dal XIX secolo a oggi
Skira, Milano 2015
nazionale di Parigi del 1936 di Jaromír
Krejcar – affiancando al testo un esauriente corredo iconografico nella scia di
antologie pionieristiche come quella di
Alfred Roth (Die Neue Architektur, 1940)
per quanto riguarda la sistematicità e ricercatezza della documentazione grafica. Non sfugge tuttavia lo scopo operativo dell’analisi di Frampton, da critico
militante, quando precisa: «Ho elaborato
quindi il tema di una modernità “altra”
(…) perché vorrei che questa raccolta, altrimenti apparentemente arbitraria, venisse letta come la chiave di un approccio alternativo che, invece di aspirare
all’astrazione universale, sia, al contrario, articolato ed espressivo, e che per
questo lasci un’eredità che paia tuttora
praticabile, non solo come opzione sintattica ma anche come essenza di una
tradizione liberatrice».
Sebbene circoscritta a un esercizio
didattico di grande interesse nella scelta degli autori e delle opere, la monografia – proprio perché costretta nel rigido
schema imposto da un paradigma scandito da categorie ormai considerate
anacronistiche nel dibattito storiografico internazionale più avvertito – risulta palesemente insufficiente per moltiplicare i punti di vista e dare conto
anche solo sommariamente della varietà
di problematiche, dinamiche produttive
e strategie linguistiche con cui la modernità si è manifestata durante il Novecento nei più diversi scenari geografici.
AA.VV.
Visionäre der Moderne
Paul Scheerbart,
Bruno Taut, Paul Goesch
Scheidegger & Spiess,
Zürich 2016
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Servizio ai lettori
Avete la possibilità di ordinare i libri
recensiti all’indirizzo [email protected]
(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo
dell’opera, il vostro nome e cognome,
l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna.
Riceverete quanto richiesto entro 3/5 giorni
lavorativi con la fattura e la cedola di versamento. Buchstämpfli fattura un importo
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vino e sistemazione paesaggistica
Mezzana
Ampliamento
Ospedale Civico
Lugano
Fondazione Rinaldi,
Ampliamento Istituto Miralago
Brissago
Dicembre 2016
Febbraio 2017
1. R/P «Canone Inverso»
IpoStudio Architetti, Firenze
2. R/P «Simbiosi»
Itten + Brechbühl, Lugano
3. R/P «Rochade»
Baumschlager Eberle, Zurigo e
Studio Inches Architettura, Locarno
4. R/P «Belvedere»
SAM Architekten und Partner, Zurigo e
Colombo + Casiraghi, Lugano
1. R/P «Piazzetta Miralago»
Architetti Bianchi Clerici, Lugano
2. R/P «Pendirone»
Michele Arnaboldi architetti, Locarno
3. R/P «La città invisibile»
Homa architetti, Muralto
4. R/P «Pane e Tulipani»
Roberto Briccola architetto, Giubiasco
Ottobre 2016
1. R/P «Stanza»
José Maria Sanchez Garcia Architetti,
Mendrisio e Madrid
2. R/P «Ricucitura»
Durisch + Nolli Architetti, Lugano
3. R/P «Il profumo del mosto selvatico»
Remo Leuzinger Architetto, Lugano
4. R/P ex aequo «Barbatella»
Buletti Fumagalli Del Fedele Bernardi
Architetti, Lugano
4. R/P ex aequo «Merlot Doc»
Lorenzo Felder Architetto, Lugano
4. R/P ex aequo «La pergola di Buddha»
CDL ARGE Gellera & Tropeano –
ACT Accossato Trentin Architetti, Minusio
4. R/P ex aequo «La memoria è sempre
in movimento»
CDL Trümpy Bianchini – Caruso Mainardi,
Riva San Vitale
4. R/P ex aequo «yo-yo»
CDL Architetti Tibiletti Associati –
Bello e Yurdakul Architects, Lugano
4. R/P ex aequo «Tracce»
CDL Guilermo Vazquez Consuegra SLP –
Davide Olivieri Architetto –
Arquitectura Agronomia SLP, Siviglia
4. R/P ex aequo «Cristina allo specchio»
Jachen Könz Architetto, Lugano
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ingegneria e urbanistica
Fondata nel 1998, esce sei volte all’anno.
ISSN 1422-5417
tiratura REMP diffusa: 2918 copie,
di cui 2759 vendute
via Cantonale 15, 6900 Lugano
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Direttore
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Coordinamento editoriale
Stefano Milan SM
Assistenti al coordinamento
Mercedes Daguerre MD
Teresa Volponi TV
Redazione
Debora Bonanomi DB
Andrea Casiraghi ANC
Laura Ceriolo LC
Piero Conconi PC
Gabriele Neri GN
Manuel Lüscher ML
Andrea Pedrazzini AP
Andrea Roscetti AR
Enrico Sassi ES
Stefano Tibiletti ST
Graziella Zannone Milan GZM
Redazione online
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La riproduzione, anche parziale, di immagini
e testi, è possibile solo con l’autorizzazione scritta
dell’editore e con la citazione della fonte.
Redazione comunicati SIA
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Impaginazione
Silvana Alliata
Corrispondenti
Andrea Bassi, Ginevra
Francesco Collotti, Milano
Jacques Gubler, Basilea
Ruggero Tropeano, Zurigo
Daniel Walser, Coira
Traduzioni italiano-tedesco
Alexandra Geese
Correzione bozze
Fabio Cani
Consiglio editoriale
Tonatiuh Ambrosetti, fotografo, Losanna
Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto
Jacqueline Burkhardt, storica
dell’architettura, Zurigo
Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como
Franco Gervasoni, ing. ETH, Bellinzona
Nicola Nembrini, ing. STS, Locarno
Nathalie Rossetti, arch. ETHZ, Zollikon
Armando Ruinelli, arch., Soglio
Nicola Soldini, storico dell’architettura,
Novazzano
Editore
espazium – Edizioni per la cultura della costruzione
Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo
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Martin Heller, presidente
Katharina Schober, direttrice
Hedi Knöpfel, assistente
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Euro 119.50, Studenti Svizzera Fr. 67.50
Numeri singoli 24.–
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OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti,
www.otia.ch
Associazioni garanti
SIA Società svizzera ingegneri e architetti
www.sia.ch
FAS Federazione architetti svizzeri
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USIC Unione svizzera ingegneri consulenti
www.usic-engineers.ch
Fondation Acube, www.epflalumni.ch/fr/
prets-dhonneur
ETH Alumni, www.alumni.ethz.ch
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