LEZIONE DI ONCOLOGIA MEDICA Prof - Digilander

LEZIONE DI ONCOLOGIA MEDICA
Prof.ssa De Vecchis
13-11-2003
RESISTENZA AI CHEMIOTERAPICI
La resistenza ai chemioterapici compromette la guarigione da gran parte dei tumori e si fonda sui
principi del modello di Coldie e Coldman, farmacologi che applicarono il concetto di resistenza ai
tumori , passando attraverso la famosa resistenza batterica.
Questi principi constano nel concetto che l’instabilità genetica rappresenta una delle proprietà o
caratteristiche intrinseche più importanti delle cellule tumorali proliferanti.Le cellule geneticamente
instabili, in quanto ricche di mutazioni che di giorno in giorno, presentano nella loro cinetica di
base, sviluppano spontaneamente, de novo, bi base, ontologicamente parlando,mutazioni somatiche
che portano alla resistenza fenotipica nei confronti di farmaci, alla cui presenza non sono state
ancora esposte.Senza essere sottoposte all’azione citotossica o statica dei farmaci queste cellule
tumorali sviluppano già una resistenza a qualsiasi farmaco, pur non conoscendolo, al buio.
Non esistono due neoplasie dello stesso tipo istologico o stadio che abbiano la stessa percentuale di
mutazione; ciò significa che esiste un’ampia fluttuazione nella proporzione e nel numero assoluto
delle cellule tumorali farmacoresistenti, tra pazienti che hanno lo stesso stadio di malattia, con
stesse caratteristiche di malattia e che sono sottoposti agli stessi trattamenti. Ciò spiega perché
alcuni pz sottoposti a terapia usufruiscono di beneficio e della validità del farmaco, con riduzioni
marcate o totali della malattia, alcuni riducono parzialmente la massa tumorale, remissione parziale
, altri ne hanno la progressione ed altri la stazionarietà, in conseguenza di questa fluttuazione,
diversa da pz a pz , data la diversità di numero e progressione di questi ceppi all’interno del tumore,
prima ancora che questo venga diagnosticato .
Aumentando la dimensione del tumore, aumenta in proporzione parallelamente, la probabilità, il
numero di comparsa di cloni resistenti.Questa è una rappresentazione molto schematica ma
eloquente del concetto che a mano a mano che aumenta la popolazione cellulare, quindi il numero
delle cellule aumenta fisicamente in seno al tumore, aumentano anche le cellule resistenti,cellule
nere, mentre la tratteggiata è la cellula che si sta trasformando in cellula mutata ossia
completamente resistente.
Ciò vuol dire che nella 1° e 2° fase, mano a mano che il volume tumorale aumenta, aumentano i
fenotipi resistenti perché le cellule tumorali crescono in base al ritmo proliferativo della cellula
stessa, quindi la quantità di cellule mutate e resistenti che si ritrovano all’interno del volume della
massa di un cancro, dipende dal ritmo con cui la cellula tumorale mutante prolifera e quindi dà
resistenza e dall’altra parte dall’effetto sommatorio di cellule sensibili ai farmaci, che
progressivamente per mutazioni, si trasformano in cloni resistenti.
Quindi questa rappresentazione grafica riflette ciò che accade a livello clinico: 3 ceppi clonali
caratterizzati dalla stessa frequenza di mutazioni, dallo stesso ritmo di mutazioni, tra cui le cellule
bianche sono farmacosensibili e quelle nere sono farmacoresistenti.
Nel modello A : la 1° cellula tumorale mutante compare all’inizio della crescita cellulare; il 1°
subclone bianco dà origine all’inizio alla crescita tumorale, ed è un ceppo resistente e quindi ha
tempo di formare un’ampia progenie di cellule molto resistenti rispetto a quelle sensibili.
Se ora noi interveniamo con un trattamento chemioterapico possiamo soltanto arrivare ad una
regressione parziale, perché uccidiamo tutte le sensibili, ma non riusciamo a contenere quelle
resistenti in quanto sono molte più rispetto alle sensibili.
Nel modello B: la 1° cellula mutante appare in un tempo più tardivo nell’espansione clonale, quindi
la cellula resistente si è formata parallelamente alle cellule sensibili e perciò la resistente è meno
numericamente presente rispetto alle sensibili, in confronto al modello A. Ciò significa che qui c’è
una proporzione tra cellule mutate resistenti e cellule sensibili più tranquilla, parallelamente detta;
se qui diamo una chemioterapia possiamo arrivare ad una risposta o remissione completa o in alcuni
casi remissione o risposta parziale , delle quali la completa con la massa che scompare e parziale
con riduzione del 50%.Anche se raggiungiamo questi obiettivi di riduzione della massa,queste
risposte fondamentalmente si esauriscono, per cui la massa cellulare riprende a riprodursi. Ciò
accade perché è vero che noi teniamo a bada i ceppi clonali mutati e resistenti ma lo facciamo fino
a che il farmaco uccide, dopodichè se smettiamo il trattamento, perché abbiamo raggiunto un certo
tipo di risposta, questi cloni resistenti si ristabiliscono con la stessa logica di cui abbiamo detto
all’inizio.Quindi rimangono in situ le cellule sensibili,le più sensibili, che continuano a proliferare
ma al tempo stesso mutano sotto la spinta dell’instabilità genetica e perciò abbiamo sempre più la
resistenza che continua a premere a tergo.
Nel modello C : ci sono cellule bianche, ciò vuol dire che ci sono solo cellule sensibili ; questo è il
momento fortunato in cui noi riusciamo a tirar fuori tutte le cellule, perché è il momento delle
micrometastasi, quando le cellule sono tutte ancora sensibili e quindi è possibile tenerle a bada con
la chemioterapia adiuvante ; in questo caso si può raggiungere la risposta completa in quanto
facciamo fuori tutte le sensibili.
RESISTENZA A LIVELLO CLINICO.
Noi paliamo di resistenza e quindi di risposta clinicamente bloccata, quando non possiamo curare il
cancro, o meglio si ha risposta parziale con riduzione del 50% del tumore ossia di 1/3 del logaritmo
della massa tumorale.Diciamo che la resistenza si forma quando: il 50% delle cellule che
sopravvivono ad un determinato trattamento farmacologico diventa resistente ad uno o a tutti i
farmaci presenti nell’associazione farmacologica.
Quando una cellula diventa resistente, lo diventa totalmente non solo ad un farmaco ma anche a
tutti gli altri farmaci che ha vicino. Ciò in quanto stiamo parlando di quella resistenza permanente
che è geneticamente presente nella cellula tumorale.Una espressione di questa resistenza
permanente su base genetica è rappresentata dalla multi drugs resistance , MDR, ossia resistenza a
più farmaci; quando una cellula diventa resistente ad un farmaco di quella categoria lo diventa a
tutti i farmaci che sono stati fondamentalmente associati al primo , in quanto la resistenza è totale e
permane per tutta la vita cellulare, compromettendo l’attività citostatica e citotossica del farmaco
utilizzato .
Quindi cellule che sono resistenti a due farmaci fondamentalmente associati per distruggere il
cancro, nella polichemioterapia, rendono inutile il trattamento con l’associazione di due farmaci ed
inoltre riducono l’efficacia anche di un’associazione di tre o più farmaci; da ciò deriva il concetto di
dare la polichemioterapia in vari momenti, in fase o alternante o simultanea o sequenziale ossia
quando facciamo la chemioterapia antiblastica usiamo sempre 3 o 4 farmaci oppure 2 farmaci
sequenzialmente e poi associati ad altri farmaci , ossia attivi sulla cellula neoplastica ma non cross
resistenti.
Farmaci non cross resistenti vuol dire che cercano di sterminare contemporaneamente e a cascata
cellule sensibili e cellule resistenti.
Durante l’espansione clonale vi può essere l’emergenza di cellule mutanti che possono essere
resistenti ad uno o più farmaci e ciò accade durante la somministrazione dei farmaci, i quali
favoriscono queste selezioni.
In una seconda rappresentazione è possibile rilevare come nel modello A il clone o prima cellula
mutante viene a formarsi in un momento tardivo della crescita e ciò significa che si forma una
piccola quota di cellule resistenti, poche rispetto a quelle che si formano in un secondo momento e
questa quota esigua di cellule resistenti non influenza la risposta alla chemioterapia.
Quindi , quando somministriamo la chemioterapia e ci troviamo in questa situazione, possiamo
raggiungere una remissione completa in quanto riusciamo a far fuori tutte cellule , perché non
abbiamo una grande massa di cellule resistenti.
Nella seconda fase, invece, la cellula o clone mutante si viene a formare precocemente nella
crescita, mano a mano che noi facciamo diagnosi clinica del cancro e quindi, in questo momento,
essendo presente un clone mutato precocemente durante la crescita,vengono a formarsi più cloni
nella massa e questi non sono resistenti ad un solo farmaco, ma essendo maggiormente presenti ed
in fase G1 e mutati, lo diventano a più farmaci.Per tal motivo diciamo che in questo caso la
polichemioterapia può produrre solo una remissione parziale, non può eliminare tutta la massa
neoplastica in quanto trova molte cellule resistenti che non può gestire, nonostante i molti farmaci
somministrati.Ciò dimostra che le cellule resistenti ad un solo farmaco, possono successivamente
acquisire resistenza a due o più farmaci, ossia è sufficiente un ceppo resistente che noi non
riusciamo a far fuori con conseguente remissione parziale, proprio perché questo va incontro ad
ulteriori mutazioni spontaneamente, ed induce resistenza a più farmaci con le relative conseguenze
cliniche.
Quindi prima iniziamo in fase precoce un trattamento farmacologico di chemioterapia antiblastica
con più farmaci , dopo un intervento chirurgico, prima possiamo eliminare subito il clone resistente
ad uno solo o a due farmaci e prima riusciamo a tenere a bada l’emergenza di cloni resistenti a più
farmaci; ciò spiega il perché parliamo di terapia adiuvante ossia quella terapia che è fatta subito
dopo un intervento radicale loco-regionale, con exeresi della massa primaria e dei linfonodi
regionali, più o meno associata a radioterapia, per eliminare questi cloni che sappiamo essere
presenti in quelle micrometastasi lasciate in situ.Se in esse rimangono questi elementi di resistenza
, il successo è limitato , a maggior ragione se il tumore non è diagnosticato precocemente o se la pz
arriva con una massa localmente avanzata o con metastasi a distanza.
Da ciò i problemi che insorgono davanti ad una malattia neoplastica che stiamo stadiando in fase
diagnostica.
CELL KILL HYPOTHESIS
E’ l’ipotesi di Skipper , di cui abbiamo parlato nella precedente lezione, ottenuta con lo studio della
leucemia L12-10 del topo, che ha evidenziato come la sopravvivenza degli animali è inversamente
proporzionale al numero delle cellule tumorali inoculate o residue dopo terapia.Inoltre una cellula
singola neoplastica può uccidere completamente l’ospite ; per la maggior parte dei farmaci
antiproliferativi esiste un rapporto di dose- effetto, concentrazione per tempo; i farmaci per essere
maggiormente validi, per tenere a bada il problema della resistenza , che è comunque presente nella
massa tumorale, devono essere sempre dati a dosaggi pieni per cui si parla di intensità di dose.La
distorsione cellulare da parte dei farmaci segue la legge cinetica di 1° ordine ossia un farmaco ha
una capacità di distruggere non un numero costante di cellule , ma una frazione costante di
cellule.Sulla base di questo concetto possiamo dire che il farmaco ha una capacità di uccidere che
può essere misurata il log kill, ossia attraverso un valore logaritmo in base 10.
Se un farmaco ha capacità killing di 1 log significa che ha capacità di distruggere in una massa
contenente 10 elevato alla 9° , ossia un miliardo di cellule , riducendola a 10 alla 8°, con distruzione
del 90% di cellule, se, invece ha una capacità logaritmica pari a 2 log, significa che ha capacità di
ridurre da 10 alla 9° ( questo valore esprime 1 cm quadrato, pari a 30 raddoppi di cui noi facciamo
diagnosi di neoplasia clinicamente manifesta ) a 10 alla 7° cellule ossia da un miliardo a 10000
cellule e ciò significa che riduciamo il 99,9% di cellule, ma ne lasciamo in situ 10 milioni. Se un
farmaco ha azione killing di 3 log riduce la massa da 10 alla 9° a 10 alla 6°, ossia 99,9% con
residuo in situ di un milione di cellule, se il killing è di 4 log, riduce la massa da 10 alla 9° a 10 alla
5°, con residuo di 10000 cellule, se il killing è di 5 log si passa da 10 alla 9° a 10 alla 4°, per cui
riduciamo di 99,9% ma lasciamo sempre quella quota di cellule che rimane vitale.
Affinchè il farmaco possa ridurre sempre di più una massa a capacità volumetriche sempre più
piccole, ad un numero di cellule sempre più piccolo,esprimendo la massima capacità killing,
corrispondente a 5 log, è necessario prolungarne la somministrazione in modo ciclico, per ridurre la
massa fino a portarla a limiti di 10 alla 4° , micrometastatici, per far in modo che intervenga il
sistema immunitario, che continuerà l’azione killing iniziata dalla chemioterapia.
Le prime volte accadeva che, attuando questa logica, a partire da masse molto grandi
volumetricamente e con peso di 1 Kg di 10 alla 12° cellule, a seguito di 40-45 duplicazioni,quindi
massa che può portare a morte il pz ,iniziando la chemioterapia con capacità di uccidere fino ad un
max di 5 log, riducendo da 10 alla 12° a 10 alla 7°, non riuscivamo mai ad arrivare a quella piccola
massa contenente 10 alla 4° cellule; in realtà 10 alla 7° rientra nel range delle micrometastasi,
perché a 10 alla 9° diventa un tumore clinicamente manifesto, palpabile, mentre al di sotto di questo
valore si tratta di micrometastasi.
Anche se all’inizio si diceva che con questa logica la polichemioterapia non riusciva a distruggere
la massa tumorale, ciò non è vero in quanto con le micrometastasi, molti tumori rimangono fermi
per molto tempo e a massa ridotta a livello micrometastatico, il sistema immunitario non è represso
ma è attivo e quindi riesce a bloccare la crescita tumorale.
Questi stessi risultati si riescono ad ottenere nei tumori trapiantati nei topi e quindi abbiamo
scoperto che le ricerche nel topo riescono a prevedere di molti anni ciò che sarà valutato nella
clinica umana ; con questa logica del kill logaritmico si è riusciti a curare molti tumori, quali
leucemie linfoblastiche acute, linfomi, carcinoma del testicolo e della mammella, sempre se è
possibile fare diagnosi di neoplasia contenuta in massa limitata.
I principi cardinali della chemioterapia antineoplastica consistono nell’esistenza di un rapporto
indiretto tra numero globale di cellule neoplastiche e guarigione, un rapporto diretto tra numero di
cellule neoplastiche e probabilità che esistano cloni resistenti ab inizio ad uno o a più farmaci,
un’ampia proporzione tra numero assoluto di cellule tumorali resistenti in pz con la stessa
patologia, con stesso stadio , stesse caratteristiche sessuali e di performance state.
Se passiamo dalla biologia alla clinica vediamo che quando in clinica parliamo di risposta completa,
cioè eliminiamo tutta la massa primaria e le eventuali metastasi,attuando l’azione killing del
farmaco,quest’ultimo, inteso come polichemioterapia, ha agito con azione pari a 5 log secondo la
max forza killing con remissione completa e quindi la massa sensibile è stata ridotta a livello
subclinico e anche la quota resistente è stata ridotta a livello subclinico, per cui macroscopicamente
non è più visibile il tumore.
Quando si ha remissione parziale a livello clinico equivale ad un’azione killing del farmaco pari ad
1-2 log, del 90-99 cellule, contro le 99,9 della remissione totale, e quindi a riduzione del 50% o ad
1/3 del log del volume totale della massa;remissione completa vuol dire che con l’uccisione tramite
le interazioni farmacologiche, sono state eliminate le cellule sensibili e la quota resistente è
cresciuta e si è organizzata a livello misurabile, clinicamente manifesta , pari a quel 50% di cellule,
che sopravviventi a chemioterapia antiblastica, diventano resistenti ad uno o a più farmaci presenti
in quel trattamento farmacologico.
Dopo somministrazione di una dose di farmaci antiproliferativi le cellule neoplastiche
sopravviventi, resistenti ai farmaci dati, proliferano con lo stesso ritmo cinetico che avevano prima
della chemioterapia, nei tumori solidi in fase avanzata , quando c’è una crescita plateau dove il
ritmo di duplicazione aumenta ed il ciclo cellulare aumenta sempre di più; per uscita dalla fase
logaritmica, accade che lo sfollamento che nasce da un trattamento citotossico che ha eliminato la
massa sensibile,fa sì che le cellule che sopravvivono da G0 passano a G1 , ritornando a ritmo
proliferativo esponenziale.
Ridotte le cellule con lo sfollamento, si creano degli spazi biochimicamente attivi per cui la cellula
rientra da G0 a G1 e proliferando assume caratteristiche che rendono sempre più efficace l’azione
del farmaco, perché più la cellula è in fase di turnover rapido, di crescita esponenziale, con rapido
tempo di duplicazione e quindi con molta ossigenazione di sangue, perché la massa è piccola, più ci
sono condizioni cinetiche favorevoli, affinchè il farmaco distrugga le cellule ed in modo particolare
quelle chemioresistenti, che però sono ancora poche e quindi vulnerabili all’aggressione.
Lo sfollamento dovuto all’azione tossica del farmaco fa sì che molte cellule dormienti rientrino nel
ciclo e quindi in una fase favorente l’azione tossica del farmaco.
L’efficacia di una seconda dose del farmaco o di più dipende dalla frazione di cellule distrutte o
quota sensibile eliminata e dal numero di cellule che sopravvivono, in quanto resistenti e che a
loro volta, dipendono dal numero di cellule sopravvissute alla prima dose, all’intervallo tra la 1° e la
2° dose , dal tempo di raddoppio del tumore e dalla proporzione tra cellule sensibili e resistenti.
Gli intervalli tra le somministrazioni non sono casuali ma dipendono dal recupero del midollo .
La guarigione cellulare con farmaci efficaci dipende dalla dimensione di una popolazione
cineticamente e fenotipicamente omogenea durante il trattamento e quindi prima iniziamo la
chemioterapia, prima troviamo un piccolo tumore che ha quelle cinetiche proliferative positive,
ossia tutte cellule in fase cinetica con tempo di raddoppio breve, con pochi cloni cellulari e prima
eliminiamo tutta la massa.
Invece , quando iniziamo la chemioterapia e abbiamo una massa mista ossia con molte cellule
sensibili ed altrettanti resistenti, per cui il tumore non è diagnosticato in tempo, nonostante questa
logica facciamo sì che il farmaco non abbia successo anche se ha una cinetica di 5 log, perché il
tumore è necrotico e quindi ha poco supporto sanguigno e di conseguenza i farmaci non arrivano
nella massa.
Esiste un rapporto netto tra dose e risposta: è importante sfruttare l’azione killing del farmaco
attuando l’intensità di dose ossia la dose max tollerata dall’ospite nel più breve tempo possibile ed
in rapporto ad i fattori di crescita ematici; fino a poco tempo fa mai ci saremmo permessi di arrivare
ad una dose totale alta per la tossicità nell’ospite, oggi attraverso l’intensità di dose possiamo
arrivare a ciò grazie alle innovazioni di cui possiamo beneficiare in clinica, quali pappe
piastriniche,supporti ematologici e fattori di crescita ematopoietici ; provochiamo un’aplasia
midollare ma la recuperiamo in tempi sempre fermi tra 21-28 gg potendo successivamente eseguire
nuovi cicli di terapia.
Da ciò la possibilità di usare i dosaggi al max, per sfruttarne tutta la loro citotossicità , mentre in
passato eravamo più cauti in quanto non potevamo creare un’aplasia, mettendo a repentaglio la vita
del pz,con infezioni sempre più gravi , emorragie imponenti da piastrinopenia e anemie; oggi
abbiamo i fattori di recupero per cui possiamo sfruttare al max i farmaci pur rispettando quel
famoso karnoski; non lo possiamo fare in pz che hanno 40 di karnoski, ma 50 e con il consenso del
pz stesso.
Attuando la terapia adiuvante farmacologica e medica che è data in pz ad alto rischio di recidiva e
dopo trattamento loco-regionale chirurgico e/o radiante, per massa diagnosticata in tempo, si
bloccano tutte quelle micrometastasi che rimangono in circolo;inizialmente l’adiuvante era pari a 12
cicli, di cui ogni ciclo di 21-28gg , per cui il pz era sottoposto nell’arco della sua vita ad una terapia
per 1 anno, per portare a galla le micrometastasi.
In seguito ci si è resi conto che si aveva la capacità di aumentare questi dosaggi per sfruttare al max
queste cinetiche di distruzione,e quindi la terapia adiuvante poteva essere data con solo 6 cicli, da
12 a 6, perché sfruttando il max dei farmaci, si può ridurre il numero dei cicli. In tal modo si ottiene
lo stesso risultato, ossia controllo delle micrometastasi,ma si riduce anche la potenzialità tossica che
i farmaci hanno se ripetuti per 12 volte nell’arco di 1 ann;, inoltre poiché si dà il CNF o
ciclometotrexate-5fluorouracile, questa polichemioterapia ha in sé anche la ciclofosfamide
alchilante, che è carcinogeno in quanto, essendo alchilante, provoca mutazioni; infatti pz sottoposti
a CNF, dopo 20 anni andavano incontro a secondi tumori ossia leucemie sviluppate come
conseguenza tardiva di tossicità da farmaci, perciò tumori iatrogeni.
Quindi con i nuovi protocolli è stata ridotta anche questa possibilità ,o meglio la si sta riducendo,
visto che questa logica è stata adottata recentemente, per cui gli studi attuali sono tesi a poter
utilizzare sempre meglio i farmaci, cercando di ridurre la resistenza e guarire i pz ; abbiamo potuto
raggiungere questi obiettivi grazie al fatto che con l’intensità di dose, abbiamo potuto dare dosaggi
pieni di farmaci, impedendo anche l’acquisizione di cellule sempre più resistenti, perché se
riducevamo la quota del farmaco, selezionavamo sempre più cloni resistenti.
I dosaggi pieni possono essere dati sempre nel rispetto del recupero midollare, senza il quale
possiamo operare creando problemi al pz o non possiamo far nulla.
Quindi la polichemioterapia è superiore alla monoterapia in quanto , quando avevamo a
disposizione i primi farmaci molto validi, conoscendo e praticando poco questi concetti biologici
per paura, utilizzavamo un solo farmaco, ma poi si è visto, con la conoscenza biologica e con
l’acquisizione di nuovi farmaci, che hanno rivoluzionato le risposte biologiche,che vi è la possibilità
di inserire in clinica la polichemioterapia, ossia più farmaci attivi su un tumore. Questo è studiato a
livello preclinico, su modelli, su cui i farmaci hanno dato risposte complete, associati in maniera
uguale perché ugualmente attivi su quel tipo di tumore, e non cross resistenti ossia in grado di
tenere a bada la quota resistente e quella sensibile ed anche di tenere sotto controllo le resistenze de
novo, permettendo alla cellula di non riprodursi in maniera efficace, abbassandone il ritmo di
produzione.
Riducendo quest’ultimo, si riduce anche il ritmo di mutazione e quindi di resistenza.
Prima iniziamo la chemioterapia, prima gestiamo tumori piccoli, prima troviamo cinetiche
proliferative dinamiche e prima possiamo sfruttare l’ingresso in clinica di farmaci fase-specifici,
differenti dai ciclo-specifici, usati quando la nassa è maggiore;i fase-specifici funzionano quando
sono somministrati non a dose singola ma ripetuti nell’arco della polichemioterapia, secondo la
sequenzialità ossia chemioterapia fatta a cicli di 21-28 gg, ripetuti con sequenza,CNF ripetuto per 6
volte oppure alternante ossia CNF alternato ad adriamicina-bleomicina o adriamicina- vinblastina.
Tutto ciò si fa per cercare di bloccare cloni resistenti , alternando più farmaci attivi, che hanno
meccanismi diversi e che bloccano la cellula in più punti critici per ogni ciclo cellulare.
Vi è una situazione teoricamente destinata a manifestare ricaduta dopo terapia loco-regionale ossia ,
quando parliamo dei microfoci che residuano dopo exeresi chirurgica di una massa clinicamente
manifesta, con riferimento a diagnosi di cancro con 10 alla 9° cellule, con metastasi regionale, ex un
k mammario che ha dato metastasi al linfonodo ascellare,ma senza metastasi a distanza, con
malattia limitata inferiore a 2 cm di diametro, eseguiamo una quadrantectomia.
Questa consiste in una resezione radicale della massa primaria clinicamente evidente e del
linfonodo ascellare interessato; facciamo in seguito la chemioterapia adiuvante in modo da tenere a
bada le micrometastasi perché sappiamo che, quando il tumore è clinicamente manifesto, 10 alla 9°
o 1 miliardo di cellule e 1 cm di diametro, è anche un tumore biologicamente vecchio, con
micrometastasi per via ematica e / o linfatica.Quando , a livello microscopico di malattia subclinica,
lasciamo bassi residui pari a 10 alla 3° o 1000 cellule, queste contengono un numero stimabile di
cellule resistenti ad un farmaco pari a 0 ,ossia su 1000 cellule il residuo tumorale resistente ad un
farmaco non esiste e se non esiste un clone resistente ad un farmaco, a maggior ragione non ne
esiste uno resistente a due farmaci.In questa situazione favorevole è sufficiente un solo farmaco per
il microresiduo; se, invece, il microresiduo è di media entità e contiene una massa pari a 10 alla 4°7° , dentro di sé ha già un numero di cellule resistenti stimabile pari a 10 alla 2° o 100 ad un
farmaco, ma non contiene nessun clone resistente a due farmaci, quindi in questo caso il clone
neoplastico è tenuto a bada da 2 farmaci.
Se la massa residua è pari a 10 alla 8°, ha un numero stimabile di cellule resistenti pari a 10 alla 5° o
10000 cellule , tra cui un clone resistente ad un farmaco e anche cloni resistenti a più farmaci, per
cui devono essere inseriti più di tre farmaci, e questa polichemioterapia di solito si fa con le
leucemie e con i tumori solidi , secondo uno schema sequenziale, ad ex CNF seguito da altri
farmaci diversi e più potenti, con lo scopo di bloccare tutte queste resistenze; un’alternativa è la
terapia simultanea, quando vengono dati più farmaci insieme ma comunque sequenziale o in
maniera alternata, per guarire sempre più il pz portatore di micrometastasi.Un ex di terapia alternata
è MOPP_ABVD per il linfoma di Hodgkin.
In clinica possiamo avere la situazione in cui il pz è portatore di malattia localmente avanzata ,
massa molto grande, per cui facciamo terapia per cercare di ridurla e possiamo da massa di 10 alla
12° iniziare a vedere come il pz usufruisca della terapia, per distruzione di cellule sensibili, con
conseguente risposte obiettive; dopo 3 cicli di terapia il pz ha una remissione completa e quindi
sospendiamo la terapia, mentre un tempo si faceva il consolidamento ossia si davano 3 cicli per fare
in modo che il pz , avuta la remissione completa, la prolungasse nel tempo con somministrazione
degli stessi farmaci per un ulteriore periodo.Poi si è visto che non solo il consolidamento era inutile,
ma in alcuni tumori solidi creava maggior resistenza, per cui una volta che il pz ha usufruito della
terapia, questa si interrompe e si controlla con il follow-up. Dopo 5-6 mesi la malattia riprende
quota in quanto, inizialmente erano state fatte fuori le cellule sensibili, la quota resistente era stata
ridotta a livelli subclinici, però quest’ultima aveva ripreso la sua crescita con progressione della
malattia. In questa situazione, se noi diamo uno o più farmaci che inizialmente avevano dato una
risposta, non è detto che questi rifunzionino come è accaduto la prima volta, perché in questa
circostanza si è sviluppata una resistenza che non necessariamente può essere superata dalla stessa
terapia, dal momento che proprio durante il suo corso ed in modo subdolo si è selezionata.
Altra situazione è quella in cui il pz che parte da una condizione di 10 alla 11° fa chemioterapia
sistemica e ad un’iniziale risposta senza sospensione , anzi con 2 ulteriori cicli fatti dopo la risposta,
fa seguito la ripresa del tumore, proprio quando la terapia appariva efficace; in questo caso è inutile
insistere, sospendiamo la terapia, per la resistenza che si è selezionata e dobbiamo introdurre un
farmaco nuovo, in quanto la progressione della malattia si è verificata durante la somministrazione
di questi farmaci, che quindi in quel pz devono essere sospesi.
Se la resistenza si è sviluppata dopo la sospensione del farmaco, questo può essere nuovamente dato
in quanto la situazione è favorevole all’attività ripresa del farmaco, contrariamente a quanto accade
quando la progressione di malattia si ha durante la terapia, per cui si sospende il farmaco e se ne dà
uno differente.
In una terza situazione il pz è portatore di una massa che , a seguito di 3 cicli di chemioterapia, si
riduce e poi al 4°-5° ciclo scompare con remissione completa;quindi la massa è scomparsa sotto
l’azione di quella polichemioterapia, che ha tenuto a bada sia la resistenza sia la sensibilità, in modo
duraturo con 11 mesi di intervallo libero da malattia, anche grazie ad un sistema immunitario molto
forte, mentre nei casi precedenti il sistema immunitario non è riuscito a fare il suo corso , spt nel pz
che aveva iniziato ad avere risposta durante la somministrazione dei farmaci.
La quarta situazione è quella più felice, in cui in condizione post-terapia loco-regionale,si fa terapia
adiuvante su malattia micrometastasica, che può essere controllata se anche il sistema immunitario
lo permette.
Dalla biologia all’uomo:
Nell’uomo ci troviamo nella fase preclinica o subclinica ossia tumore piccolo, ex un k polmonare
che ancora non è manifesto e non palpabile, asintomatico, quindi una massa micrometastica con 10
alla 6° cellule, pari ad 1 mm di diametro o 20 duplicazione o massa di 10 alla 8° o 0,5 di diametro
con 27 duplicazioni; questa fase non palpatoriamente evidente può essere evidenziata con i raggi
X,per ex un K duttale.
Nella fase clinicamente manifesta ma ancora resecabile, possiamo intervenire con la chirurgia o con
la chemioterapia primaria, dove il chirurgo non se la sente di intervenire subito in maniera radicale,
riducendo la massa con la terapia e intervenendo sulla massa residua successivamente con l’exeresi.
In questo caso si ha una massa da 10 alla 9° cellule o 1 cm di diametro o 30 raddoppi; sempre nella
fase di resecabilità chirurgica , se la massa non è riconosciuta,si hanno 10 alla10° cellule o 8 cm di
diam o 32 raddoppi con metastasi regionali o iuxtaregionali e può essere controllata con la terapia
adiuvante o neoadiuvante o con la radioterapia.
Nella fase localmente avanzata o clinicamente metastatizzata si giunge se per negligenza il clinico
non riconosce le fasi precedenti, nonostante le possibilità diagnostiche di immaging che può rilevare
tumore di 30 cm di diam o 10 alla 11° cellule o 35 raddoppi; se questa fase non è riconosciuta, con
ulteriori 5 raddoppi la massa è composta da 10 alla 12° cellule o 1 Kg di peso o con ulteriore
progressione si arriva a 10Kg o 10 alla 13° cellule ,con massa talmente diffusa a tutto l’organismo
che possiamo intervenire con radio o con chemioterapia o con la chirurgia, ma in modo palliativo,
non a scopo curativo ma solo per palliare i sintomi, per diagnosi tardiva.
Da ciò l’importanza di fare diagnosi precoce, in fase preclinica con l’ausilio della radiologia, dopo
il riconoscimento di sintomi vaghi che però inducono alla ricerca della neoplasia; per cui se anche
all’inizio della fase clinica non riconosciamo la massa di 1 cm di diam, diamo il via alla cascata di
duplicazioni per cui il tumore arriva a 1-10 Kg e quindi la malattia è non più resecabile, localmente
avanzata o metastatica a distanza, anche se può essere ridotta con i farmaci, mentre in passato
quando si faceva diagnosi di metastasi, il pz dopo 3 mesi moriva.
Oggi grazie al platino, ai taxani possiamo permettere a questi pz di vivere più a lungo, anche per
mesi, ma spt vivere meglio con una migliore qualità di vita.
Nella fase clinicamente manifesta si fa diagnosi di massa di 10 alla 9° o 30 raddoppi e dopo
un’attenta stadiazione si indirizza il pz dal chirurgo, il quale può eliminare la massa o il linfonodo
regionale , operando successivamente con la chemioterapia adiuvante ; poiché troviamo cinetiche
favorevoli in micrometastasi, a crescita esponenziale, con cellule in ciclo ed intervalli di
duplicazione molto brevi,con la polichemioterapia guariamo il pz.Se saltiamo questa fase il tumore
cresce, le duplicazioni rallentano perché molte cellule vanno in G0, il tempo di raddoppio è
prolungato, molte cellule sono a bassa frazione di crescita e quindi molto tumore è in necrosi, per
cui la chemioterapia adiuvante può anche non essere efficace, di conseguenza si può solo ridurre la
massa e poi intervenire con una chirurgia conservativa, con miglior qualità di vita.
Se si arriva a massa di 10 Kg con metastasi a distanza, bisogna iniziare subito con la chemioterapia
per cercare di ridurre la massa ed eventualmente anche con la radioterapia e con la chirurgia, ma in
questa condizione non guariamo il pz, come invece possiamo fare nella fase preclinica.
La cell kill hypothesis è la teoria dell’azione logaritmica con cui i farmaci uccidono da 2 a5 log; in
clinica porta a 2 importanti concetti : la completa eradicazione del tumore è possibile solo con
l’impiego delle dosi max dei farmaci attivi tollerate da parte dell’ospite, ripetute fino alla completa
distruzione dell’ultima cellula neoplastica;l’ingerenza nella clinica è di questi cicli ripetuti con lo
scopo di bloccare sempre più la cellula mutante e resistente , inoltre la chemioterapia deve essere
iniziata il più precocemente possibile.
In clinica iniziamo la terapia un mese dopo un intervento chirurgico radicale della malattia iniziale
,in quanto aspettiamo che sia finita la cicatrizzazione perché i chemioterapici mettono a repentaglio
l’efficacia del processo cicatriziale e quindi iniziando precocemente la terapia e a dosi piene,
possiamo eradicare la malattia.
Le implicazioni terapeutiche del modello di Coldie e Coldman sulla resistenza consistono nel fatto
che prima iniziamo la terapia e prima riduciamo l’entrata in atto di più cloni resistenti e l’impiego
contemporaneo di tutti i farmaci più attivi e più potenti , non cross resistenti, con chemioterapia
ciclica alternato-sequenziale, con lo scopo di bloccare l’insorgenza della resistenza.
DOSE INTENSITY DI
Per intensità di dose si intende la dose massima tollerata dall’ospite, somministrata nel più breve
intervallo possibile, una settimana, anche con l’aiuto del supporto di fattori ematopoietici.Il 50%
degli incrementi max della dose tollerata dall’ospite porta ad una terapia ad alte dosi, che quindi è
il 50-100% della dose intensity, che corrisponde alla dose di farmaco data in mg/m2 per altezza e
superficie corporea, somministrata nell’unità di tempo, T , espressa in settimane.Quindi la TD=
DI/T in cui la TD è la dose totale di farmaco.I fattori che definiscono la DI sono: la dose totale e la
durata del trattamento.
Se un pz ha ricevuto 2000mg di ciclofosfamide, alchilante dato in quasi tutti i tumori solidi e in
molte leucemie, farmaco pilastro come il platino e i taxani,data ogni 6 settimane per un totale di 6
cicli consecutivi, la TD della ciclofosfamide è di 12g/m2, la DI è 400mg/m2/settimana , pari a
12000mg/m2/30 settimane; quindi la DI è data per 6 cicli ogni 3 settimane , con 1°
somministrazione di 2000mg alla 1° settimana, con la 2° di 2000 mg dopo 6 settimane, con la 3° di
2000 mg alla 6° settimana, con la 5° di 2000mg dopo 6 settimane e la 6° di 2000mg alla 6°
settimana e qui si conclude il ciclo.
Il risultato sono 6 somministrazioni di 2000mg/m2 cioè 12mg/m2/5settimane, ma prima della
scoperta della DI si davano anche 30mg/m2 ogni volta, mentre oggi usiamo dosaggi alti per
sfruttare l’azione killing del farmaco ; se diamo il 50-100% del dosaggio di base , arriviamo alla
terapia ad alti dosaggi, la quale induce l’aplasia midollare , che richiede la reinfusione di cellule
staminali.
Quindi diamo dosaggi esasperati per bloccare le cellule neoplastiche, quando ciò accade facciamo
l’aferesi delle cellule periferiche che crediamo essere già state ripulite da alti dosaggi e le
reinfondiamo attraverso l’uso delle IL che riattivano le cellule staminali, le quali fanno in modo che
riattecchiscano le cellule normali dell’organismo in grado di tenere a bada le cellule tumorali.
TOSSICITA’ DA CHEMIOTERAPICI
Tutti i farmaci antitumorali, a differenza di quelli antibiotici, non colgono differenze qualitative sui
loro bersagli e quindi mancano di specificità: gi antiblastici, mancando di specificità, eliminano le
cellule tumorali ma anche le cellule sane che hanno un turnover rapido, quali quelle del midollo,
gastroenteriche,con mucositi che possono indurre gastroenteriti, esofagiti, emorragie , necrosi, della
cute e degli annessi piliferi, dell’apparato riproduttivo; ciò spiega come la chemioterapia dia queste
tossicità che sono generali per quasi tutti i farmaci e secondo gradi diversi , dal momento che il
farmaco deve bloccare queste cellule tumorali nella radice del suo DNA.Per risolvere il problema
delle cellule riproduttive se ne fa il prelievo con la banchizzazione degli spermatozoi e degli ovuli,
mentre, se si esaspera l’aplasia midollare, si interviene con i fattori di crescita, i quali, però, non
sempre possono essere dati,per cui bisogna attendere i tempi di recupero del midollo.
Una singola cellula tumorale che sopravvive al trattamento può dare origine ad un nuovo clone
letale e quindi è indispensabile, ai fini del successo della terapia, il contributo del sistema
immunitario, che può essere rafforzato dall’esterno; in tumori del colon, del rene, melanomi,che
risentono molto del s. immunitario, possiamo operare con immumoterapie per rinvigorire le cellule
immunitarie, in grado di garantire il successo e l’azione killing della chemioterapia.
Quindi il killing segue una cinetica di 1° ordine e tutti i farmaci antitumorali sono caratterizzati da
una tossicità comune e aspecifica che non risparmia i tessuti sani e labili.
Tutti i farmaci devono essere dotati di parziale efficacia durante la combinazione ossia i farmaci
vengono combinati solo dopo essere stati saggiati con modelli sperimentali nelle fasi clinicofarmacologiche, fasi 2-3; vengono scelti farmaci in base alla loro azione killing, saggiata su prelievi
di cellule prelevate dal pz malato durante il trattamento, saggiate in provette o su piastre di petri,
con i farmaci, i quali, se creano delle risposte complete o parziali in situ ,inducono apoptosi e
possono essere utilizzati in clinica; il saggio può essere fatto anche in tumori trapiantati nel topo,
come definito dallo Skipper.In fase 3 vengono utilizzati prevalentemente i farmaci associati che
hanno dato risposte complete.Quando sono disponibili farmaci diversi di una stessa classe, la scelta
cade sul farmaco la cui tossicità non si sovrappone a quella degli altri, così facendo un organo non
diventa bersaglio tossico della terapia, perché lo scopo è di distruggere le tumorali e preservare le
cellule normali e l’integrità degli organi vitali, anche in funzione non solo delle tossicità generali e
aspecifiche comuni ai farmaci ma anche quelle specifiche, ex le antracicline e il metroxantone sono
cardiotossiche, l’antimetabolita è nefrotossico come il platino, la bleomicina è pneumotossica, come
il busulfan.
IL RECUPERO MIDOLLARE
Le combinazioni di farmaci dovrebbero essere somministrate ad intervalli adeguati di cicli, scanditi
dal recupero del midollo osseo, con polichemioterapia sequenziale o alternante ciclica.
Non sempre si esasperano i dosaggi, alte dosi, dei farmaci fino ad indurre aplasia midollare,ma la
chemioterapia oggi utilizzata segue il concetto della DI, scandita dal recupero del midollo osseo.
Fortunatamente il modello di recupero di un bersaglio normale è uniforme ossia, facendo
riferimento al midollo osseo, questo ha un compartimento di deposito che può rifornire di cellule
mature il sangue periferico, 8-10 gg dopo che il pool di cellule staminali ha cessato di funzionare;
questa è una legge base del midollo, il quale ha un minimo del 5% di cellule statiche in G0,e che,
ogni volta che il midollo ha bisogno di recuperare, rimette in attività questa piccola frazione di
crescita, alla base dell’omeostasi del midollo e che non va incontro all’instabilità genetica, che
invece caratterizza il tumore, con molte cellule in frazione di crescita.Quindi, quando durante la
terapia, ogni 6-8 gg viene fatto un prelievo di sangue, questo rispecchia una situazione periferica
che si è verificata 8-10 gg prima a livello centrale, ossia cellule mature vecchie di 8-10 gg rispetto
al pool midollare, che è fermo, fino a che non è rimesso in attivo e ciò che in esso accade 8-10gg
prima o che ancora sta accadendo.
Quando iniziamo qualsiasi polichemioterapia creiamo una piastrinopenia, leucopenia in 9-10gg, che
si evidenziano a livello periferico in 9°-10° gg dopo una dose iniziale e che hanno un nadir tra il
14°-18° gg.Per nadir si intende che la leuco-piastrinopenia, evidenziabile in 9°-10° gg arriva al
picco max in 14°-18° gg e impiega altri 7-8 gg per cercare di recuperare, cioe in 21°-28° gg si ha il
recupero della tossicità midollare e tale recupero 21-28 giustifica il perché si danno cicli di chemio
in 21°-28° gg.In clinica usiamo un secondo dosaggio di un 1° ciclo, in 8° gg, per ex la
ciclofosfamide prima si dava 14 gg per os, oggi il CNF è dato con 1° dosaggio al gg 1, con 2°
dosaggio in 8° gg; ciò sembra contraddittorio in quanto, sapendo che la leuco-piastrinopenia
iniziano in 9°-10° gg, se diamo in 8° gg turbiamo l’equilibrio midollare, ma lo facciamo
modestamente perché sappiamo che il nadir avviene in 14°-18° gg ma non possiamo contare su quel
recupero che viene a cascata dalla riserva.
Noi monitoriamo a livello periferico in 7°-8° gg ciò che è accaduto precocemente a livello
midollare e ciò ci interessa perché sappiamo che poi c’è il recupero, su cui contiamo e che avviene
sempre, a meno che, in maniera distratta per errore di calcolo o per varie necessità non rispettiamo
questi tempi, inducendo delle tossicità.
Quando vogliamo dare alti dosi di 50-100% della DI induciamo aplasia midollare volontariamente
perché vogliamo distruggere cellule midollari, sede di metastasi di K della mammella, del
microcitoma, di leucemie , con risparmio della piccola quota staminale, la quale pur piccola e ben
conservata riprende il suo cammino e non si lascia mutare; inoltre interveniamo con i fattori di
crescita che inducono il midollo a riprendersi da questi colpi tossicologici indotti dall’esterno, che
non rispettano i ritmi biologici del turnover midollare.
Quando arriviamo al nadir o punto max della tossicità midollare abbiamo una conta leucocitaria < a
500/mm3 e sappiamo che la mielotossicità dura solo per 7 gg, per il conseguente recupero anche
spontaneo, a seguito alla DI; ciò è più difficile nel pz molto anziano o compromesso per cui deve
essere aiutato con i fattori di crescita.Quindi cerchiamo di rispettare la mielodepressione indotta
,perché le riserve midollari in pz sani, pur malati di cancro, sono sempre in atto, grazie alla piccola
quota del 5% di cellule in G0, che tornano in G1 senza mutare.
Ciò si verifica per i tumori solidi per cui possiamo dare dosaggi ogni 21-28gg perché tali tumori
hanno una cinetica più lenta rispetto alle leucemie.
Quando il bersaglio della chemio è il linfoma o la leucemia e quindi il midollo osseo, che è
interessato ab initio, per cui non è possibile aspettare intervalli di 21-28gg per dare alti dosaggi tra
un ciclo e l’altro, dobbiamo alternare, per ex nell’Hodgkin con il MOPP-ABVD,farmaci che devono
distruggere cellule tumorali rapide nella loro formazione come il MOPP, per cui non aspettiamo
21-28gg per il 2° ciclo , ma interveniamo con ABVD che non sono tossici per il midollo.
Facciamo in modo che la chemio uccida le cellule tumorali ma risparmi quella quota di risorsa, 5%
midollare di risorsa in riposo, che garantisce l’omeostasi e che è conservata da ABVD ossia da
farmaci non eccessivamente tossici e quindi in grado di garantire il recupero midollare, dopo
l’aplasia indotta dal MOPP.Alterniamo un farmaco che uccide il midollo nella frazione tumorale ed
uno che tenga a freno la riserva per assicurare il recupero delle cellule normali.
Ci sono altri farmaci che possono preservare il recupero midollare quando curiamo i linfomi, quali
l’asparaginasi, la bleomicina, che fa parte dell’ABVD, il metotrexate ad alte dosi con i fattori di
crescita o i cortisonici, per conservare quella quota del 5% di recupero per il midollo che ha subito
un insulto.
Ciò che scandisce l’ingresso in clinica dei farmaci ed il recupero midollare è anche il tipo di
tossicità che i farmaci antineoplastici danno con una curva di gravità ed intensità differenti: di
grado 0, 1, 2.
Grado 0: i farmaci non hanno inficiato l’attività del midollo e le piastrine e i leucociti, più
danneggiati di norma, rimangono nei limiti normali;per mielotossicità ci riferiamo a leuco-
piastrinopenia e a neutrofili che cadono, ma non si ha anemia in quanto la tossicità midollare ha
questa scaletta: la 1° cellula danneggiata è il GB con leucocitopenia, perché questo ha emivita di 57 ore, la 2° cellula è la piastrina con emivita di 6-7 gg con piastrinopenia, la 3° cellula è il
neutrofilo, sottopopolazione dei GB , fino a < 500/mm3 per cui si hanno infezioni che richiedono la
copertura antibiotica e/o antimicotica.
Non compare l’anemia perché il GR ha emivita di 120gg e quindi non ci preoccupa;ciò che la
scandisce la mielotossicità da antiblastici sono le prime 3 cellule, leucociti, piastrine e neutrofili,
toccati , in base alla loro emivita, in vari gradi di tossicità.
La tossicità più alta è quella di grado 2 in cui i leucociti sono < 2500, le piastrine< 75000 , i Gb <
1500/mm3.Quando si ha questa conta cellulare, per cercare di rispettare il midollo con farmaci a
dosaggio pieno, se questi valori bassi si hanno in 7° gg, la terapia si sospende; si attende un’altra
settimana di recupero e se dopo 14gg il recupero è avvenuto, si dà o dosaggio pieno o ridotto; se
dopo 14gg il midollo non recupera, perché danneggiato da dosaggi errati o perché il pz ha altri
problemi, si blocca la terapia; quindi si aspetta di 7 in 7 gg che ci sia l’intervallo libero in cui il
midollo recupera.
Il grado 0 significa che i farmaci non hanno dato tossicità, 1°-2° grado che quasi tutti gli
antiblastici danno una tossicità rapida il cui nadir è in 8-10 gg con recupero in 21-28gg, però alcuni
farmaci quali le nitrosuree, il melfalan, la dacarbazina, la procarbazina, la mitomicina, quasi tutti
alchilanti, danno tossicità midollare di tipo ritardato, con un doppio nadir. Infatti hanno un nadir
di lieve entità in 14° gg, come gli altri, e un altro picco o nadir più grave in 4°-5° settimana e in
questo caso il recupero arriverà in 6°-8° settimana; quindi quando usiamo terapie con questi farmaci
dobbiamo iniziare la terapia non dopo 21 gg, ma dopo il doppio ossia 6°-8° settimana, per effetto
del doppio nadir che rispecchia la logica del ritmo midollare.
Di conseguenza questa tossicità, che si distingue da quella rapida o precoce di alcuni minuti o ore
dopo la somministrazione del farmaco ,è di tipo ritardato per il doppio nadir, con un recupero
slittato in 6°-8° settimana, che va monitorato con doppi prelievi.
Quindi al gg1 dell’inizio della terapia , al gg 8 , al gg 21 e al gg 28 ripetiamo i prelievi per valutare
il grado di tossicità, se possiamo ridare il farmaco a dosaggio pieno o se dobbiamo attendere.
TALIA