Prefazione
Quante delle diecine di liberalizzazioni di sistemi finanziari nazionali
avvenute negli ultimi trent’anni si sono realizzate senza innescare crisi
finanziarie più o meno gravi? La casistica è ormai tanto ampia da
permetterci di rispondere portando una lista veramente esigua di
esempi. E quel che risalta è che la gran parte delle liberalizzazioni
ha avuto appunto luogo dopo la fine del sistema di Bretton Woods,
quando il prevalere dei cambi fluttuanti e il formarsi di un mercato
finanziario internazionale al di là e al di fuori dei controlli di qualsiasi istituzione nazionale o internazionale hanno trasformato in valanga qualsiasi piccolo movimento di capitali da o per un singolo paese
e permesso arbitraggi internazionali di sempre più smisurata ampiezza.
La liberalizzazione di sistemi finanziari nazionali di paesi che partecipano cospicuamente al commercio internazionale delle merci è divenuta in tal modo un percorso obbligato, indipendentemente dai
desideri delle singole autorità economiche nazionali. Poiché esportatori e importatori possono in pratica decidere, nonostante tutti i divieti più rigidi, dove tenere le somme coinvolte nelle loro operazioni
con l’estero, alle autorità nazionali non resta che decidere, se ci riescono, al massimo i tempi delle politiche di liberalizzazione dei sistemi finanziari interni e di sperare di portarle a termine senza che i
mercati prendano loro la mano, scatenando un effetto-valanga che
ineluttabilmente conduce ad una crisi finanziaria.
Tra gli episodi più eclatanti di liberalizzazione finanziaria seguita da crisi si sono potuti certamente contare, nell’ultimo decennio, quelli che hanno investito i paesi dell’Asia, anche i più importanti tra essi, come il Giappone e la Corea del Sud. Benché si tratti
di terre lontane, ad esse siamo legati da correnti gigantesche di
commercio e, per quanto riguarda il Giappone, nell’ultimo decennio anche i nostri mercati sono stati fortemente condizionati dalle
politiche monetarie della Banca del Giappone, che hanno immesso
sul mercato finanziario internazionale o ritirato da esso masse enor11
LIBERALIZZAZIONI E CRISI FINANZIARIE
mi di capitali influenzandone in maniera assai significativa il funzionamento.
È dunque molto utile poter disporre di una analisi dello svolgersi degli episodi di liberalizzazione e crisi – che hanno avuto luogo in
Corea del Sud e Giappone in anni recenti e recentissimi – puntuale
e perspicua come quella che in questo volume svolge Domenica Tropeano. Essa non si limita ad utilizzare con molto critico discernimento tutta la migliore letteratura internazionale che su questi argomenti si è venuta accumulando, ma contribuisce con una analisi
originale di dati a fare luce su alcuni snodi essenziali degli episodi
studiati. Da questi contributi vengono chiarimenti non trascurabili
su alcuni importanti dibattiti relativi non solo alle modalità in cui gli
avvenimenti studiati si sono svolti, ma anche su rilevanti dispute teoriche relative alla struttura ed evoluzione dei sistemi finanziari.
Si prenda, ad esempio, l’interpretazione della crisi finanziaria ed
economica che ha investito il Giappone all’inizio dello scorso decennio e che non accenna a risolversi. La ricostruzione che in questo
volume si fa dei bilanci delle banche giapponesi e dei flussi finanziari di quel paese nell’ultimo decennio serve a chiarire in maniera persuasiva e definitiva il ruolo di protagoniste che, nella crisi bancaria
nipponica, hanno avuto e tuttora hanno le partecipazioni azionarie
in società quotate in borsa che le banche giapponesi detengono e
che costituiscono parte cospicua del loro capitale. La politica monetaria restrittiva inaugurata dalla Banca del Giappone nel 1990, facendo esplodere la bolla speculativa che si era andata gonfiando negli
ultimi anni Ottanta nel mercato di borsa e in quello immobiliare
giapponese, ha portato, insieme alla riduzione drastica dei corsi delle azioni, anche la caduta del valore di quelle detenute in portafoglio dalle banche e quindi del capitale delle medesime, proprio quando il Concordato di Basilea del 1988 imponeva una assai maggiore
capitalizzazione alle stesse banche. Nella impossibilità di ricapitalizzarsi, le banche hanno dovuto tagliare rapidamente e profondamente il proprio attivo, riducendo fortemente il credito alle imprese. Della
dinamica di tali avvenimenti in questo libro si dà conto preciso con
una incontrovertibile analisi empirica che costituisce una novità assoluta e che permette di assegnare senza difficoltà a questa variabile
la parte maggiore delle responsabilità nella lunga deflazione finanziaria giapponese, contrapponendosi ad interpretazioni alternative che
hanno finora dominato il campo e che escono notevolmente ridimensionate dall’analisi empirica condotta dall’autrice.
Si chiarisce inoltre come allo scatenarsi iniziale della deflazione
degli attivi bancari siano seguite conseguenze sempre più gravi, con
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PREFAZIONE
la perdita di fiducia del pubblico nelle banche, il rarefarsi dei depositi (indotto dallo spostarsi dei risparmiatori verso il risparmio postale garantito dallo Stato), il gonfiarsi del debito pubblico a causa
delle politiche di spesa pubblica messe in atto dai governi giapponesi, e l’assorbimento più o meno forzato di tale debito da parte delle
banche, che ne hanno tratto ragione ulteriore di riduzione dei crediti alle imprese.
Quest’ultimo decennio di storia finanziaria giapponese viene quindi a somigliare ad una combinazione di storia finanziaria italiana degli
anni tra le due guerre e degli anni Settanta e Ottanta. Al di là delle
somiglianze con gli sviluppi di casa nostra, in questo libro si confrontano gli eventi del Giappone con quelli della vicina Corea del
Sud, tanto fortemente influenzata dalle politiche del potente vicino
ed ex-dominatore coloniale e pure, fortunatamente, assai diversa nel
proprio destino finanziario ed economico da mostrare una capacità
di ripresa – dopo la crisi seguita alla liberalizzazione finanziaria –
assai maggiore rispetto a quella dell’economia nipponica. Nelle pagine che seguono si mettono bene in luce le differenze più importanti
tra la vicenda finanziaria coreana e quella giapponese: innanzitutto
l’assenza di una bolla speculativa di borsa in Corea, che ha impedito
alle banche di quel paese di soffrire le conseguenze della successiva
deflazione dei valori di borsa sul proprio capitale e quindi sui propri prestiti. Ma anche una diversa configurazione della struttura finanziaria, che ha goduto dei vantaggi di una relativa arretratezza
industriale rispetto al Giappone e di una assai maggiore capacità di
adeguare il tasso di cambio alle necessità dell’industria nel far fronte
alla crisi del mercato dei componenti elettronici.
È motivo di orgoglio per la nostra professione che giovani economisti italiani si siano in questo decennio posti alla frontiera della ricerca anche in questo campo di analisi in cui nemmeno la documentazione statistica è particolarmente agevole, per non parlare delle
conoscenze istituzionali. Abbiamo visto infatti un bel saggio di Roubini, Corsetti e Pesenti autorevolmente inaugurare il dibattito sulle
modalità della crisi asiatica subito dopo il suo verificarsi. Ad esso sono
seguiti altri contributi altrettanto significativi di nostri giovani studiosi. Nel loro solco si colloca questo libro di Domenica Tropeano, che
ha il merito ulteriore di essere il frutto di ricerche condotte privatamente e in Italia, senza il vantaggio dei potenti mezzi e delle splendide opportunità di studio offerte dalle grandi organizzazioni economiche internazionali e dalle illustri università anglo-americane.
MARCELLO DE CECCO
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