RIASSUNTO DELLA TESI Nome e cognome: Gordana Kocevski Matricola: 51436 Titolo della tesi: La recente evoluzione del sistema bancario giapponese Relatore: Prof. Francesco Arcucci Anno academico: 2007/2008 Il Modello economico giapponese, basato sul dirigismo economico e stretti legami ed interdipendenza tra stato, banche ed industria, è stato considerato dagli studiosi di tutto il mondo un banchmark assoluto sino all’inizio degli anni Ottanta. Dalla metà degli anni Cinquanta fino alla metà degli anni Sessanta, il Paese del Sol Levante aveva infatti vissuto una crescita tumultuosa ed era riuscito a conquistare lo status di seconda potenza economica mondiale, di grande esportatore e di primo creditore mondiale. Un elemento fondamentale del modello tradizionale è stato il Main Bank System, ossia il sistema di legami duraturi tra una banca e una grande impresa, basati sul rapporto di indebitamento e sulle partecipazioni azionarie incrociate. Il successo di tale sistema è stato garantito dalla sopressione del ruolo dei mercati di capitali nel finanziamento dei progetti di investimento dell’industria e dalla forte regolamentazione statale del sistema finanziario, basata sulla rigida segmentazione del settore finanziario, sul controllo dei tassi di interesse sui depositi e sull’isolazionismo internazionale dei flussi di capitale. Non sorprende perciò che le rendite create da regolamentazione e un consistente e sicuro portafoglio clienti corporate abbiano permesso alle banche nipponiche di seguire una strategia di espansione del business a bassi margini di profitto e di collocarsi all’inizio degli anni Ottanta nelle prime posizioni della classifica delle più grandi e potenti banche del mondo. Il “sistema Giappone” ha infatti svolto negli anni Ottanta tre cruciali funzioni nel sistema finanziario internazionale: utilizzava i propri avanzi finanziari per coprire i disavanzi di altri paesi, in particolare degli Stati Uniti, diversificava gli investimenti finanziari per ridurre i rischi e intermediava tra le scadenze delle attività e passività finanziarie, trasformando l’indebitamento netto a breve nel credito netto a lungo termine. La sostenibilità del modelo tradizionale è stata tuttavia compromessa dal processo di internazionalizzazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari che ha portato alla liberalizzazione del mercato del credito e dei tassi di interesse in Giappone nel 1984. La liberalizzazione dei tassi di interesse sui depositi ha aumentato il costo di raccolta delle banche, mentre il crescente finanziamento delle grandi imprese attraverso i mercati dei capitali ha ridotto i loro portafogli di clienti tradizionali. Ne è conseguita l’erosione delle basi su cui poggiava il Main Bank System. In vista della riduzione delle rendite, le banche hanno incrementato le proprie esposizioni verso i settori più rischiosi quali il settore immobiliare, le piccole e medie imprese e le famiglie, concedendo i crediti garantiti solamente da proprietà terriere. Un’altro elemento che insieme alla deregolamentazione finanziaria ha posto le basi per la creazone delle bolla finanziaria sono stati gli Accordi del Plaza, consclusi nel 1985 tra il Giappone e gli Stati Uniti: gli Stati Uniti, nel tentativo di bilanciare forti disavanzi della propria bilancia dei pagamenti e di risolvere il problema di continuo 1 deprezzamento del dollaro nei confronti delle altre valute, hanno spinto il Giappone ad apprezzare la propria valuta nei confronti del dollaro. Per contrastare il prevedibile rallentamento dell’economia, le autorità giapponesi hanno adottato nel periodo 19861989 le politiche fiscali e monetarie espansive: l’eccessiva liquidità e la forte espansione della domanda di investimenti, insieme all’eccessiva offerta del credito bancario, destinato principalmente al finanziamento del settore immobiliare ed azionario, hanno spinto al rialzo oltre ogni ragionevole misura i prezzi della terra e delle azioni, dando vita alla cosiddetta “bolla speculativa”. Quando, nel 1989, la Banca del Giappone era intervenuta con una politica monetaria più restrittiva i valori delle attività immobiliari e mobiliari hanno iniziato una rapida discesa, culminata nei primi anni Novanta nello scoppio della bolla. La deflazione dei valori immobiliari e mobiliari si è trasmesso all’intera economia, innescando un pericoloso circolo vizioso “deflazione-rallentamentodeflazione”. La deflazione ha distrutto il valore delle garanzie immobiliari dei prestiti bancari e ha aumentato il costo reale dei prestiti, rendendo i debitori (le imprese) incapaci ad adempiere alla proprie obbligazioni. Tali fattori hanno dato luogo all’accumulo di un enorme ammontare di prestiti inesigibili nei bilanci delle banche che hanno eroso il loro capitale e le hanno costretto a tagliare le nuove linee di prestito. Di conseguenza, la capacità delle imprese di finanziarsi ricorrendo al credito è risultata gravemente compromessa, gli investimenti si sono ridotti e sono state avviate pesanti ristrutturazioni. Alcune imprese, in generale quelle di piccole e medie dimensioni, fortemente dipendenti dal credito bancario, fallivano in breve tempo. La crescente disoccupazione ed il clima di incertezza sul futuro hanno causato la contrazione dei consumi e l’aumento dei risparmi. La domanda interna si contraeva sempre di più portando l’economia in una gravissima recessione. Le inefficienti e tardive politiche macro-economiche perseguite da Governo nel corso degli anni Novanta non sono riuscite a fermare la deflazione, che continuava ad alimentare la stretta creditizia, la quale a sua volta alimentava la contrazione della domanda e così via in un ciclo apparentemente senza fine. Per tutti gli anni Novanta la risposta politica alla crisi economica e finanziaria è stata debole e contraddittoria, guidata prevalentemente da interessi delle lobbies finanziarie ed industriali e dalle esigenze di grandi attori economici mondiali quali gli Stati Uniti, piuttosto che da logiche di una sana ed equilibrata crescita orientata al mercato. Il Governo ha infatti tentato in più riprese a rivitalizzare l’economia attraverso gli interventi sulla spesa pubblica, ottenendo tuttavia risultati modesti ed aumentando pericolosamente il livello del debito pubblico (attualmente ancora il più elevato tra i paesi industrializzati). Le autorità hanno inoltre avviato, in più riprese, una serie di riforme per risolvere i problemi del settore finanziario, ma non sono state in grado di raggiungere risultati concreti. Una svolta significativa nella risoluzione delle crisi può essere considerato l’avvio, nel 2002, di una serie di riforme strutturali finalizzate alla risoluzione delle sofferenze bancarie, alla rivitalizzazione delle imprese produttive e al consolidamento fiscale. I primi risultati di tali misure si sono manifestati, seppur timidamente, nel 2003: l’economia giapponese ha registrato, dopo diversi anni, una apprezzabile crescita sostenuta dalle esportazioni e dagli investimenti produttivi. La ripresa economica è stata sostenuta dalla politica monetaria espansiva destinata a porre fine agli effetti corrosivi della dilagante deflazione e a riabilitare il funzionamento del suo principale canale di trasmissione, ossia del sistema creditizio. Il Governatore della Banca del Giappone, Toshihiko Fukui, ha imboccato la strada di una vera e propria pulizia dei bilanci delle banche. Tale intervento ha comportato una quasi completa eliminazione dei crediti inesigibili e notevole miglioramento della situazione patrimoniale delle 2 banche. I crediti bancari, in calo fino al 2005, hanno ripreso a crescere, torando al servizio delle imprese. Le imprese hanno beneficiato dai risultati delle ristrutturazioni e dalla ripresa economica, migliorando progressivamente le proprie performance e aumentando gli investimenti ed esportazioni. Se inizialmente la ristrutturazione delle imprese abbia comportato l’aumento della disoccupazione e la riduzione del reddito disponibile delle familglie, tale tendenza ora sembra cambiare la direzione. Il miglioramento della situazione patrimoniale delle imprese ha infatti comportato l’aumento dell’occupazione e timidi aumenti delle retribuzioni, e quindi dei consumi privati. La fase espansiva di crescita economica giapponese, in corso da cinque anni ad un tasso medio del PIL di circa il 2%, dapprima guidata dalle esportazioni, ora sembra sempre più guidata dalla domanda interna, ossia dagli investimenti del settore corporate e dai consumi. L’ ascesa economica unita agli sforzi delle autorità monetarie pare abbia messo fine alla settenale deflazione nel 2006. Questi eccellenti risultati della ripresa economica hanno contribuito alla diffusione della convinzione che dopo più di dieci anni il Giappone possa tornare ad essere un attore centrale del sistema economico globale. Tuttavia, alcuni problemi dell’economia giapponese permangono, e le loro gestione sarà cruciale per l’evoluzione del Paese, oltre che per supportarne il nuovo ruolo richiesto dalle dinamiche geopolitiche asiatiche e dalle forze della globlizzazione. Tra tali problemi si segnalano: l’esigenza di assicurare la definitiva conclusione della deflazione e sostenere la solidità del sistema creditizio e finanziario, il contenimento del debito pubblico, rafforzamento della produttività e della competitività delle imprese, l’aggiustamento degli squilibri finanziari globali causati dal forte deprezzamento dello yen (il problema dello yen carry trade). Nel corso della stesura della tesi si è resi conto che nonostante i passi da gigante compiuti dal sistema bancario nell’eliminazione dei prestiti inesigibili, la sua salute rimane ancora fragile. Infatti, la qualità e la quantità del capitale delle banche nipponiche è alquanto scarsa a causa di insufficienti e deboli profitti operativi. Esse devono fare ulteriori sforzi in futuro per aumentare la propria redditività ed efficienza, trasformando le rigide e vecchie logiche tradizionali nelle nuove strategie di espansione e di diversificazione del business. Solo in questo modo riusciranno a rispondere in modo adeguato alle sfide imposte dal nuovo mondo della finanza globlalizzata. Alcune banche sono scomparse durante la crisi, le altre sono state protagoniste del processo di consolidamento del settore bancario, mentre solo tre di loro sono riuscite a tornare sul trono della finanza mondiale. Resta al futuro la risposta se le future riforme strutturali e politiche, la cui implementazione dipenderà dal completo superamento del modello di sviluppo autarchico, riusciranno a risanare completamente il sistema economico giapponese e a restituire al sistema finanziario il suo ruolo primario nel sistema finanziario internazionale. L’elezione, nel settembre del 2007, di Yasuo Fukuda come Primo Ministro rappresenta il primo segnale positivo verso il completo superamento del modello del “bel Giappone” di stampo nazionalista e verso l’adozione di nuovi e moderni meccanismi istituzionali di “decision making”, orientati alla concorrenza e al mercato, che promettono di assicurare maggiore indipendenza e separazione tra banca, industria e politica, e quindi, una crescita sostenibile e duratura del Giappone e del mondo. 3