Nuovi strumenti per il cancro del seno ( )

Nuovi strumenti per il cancro del seno
di Agnese Codignola – Fondamentale aprile 2009
“La mammografia è e resta l’esame più affidabile e sicuro per la diagnosi precoce del tumore della
mammella, anche se molte altre tecniche ne stanno insidiando il primato, soprattutto in caso di
donne con caratteristiche particolari”. Sgombra così il campo da possibili equivoci Marcello
Rosselli Turco, presidente dell’EUSOMA (European Society of Breast Cancer Specialists, la
società europea che raggruppa gli esperti di tumore della mammella) e per molti anni direttore
scientifico del Centro per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze, da dove ha animato
alcune delle più importanti campagne di screening della popolazione femminile mai realizzate in
Italia. E precisa: “Una distinzione fondamentale, da tenere sempre presente, riguarda il tipo di
diagnosi precoce di cui si parla: quando si ragiona su uno screening di popolazione, cioè su
un’iniziativa che chiami, per esempio, tutte le donne di 50 anni di un certo territorio, la
mammografia tradizionale è tuttora l’esame di scelta, perché ha un alto valore predittivo e perché,
dal punto di vista, pratico, gli strumenti sono disponibili e i costi sostenibili. Se invece si parla di
esami che la singola donna decide di fare o meno in base alla sua situazione clinica personale, il
discorso è diverso, e la valutazione sul tipo di esame va fatta caso per caso in base a tutti gli
elementi che possono influenzare il rischio soggettivo”.
Con l’aiuto del computer
La mammografia resta dunque il meglio per la stragrande maggioranza delle donne, ma anch’essa
ha cambiato natura, perché nel tempo, come gran parte delle metodiche di imaging, è diventata
(anche) digitale. I mammografi digitali sono strumenti che registrano e archiviano migliaia di
immagini non su lastra fotografica ma su computer, al fine di poterle poi confrontare nel tempo o
inviare laddove ve ne sia necessità. Ma la mammografia digitale non è solo questo, perché è lo
stesso computer, e non l’occhio umano, ad analizzare le immagini e a segnalare eventuali anomalie.
“Alcuni grandi studi hanno contribuito a delineare meglio la fisionomia e le potenzialità” spiega
Rosselli del Turco. Tra questi, in particolare, il Digital Mammographic Imaging Screening Trial,
condotto negli USA a partire dal 2001, che ha confrontato i test digitali con quelli su lastra in oltre
42.000 donne sottoposte a entrambe, e mostrato la superiorità dei primi sui secondi nelle giovani,
che hanno un seno più denso. Secondo quanto riferito su Radiology, però, dopo i 50 anni le
differenze tenderebbero a scomparire, e oltre i 65 anni la mammografia tradizionale sarebbe
leggermente superiore a quella digitale.
Benefici e rischi della risonanza
Un altro tipo di esame che negli ultimi anni è stato oggetto di molti studi è la risonanza magnetica,
che rispetto alla mammografia presenta il vantaggio di non esporre la donna ai raggi X, anche se in
moltissimi casi necessita di essere potenziata con un mezzo di contrasto radioattivo. La risonanza,
tuttavia, non è un test che possa sostituire la mammografia. Spiega in merito Rosselli del Turco:
“Per il momento il suo impegno è limitato a casi selezionati, nei quali può essere decisiva, ma non
va esteso perché può comportare più problemi di quanti non ne risolva a causa dell’alto numero di
falsi positivi, cioè di esami che sembrano mostrare qualcosa che non va anche quando non c’è
proprio nulla”. Che sulla risonanza si dicano spesso cose inesatte, del resto, lo dimostra un
documento ufficiale reso noto dai senologi italiani durante un congresso nazionale nel 2007, che
inizia così: “Non si deve eseguire la risonanza magnetica per caratterizzare una lesione mammaria
quando è possibile darlo con un semplice prelievo con ago”. Questo significa che per capire se una
lesione è benigna o maligna è sempre meglio guardare direttamente le cellule ottenute con una
biopsia.
E prosegue con una serie di indicazioni precise nelle quali è consigliabile l’esame: nella
sorveglianza delle donne ad alto rischio, per lo più genetico-familiare; quando si sospettano tumori
multipli, ovvero più noduli tumorali nella stessa mammella, o la presenza di tumore in entrambe le
mammelle; per la valutazione dell’effetto della chemioterapia da effettuare prima dell’intervento nei
tumori avanzati; quando si sospetta una recidiva della malattia, nei casi in cui sia ritenuto opportuno
il prelievo con ago o questo si sia rivelato non conclusivo; nei rari casi in cui il tumore si presenti
con metastasi (per lo più ai linfonodi ascellari) e la mammografia ed ecografia non rilevino il
tumore che le ha originate; quando si sospetti la rottura delle protesi mammarie.
Che fare nei casi dubbi
Quando poi i primi esami hanno generato dei dubbi, molto spesso si ricorre alla tomografia
computerizzata (TC): anche in questo caso, accanto a quella tradizionale, poco specifica (cioè poco
capace di discriminare tra un tipo di tumore e l’altro), si sta facendo strada la PEM, o mammografia
a emissione di positroni, ossia una PET ad alta definizione, sviluppata proprio per esaminare piccole
porzioni di corpo come, appunto una o due mammelle; la tecnica è usata, per ora, in donne che sono
particolarmente a rischio.
Di PEM si è parlato molto anche all’ultimo congresso di San Antonio, l’appuntamento che ogni
anno riunisce in Texas i migliori esperti del mondo in ambito senologico, perché sono stati
presentati alcuni dati molto interessanti. Gli oncologi del Boca Raton Community Hospital in
Florida, hanno infatti sottoposto a PEM oltre 200 donne e dimostrato così che la sensibilità (cioè la
capacità di trovare un nodulo sospetto) è del 100 per cento nei seni a maggiore componente grassa,
del 93 per cento in quelli densi, dell’85 per cento in quelli estremamente densi, del 90 per cento
nelle donne in premenopausa e del 94 per cento in quelle già in menopausa. Questo, hanno spiegato
gli autori, è possibile perché, a differenza delle tecniche classiche, la PEM non è influenzata della
densità del seno né dello stato ormonale (determinato dalla presenza o meno della menopausa o
dall’assunzione di terapie ormonali), né gravata da un alto numero di falsi positivi come la
risonanza magnetica: inoltre si basa su sole 48 immagini, contro le 2.000 fornite in media dalla
risonanza.
Seguire i vasi
Accanto a queste tecniche ce ne sono poi altre, per ora ancora in studio, che si basano su un
approccio diverso: cercare il tumore attraverso i vasi che esso forma via via che inizia a proliferare.
Ne fanno parte, tra gli altri, un tipo di eco Doppler tridimensionale, che secondo alcuni dati, sarebbe
in grado di distinguere quando un flusso di sangue appartiene a un tessuto sano e quando no, e
l’imaging per assorbimento ottico dinamico, una metodica del tutto innocua, basata sulle
caratteristiche della luce riflessa dai vasi appena formati, in studio e già in uso come integrazione di
altri esami quali l’ecografia.
Esistono poi tentativi già piuttosto avanzati di sfruttare le caratteristiche delle onde radio con un
vero e proprio radar, in studio da più di 5 anni presso l’Università di Bristol. Gli esperti hanno
infatti già effettuato un primo studio pilota su una sessantina di donne, con risultati molto
soddisfacenti (simili a quelli ottenuti nelle stesse donne con le mammografie classiche), e ora
stanno conducendo il primo studio di grandi dimensioni.
Come un Pap test ma per il seno
Infine, c’è una metodica studiata, tra gli altri, dal gruppo di Bernardo Bonanni, direttore della
Divisione di prevenzione e genetica oncologica dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, che sta
dando risultati molto interessanti: quella del lavaggio dei dotti. Spiega Massimiliano Cazzaniga,
membro del team che sta lavorando sulla ricerca: “In questi anni la casistica è arrivata a circa 850
donne controllate, e si può dire che il suo potere diagnostico è buono. La tecnica, che consiste
nell’analisi di quanto si ottiene lavando i dotti galattofori con una soluzione iniettata nella
mammella, è basata sull’analisi della forma delle cellule tumorali presenti nel liquido stesso e, da
qualche mese, anche sulla ricerca di specifici marcatori tumorali, ed è indicata per le donne a rischio
(per familiarità, perché dotate di un corredo genetico che le predispone alla malattia o perché ex
malate). Per ora è proposta solo nell’ambito di protocolli sperimentali”. Il principio è simile a quello
del Pap test, utilizzato per la diagnosi del carcinoma della cervice uterina. Il gruppo dell’IEO sta
portando avanti anche un altro studio sul lavaggio dei dotti: la verifica, nello stesso liquido, della
presenza di DNA virale, per capire se vi siano o meno prove di un coinvolgimento di qualche virus
nell’insorgenza della malattia. “Abbiamo lavorato su diversi virus e soprattutto sul papilloma virus
(HPV); analizzando la presenza di DNA virale abbiamo scoperto che non sembra esserci un
rapporto causale tra virus e malattia, ma può darsi che il DNA non sia il bersaglio giusto, e stiamo
quindi ripetendo i test sul’RNA virale”.
Il futuro potrebbe quindi offrire una varietà di esami al di là della mammografia, consigliati a
seconda delle caratteristiche personali.