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Brevi note biografiche di Miklós
Hubay ispirate alla sua ‘Vita brevis,
autobiografia con ingrandimenti’1
Roberto Ruspanti
Voglio parlare come chi si congeda:
io ho vissuto qui, oh ungheresi,
sangue del vostro sangue.
Dezsó´ Kosztolányi2
«Sono nato a Nagyvárad, in terra magiara, nell’ultimo attimo, il 13 aprile
1918», poco prima che la città venisse
occupata dai romeni, scriveva Miklós
Hubay nella sua ‘Vita brevis, autobiografia con ingrandimenti’, e aggiungeva: «questo fatto sconvolgente rimarrà sempre inaccettabile per la mia
mente e mi ha accompagnato per tutta
la vita: anche l’ultima mia opera drammatica, Infine il silenzio3, è scaturita dal
ricordo di quell’evento». Il pensiero
della perdita dell’identità linguistica ne
segna anche la futura carriera. Per evitare tale perdita, giovanissimo fa la
spola tra la sua città ormai romena ribattezzata col nome di Oradea, recandosi aldilà della frontiera a Debrecen e
a Gyula, rimaste in territorio unghe-
rese, dove porterà a termine gli studi
ginnasiali da privatista, ma, come egli
stesso non mancava di ricordare
spesso, mantenendo uno stretto rapporto culturale con la sua città natale,
dove leggerà tutti i testi letterari ungheresi che gli capitavano a tiro sopravvissuti alla romenizzazione forzata
attuata dalle autorità e che ne segneranno la sua vocazione per la drammaturgia. Quando si iscrive alla facoltà di
Lettere dell’università ‘Pázmány Péter’
di Budapest la sua strada verso il teatro
è già delineata. Siamo nel 1939. E allora
che Hubay, giovane matricola, riesce a
far leggere il suo primo tentativo di
dramma al grande regista Antal Németh del Teatro Nazionale della capitale ungherese ricevendone il pieno
In ungherese: ‘Vita brevis, önéletrajz, kinagyításokkal’.
Mint aki búcsúzik, beszélni akarok. Itt éltem én, vér véretekbó´l, magyarok. Dezsó´ Kosztolányi
citato da Miklós Hubay.
3
Il titolo ungherese del dramma, nato in lingua friulana, è Elnémulás. Vedasi in proposito
la nota 1 alle pp. 40-41.
1
2
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Miklós Hubay
Miklós Hubay in una foto del 1937.
appoggio per una sua collaborazione.
A partire da quel momento, ricorda il
drammaturgo, «ebbi libero accesso
alle prove e dalla metà degli anni ’30 il
mio nome comparve negli abbonamenti annuali agli spettacoli del Teatro
Nazionale». La carriera di Miklós
Hubay come scrittore di drammi nasce
qui e non si interromperà più fino alla
morte. Elencarne le tappe richiederebbe diverse pagine. Mi limiterò a ricordare che il 1942 segna l’esordio
ufficiale di Hubay come autore teatrale
con il dramma Senza eroi (‘Hó´sök
nélkül’), messo in scena nel Ridotto del
Teatro Nazionale (19 maggio 1942),
mentre il 2010 vede la pubblicazione
del suo ultimo dramma In attesa del
papa, ovvero Quelli che lodano Dio nella
lingua del demonio (‘Pápavárók avagy:
Akik ördög nyelvén dicsérik Istent’)4
nella rivista «Kortárs on line» (I e II
4
parte, giugno 2010), ma mai rappresentato. Il lavoro come segretario della
redazione comune delle riviste «Nouvelle Revue de Hongrie» e «Hungarian
Quarterly» gli permette di aprire una finestra sull’Europa e sul mondo e,
anche grazie a una borsa di studio, gli
offre la possibilità di proseguire, a partire dal tardo autunno del 1942, la sua
attività a Ginevra all’insegna di quel
cosmopolitismo che diverrà una delle
sue caratteristiche principali come
uomo e come autore, assieme al
profondo senso della sua appartenenza
alla magiarità, da lui mai sentita o interpretata in senso nazionalistico, come
testimoniano tutta la sua vita e la sua
opera drammaturgica. Ma prima di
partire per il fortuito quanto fortunato
soggiorno in Svizzera (l’Ungheria era
entrata in guerra nel 1941), Hubay vive
intensamente l’ultima estate a Budapest
che, come ricorda, «risplendeva nella
sua bellezza intangibile, giorno e notte,
nelle intense ma brevi notti di quell’estate», all’insegna di una vivacissima
vita culturale e, allo stesso tempo, mondana. Poi verranno le bombe, le «candele di Stalin, nel cui plumbeo grigiore
Budapest continuava lo stesso a risplendere. Insalvabile». Fra il 1943 e il
1948, a Ginevra, dove svolge un’intensa attività diplomatica culturale (dal
1946 come direttore della Biblioteca
ungherese), il giovane drammaturgo
avrà un continuo scambio con gli intellettuali, gli scrittori e gli artisti soprattutto ma non solo francesi: lo scrittore e
Vedasi, in proposito, quanto si dice nelle mie note di presentazione di Miklós Hubay, p. 43.
L’ùali di Diu
traduttore francese André Prudhommeaux, che Hubay farà innamorare
della poesia ungherese, in particolare
di Attila József e di Miklós Radnóti, il
musicista direttore d’orchestra svizzero
Ernest Ansermet, tra i fondatori dei
Rencontres Internationales de Geneve e,
tra gli ungheresi, gli scrittori László Cs.
Szabó, Gyula Illyés, Sándor Márai,
Tibor Déry, il critico letterario István
Só´tér, lo scultore Béni Ferenczy, il pittore István Szó´nyi, il fisico Pál Gombás.
La proficua esperienza ginevrina, che
gli permette di arricchire il suo già
ricco bagaglio culturale, viene interrotta da Hubay, che al contrario di Sándor Márai e di altri intellettuali
ungheresi che scelsero l’esilio, decide
volontariamente di far ritorno nell’Ungheria avviata con molte speranze, poi
andate deluse con l’avvento del comunismo stalinista, verso una nuova esperienza politica e sociale: «Volli
ritornare in patria. A fronte della
grande ondata di esuli diretti in Occidente. Volevo essere scrittore in Ungheria», ricorda Hubay nella sua ‘Vita
brevis’, dove poche righe dopo aggiunge: «più esattamente drammaturgo
ungherese». Nel 1949, ormai a Budapest, qualcuno forse si ricorda ancora
del suo dramma pacifista Senza eroi e
dell’attività svolta in Svizzera, così
Hubay viene incaricato come docente
di Storia del dramma nella Scuola superiore di Arte drammatica. È l’inizio
del suo percorso di docente, di studioso e di autore drammaturgico.
Scrive diversi drammi importanti.
Cerca sempre di non scendere a compromessi con il regime stalinista e nel
1956 aderisce, come tanti intellettuali,
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Con la madre Ilona Endrődy.
alla rivoluzione subendone poi le conseguenze, perdendo per sempre la cattedra d’insegnamento e per un lungo
tempo la possibilità di mettere in scena
le sue opere, che comunque continua a
realizzare: è in questi anni che scrive
opere importanti come I lanciatori di
coltelli (‘Késdobalok’), Tre notti di un
amore (‘Egy szerelem három éjszakája’), Solo loro conoscono l’amore
(‘Ó´k tudják, mi a szerelem’), È la guerra
(‘C’est la guerre’) e Carnevale romano
(‘Római karnevál’). Alla fine degli anni
’50 e negli anni ’60, nonostante le amnistie e il relativo allentamento della
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Miklós Hubay
Nello studio di Budapest (1970 circa).
Con il traduttore Umberto Albini, a sinistra
(1970 circa).
morsa della dittatura, il potente sottosegretario poi ministro della cultura
György Aczél, l’artefice della politica
culturale ungherese dell’era kádáriana, gli nega la possibilità di ritornare
ad insegnare nella Scuola superiore di
Arte drammatica, osservando sempre
con sospetto e malcelata antipatia le
grandi capacità innovative della sua
arte drammaturgica, una situazione penosa da cui lo salverà l’onore e l’onere
dell’incarico come professore di chiara
fama ricevuto dall’Università di Firenze, dove insegnerà ad altissimo livello per quattordici anni, dal 1974 al
1988, la letteratura ungherese; quindi
gli incarichi prestigiosi prima, nel
1982, quando viene eletto presidente
dell’Associazione Scrittori Ungheresi,
una elezione che per la prima volta non
poté essere totalmente controllata dal
partito comunista al potere, e dopo, nel
1991, come Presidente del PEN Club
ungherese. Dall’anno accademico
1987-1988 lo Stato ungherese gli riassegna, ma solo formalmente, la cattedra nella Scuola superiore di Arte
drammatica, e lo fa con un cinismo più
profondo e più raffinato di quello
messo in atto nei suoi confronti dall’apparato del Ministero della Cultura nel
pieno dell’era kádáriana: riferendosi
infatti in modo burocratico a motivi
anagrafici (Hubay ha ormai 73 anni, ma
è nel pieno delle sue capacità e arricchito di importanti esperienze), non gli
viene permesso di tenere agli studenti
neppure un’ora di lezione o di conferenza, diniego che, dopo l’esclusione
dall’insegnamento subita nel 1956, egli
vivrà come un’umiliazione e contribuirà a procurargli quel grande rammarico di non aver potuto insegnare ai
giovani in Ungheria che lo accompagnerà fino alla morte. Però a Firenze, a
Roma, in Friuli, in Calabria, ovunque
vada, l’Italia e gli italiani gli danno
tanto, anche la possibilità di tenere
conferenze sulla sua drammaturgia, e
lui li ricambia con affetto. Anche verso
il tramonto della sua vita questo rapporto speciale con l’Italia rimane immutato. Ne è una testimonianza
particolare per l’appunto il dramma
L’ùali di Diu
L’ùali di Diu che viene presentato in
questo volume.
Perfino negli ultimi momenti della sua
intensa vita, vissuti in modo tragico nel
sanatorio di Budakeszi, dove, privo di
una vera assistenza medica, complice il
freddo insolito particolarmente pungente di quel fine aprile 2011, verrà aggredito da una polmonite che di lì a poco
lo condurrà alla morte, l’ormai novantatreenne grande drammaturgo dà prova
della sua grande capacità creativa lavorando ancora su un testo che gli è stato
richiesto in occasione della Giornata
della poesia. Ne troviamo traccia in un
quadernetto di appunti che Miklós
Hubay aveva con sé nei giorni di quello
che sarà il suo ultimo compleanno (3
aprile 2011). Il testo riguarda la lirica
Születésnapomra (‘Per il mio compleanno’) scritta dal grande poeta Attila
József l’11 aprile 1937 in occasione del
proprio ultimo compleanno (il grande
poeta morì suicida il 3 dicembre di
quello stesso anno). Nello stesso quadernetto, quasi a simbolo del suo fortissimo legame con l’Italia ma anche della
sua forte passione per l’insegnamento
negatogli in Ungheria dal 1956 al 1975,
le ultime righe, vergate a stento con caratteri enormi (era ormai praticamente
cieco), rievocano il ricordo dei momenti
forse più belli, più armonici e più felici
della sua vita, quando a Firenze aveva
potuto di nuovo insegnare e parlare
della poesia e della letteratura ungherese ai giovani studenti italiani. È l’ultimo
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Sul lago Balaton con la moglie Irke (1952).
messaggio, il testamento spirituale di
Miklós Hubay in cui, pur senza un riferimento al teatro che aveva nelle vene, nel
cuore e nel cervello, sono sintetizzate le
sue grandi passioni: la poesia lirica, l’insegnamento e l’Italia. E sopra il lento
‘ammutolirsi’ (questo il vero significato
del termine che dà il titolo al suo
dramma friulano-magiaro-italiano) della
parola di Miklós Hubay, forse gridata nel
buio maledetto del sanatorio, calerà
per sempre il sipario5.
Desidero ringraziare Miklós Hubay jr. per avermi fornito il testo della ‘Vita brevis’, la
breve autobiografia redatta dal padre, alla quale mi sono ispirato per scrivere queste brevi
righe. Lo ringrazio inoltre per avermi dato alcune notizie concernenti alcuni aspetti particolari della vita del grande drammaturgo ungherese.
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