L’eco-compatibilità di un complesso architettonico non è data solo dagli eco-gadget di cui è provvisto, essa è determinata soprattutto da una sua reale integrazione con l’ambiente circostante Oggi il mestiere di architetto si differenzia dal passato anche recente, soprattutto nella nuova dimensione della sostenibilità ambientale del proprio intervento progettuale. I giovani che si accingono ad intraprendere gli studi di architettura, orientandosi successivamente all’esercizio della professione di progettisti (compositori), tra le tante variabili di utilizzo della laurea quinquennale, affronteranno una dimensione del proprio lavoro del tutto diversa. Il giovane professionista dovrà mantenere e radicare il convincimento di un rapporto etico con la committenza, che si tradurrà nel condurre la propria “ricerca” con animo poetico, condizione per costruire un proprio linguaggio di riconoscibilità delle sue opere, rivolto innanzitutto a se stesso. green green Disegno dello skyline della nuova area di Mestre descritta nel progetto riportato nel testo. g 22 green Architettura sostenibile Un futuro più verde SUMMARY The job of architects is ever evolving, today it even differs from that of the recent past, especially concerning environmental sustainability. Young people who are about to attend an architecture university course or young architects who are about to enter the job market will face a new dimension to their work: the necessary eco-compatibility of the buildings they plan that must derive not only from a vast supply of eco-gadgets, such as photovoltaic panels or proper thermal insulation, but also from a real integration into the surrounding urban or rural habitat. Young professional architects must create an ethical link with those who commission their works, while performing their research with a poetic approach, a necessary condition to build their own style, adapting it to their own principles as well as to the new requirements of their job. Architettura sostenibile Progettiamo un futuro più verde di Giovanni Caprioglio green g 23 I principi classici dell’architettura: firmitas, utilitas e venustas L’obiettivo fondamentale della professione di architetto è quello di costruire in ogni ambito, urbano ed extraurbano, la città e quindi il tema della contestualizzazione organica e della conseguente evocazione del genius loci, cioè del genio che provve- green g Il famoso “Uomo vitruviano” (1490 ca.) di Leonardo da Vinci è stato disegnato sulla base degli studi sulle proporzioni del corpo umano condotti da Vitruvio circa 1.500 anni prima 24 green de alla tutela del luogo, innanzitutto come rapporto di scala della nuova edificazione. In altre parole, per l’architettura - categoria alquanto diversa dall’edilizia - valgono immutati i principi di firmitas, utilitas e venustas che discuteremo brevemente di segui- to. Il richiamo a Vitruvio, Marcus Vitruvius Pollio, architetto e scrittore romano del primo secolo avanti Cristo (contemporaneo di Giulio Cesare e di Augusto) che rimane ad oggi il più noto teorico dell’architettura, non appare inutile, poiché nella massa della produzione edilizia è stato generalmente dimenticato, ma i suoi scritti rimangono tuttavia di assoluta attualità. Il progetto pertanto dovrà basarsi concreconcre tamente sulla ricerca nei settori della funfun zionalità e della tecnologia, generatori di equilibri compositivi, ovvero della forma e della proporzione dell’architettura. Solo questa disciplina può assicurare un qualche risultato nel superamento delle contraddicontraddi zioni del nostro tempo, caratterizzato da consumi privi di regole che conducoconduco no a diseconomie e sprechi. La risposta, e il conseguente risultato, consiste nel costrucostru ire nell’insieme - attraverattraver so forme, funzionalità e tecnologia - un’archiun’archi tettura sostenibile propro gettata da una figura professionale caca pace di coordinare una qualificata inin terdisciplinarietà: un gruppo che possa definirsi “architetto soso stenibile”. «È indubbio che la ricerca della sostenibisostenibi lità è una propro va ineludibile. Pensare ad un edificio ad impatimpat to zero, a consumo zero ((firmitas firmitas)) che firmitas sappia insieme manman tenere se non ampliampli ficare il suo contenuto di comunicazione, la sua forza di linguaggio, il suo rilievo artistico ((venustas venustas)) e venustas la sua efficacia funzionale, ma soprattutto la sua capacità di otot timizzare salubrità e confort per gli umani abitanti ((utilitas utilitas)) è una sfida aputilitas passionante, è la sfida dell’architettura del nostro tempo. Questa sfida richiede un grosso sforzo di ricerca e di innovazione […] si chiede all’architettura innanzitutto di uscire cul culturalmente dall’area del petrolio» (da G. Allen, “L’architettura naturale”, pag. 35). È necessario dunque fare in modo che il progetto possa essere espressione di “con“con green Architettura sostenibile Un futuro più verde temporaneità”, ovvero risentire della cultura del proprio tempo, utilizzando le nuove tecnologie. Va da sé che ciò debba essere esito di un accorto uso dell’innovazione, attraverso scelte opportune rispetto alle varie possibilità. Inoltre bisogna credere nell’architettura, non considerarla un elemento negativo se non addirittura distintivo del degrado ambientale, disconoscendo la generica e impropria equivalenza architettura = cemento/cementificazione. Essa stessa dovrà generare ed esprimere un nuovo habitat caratterizzato dalla compatibilità tra antropizzazione e natura, ovvero essere “arte contemporanea sostenibile”. La nostra società si va smaterializzando nella tecnologia della comunicazione e dell’informazione, nei suoi supporti tecnici e formali: una sempre maggior leggerezza degli strumenti ottenuta con riduzioni incredibili della componentistica e degli spessori, attraverso l’uso di nuovi materiali e tecnologie. Non altrettanto avviene in architettura, ove le odierne regole del contenimento energetico e degli isolamenti acustici comportano di norma degli appesantimenti (ad esempio nei serramenti). Ancor peggio quando certi risultati tecnici complessivi, classi prestazionali, si conseguono con tecnologie costruttive non applicabili nel contesto urbano della cultura costruttiva italiana. Si pone in questo contesto, spesso caratterizzato da un’impreparazione diffusa sia sul piano della committenza che del progettista professionista, una duplice tematica. La prima è relativa al rapporto “leggero/ pesante” nell’organizzazione compositiva, ma anche funzionale e tecnologica del progetto. La seconda riguarda l’integrazione tra la percezione visiva del progetto, la sua contestualizzazione nel paesaggio urbano e/o extraurbano e l’uso di tecnologie eco-compatibili. “L’architetto sostenibile” Per esemplificare i diversi principi sopra enunciati, che ai profani potrebbero risultare alquanto astratti, pare opportuno illustrare un esempio concreto rappresentato da una proposta di architettura sostenibile del nostro gruppo di lavoro, realizzata in collaborazione con lo studio londinese dell’architetto Kenneth (Ken) Yeang (nato in Malaysia nel 1948). La collaborazione nasce dalla condivisione dei principi su cui è basato il suo vasto lavoro di green architect, ovvero architetto verde (sostenibile). La sua tesi di dottorato (Ph.D.) in ecological design presso la Cambridge University è del 1970 e si intitola: “Theoretical framework for the Ecological Design ad Planning of the Built Enviroment” (inquadramento teorico del design e della progettazione ecologica dell’ambiente edificato). Nella sua tesi Yeang introduce una importante e decisiva chiarificazione, così esprimendosi: «È facile confondere ed essere conseguentemente sedotti dalla tecnologia; pensare che se noi assembliamo un certo numero di eco-gadget, quali pannelli solari, celle fotovoltaiche, sistemi di riciclaggio biologico, sistemi di domotica o doppia copertura della facciata in un singolo edificio, abbiano automaticamente ottenuto un’architettura ecologica. Certamente queste tecnologie sono en- comiabili applicazioni di sistemi a basso consumo di energia, esse sono componenti meramente utili ad indirizzarsi verso un’architettura ecologica: rappresentano alcuni dei mezzi per acquisire un prodotto finale di tipo ecologico. Ma l’ecological design non è solo relativo a sistemi a basso consumo energetico; per essere compiutamente tale, queste tecnologie hanno bisogno di essere totalmente integrate nel processo costruttivo dell’edificio; esse saranno anche influenzate e determinate dalle condizioni fisiche, ambientali e climatiche del “luogo”. La natura di un problema da risolvere (attraverso il progetto) è specifica per ogni “luogo”. Essa non sarà mai uno standard, “ma misura buona per tutto, risolutivo per ogni situazione”.» La conseguenza di questi forti principi di economicità micro-ambientale, sono progetti nei quali Yeang si pone l’obiettivo di Ken Yeang durante un seminario di architettura tenutosi il 30 gennaio 2010 all’Università di San Tommaso a Manila nelle Filippine. green g 25 acquisire benefici ed elementi rappresentativi della bio-integrazione. Essi ottengono una dipendenza ridotta, o addirittura azzerata, da fonti di energie non rinnovabili, ponendo in essere una connessione ecologica attraverso modalità che generano una forte coesione col territorio: paesaggi naturali verticali, cellule abitative ecologiche delimitate da “muri verdi”, percorsi ecologici, come dita che si protendono nel paesaggio e fino al cielo allo stesso tempo. Egli, attraverso queste soluzioni integrate, si sforza di minimizzare lo squilibrio tra edificato e non edificato con opportuni ecosistemi, mantenendo un apprezzabile “ecobilanciamento”. Le sue più recenti ricerche e realizzazioni includono obiettivi di assetto della biodiversità, creando una serie di habitat che formano un tutt’uno con le forme costruite e l’intorno di queste. In buona sostanza ogni edificio è parte di un più complesso eco-masterplan, un progetto ecologico principale, che disegna uno specifico sistema abitativo che è sia interattivo che funzionale e richiede la “bio-integrazione” di quattro sistemi “eco- strade, percorsi di trasporto e loro supporti. Poi c’è l’infrastruttura “blu” che riguarda il governo idraulico, la conservazione dell’acqua, il drenaggio sostenibile, bio-muri, sistemi di filtraggio, bacini di accumulo delle acque reflue, recupero e riutilizzo delle acque piovane. Infine ecco l’infrastruttura “rossa” che comprende l’ambiente costruito e i sistemi antropizzati di natura socio-economica e politica. Questo è l’approccio basilare di Yeang per la produzione di un eco-masterplan che preveda uno spazio di lavoro in cui possa essere incluso un complesso di diversi fattori, il quale nel contempo dimostri una grande flessibilità che ne rallenta l’obsolescenza tecnologica. Un esempio concreto di bio-architettura La partnership tra il nostro studio di architettura mestrino e quello londinese di Ken Yeang aveva come scopo principale la L’area interessata dal progetto è situata proprio al centro di Mestre; è delimitata a nord dal fiume Marzenego, a ovest da Via Piave, a sud da Via Antonio da Mestre e ad est dalla continuazione della stessa via che confluisce poi in Piazzale Luigi Candiani e prosegue in Via Luigi Einaudi. Mestre Venezia Porto Marghera green g 26 green infrastrutturali” finalizzati ad un unico globale e coerente sistema. Il primo di essi è rappresentato dall’infrastruttura “verde” che comprende i corridoi naturali e le reti che si articolano negli spazi aperti e negli habitat occupati dalla fauna e dalla flora, anche in ambito urbano. Avremo quindi l’infrastruttura “grigia” che comprende i sistemi di ingegneria sostenibile, come partecipazione al «Concorso di idee ai fini della determinazione di un piano di recupero dell’area del Centro Storico di Mestre - Compendio “Umberto I”, con costruzione di un simbolo per la Città» del 2008. Diamo di seguito una breve descrizione dell’idea progettuale, quale possibile esempio di bioarchitettura. L’approccio territoriale al piano di recupero green Architettura sostenibile Un futuro più verde e riqualificazione dell’area dell’ex ospedale civile mestrino si esplica nella coscienza della fondamentale importanza della determinazione delle sequenze spaziali nel tessuto urbano, legata alla mobilità in una vasta area pedonale. La struttura est-ovest centro cittadino che origina dal Parco di San Giuliano e il rapporto di questo con lo spazio acqueo lagunare, va configurandosi come una sequenza di percorsi e di piazze che rappresentano scono le aree verdi, che connettono e corredano gli spazi e i fronti edificati, gli spazi d’acqua naturali ed artificiali, che dovranno essere rimessi in luce e implementati nello spazio infra flumines, tra i fiumi, rispetto al quale l’area del Castelvecchio costituisce la cerniera occidentale. La scelta che caratterizza la proposta progettuale, orientata decisamente alla “città in altezza” è finalizzata alla liberazione di spazi a terra per generare un sistema di piazze e green tessuti edilizi di varia natura e qualità. Sono infatti le piazze, più antiche e più recenti, ma tutte rinnovate o in fase rinnovamento e i tessuti edilizi ad esse rapportati, che of offrono una concreta prospettiva di riscattare e trasformare la città senza qualità in un polo urbano qualificato. Attraverso i vari tessuti si articolano i percorsi pubblici pedonali e ciclabili, si inseri- percorsi nei quali si concludono le percorrenze pedonali da est (S. Giuliano, Via Forte Marghera, Piazza Barche, Piazza Ferretto, Piazzale Candiani) e da ovest (Via Olimpia Stazione SFMR Gazzera, Villa Querini - Via Antonio da Mestre, Piscina Comunale, lungo il fiume Marzenego in riva destra), da sud (Via Ospedale), da nord (Via Castelvecchio). Si determina in sostanza un “luogo”, conte- Planimetria del progetto della nuova area “bio-architettonica” dell’ex ospedale di Mestre; è ben visibile l’ombra portata dalle due torri al centro in alto. Il fiume Marzenego è rappresentato dalla fascia sinuosa in verde chiaro che attraversa tutta la parte alta dell’immagine. g 27 Vista generale del nuovo complesso architettonico con particolare attenzione al dettaglio degli accessi alla piazza dall’acqua. Le due torri a forma di vela che viste frontalmente diventano come due esili lame. green g 28 stuale e organico rispetto alla preesistenza storica e archeologica del Castelvecchio, in un rapporto antitetico rispetto alla sua funzione antica (difesa e protezione), ovvero luogo concluso, ma aperto e percorribile da e per tutte le direzioni della città. In esso, attraverso questa impostazione si possono recuperare due valenze proposte dal Concorso: identità e simbolo della Città di Mestre, progettando nella storia e recuperandone il “nome” che emerge sin dai documenti dall’VIII-IX secolo, indicando l’intero territorio della terra dei Collalto posta tra Venezia, Treviso e Padova presidiato dal Castelvecchio. Una nuova centralità urbana e metropolitana, ribadita dal compiersi della sua area centrale (centro storico) in forma creativa e contemporanea, anche come “simbolo” della Città. In assenza di percepibili testimonianze archeologiche, che potranno certamente arricchirsi e definirsi attraverso opportune indagini, ma presumibilmente solo di preziosi indizi, sia specifici che generali, riferiti sia alla morfologia e sia alla tipologia costruttiva dei castelli di pianura, si è adottata la metafora della “mimesi”, a partire dalla tipologia degli elementi costruttivi e dei materiali, proposta sulle basi geografiche e morfologiche dell’impianto del Castelvecchio, ma nella libertà di una elaborazione concettuale e ideativa relativa alla forma e ai contenuti della architettura della città. L’obiettivo dichiarato è di creare una rinnovata spazialità animata e definita da un “simbolo” del futuro di Mestre, che corrisponda a un sistema complesso di interventi sia sul piano metodologico che morfologico, ove i contenuti dell’impianto urbanistico e dell’architettura potessero essere assunti quale espressione della “necessità” del recupero della storia e nel contempo di una decisa proiezione verso il futuro del XXI secolo. Un luogo recuperato alla aperta fruizione dei cittadini, articolato tra una piazza verde e una piazza selciata, con una intenzionale sequenza di percorsi e materiali che ne evidenzino la assoluta accessibilità, ove, come nel rapporto tra Castel Nuovo (Via Palazzo) e Piazza Ferretto, fosse espresso e percepito lo spazio interno ed esterno rispetto all’antica cinta muraria e ai fossati che ne determinarono l’ancora intuibile morfologia. L’obiettivo del progetto è di integrare e di green green Architettura sostenibile Un futuro più verde Sezione del progetto mostrante il giardino verticale interno che ricopre le facce contrapposte delle due torri. superare una apparente contraddizione tra la città a scala umana e una generica città verticale. Esiste certamente la possibilità di scelte opportune finalizzate ad armonizzare le due scale e il progetto ne esprime la convinzione, mettendo in campo l’architettura di qualità, nella sua declinazione bioclimatica, che ne caratterizzerà certamente il futuro in prospettiva di sostenibilità ecologica e di qualità della vita. In tale concezione e prospettiva i principi bioclimatici e la loro tecnologia, moderatamente high-tech, si fondono con la tradizione organica ponendosi in relazione profonda con il sito, la sua morfologia e la sua storia. I materiali di riferimento per determinare il nuovo luogo sono quelli che furono utilizzati per costruire il Castelvecchio: l’acqua, il legno e i mattoni. Similmente la vegetazione sarà presente a tutti i piani delle torri, all’interno degli alloggi e degli spazi commerciali e terziari, rampante, come rivestimento continuo a verde, sulle pareti contrapposte delle due torri (giardino verticale), usando diffusamente la captazione dell’energia solare, attraverso la tecnologia dei pannelli fotovoltaici. Il luogo e la sua architettura vengono definiti non solo attraverso la metafora dei riferimenti storici, ma anche attraverso la creazione di un complesso ecosistema artificiale e tecnologico. Esso non vie- green g 29 Villa Querini a Mestre. green g 30 ne concepito come elemento aggiuntivo, quale sottolineatura e commento alla collocazione degli edifici, ma ne costituisce il contenuto principale: viene portato sulla superficie e all’interno dell’edificio, solo in tal caso si può definire il progetto come una bioarchitettura. All’ingegneria strutturale dell’edificio dovrà accompagnarsi una particolare declinazione dell’ingegneria impiantistica, ma anche, in maniera del tutto innovativa, dell’ingegneria bioclimatica del sistema edificato, al fine di comporre gli elementi organici con gli elementi inorganici del nuovo habitat. All’implementazione, sempre crescente, di elementi inorganici nell’architettura delle infrastrutture e delle architetture, bisogna far succedere una nuova stagione di inserimento degli elementi organici. Solo in tal modo il nuovo “simbolo” della città potrà essere letto come reale innovazione e assumere - come tutti i simboli - un significato emblematico, generale e programmatico, evitandone la sola significatività formale. In ogni caso la scelta della “città in altezza”, accompagnata da un progredire dei volumi esistenti e di progetto verso l’alto, secondo un chiaro orientamento organico, offre una soluzione di qualità, in quanto la naturalità del sito, ridotta oggi al solo corso del Marzenego, viene recuperata in altezza dalla soluzione bioclimatica del “giardino verticale” che si diffonde all’interno e all’esterno delle torri e del loro basamento. Le due lame a torre pongono l’abitare nella città storica in una dimensione innovativa, green che ne potrebbe determinare l’indirizzo futuro, non evidentemente generalizzato, come del resto nel progetto, ma in luoghi topici e opportuni, tra i quali certamente il sito del Castelvecchio. La proposta del progetto, quale prospettiva di una “città verticale” da intensificare a Mestre nella componente residenziale, pone la tematica di un rinnovato sky-line (vedi immagine di apertura) che si ponga in relazione con quello della laguna di Venezia, generalmente piuttosto piatto ad eccezione dei maggiori campanili della Serenissima. L’intenzione di proporre un “simbolo” costituito da torri di altezza decisa, realmente dominante il profilo attuale della città, - offrendone una scala propositiva per il futuro, capace tuttavia di rapportarsi rispetto alle mediocri verticalità sino ad oggi espresse -, è perseguita con decisione dal progetto. Allo stesso tempo viene affrontato il tema della qualità dell’abitare, proponendone una dimensione ecologica, costituita solo in parte dagli spazi e le sottolineature del verde dell’attuale giardino dell’ospedale, della riva destra del Marzenego, attrezzata a percorso ciclopedonale, dai giardini sulla riva sinistra e dal Parco di Villa Querini, ma soprattutto attraverso una tecnologia bioclimatica endogena. Gli spazi verdi sono preziosi per rendere proporzionalmente accettabile l’altezza delle due torri, al fine che le loro ombre portate nelle diverse stagioni, non interferiscano, se non marginalmente, sul tessuto residenziale circostante. L’equilibrio, sostanziale e qualitativo, è introdotto dall’ha- green Architettura sostenibile Un futuro più verde bitat eco- e bioclimatico degli edifici stessi. Attraverso la scelta della tecnologia bioclimatica si mitiga concretamente l’impatto sull’ambiente di una struttura complessa e verticale, proponendo un disegno urbano e architettonico che implementa la biodiversità e si impernia sulle “differenze”. Questo spiega l’utilità e il vantaggio di estendere una decisa verticalità, che determina spazi per sottrazione nel costruito di progetto, rispetto ad una disposizione orizzontale. Non nascondiamo evidentemente che, come già detto, la verifica di questo intento, espresso per ora come disegno, come forma espressiva di idee, dovrà (o dovrebbe) certamente essere sottoposto ad una competente verifica di ingegneria ambientale e bioclimatica. Se ciò non fosse si produrrebbe solo un edificio “low-energy”, caratterizzato unicamente da eco-gadget, quali pannelli solari o fotovoltaici, sistemi di riciclaggio energetico, ma non si tratterebbe effettivamente di un edificio ecologico e bioclimatico. La natura del luogo, si estende al disegno urbano degli spazi pubblici e dell’attacco a terra degli edifici, in rapporto all’orientamento e alla permeabilità dei percorsi. Il progetto orienta gli edifici di nuova costruzione, principalmente sull’asse nordsud, per garantire agli alloggi la migliore esposizione al sole; la maggior parte degli alloggi di media dimensione è passante e pertanto è garantita anche una buona ventilazione naturale. Questa impostazione favorisce la più completa accessibilità degli spazi di attacco a terra degli edifici, che determinano porticati, percorsi di accesso che attraversano in più direzioni, specchi d’acqua, piazze verdi e selciate. Anche l’uso dei materiali di definizione del suolo e conseguentemente la connotazione degli spazi, che sarà ripresa nella illustrazione di dettaglio del disegno urbano, ottiene l’obiettivo di qualificazione di un luogo destinato, attraverso la sua trasformazione e rinnovo, a rilanciare e implementare la qualità urbana complessiva dell’area centrale di Mestre. I volumi e i percorsi sono definiti da pavimentazioni in legno e laterizio di cotto, a significare il tramite tra gli spazi interni dell’antico castello e quelli esterni e l’uso di materiali organici. L’ampia piazza che si determina tra gli edifici; porticata profondamente a sud ovest, è dominata dalle lame delle torri in cui è collocata la “città in altezza”. La morfologia, sottolineata dalla leg- gerezza dei materiali e dalla composizione Render notturno delle torri. delle facciate, è ispirata a due vele gonfie di bora, coerenti con l’orientamento. Si evidenzia così l’adesione al bando: estendere l’effetto urbano dell’area centrale e implementare la residenza di qualità, espressa sia dal carattere bioclimatico degli alloggi, sia dai servizi per la residenza (asilo nido e scuola per l’infanzia) e dalle residenze protette per anziani e dalla realizzazione di un caposaldo dei servizi municipali culturali lungo la via Antonio da Mestre. Il convincimento progettuale generale è volto a interpretare il tema concorsuale quale “costruttiva reinterpretazione” del luogo, evitando ogni storicismo, ma progettando nella storia, attraverso una schietta scelta di contemporaneità rispetto al dibattito in atto sulla “città in altezza” e il suo contenuto nel nostro caso, opportunamente e prevalentemente residenziale. L’impegno del futuro è quello di generare, con impegno etico, qualità diffusa attraverso l’architettura che si evolve da insufficienti apparati di tecnologie parziali ad un globale atteggiamento che deve partire da una pianificazione ecosostenibile per risultare naturale. Giovanni Caprioglio Architetto green g 31