L`eco-compatibilità di un complesso architettonico non è data solo

L’eco-compatibilità di un
complesso architettonico
non è data solo
dagli eco-gadget
di cui è provvisto,
essa è determinata
soprattutto da una sua reale
integrazione con
l’ambiente circostante
Oggi il mestiere di architetto si differenzia dal
passato anche recente, soprattutto nella nuova
dimensione della sostenibilità ambientale
del proprio intervento progettuale. I giovani
che si accingono ad intraprendere gli studi di
architettura, orientandosi successivamente
all’esercizio della professione di progettisti
(compositori), tra le tante variabili di utilizzo
della laurea quinquennale, affronteranno una
dimensione del proprio lavoro del tutto diversa.
Il giovane professionista dovrà mantenere
e radicare il convincimento di un rapporto
etico con la committenza, che si tradurrà nel
condurre la propria “ricerca” con animo poetico,
condizione per costruire un proprio linguaggio
di riconoscibilità delle sue opere, rivolto
innanzitutto a se stesso.
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Disegno dello skyline della nuova
area di Mestre descritta nel
progetto riportato nel testo.
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Architettura sostenibile Un futuro più verde
SUMMARY
The job of architects is ever evolving, today it even differs from
that of the recent past, especially concerning environmental
sustainability. Young people who are about to attend an
architecture university course or young architects who are about
to enter the job market will face a new dimension to their work:
the necessary eco-compatibility of the buildings they plan that
must derive not only from a vast supply of eco-gadgets, such as
photovoltaic panels or proper thermal insulation, but also from a
real integration into the surrounding urban or rural habitat.
Young professional architects must create an ethical link with
those who commission their works, while performing their
research with a poetic approach, a necessary condition to build
their own style, adapting it to their own principles as well as to
the new requirements of their job.
Architettura sostenibile
Progettiamo
un futuro
più verde
di Giovanni Caprioglio
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I principi classici
dell’architettura:
firmitas, utilitas e venustas
L’obiettivo fondamentale della professione
di architetto è quello di costruire in ogni
ambito, urbano ed extraurbano, la città e
quindi il tema della contestualizzazione
organica e della conseguente evocazione
del genius loci, cioè del genio che provve-
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Il famoso “Uomo vitruviano”
(1490 ca.) di Leonardo da Vinci
è stato disegnato sulla base degli
studi sulle proporzioni del corpo
umano condotti da Vitruvio circa
1.500 anni prima
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de alla tutela del luogo, innanzitutto come
rapporto di scala della nuova edificazione.
In altre parole, per l’architettura - categoria
alquanto diversa dall’edilizia - valgono immutati i principi di firmitas, utilitas e venustas che discuteremo brevemente di segui-
to. Il richiamo a Vitruvio, Marcus Vitruvius
Pollio, architetto e scrittore romano del
primo secolo avanti Cristo (contemporaneo
di Giulio Cesare e di Augusto) che rimane
ad oggi il più noto teorico dell’architettura,
non appare inutile, poiché nella massa della produzione edilizia è stato generalmente
dimenticato, ma i suoi scritti rimangono
tuttavia di assoluta attualità.
Il progetto pertanto dovrà basarsi concreconcre
tamente sulla ricerca nei settori della funfun
zionalità e della tecnologia, generatori di
equilibri compositivi, ovvero della forma
e della proporzione dell’architettura. Solo
questa disciplina può assicurare un qualche
risultato nel superamento delle contraddicontraddi
zioni del nostro tempo, caratterizzato da
consumi privi di regole che conducoconduco
no a diseconomie e sprechi.
La risposta, e il conseguente
risultato, consiste nel costrucostru
ire nell’insieme - attraverattraver
so forme, funzionalità e
tecnologia - un’archiun’archi
tettura sostenibile propro
gettata da una figura
professionale caca
pace di coordinare
una qualificata inin
terdisciplinarietà:
un gruppo che
possa definirsi
“architetto soso
stenibile”.
«È
indubbio
che la ricerca
della sostenibisostenibi
lità è una propro
va ineludibile.
Pensare ad un
edificio ad impatimpat
to zero, a consumo
zero ((firmitas
firmitas)) che
firmitas
sappia insieme manman
tenere se non ampliampli
ficare il suo contenuto
di comunicazione, la sua
forza di linguaggio, il suo
rilievo artistico ((venustas
venustas)) e
venustas
la sua efficacia funzionale, ma
soprattutto la sua capacità di otot
timizzare salubrità e confort per gli
umani abitanti ((utilitas
utilitas)) è una sfida aputilitas
passionante, è la sfida dell’architettura del
nostro tempo.
Questa sfida richiede un grosso sforzo di
ricerca e di innovazione […] si chiede
all’architettura innanzitutto di uscire cul
culturalmente dall’area del petrolio» (da G.
Allen, “L’architettura naturale”, pag. 35).
È necessario dunque fare in modo che il
progetto possa essere espressione di “con“con
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Architettura sostenibile Un futuro più verde
temporaneità”, ovvero risentire della cultura del proprio tempo, utilizzando le nuove
tecnologie. Va da sé che ciò debba essere
esito di un accorto uso dell’innovazione,
attraverso scelte opportune rispetto alle varie possibilità.
Inoltre bisogna credere nell’architettura,
non considerarla un elemento negativo
se non addirittura distintivo del degrado
ambientale, disconoscendo la generica e
impropria equivalenza architettura = cemento/cementificazione. Essa stessa dovrà
generare ed esprimere un nuovo habitat
caratterizzato dalla compatibilità tra antropizzazione e natura, ovvero essere “arte
contemporanea sostenibile”.
La nostra società si va smaterializzando
nella tecnologia della comunicazione e
dell’informazione, nei suoi supporti tecnici
e formali: una sempre maggior leggerezza degli strumenti ottenuta con riduzioni
incredibili della componentistica e degli
spessori, attraverso l’uso di nuovi materiali e tecnologie. Non altrettanto avviene
in architettura, ove le odierne regole del
contenimento energetico e degli isolamenti
acustici comportano di norma degli appesantimenti (ad esempio nei serramenti).
Ancor peggio quando certi risultati tecnici
complessivi, classi prestazionali, si conseguono con tecnologie costruttive non applicabili nel contesto urbano della cultura
costruttiva italiana.
Si pone in questo contesto, spesso caratterizzato da un’impreparazione diffusa sia
sul piano della committenza che del progettista professionista, una duplice tematica. La prima è relativa al rapporto “leggero/
pesante” nell’organizzazione compositiva,
ma anche funzionale e tecnologica del progetto.
La seconda riguarda l’integrazione tra la
percezione visiva del progetto, la sua contestualizzazione nel paesaggio urbano e/o
extraurbano e l’uso di tecnologie eco-compatibili.
“L’architetto sostenibile”
Per esemplificare i diversi principi sopra
enunciati, che ai profani potrebbero risultare alquanto astratti, pare opportuno illustrare un esempio concreto rappresentato
da una proposta di architettura sostenibile del nostro gruppo di lavoro, realizzata
in collaborazione con lo studio londinese
dell’architetto Kenneth (Ken) Yeang (nato
in Malaysia nel 1948). La collaborazione
nasce dalla condivisione dei principi su cui
è basato il suo vasto lavoro di green architect, ovvero architetto verde (sostenibile).
La sua tesi di dottorato (Ph.D.) in ecological design presso la Cambridge University è del 1970 e si intitola: “Theoretical
framework for the Ecological Design ad
Planning of the Built Enviroment” (inquadramento teorico del design e della progettazione ecologica dell’ambiente edificato).
Nella sua tesi Yeang introduce una importante e decisiva chiarificazione, così esprimendosi:
«È facile confondere ed essere conseguentemente sedotti dalla tecnologia; pensare
che se noi assembliamo un certo numero
di eco-gadget, quali pannelli solari, celle
fotovoltaiche, sistemi di riciclaggio biologico, sistemi di domotica o doppia copertura della facciata in un singolo edificio,
abbiano automaticamente ottenuto un’architettura ecologica.
Certamente queste tecnologie sono en-
comiabili applicazioni di sistemi a basso
consumo di energia, esse sono componenti meramente utili ad indirizzarsi verso
un’architettura ecologica: rappresentano
alcuni dei mezzi per acquisire un prodotto finale di tipo ecologico. Ma l’ecological
design non è solo relativo a sistemi a basso consumo energetico; per essere compiutamente tale, queste tecnologie hanno
bisogno di essere totalmente integrate nel
processo costruttivo dell’edificio; esse saranno anche influenzate e determinate dalle condizioni fisiche, ambientali e climatiche del “luogo”. La natura di un problema
da risolvere (attraverso il progetto) è specifica per ogni “luogo”. Essa non sarà mai
uno standard, “ma misura buona per tutto,
risolutivo per ogni situazione”.»
La conseguenza di questi forti principi di
economicità micro-ambientale, sono progetti nei quali Yeang si pone l’obiettivo di
Ken Yeang durante un seminario
di architettura tenutosi
il 30 gennaio 2010 all’Università
di San Tommaso
a Manila nelle Filippine.
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acquisire benefici ed elementi rappresentativi della bio-integrazione. Essi ottengono
una dipendenza ridotta, o addirittura azzerata, da fonti di energie non rinnovabili, ponendo in essere una connessione ecologica
attraverso modalità che generano una forte
coesione col territorio: paesaggi naturali
verticali, cellule abitative ecologiche delimitate da “muri verdi”, percorsi ecologici,
come dita che si protendono nel paesaggio
e fino al cielo allo stesso tempo.
Egli, attraverso queste soluzioni integrate,
si sforza di minimizzare lo squilibrio tra
edificato e non edificato con opportuni ecosistemi, mantenendo un apprezzabile “ecobilanciamento”. Le sue più recenti ricerche
e realizzazioni includono obiettivi di assetto della biodiversità, creando una serie
di habitat che formano un tutt’uno con le
forme costruite e l’intorno di queste.
In buona sostanza ogni edificio è parte
di un più complesso eco-masterplan, un
progetto ecologico principale, che disegna uno specifico sistema abitativo che è
sia interattivo che funzionale e richiede la
“bio-integrazione” di quattro sistemi “eco-
strade, percorsi di trasporto e loro supporti. Poi c’è l’infrastruttura “blu” che
riguarda il governo idraulico, la conservazione dell’acqua, il drenaggio sostenibile,
bio-muri, sistemi di filtraggio, bacini di
accumulo delle acque reflue, recupero e
riutilizzo delle acque piovane. Infine ecco
l’infrastruttura “rossa” che comprende
l’ambiente costruito e i sistemi antropizzati
di natura socio-economica e politica.
Questo è l’approccio basilare di Yeang per
la produzione di un eco-masterplan che
preveda uno spazio di lavoro in cui possa essere incluso un complesso di diversi
fattori, il quale nel contempo dimostri una
grande flessibilità che ne rallenta l’obsolescenza tecnologica.
Un esempio concreto
di bio-architettura
La partnership tra il nostro studio di architettura mestrino e quello londinese di
Ken Yeang aveva come scopo principale la
L’area interessata dal progetto
è situata proprio al centro di
Mestre; è delimitata a nord
dal fiume Marzenego, a ovest
da Via Piave, a sud da Via
Antonio da Mestre e ad est dalla
continuazione della stessa via
che confluisce poi in Piazzale
Luigi Candiani e prosegue in Via
Luigi Einaudi.
Mestre
Venezia
Porto Marghera
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infrastrutturali” finalizzati ad un unico globale e coerente sistema. Il primo di essi è
rappresentato dall’infrastruttura “verde”
che comprende i corridoi naturali e le reti
che si articolano negli spazi aperti e negli
habitat occupati dalla fauna e dalla flora,
anche in ambito urbano. Avremo quindi
l’infrastruttura “grigia” che comprende
i sistemi di ingegneria sostenibile, come
partecipazione al «Concorso di idee ai fini
della determinazione di un piano di recupero dell’area del Centro Storico di Mestre
- Compendio “Umberto I”, con costruzione
di un simbolo per la Città» del 2008. Diamo
di seguito una breve descrizione dell’idea
progettuale, quale possibile esempio di bioarchitettura.
L’approccio territoriale al piano di recupero
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Architettura sostenibile Un futuro più verde
e riqualificazione dell’area dell’ex ospedale civile mestrino si esplica nella coscienza
della fondamentale importanza della determinazione delle sequenze spaziali nel tessuto urbano, legata alla mobilità in una vasta
area pedonale.
La struttura est-ovest centro cittadino che
origina dal Parco di San Giuliano e il rapporto di questo con lo spazio acqueo lagunare, va configurandosi come una sequenza
di percorsi e di piazze che rappresentano
scono le aree verdi, che connettono e corredano gli spazi e i fronti edificati, gli spazi
d’acqua naturali ed artificiali, che dovranno
essere rimessi in luce e implementati nello
spazio infra flumines, tra i fiumi, rispetto al
quale l’area del Castelvecchio costituisce la
cerniera occidentale.
La scelta che caratterizza la proposta progettuale, orientata decisamente alla “città in
altezza” è finalizzata alla liberazione di spazi
a terra per generare un sistema di piazze e
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tessuti edilizi di varia natura e qualità. Sono
infatti le piazze, più antiche e più recenti,
ma tutte rinnovate o in fase rinnovamento
e i tessuti edilizi ad esse rapportati, che of
offrono una concreta prospettiva di riscattare e
trasformare la città senza qualità in un polo
urbano qualificato.
Attraverso i vari tessuti si articolano i percorsi pubblici pedonali e ciclabili, si inseri-
percorsi nei quali si concludono le percorrenze pedonali da est (S. Giuliano, Via Forte
Marghera, Piazza Barche, Piazza Ferretto,
Piazzale Candiani) e da ovest (Via Olimpia Stazione SFMR Gazzera, Villa Querini - Via
Antonio da Mestre, Piscina Comunale, lungo il fiume Marzenego in riva destra), da sud
(Via Ospedale), da nord (Via Castelvecchio).
Si determina in sostanza un “luogo”, conte-
Planimetria del progetto della
nuova area “bio-architettonica”
dell’ex ospedale di Mestre; è
ben visibile l’ombra portata
dalle due torri al centro in
alto. Il fiume Marzenego è
rappresentato dalla fascia
sinuosa in verde chiaro che
attraversa tutta la parte alta
dell’immagine.
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Vista generale del nuovo
complesso architettonico
con particolare attenzione al
dettaglio degli accessi alla
piazza dall’acqua.
Le due torri a forma di vela che
viste frontalmente diventano
come due esili lame.
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stuale e organico rispetto alla preesistenza
storica e archeologica del Castelvecchio, in
un rapporto antitetico rispetto alla sua funzione antica (difesa e protezione), ovvero
luogo concluso, ma aperto e percorribile da
e per tutte le direzioni della città.
In esso, attraverso questa impostazione si
possono recuperare due valenze proposte dal Concorso: identità e simbolo della
Città di Mestre, progettando nella storia e
recuperandone il “nome” che emerge sin
dai documenti dall’VIII-IX secolo, indicando l’intero territorio della terra dei Collalto posta tra Venezia, Treviso
e Padova presidiato dal
Castelvecchio.
Una nuova
centralità
urbana e metropolitana,
ribadita dal
compiersi
della sua area
centrale (centro storico)
in forma creativa e contemporanea,
anche come
“simbolo” della Città.
In assenza di
percepibili testimonianze
archeologiche,
che potranno
certamente arricchirsi e definirsi attraverso
opportune indagini, ma presumibilmente
solo di preziosi indizi, sia specifici che generali, riferiti sia alla morfologia e sia alla
tipologia costruttiva dei castelli di pianura,
si è adottata la metafora della “mimesi”,
a partire dalla tipologia degli elementi costruttivi e dei materiali, proposta sulle basi
geografiche e morfologiche dell’impianto
del Castelvecchio, ma nella libertà di una
elaborazione concettuale e ideativa relativa alla forma e ai contenuti della architettura della città.
L’obiettivo dichiarato è di creare una rinnovata spazialità animata e definita da un
“simbolo” del futuro di Mestre, che corrisponda a un sistema complesso di interventi sia sul piano metodologico che
morfologico, ove i contenuti dell’impianto
urbanistico e dell’architettura potessero essere assunti quale espressione della “necessità” del recupero della storia e nel contempo di una decisa proiezione verso il futuro
del XXI secolo.
Un luogo recuperato alla aperta fruizione
dei cittadini, articolato tra una piazza verde e una piazza selciata, con una intenzionale sequenza di percorsi e materiali che
ne evidenzino la assoluta accessibilità,
ove, come nel rapporto tra Castel Nuovo (Via Palazzo) e Piazza Ferretto, fosse
espresso e percepito lo spazio interno ed
esterno rispetto all’antica cinta muraria e
ai fossati che ne determinarono l’ancora
intuibile morfologia.
L’obiettivo del progetto è di integrare e di
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Architettura sostenibile Un futuro più verde
Sezione del progetto mostrante
il giardino verticale interno che
ricopre le facce contrapposte
delle due torri.
superare una apparente contraddizione tra
la città a scala umana e una generica città
verticale. Esiste certamente la possibilità di
scelte opportune finalizzate ad armonizzare
le due scale e il progetto ne esprime la convinzione, mettendo in campo l’architettura
di qualità, nella sua declinazione bioclimatica, che ne caratterizzerà certamente il
futuro in prospettiva di sostenibilità ecologica e di qualità della vita. In tale concezione e prospettiva i principi bioclimatici e la
loro tecnologia, moderatamente high-tech,
si fondono con la tradizione organica ponendosi in relazione profonda con il sito, la
sua morfologia e la sua storia.
I materiali di riferimento per determinare il
nuovo luogo sono quelli che furono utilizzati per costruire il Castelvecchio: l’acqua,
il legno e i mattoni. Similmente la vegetazione sarà presente a tutti i piani delle
torri, all’interno degli alloggi e degli spazi commerciali e terziari, rampante, come
rivestimento continuo a verde, sulle pareti
contrapposte delle due torri (giardino verticale), usando diffusamente la captazione
dell’energia solare, attraverso la tecnologia
dei pannelli fotovoltaici.
Il luogo e la sua architettura vengono definiti non solo attraverso la metafora dei
riferimenti storici, ma anche attraverso
la creazione di un complesso ecosistema
artificiale e tecnologico. Esso non vie-
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Villa Querini
a Mestre.
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ne concepito come elemento aggiuntivo,
quale sottolineatura e commento alla collocazione degli edifici, ma ne costituisce
il contenuto principale: viene portato sulla
superficie e all’interno dell’edificio, solo in
tal caso si può definire il progetto come una
bioarchitettura.
All’ingegneria strutturale dell’edificio
dovrà accompagnarsi una particolare declinazione dell’ingegneria impiantistica,
ma anche, in maniera del tutto innovativa,
dell’ingegneria bioclimatica del sistema
edificato, al fine di comporre gli elementi organici con gli elementi inorganici
del nuovo habitat. All’implementazione,
sempre crescente, di elementi inorganici
nell’architettura delle infrastrutture e delle architetture, bisogna far succedere una
nuova stagione di inserimento degli elementi organici. Solo in tal modo il nuovo
“simbolo” della città potrà essere letto
come reale innovazione e assumere - come
tutti i simboli - un significato emblematico,
generale e programmatico, evitandone la
sola significatività formale.
In ogni caso la scelta della “città in altezza”, accompagnata da un progredire dei
volumi esistenti e di progetto verso l’alto,
secondo un chiaro orientamento organico,
offre una soluzione di qualità, in quanto la
naturalità del sito, ridotta oggi al solo corso
del Marzenego, viene recuperata in altezza
dalla soluzione bioclimatica del “giardino verticale” che si diffonde all’interno e
all’esterno delle torri e del loro basamento.
Le due lame a torre pongono l’abitare nella
città storica in una dimensione innovativa,
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che ne potrebbe determinare l’indirizzo
futuro, non evidentemente generalizzato,
come del resto nel progetto, ma in luoghi
topici e opportuni, tra i quali certamente il
sito del Castelvecchio.
La proposta del progetto, quale prospettiva di una “città verticale” da intensificare a
Mestre nella componente residenziale, pone
la tematica di un rinnovato sky-line (vedi
immagine di apertura) che si ponga in relazione con quello della laguna di Venezia,
generalmente piuttosto piatto ad eccezione
dei maggiori campanili della Serenissima.
L’intenzione di proporre un “simbolo” costituito da torri di altezza decisa, realmente
dominante il profilo attuale della città, - offrendone una scala propositiva per il futuro,
capace tuttavia di rapportarsi rispetto alle
mediocri verticalità sino ad oggi espresse -,
è perseguita con decisione dal progetto.
Allo stesso tempo viene affrontato il tema
della qualità dell’abitare, proponendone
una dimensione ecologica, costituita solo
in parte dagli spazi e le sottolineature del
verde dell’attuale giardino dell’ospedale,
della riva destra del Marzenego, attrezzata
a percorso ciclopedonale, dai giardini sulla
riva sinistra e dal Parco di Villa Querini,
ma soprattutto attraverso una tecnologia
bioclimatica endogena.
Gli spazi verdi sono preziosi per rendere
proporzionalmente accettabile l’altezza
delle due torri, al fine che le loro ombre
portate nelle diverse stagioni, non interferiscano, se non marginalmente, sul tessuto
residenziale circostante. L’equilibrio, sostanziale e qualitativo, è introdotto dall’ha-
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Architettura sostenibile Un futuro più verde
bitat eco- e bioclimatico degli edifici stessi.
Attraverso la scelta della tecnologia bioclimatica si mitiga concretamente l’impatto
sull’ambiente di una struttura complessa e
verticale, proponendo un disegno urbano e
architettonico che implementa la biodiversità e si impernia sulle “differenze”.
Questo spiega l’utilità e il vantaggio di
estendere una decisa verticalità, che determina spazi per sottrazione nel costruito di
progetto, rispetto ad una disposizione orizzontale.
Non nascondiamo evidentemente che,
come già detto, la verifica di questo intento, espresso per ora come disegno, come
forma espressiva di idee, dovrà (o dovrebbe) certamente essere sottoposto ad
una competente verifica di ingegneria ambientale e bioclimatica. Se ciò non fosse si
produrrebbe solo un edificio “low-energy”,
caratterizzato unicamente da eco-gadget,
quali pannelli solari o fotovoltaici, sistemi
di riciclaggio energetico, ma non si tratterebbe effettivamente di un edificio ecologico e bioclimatico.
La natura del luogo, si estende al disegno
urbano degli spazi pubblici e dell’attacco
a terra degli edifici, in rapporto all’orientamento e alla permeabilità dei percorsi.
Il progetto orienta gli edifici di nuova costruzione, principalmente sull’asse nordsud, per garantire agli alloggi la migliore
esposizione al sole; la maggior parte degli
alloggi di media dimensione è passante e
pertanto è garantita anche una buona ventilazione naturale. Questa impostazione favorisce la più completa accessibilità degli
spazi di attacco a terra degli edifici, che
determinano porticati, percorsi di accesso
che attraversano in più direzioni, specchi
d’acqua, piazze verdi e selciate.
Anche l’uso dei materiali di definizione del
suolo e conseguentemente la connotazione
degli spazi, che sarà ripresa nella illustrazione di dettaglio del disegno urbano, ottiene l’obiettivo di qualificazione di un luogo
destinato, attraverso la sua trasformazione
e rinnovo, a rilanciare e implementare la
qualità urbana complessiva dell’area centrale di Mestre.
I volumi e i percorsi sono definiti da pavimentazioni in legno e laterizio di cotto,
a significare il tramite tra gli spazi interni
dell’antico castello e quelli esterni e l’uso
di materiali organici.
L’ampia piazza che si determina tra gli edifici; porticata profondamente a sud ovest,
è dominata dalle lame delle torri in cui è
collocata la “città in altezza”. La morfologia,
sottolineata
dalla leg-
gerezza dei materiali e dalla composizione Render notturno delle torri.
delle facciate, è ispirata a due vele gonfie di
bora, coerenti con l’orientamento.
Si evidenzia così l’adesione al bando:
estendere l’effetto urbano dell’area centrale e implementare la residenza di qualità,
espressa sia dal carattere bioclimatico degli alloggi, sia dai servizi per la residenza
(asilo nido e scuola per l’infanzia) e dalle
residenze protette per anziani e dalla realizzazione di un caposaldo dei servizi municipali culturali lungo la via Antonio da
Mestre.
Il convincimento progettuale generale è
volto a interpretare il tema concorsuale
quale “costruttiva reinterpretazione” del
luogo, evitando ogni storicismo, ma progettando nella storia, attraverso una schietta scelta di contemporaneità rispetto al dibattito in atto sulla “città in altezza” e il suo
contenuto nel nostro caso, opportunamente
e prevalentemente residenziale.
L’impegno del futuro è quello di generare,
con impegno etico, qualità diffusa attraverso l’architettura che si evolve da insufficienti apparati di tecnologie parziali ad un
globale atteggiamento che deve partire da
una pianificazione ecosostenibile per risultare naturale.
Giovanni Caprioglio
Architetto
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