Natura e filosofia,Crocifisso in classe, la Corte

Natura e filosofia
di Mariano Colla
Se si vuole estrarre, in estrema sintesi, un messaggio dal
“Festival della filosofia”, tenutosi a Modena, Sassuolo e
Carpi dal 16 al 18 settembre u.s. sul tema della “natura”,
tale messaggio si esplicita nella diffusa consapevolezza che
la natura, appunto, è in grave pericolo e che l’uomo, sua
parte integrante, deve ricercare in sé
valori e principi
ispiratori di comportamenti individuali e collettivi che
aprano nuove prospettive nel rapporto uomo-natura,
valorizzando armonia ed equilibrio rispetto alle asimmetrie
attuali, causa di un devastante
sfruttamento del pianeta.
Nelle assolate piazze delle cittadine emiliane, immerse in
un caldo innaturale, filosofi e sociologi si sono avvicendati
per tre giorni con l’obiettivo di ripensare il rapporto uomonatura, analizzando la storicità delle dinamiche che lo hanno
reso critico, dinamiche che richiedono una riformulazione,
già solo nel breve periodo, per evitare tragiche conseguenze.
Tuttavia, poiché anche la filosofia, come gran parte delle
discipline scientifiche, tende a specializzarsi e
a
diversificarsi in un’ampia gamma di filoni tematici, è sempre
più difficile trovare un denominatore comune che dia un vero
senso al vecchio significato di “universali”, peraltro messi
seriamente in crisi dal post-modernismo.
Un pubblico vasto ed eterogeneo, mosso da ragioni diverse, chi
per cultura, chi per moda, chi in attesa di una parola di
senso, chi alla ricerca di una via alternativa al
trascendente, sembra comunque vedere nella
filosofia il
concretizzarsi di un metronomo in grado di rivedere i ritmi
di una vita frenetica, di consegnare a una umanità sbandata
nuovi appigli e spazi in cui ritrovarsi e riflettere, in una
dimensione come questa del festival di Modena.
Il rapporto uomo-natura è stato vivisezionato, nel tentativo
di dare una risposta di senso alla crisi attuale e di proporre
prospettive credibili e in qualche modo compatibili con gli
inesorabili vincoli dello sviluppo economico. Insomma
costruire una idea di futuro vivibile.
Gli
illustri
oratori
hanno
spaziato
dall’analisi
della
dicotomia tra natura e cultura (come l’uomo conosce la natura
?) alla semantica della natura (quali definizioni della
natura?), dal concetto di corpo agli ambienti socio-naturali
in cui esso si esprime, dalle politiche della natura (di chi è
la natura?) alle sue etiche
confronti della natura?).
(quali
responsabilità
nei
La natura è complessa e, come tale, dagli antichi greci ad
oggi il termine natura ha alimentato una variegata
ermeneutica. Ogni oratore ha espresso una sua opinione sul
rapporto di crisi in corso, pur tuttavia si è rincontrata una
urgente richiesta di sensibilità sulle tematiche che la natura
coinvolge, si è imposta la necessità di una concreta domanda
progettuale che sradichi la natura da un ruolo di subalternità
alle esigenze speculative dell’uomo e la ricollochi in una
dimensione di maggior equilibrio e armonica integrazione con
un uomo meno famelico. E perché l’uomo sia meno famelico deve
lavorare profondamente su di sé e sulla propria scala di
valori.
Tra i molti oratori, distribuiti tra le tre cittadine, si
citano gli interventi di alcuni.
Massimo Cacciari ha analizzato l’antico termine phisis, inteso
erroneamente solo come natura biologica, per indagarlo nella
sua originarietà, ossia natura si, ma soprattutto ricerca
dell’archè degli enti che la compongono.
Remo Bodei ha esaminato il dualismo ricorrente tra una natura
inerte e dominabile e la facoltà umana di produrre macchine,
ossia oggetti artificiali, mentre Ignazio Licata ha tracciato
una immagine del cosmo in una dimensione “multi verso” che
supera il concetto di universo singolo.
Salvatore Settis ha lanciato un grido di dolore parlando di
paesaggio, territorio e ambiente, luoghi testimoni di una
tragedia imminente, e ha indicato come i beni naturali e
quelli culturali debbano essere co-presenti e coessenziali
nella formulazione del bene comune.
Zygmunt Bauman ha tracciato il proprio bilancio del progetto
moderno di controllo della natura, sottolineando necessità e
urgenza
delle questioni ambientali
e sensibilizzando la
responsabilità umana nell’effettuare scelte non distruttive
per la natura stessa, mentre Bohm ha proposto la questione
della natura come compito, sostenendo la necessità di farne
esperienza non come un dato posto passivamente dinanzi a noi
ma come un progetto da produrre.
Sergio Givone ha sviluppato il tema del destino come
responsabilità, visto nel rapporto colpa-innocenza e nelle sue
diverse articolazioni in contesti quali l’ambiente giuridico,
la morale, la metafisica.
Carlo Galli ha trattato l’antropologia politica del Leviatano
di Thomas Hobbes e il concetto di stato di natura ad esso
sotteso e Marcello Zanatta ha riproposto la Fisica di
Aristotele, paradigma millenario che tuttavia conserva la sua
attualità per la sua dimensione, non tanto meccanicistica
quanto ontologica.
Infine Mauro Carbone ha presentato le linee guida del libro
“Natura” di Merleau-Ponty, forse primo filosofo della natura
del periodo contemporaneo, antesignano delle problematiche che
essa avrebbe posto e contro corrente nel periodo intriso di
esistenzialismo degli anni 50’.
Lunga comunque è la lista degli oratori che si può fare a meno
di citare, Galimberti, Severino, Ferraris, Rodotà,
testimonianza di una nutrita e qualificata presenza del mondo
accademico.
Yosemite di Ansel Adams
A margine degli interventi, il festival ha proposto un nutrito
programma di iniziative culturali. Tra esse la mostra
fotografica di Ansel Adams e Intruders, fotografie che
riproducono incursioni della natura in architetture
abbandonate. In Adams (1902 – 1984), si percepisce
una
fotografia diretta e autentica, che va oltre la superficie e
registra le qualità della natura e dell’umanità che sono
latenti in tutte le cose. Suggestive immagini in bianco e nero
di una natura ancora incontaminata, testimonianze
di una
“widerness”, vissuta nei parchi americani, e definita da Adams
“mistica, intensa, intangibile, non materialistica”.
Intruders nasce come esperienza estetica ed esistenziale.
Esplora luoghi perduti e abbandonati che raccontano residui
di un mondo passato, rimasto come cristallizzato nel tempo.
Immagini di luoghi che, nonostante l’abbandono, sanno ancora
esprimere refoli di vita, e non sono disposti ad abdicare alla
loro identità, nonostante l’implacabile azione del degrado.
Sono immagini di caserme, manicomi, hotel abbandonati che
sembrano indicare il perverso desiderio dell’uomo di
trascinare nell’abisso del divenire anche le testimonianze che
potrebbero sopravvivergli. Se proprio si vuole fare una
critica alla organizzazione del festival, ebbene la
delocalizzazione degli interventi in tre cittadine, necessaria
per assicurare fondi e risultati economici soddisfacenti
all’iniziativa, crea problemi logistici non indifferenti,
compresa la difficoltà di seguire un programma organico di
conferenze.
Volendo usare un aforisma per chiudere questa breve cronaca
sul festival della filosofia di Modena userei una frase di
J.W. Goethe che, meglio di altre, dovrebbe indurci a
rispettare la natura nella sua essenza: “Natura è mistero alla
luce del giorno, non permettete che il velo le sia tolto”.
Crocifisso in classe,
Corte europea accoglie
la
il
ricorso dell’Italia
di Maria Rosaria De Simone
Non amo il giornalismo sterile. Quello che dà le notizie senza
scomporsi, attraverso l’uso di
coinvolgimento della ragione e
parole
vuote,
senza
il
dell’emozione.
Perchè
la
notizia, va data, nuda e cruda.
E
poi
guardata.
commentata.
E
ciò
E
poi
che
è
oggettivo, un fatto, deve
viaggiare e rivestirsi della
soggettività del pensiero, per
poter poi essere condiviso o
confutato. Cosa non sempre facile, anzi assai complicata. Come
cosa non semplice è commentare la sentenza definitiva del 18
marzo 2011 della Corte Europea dei diritti dell’uomo riguardo
al crocifisso. Per chi non lo ricordasse, c’era stata una
vertenza contro l’Italia di una madre finlandese atea, che
contestava il fatto che i suoi due figli, che frequentavano la
scuola pubblica italiana, dovessero vedere esposto nelle aule
il crocifisso. I tribunali italiani non le diedero ragione,
per cui la donna decise di appellarsi alla Corte europea dei
diritti dell’uomo, sostenendo che in una scuola pubblica, dove
deve essere dato un insegnamento laico, la presenza del
crocifisso violava il diritto alla libertà religiosa, sua e
dei suoi figli. In effetti, il 3 novembre 2009, una sezione
della Corte europea, con l’unanimità di voto dei sette giudici
preposti, dava ragione alla signora Lautsi.
Il verdetto del 18 marzo, però, in via definitiva ha ribaltato
la sentenza a favore dell’Italia, con quindici giudici giudici
favorevoli e due contrari. Semplificando le cinque pagine che
motivano la sentenza, la Corte ha stabilito con estrema
chiarezza da una parte che il crocifisso è un simbolo
religioso, dall’altra che la scuola pubblica deve essere
neutrale verso qualsiasi credo religioso, anche verso
l’ateismo. Ciò detto, è però da ritenere, recita la sentenza,
che “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo
essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può
essere paragonata ad un discorso didattico o alla
partecipazione ad attività religiose.”
In definitiva l’esposizione passiva del crocifisso in un’aula
pubblica non viola alcuna libertà religiosa, soprattutto se
ogni credo viene accolto nella scuola. La Corte ha aggiunto
che il fatto che in Italia sia esposto solo il crocifisso non
costituisce alcuna violazione alla libertà religiosa, ma è il
riflesso della cultura cattolica, maggioritaria nel paese. “Il
Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso
nelle aule pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante
tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere
un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principi
ed i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione
occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule
scolastiche. Quanto al primo punto, la corte sottolinea che,
se da una parte la decisione se perpetuare o meno una
tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati
convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia
dall’obbligo di rispettare i diritti e la libertà consacrati
dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. In relazione al
secondo punto, rilevando che il Consiglio di Stato e la Corte
di Cassazione hanno delle posizioni divergenti sul significato
del crocifisso e che la Corte Costituzionale non si è
pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo
compito prendere posizione in un dibattito tra guirisdizioni
interne.” Quindi il crocifisso torna a pieno diritto nelle
aule scolastiche e negli edifici pubblici. Vi entra per
regolamento ministeriale, assieme agli arredi scolastici. Alla
stessa stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessi, cancellini
e via di seguito. Questo mi sembra davvero triste. Gesù
crocifisso, un arredo scolastico. Salvato ‘in corner’ dal
fatto che è divenuto nel tempo un simbolo della tradizione e
della cultura italiana.
Povero Cristo, si è fermato ad Eboli, ma intanto un giretto
sulle pareti scolastiche, se lo può fare di diritto, con tutti
i bolli dei tribunali e della Corte Europea. Eppure chi ben
conosce le scuole pubbliche italiane, mi riferisco alle scuole
superiori, sa che negli anni precedenti, nel vivo del
dibattito tra favorevoli e contrari all’esposizione del
crocifisso, con la scusa dei lavori per l’imbiancatura delle
pareti, i crocifissi sono spariti dalle aule di molti edifici
scolastici. Qualche docente od alunno di buona volontà li ha
cercati questi crocifissi, andando anche a scovare negli
scantinati degli edifici, dove si buttano le cose inutili. Ma
di loro neppure l’ombra. Spariti. Qualcuno provi a verificare
in quante scuole superiori di Roma e dintorni, i crocifissi
siano ancora esposti nelle aule. Una legge, quindi, oggi
consente che il crocifisso rimanga dove deve stare. Nella
realtà quel crocifisso è già stato sfrattato da parecchio
tempo.
Ho letto recentemente un articolo di Marco Travaglio, del 2009
nel suo libro “Colti sul fatto” e mi trovo in sintonia con
quello che lui afferma: “…Se dobbiamo difendere il crocifisso
come ‘arredo’, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non
è nemmeno il simbolo di una ‘tradizione’ (come Santa Klaus o
la zucca di Halloween)…..Gesù è un fatto storico, una persona
reale, morta ammazzata dopo indicibili torture….è da duemila
anni uno scandalo…un’immagine vivente di libertà ed umanità,
di sofferenza e speranza, di resistenza inerme
all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (date a Cesare quel
che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio) e di gratuità
(Padre perdonali perchè non sanno quello che fanno).”
Anche il giornalista Antonio Socci, nella sua difesa del
Cristo in croce ha spesso ricordato che chi ha realmente fatto
una battaglia feroce contro il crocifisso è stata un’ideologia
pagana del novecento, il Nazismo, che oltre ad aver distrutto
il crocifisso, ha distrutto il mondo intero. Povero Cristo
come lo abbiamo ridotto oggi in Italia! Mi è capitato
personalmente di vedere ad esempio, in un asilo privato, che
proclamava con orgoglio la sua laicità, un grande presepe, in
cui Cristo Gesù era rappresentato come un pesciolino appena
nato, Giuseppe e Maria come dei pesci e gli altri personaggi
classici, sostituiti da specie del mondo marino. Il povero
Gesù ridotto a fare il pesciolino, a passare dal mondo della
storicità a quello delle favole. Perchè -mi riferiva la
direttrice- bisogna rispettare coloro che non sono credenti o
che appartengono ad altre fedi religiose. In nome di una
laicità che ha perso il suo vero significato, la sua vera
natura.
A questo punto, desidero far mie le parole della scrittrice
ebrea ed atea Natalia Ginzburg: “Il crocifisso non genera
alcuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione
cristiana che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra
gli uomini fino ad allora assente…perchè mai dovrebbero
sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un
ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di
ebrei nei ‘lager’? Nessuno prima di lui aveva mai detto che
gli uomini sono tutti uguali e fratelli. A me sembra un bene
che i bambini i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”.
Parole bellissime
quelle della scrittrice. Parole che non
ritrovo così piene di forza neanche tra i cattolici più
osservanti, neanche nella gerarchia. Un’atea difende il
crocifisso con la forza di alcune grandi sante della nostra
tradizione.
Come parole profonde vengono da Massimo Cacciari, un filosofo
ateo (dice lui) che, nella croce, legge nel braccio verticale
il rapporto dell’umanità con il trascendente e, nel braccio
orizzontale la dimensione orizzontale del rapporto tra gli
uomini. Cacciari vede nel crocifisso il ponte tra l’umanità e
Dio. ” Non si può capire l’arte occidentale senza partire
dalla lettura teologica del segno della croce…..Al centro
della croce appare il crocifisso, l’uomo in carne ed ossa che
subisce il supplizio più infame, che tuttavia è segno della
relazione con Dio (perchè mi hai abbandonato tu?) e della
relazione con gli uomini (i due ladroni, gli opposti della
risposta umana).”
Questo ci deve far riflettere. E non è questione da poco. Non
è una semplice dissertazione culturale. Ne va della storia del
nostro popolo, della sua stessa sopravvivenza. Perchè se oggi
siamo quel che siamo, se viviamo in un mondo che cerca
l’uguaglianza, il rispetto, la parità tra i sessi, la
possibilità di essere credenti, ma anche atei e contrari, in
piena libertà di coscienza, lo dobbiamo a quel Gesù, che si è
lasciato uccidere per dare una speranza ad ogni uomo. Perché
ogni sofferente, ogni disperato, ogni oltraggiato, ogni
persona che oggi sta subendo gli orrori della guerra, uomo,
donna o bambino, nella sofferenza della croce, sappia che gli
è vicino, e soffre asssieme a lui. Il crocifisso appeso nelle
aule scolastiche, lì dove non è ancora stato sfrattato,
dunque, non ha colori politici, non è di destra, né di centro,
né di sinistra, ma unisce tutti gli uomini in un abbraccio di
pace.