Crocifisso e sentenza della Corte: contributi da ilsussidiario.net 134 No allo Stato neutro che nega le identità Joseph Weiler, Docente di Diritto, New York University In linea di principio sono contrario a occuparmi in modo improvvisato, da fast food, di questioni così importanti e di decisioni giudiziarie dal forte impatto, le quali sono, invece, il risultato di un esame e di una riflessione giuridica prolungata. Quindi, ci vorrebbe il tempo necessario per uno studio attento delle decisioni prima di dare un’opinione ponderata. Non mi è piaciuta, tuttavia, stando a una prima impressione, la linea di difesa tenuta dal Governo italiano, il quale ha tentato di presentare il crocifisso come un simbolo che trascende le sue origini religiose e che ha un significato laico. Un tale ragionamento si può fare di sicuro in altre ipotesi, come per la Croce Rossa, però non è un argomento appropriato su cui fondare una difesa in questo caso. Bisogna essere onesti: il crocifisso è appeso nelle aule scolastiche perché è un simbolo religioso, che esprime la sensibilità religiosa di molte delle famiglie che mandano a scuola i loro figli, alle quali sembrerebbe assurdo che i propri figli siano cresciuti ed educati in un contesto in cui la religione sia trattata come tabù. Queste famiglie di credenti devono, però, capire che il crocifisso potrebbe dare l’impressione che la scuola sostenga una religione, e che questa cosa rappresenta un serio problema per chi è ateo e per le famiglie non cristiane, e che potrebbe essere mal interpretato dai loro figli. Non si può, però, cadere un’altra volta nel trabocchetto della laicità come posizione neutrale. Le famiglie laiche e quelle non cristiane devono cominciare a capire che togliere il crocifisso e dichiarare i corridoi della scuola un’area libera dalla religione è un’offesa verso i loro amici e vicini credenti, esattamente allo stesso modo in cui la croce lo è per loro. Viviamo in una società multiculturale, di cristiani, ebrei e musulmani secolarizzati e credenti. Dobbiamo sforzarci di trovare modalità attraverso le quali un bambino laico possa imparare a rispettare le convinzioni religiose del suo compagno di classe, convinzioni espresse, ad esempio, dal crocifisso (e, dov’è il caso, a seconda della scuola, dalla mezzaluna o dalla stella di Davide) e che in maniera creativa si potrebbe trovare per il bambino credente un modo, altrettanto visibile e simbolico, di rispettare la scelta laicista del suo compagno di classe. Non vogliamo che nella scuola queste scelte vengano nascoste. Noi vogliamo insegnare la tolleranza – che significa accettare l’alterità dell’altro, non nascondere l’alterità degli altri. Questa è la sfida educativa più grande che oggi abbiamo innanzi Quindi, sempre a una prima impressione, ciò che è veramente deludente della decisione è: 1. che sembra non cogliere in pieno la nuova realtà multiculturale della nostra società e la sfida educativa che pone – ossia di insegnare ai nostri ragazzi a rispettare e ad accettare l’alterità dell’altro, e di interpretare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo alla luce di questa sfida; 2. che ci riporta indietro al XVIII secolo e alla convinzione che la laicità e i corridoi scolastici senza religione siano dei modi in cui lo Stato esprime la propria neutralità. La prima impressione è che il tipo di pensiero che si riflette nella decisione sia il modo sbagliato di insegnare la tolleranza nella nostra società complessa. Il bambino ateo entra in questo recinto scolastico senza alcuna sfida alla propria identità. I corridoi della scuola, ormai religiosamente denudati, confermano la sua visione del mondo, mentre sfidano la visione del mondo del bambino credente. Ci devono essere modi più sofisticati e tolleranti di trattare questioni così profonde come quella dell’identità e dell’educazione. La prima impressione è che il tipo di pensiero che si riflette nella decisione sia il modo sbagliato di insegnare la tolleranza nella nostra società complessa. Però, per confermare questa prima impressione, ci vuole uno studio più approfondito della sentenza. La laicità non è una parete bianca Joseph Weiler Dopo aver ricevuto e letto alcuni commenti al mio articolo sulla decisione della Corte di Strasburgo, mi sento in dovere di reintervenire, perché mi viene il dubbio che i lettori, presi dalla reazione del pro o contro la sentenza, si siano persi la parte che più mi sta a cuore di quello che volevo mettere in luce. Per far questo lascio per un attimo da parte la sentenza, su cui mi sono già espresso, e racconto una storia. Giovanni e Romano sono due ragazzini dei giorni nostri che abitano nella stessa zona. Si vedono spesso al parco e giocano tra di loro. Un giorno Giovanni invita Romano a casa, passano il pomeriggio insieme e a un certo punto, in salotto, Romano vede qualcosa di nuovo e chiede: “Cos’è quella cosa lì?”; e Giovanni dice a Romano che è un crocifisso, e poi con i genitori gli spiega che cosa rappresenta. Romano torna a casa e, prima di andare a letto, chiede alla mamma: «Mamma, lo sai cos’è il crocifisso?», «Certo che lo so», «Lo sai che Giovanni ce l’ha? Ha il crocifisso appeso in sala. Perché noi non lo abbiamo?», e la mamma lo tranquillizza, gli dice che sa cos’è il crocifisso, e gli spiega che però loro sono una famiglia laica, che hanno determinati valori ma che non sono cristiani, e che quindi non tengono un crocifisso appeso in casa. Poi, dopo una settimana, Giovanni è invitato da Romano a fare merenda a casa. A un certo punto Giovanni gli dice: «In casa tua non c’è il crocifisso, perché?». E Romano, che si ricorda della chiacchierata con la mamma, gli spiega che la sua fami- 135