1 TEOREMA DI RECIPROCIT`A

1 TEOREMA DI RECIPROCITÀ
Consideriamo un volume V (eventualmente illimitato) in cui è contenuto un mezzo
(ovviamente lineare e omogeneo nel tempo1 ) che sia isotropo. Come vedremo successivamente
l’ipotesi di isotropia è sostanzialmente necessaria, nel senso che può essere sostituita da ipotesi
di simmetria più generali, ma non può essere eliminata del tutto.
Consideriamo nel volume V due campi elettromagnetici (E1 , H1 ) e (E2 , H2 ) diversi,
ciascuno soluzione delle eq. di Maxwell nel mezzo che riempie V , ma con sorgenti diverse
(J1 , M1 ) e (J2 , M2 ) rispettivamente, che si ricavano2 sostituendo i campi nelle eq. di Maxwell
stesse3
∇ × Ei = −jωµHi − Mi
∇ × Hi = jωεEi + Ji
i = 1, 2
Il teorema di reciprocità costruisce una relazione tra i dua campi che stiamo considerando. Per dimostrare questa connessione, prendiamo l’espressione4 E1 × H2 − E2 × H1
e calcoliamone la divergenza
∇· E1 × H2 − E2 × H1
h
i
= H2 · ∇ × E1 − E1 · ∇ × H2 − H1 · ∇ × E2 − E2 · ∇ × H1
= H2 · ∇ × E1 − E1 · ∇ × H2 − H1 · ∇ × E2 + E2 · ∇ × H1
(1)
Sostituendo i rotori dalle eq. di Maxwell si ha
1
Ricordiamo che queste ipotesi sul messo sono necessarie per lavorare nel DF . Al contrario di
molti dei risultati che abbiamo visto, che valgono, sia pure in forma eventualmente diversa e/o
richiedendo che il mezzo sia istantaneo, anche nel DT, il teorema di reciprocità sussiste solo
nel DF . Quindi queste ipotesi sono assolutamente necessarie.
2
Ad esempio, le correnti del primo campo valgono, noti i campi (E1 , H1 ):
J1 = ∇ × H1 − (jωεE1 )
M1 = −∇ × E1 + (jωµH1 )
e quindi sono calcolabili dai campi. Il teorema di reciprocità, infatti, parte assegnando i campi e
non le sorgenti, che sono delle grandezze ricavate, e quindi non solo non richiede alcun risultato
di unicità, ma può essere usato nelle dimostrazioni dei teoremi di unicità.
3
Si noti che il mezzo all’interno di V , e ovviamente la frequenza, sono gli stessi per i due campi,
e quindi nè ω, nè ε e µ hanno pedice. Nulla è invece richiesto all’esterno di V sul mezzo, che
può essere diverso per i due campi, e anche non essere isotropo.
4
Questa espressione somiglia al vettore di Poynting (e gli sviluppi formali sono, fino ad un certo
punto, simili) ma è concettualmente diversa, in quanto l’assenza del coniugato in uno dei due
fattori impedisce di considerarla una media di grandezze del DT .
1
∇ · E1 × H2 − E2 × H1 = H2 · − jωµH1 − M1 − E1 · jωεE2 + J2
− H1 · − jωµH2 − M2 + E2 · jωεE1 + J1
= −jωµ H2 · H1 − H2 · M1 − jωε E1 · E2 − E1 · J2
(2)
+ jωµ H1 · H2 + H1 · M2 + jωε E2 · E1 + E2 · J1
I primi termini delle due righe a secondo membro sono uguali e opposti, e lo stesso
vale per i terzi termini, in quanto il mezzo è isotropo5 , e il prodotto scalare commuta. Segue,
riordinando il secondo membro,
∇ · E1 × H2 − E2 × H1 = E2 · J1 − H2 · M1 − E1 · J2 − H1 · M2
(3)
La (3) vale in tutti i punti di V . Possiamo allora integrarla su V e usare poi il teorema
delladivergenza per ottenere la forma base del teorema di reciprocità
Z
=
IV
∇ · E1 × H2 − E2 × H1 dV
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS =
S
Z
V
E2 · J1 − H2 · M1 dV −
Z
V
E1 · J2 − H1 · M2 dV
(4)
essendo in la normale uscente da S, superfice che delimita V .
Gli integrali a secondo membro prendono il nome di reazioni (o integrali di reazione)
dei campi sulle sorgenti dell’altro campo. Questi integrali sono integrali sono estesi a tutto il
volume V , ma l’integrando è diverso da zero solo nelle regioni in cui sono presenti sorgenti, e
quindi potrebbero tranquillamente essere estesi solo a queste regioni.
Se l’integrale di superfice in (4) è nullo, il teorema di reciprocità fornisce
Z
Z
(5)
E1 · J2 − H1 · M2 dV
E2 · J1 − H2 · M1 dV =
V
V
5
L’ipotesi di isotropia, o ipotesi meno forti ma simili, serve a semplificare questi termini. Nel
caso isotropo si ha infatti
H2 · (µ H1 ) − H1 · (µ H2 ) = µ (H1 · H2 ) − µ (H2 · H1 ) = 0
Se il mezzo fosse anisotropo, allora la permeabilità magnetica sarebbe una matrice µ e l’espresµ · H1 ) − H1 · (µ
µ · H2 ). Poichè i vari termini sono scalari,
sione precedente diventerebbe H2 · (µ
possono essere tranquillamente trasposti senza cambiare il risultato. Trasponendo il primo, e
usando le proprietà delle matrici, segue
h
µ · H1 ) − H1 · (µ
µ · H2 ) = H2 · µ · H1
H2 · (µ
iT
− H1 · µ · H2
µT − µ) · H2
= H1 · µT · H2 − H1 · µ · H2 = H1 · (µ
che risulta nullo se e solo se la matrice µ è simmetrica, ovvero uguale alla sua trasposta: µ = µT .
ε ·E1 )−E1 ·(ε
ε ·E2 ) si annulla se la matrice ε è simmetrica. Un
Analogamente, l’altro termine E2 ·(ε
materiale anisotropo in cui entrambe le matrici ε e µ sono simmetriche è detto mezzo reciproco
e per esso vale il teorema di reciprocità. Ricordiamo che un mezzo anisotropo è reciproco se la
anisotropia non deriva dalla presenza di un campo magnetico statico.
2
ovvero l’uguaglianza delle due reazioni. Le espressioni (4) e (5) (che, ricordiamo, è un caso
particolare di (4)) sono la forma con cui si utilizza il teorema di reciprocità. La sua utilità è
legata al fatto che collega due campi e, se uno dei due è noto, consente di determinare delle
proprietà dell’altro, oppure di calcolarne dei valori. Viene inoltre utilizzato per dimostrare altri
teoremi6 Notiamo anche che la forma (4) è solo una delle prossibili forme analitiche in cui si
traduce la reciprocità tra due campi, ma di altre forme non avremo bisogno in questo corso.
2 CASI PARTICOLARI DEL TEOREMA DI RECIPROCITÀ
Abbiamo visto che, se l’integrale di superfice in (4) è nullo, allora il teorema di reciprocità
diventa l’uguaglianza (5) delle due reazioni. Poichè questa forma è spesso quella di interesse,
conviene vedere quando essa è valida, ovvero quando
I
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS = 0
S
a)
b)
c)
d)
e)
Si dimostra che questo avviene nei seguenti casi:
la superfice S è la superfice di un conduttore elettrico o magnetico perfetto1 ;
il volume V è tutto lo spazio, e quindi la superfice S è la superfice all’infinito (su cui
valgono le condizioni di Sommerfeld);
la superfice S è una superfice di impedenza;
nel volume V non vi sono sorgenti;
il volume V contiene tutte le sorgenti dei due campi (E1 , H1 ) e (E2 , H2 ).
Per la dimostrazione, notiamo preliminarmente che l’integrale coivolge solo i componenti
dei campi tangenti alla superfice S (quelle allineate con in non contribuiscono al prodotto misto).
Se indichiamo col pedice t i componenti tangenti, nei casi a), b), c), occorre valutare
I
(6)
E1t × H2t − E2t × H1t · in dS
S
Nel caso a) si deve avere E1t = E2t = 0 per la condizione di conduttore elettrico perfetto
(oppure H1t = H2t = 0 in caso di conduttore magnetico perfetto). Quindi l’integrale (6) è nullo.
Passiamo al caso b), in cui S è una superfice sferica di raggio R → ∞ (e, quindi in = ir ).
Su di essa i campi soddisfano le condizioni di Sommerfeld, che conviene scrivere utilizzando i
cosiddetti simboli di Landau O(·) e o(·), definiti da
A(r) <∞
A(r) = O B(r)
per r → ∞
=⇒
lim
r→∞ B(r) A(r) =0
A(r) = o B(r)
per r → ∞
=⇒
lim
r→∞ B(r) 6
Si veda, ad esempio, G. Conciauro, Introduzione alle onde elettromagnetiche, par. 4.5 - Simmetria della matrice di ammettenza di una giunzione.
1
Ovviamente il conduttore deve essere al di fuori di S.
3
In altri termini, A(r) = O B(r) significa che A(r) e B(r) sono infinitesimi(o infiniti)
dello stesso ordine, mentre A(r) = o B(r) significa che A(r) è un infinitesimo di ordine inferiore
a B(r) (o un infinito di ordine inferiore).
Le condizioni di Sommerfeld sono allora, posto r = |r|,
1
1
e
|H(r)| = O
per r → ∞
|E(r)| = O
r
r
1
per r → ∞
E − ζ H × ir = o
r
Consideriamo la prima parte dell’integrando della (6). Risulta
E2t
E1t × H2t · ir = E1t · H2t × ir = E1t ·
+o
ζ
1
1
1
= E1t · E2t + o
r
ζ
r2
in quanto il prodotto di un termine infinitesimo di ordine 1 e uno di ordine superiore a 1 risulta
in un infinitesimo di ordine superiore a 2. Pertanto l’integrando della (6) diventa
E1t × H2t − E2t × H1t
1
· ir =
E1t · E2t + o
ζ
1
r2
1
E2t · E1t + o
−
ζ
1
r2
=o
1
r2
e l’integrale della (6) è (al limite per R → ∞) nullo.
Il caso c) si riconduce facilmente a quest’ultimo, visto che sulla superfice S deve valere
(per entrambi i campi)
E t = ZS H × i n
che è formalmente molto simile (e più semplice) alla condizione di Sommerfeld.
La dimostrazione che, se in V non vi sono sorgenti, l’integrale (6) è nullo è immediata.
Dalla (4) segue infatti che, in assenza di sorgenti in V , il secondo membro, e quindi il primo
(ovvero l’integrale (6)) sono nulli.
Consideriamo infine la condizione e). Assumendo che anche fuori da V le ipotesi del
teorema di reciprocità (mezzo isotropo o almeno reciproco, e stesso mezzo per i due campi
considerati) siano ancora valide, possiamo allora applicare la (4) sia a V , sia a tutto lo spazio:
I
S
I
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS =
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS =
S∞
Z
ZV
R3
E2 · J1 − H2 · M1 dV − E1 · J2 − H1 · M2 dV
E2 · J1 − H2 · M1 dV − E1 · J2 − H1 · M2 dV
Poichè tutte le sorgenti sono contenute in V , i due integrali a secondo membro sono
uguali (si veda commento dopo la (4)). Pertanto lo sono anche quelli a primo membro2
I
I
(7)
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS =
S∞
S
Per la proprietà b), il secondo membro della (7) è nullo, e segue
2
In altri termini, al di fuori di V , il vettore E1 × H2 − E2 × H1 è solenoidale.
4
I
S
E1 × H2 − E2 × H1 · in dS = 0
3 UNA APPLICAZIONE DEL TEOREMA DI RECIPROCITÀ
Consideriamo un conduttore elettrico perfetto di superfice Σ (Fig. 1). Su Σ sono disposte delle correnti eletΣ
triche impresse superficiali Js . Vogliamo dimostrare che il
campo prodotto da queste correnti è identicamente nullo.
Per la dimostrazione aplichiamo il teorema di reciprocità, utilizzando come campo 1 quello generato dalle
in
C.E.P.
correnti superficiali impresse Js , e come campo 2 il campo
(ED , HD ) prodotto da un dipolo elementare, di densità di
Js
corrente JD (r) = ID ∆z iD δ(r−rD ), in presenza del C.E.P.1 .
La direzione iD e la posizione rD del dipolo sono arbitrarie
(salvo che il dipolo deve essere all’esterno di Σ).
Il teorema è applicato a tutto lo spazio salvo l’interFig 1: Correnti elettriche
no di Σ, ovvero a tutto il volume non grigio di Fig. 1. La
impresse su di un C.E.P. .
superfice S del teorema è allora l’unione di Σ e della superfice
all’infinito S∞ , e il relativo integrale si spezza nella somma
di un integrale su Σ e uno su S∞ . Per le proprietà a) e b) del paragrafo precedente, questi due
integrali sono nulli, e quindi le due reazioni sono uguali (eq. (5)).
Non essendoci correnti magnetiche, la (5) diventa
Z
E2 · J1 dV =
V
Z
E1 · J2 dV
=⇒
V
Z
ED · Js dV =
V
Z
E1 · JD dV
V
L’integrale a primo membro è fatto solo sulla superfice Σ, dove il campo elettrico ED
dovuto al dipolo è necessariamente ortogonale alla superfice. Poichè le correnti superficiali sono,
per definizione, tangenti a Σ, allora il primo membro è nullo. Sostituendo anche l’espressione di
JD (r) segue allora
0=
Z
Z
E1 (r) · ID ∆z iD δ(r − rD ) dV
Z
E1 (r) · iD δ(r − rD ) dV = ID ∆z E1 (rD ) · iD
= ID ∆z
E1 (r) · JD (r) dV =
V
V
V
per le proprietà della δ(r). Ricordando che il dipolo è generico, si trova allora, per il campo E1
prodotto dalle correnti superficiali impresse Js
E1 (rD ) · iD = 0
1
∀rD , iD
=⇒
E1 (r) = 0 in tutto V
(8)
Questo campo è quindi diverso da quello scritto nella prima parte di queste dispense. Tuttavia,
la sua forma esplicita non è qui necessaria: basta sapere che un tale campo esista.
5
4 ESISTENZA E UNICITA’
Le leggi che regolano il campo elettromagnetico sono state espresse nella forma di
equazioni differenziali. Le suddette equazioni sono lineari, nel dominio della frequenza.
Quando si ha a che fare con equazioni differenziali ha senso porsi, oltre al problema
della ricerca delle soluzione e della loro proprietà, che sono stati discussi nei capitoli precedenti,
anche il problema della esistenza e unicità della soluzione.
Per quanto riguarda l’esistenza, assumiamo che le nostre equazioni, in quanto rappresentanti coerentemente un fenomeno fisico, abbiano comunque una soluzione.
Viceversa, per ottenere l’unicità di una certa soluzione, dovremo imporre alla soluzione
stessa delle ulteriori condizioni, che ricaveremo ovviamente anch’esse dalle proprietà fisiche del
fenomeno. Tali condizioni aggiuntive dipenderanno inoltre anche dal dominio (DT o DF ) in cui
scriviamo le equazioni. Nei prossimi paragrafi vedremo in dettaglio quali sono queste condizioni
aggiuntive.
Esiste comunque uno stretto legame tra le condizioni che assicurano l’unicità di una
soluzione e la sua esistenza, o meglio la sua possibile non–esistenza. Supponiamo infatti che, per
ottenere l’unicità della soluzione, si debba imporre un insieme di condizioni {C1 , . . . , CN }, che
indichiamo simbolicamente con C. Ciò significa che esisterà una sola soluzione delle equazioni di
Maxwell che soddisfa a tutte le condizioni di C . Supponiamo ora di voler cercare una soluzione
EU , HU che soddisfi non solo a tutte le condizioni di C , ma anche ad una condizione aggiuntiva
CA , ad esempio E(rx ) = 0. Da quanto detto, esiste una sola soluzione, Eu (r) che soddisfa a
C. Quindi, relativamente al campo elettrico nel punto scelto rx , possono verificarsi due casi: se
EU (rx ) è nullo, allora EU soddisfa anche a CA , se invece EU (rx ) 6= 0 la soluzione EU non soddisfa
a CA e quindi non esiste alcuna soluzione che soddisfi a tutte le condizioni di {C1 , . . . , CN , CA }
. Pertanto imporre una, o più, condizioni aggiuntive ad un insieme di condizioni sufficienti per
l’unicità impedisce di avere soluzioni (a meno che la condizione aggiuntiva non sia già compresa
nell’unica soluzione, e divenga quindi pleonastica).
5 IL SIGNIFICATO DELL’UNICITA’
Dai corsi di analisi matematica è noto il significato del concetto di unicità della soluzione
di una equazione differenziale ordinaria. Esattamente lo stesso significato vale anche per le
equazioni di Maxwell nel DT , nonostante queste ultime siano equazioni a derivate parziali. Per
il DF , invece, visto che tali equazioni regolano la soluzione a regime per sorgenti sinusoidali
isofrequenziali, il significato del concetto di unicità è, come vedremo, completamente diverso.
Per il DT dire che una soluzione E(r, t), H(r, t) è unica in un dato intervallo di tempo,
(T0 , T1 ), e dominio spaziale, Z, significa che non vi possono essere (in tale intervallo e dominio)
due diverse coppie di funzioni (E, H) che soddisfano le equazioni di Maxwell (con le eventuali
sorgenti) e un insieme sufficiente di condizioni aggiuntive. Per brevità, evitiamo di discutere
qui tali condizioni aggiuntive, e per esse rimandiamo, per esempio, a [1]. Tra le condizioni di
unicità nel DT vogliamo qui ricordare solo necessità di imporre una condizione iniziale, ovvero
[1] Franceschetti: Campi Elettromagnetici, Boringhieri
6
di dover richiedere che, all’istante iniziale T0 , i campi in tutto il dominio Z assumano un ben
preciso valore:
E(r, 0) = E0 (r),
H(r, 0) = H0 (r)
∀r ∈ Z
(9)
dove E0 (r) e H0 (r) sono funzioni indipendenti e largamente arbitrarie.
Ben diverso il discorso per il DF , in quanto una soluzione E(r), H(r) nel DF non è
la soluzione di una equazione differenziale, ma solo una sua parte e precisamente la soluzione a
regime delle equazioni di Maxwell nel DT , nella ipotesi di sorgenti sinusoidali isofrequenziali.
Ciò significa che occorre considerare sorgenti che varino come cos(ω0 t + φ) applicate a partire
dall’istante iniziale T0 = −∞. All’istante attuale tali sorgenti daranno luogo a una soluzione
E(r, t), H(r, t), la cui parte a regime
ER (r, t) = Re E(r)ejω0 t
(10)
HR (r, t) = Re H(r)ejω0 t
può espressa tramite i fasori (dipendenti da r) E(r), H(r). Naturalmente, fissate le sorgenti, la
soluzione completa E(r, t), H(r, t) sarà unica se assegnamo opportune condizioni, comprese le
condizioni iniziali E(r, −∞), H(r, −∞). E, altrettanto naturalmente, tale soluzione dipenderà
dalle condizioni iniziali. È quindi possibile che la soluzione a regime (10), essendo una parte
della soluzione totale, dipenda anche essa dalle condizioni iniziali a T0 = −∞
Per definizione, diremo allora che la soluzione nel DF è unica se la soluzione a regime
è indipendente dalle condizioni iniziali, e viceversa.
Più formalmente, una qualunque soluzione con sorgenti sinusoidali può sempre essere
espressa come somma di due termini
E(r, t) = ET (r, t) + EF (r, t)
(11)
(e analogamente per H(r, t)) , in cui ET , detta soluzione transitoria, dipende dalle condizioni
iniziali mentre EF è sinusoidale e indipendente dalle condizioni iniziali 1
Se
lim ET (r, t) = 0
t→∞
∀r ∈ Z
(12)
allora EF costituisce l’unica soluzione a regime, qualunque siano le condizioni iniziali, (unicità
nel DF ). Se invece la (12) non è valida, allora la soluzione a regime dipende dalle condizioni
iniziali. Tuttavia mentre il termine EF è sempre alla frequenza ω0 delle sorgenti, la parte
dipendente dalle condizioni iniziali ET può contenere o non contenere un termine alla medesima
frequenza ω0 . Mentre nel primo caso non vi è unicità nel DF , nel secondo caso l’unicità sussiste
ancora in quanto la parte alla frequenza ω0 della soluzione a regime deriva solo da EF ed è
quindi indipendente dalle condizioni iniziali.
Va infine rimarcato che se si riesce a determinare, in un modo qualunque, una coppia
di funzioni vettoriali Ex , Hx che soddisfano sia le equazioni di Maxwell, sia ad un insieme di
condizioni sufficienti per l’unicità, allora tale coppia di funzioni è l’unica soluzione del nostro
problema.
1
La decomposizione (11) segue dalla teoria delle equazioni differenziali lineari: EF è un integrale
particolare della equazione completa, mentre ET è l’integrale generale della equazione omogenea
associata.
7
6 UNICITA’ NEL DOMINIO DELLA FREQUENZA
Consideriamo il problema di determinare il campo elettromagnetico in una regione Z
dello spazio, contenente eventualmente delle sorgenti. Il mezzo che riempie Z può essere omogeneo o non omogeneo. La unicità della soluzione si può dimostrare, essendo le equazioni lineari, supponendo, per assurdo, l’esistenza di due soluzioni distinte E1 , H1 e E2 , H2 , e poi
dimostrando che tali soluzioni devono necessariamente coincidere, ovvero che la loro differenza
E(r) = E1 (r) − E2 (r)
H(r) = H1 (r) − H2 (r)
(13)
dev’essere identicamente nulla.
D’altra parte la soluzione differenza E(r), H(r) è ancora soluzione delle equazioni di
Maxwell, ma con sorgenti di valore pari alla differenza tra quelli della prima soluzione e quelli
della seconda soluzione. E poichè le due soluzioni E1 , H1 e E2 , H2 sono prodotte dalle stesse
sorgenti, la soluzione differenza E(r), H(r) è prodotta da sorgenti nulle.
Conviene quindi cominciare a esaminare in quali casi un campo elettromagnetico in
una regione Z, in assenza di sorgenti, deve essere necessariamente nullo. Infatti, ognuno di
questi casi si tradurrà immediatamente in un insieme di condizioni sufficienti per l’unicità.
Naturalmente cercheremo soluzioni che sono continue a tutte le interfacce, o che soddisfano le
corrette condizioni di discontinuità in presenza di correnti superficiali.
È necessario inizialmente fare una prima distinzione tra i problemi interni, in cui la
regione Z è limitata, e i problemi esterni in cui la regione Z è tutto lo spazio, oppure è comunque
illimitata, poichè questi due problemi vanno esaminati separatamente.
Nel caso di problemi interni, il dominio Z è racchiuso da una, o più , superfici al finito,
che nel complesso costituiscono la frontiera di Z.
Per un problema esterno, invece, Z può avere varie tipologie:
• Z è tutto lo spazio
• Z è un semispazio (o un quadrante, o l’interno di un cono)
• Z è uno dei volumi dei punti preecedenti, da cui sono stati tolti uno o più domini
limitati.
La frontiera di Z in un problema esterno è quindi costituita da una porzione (di estensione angolare finita, eventualmente tutta) della sfera all’infinito1 , da una o più superfici (ma
anche nessuna) che terminano all’infinito (es, semipiani, superfici di un cono, etc.) e eventualmente da una o più superfici al finito.
Le condizioni sufficienti complete variano caso per caso, e verranno trattate nei paragrafi
successivi. L’unica condizione generale (che nel seguito chiameremo condizione al finito ) è
relativa alle superfici tutte al finito, sia che delimitino un problema interno, sia che siano una
parte eventuale della frontiera di Z in un problema esterno.
La condizione al finito è costruita nel modo seguente:
a) La parte di frontiera di Z costituita da superfici al finito è divisa (più precisamente
partizionata) in una o più zone;
b) Per ciascuna zona Zi viene assegnata una delle seguenti condizioni
1) il valore del campo elettrico tangente: Etan = E0i , con E0i noto e il pedice tan
che indica il componente di E tangente alla superficie;
1
Si intende per sfera all’infinito una sfera di raggio grande a piacere.
8
2) il valore del campo magnetico tangente: Htan = H0i , con H0i noto;
3) una condizione di impedenza Etan − Zs Htan × in = Ezi con Ezi noto, Zs una
grandezza complessa (eventualmente variabile punto per punto di Zi ) con parte
reale non negativa ed in normale uscente dalla superficie;
4) una condizione di ammettenza Htan − Ys in × Etan = Hyi , duale di quella del
punto 3).
Tutte le condizioni 1–4) possono essere inomogenee o omogenee (ovvero le grandezze
note, e variabili punto per punto, E0i , H0i , . . ., possono essere diverse da zero oppure nulle.
Come detto prima, noi lavoreremo sul problema differenza, cercando condizioni che
garantiscono che l’unica soluzione di questo problema sia quella nulla. Se sul problema originario
imponiamo una qualunque delle condizioni 1–4), allora la soluzione del problema differenza deve
soddisfare esattamente la stessa condizione, ma sempre omogenea, essendo la differenza di due
condizioni uguali.
7 CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA INTERNO
Iniziamo a considerare i problemi interni.
Si ha unicità della soluzione se, oltre alla condizione al finito, esistono perdite all’ interno,
ovvero sulla frontiera di Z.
Quindi una soluzione (quella differenza) in assenza di sorgenti, con condizioni al finito
omogenee, è certamente nulla se vi sono perdite. In assenza di perdite, può essere nulla oppure
no (e quindi non abbiamo informazioni sulla unicità).
Per la dimostrazione, partiamo dal teorema di Poynting per il campo differenza E(r),
H(r) (13)
I
Sr · in dS +
S
ω
2
Z
ε2 |E|2dV +
Z
Z
Z
σ 2
1
|E| dV = − Re
2
2
Z
E · J∗0 dV = 0
(14)
Z
in cui S è la frontiera di Z e il secondo membro è nullo per l’assenza di sorgenti.
Per quanto riguarda il primo integrale, si ha
1
1
E × H∗ · in = Etan × H∗tan · in
2
2
in quanto contribuisce alla componente normale del vettore di Poynting solo la parte tangente
dei vettori di campo, per le proprietà del prodotto misto.
Nel caso delle condizioni 1 o 2 del paragrafo precedente, segue che
S · in =
S · in = 0
(15)
Se invece vale una condizione di impedenza, allora, sempre per le proprietà del prodotto
misto,
S · in =
1
1 ∗
1
1
Etan · H∗tan × in = Etan ·
E
|Etan |2
=
2
2
Zc∗ tan
2Zc∗
da cui segue, essendo Re[Zc ] ≥ 0, che
9
1
Zc
2
Re [S · in ] = Re
|Etan | = Re
|Etan |2 ≥ 0
2Zc∗
2|Zc |2
(16)
Pertanto il primo integrale a primo membro della (14) è sempre maggiore o uguale a
zero. In particolare è maggiore di zero solo se assegnamo condizioni di impedenza con Zc a parte
reale positiva, altrimenti è sempre nullo.
Poichè anche gli altri integrali della (14) sono maggiori o uguali a zero, deve risultare
necessariamente
Z
Z
σ 2
2
|E| dV = 0
(17)
ε2 |E| dV = 0
Z 2
Z
e
I
Sr · in dS = 0
(18)
S
Se ci sono perdite interne al volume Z 2 , allora almeno una delle due costanti ε2 = Im[ε]
e σ è maggiore di zero. L’unico modo per cui il relativo integrale sia nullo, come richiesto da
(17), è che E ≡ 0 in tutto Z. Allora anche H ≡ 0 in tutto Z, essendo il rotore di un campo,
quello elettrico, identicamente nullo.
Il campo differenza è identicamente nullo, e c’è quindi l’unicità del problema di partenza.
Se non vi sono perdite interne, allora gli integrali della (17) sarebbero nulli anche se
il campo fosse diverso da zero (assenza di unicità) . Non si ha quindi, dalle (17) nessuna
informazione
In assenza di perdite interne, comunuqe, l’unicità c’è se vi sono perdite sulle pareti,
ovvero se Re[Zc ] è strettamente maggiore di zero3 .
In tal caso, infatti, sostituendo (16) in (18)
Zc
|Etan |2 dS = 0
Re
Sr · in dS =
2|Zc |2
S
S
I
I
=⇒
Etan ≡ 0
su S
(19)
e dalla condizione di impedenza segue che anche Htan ≡ 0 su S.
Per dimostrare che in tal caso il campo interno è identicamente nullo, e quindi c’è
unicità, utilizziamo ancora il teorema di reciprocità tra il campo differenza E(r), H(r) ed il
campo ED (r), HD (r) prodotto da un dipolo elementare JD (r) = I∆z δ(r − rD ) iD posto in rD
interno a Z, e con iD qualunque. Possiamo anzi scegliere il campo del dipolo calcolato in spazio
libero, dato quindi dalle (*) (con r = |r − rD |).
Dal teorema di reciprocità segue
Z
I h
i
E(r) · JD (r) dV
E × HD − ED × H · in dS = −
S
Z
2
La dimostrazione fatta richiede perdite in tutto il volume. Tuttavia basta che le perdite siano
presenti solo in una regione, purchè di volume maggiore di zero (ovvero non solo su di una
superficie). La dimostrazione di questo caso è però molto più complessa.
3
Deve essere Re[Zc ] > 0 su tutta la frontiera di Z per la dimostrazione che segue. Tuttavia,
anche in questo caso basta che Re[Zc ] > 0 valga su di una parte, di area finita, della superficie,
con una dimostrazione che è però più complessa
10
ovvero, per le proprietà degli integrali di flusso di dipendere solo dalle componenti tangenti del
campo
I h
S
i
Etan × HD − ED × Htan · in dS = −I∆z
Z
E(r) · iD δ(r − rD ) dV
Z
= −I∆z E(rD ) · iD
per le proprietà della delta di Dirac.
Nel nostro caso Etan ≡ 0 e Htan ≡ 0 su S. Quindi il primo membro e nullo e segue
E(rD ) · iD = 0
Per la arbitrarietà di rD e iD , segue che il campo elettrico ( e di conseguenza quello
magnetico) sono identiamente nulli dentro Z, e quindi si ha unicità.
Per concludere il discorso notiamo che se non vi sono perdite interne, nè perdite sulla
frontiera, allora non abbiamo informazioni sulla unicità. In tal caso, infatti, il campo differenza
può essere diverso da zero. Di conseguenza potrebbero esistere due (o più soluzioni) diverse
dello stesso problema.
Se la condizione al finito è del tipo 1) o 2) del paragrafo precedente, comunque, possiamo
caratterizzare meglio la non unicità. Infatti in tal caso per il campo differenza vale la (15)
I
I
Si · in dS = 0
Sr · in dS = 0 e
S · in = 0
=⇒
S
S
Quest’ultima relazione implica che, per il campo differenza, le energie elettriche e magnetiche sono uguali. Una tale soluzione viene detta risonante.
Pertanto, in assenza di sorgenti, e assegnando sulla frontiera solo componenti tangenti
dei campi, non vi è unicità, ma due soluzioni differiscono necessariamente per una soluzione
risonante.
8 CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA ESTERNO
Come abbiamo visto, le condizioni necessarie per l’unicità sono (quasi tutte) imposte
sulla frontiera di Z. Pertanto le differenze tra un problema esterno e un problema interno
dipendono, in primo luogo, dalla diversità di tale frontiera.
La frontiera di Z in un problema esterno può essere costituita da tre tipi distinti di
superfici
a) una porzione della superficie all’infinito (eventualmente tutta);
b) una o più superfici completamente al finito;
c) una o più superfici al finito che però si chiudono all’infinito.
Di esse, comunque, gli insiemi b) e c) possono essere anche vuoti.
Le condizioni che occorre imporre per avere l’unicità dipendono dalla superficie.
Sulla superficie all’infinito occorre imporre le condizioni di Sommerfeld:
11
lim r|E| < ∞
lim r|H| < ∞
r→∞
r→∞
(20)
lim r E−ζ H × ir = 0
r→∞
Sulle eventuali superfici tutte al finito vanno imposte le stesse condizioni al finito usate
anche per il problema interno. Infine, sulle eventuali superfici di tipo c) vanno ancora imposte
le condizioni al finito, ma queste devono essere compatibili con le condizioni all’infinito.
In tali ipotesi, si ha unicità.
Se, ad esempio, ci interessa l’unicità in un semispazio, sul piano di delimitazione del
semispazio possiamo assegnare, ad esempio, la componente tangente del campo elettrico E0i .
Questo termine noto però ora non è più arbitrario, ma deve andare a zero almeno come r −1
(o r −2 , a seconda di quale componente consideriamo) andando verso l’infinito, in quanto le
condizioni di Sommerfeld prescrivono questo comportamento all’infinito. Se sul piano assumiamo
un sistema di riferimento polare R, φ, un E0i costante è inaccettabile, mentre sono accettabili
un E0i il cui modulo valga |E0i | = Kr −2 , con K costante, ovvero un E0i = K ′ r −1 iφ . E’ invece
inaccettabile un E0i = K ′ r −1 ir , perchè la componente radiale non può essere infinitesima solo
del primo ordine.
La dimostrazione è simile, salvo differenze tecniche, a quella del problema interno. La
condizione di Sommerfeld assicura che il flusso del vettore di Poynting sulla superficie all’infinito
si può scrivere come (vedi (19))
I
I
1
|Etan |2 dS
(21)
Re
S · in dS =
2ζ
S
S
ed è reale e non negativo. La (18) è ancora valida e segue che, su S, il campo elettrico, e di
conseguenza quello magnetico, è un infinitesimo di ordine 2 (maggiore di quello prescritto dalla
condizione di Sommerfeld). Ciò basta a garantire l’unicità.
Fisicamente, la condizione di Sommerfeld assicura che se il campo è diverso da zero,
allora manda potenza verso l’infinito. L’infinito si comporta quindi come pozzo di potenza e
quindi gioca il ruolo delle perdite nel garantire l’unicità.
9 TEOREMA DI EQUIVALENZA
Il teorema di equivalenza consente di sostituire, ai fini del calcolo del campo in una
determinata regione, la distribuzione di sorgenti vera [J, M] con una distribuzione superficiale
equivalente.
Consideriamo allora una genrica distribuzione di sorgenti [J, M] e sia [Ep (r), Hp (r)] il
campo generato in tutto lo spazio da queste sorgenti (campo primario, Fig. 1A) .
Consideriamo poi una superficie chiusa generica e regolare S, e sia in la normale scelta
su S. Nel seguito, come al solito, il verso della normale punta verso l’esterno di S. Assumiamo
che S racchiuda al suo interno una parte generica delle sorgenti [J, M] (ma eventualmente anche
tutte le sorgenti, oppure nessuna).
12
S
[E=E p,H=H p]
[E=E p,H=H p]
[J,M]
[E=0,H=0]
in
Js
Ms
Fig. 1: A) Situazione iniziale; B) Situazione equivalente.
Si vuole dimostrare che all’esterno di S (zona verso cui punta la normale in ) si ottiene lo
stesso campo [Ep (r), Hp (r)] , se si eliminano le sorgenti [J, M] all’interno di S e si sostituiscono
con delle opportune correnti superficiali poste su S (Fig. 1B)
Js = in × H p
Ms = −in × Ep
(22)
dove Ep e Hp in (22) sono evidentemente i campi presenti inizialmente (ovvero nella situazione
di Fig. 1A) sulla superficie S (e di questi campi, stante il prodotto vettoriale con in , interessa
solo il componente tangente a S). Inoltre tali sorgenti forniscono un campo nullo all’interno di
S.
In questo senso, la situazione di Fig. 1B é equivalente alla situazione iniziale di Fig.
1A.
Consideriamo allora la seguente coppia di campi vettoriali
[Ep (r), Hp (r)] fuori di S
[f(r), g(r)] =
[0, 0]
in S
(23)
che coincide con la situazione di Fig. 1B. Per dimostrare il teorema di equivalenza, occorre
dimostrare che il campo vettoriale (23) é il campo elettromagnetico prodotto dalle sorgenti
equivalenti (22).
Questa dimostrazione viene fatta in due passi:
1) si dimostra che il campo vettoriale (23) é un campo elettromagnetico compatibile con
le sorgenti (22), ovvero che soddisfa le equazioni di Maxwell con quelle sorgenti;
2) si dimostra che (23) é l’unico campo elettromagnetico compatibile con quelle sorgenti,
e quindi é quello che le sorgenti (22) irradiano.
Una coppia di campi vettoriali come la (23) è un campo elettromagnetico se soddisfa
in tutti i punti del suo insieme di definizione le equazioni di Maxwell. In questo caso l’iniseme
di definizione è tutto lo spazio. Tuttavia, per verificare se le equazioni di Maxwell sono soddisfatte, conviene discutere separatamente la regione interna a S, quella esterna e i punti che
appartengono a S. All’interno di S la coppia [f(r), g(r)] = [0, 0] soddisfa le equazioni di Maxwell
omogenee (in assenza di sorgenti); all’esterno di S la coppia [f(r), g(r)] è identicamente uguale
al campo elettromagnetico effettivamente esistente nella situazione inizale (Fig. 1A) e quindi,
per costruzione, soddisfa le equazioni di Maxwell, le eventuali condizioni al contorno e la condizione di Sommerfeld. Rimane da verificare se [f(r), g(r)] un campo elettromagnetico anche
sulla superficie S, cioè se soddisfa le condizioni di raccordo su S:
13
in × gext − gint = Js
−in × fext − fint = Ms
Sostituendo i valori di [f(r), g(r)] dalla (23) segue allora
in × H p − 0 = Js
−in × Ep − 0 = Ms
(24)
che coincidono con le (22). Quindi [f(r), g(r)] è un campo elettromagnetico in tutto lo spazio,
compatibile con le sorgenti (22).
Resta allora da dimostrare che (23) è l’unico campo che può essere prodotto da queste
sorgenti. Questo equivale a dimostrare che il campo (23) soddisfa un opportuno insieme di
condizioni di unicità.
Poichè il campo che ci interessa è definito in tutto lo spazio, allora occorre considerare i
criteri di unicità del problema esterno. Poiché (vedi par. 8) un campo in un dominio illimitato é
unico se soddisfa le condizioni di Sommerfeld, e il campo [f(r), g(r)], dato dalle (23), le soddisfa
per costruzione, allora questo é unico. Ne segue che le sorgenti equivalenti date dale (22)
producono il campo rappresentato in Fig. 1B. La situazione delineata in questa figura é quindi
equivalente a quella di Fig. 1A.
Il risultato del teorema di equivalenza, e in particolare il fatto che le sorgenti equivalenti
producono un campo complessivamente nullo all’interno di S, consente di costruire delle ulteriori
situazioni equivalenti a quella iniziale di Fig. 1A.
Infatti, se il campo all’interno di S é nullo, qualunque modifica del materiale dentro S
non modifica questo campo: [0, 0] rimane la soluzione all’interno di S qualunque sia il mezzo
contenuto, e il mezzo presente dentro la superficie S non modifica le condizioni di raccordo alla
superficie. Questo significa che qualunque cosa si faccia all’interno di S, non si perturba il campo
allesterno, e ovviamente neanche quello all’interno. Pertanto anche la situazione di Fig. 2A é
equivalente a quelle di Fig. 1.
Quello che viene alterato é invece il contributo al campo delle correnti superficiali equivalenti impresse [Js , Ms ]. Infatti, per la sovrapposizione degli effetti, deve risultare, all’esterno
di S,
Ep = EJ + EM
(25)
essendo EJ e EM i campi elettrici prodotti, nella situazione che stiamo considerando (Fig.
2A), rispettivamente dalle sole correnti elettriche superficiali e dalle sole correnti magnetiche
superficiali. Questi due campi dipendono dal materiale contenuto dentro S, e variano se varia
questo materiale, ma variano esattamente in maniera opposta l’uno rispeto all’altro (in modo
da rendere sempre valida la relazione (25)).
Queste considerazioni diventano particolarmente utili se inseriamo, all’interno di S, un
C.E.P.. Evidentemente, per il teorema di equivalenza, il campo al di fuori di S non cambia e
all’interno rimane nullo.
Daltra parte, nel par. 3 é stato dimostrato (eq. (8)) che una corrente elettrica superficiale, impressa sulla superfice di un consuttore, produce un campo identicamente nullo. Nella
(25) si ha allora EJ = 0, e quindi il campo EM , prodotto dalle sole correnti magnetiche superficiali, é identico al campo totale Ep . Ne segue che, se riempiamo l’interno di S con un C.E.P.,
basterá inserire le sole correnti magnetiche superficiali, (ottenendo la situazione di Fig. 2B) per
14
S
S
[E=E p,H=H p]
altro mat.
(incluso C.E.P.)
[E=0,H=0]
[E=E p,H=H p]
C.E.P.
in
[E=0,H=0]
in
Js
Ms
Ms
Fig. 2: A) S riempita di un materiale qualunque (incluso un C.E.P.);
B) S riempita di C.E.P. e campo prodotto dalle sole MS impresse.
produrre lo stesso campo di Fig. 1A al’esterno, e campo nullo all’interno di S, ovvero un’altra
situazione equivalente a quella iniziale.
In modo duale la sola corrente elettrica Js produce il campo primario [Ep (r), Hp (r)], se
all’interno di S é inserito un C.M.P.
Concludiamo facendo notare esplicitamente due punti. Il primo è che le correnti primarie
da eliminare sono solo quelle all’interno di S. Eventuali sorgenti primarie all’esterno di S vanno
conservate. Il secondo è che interno e esterno di S sono determinati solo dal verso di in . Quindi,
per ciascuna superfice S, possiamo applicare due volte il teorema di equivalenza, una per ciascun
verso scelto per in . Le due correnti superficiali avranno segno opposto nelle due applicazioni
e, soprattutto, la regione in cui esiste il campo primario e quella in cui il campo è nullo si
scambiano.
10 CONDUTTORI E CORRENTI INDOTTE
Consideriamo le due situazioni equivalenti di Fig. 1B e 2B del paragrafo precedente, e
consideriamo due punti generici, P e Q, posti nella stessa posizione ma dai due lati di S, come
in Fig. 1.
P
P
x
x
x
x
S
Q
S
[E=E p,H=H p]
Q
[E=E p,H=H p]
C.E.P.
[E=0,H=0]
in
[E=0,H=0]
in
Js
Ms
Ms
Fig. 1: A) Risultato del teorema di equivalenza;
B) Formulazione alternativa, con il C.E.P. e le sole MS impresse.
15
I campi nelle due situazioni di Fig. 1 (che indicheremo con gli apici A e B) sono
evidentemente gli stessi. In particolare
HA (P ) = HB (P ) = Hp (P )
HA (Q) = HB (Q) = 0
e
Il campo magnetico tangente è quindi, in entrambi i casi, discontinuo tra P e Q e pertanto deve scorrere tra questi punti (ovvero sulla superfice S) una corrente elettrica superficiale,
sia nel caso A, sia nel caso B:
A
A
JA
s = in × H (P ) − H (Q) = in × Hp (P )
B
B
JB
s = in × H (P ) − H (Q) = in × Hp (P )
B
da cui segue ovviamente JA
s = Js . Nel caso A, la corrente necessaria è la corrente superficiale
impressa richiesta dal teorema di equivalenza. Nel caso B non vi sono correnti impresse. Ma,
essendo presente un conduttore perfetto, al cui interno sono presenti cariche libere, possiamo
concludere che sul conduttore si induce una corrente elettrica superficiale, esattamente uguale a
quella che, in assenza del conduttore (Fig. 1A) dobbiamo inserire come corrente impressa.
La proprietà dei conduttori perfetti di supportare correnti indotte conduce a una delle
più comuni applicazioni del teorema di equivalenza, relativa proprio ai conduttori.
Nella dimostrazione del teorema di equivalenza non si è richiesta alcuna proprietà al
materiale che riempie tutto lo spazio (salvo la necessità che valga un teorema di unicità). Possiamo allora applicare il teorema di equivalenza alla situazione di Fig. 2A, in cui vi sono delle
sorgenti [J, M] in presenza di un conduttore perfetto che riempie un volume V .
S
S
[E=E p,H=H p]
V
[E=E p,H=H p]
[E=0,H=0]
C.E.P.
in
[J,M]
C.E.P.
in
[J,M]
Js
Ms =0
Fig. 2: A) Correnti in presenza di un oggetto conduttore perfetto;
B) Formulazione alternativa, con il C.E.P. e le sole JS impresse.
Scegliamo come superfice S quella del conduttore (ovvero la frontiera di V ) e come
interno di S il conduttore stesso. Non vi sono sorgenti primarie all’interno di S e quindi il
teorema di equivalenza richede semplicemente di aggiungere delle correnti impresse superficiali
alla superfice di S, per ottenere lo stesso campo primario all’esterno di S e campo nullo all’interno
(Fig. 2B).
Le correnti superficiali necessarie sono date dalla (22):
Js = in × H p
Ms = −in × Ep = 0
16
(26)
in cui si è tenuto conto che S è la superfice di un C.E.P., e quindi su S il campo elettrico
primario ha componente tangente nulla. Naturalmente, includere una corrente impressa nulla o
non includerla è perfettamente euqivalente.
Quindi il teorema di equivalenza afferma che le due situazioni di Fig. 2 sono equivalenti,
e lo restano anche se le correnti magnetiche nella Fig. 2B non ci sono. L’unica differenza è che,
essendo Fig. 2B una conseguenza del teorema di equivalenza, il campo esterno totale resta
invariato anche se il materiale all’interno di S cambia e, ad esempio, è sostituito dal vuoto
(Fig. 3). Pertanto la situazione di Fig. 2A e quella di Fig. 3 sono equivalenti. Dal confronto tra
queste due situazioni si conclude che (come conseguenza del teorema di equivalenza) è possibile
sostituire un oggetto conduttore con delle correnti elettriche impresse superficiali, poste alla
superfice del conduttore, che però irradiano nel vuoto. E questo semplifica il problema, in
quanto è molto più semplice calcolare il campo di correnti nel vuoto che non il campo di correnti
in presenza di oggetti di forma generica.
S
[E=E p,H=H p]
[E=0,H=0]
in
vuoto
[J,M]
Js
Fig. 3: Sostituzione di un C.E.P. con le correnti indotte.
Ricordando poi che nella situazione iniziale (Fig. 2A) il campo interno è nullo, se ne
conclude (con considerazioni analoghe a quelle di Fig. 1) che le correnti impresse di Fig. 3
sono esattamente le correnti che, nella situazione di Fig. 2A, le sorgenti primarie esterne [J, M]
inducono sul conduttore.
11 APPLICAZIONI DEL TEOREMA DI EQUIVALENZA
Tenendo presente la definizione (22) di [Js , Ms ], è evidente che per determinare le
sorgenti equivalenti è necessario conoscere il campo tangente sulla superficie S e cioè occorre aver
già risolto il problema elettromagnetico. Quindi si potrebbe pensare che il teorema di equivalenza
sia inutilizzabile in quanto per poterlo utilizzare sembrerebbe necessario conoscere il campo vero
in tutto lo spazio. In realtà il teorema di equivalenza viene usato in elettromagnetismo per
risolvere una notevole varietà di problemi e ad esempio può essere usato nei seguenti due casi.
Si conosce il campo sulla superficie S ma non al di fuori di S
Si rientra in questi casi perchè è possibile misurare il campo su S oppure approssimarne
il valore.
17
Nel caso della misura, il teorema di equivalenza ci dice che per conoscere il campo al di
fuori di S basta misurare campo elettrico e magnetico tangente su S. Oppure misurare il solo
campo elelttrico, per poi calcolare il campo all’esterno considerando come sorgenti delle correnti
magnetiche superficiali su di un C.E.P.
La principale approssimazione connessa col teorema di equivalenza è quella detta di
Kirchoff, che si usa per fori di grandi dimensioni rispetto alla lunghezza d’onda, praticati in uno
schermo C.E.P. Lapprossimazione di Kirchoff consiste nel valutare il campo elettrico sul foro
come se lo schermo metallico non ci fosse. Infatti, se il foro è grande, l’interazione del campo
incidente con gli spigoli del foro è limitata ad una zona vicina al foro e di dimensioni piccole o
confrontabili con la lunghezza d’onda (Fig. 1).
l
Fig. 1: Geometria di un foro grande in uno schermo C.E.P..
In altri termini, il campo nei punti del foro è approssimato col campo che vi sarebbe,
nello stesso punto, in assenza dello schermo conduttore. Una volta nota l’approssimazione di
Kirchoff per il campo vero sul foro, è possibile applicare il teorema di equivalenza per risolvere
il problema relativo al calcolo del campo trasmesso oltre il foro (Fig. 2).
S
S
in
in
JS
E inc
JS , M S
MS
JS
Fig. 2: A) Risultato del teorema di equivalenza; B) Risultato della
formulazione alternativa (con C.E.P. all’interno).
18
Il teorema di equivalenza si applica alla superficie S che si appoggia sullo schermo
conduttore e si chiude all’infinito (Fig. 2A). Si possono distinguere due regioni sulla superficie
S:
• la regione del foro, dove sia il campo elettrico, sia il campo magnetico sono diversi da
zero, e si ha:
Js = in × H i
Ms = −in × Ei
(27)
dove Ei e Hi sono i campi in corrispondenza del foro ma calcolati come se lo schermo
C.E.P non ci fosse.
• la regione al di fuori del foro che è C.E.P. ed quindi caratterizzata da campo elettrico
tangente nullo, e si ha:
Js = in × H
Ms = −in × E = 0
dove H è il campo magnetico vero (incognito) tangente allo schermo.
Si ottiene cosı̀ la situazione di Fig. 2A, che è quella che deriva direttamente dal teorema
di equivalenza, con correnti sia elettriche, sia magnetiche.
Poichè dall’approssimazione di Kirchoff si conosce solamente il campo in corrispondenza
del foro, la soluzione più ragionevole è quella di metallizzare il foro ed eliminare quindi le correnti
elettriche superficiali impresse Js che ora generano campo nullo allesterno di S. In conclusione,
per il calcolo del campo trasmesso oltre il foro, possibile studiare il problema elettromagnetico
mostrato in Fig. 2B, ossia con le sole correnti magnetiche equivalenti Ms presenti solo in
corrispondenza del foro e che irradiano in presenza di uno schermo C.E.P infinito.
Si utilizza il teorema di equivalenza per determinare le incognite vere del problema
Se il foro è confrontabile con la lunghezza d’onda l’approssimazione di Kirchoff non è
più valida. In questo caso è comunque possibile usare il teorema di equivalenza utilizzando una
strada differente. Come detto nel punto precedente, il foro è completamente caratterizzato dalla
conoscenza del campo elettrico tangente vero sul foro. In questo caso non conosco questo campo
e non lo posso approssimare.
Come primo passo si applica il teorema di equivalenza alla superficie S che poggia sullo
schermo metallico, sia nella regione a sinistra, sia nella regione a destra del foro, e si chiude
allinfinito (Fig. 3A). Poi, analogamente a quanto fatto nel caso precedente, si pu considerare la
situazione equivalente mostrata in Fig. 3B. La corrente magnetica equivalente in corrispondenza
del foro irradia in presenza di un C.E.P infinito sia nella regione A, sia nella regione B. Ma è
opposta nelle due regioni perch la normale alla superficie S è opposta. Per determinare il campo
elettrico in corrispondenza del foro, e quindi la corrente magnetica equivalente che consente di
calcolare il campo in tutto lo spazio, si possono applicare le condizioni di continuità del campo
magnetico tangente sul foro:
in × HA = in × HB
(28)
detta Magnetic Field Integral Equation. Nella (28), HA e HB sono i campi magnetici totali
nelle due regioni A e B. Questi ultimi si ottengono dalle correnti magnetiche sul foro (cui va
sommato il campo magnetico Hi ) utilizzando la funzione di Green di ciascuna regione, ovvero
19
S
A
in
in
JS
JS
B
B
A
E inc
E inc
JS , M S
JS
JS , M S
MS
MS
JS
Fig. 3: A) Risultato del teorema di equivalenza; B) Risultato della
formulazione alternativa (con C.E.P. all’interno).
il campo magnetico di un impulso di corrente magnetica posto sulla superfice S. Se indichiamo
con G (r, r′ ) questa funzione di Green, si trova
Z
A
i
G A (r, r′ ) · − Ms (r′ ) dS ′
H (r) = H +
Z
B
G B (r, r′ ) · Ms (r′ ) dS ′
H (r) =
che, sostituite nella (28), forniscono una equazione (integrale) nella corrente magnetica incognita
Ms , che va ovviamente poi risolta per via numerica.
20
12 TEOREMA DELLE IMMAGINI
Vedi file aggiuntivo IIa
21
INDICE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
TEOREMA DI RECIPROCITÀ . . . . . . . . . . . . .
CASI PARTICOLARI DEL TEOREMA DI RECIPROCITÀ .
UNA APPLICAZIONE DEL TEOREMA DI RECIPROCITÀ
ESISTENZA E UNICITA’ . . . . . . . . . . . . . . . .
IL SIGNIFICATO DELL’UNICITA’
. . . . . . . . . . .
UNICITA’ NEL DOMINIO DELLA FREQUENZA . . . . .
CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA INTERNO .
CONDIZIONI DI UNICITA’ NEL PROBLEMA ESTERNO .
TEOREMA DI EQUIVALENZA . . . . . . . . . . . . .
CONDUTTORI E CORRENTI INDOTTE
. . . . . . . .
APPLICAZIONI DEL TEOREMA DI EQUIVALENZA . . .
TEOREMA DELLE IMMAGINI . . . . . . . . . . . . .
22
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. 1
. 3
. 5
. 5
. 6
. 7
. 9
11
12
15
17
21