Il genere nel paesaggio scientifico a cura di Elena Gagliasso Flavia Zucco ARACNE Copyright © MMVII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 a/b 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–1174–4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio 2007 INDICE Introduzione 7 John Ziman, Scienza e società civile 15 Pietro Greco, La comunicazione nell’era post-accademica della scienza 37 Elena Gagliasso, Doppia appartenenza e parzialità situate 65 Soraya de Chadarevian, Rosalind Franklin e i suoi difensori 89 Bice Fubini, Le donne e le scienze: evoluzione di rapporti 109 Note biografiche 131 INTRODUZIONE Nel corso di soli cinquant’anni il paesaggio in cui si dispiega la scienza è profondamente cambiato. Il mondo della ricerca, un tempo quasi unicamente interno alle accademie e agli istituti di ricerca, è oggi capillarmente diffuso nelle articolazioni sociali ed economiche. Alcune caratteristiche di fondo segnalano queste trasformazioni, che sono sì sociologiche, produttive ed economiche, ma che investono anche gli ideali del sapere, quando non il metodo stesso: la distinzione tra scienza e tecniche è diventata sempre più ardua; le specializzazioni sottodisciplinari si sono ramificate al punto da impedire una reale possibilità di comunicazione e comprensione tra i campi confinanti (è a questo quadro che sovente si associa la diagnosi di alcuni scienziati sulla «fine» di importanti discipline egemoni nel passato e sullo stato nascente di nuovi agglomerati disciplinari); il metodo scientifico non è più uno solo, dal momento che si estende in una polifonia, passando da significative contaminazioni con il metodo storico in tutte quelle discipline che afferiscono all’evoluzione del pianeta, dipendendo in molti settori di punta dalle pratiche della simulazione virtuale, cambiando addirittura i connotati del criterio ipotetico-deduttivo e sperimentale per la rincorsa che la formazione di ipotesi è costretta a tenere rispetto all’accumulo di dati che le macchine provvedono ampiamente a fornire. Il paesaggio sta cambiando anche dal punto di vista di chi lo abita. L’uniformità di una comunità scientifica sostanzialmente 7 8 maschile si è frammentata e in molti campi sono comparse ricercatrici donne. Questa crescita non è solo numerica, ma comincia a coinvolgere alcune trasformazioni a livello delle istituzioni scientifiche, se non addirittura della fisionomia delle stesse discipline, con esiti futuri che non possiamo prevedere. Il genere dunque conta e la tradizione del maschile come neutrouniversale sembra ormai obsoleta: i generi nel paesaggio scientifico cominciano ad essere effettivamente due. * Sul delinearsi di questo stato di cose, in Italia, per una decina di anni dal 1988 al 1998, gruppi di ricercatrici (di svariate discipline, dalle industrie all’università), di storiche della scienza ed epistemologhe, differenti tra loro per formazione politica e per età, avevano organizzato forme di ragionamento condiviso e di pratiche di ricerca. Tale attività si è svolta inizialmente presso il Centro di Documentazione delle Donne di Bologna, successivamente in piccoli gruppi dislocati tra Bologna, Torino e Roma, poi ancora, dal 1998 al 2001, nell’ambito della Commissione di studio per la valorizzazione della componente femminile nel campo della ricerca scientifica e tecnologica istituita dal CNR, per approdare infine nell’Associazione Donne e Scienza, fondata dalle rappresentanti dei nuclei storici nel novembre del 2003. La non neutralità della scienza, in termini politici ed economici, era già fin dai primi anni oggetto di analisi critica, presente come consapevolezza in molte di loro; più tardi è arrivata la coscienza che, proprio in un’area culturale tra le più aperte ed avanzate della società, quale dovrebbe essere quella della ricerca e della cultura scientifica, non esisteva neppure una neutralità di genere. La denuncia della progressiva esclusione delle donne dalla carriera scientifica e dalle posizioni più elevate – nonché dalle sedi decisionali, dove avvengono le scelte di finanziamento e promozione delle ricerche – si è dunque intrecciata con l’analisi del significato della presenza crescente in essa di molte donne, fino a 9 postulare una possibile valenza «femminile» nel fare ricerca. Alle statistiche sulla presenza e collocazione delle donne nella ricerca, sono ormai dedicati molti studi, che dimostrano dettagliatamente le modalità mai palesi, spesse volte non verbali, delle dinamiche di emarginazione da parte di un sistema di cooptazione che, ancora nella scienza contemporanea, premia il genere maschile. Si tratta talora di ingiustizie palesi, comunque di sprechi di risorse pubbliche, visto che le ragazze accedono all’istruzione quanto i ragazzi e ne escono spesso prima e meglio, ma anche di uno spreco di talenti, dato che la distribuzione di menti eccellenti dovrebbe essere più o meno la stessa tra uomini e donne. Sembrerebbe quasi non si sia andati molto più avanti di J. Stuart Mill che, nel 1869, in L’asservimento delle donne, sosteneva che bisogna chiedere di revocare quelle quote che sono riservate agli uomini, piuttosto che pretendere misure protezionistiche per le donne. Ma le donne sono più ambiziose: vogliono non solo entrare nella scienza a parità, ma vorrebbero cambiarla; vogliono continuare a praticare territori di interdisciplinarità, tenere unite metodologie professionali e forme di vita, ricerca settoriale e ruolo dei saperi di sfondo, nella storia e nelle relazioni umane. Vogliono esser libere di praticare nel proprio lavoro la razionalità, le tecnologie, i sogni e le passioni. L’ingresso femminile nel mondo della ricerca avviene tra l’altro in un momento nevralgico per la scienza. La società è diffidente. Una causa è da attribuirsi a vari effetti perversi delle applicazioni tecniche o dei loro esiti imprevisti su larga scala, situazioni peraltro oggi riconosciute e denunciate espressamente proprio da settori scientifici (si veda il doppio ruolo delle tecnologie d’inquinamento del pianeta e delle tecnologie e ricerche di diagnosi di queste stesse ad opera di altri campi della ricerca scientifica). Nuove forme di diffidenza convogliano risorgenti espressioni di irrazionalismo, figlie della disillusione di un positivismo prometeico. Da ultimo si assiste al convergere in un serio attacco alle scienze del tempo profondo e a quelle che lavorano sul materiale 10 d’esordio dell’organismo vivente da parte di due importanti monoteismi: nelle loro componenti più integraliste, evangeliche, cattolica ed islamica. Non è dunque facile elaborare un complesso di risposte equilibrate. Da un lato c’è l’oggettiva breve storia come cittadine della scienza che le donne hanno alle spalle. Da un altro, il confronto con un mondo scientifico meno disposto ad autocritiche e distinguo di soli trent’anni fa. Le critiche alla scienza, diversissime tra loro per trivialità fondamentalista o profondità d’analisi complessiva, hanno portato, come in tutti i casi di contrapposizioni frontali, ad un inasprimento che finisce per selezionare categorie di scientisti radicali che entrano in un eguale schema di crociata sia di fronte ad attacchi oscurantisti che a critiche oculate. Così proprio in questo difficile frangente la presenza delle donne in campo scientifico sembra acquistare un senso particolare. Adesso che possono finalmente coltivare curiosità ed immaginazione, inseguire i problemi, praticare il faticoso piacere del ragionamento scientifico, si trovano a confrontarsi con una società civile diffidente di quel delirio di onnipotenza a cui molti scienziati maschi si sono abbandonati e d’altro canto a fare i conti con una comunità scientifica spesso esasperata. Proprio loro, neofite per certi aspetti e con una lunga esperienza come genere alle spalle, vorrebbero rivalutare la curiosità per la realtà naturale, senza immediatamente entrare nella dimensione iperbolica del demiurgo e senza cedere alla lusinga del mercato di trasformare la conoscenza in pura produzione. Insomma ritrovare il senso profondo della scienza come pratica disinteressata e democratica. È forse per questo che così spesso anche il linguaggio stesso delle scienziate risulta volutamente più limpido e comunicativo, mentre si tende a sintonizzare la mediazione tecnologica col corpo e con il mondo senza eccessivi straniamenti, né cupe condanne. A chi chiede se le donne possono cambiare la scienza Londa Schiebinger risponde arditamente di sì. Infatti ha analizzato il modo in cui la presenza delle donne con una storia femminista alle spalle ha potuto ridisegnare il senso delle domande in alcu- 11 ne discipline scientifiche. Sono discipline per le quali l’ottica di genere ha dato impulso a nuove e diverse interpretazioni dei fatti, rispetto a quelle segnate da un maschile proposto come neutro universale. La primatologia, l’antropologia, la medicina ad esempio, ne sono state influenzate ed hanno avviato strade nuove. A chi chiede se le donne possono cambiare la scienza un’altra risposta, più possibilista, è: mettiamole alla prova in posizioni e spazi adeguati e con le risorse necessarie. Se questa mutata composizione degli attori in gioco può portare a qualcosa, anche soltanto di poco diverso dal presente, ciò col tempo si potrebbe ripercuotere sul futuro della ricerca e quindi, di conseguenza, sul futuro collettivo di noi tutti. * I saggi che abbiamo raccolto presentano caratteristiche molto diverse tra loro, ma sono uniti dal comune riferimento a questo paesaggio scientifico in veloce mutamento, al conflitto che questo mutamento crea nel rapporto tra scienza e società civile, e a come la valenza di genere possa interrogare la struttura della scienza post accademica, immettendovi nuove valenze. Proprio John Ziman, uno dei maggiori sociologi della scienza, recentemente scomparso, nel saggio d’apertura, disegna le nuove coordinate della scienza post accademica, la sua economia e la sua attuale posizione ben più critica che in passato. A partire dalla sua lunga esperienza di un giornalismo scientifico competente e non compiacente, Pietro Greco delinea il terreno di transazioni e conflitti tra scienza e società, alla luce del nuovo radicale ruolo che i canali della comunicazione mediatica svolgono tra i due ambiti. Elena Gagliasso, epistemologa, ragiona sulle strategie possibili tra l’appartenenza di genere e quella professionale e sugli esiti innovativi di una loro opportuna dinamica all’interno dei nuovi soggetti. 12 La storica delle bioscienze Soraya de Chadarevian entra nella storia di Rosalind Franklin, una vicenda di eccellenza non riconosciuta e molto vicina alla nostra epoca, presentando il giallo delle sue riletture contrastanti: una vicenda di interpretazioni storiografiche diverse con cui l’acutezza critica della de Chadarevian si confronta e ci interroga. Bice Fubini, docente di chimica che svolge ricerche sulla tossicità del particolato, analizza infine lo stato della distribuzione, degli accessi e delle professionalità delle ricercatrici dimostrando, nei fatti e nei numeri, l’urgenza dell’abolizione delle pratiche «occulte» e reticolari di cooptazione informale che gravano sulla selezione nelle carriere. Pratiche che nella ricerca scientifica mettono costantemente all’opera criteri in base ai quali l’appartenenza all’uno o all’altro genere resta tuttora un criterio che premia o che gioca a sfavore. La raccolta dei saggi nasce dai lavori presentati al 1° Convegno Nazionale Donne e Scienze, tenutosi nell’aprile del 2004, alla sala Giulio Cesare del Campidoglio di Roma. Ringraziamo tutte le donne del Coordinamento Donne e Scienza che negli anni hanno permesso di sedimentare un crescente livello di consapevolezza e di esperienze condivise su queste tematiche; il Consiglio delle Responsabili dell’Associazione che ha sostenuto l’iniziativa editoriale; le osservazioni circostanziate sui testi di Anna Garbesi; Stefano Ciccone che ha predisposto e curato la registrazione del Convegno; infine Flavio D’Abramo che, con l’attento lavoro di traduzione dei testi dall’inglese, di revisione dei saggi e di editing dell’intero libro ne ha reso possibile la realizzazione. Un grazie infine a tutte le scienziate delle diverse generazioni, ma in particolar modo alle più giovani che – in questo tempo difficile – con la loro tenacia e il loro humor ci ricordano che il volto della scienza può essere anche quello sorridente di risolute e curiose esploratrici della realtà. Elena Gagliasso e Flavia Zucco JOHN ZIMAN Scienza e società civile 15 17 S CIENZA E SOCIETÀ CIVILE * JOHN ZIMAN L’UBIQUITÀ DELLA SCIENZA Tutti quanti sappiamo che la scienza pervade il tipo di società in cui ora viviamo. Ha il dono dell’ubiquità. Il pubblico la incontra in ogni angolo, in ogni sfera della vita. Qualche volta si incontra come tecnologia utile, il telefono ad esempio. Qualche volta si incontra nella forma della medicina che preserva la vita, come la penicillina. Altre volte si incontra come un presagio del destino, come le previsioni dei disastri climatici e qualche volta permette la salvezza da questi terribili eventi. Spesso si incontra sotto forma di strumento deterrente del potere politico, ad esempio le testate nucleari e altre volte, come tecnologia di verifica è possibile incontrarla come risposta pacifica a tali follie. Altre volte si incontra come una dolce ragione, altre ancora come magia. Qualche altra, nella passione classificatoria sembra tetra e a volte, attraverso la poesia di curiose e meravigliose idee, è decisamente accattivante. Ogni tipo di scienza stimola nel pubblico delle particolari attitudini, pratiche di gratitudine, di paura, di rispetto, di sospetto, di accoglienza, di rifiuto, e così via. Il modo in cui la scienza stessa approda al pubblico in tali modalità è anche molto variegato. Le persone vengono colte dalla scienza in moltissimi modi diversi: come utilizzatori, pazienti o clienti, come combattenti, ufficiali o giornalisti, come vittime, come padroni ecc. Poiché al giorno d’oggi la scienza e il pubblico si incontrano così frequentemente e in circostanze così diverse, è molto difficile trarre delle generalizzazioni sulle attitudini sviluppate in questa interazione, o sulle conseguenze che scaturiscono nella * Bibliografia a cura di Flavio D’Abramo 18 JOHN ZIMAN profondità della psiche del pubblico o nelle stanze segrete della torre d’avorio. Qual’è l’interazione tra il pubblico ed i soldi , o la legge? Quali attitudini vengono sviluppate da questo incontro? Non è possibile fare una generalizzazione così ampia. Noi stiamo parlando di una delle istituzione più grandi della nostra società, uno dei maggiori elementi strutturali dell’ordine sociale, uno dei costituenti più importanti della nostra cultura. Questa è certamente un’altra questione impossibile a cui alcuni scienziati sociali credono di poter dare delle risposte plausibili. Quello che possiamo dire, senza dubbio, è che molto dipende dal contesto sociale generale. Le attitudini pubbliche verso la scienza sono parte della cultura in cui la gente vive, con profonde e forti radici ed influenze storiche e nazionali. Le attitudini dei paesi scarsamente sviluppati, come la Cambogia, lo Zimbawe o il Paraguay, sono sicuramente diverse rispetto a quelle sviluppate nell’Europa occidentale, in Nord America o nell’Estremo Oriente. Allo stesso modo quelle di un paese cristiano sono differenti da quelle di un paese islamico. Scendendo nel dettaglio le attitudini del pubblico spagnolo sono differenti da quelle degli italiani o dei francesi. I contesti educativi e religiosi hanno un’influenza significativa su come il pubblico vede il sapere scientifico. Ora iniziamo a realizzare che la modernità non è costituita da un singolo corso culturale che sbaraglia tutte le altre tradizioni e che, nelle relative interazioni scientifiche con altre tradizioni di pensiero resta ben lontana dall’universale. L’AGENDA POLITICA PER LA SCIENZA Ciò che viene spesso dimenticato tuttavia è che la scienza ha una dimensione politica, così come un grande segmento dell’economia deve adattarsi alla politica e viceversa. Infatti la scienza moderna è un fattore così importante per la vita pubblica di ogni nazione che attrae molta dell’attenzione dei poteri, tanto da essere a dir poco sistematicamente plasmata da questi poteri: dal SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 19 governo, dall’industria, dal commercio, dal potere militare, da quello clericale, ecc. Le attitudini pubbliche verso la scienza dipendono dal ruolo sociale che ricopre. La questione di base è sempre la stessa: qual è lo scopo della scienza? Questa non è una questione a cui la scien- John Ziman za possa rispondere autonomamente. Il posto della scienza nella società è determinato almeno in parte dalla società, dalle forze e dalle istituzioni che coscientemente o incosciamente determinano le altre attitudini sociali. In altre parole: ogni sistema sociale prescrive un ruolo per la scienza in conformità alle regole che l’agenda politica di ciascuna società decide. Non sto cercando di 20 JOHN ZIMAN fare un’analisi simile a quella marxista, di classe o ideologica. Io credo solo che la scienza è parte della struttura sociale. Poiché abbiamo appena visto che la scienza è una delle fonti di potere sociale, le sue funzioni vengono stabilite da qualsiasi forza, gruppo, idea o persona che pretende di monopolizzare tale potere. Ci sono molti esempi. Uno degli aspetti più tipici di tutte le società tradizionali, dalle forme più semplici, fondate sulla raccolta e la caccia a quelle più sofisticate, fondate sugli imperi agricoli, è costituito dal fatto che nella scienza vengono compresi sia i saperi pratici che quelli teorici. Se in una simile società c’è un programma politico, questo non riconosce la produzione di sapere come attività distinta, ma piuttosto come incorporata nelle pratiche quotidiane. Chi cerca di far rivivere l’autorità delle più antiche tradizioni è molto attento a non permettere nessuna attività teorica che consenta di far acquisire potere ai rivali. Dall’altra parte, nelle società dichiaratamente teocratiche, guidate da un’esplicita dottrina religiosa, la scienza è spesso riconosciuta come una forma distinta di sapere. Ma questa scienza viene considerata con diffidenza, le vengono assegnati ruoli subordinati, viene sottomessa alla tecnologia, così che non possa mai cambiare l’influenza che la religione stabilita esercita sulle questioni più importanti della vita. La sorte di Galileo esemplifica la risposta alla domanda: a cosa serve la scienza? Nell’epoca contemporanea il fondamentalismo creazionista mostra come questa subordinazione della scienza sia ancora attuale e praticata da molti. Al contrario, in alcuni sistemi sociali totalitari, come nel comunismo sovietico, le autorità si basavano proprio sulla stessa scienza. Il progresso scientifico veniva salutato come trionfo del sistema, in modo particolare dallo Stato che l’aveva incoraggiato. Ma, come esemplificato dal caso Lysenko, quando il sapere scientifico entra in conflitto con gli altri principi dell’ideologia dominante, sono la scienza e le relative istituzioni ad essa collegate a doversene andare, così da assicurare un’apparente conformismo. Tutto ciò che questo Stato riconosceva alla scienza era: «la nostra scienza SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 21 è per il popolo». Senza prendere davvero in considerazione la situazione reale. I difensori del socialismo scientifico credevano nella tecnocrazia, in maniera più moderata. Scrittori come H. G. Wells, J. D. Bernal e C. P. Snow sostenevano che la principale fonte di autorità nella società dovesse essere trovata nella scienza e nella tecnologia. Tali autori immaginavano un sistema sociale inquadrato in linee razionali e in cui la normale pratica politica avrebbe potuto essere eliminata. Il pubblico avrebbe così guardato alla scienza e dunque agli scienziati come al solo centro della decisione e dell’azione sociale. Fortunatamente nessun sistema del genere è stato messo in pratica. Ciò che ora abbiamo, tuttavia, è il capitalismo. In questo sistema si suppone che ogni azione sociale sia nelle mani delle imprese private, ovvero, delle corporations che competono liberamente nel mercato per il beneficio dei consumatori. La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sono unite nella tecnoscienza, un’attività molto frammentata, fondata e gestita dalle varie imprese private, come potenziale fonte di profitto futuro. Così, in paesi come Singapore o la Corea, la collettività è vigorosamente incoraggiata a guardare alla scienza semplicemente come investimento commerciale, probabilmente per valorizzare la competizione economica delle imprese o del paese. Tuttavia il capitalismo ha i suoi critici. Molte persone al giorno d’oggi, inclusi molti scienziati, sono esponenti attivi di un sistema sociale alternativo, in cui il potere delle corporations multinazionali e dei loro alleati politici è stato eliminato o anche solo drasticamente limitato. In questo mondo utopico, le tecnoscienze, prima che possano agire come forze legittime per la liberazione popolare, per lo sviluppo sostenibile, ecc., dovrebbero essere liberate da chi governa le società private e dai relativi sostenitori politici. In altre parole, nel ruolo sociale che ricoprono, le tecnoscienze sono molto sospette ed ambigue. Affinché l’impresa scientifica venga affrontata dal pubblico con uno spirito veramente chiaro, è necessario che sia politicamente 22 JOHN ZIMAN corretta. È superfluo dire che quest’impegno politico non ha mai guadagnato i favori della maggioranza. LA SCIENZA IN UNA POLITICA PLURALISTICA Queste varie forme politiche con cui la società può mettersi in relazione alla scienza, mostrano la molteplicità delle vie praticabili. Le forme sociali appena delineate sono ovviamente molto schematiche, ma gli atteggiamenti che questi sistemi generano sono tutti reali. Tuttavia noi viviamo in Occidente, nell’Unione Europea, in una società non conforme a nessuno di questi stereotipi. La nozione di «corpo sociale» capace di avere diversi atteggiamenti nei riguardi della scienza può essere senza significato in una società con una tradizione tecnocratica, teocratica o totalitaria, mentre nel capitalismo le persone vengono trattate come consumatori e gli anti-capitalisti come anti-consumatori, come se avessero un limitato interesse per la conoscenza scientifica. Una società civile schietta può agire solo in un’ambito politico democratico aperto e libero, dove la maggior parte delle istituzioni sociali più rispettate sostengano le votazioni, la libertà di espressione, la chiarezza e il commercio. In altre parole, tutta questa discussione presuppone che esista l’interesse per una società pluralistica dove la scienza venga considerata solo una delle istituzioni che regolano le attività pubbliche. Così intesa la scienza produce una pluralità di atteggiamenti da parte degli individui che compongono la società, non solo perché gli approcci sono molteplici, ma anche perché è al servizio di vari programmi politici. È dunque una fortuna vivere in una società dove non c’è un’autorità centrale o un’ideologia capace di prescrivere un unico ruolo sociale per le scienze e le tecnologie associate. Tuttavia vorrei analizzare e criticare questo argomento. Il moderno pluralismo politico dipende da una scienza capace di svolgere SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 23 diverse funzioni sociali. I programmi politici onnicomprensivi tipici della nostra società sono attualmente resi stabili da una pluralità di tendenze verso la scienza, effetto di un connubio di istituzioni relativamente autonome che producono conoscenza scientifica e di esperti che ricoprono una grande varietà di ruoli sociali. A COSA SERVE LA SCIENZA? Ad un primo sguardo non esiste alcuna contestazione. Gli economisti e i politici ci dicono continuamente che il primo ruolo della scienza è di guidare e dare forma alla vita pratica. Questa è una riduzione dei possibili ruoli che la scienza può svolgere e resa possibile, direttamente o indirettamente, dalle sue capacità strumentali. Molto del sapere prodotto dalla ricerca scientifica ha previsto delle applicazioni pratiche. Ciò può essere evidentemente sfruttato per raggiungere un certo numero di effetti desiderabili e che solitamente vanno sotto il nome di creazione di ricchezza, competizione internazionale, sicurezza nazionale, salute pubblica, benessere sociale, e così via. Le voci del governo, dell’industria, dei media, dei partiti politici e di molti entro la società civile, dicono la stessa cosa. Tutti confondono la scienza con la tecnologia, e celebrano la tecnoscienza come capace di produrre apparentemente ogni cosa, inclusa la cura per i mali che essa stessa produce. Utilizzando una chiave più sofisticata, viene riconosciuto che molta della conoscenza prodotta dalla ricerca scientifica, specialmente nelle università, non ha nessun uso pratico. Tuttavia, con una modesta spesa in immaginazione tecnica, è possibile costruire scenari plausibili in cui è concepibile sfruttare tale conoscenza tecnologicamente o medicalmente. In altre parole, la potenzialità conferisce a questo sapere un ruolo «pre-strumentale», come Michael Faraday disse al Primo Ministro inglese, paragonando questo tipo di scienza ad un bambino appena nato. Nel mondo 24 JOHN ZIMAN delle scienze politiche è designata come «ricerca strategica», da intraprendere per benefici di lungo-periodo, per rafforzare le basi teoriche, scoprire principi applicabili, inventare nuove tecniche, estendere le capacità tecniche, allargare il campo di applicazione dei risultati delle ricerche (spin-off), ecc. Comunque, questo discorso prende scarsamente in considerazione le persone che attualmente eseguono la ricerca, o chi sfrutta i suoi prodotti. Nel mondo reale di un’economia mista e politicamente pluralistica, la tecnoscienza è la creatura sia del governo che dell’industria, funzionando più o meno indipendentemente o liberamente. Molto spesso, i risultati della ricerca sono confusi e contraddittori, e non favoriscono direttamente gli interessi delle società o degli enti che l’hanno originata. Tuttavia questi risultati vengono considerati come proprietà intellettuale, così che appartengono a qualsiasi ente, un’agenzia di Stato o un’impresa commerciale, che ha avuto la fortuna di aver finanziato queste ricerche. Al giorno d’oggi, le organizzazioni pubbliche e private che finanziano la ricerca e controllano l’uso dei suoi prodotti sono generalmente grandi e molto potenti. Tuttavia poiché queste organizzazioni fanno parte di una società pluralistica e competitiva spesso hanno missioni ed impegni conflittuali. Queste organizzazioni sfruttano le loro capacità tecnoscientifiche per ampliare le risorse tecniche, per vincere il mercato, per competere ancora, per regolare un altro mercato, per citare in giudizio qualche altra impresa, per guadagnare l’approvazione del pubblico o, sotto altri aspetti, per favorire i loro interessi particolari. Queste organizzazioni solo raramente hanno tutto il potere legale che vorrebbero imporre attraverso le loro tendenze tecnocratiche e così facendo usano la scienza come strumento per raggiungere i loro fini materiali o sociali, o per evitare che i loro rivali politici, economici, militari o culturali raggiungano i propri obiettivi. SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 25 I RUOLI NON STRUMENTALI DELLA SCIENZA Quelli che vengono ignorati sono i molti aspetti non strumentali della scienza. In una società pluralistica, aperta e democratica, la scienza svolge molte altre funzioni socialmente valide, molte delle quali sono sottovalutate. Il contesto pubblico è confuso dalle finalità pratiche delle tecnoscienze e dai manager che permettono tutto ciò. Tuttavia noi ci fidiamo della scienza per numerosi ed intangibili benefici, come il modello del mondo dell’istruzione, o i giudizi critico-razionali, o per l’esistenza degli esperti indipendenti. Senza questi benefici, la nostra cultura moderna non sarebbe vitale e collasserebbe nell’oscurantismo e nella tirannia. Prima di tutto la scienza arricchisce la società con conoscenze generali attendibili. Gli scienziati soffrono per la mancanza della comprensione pubblica del loro lavoro, eppure le loro conoscenze sono di dominio pubblico. Per esempio, molte persone istruite hanno, al giorno d’oggi, concezioni più realistiche delle origini umane, e delle relative condizioni e capacità, molto più di quanto fosse possibile solo qualche secolo fa. Anche chi rifiuta pubblicamente le scoperte della biologia evoluzionistica, della genetica, della psicologia, dell’antropologia o della sociologia dimostra quanto importanti siano queste conoscenze per la concezione di sé. La nostra società è caratterizzata da un’ampia area di interesse pubblico: la salute, le risorse energetiche, le risorse alimentari, il pubblico impiego, la conservazione della natura e così via. La consapevolezza dei relativi rischi e le analisi di come possano essere evitati scaturisce originariamente da scienze come l’ecologia, la climatologia, l’epidemiologia e l’economia. Per esempio, l’idea che ci sia un effetto serra che può produrre un riscaldamento globale disastroso emerge dalla ricerca scientifica non strumentale. La vita umana sarebbe insopportabilmente offuscata senza le meravigliose scoperte della curiosità scientifica. Gli affascinanti 26 JOHN ZIMAN saperi della cosmologia, della fisica delle particelle, della tettonica delle placche, dell’etologia, della scienza cognitiva, non sono semplicemente piaceri culturali apprezzabili esclusivamente da chi li conosce. Nel lungo periodo, queste conoscenze sono state ampiamente condivise per divenire parte della coscienza e della mentalità delle masse della civiltà in cui viviamo. Nell’utilitarismo non c’è posto per tali futilità, ma noi sappiamo nel profondo, che sono beni intangibili e che ci danno più sostentamento di quanto possa fare il bere o il mangiare. Un’altra delle funzioni non strumentali della scienza è quella di introdurre i giudizi scientifici nella discussione pubblica. Ciò solitamente non accadeva nei grandi luoghi di dibattito del passato, come l’agorà della Grecia classica. Il discorso scientifico esercita una forma di razionalità critica che è effettivamente importante per valutare la consistenza tra le conclusioni teoriche e la realtà dei fatti. Questo non significa che gli scienziati siano particolarmente ragionevoli o intelligenti, o che ci sia un «metodo scientifico» che possa risolvere qualsiasi problema sociale. Al contrario, avere familiarità con la scienza significa essere intellettualmente moderati, poiché essa ci suggerisce che i dogmi vanno messi in dubbio, che le teorie vanno testate empiricamente, che i fatti supposti vanno confermati, che le belle riflessioni sono spesso irrazionali. Tuttavia le congetture scientifiche non sempre vanno contro le autorità, ma sovente le ridimensionano. In effetti, la scienza gioca un ruolo cruciale per combattere l’arroganza tecnocratica con uno scetticismo ben fondato e immaginando degli scenari alternativi. Liberata dai suoi paraocchi tecnoscientifici, la scienza è effettivamente un mezzo per prender coscienza e incoraggiare tutta la gamma dei valori umani che dovrebbero essere alla base della nostra civiltà. Da un punto di vista pragmatico, comunque, la funzione non strumentale più preziosa della scienza è quella di produrre i professionisti e gli esperti indipendenti che occupano, nell’ordine sociale, molte delle posizioni chiave. Questo è vero, per esempio, SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 27 nei mestieri in cui si intrattiene un rapporto con la scienza come accade nell’ingegneria o nella medicina, in cui i professionisti sono sensibili, per tutta la durata delle loro carriere, all’incertezze e alla continua crescita delle loro conoscenze di base: essi hanno bisogno di essere formati nell’atmosfera dell’apertura scientifica. Per la sua continuità vitale la stessa tecnoscienza dipende da un regolare afflusso di scienziati, per così dire «a carica automatica», ovvero abituati ad una grande autonomia nell’eseguire ricerche prive di una finalità precisa. Dopo tutto, le nostre pratiche sociali democratiche, basate sulle leggi, agiscono in base all’assunto che i ricercatori e gli scienziati possano sempre esser chiamati a fornire informazioni ed opinioni autorevoli e non-partigiane a riguardo a dispute o imprese, sia come attestazione specialistica, assistenti o arbitri specializzati, che come consiglieri o consulenti tecnici o semplicemente come portavoce. Nessuno suppone, certamente, che tali persone potranno mai essere all’altezza di standard di oggettività e imparzialità sovraumana. Tuttavia la possibilità di raggiungere la chiusura di molte controversie dipende in definitiva dalla credibilità pratica degli esperti scientifici che sono temporaneamente ingaggiati a ricoprire questi ruoli socialmente influenti. LE CONDIZIONE DI UNA SCIENZA NON-STRUMENTALE Tutto ciò suona bene ed è ovvio. La scienza svolge tutte queste importanti funzioni e la nostra società trae molti benefici da ciò. Ma consideriamo ora le condizioni che sono attualmente necessarie per la pratica di una scienza che sia intimamente non-strumentale. Queste condizioni fanno così tanto parte della situazione culturale e del posto che la scienza ha stabilito per se stessa nella nostra società, che c’è bisogno del pensiero sociologico per districarla dall’intera rete di interessi e poteri che la direzionano. È chiaro che la scienza per ricoprire delle funzioni 28 JOHN ZIMAN non strumentali dovrebbe essere: Pubblica: per un uso aperto nella legge, in politica e nelle questioni sociali. Universale: per un accesso equo e per la comprensione generale. Immaginativa: per l’esplorazione di tutti gli aspetti del mondo naturale. Autocritica: per la convalida attraverso esperimenti e dibattiti; Disinteressata: per la produzione di conoscenza «per il suo stesso interesse». Questa lista è ovviamente molto schematica. Tuttavia, queste condizioni confliggono direttamente con il modo in cui la scienza svolge abitualmente le funzioni strumentali che sono richieste dalla società. Ciò è ancora più complicato di quanto possa suggerire un resoconto del comportamento della ricerca industriale e dello sviluppo. In generale comunque la tecnoscienza produce un sapere che tipicamente è: Proprietario: da sfruttare come proprietà intellettuale. Particolare: al servizio di specifiche élite e gruppi di potere locali. Prosaico: che va incontro a problemi e necessità percepite. Pragmatico: da testare solo per il successo pratico. Partigiano: per soddisfare interessi ed impegni già assegnati dalla società. Questa terminologia non è sociologicamente neutrale, ma rende evidenti le contraddizioni intrinseche tra questi due ruoli. Per un’attività sociale è impossibile essere sia pubblica che proprietaria, o contemporaneamente disinteressata e partigiana. Le condizioni per l’universalità confliggono con le necessità locali. Le capacità immaginative sono limitate da impedimenti quotidiani, e il pragmatismo non ha tempo per l’autocritica concettuale. In altre parole, i ruoli sociali non strumentali della scienza non possono essere svolti solo dalle tecnoscienze, almeno nei modi attuali che conosciamo. SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE 29 SCIENZA ACCADEMICA COME RICERCA NON STRUMENTALE Tutte queste ottime funzioni e benefici sociali sono attualmente caratteristici della scienza «accademica». Il termine è tra virgolette per indicare che non si sta considerando solo la ricerca che viene fatta nelle università o nelle accademie nazionali. Ho in mente anche tutte quelle istituzioni sociali in cui gli scienziati sono, o erano, impiegati sotto condizioni «accademiche», in linea con i principi stabiliti nelle università tedesche nel XIX secolo, poi divenuti principi delle università di tutto il mondo. Il libro di John Ziman, Real Science. What It Is and What It Means, Cambridge University Press, 2000. Tradizionalmente gli scienziati accademici sono impiegati formalmente come insegnanti e non come ricercatori; tuttavia attualmente vincono posti universitari permanenti per ciò che effettivamente producono, cosa che viene accertata nei concorsi dai loro stessi colleghi. In modo analogo gli scienziati di molte istituzioni dove non si insegna, nei laboratori ad esempio, non sono impiegati per svolgere progetti di ricerca particolari o per 30 JOHN ZIMAN ottenere risultati di ricerca stabiliti una volta per tutti. In altre parole, questa è una cultura scientifica con un ethos fortemente non strumentale. Non è un caso che la scienza accademica abbia molte pratiche vicine alle condizioni necessarie ai ruoli non strumentali: libertà di «pubblicare o morire» [publish or perish]; incarichi ed impieghi meritocratici; autonomia di ricerca protetta dal «ruolo»; «scuole invisibili» al livello transnazionale; «revisione paritaria» [peer review] di progetti, persone e pubblicazioni; dibattito critico aperto; ricompense competitive per la scoperta; finanziamenti da parte di organizzazioni non governative semi-autonome. Dal punto di vista storico, queste pratiche istituzionali si sono evolute in parallelo alle funzioni sociali che esse stesse hanno contribuito a rendere possibili. In effetti, esse sono solo delle piccole parti del «contratto» implicito sancito fra la nostra società moderna e pluralistica e quella scienza che fornisce un così alto numero di benefici. Infatti anche le tecnoscienze che potenziano l’economia industriale non possono prosperare senza la scienza accademica. I suoi benefici includono dei prodotti essenziali come: conoscenza affidabile come base per la ricerca strumentale; prospettive realistiche sulle necessità future della società; scoperte impreviste dagli usi inaspettati; criteri etici per valutare i rischi pubblici; criteri razionali per la ricerca e lo sviluppo; ricercatori abilmente qualificati che si automotivano; consiglieri e consulenti autorevoli ed imparziali. Possiamo chiamare «accademia» quella scienza accademica che aiuta a colmare le molte lacune presenti nella nostra matrice sociale. Le dimensioni in cui si avvertono questi gap sono molte: Lacune della conoscenza: nel suo ruolo educativo, l’accademia fornisce al pubblico l’accesso aperto a conoscenze scientifiche affidabili. Lacune governative: nel suo ruolo di ricerca, l’accademia fornisce al pubblico esperti scientifici indipendenti per il controllo