Il genere nel paesaggio scientifico

Il genere nel paesaggio scientifico
a cura di
Elena Gagliasso
Flavia Zucco
ARACNE
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ISBN
978–88–548–1174–4
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I edizione: maggio 2007
INDICE
Introduzione
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John Ziman, Scienza e società civile
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Pietro Greco, La comunicazione nell’era post-accademica della scienza
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Elena Gagliasso, Doppia appartenenza e parzialità
situate
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Soraya de Chadarevian, Rosalind Franklin e i suoi
difensori
89
Bice Fubini, Le donne e le scienze: evoluzione di rapporti
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Note biografiche
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INTRODUZIONE
Nel corso di soli cinquant’anni il paesaggio in cui si dispiega la
scienza è profondamente cambiato. Il mondo della ricerca, un
tempo quasi unicamente interno alle accademie e agli istituti di
ricerca, è oggi capillarmente diffuso nelle articolazioni sociali ed
economiche.
Alcune caratteristiche di fondo segnalano queste trasformazioni,
che sono sì sociologiche, produttive ed economiche, ma che investono anche gli ideali del sapere, quando non il metodo stesso: la
distinzione tra scienza e tecniche è diventata sempre più ardua;
le specializzazioni sottodisciplinari si sono ramificate al punto
da impedire una reale possibilità di comunicazione e comprensione tra i campi confinanti (è a questo quadro che sovente si
associa la diagnosi di alcuni scienziati sulla «fine» di importanti
discipline egemoni nel passato e sullo stato nascente di nuovi
agglomerati disciplinari); il metodo scientifico non è più uno
solo, dal momento che si estende in una polifonia, passando da
significative contaminazioni con il metodo storico in tutte quelle
discipline che afferiscono all’evoluzione del pianeta, dipendendo
in molti settori di punta dalle pratiche della simulazione virtuale,
cambiando addirittura i connotati del criterio ipotetico-deduttivo e sperimentale per la rincorsa che la formazione di ipotesi è
costretta a tenere rispetto all’accumulo di dati che le macchine
provvedono ampiamente a fornire.
Il paesaggio sta cambiando anche dal punto di vista di chi lo
abita. L’uniformità di una comunità scientifica sostanzialmente
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maschile si è frammentata e in molti campi sono comparse ricercatrici donne. Questa crescita non è solo numerica, ma comincia
a coinvolgere alcune trasformazioni a livello delle istituzioni
scientifiche, se non addirittura della fisionomia delle stesse discipline, con esiti futuri che non possiamo prevedere.
Il genere dunque conta e la tradizione del maschile come neutrouniversale sembra ormai obsoleta: i generi nel paesaggio scientifico cominciano ad essere effettivamente due.
*
Sul delinearsi di questo stato di cose, in Italia, per una decina di
anni dal 1988 al 1998, gruppi di ricercatrici (di svariate discipline, dalle industrie all’università), di storiche della scienza ed
epistemologhe, differenti tra loro per formazione politica e per
età, avevano organizzato forme di ragionamento condiviso e di
pratiche di ricerca. Tale attività si è svolta inizialmente presso il
Centro di Documentazione delle Donne di Bologna, successivamente in piccoli gruppi dislocati tra Bologna, Torino e Roma,
poi ancora, dal 1998 al 2001, nell’ambito della Commissione
di studio per la valorizzazione della componente femminile nel
campo della ricerca scientifica e tecnologica istituita dal CNR,
per approdare infine nell’Associazione Donne e Scienza, fondata
dalle rappresentanti dei nuclei storici nel novembre del 2003.
La non neutralità della scienza, in termini politici ed economici,
era già fin dai primi anni oggetto di analisi critica, presente come
consapevolezza in molte di loro; più tardi è arrivata la coscienza
che, proprio in un’area culturale tra le più aperte ed avanzate della
società, quale dovrebbe essere quella della ricerca e della cultura
scientifica, non esisteva neppure una neutralità di genere.
La denuncia della progressiva esclusione delle donne dalla carriera scientifica e dalle posizioni più elevate – nonché dalle sedi
decisionali, dove avvengono le scelte di finanziamento e promozione delle ricerche – si è dunque intrecciata con l’analisi del
significato della presenza crescente in essa di molte donne, fino a
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postulare una possibile valenza «femminile» nel fare ricerca.
Alle statistiche sulla presenza e collocazione delle donne nella
ricerca, sono ormai dedicati molti studi, che dimostrano dettagliatamente le modalità mai palesi, spesse volte non verbali,
delle dinamiche di emarginazione da parte di un sistema di
cooptazione che, ancora nella scienza contemporanea, premia il
genere maschile. Si tratta talora di ingiustizie palesi, comunque
di sprechi di risorse pubbliche, visto che le ragazze accedono
all’istruzione quanto i ragazzi e ne escono spesso prima e meglio,
ma anche di uno spreco di talenti, dato che la distribuzione di
menti eccellenti dovrebbe essere più o meno la stessa tra uomini
e donne. Sembrerebbe quasi non si sia andati molto più avanti
di J. Stuart Mill che, nel 1869, in L’asservimento delle donne,
sosteneva che bisogna chiedere di revocare quelle quote che sono
riservate agli uomini, piuttosto che pretendere misure protezionistiche per le donne.
Ma le donne sono più ambiziose: vogliono non solo entrare nella
scienza a parità, ma vorrebbero cambiarla; vogliono continuare a
praticare territori di interdisciplinarità, tenere unite metodologie
professionali e forme di vita, ricerca settoriale e ruolo dei saperi
di sfondo, nella storia e nelle relazioni umane. Vogliono esser
libere di praticare nel proprio lavoro la razionalità, le tecnologie,
i sogni e le passioni.
L’ingresso femminile nel mondo della ricerca avviene tra l’altro
in un momento nevralgico per la scienza. La società è diffidente.
Una causa è da attribuirsi a vari effetti perversi delle applicazioni tecniche o dei loro esiti imprevisti su larga scala, situazioni
peraltro oggi riconosciute e denunciate espressamente proprio da
settori scientifici (si veda il doppio ruolo delle tecnologie d’inquinamento del pianeta e delle tecnologie e ricerche di diagnosi
di queste stesse ad opera di altri campi della ricerca scientifica).
Nuove forme di diffidenza convogliano risorgenti espressioni di
irrazionalismo, figlie della disillusione di un positivismo prometeico. Da ultimo si assiste al convergere in un serio attacco alle
scienze del tempo profondo e a quelle che lavorano sul materiale
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d’esordio dell’organismo vivente da parte di due importanti
monoteismi: nelle loro componenti più integraliste, evangeliche,
cattolica ed islamica.
Non è dunque facile elaborare un complesso di risposte equilibrate. Da un lato c’è l’oggettiva breve storia come cittadine della
scienza che le donne hanno alle spalle. Da un altro, il confronto
con un mondo scientifico meno disposto ad autocritiche e distinguo di soli trent’anni fa. Le critiche alla scienza, diversissime
tra loro per trivialità fondamentalista o profondità d’analisi complessiva, hanno portato, come in tutti i casi di contrapposizioni
frontali, ad un inasprimento che finisce per selezionare categorie
di scientisti radicali che entrano in un eguale schema di crociata
sia di fronte ad attacchi oscurantisti che a critiche oculate.
Così proprio in questo difficile frangente la presenza delle donne in campo scientifico sembra acquistare un senso particolare.
Adesso che possono finalmente coltivare curiosità ed immaginazione, inseguire i problemi, praticare il faticoso piacere del
ragionamento scientifico, si trovano a confrontarsi con una
società civile diffidente di quel delirio di onnipotenza a cui molti
scienziati maschi si sono abbandonati e d’altro canto a fare i conti con una comunità scientifica spesso esasperata. Proprio loro,
neofite per certi aspetti e con una lunga esperienza come genere
alle spalle, vorrebbero rivalutare la curiosità per la realtà naturale,
senza immediatamente entrare nella dimensione iperbolica del
demiurgo e senza cedere alla lusinga del mercato di trasformare
la conoscenza in pura produzione. Insomma ritrovare il senso
profondo della scienza come pratica disinteressata e democratica.
È forse per questo che così spesso anche il linguaggio stesso delle
scienziate risulta volutamente più limpido e comunicativo, mentre si tende a sintonizzare la mediazione tecnologica col corpo e
con il mondo senza eccessivi straniamenti, né cupe condanne.
A chi chiede se le donne possono cambiare la scienza Londa
Schiebinger risponde arditamente di sì. Infatti ha analizzato il
modo in cui la presenza delle donne con una storia femminista
alle spalle ha potuto ridisegnare il senso delle domande in alcu-
11
ne discipline scientifiche. Sono discipline per le quali l’ottica
di genere ha dato impulso a nuove e diverse interpretazioni dei
fatti, rispetto a quelle segnate da un maschile proposto come
neutro universale. La primatologia, l’antropologia, la medicina
ad esempio, ne sono state influenzate ed hanno avviato strade
nuove.
A chi chiede se le donne possono cambiare la scienza un’altra
risposta, più possibilista, è: mettiamole alla prova in posizioni
e spazi adeguati e con le risorse necessarie. Se questa mutata
composizione degli attori in gioco può portare a qualcosa, anche
soltanto di poco diverso dal presente, ciò col tempo si potrebbe
ripercuotere sul futuro della ricerca e quindi, di conseguenza, sul
futuro collettivo di noi tutti.
*
I saggi che abbiamo raccolto presentano caratteristiche molto
diverse tra loro, ma sono uniti dal comune riferimento a questo
paesaggio scientifico in veloce mutamento, al conflitto che questo
mutamento crea nel rapporto tra scienza e società civile, e a come
la valenza di genere possa interrogare la struttura della scienza
post accademica, immettendovi nuove valenze.
Proprio John Ziman, uno dei maggiori sociologi della scienza,
recentemente scomparso, nel saggio d’apertura, disegna le nuove
coordinate della scienza post accademica, la sua economia e la
sua attuale posizione ben più critica che in passato.
A partire dalla sua lunga esperienza di un giornalismo scientifico
competente e non compiacente, Pietro Greco delinea il terreno
di transazioni e conflitti tra scienza e società, alla luce del nuovo
radicale ruolo che i canali della comunicazione mediatica svolgono tra i due ambiti.
Elena Gagliasso, epistemologa, ragiona sulle strategie possibili
tra l’appartenenza di genere e quella professionale e sugli esiti
innovativi di una loro opportuna dinamica all’interno dei nuovi
soggetti.
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La storica delle bioscienze Soraya de Chadarevian entra nella
storia di Rosalind Franklin, una vicenda di eccellenza non riconosciuta e molto vicina alla nostra epoca, presentando il giallo delle
sue riletture contrastanti: una vicenda di interpretazioni storiografiche diverse con cui l’acutezza critica della de Chadarevian
si confronta e ci interroga.
Bice Fubini, docente di chimica che svolge ricerche sulla tossicità del particolato, analizza infine lo stato della distribuzione,
degli accessi e delle professionalità delle ricercatrici dimostrando, nei fatti e nei numeri, l’urgenza dell’abolizione delle pratiche
«occulte» e reticolari di cooptazione informale che gravano sulla
selezione nelle carriere. Pratiche che nella ricerca scientifica
mettono costantemente all’opera criteri in base ai quali l’appartenenza all’uno o all’altro genere resta tuttora un criterio che
premia o che gioca a sfavore.
La raccolta dei saggi nasce dai lavori presentati al 1° Convegno
Nazionale Donne e Scienze, tenutosi nell’aprile del 2004, alla sala
Giulio Cesare del Campidoglio di Roma. Ringraziamo tutte le
donne del Coordinamento Donne e Scienza che negli anni hanno
permesso di sedimentare un crescente livello di consapevolezza
e di esperienze condivise su queste tematiche; il Consiglio delle
Responsabili dell’Associazione che ha sostenuto l’iniziativa editoriale; le osservazioni circostanziate sui testi di Anna Garbesi;
Stefano Ciccone che ha predisposto e curato la registrazione del
Convegno; infine Flavio D’Abramo che, con l’attento lavoro
di traduzione dei testi dall’inglese, di revisione dei saggi e di
editing dell’intero libro ne ha reso possibile la realizzazione. Un
grazie infine a tutte le scienziate delle diverse generazioni, ma in
particolar modo alle più giovani che – in questo tempo difficile
– con la loro tenacia e il loro humor ci ricordano che il volto della
scienza può essere anche quello sorridente di risolute e curiose
esploratrici della realtà.
Elena Gagliasso e Flavia Zucco
JOHN ZIMAN
Scienza e società civile
15
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S CIENZA
E SOCIETÀ CIVILE *
JOHN ZIMAN
L’UBIQUITÀ DELLA SCIENZA
Tutti quanti sappiamo che la scienza pervade il tipo di società in cui ora viviamo. Ha il dono dell’ubiquità. Il pubblico la
incontra in ogni angolo, in ogni sfera della vita. Qualche volta si
incontra come tecnologia utile, il telefono ad esempio. Qualche
volta si incontra nella forma della medicina che preserva la vita,
come la penicillina. Altre volte si incontra come un presagio
del destino, come le previsioni dei disastri climatici e qualche
volta permette la salvezza da questi terribili eventi. Spesso si
incontra sotto forma di strumento deterrente del potere politico,
ad esempio le testate nucleari e altre volte, come tecnologia di
verifica è possibile incontrarla come risposta pacifica a tali follie.
Altre volte si incontra come una dolce ragione, altre ancora come
magia. Qualche altra, nella passione classificatoria sembra tetra
e a volte, attraverso la poesia di curiose e meravigliose idee, è
decisamente accattivante.
Ogni tipo di scienza stimola nel pubblico delle particolari attitudini, pratiche di gratitudine, di paura, di rispetto, di sospetto, di
accoglienza, di rifiuto, e così via. Il modo in cui la scienza stessa
approda al pubblico in tali modalità è anche molto variegato. Le
persone vengono colte dalla scienza in moltissimi modi diversi:
come utilizzatori, pazienti o clienti, come combattenti, ufficiali o
giornalisti, come vittime, come padroni ecc.
Poiché al giorno d’oggi la scienza e il pubblico si incontrano
così frequentemente e in circostanze così diverse, è molto difficile trarre delle generalizzazioni sulle attitudini sviluppate in
questa interazione, o sulle conseguenze che scaturiscono nella
*
Bibliografia a cura di Flavio D’Abramo
18
JOHN ZIMAN
profondità della psiche del pubblico o nelle stanze segrete della
torre d’avorio. Qual’è l’interazione tra il pubblico ed i soldi , o
la legge? Quali attitudini vengono sviluppate da questo incontro? Non è possibile fare una generalizzazione così ampia. Noi
stiamo parlando di una delle istituzione più grandi della nostra
società, uno dei maggiori elementi strutturali dell’ordine sociale,
uno dei costituenti più importanti della nostra cultura. Questa è
certamente un’altra questione impossibile a cui alcuni scienziati
sociali credono di poter dare delle risposte plausibili. Quello che
possiamo dire, senza dubbio, è che molto dipende dal contesto
sociale generale. Le attitudini pubbliche verso la scienza sono
parte della cultura in cui la gente vive, con profonde e forti radici
ed influenze storiche e nazionali. Le attitudini dei paesi scarsamente sviluppati, come la Cambogia, lo Zimbawe o il Paraguay,
sono sicuramente diverse rispetto a quelle sviluppate nell’Europa
occidentale, in Nord America o nell’Estremo Oriente. Allo stesso
modo quelle di un paese cristiano sono differenti da quelle di un
paese islamico. Scendendo nel dettaglio le attitudini del pubblico
spagnolo sono differenti da quelle degli italiani o dei francesi.
I contesti educativi e religiosi hanno un’influenza significativa
su come il pubblico vede il sapere scientifico. Ora iniziamo a
realizzare che la modernità non è costituita da un singolo corso
culturale che sbaraglia tutte le altre tradizioni e che, nelle relative
interazioni scientifiche con altre tradizioni di pensiero resta ben
lontana dall’universale.
L’AGENDA POLITICA PER LA SCIENZA
Ciò che viene spesso dimenticato tuttavia è che la scienza ha una
dimensione politica, così come un grande segmento dell’economia deve adattarsi alla politica e viceversa. Infatti la scienza
moderna è un fattore così importante per la vita pubblica di ogni
nazione che attrae molta dell’attenzione dei poteri, tanto da
essere a dir poco sistematicamente plasmata da questi poteri: dal
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
19
governo, dall’industria, dal commercio, dal potere militare, da
quello clericale, ecc.
Le attitudini pubbliche verso la scienza dipendono dal ruolo
sociale che ricopre. La questione di base è sempre la stessa: qual è
lo scopo della scienza? Questa non è una questione a cui la scien-
John Ziman
za possa rispondere autonomamente. Il posto della scienza nella
società è determinato almeno in parte dalla società, dalle forze e
dalle istituzioni che coscientemente o incosciamente determinano le altre attitudini sociali. In altre parole: ogni sistema sociale
prescrive un ruolo per la scienza in conformità alle regole che
l’agenda politica di ciascuna società decide. Non sto cercando di
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JOHN ZIMAN
fare un’analisi simile a quella marxista, di classe o ideologica. Io
credo solo che la scienza è parte della struttura sociale. Poiché
abbiamo appena visto che la scienza è una delle fonti di potere
sociale, le sue funzioni vengono stabilite da qualsiasi forza, gruppo, idea o persona che pretende di monopolizzare tale potere.
Ci sono molti esempi. Uno degli aspetti più tipici di tutte le società tradizionali, dalle forme più semplici, fondate sulla raccolta e
la caccia a quelle più sofisticate, fondate sugli imperi agricoli,
è costituito dal fatto che nella scienza vengono compresi sia i
saperi pratici che quelli teorici. Se in una simile società c’è un
programma politico, questo non riconosce la produzione di sapere come attività distinta, ma piuttosto come incorporata nelle
pratiche quotidiane. Chi cerca di far rivivere l’autorità delle più
antiche tradizioni è molto attento a non permettere nessuna attività teorica che consenta di far acquisire potere ai rivali.
Dall’altra parte, nelle società dichiaratamente teocratiche, guidate da un’esplicita dottrina religiosa, la scienza è spesso riconosciuta come una forma distinta di sapere. Ma questa scienza
viene considerata con diffidenza, le vengono assegnati ruoli
subordinati, viene sottomessa alla tecnologia, così che non possa
mai cambiare l’influenza che la religione stabilita esercita sulle
questioni più importanti della vita. La sorte di Galileo esemplifica la risposta alla domanda: a cosa serve la scienza? Nell’epoca
contemporanea il fondamentalismo creazionista mostra come
questa subordinazione della scienza sia ancora attuale e praticata
da molti.
Al contrario, in alcuni sistemi sociali totalitari, come nel comunismo sovietico, le autorità si basavano proprio sulla stessa scienza.
Il progresso scientifico veniva salutato come trionfo del sistema, in
modo particolare dallo Stato che l’aveva incoraggiato. Ma, come
esemplificato dal caso Lysenko, quando il sapere scientifico entra
in conflitto con gli altri principi dell’ideologia dominante, sono
la scienza e le relative istituzioni ad essa collegate a doversene
andare, così da assicurare un’apparente conformismo. Tutto ciò
che questo Stato riconosceva alla scienza era: «la nostra scienza
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
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è per il popolo». Senza prendere davvero in considerazione la
situazione reale.
I difensori del socialismo scientifico credevano nella tecnocrazia,
in maniera più moderata. Scrittori come H. G. Wells, J. D. Bernal
e C. P. Snow sostenevano che la principale fonte di autorità nella
società dovesse essere trovata nella scienza e nella tecnologia.
Tali autori immaginavano un sistema sociale inquadrato in linee
razionali e in cui la normale pratica politica avrebbe potuto
essere eliminata. Il pubblico avrebbe così guardato alla scienza
e dunque agli scienziati come al solo centro della decisione e
dell’azione sociale. Fortunatamente nessun sistema del genere è
stato messo in pratica.
Ciò che ora abbiamo, tuttavia, è il capitalismo. In questo sistema
si suppone che ogni azione sociale sia nelle mani delle imprese
private, ovvero, delle corporations che competono liberamente
nel mercato per il beneficio dei consumatori. La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica sono unite nella tecnoscienza,
un’attività molto frammentata, fondata e gestita dalle varie
imprese private, come potenziale fonte di profitto futuro. Così,
in paesi come Singapore o la Corea, la collettività è vigorosamente incoraggiata a guardare alla scienza semplicemente come
investimento commerciale, probabilmente per valorizzare la
competizione economica delle imprese o del paese.
Tuttavia il capitalismo ha i suoi critici. Molte persone al giorno d’oggi, inclusi molti scienziati, sono esponenti attivi di un
sistema sociale alternativo, in cui il potere delle corporations
multinazionali e dei loro alleati politici è stato eliminato o
anche solo drasticamente limitato. In questo mondo utopico,
le tecnoscienze, prima che possano agire come forze legittime
per la liberazione popolare, per lo sviluppo sostenibile, ecc.,
dovrebbero essere liberate da chi governa le società private e
dai relativi sostenitori politici. In altre parole, nel ruolo sociale
che ricoprono, le tecnoscienze sono molto sospette ed ambigue.
Affinché l’impresa scientifica venga affrontata dal pubblico con
uno spirito veramente chiaro, è necessario che sia politicamente
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JOHN ZIMAN
corretta. È superfluo dire che quest’impegno politico non ha mai
guadagnato i favori della maggioranza.
LA SCIENZA IN UNA POLITICA PLURALISTICA
Queste varie forme politiche con cui la società può mettersi in
relazione alla scienza, mostrano la molteplicità delle vie praticabili. Le forme sociali appena delineate sono ovviamente molto
schematiche, ma gli atteggiamenti che questi sistemi generano
sono tutti reali.
Tuttavia noi viviamo in Occidente, nell’Unione Europea, in una
società non conforme a nessuno di questi stereotipi. La nozione di «corpo sociale» capace di avere diversi atteggiamenti nei
riguardi della scienza può essere senza significato in una società
con una tradizione tecnocratica, teocratica o totalitaria, mentre
nel capitalismo le persone vengono trattate come consumatori
e gli anti-capitalisti come anti-consumatori, come se avessero
un limitato interesse per la conoscenza scientifica. Una società
civile schietta può agire solo in un’ambito politico democratico
aperto e libero, dove la maggior parte delle istituzioni sociali più
rispettate sostengano le votazioni, la libertà di espressione, la
chiarezza e il commercio.
In altre parole, tutta questa discussione presuppone che esista
l’interesse per una società pluralistica dove la scienza venga
considerata solo una delle istituzioni che regolano le attività
pubbliche. Così intesa la scienza produce una pluralità di atteggiamenti da parte degli individui che compongono la società, non
solo perché gli approcci sono molteplici, ma anche perché è al
servizio di vari programmi politici. È dunque una fortuna vivere
in una società dove non c’è un’autorità centrale o un’ideologia
capace di prescrivere un unico ruolo sociale per le scienze e le
tecnologie associate.
Tuttavia vorrei analizzare e criticare questo argomento. Il moderno pluralismo politico dipende da una scienza capace di svolgere
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
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diverse funzioni sociali. I programmi politici onnicomprensivi
tipici della nostra società sono attualmente resi stabili da una
pluralità di tendenze verso la scienza, effetto di un connubio di
istituzioni relativamente autonome che producono conoscenza
scientifica e di esperti che ricoprono una grande varietà di ruoli
sociali.
A COSA SERVE LA SCIENZA?
Ad un primo sguardo non esiste alcuna contestazione. Gli economisti e i politici ci dicono continuamente che il primo ruolo
della scienza è di guidare e dare forma alla vita pratica. Questa
è una riduzione dei possibili ruoli che la scienza può svolgere e
resa possibile, direttamente o indirettamente, dalle sue capacità
strumentali. Molto del sapere prodotto dalla ricerca scientifica
ha previsto delle applicazioni pratiche. Ciò può essere evidentemente sfruttato per raggiungere un certo numero di effetti
desiderabili e che solitamente vanno sotto il nome di creazione
di ricchezza, competizione internazionale, sicurezza nazionale,
salute pubblica, benessere sociale, e così via. Le voci del governo, dell’industria, dei media, dei partiti politici e di molti entro la
società civile, dicono la stessa cosa. Tutti confondono la scienza
con la tecnologia, e celebrano la tecnoscienza come capace di
produrre apparentemente ogni cosa, inclusa la cura per i mali che
essa stessa produce.
Utilizzando una chiave più sofisticata, viene riconosciuto che
molta della conoscenza prodotta dalla ricerca scientifica, specialmente nelle università, non ha nessun uso pratico. Tuttavia, con
una modesta spesa in immaginazione tecnica, è possibile costruire scenari plausibili in cui è concepibile sfruttare tale conoscenza
tecnologicamente o medicalmente. In altre parole, la potenzialità
conferisce a questo sapere un ruolo «pre-strumentale», come
Michael Faraday disse al Primo Ministro inglese, paragonando
questo tipo di scienza ad un bambino appena nato. Nel mondo
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JOHN ZIMAN
delle scienze politiche è designata come «ricerca strategica», da
intraprendere per benefici di lungo-periodo, per rafforzare le basi
teoriche, scoprire principi applicabili, inventare nuove tecniche,
estendere le capacità tecniche, allargare il campo di applicazione
dei risultati delle ricerche (spin-off), ecc.
Comunque, questo discorso prende scarsamente in considerazione le persone che attualmente eseguono la ricerca, o chi sfrutta i
suoi prodotti. Nel mondo reale di un’economia mista e politicamente pluralistica, la tecnoscienza è la creatura sia del governo
che dell’industria, funzionando più o meno indipendentemente o
liberamente. Molto spesso, i risultati della ricerca sono confusi e
contraddittori, e non favoriscono direttamente gli interessi delle
società o degli enti che l’hanno originata. Tuttavia questi risultati vengono considerati come proprietà intellettuale, così che
appartengono a qualsiasi ente, un’agenzia di Stato o un’impresa
commerciale, che ha avuto la fortuna di aver finanziato queste
ricerche.
Al giorno d’oggi, le organizzazioni pubbliche e private che
finanziano la ricerca e controllano l’uso dei suoi prodotti sono
generalmente grandi e molto potenti. Tuttavia poiché queste
organizzazioni fanno parte di una società pluralistica e competitiva spesso hanno missioni ed impegni conflittuali. Queste
organizzazioni sfruttano le loro capacità tecnoscientifiche per
ampliare le risorse tecniche, per vincere il mercato, per competere ancora, per regolare un altro mercato, per citare in giudizio
qualche altra impresa, per guadagnare l’approvazione del pubblico o, sotto altri aspetti, per favorire i loro interessi particolari.
Queste organizzazioni solo raramente hanno tutto il potere legale
che vorrebbero imporre attraverso le loro tendenze tecnocratiche
e così facendo usano la scienza come strumento per raggiungere
i loro fini materiali o sociali, o per evitare che i loro rivali politici,
economici, militari o culturali raggiungano i propri obiettivi.
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
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I RUOLI NON STRUMENTALI DELLA SCIENZA
Quelli che vengono ignorati sono i molti aspetti non strumentali
della scienza. In una società pluralistica, aperta e democratica,
la scienza svolge molte altre funzioni socialmente valide, molte
delle quali sono sottovalutate. Il contesto pubblico è confuso dalle
finalità pratiche delle tecnoscienze e dai manager che permettono
tutto ciò. Tuttavia noi ci fidiamo della scienza per numerosi ed
intangibili benefici, come il modello del mondo dell’istruzione,
o i giudizi critico-razionali, o per l’esistenza degli esperti indipendenti. Senza questi benefici, la nostra cultura moderna non
sarebbe vitale e collasserebbe nell’oscurantismo e nella tirannia.
Prima di tutto la scienza arricchisce la società con conoscenze
generali attendibili. Gli scienziati soffrono per la mancanza della
comprensione pubblica del loro lavoro, eppure le loro conoscenze sono di dominio pubblico. Per esempio, molte persone istruite
hanno, al giorno d’oggi, concezioni più realistiche delle origini
umane, e delle relative condizioni e capacità, molto più di quanto
fosse possibile solo qualche secolo fa. Anche chi rifiuta pubblicamente le scoperte della biologia evoluzionistica, della genetica,
della psicologia, dell’antropologia o della sociologia dimostra
quanto importanti siano queste conoscenze per la concezione di
sé.
La nostra società è caratterizzata da un’ampia area di interesse
pubblico: la salute, le risorse energetiche, le risorse alimentari,
il pubblico impiego, la conservazione della natura e così via.
La consapevolezza dei relativi rischi e le analisi di come possano essere evitati scaturisce originariamente da scienze come
l’ecologia, la climatologia, l’epidemiologia e l’economia. Per
esempio, l’idea che ci sia un effetto serra che può produrre un
riscaldamento globale disastroso emerge dalla ricerca scientifica
non strumentale.
La vita umana sarebbe insopportabilmente offuscata senza le
meravigliose scoperte della curiosità scientifica. Gli affascinanti
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JOHN ZIMAN
saperi della cosmologia, della fisica delle particelle, della tettonica delle placche, dell’etologia, della scienza cognitiva, non sono
semplicemente piaceri culturali apprezzabili esclusivamente da
chi li conosce. Nel lungo periodo, queste conoscenze sono state
ampiamente condivise per divenire parte della coscienza e della
mentalità delle masse della civiltà in cui viviamo. Nell’utilitarismo
non c’è posto per tali futilità, ma noi sappiamo nel profondo, che
sono beni intangibili e che ci danno più sostentamento di quanto
possa fare il bere o il mangiare.
Un’altra delle funzioni non strumentali della scienza è quella di
introdurre i giudizi scientifici nella discussione pubblica. Ciò
solitamente non accadeva nei grandi luoghi di dibattito del passato, come l’agorà della Grecia classica. Il discorso scientifico
esercita una forma di razionalità critica che è effettivamente
importante per valutare la consistenza tra le conclusioni teoriche
e la realtà dei fatti.
Questo non significa che gli scienziati siano particolarmente
ragionevoli o intelligenti, o che ci sia un «metodo scientifico»
che possa risolvere qualsiasi problema sociale. Al contrario,
avere familiarità con la scienza significa essere intellettualmente
moderati, poiché essa ci suggerisce che i dogmi vanno messi
in dubbio, che le teorie vanno testate empiricamente, che i fatti
supposti vanno confermati, che le belle riflessioni sono spesso
irrazionali. Tuttavia le congetture scientifiche non sempre vanno
contro le autorità, ma sovente le ridimensionano. In effetti, la
scienza gioca un ruolo cruciale per combattere l’arroganza tecnocratica con uno scetticismo ben fondato e immaginando degli
scenari alternativi. Liberata dai suoi paraocchi tecnoscientifici, la
scienza è effettivamente un mezzo per prender coscienza e incoraggiare tutta la gamma dei valori umani che dovrebbero essere
alla base della nostra civiltà.
Da un punto di vista pragmatico, comunque, la funzione non
strumentale più preziosa della scienza è quella di produrre i professionisti e gli esperti indipendenti che occupano, nell’ordine
sociale, molte delle posizioni chiave. Questo è vero, per esempio,
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
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nei mestieri in cui si intrattiene un rapporto con la scienza come
accade nell’ingegneria o nella medicina, in cui i professionisti
sono sensibili, per tutta la durata delle loro carriere, all’incertezze e alla continua crescita delle loro conoscenze di base: essi
hanno bisogno di essere formati nell’atmosfera dell’apertura
scientifica.
Per la sua continuità vitale la stessa tecnoscienza dipende da un
regolare afflusso di scienziati, per così dire «a carica automatica»,
ovvero abituati ad una grande autonomia nell’eseguire ricerche
prive di una finalità precisa. Dopo tutto, le nostre pratiche sociali
democratiche, basate sulle leggi, agiscono in base all’assunto
che i ricercatori e gli scienziati possano sempre esser chiamati
a fornire informazioni ed opinioni autorevoli e non-partigiane a
riguardo a dispute o imprese, sia come attestazione specialistica,
assistenti o arbitri specializzati, che come consiglieri o consulenti tecnici o semplicemente come portavoce. Nessuno suppone,
certamente, che tali persone potranno mai essere all’altezza di
standard di oggettività e imparzialità sovraumana. Tuttavia
la possibilità di raggiungere la chiusura di molte controversie
dipende in definitiva dalla credibilità pratica degli esperti scientifici che sono temporaneamente ingaggiati a ricoprire questi ruoli
socialmente influenti.
LE CONDIZIONE DI UNA SCIENZA NON-STRUMENTALE
Tutto ciò suona bene ed è ovvio. La scienza svolge tutte queste importanti funzioni e la nostra società trae molti benefici da
ciò. Ma consideriamo ora le condizioni che sono attualmente
necessarie per la pratica di una scienza che sia intimamente
non-strumentale. Queste condizioni fanno così tanto parte della
situazione culturale e del posto che la scienza ha stabilito per se
stessa nella nostra società, che c’è bisogno del pensiero sociologico per districarla dall’intera rete di interessi e poteri che la
direzionano. È chiaro che la scienza per ricoprire delle funzioni
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JOHN ZIMAN
non strumentali dovrebbe essere:
Pubblica: per un uso aperto nella legge, in politica e nelle questioni sociali.
Universale: per un accesso equo e per la comprensione generale.
Immaginativa: per l’esplorazione di tutti gli aspetti del mondo
naturale.
Autocritica: per la convalida attraverso esperimenti e dibattiti;
Disinteressata: per la produzione di conoscenza «per il suo stesso
interesse».
Questa lista è ovviamente molto schematica. Tuttavia, queste
condizioni confliggono direttamente con il modo in cui la scienza
svolge abitualmente le funzioni strumentali che sono richieste
dalla società. Ciò è ancora più complicato di quanto possa suggerire un resoconto del comportamento della ricerca industriale
e dello sviluppo. In generale comunque la tecnoscienza produce
un sapere che tipicamente è:
Proprietario: da sfruttare come proprietà intellettuale.
Particolare: al servizio di specifiche élite e gruppi di potere locali.
Prosaico: che va incontro a problemi e necessità percepite.
Pragmatico: da testare solo per il successo pratico.
Partigiano: per soddisfare interessi ed impegni già assegnati
dalla società.
Questa terminologia non è sociologicamente neutrale, ma rende
evidenti le contraddizioni intrinseche tra questi due ruoli. Per
un’attività sociale è impossibile essere sia pubblica che proprietaria, o contemporaneamente disinteressata e partigiana. Le condizioni per l’universalità confliggono con le necessità locali. Le
capacità immaginative sono limitate da impedimenti quotidiani,
e il pragmatismo non ha tempo per l’autocritica concettuale.
In altre parole, i ruoli sociali non strumentali della scienza non
possono essere svolti solo dalle tecnoscienze, almeno nei modi
attuali che conosciamo.
SCIENZA E SOCIETÀ CIVILE
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SCIENZA ACCADEMICA COME RICERCA NON STRUMENTALE
Tutte queste ottime funzioni e benefici sociali sono attualmente
caratteristici della scienza «accademica». Il termine è tra virgolette per indicare che non si sta considerando solo la ricerca che
viene fatta nelle università o nelle accademie nazionali. Ho in
mente anche tutte quelle istituzioni sociali in cui gli scienziati
sono, o erano, impiegati sotto condizioni «accademiche», in linea
con i principi stabiliti nelle università tedesche nel XIX secolo,
poi divenuti principi delle università di tutto il mondo.
Il libro di John Ziman, Real Science. What It Is and What It Means,
Cambridge University Press, 2000.
Tradizionalmente gli scienziati accademici sono impiegati
formalmente come insegnanti e non come ricercatori; tuttavia
attualmente vincono posti universitari permanenti per ciò che
effettivamente producono, cosa che viene accertata nei concorsi
dai loro stessi colleghi. In modo analogo gli scienziati di molte
istituzioni dove non si insegna, nei laboratori ad esempio, non
sono impiegati per svolgere progetti di ricerca particolari o per
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JOHN ZIMAN
ottenere risultati di ricerca stabiliti una volta per tutti. In altre
parole, questa è una cultura scientifica con un ethos fortemente
non strumentale.
Non è un caso che la scienza accademica abbia molte pratiche
vicine alle condizioni necessarie ai ruoli non strumentali: libertà
di «pubblicare o morire» [publish or perish]; incarichi ed impieghi meritocratici; autonomia di ricerca protetta dal «ruolo»;
«scuole invisibili» al livello transnazionale; «revisione paritaria»
[peer review] di progetti, persone e pubblicazioni; dibattito critico aperto; ricompense competitive per la scoperta; finanziamenti
da parte di organizzazioni non governative semi-autonome.
Dal punto di vista storico, queste pratiche istituzionali si sono
evolute in parallelo alle funzioni sociali che esse stesse hanno
contribuito a rendere possibili. In effetti, esse sono solo delle piccole parti del «contratto» implicito sancito fra la nostra società
moderna e pluralistica e quella scienza che fornisce un così alto
numero di benefici.
Infatti anche le tecnoscienze che potenziano l’economia industriale non possono prosperare senza la scienza accademica. I
suoi benefici includono dei prodotti essenziali come: conoscenza
affidabile come base per la ricerca strumentale; prospettive realistiche sulle necessità future della società; scoperte impreviste
dagli usi inaspettati; criteri etici per valutare i rischi pubblici;
criteri razionali per la ricerca e lo sviluppo; ricercatori abilmente
qualificati che si automotivano; consiglieri e consulenti autorevoli ed imparziali.
Possiamo chiamare «accademia» quella scienza accademica che
aiuta a colmare le molte lacune presenti nella nostra matrice
sociale. Le dimensioni in cui si avvertono questi gap sono molte:
Lacune della conoscenza: nel suo ruolo educativo, l’accademia
fornisce al pubblico l’accesso aperto a conoscenze scientifiche
affidabili.
Lacune governative: nel suo ruolo di ricerca, l’accademia fornisce al pubblico esperti scientifici indipendenti per il controllo