Titolo rubrica: Parliamone... Nanoelettronica, l’Europa può farcela con la nuova generazione di tecnologi La microelettronica di questi anni e degli anni a venire si chiama nanoelettronica. La miniaturizzazione scende sotto quella che finora sembrava una barriera, cioè il decimo di micron (vale a dire cento nanometri) e adesso comincia qualcosa dove i punti interrogativi sono tanti e le conoscenze, almeno quelle rese pubbliche, scarse. Si va, per certi versi, nell’ignoto. In un mondo fatto di fisica quantistica, di effetti imprevedibili dei materiali, di molecole che si scambiano tra loro, di forze non solo elettroniche, ma anche e soprattutto biologiche e chimiche. In poche parole, una materia sulla quale la ricerca torna ad avere il ruolo principe. Una sfida tra cervelli, dunque, ma anche una sfida tra continenti. Già, perché finora l’Europa tutto sommato ha retto bene il confronto con il resto del mondo, America in particolare, sul fronte dell’elettronica. Elettronica che, vale la pena di ricordarlo, copre attualmente un terzo di tutti gli investimenti industriali nel mondo. Ebbene, le aziende europee hanno tenuto e tengono bene le posizioni in un settore dove i cambiamenti viaggiano alla velocità della luce, dove la novità è materia quotidiana e gli investimenti richiedono finanziamenti da capogiro. Ebbene, la domanda che nasce spontanea è la seguente: l’Europa riuscirà a farsi valere nella nuova sfida della nanoelettronica? Riuscirà a tenere il passo degli americano che schierano mezzi e uomini impressionanti nei numeri e nel valore? Per arrivare a una risposta pertinente, bisogna partire da un preambolo. Venti delle principali aziende e centri di ricerca europei impegnati fino a oggi sui microchip e da domani sui nanochip, hanno stilato per la commissione Ue una sorta di rapporto dal titolo “2020 Nanoelettronics”. Un rapporto che ha come fulcro una tesi: per ricercare e produrre sotto i 50 nanometri è necessario che l’Europa raddoppi i finanziamenti annui per ricerca e sviluppo, portandoli a sei miliardi di euro. Con uno sforzo che chiama in causa la ricerca universitaria, le industrie e la formazione. Finanziariamente supportato non solo dai fondi comunitari, ma anche dai programmi nazionali e regionali, nonché dagli investimenti privati. Il rapporto è stato esaminato dai commissari Ue per la ricerca e la società dell’informazione ed è diventato un progetto vero e proprio. Per il momento è stato creato un board di advisor per concretizzare la realizzazione di un programma europeo di nanoelettronica. Una dozzina di esperti che rappresentano tutte le forze in campo, dalle aziende alle università fino ai centri di ricerca. In linea di massima sono già stati identificati i protagonisti europei della sfida. Si tratta della generazione di giovani tecnologi che oggi popola istituti, licei e università. Questo significa, venendo alla domanda posta inizialmente, che la nuova frontiera che attende l’Europa, in virtù della sua complessità, richiederà uno sforzo totalitario. Uno sforzo sociale. Capace di movimentare l’entusiasmo di una generazione. In piccola parte tutto questo sta già avvenendo attorno al software modulare Open source. E’ un timido segnale che la volontà sociale e generazionale c’è e sta marciando compatta. Adesso va incanalata, indirizzata, guidata. E questo sarà il grande compito strategico della Ue. Alessandro Boso