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International Congress of
the Italian Association of Companion
Animal Veterinarians
29 - 31 May, 2009
Rimini, Italy
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62° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC
La progressione della ckd nel gatto: quali cause?
Paola Scarpa
DVM, PhD, SCMPA, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Milano
La stadiazione della Chronic Kidney Disease (CKD) proposta dall’International Renal Interest Society (IRIS) in
ambito veterinario ripercorre la strada tracciata dalla National Kidney Foundation, in medicina umana, che ha determinato una svolta all’interno nella comunità scientifica,
mediante la pubblicazione di linee guida (K/DOQI). L’utilizzo di un linguaggio comune ha dato nuovo impulso e nuove prospettive alla nefrologia veterinaria dove l’utilizzo di
precisi criteri di classificazione, ha determinato la pubblicazione di studi prospettici e la rivisitazione della casistica pregressa nel rispetto della “evidence based medicine”.
L’attenzione del clinico deve ora focalizzarsi su quei fattori che sono in grado di determinare la progressione della
CKD, per poter intraprendere un trattamento (dietetico o farmacologico) supportato dall’evidenza scientifica.
1) Ipertensione - All’interno delle linee guida della
K/DOQI, l’ipertensione arteriosa viene inserita sia tra gli
“iniziation factors” che tra i “progression factors” della
CKD. IRIS ha limitato il proprio intervento codificando una
sottoclassificazione della CKD in base ai valori di pressione
arteriosa sistolica, indicando delle classi di rischio. Benché
in medicina veterinaria non vi sia chiarezza sulla prevalenza
dell’ipertensione arteriosa nei pazienti affetti da CKD, ben
noti sono gli effetti che l’ipertensione determina sugli organi bersaglio: cuore (ipertrofia del ventricolo sinistro), occhio
(emorragie retiniche, ifema, distacco della retina, glaucoma), S.N.C. (convulsioni, alterazioni comportamentali,
demenza) e rene (glomerulosclerosi, glomerulite proliferativa, ialinizzazione ed occlusione dei capillari glomerulari,
necrosi fibrinoide). È evidente come queste ultime siano
causa di glomerulosclerosi ed ischemia, con conseguente
amplificazione del danno parenchimale1.
2) Proteinuria - Il suo ruolo nella progressione della
nefropatia è stato ben descritto in medicina umana, dove
sono state evidenziate lesioni tubulointerstiziali imputate
agli “effetti tossici” della proteinuria sulle cellule dell’epitelio tubulare, in corso di glomerulopatie primarie. La proteinuria, infatti, amplifica il danno a livello interstiziale attraverso un meccanismo di ingolfamento lisosomiale. Inoltre,
albumina, transferrina ed IgG stimolano la sintesi dosedipendente di endotelina-1 da parte delle cellule epiteliali
del tubulo prossimale e le microproteine con peso molecolare inferiore a 28 kDa sono in grado di stimolare la sintesi di
MCP-1 (monocyte chemoattractan protein-1)2.
Le osservazioni che una proteinuria persistente sia associata alla maggiore frequenza di morbidità e mortalità da
cause renali oltre che all’aumento di mortalità da cause
extrarenali e la constatazione che tale prevalenza aumenti
all’aumentare della gravità della proteinuria, hanno portato
alla pubblicazione di precise linee guida anche in campo
veterinario3. Queste sono state fatte proprie da IRIS ed hanno determinato l’abbassamento del limite di normalità del
rapporto UP/UC (<0.3).
3) Iperparatiroidismo secondario - Si tratta non solo di
un effetto della CKD, ma anche di una causa della sua progressione. La caduta della GFR e l’iperfosforemia conseguente, portano all’inibizione dell’attività della 1α-idrossilasi a livello renale e alla minore sintesi di calcitriolo. Ciò
determina l’inibizione del feedback negativo al paratormone
(PTH), con conseguente mobilizzazione di calcio e fosforo
dalle ossa e demineralizzazione. Inoltre, quando le concentrazioni di calcio e fosforo plasmatico superano il prodotto
di solubilità dei sali, si determineranno mineralizzazioni
ectopiche dei vasi e dei tessuti molli 4,5. La perdita progressiva di massa renale funzionante non conseguirà solo alla
nefrocalcinosi, ma anche all’aumento dell’uptake di Ca++
da parte delle cellule renali, cui consegue la morte cellulare
Gli effetti dell’iperparatiroidismo in corso di nefropatia
sono molteplici: la mielofibrosi, l’inibizione “in vitro” della
proliferazione delle linee cellulari a livello midollare, l’aumento della fragilità osmotica dei globuli rossi, l’induzione
di disfunzioni piastriniche e leucocitarie, riflettono gli effetti dell’eccesso di PTH sul sistema emopoietico, mentre
ancora si discute del ruolo del PTH quale neurotossina e del
suo coinvolgimento nelle dislipoprotidemie e nell’insulinoresistenza4.
4) Anemia - In medicina umana negli ultimi anni l’anemia
è stata riconosciuta tra i fattori implicati nella progressione
della CKD. L’ipossia e l’anemia infatti, sono cause riconosciute di ipertrofia ventricolare sinistra e quindi di insufficienza cardiaca. La sommatoria di una componente pre-renale (conseguente al deficit di gittata) alla CKD, determinerà la
progressione di quest’ultima, l’aggravarsi dell’anemia e dell’ipossia conseguenti ed, in assenza di un immediato trattamento terapeutico, l’instaurarsi di un circolo vizioso6.
Il medico veterinario, dopo aver formulato la diagnosi di
CKD, ha un compito fondamentale: instaurare e modulare
un trattamento conservativo, monitorando strettamente il
paziente.
Calcio antagoinisti, ace-inibitori, eritropoietina e ferro
saranno armi fondamentali per contrastare la progressione
dovuta ad ipertensione, proteinuria ed anemia4.
Per quanto concerne l’iperparatiroidismo secondario
renale invece, sarà necessario agire attraverso la prescrizio-
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presi tra 3 e 7 (ideale per lo stomaco ed il duodeno) e non
evidenzia problemi relativi ad accumulo a livello cerebrale,
osseo o epatico. L’impiego del carbonato di lantanio costituisce una valida alternativa ai principi attivi “tradizionali”
anche in medicina veterinaria, dove occorre potenziare ogni
aspetto del trattamento conservativo.
ne di regimi dietetici caratterizzati da basso contenuto di
fosforo (< 0.5% sulla SS), la somministrazione di chelanti il
fosforo e l’eventuale prescrizione di calcitriolo.
Le determinazioni seriali di fosforemia sierica e del prodotto CaxP diverranno fondamentali per monitorare gli
effetti della restrizione di fosforo alimentare.
Data l’impossibilità, attraverso la restrizione dietetica ed i
trattamenti dialitici, a mantenere la fosforemia all’interno
dei range raccomandati, la somministrazione di agenti chelanti il fosforo è divenuta un caposaldo della nefrologia in
medicina umana. Il loro utilizzo diviene fondamentale, a
maggior ragione, in medicina veterinaria dove il trattamento
conservativo si limita a farmacologia e dieta.
I primi agenti chelanti utilizzati, sono stati i sali di alluminio la cui forte affinità per il fosforo, la breve emivita e l’attività mantenuta in un ampio range di pH ne hanno motivato
l’impiego assai diffuso. Solo dopo diversi anni furono evidenziati gli effetti devastanti dovuti al loro assorbimento ed
accumulo: demenza, encefalopatia, osteomalacia e miopatie8.
Successivamente è stata la volta dei sali di calcio: l’emivita
più lunga e la minore affinità per il fosforo, soprattutto a bassi pH, determinarono però la necessità di posologie elevate
con conseguente aumento del rischio di ipercalcemia.
Attualmente, in medicina umana, prevale l’utilizzo di
cationi non contenenti calcio o alluminio. Il carbonato di
lantanio è scarsamente assorbito dal tratto gastroenterico e la
sua attività chelante è testimoniata dall’aumento dell’escrezione fecale di fosforo e dalla diminuzione della sua escrezione attraverso le urine. La sua azione si esplica a pH com-
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