Marcello Messori - Fondazione Economia Tor Vergata

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Marcello Messori: “Banche, l’intervento pubblico non è un tabù”
FIRSTonline - 8 ottobre 2016
di Ernesto Auci
INTERVISTA DEL WEEKEND - Secondo l’economista Marcello Messori, direttore della School
of European Political Economy della Luiss, “Mps esprime in termini estremi i mali del sistema
bancario” e ha davanti un piano di risanamento “estremamente difficoltoso” con “costi elevati” Ma per far uscire l’intero sistema bancario dall’impasse, “le norme attuali già prevedono interventi
pubblici senza far scattare il bail-in” ed è ora di pensarci per accelerare il cambiamento di
un’economia nella quale “la crescita si è fermata da almeno due decenni”
“Il Monte dei Paschi di Siena esprime in termini estremi i mali del sistema bancario italiano: alto
volume di crediti in sofferenza, scarsa redditività, bassa capitalizzazione. Il piano che si sta
mettendo a punto presenta dei passaggi irti di difficoltà a cominciare dal prezzo di cessione delle
tranche di prestiti incagliati ad Atlante 2 ed al mercato, con il relativo prestito ponte di JP Morgan,
per arrivare all’aumento di capitale di 5 miliardi che appare estremamente difficoltoso a meno di
non incentivare gli obbligazionisti a convertire i propri titoli in azioni in maniera ‘volontaria’, cosa
che appare piuttosto complessa”.
Marcello Messori è un profondo conoscitore dell’economia italiana e del sistema bancario. È
professore alla Luiss e dirige la scuola di European Political Economy che ha prodotto negli ultimi
anni diversi studi di grande valore scientifico ed anche ricchi di indicazioni pratiche per i decisori
politici. Ecco l’intervista che ha rilasciato a FIRSTonline.
Professore, per MPS si sta quindi percorrendo una strada che rischia di non portare a
risultati positivi. Inoltre le polemiche sul ruolo e sui costi di JP Morgan non aiutano a
svelenire il clima.
“Effettivamente credo che tra commissioni e garanzie sul prestito-ponte riguardante la terza tranche
di Npl, il costo di JP Morgan sia piuttosto elevato. Ma soprattutto preoccupa che, in caso di non
successo dell’operazione, il maggior costo si scaricherebbe su Atlante 2 e quindi sulle banche che
hanno sottoscritto il suo capitale. In sostanza, il salvataggio di Mps sarebbe pagato dal sistema del
credito che ha già per suo conto diversi problemi da fronteggiare. Infatti i punti di crisi sono
numerosi, basti pensare alle banche venete o a Carige oltre alla sistemazione delle quattro banche
già passate per la procedura di risoluzione”.
Sta quindi dicendo che il sistema bancario italiano è profondamente malato e che intervenire
caso per caso non consente di superare le difficoltà? Ci vorrebbe un approccio sistemico,
anche se i recenti stress test eseguiti dalla Bce hanno chiarito che, a parte Mps, le altre banche
rientrano nei parametri europei e non corrono rischi pur in caso di avverse condizioni
economiche come quelle immaginate per fare il test?
“Per chiarire la situazione bisogna fare una analisi di medio periodo e capire quali sono i reali punti
di debolezza del nostro sistema bancario ed individuare di conseguenza i giusti rimedi. Le banche
italiane non hanno fatto speculazioni finanziarie, ma fino al 2010 hanno erogato un eccesso di
credito all’economia, spesso a settori che beneficiavano di rendite di posizione, ed alle piccole
imprese che non sono state capaci di adattarsi ai profondi mutamenti intervenuti nell’economia
mondiale in seguito alla globalizzazione ed alla rivoluzione tecnologica. Quando la crisi finanziaria
ha investito in pieno l'economia reale, le banche, particolarmente esposte, hanno subito il colpo
della crisi. Si aggiunga che molte banche erano e sono ancora di dimensioni modeste e basavano il
loro business sulle relazioni, spinte in questo anche da una governance spesso opaca, basata sulle
Fondazioni o su una rete di rapporti politico-affaristici con il territorio di riferimento. Questa
illusione di essere esente dalla crisi ha spinto il nostro sistema a ritardare la riorganizzazione sia
degli sportelli, ancora troppo numerosi, che del modello di business, trovandosi ora in una
situazione abbastanza delicata”.
Quindi è l’intero sistema bancario italiano che dobbiamo considerare a rischio?
“No, attenzione. Dal punto di vista patrimoniale, a parte i casi prima citati di crisi conclamate, il
sistema ha una buona solidità. Il problema è che deve rimanere fermo, come ingessato, perché è
tutto impegnato a smaltire le sofferenze ed a riorganizzarsi, non potendo così dare quell’apporto
positivo all’economia del paese che invece è indispensabile per crescere. Volendo essere
scolasticamente corretti, la sequenza che il sistema dovrebbe percorrere partirebbe dalla
riorganizzazione per incrementare la redditività, per poi passare alla cartolarizzazione degli Npl su
un mercato finanziario nel frattempo potenziato anche dal nuovo modello di business delle aziende
di credito che dovrebbero passare da prestatori diretti a consulenti per il collocamento di prestiti sul
mercato (dovrebbero fare le banche d’investimento), e giungere infine al potenziamento del capitale
che potrebbe essere collocato presso gli investitori che vedrebbero chiaramente delle prospettive di
guadagno. Ma questa sequenza non è possibile. Richiederebbe troppo tempo e lascerebbe quindi
l’economia produttiva a corto di ossigeno per un lungo periodo. La crescita che sarebbe certo un
toccasana per tutti, stenterebbe a ripartire”.
Sarebbe quindi indispensabile accorciare al massimo il periodo di risanamento per poter dare
all’Italia la possibilità di raggiungere un tasso di crescita almeno pari a quello del resto
dell’Europa, che peraltro non è certo brillantissimo. Ma per farlo non c’è che una strada:
quella dell’intervento pubblico che a sua volta può essere fatto a direttamente dallo Stato
italiano o dall’Europa tramite l'ESM, il fondo europeo che potrebbe ricapitalizzare
direttamente le banche senza passare dal nostro bilancio pubblico.
“La situazione di impasse che ho descritto configura, a mio parere, quello che le norme attuali già
prevedono come “crisi sistemica” che consentirebbero interventi pubblici senza far scattare le
attuali normative di risoluzione e quindi il bail-in. Naturalmente si tratta di un percorso ad ostacoli,
non privo ovviamente di costi politici. Se si fa da soli occorrerebbe dimostrare a Bruxelles la
solidità del nostro bilancio pubblico e del debito e quindi accelerare sia la politica di riforme sia i
tagli alla spesa pubblica, andando a colpire senza tentennamenti le tante posizioni di rendita che
caratterizzano la nostra società. Mentre, se si intende far ricorso all’ESM, bisognerebbe
sottoscrivere un memorandum che impegnerebbe il nostro Governo a seguire una politica di
risanamento molto vincolante. Certo il rigore sarebbe tanto minore quanto più riforme ben mirate ed
incisive potranno liberare risorse ed energie per accelerare il tasso di crescita. Ma per farlo,
dobbiamo aumentare la produttività di tutto il sistema, spingere l’innovazione tecnologica ed
organizzativa. Quest’ultima comporterebbe un passaggio di molti lavoratori da settori obsoleti verso
settori a più alto potenziale di crescita e quindi, per evitare di accentuare il malessere sociale,
bisognerebbe avere un welfare diverso da quello attuale, centri dell’impiego che funzionano come
canali di ricollocamento e relazioni industriali più moderne che avvicinino il lavoratore ai risultati
dell’azienda”.
Un programma complesso e non facile da attuare, specie in un paese come l’attuale basato
sulla sovrapposizione dei poteri, tutti dotati dalla facoltà di mettere veti. Per questo è stato
indispensabile cominciare dalle riforme costituzionali per cercare di dare più stabilità ai
governi e più efficienza alla macchina politico-amministrativa.
“Diceva il mio maestro Claudio Napoleoni che il nostro è un paese basato sulle rendite di posizione
(grandi o piccole che siano) e che è difficile trovare il consenso per fare quei cambiamenti che pure,
accelerando il tasso di crescita, alla fine gioverebbero a tutti. Per questo credo che il referendum sia
importante, ma dobbiamo anche tener presente che quelle condizioni favorevoli che si sono
presentate due anni fa (bassi tassi d'interesse, svalutazione dell’Euro, crollo del prezzo del petrolio)
non sono destinate a durare in eterno: massimo abbiamo ancora un anno, un anno e mezzo, e non
possiamo sprecare quest’ultima finestra di opportunità. Dobbiamo chiarire bene a noi stessi ed al
resto del mondo le nostre priorità. Verso l'Europa, ad esempio, non possiamo continuare a chiedere
un po’ di tutto e disperdere le nostre forze in mille rivoli. Dobbiamo essere credibili per puntare
forte su poche grandi cose. Tra queste metterei la questione del definitivo risanamento del sistema
bancario, che del resto è anche un problema complessivo dell’Europa, come ha sottolineato il FMI,
e soprattutto su un piano più robusto di investimenti europei. Il piano Juncker è stato un successo.
L’Italia ha ottenuto circa 70 miliardi. Bisognerà moltiplicarlo per due o per tre e poi trovare delle
modalità di finanziamento innovative. Nostro compito casalingo è quello di incrementare la
produttività, spingendo sull’innovazione e nello stesso tempo tenere sotto controllo la spesa
pubblica con una riduzione delle rendite”.
L’economia italiana è stata quella che, tra i paesi occidentali, si è dimostrata meno pronta ad
adattarsi ai grandi cambiamenti di scenario dei mercati internazionali. Abbiamo delle
imprese di eccellenza ma da sole non riescono a trasmettere l’innovazione a tutto il resto del
sistema. I cambiamenti organizzativi sono quelli più difficili da attuare, ma da questo sentiero
dobbiamo passare.
“La nostra crescita si è fermata da almeno due decenni. Ora abbiamo di fronte poco tempo. Non
possiamo illuderci che esista una sola leva per farci uscire dalla stagnazione. Condivido la tesi di
chi sostiene che un grande e ricco continente come l’Europa non può basare il suo sviluppo solo
sulle esportazioni. Tuttavia per paesi come l'Italia, una politica keynesiana basata sull’espansione
del deficit rischierebbe di finanziare ancora solo le rendite e non intaccherebbe quegli ostacoli che,
come abbiamo visto sopra, sono la vera palla al piede del paese. Siamo chiamati a fare molte cose
insieme. Dobbiamo accelerare il passo. Ma se facciamo una diagnosi corretta dei nostri problemi,
potremo trovare rimedi efficaci”.
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