studi e opinioni - Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti

Anno 11 – Numero 13
26 giugno 2013
NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI
IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ
D IRETTA
DA
O RESTE C AGNASSO
C OORDINATA
DA
E
M AURIZIO I RRERA
G ILBERTO G ELOSA
IN QUESTO NUMERO:
• DIRITTO DI RECESSO
• LEASING
• AFFITTO D’AZIENDA
ItaliaOggi
DIREZIONE SCIENTIFICA
Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Gilberto Gelosa
La Rivista è pubblicata con il supporto
degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili
di:
Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato,
Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza,
Verbania
NDS collabora con la rivista:
SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE
a cura di Luciano Panzani
SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE
a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro
SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO
a cura di Gilberto Gelosa
SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA
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SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI
a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli
COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE
Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra,
Matthias Casper, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paoloefisio
Corrias, Emanuele Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Toni M. Fine, Patrizia
Grosso, Javier Juste, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Alberto Musy,
Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio
Schiano di Pepe
COMITATO DI INDIRIZZO
Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano
Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario
Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer
REDAZIONE
Maria Di Sarli (coordinatore)
Paola Balzarini, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio
Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, Sebastiano
Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Cristina Saracino,
Marina Spiotta, Maria Venturini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Andrea Pessina, Carlo Pessina, Barbara Petrazzini, Luciano Quattrocchio
SOMMARIO
Pag.
RELAZIONI A CONVEGNI
Abuso del diritto di recesso da parte del socio
di Oreste Cagnasso
7
STUDI E OPINIONI
Lo scioglimento delle società di persone
di Barbara Petrazzini
12
L’equo indennizzo nel contratto di leasing: un approccio finanziario
di Luciano Quattrocchio
46
DIRITTO TRIBUTARIO
Gli aspetti fiscali dell’affitto di azienda nel fallimento
di Carlo Pessina e Andrea Pessina
53
SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE
67
SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO
70
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
4
SOMMARIO
RELAZIONI A CONVEGNI
Abuso del diritto di recesso da parte del socio
L’Autore, prendendo le mosse dalla regola del divieto di abuso del diritto, ne
esamina il possibile rilievo con riferim ento al recesso nell’ambito delle società di
persone e di capitali.
di Oreste Cagnasso
STUDI E OPINIONI
Lo scioglimento delle società di persone
L’articolo esamina, anche alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali, la fase conclusiva della vita della società di persone,
soffermandosi dapprima sui presupposti che determinano lo scioglimento della
società e quindi sul procedimento che conduce alla sua estinzione.
di Barbara Petrazzini
L’equo indennizzo nel contratto di leasing: un approccio finanziario
L’Autore, adottando un approccio finanziario, affronta la questione della
determinazione dell’equo indennizzo nel contratto di leasing.
di Luciano Quattrocchio
DIRITTO TRIBUTARIO
Gli aspetti fiscali dell’affitto di azienda nel fallimento
L’affitto d’azienda nell’ambito del fallimento è stato specificamente regolamentato
dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
Gli Autor i, dopo un’ampia illustrazione dal punto di vista giuridico dell’art. 104-bis
della Legge Fallimentare, affronta det tagliatamente gli aspetti fiscali dell’affitto
d’azienda stipulato dalla curatela fallimentare, anche in considerazione della
disciplina prevista dall’art. 183 del TUIR, relativa ai redditi d’impresa conseguiti
durante il fallimento.
di Carlo Pessina e Andrea Pessina
IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
5
INDEX-ABSTRACT
Page
REPORTS ON CONFERENCES
Abuse of the Right of Withdrawal by the S hareholder
The Author examines the prohibition of the abuse of the law, in the light of
the withdrawal by the partner/shareholder in the context of partnerships and
corporations.
by Oreste Cagnasso
STUDIES AND O PINIONS
Dissolution of partnerships
The article examines, in the light of the most recent doctrine and case law,
the final stage of the life of the partnership, focusing first on the causes of its
dissolution and then on the process leading to its extinction.
by Barbara Petrazzini
The fair compensation in the lease contract: a financial approach
The author, by adopting a financial approach, addresses the issue of
determination of the fair compensation in the lease contract.
by Luciano Quattrocchio
TAX LAW
The lease under the failure
The lease under the failure was specifically regulated by the Legislative
Decree n 5 January 9, 2006.
The Authors, after a wide legal illustration of the art. 104 bis of the
Bankruptcy Law talks in detail about the fiscal aspects of the lease stipulated
by the Bankruptcy curatorship even in the light of the rules provided by the
art. 183 of the TUIR with regard to the business income earned during the
Bankruptcy.
by Carlo Pessina and Andrea Pessina
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46
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IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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RELAZIONI A CONVEGNI
ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO DA
PARTE DEL SOCIO*
L’Autore, prendendo le mosse dalla regola del divieto di abuso del diritto, ne esamina il
possibile rilievo con riferimento al recesso nell’ambito delle società di persone e di
capitali.
di O RESTE CAGNASSO
1. Premessa
Secondo la giurisprudenza e parte della dottrina esiste una regola implicita
nell’ordinamento che consente il sindacato del giudice sul concreto esercizio dei diritti,
o meglio delle situazioni giuridiche soggettive, nell’ambito dei rapporti obbligatori alla
luce dei principi di correttezza e buona fede oggettiva e dell’eventuale deviazione dalla
ratio di tutela.
Particolare attenzione è stata dedicata, a seconda dei vari settori in cui la regola
veniva applicata, alle conseguenti sanzioni, ora ricondotte al risarcimento del danno, ora
ad altre reazioni a carattere reale, di vario contenuto in funzione dei contesti presi in
considerazione.
Al di fuori dell’ambito societario la giurisprudenza ha avuto occasione di
valutare il carattere abusivo o meno dell’esercizio del diritto di recesso previsto
convenzionalmente ad nutum. In particolare con riferimento, ad esempio, ai contratti
bancari, i giudici sono stati chiamati più volte a verificare se fossero conformi a buona
fede e correttezza la revoca senza preavviso del fido, il recesso dall’uso delle carte di
credito senza preavviso e giustificazione, il recesso dal rapporto di conto corrente, ....
Un ulteriore settore, ove il recesso ad nutum previsto contrattualmente è stato
oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza, è quello dei contratti di
distribuzione e, in specie, della concessione di vendita, ove è dato riscontrare
normalmente nel concessionario la posizione di contraente - imprenditore debole.
La regola del divieto di abuso nell’esercizio dei diritti può venire in
considerazione e in che misura, in quali contesti, in quali prospettive con riferimento al
recesso nell’ambito societario?
*Relazione tenuta a Montecarlo di Lucca il 7 giugno 2013 in occasione del convegno su “ Gli
abusi nel nuovo diritto societario” organizzato dalla Fondazione CIRGIS.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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RELAZIONI A CONVEGNI
ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO
La domanda assume oggi particolare rilievo, dal momento che, come è noto, il
recesso nell’ambito delle società di capitali (ma anche sotto certi profili delle società di
persone) ha acquisito in virtù della riforma un ruolo ben più incisivo. Da istituto
confinato in pochi eccezionali casi, il cui esercizio poteva essere penalizzante per il
recedente, è oggi divenuto applicabile in ipotesi molto più numerose, ampiamente
estensibili nell’ambito delle società chiuse in virtù di scelte statutarie o dell’atto
costitutivo.
Invero accanto a fattispecie inderogabili o in alcuni casi derogabili di recesso
legale, il legislatore prevede espressamente, nell’ambito delle s.p.a. chiuse e delle s.r.l.,
un’ampia area di possibili casi di recesso convenzionale.
Al fine di fornire una prima risposta, trattandosi di terreno poco arato, alla
domanda sopra formulata mi sembra opportuno, in primo luogo, prospettare una
classificazione delle varie ipotesi di recesso nell’ambito delle società di persone e di
capitali, individuare i possibili profili di rilevanza della regola del divieto di abuso del
diritto o, se si preferisce, dell’esercizio dello stesso secondo buona fede e correttezza,
per poi infine applicare tali risultati alle varie classi di recesso prima individuate.
2. Una classificazione delle fattispecie di recesso nell’ambito delle società di
persone e di capitali
Ai fini del nostro discorso mi pare utile classificare i casi di recesso nelle
seguenti categorie.
In primo luogo, il legislatore prevede il recesso ad nutum con preavviso nelle
società a tempo indeterminato tanto di persone, quanto per azioni ed s.r.l.. E’ dubbio,
per contro, se convenzionalmente possa introdursi un’ipotesi di recesso ad nutum per le
società a tempo determinato.
Sempre sotto il profilo delle scelte effettuate dal legislatore, nell’ambito delle
società di persone è ammesso in ogni caso il recesso in presenza di una giusta causa. E’
dubbio se una simile fattispecie possa essere convenzionalmente prevista nelle società
di capitali.
Il legislatore delinea un lungo elenco di cause di recesso a favore di soci non
consenzienti di s.p.a. o di s.r.l. rispetto a determinate modificazioni statutarie o dell’atto
costitutivo.
Come è noto, il cambiamento delle “regole del gioco” può essere ammesso solo
con il consenso unanime dei soci oppure, all’opposto, a semplice maggioranza. Il diritto
di recesso costituisce un “correttivo” della regola dei maggioranza adottata con
riferimento a modificazioni statutarie o dell’atto costitutivo particolarmente incisive. In
questo modo il legislatore attribuisce, da un lato, alla maggioranza la facoltà di
introdurre tali modificazioni, ma, dall’altro, a favore dei soci non consenzienti il diritto
di recesso, con conseguenze che potrebbero essere particolarmente penalizzanti per la
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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RELAZIONI A CONVEGNI
ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO
società, costretta o a trovare un’acquirente della partecipazione o a liquidarla valutando
il patrimonio sociale a valori di mercato.
Anche nell’ambito delle società di persone la riforma ha introdotto un’ipotesi di
recesso applicando la regola di maggioranza alle decisioni dei soci aventi per oggetto le
operazioni straordinarie, ma con il correttivo del diritto di recesso a favore dei soci non
consenzienti.
Tale diritto sussiste poi in presenza di varie fattispecie, differenti dalle
modificazioni del contratto sociale, dello statuto e dell’atto costitutivo, individuate con
specifici caratteri. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di recesso collegate all’esercizio del
potere di direzione e coordinamento.
Infine occorre prendere in considerazione un caso del tutto peculiare: il recesso
ad personam, quale diritto particolare a favore di singoli soci di s.r.l..
Come è noto, quest’ultimo è attribuito al socio in quanto tale e non rientra nella
partecipazione: pertanto quando è trasferita dal socio, il diritto si estingue. L’art. 2468
c.c., al suo terzo comma, dispone appunto che l’atto costitutivo può prevedere
l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della
società o la distribuzione degli utili.
E’ dubbio se, oltre a tali categorie, seppur ampie, previste dalla norma
richiamata, siano configurabili ulteriori diritti particolari atipici. La risposta, a mio
avviso, data l’ampia autonomia concessa ai soci di s.r.l., può essere positiva: partendo
da tale premessa, potrebbe essere conferito a un singolo socio, appunto come diritto
particolare, quello di recesso.
3. La rilevanza della regola del divieto di abuso del diritto di recesso
La regola del divieto di abuso del diritto o dell’esercizio dello stesso secondo
buona fede e correttezza può assumere, con riferimento al diritto di recesso nell’ambito
societario, vari profili di rilevanza.
In primo luogo, può costituire un limite all’esercizio di tale diritto, con una
funzione analoga a quella sopra richiamata al di fuori della materia societaria.
Può configurare un criterio di applicazione in concreto di fattispecie aperte e, in
specie, della giusta causa.
Può ancora rappresentare un elemento di giudizio utilizzabile al fine di valutare
l’ammissibilità di determinate ipotesi di recesso convenzionale.
O ancora costituire un elemento di giudizio quale strumento di interpretazione di
ipotesi di recesso legale dai contenuti non chiaramente enucleati.
4. Il divieto di abuso del diritto e le varie fattispecie di recesso
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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RELAZIONI A CONVEGNI
ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO
Utilizzando la classificazione delle varie fattispecie di recesso sopra tratteggiata
è possibile verificare se e quale ruolo possa assumere il divieto di abuso nell’esercizio
del diritto per ciascuna di esse.
L’esercizio del diritto di recesso ad nutum in caso di società a tempo determinato
con il preavviso previsto dallo stesso legislatore non mi pare censurabile sotto il profilo
di un eventuale abuso di diritto. In effetti i soci, scegliendo lo schema della società a
tempo indeterminato, hanno necessariamente accettato la possibilità di recesso ad
nutum, che costituisce una regola costantemente prevista appunto per i rapporti a tempo
indeterminato.
Nel caso di recesso ad nutum convenzionale nelle società a tempo determinato le
stesse ragioni, che hanno indotto la giurisprudenza a sottoporre a valutazione sotto il
profilo dell’abuso del diritto l’esercizio dello stesso, valgono anche per il nostro caso.
M a la regola in esame può giocare un ruolo più incisivo costituendo un elemento
di giudizio nel senso dell’inammissibilità di tale caso di recesso convenzionale. Invero
nell’ambito delle società a tempo determinato il recesso ad nutum, sia pure con
preavviso, pare porsi in contraddizione con i caratteri e le finalità della società ed in
particolare con la volontà dei soci di porre in essere un rapporto con una certa durata nel
tempo volto a svolgere un’attività produttiva per ripartirne gli utili. M a anche il
possibile esercizio “opportunistico” del diritto di recesso potrebbe costituire un ulteriore
argomento a favore della tesi che ritiene inammissibile la previsione del recesso
convenzionale ad nutum nelle società a tempo determinato.
Qualora si ritenga ammissibile il recesso convenzionale per giusta causa la
regola dell’esercizio secondo buona fede e correttezza potrebbe svolgere un ruolo non
secondario nell’individuazione in concreto della sussistenza della giusta causa.
In presenza di ipotesi legali di recesso per modificazioni rilevanti del contratto,
dello statuto, dell’atto costitutivo o per altri eventi specificamente individuati non pare
esserci spazio per una valutazione di eventuale abuso nell’esercizio del diritto (se non
forse in casi assolutamente eccezionali).
Tuttavia la regola può venire in cons iderazione quale elemento di giudizio
nell’interpretazione e ricostruzione di fattispecie dai contorni non ben delineati.
Certamente lo strumento interpretativo fondamentale è individuabile nella sussistenza o
meno della ratio di tutela del socio non consenziente. Tuttavia può venire in
considerazione anche l’eventuale pericolo di uso abusivo del diritto.
Si pensi al caso di recesso conseguente all’introduzione o alla modificazione
della clausola compromissoria inserita nello statuto sociale o nell’atto costitutivo. Nulla
dice il legislatore in ordine alla sua modificazione. Sarà esercitabile il recesso? In tutti i
casi di variazione della clausola? In quelli più rilevanti? E, se si accoglie questa
soluzione, quali saranno i criteri di selezione? Certamente la ratio di tutela del socio non
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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RELAZIONI A CONVEGNI
ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO
consenziente, ma anche forse l’intento di evitare possibili usi opportunistici del diritto di
recesso, ove previsto.
Particolare interesse presenta l’ipotesi del recesso ad personam quale diritto
particolare del socio. Potrà prevedersi un recesso ad nutum? Per giusta causa?
Certamente per fattispecie specificamente individuate. I rilievi sopra illustrati varranno
anche in questo caso e quindi la regola del divieto dell’abuso di diritto potrà essere
utilizzata nelle varie prospettive delineate.
Tuttavia la fattispecie in esame presenta una peculiarità: il bilanciamento di
interessi al fine del giudizio di conformità a correttezza e buona fede nell’esercizio del
diritto dovrà essere effettuato non solo tenendo conto di quelli del socio che intende
recedere e della società, ma anche della posizione degli altri soci privi di tale diritto.
Il caso in esame, in una prospettiva più ampia, porterebbe ad affrontare un tema,
che esula dalla presente relazione, certamente di grande interesse: l’abuso nell’esercizio
dei diritti particolari. Profilo delicato non solo e non tanto nell’ottica dell’individuazione
delle possibili fattispecie, ma soprattutto in quella delle sanzioni applicabili.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETA’
DI PERSONE *
L’articolo esamina, anche alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e
giurisprudenziali, la fase conclusiva della vita della società di persone, soffermandosi
dapprima sui presupposti che determinano lo scioglimento della società e quindi sul
procedimento che conduce alla sua estinzione.
di BARBARA PETRAZZINI
1. Lo scioglimento della società: considerazioni introduttive
«L’estinzione della società non è un fatto istantaneo» 1. Il verificarsi di una causa
di scioglimento non determina infatti, di per sé, la cessazione del rapporto contrattuale,
ma costituisce il momento iniziale di una nuova fase di esecuzione del contratto di
società, diretta alla definizione di tutti i rapporti giuridici che ad essa fanno capo, al
pagamento dei creditori sociali e, infine, alla ripartizione fra i soci dell’eventuale
residuo attivo2.
Pur non comportando quindi l’estinzione della società (che conseguirà solo alla
conclusione del procedimento di liquidazione e, per le società in nome collettivo
regolari, alla cancellazione dal registro delle imprese), il semplice verificarsi di una
1
Così, in modo tanto preciso, quanto lapidario, COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, in
Tratt. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 301, nell’incipit del capitolo dedicato a scioglimento,
liquidazione ed estinzione delle società di persone.
2
Il principio si trova espresso, con formule pressoché equivalenti, in tutti i manuali di diritto
commerciale ed è ribadito in numerose pronunce giurisprudenziali. Cfr., tra i primi COTTINO,
Diritto societario, Padova, 2011, 165; GALGANO , Diritto commerciale. Le società, Bologna,
2013, 90; CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 2012, 119;
P RESTI-RESCIGNO , Corso di diritto commerciale. Vol. II. Società, Bologna, 2011, 47. Fra le
seconde si vedano, ad esempio, Cass. 19 settembre 2008, n. 29776, in Società, 2009, 286 («La
messa in liquidazione di una società non determina un mutamento della personalità giuridica
della stessa, né tantomeno la sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro, ma semplicemente
la modifica dell’oggetto sociale, che, per effetto della liquidazione è ora diretto alla liquidazione
dell’attivo e alla sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali») e Cass. 2
aprile 1999, n. 3221, in Mass. Giur. It., 2009 («Lo scioglimento di una società non ne produce
l’estinzione, ma essa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione,
sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non
è più quello dell’esercizio dell’impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la
definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi»).
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
causa di scioglimento non è tuttavia senza conseguenze, ma determina automaticamente
(o di diritto) 3 l’ingresso della società nello stato di liquidazione, cui il legislatore
ricollega (oltre ad alcuni mutamenti nella disciplina applicabile ai rapporti tra società e
terzi)4 l’insorgere di precisi divieti e obblighi a carico degli amministratori. Questi
ultimi, in particolare, pur conservando il potere di amministrare fino a che non siano
presi i provvedimenti necessari per la liquidazione, vedono limitati i propri poteri al
compimento degli affari urgenti (art. 2274 c.c.); devono indicare negli atti e nella
corrispondenza della società che questa è in liquidazione (art. 2250, comma 3, c.c.); e,
una volta che siano stati nominati i liquidatori, devono consegnar loro i beni e i
documenti sociali, presentar loro il conto della gestione relativo al periodo successivo
all’ultimo rendiconto e redigere e sottoscrivere unitamente ad essi l’inventario dal quale
risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277 c.c.).
Nell’affrontare l’esame della fase conclusiva della vita della società, si è così
idealmente voluta mantenere la distinzione tra i presupposti che determinano lo
scioglimento della società e il procedimento che conduce alla sua estinzione e si è
suddiviso il contributo in due parti. Nella prima vengono esaminate le singole cause di
scioglimento, integrando quelle elencate dall’art. 2272 c.c. con quelle espressamente
dettate dall’art. 2308 c.c. per le sole società commerciali; nella seconda, dopo aver
affrontato il problema dell’operatività delle cause di scioglimento e i risvolti processuali
del loro accertamento nell’ipotesi in cui esse siano controverse tra i soci, si concentrerà
invece l’attenzione sul procedimento formale di liquidazione (dalla nomina dei
liquidatori, fino all’approvazione del bilancio finale e del piano di riparto) e sulla
discussa questione della sua obbligatorietà.
2. Le singole cause di scioglimento
Lo scioglimento della società in nome collettivo è disciplinato dall’art. 2308 c.c.
La norma richiama espressamente la disposizione dettata per la società semplice (art.
2272 c.c.) ed aggiunge alla cause di scioglimento ivi elencate due ulteriori ipotesi,
riservate alle società commerciali: il provvedimento dell’autorità governativa e, salvo
che la società abbia per oggetto un’attività non commerciale, la dichiarazione di
fallimento.
3
Sull’operatività delle cause di scioglimento cfr. infra, il § 3.
Sul punto si veda, in particolare, MOTTI, in AA .VV., Diritto delle società. Manuale breve,
Milano, 2013, 78, la quale ricorda che, verificatasi una causa di scioglimento «(i) i creditori
particolari non possono più esigere la liquidazione separata della quota del socio loro debitore;
(ii) nei casi di scioglimento della singola partecipazione –anche se verificatosi anteriormente a
quello della società- il socio o i suoi eredi non possono più pretendere la liquidazione della
quota».
4
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
La possibilità di prevedere nel contratto sociale «altre cause» di scioglimento
(art. 2272, n. 5, c.c.) rende tutto sommato irrilevante l’esame del problema relativo alla
tassatività o meno dell’elenco 5 e consente invece di concentrare l’attenzione sulle
singole ipotesi che possono determinare la dissoluzione della società, avendo cura di
precisare come i maggiori dubbi interpretativi e contrasti giurisprudenziali siano in
realtà concentrati su due soltanto di esse, ovvero sul quella particolare impossibilità di
conseguire l’oggetto sociale determinata dall’«insanabile dissidio tra i soci» e sulla sorte
della società rimasta con un unico socio nell’eventualità in cui egli, decorso inutilmente
il termine di sei mesi durante i quali può ricostituire la pluralità dei soci, continui ad
operare come imprenditore individuale.
2.1. Il decorso del termine e la proroga della società
La prima causa di scioglimento è il decorso del termine, a condizione,
ovviamente, che esso fosse indicato nel contratto sociale; cosa che, a dispetto
dell’indicazione contenuta nell’art. 2295, n. 9, c.c., non costituisce condizione di
6
validità della società .
E’, in questa sede, sufficiente ricordare come il termine di durata della società
possa essere prorogato dai soci, sia espressamente (attraverso una modifica
dell’originaria clausola del contratto sociale, da adottarsi, in assenza di diversa
previsione, all’unanimità) sia tacitamente (attraverso la prosecuzione, senza soluzione di
continuità rispetto alla scadenza del termine originariamente pattuito, delle operazioni
sociali) 7. Nella prima ipotesi sorge in capo al creditore particolare del socio il diritto di
5
Per le due diverse opinioni cfr. rispettivamente GALGANO , Le società in genere. Le società di
persone, in Tratt. Galgano, Milano, 2007, pag. e FERRI, Delle società, sub art. 2272, in Comm.
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 242; per la tesi espressa nel testo cfr. invece
BUONOCORE , Società in nome collettivo, in Comm. Schlesinger, Milano, 1995, 403.
Nella pressoché totale assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto (cfr. i pochi riferimenti
in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in
Giur. sist. Bigiavi, T orino, 1991, 768 ss. e in COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit.,
310), la dottrina tende ad indicare come cause di scioglimento che i soci possono legittimamente
inserire nel contratto sociale quelle che determinano il venir meno del vincolo relativamente a
un socio per morte, recesso o esclusione: si vedano, in argomento, GHIDINI, Società personali,
Padova, 1972, 792; DI SABATO , La società semplice, in Tratt. Rescigno, vol. 16, t. II, Torino,
1985, 109; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 415.
6
E, dopo la riforma delle società di capitali, non è più richiesta nemmeno in tali società (cfr. gli
artt. 2328, n. 13, e 2454 c.c. per le società azionarie, nonché, indirettamente, l’art. 2473, comma
2, c.c. per la società a responsabilità limitata).
7
Se tra la scadenza del termine e la prosecuzione delle operazioni sociali intercorre un certo
lasso di tempo non si ha proroga tacita, ma un’ipotesi di revoca della liquidazione (sulla quale
cfr. infra, nota 10): cfr., sul punto, CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società,
cit., 117 e CAGNASSO , La società semplice, in Tratt. Sacco, T orino, 1998, 259.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
opporsi alla proroga e, in caso di opposizione vittoriosa, il diritto di ottenere la
liquidazione della quota del suo debitore (art. 2307, comma 2, c.c.); nella seconda, al
diritto del creditore particolare di chiedere la liquidazione della quota si aggiunge quello
di ciascun socio di recedere dalla società, con un preavviso di almeno tre mesi (art.
2307, comma 3, c.c.).
2.2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di
conseguirlo
L’art. 2272, n. 2 comprende due distinte ipotesi di scioglimento.
La prima («conseguimento dell’oggetto sociale») è strettamente legata alla
concreta formulazione data dai soci all’attività economica che costituisce il c.d. scopomezzo per il quale la società è stata costituita e non può che essere accertata caso per
8
caso . Nulla impedisce, ovviamente, che i soci decidano di proseguire lo svolgimento in
comune dell’attività economica, modificando opportunamente l’oggetto sociale; poiché
tuttavia, come si avrà modo di chiarire più avanti9, le cause di scioglimento operano
nelle società di persone automaticamente (o di diritto) per il solo fatto di essersi
verificate, siffatta decisione non può che qualificarsi come revoca della liquidazione e,
in quanto tale, richiederà necessariamente il consenso unanime di tutti i soci, anche
quando il contratto originario prevedesse, in deroga all’art. 2252 c.c., la sua
modificabilità a maggioranza 10.
8
Cfr. DI SABATO , La società semplice, cit., 107 e COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone,
in Tratt. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 306.
9
Cfr. infra § 3.
10
Regola diversa vale invece nelle società di capitali nelle quali il legislatore del 2003 ha
espressamente affrontato la questione prevedendo nella nuova formulazione dell’art. 2484 n. 2
c.c. che lo scioglimento della società per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la
sopravvenuta impossibilità di conseguirlo possa essere «neutralizzato» da una decisione ad hoc
dell’assemblea, convocata per le opportune modifiche statutarie, e risolvendo in tal modo in
radice la questione, precedentemente discussa, circa la necessità o meno di una decisione
unanime dei soci per porre fine alla vicenda dissolutiva già innescata. Cfr. sul punto
CAVALIERE , Le cause di scioglimento, in AIELLO-CAVALIERE-CAVANNA-CERRATO-SARALE,
Le operazioni societarie straordinarie, in Tratt. Cottino, vol. V, Padova, 2011, 107 ss.; SARALE,
Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina
e nella giurisprudenza: 2003-2009, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti,
Bologna, 2009, 1191; PASQUARIELLO, Sub art. 2484, in Il nuovo diritto delle società, a cura di
Maffei Alberti, Padova, 2005, 2146 ss.; NICCOLINI, Sub art. 2484, in Commentario delle società
di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1725.
Per l’affermazione secondo la quale nelle società di persone la revoca della liquidazione
(andando ad incidere sull’indisponibile diritto del socio alla quota di liquidazione, sorto per
effetto dell’intervenuta causa di scioglimento) deve essere sempre e comunque adottata
all’unanimità, anche quando i soci, in deroga all’art. 2252 c.c., abbiano sancito la modificabilità
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
15
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
Quanto alla seconda ipotesi di scioglimento legata all’oggetto sociale
(«sopravvenuta impossibilità di conseguirlo»), ferma restando la cons iderazione che
l’impossibilità deve essere sopravvenuta (ché se fosse originaria determinerebbe
l’invalidità della società) 11, i maggiori dubbi interpretativi riguardano la nozione stessa
di impossibilità. Accanto ad autori che ritengono che essa debba rivestire i caratteri
della definitività e dell’assolutezza (sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 1256
c.c.) 12, altri ritengono, in modo meno rigido, che l’impossibilità di cui parla l’art. 2272,
n. 2, c.c. sia «semplicemente un impedimento, non temporaneo e non neutralizzabile
con i mezzi normali (…) che non consente o rende economicamente svantaggioso, in
rapporto con la causa del contratto di società, il perseguimento dei risultati che i soci si
sono ripromessi di raggiungere» 13. Tale lettura sembra oggi trovare un’indiretta
conferma nella nuova formulazione dell’art. 2484, n. 2, c.c.: dalla regola per cui nelle
società di capitali lo scioglimento per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la
sopravvenuta impossibilità di conseguirlo può essere evitato da un’apposita decisione
assembleare 14, è infatti ricavabile il generale principio che lo scioglimento non
necessariamente deriva da un impedimento oggettivo e assoluto, ma può anche essere
conseguenza di un mero giudizio di convenienza15, fermo restando che tale giudizio
deve essere espresso nelle due categorie di società con modalità diverse, richiedendosi
a maggioranza dell’atto costitutivo si vedano, in particolare FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e
le società, Milano, 2009, 298-299 e CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società,
cit., 120. A meno di ritenere che le norme introdotte dalla riforma del diritto societario per le
società di capitali e mutualistiche si riflettano anche su quelle che disciplinano le società di
persone ed ammettere pertanto (alla luce del disposto dell’art. 2487 ter, comma 1, c.c.) che lo
stato di liquidazione possa essere revocato con decisione a maggioranza, ove il contratto di
società preveda tale modalità di assunzione delle decisioni per la sua modifica: per uno spunto
in tal senso cfr. COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 305; COTTINO , Diritto
societario, cit., 197; NICCOLINI, La «revoca dello stato di liquidazione» delle società di capitali,
in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa
e Portale, vol. 4, Torino, 2007, 35, nota 5.
11
Cfr., per tutti, BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 405 e COTTINO , Diritto
societario, cit., 167.
12
Sul punto si veda in particolare MONTAGNANI, Disfunzioni degli organi collegiali e
impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, Milano, 1993, 116 ss.
13
Così, testualmente, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit. 307; nello stesso senso
cfr. già GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 789, nonché CAGNASSO, La società semplice,
cit., 260 ss., e ID ., Profili relativi alla fattispecie «sopravvenuta impossibilità di conseguire
l’oggetto sociale», in Studi in onore di Gastone Cottino, vol. I, Padova, 1997, 171 ss. (che
assimila all’impossibilità sopravvenuta di raggiungere l’oggetto sociale anche l’impossibilità di
raggiungere lo scopo sociale).
14
Cfr. supra, nota 10.
15
Per questa osservazione cfr. CAVALIERE, Le cause di scioglimento, cit., 110.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
16
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
in quelle di capitali una delibera assembleare assunta con l’ordinario procedimento e in
quelle di persone una revoca all’unanimità della liquidazione.
Vi è in ogni caso concordia sul fatto che l’impossibilità può essere determinata
sia da eventi sopravvenuti esterni alla società tali da impedire lo svolgimento
dell’attività sociale (quali, ad esempio, il sopraggiunto divieto legislativo di svolgere
una data attività, o la revoca dell’autorizzazione amministrativa necessaria per il suo
svolgimento o della concessione da parte dell’unico concedente), sia da eventi interni
alla società (si pensi allo scioglimento del vincolo particolare di un socio la cui
partecipazione sia da ritenersi essenziale, alla perdita integrale dei conferimenti o dei
16
locali nei quali si esercita l’impresa, o al protrarsi di un’attività in perdita) .
All’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale viene infine ricondotto il caso
dell’insanabile dissidio tra i soci.
La giurisprudenza, sul punto, è copiosissima ed è concorde nel ritenere, da un
lato, la insindacabilità, a fronte di una congrua motivazione, delle valutazioni del
giudice di merito circa il concreto motivo del dissidio17 e nell’affermare, dall’altro, che
il dissidio tra i soci «può costituire causa di scioglimento di una società di persone solo
se, impedendo l’operatività della società o influendo sulla continuità
dell’organizzazione sociale, determina l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale» 18.
Il punto maggiormente discusso, e che assume particolare rilevanza nelle società
formate da due soci, riguarda piuttosto il problema della «imputabilità» del dissidio ad
un socio in particolare: è cioè controverso se possa addivenirsi allo scioglimento della
società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale anche quando tale impossibilità
dipenda dal comportamento di un socio e possa essere evitata escludendo dalla
16
Cfr. per ulteriori esempi DI SABATO , La società semplice, cit., 108, BUONOCORE , Società in
nome collettivo, cit., 406, GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, cit., pag.,
nonché COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione,
cit., 752 ss.
17
Cfr. Cass. 10 settembre 2004, n. 18243, in Foro It., 2005, I, 1105 e Cass. 14 febbraio 1984, n.
1122, in Dir. Fall., 1984, II, 428.
18
Cfr. Trib. Milano, 16 febbraio 2012, in Società, 2012, 1153, ma l’affermazione si ritrova
pressoché identica in numerosissime pronunce di merito e di legittimità: e si vedano, limitandosi
alle più recenti, App. Cagliari, 16 settembre 2004, in Riv. giur. sarda, 2006, 575; App. Firenze,
19 maggio 2000, in Foro toscano, 2001, 145; T rib. Alba, 29 aprile 2010, in Giur. piemontese,
2010, 250; Trib. Mantova, 24 gennaio 2008, reperibile su www.ilcaso.it; T rib. Milano, 18
gennaio 2006 in Società, 2007, 179; T rib. Rossano, 2 giugno 2004, in Giur. It., 2004, 1890;
Trib. Roma, 9 novembre 1999, in Giur. It., 2000, 787. Per ulteriori riferimenti cfr. LUBRANO,
Insanabile dissidio tra soci di società di persone, prevalenza dello scioglimento del vincolo
particolare e modalità di liquidazione della quota, in Giur. Comm., 2000, I, 868 ss.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
17
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
compagine sociale il socius rixosus19. Alla tesi che il dissidio imputabile ad un socio
sarebbe semplicemente causa di esclusione e non di scioglimento del rapporto sociale, si
è tuttavia obiettato che essa «fa prevalere un evento comunque particolare, e
controverso, quale la condotta “colposa” di un socio, sull’evento generale, e di per sé
20
produttivo di effetti, del dissidio tra i soci» : non è detto, cioè, che l’esclusione del
socio sia sempre la panacea di tutti i mali; vuoi perché essa deve comunque essere
deliberata da una maggioranza per teste che potrebbe non esserci, vuoi perché il
comportamento del singolo socio potrebbe essere semplicemente la «spia» di un più
profondo dissidio tra i soci, tale da rendere nei fatti impossibile lo svolgimento in
comune dell’attività economica per cui la società è stata costituita.
2.3. La volontà di tutti i soci
La società si scioglie, inoltre, per volontà di tutti i soci.
La fattispecie, che costituisce applicazione del generale principio contenuto
nell’art. 1372, comma 1, c.c., non pone particolari problemi allorché i soci non abbiano
derogato alla regola dettata dall’art. 2252 c.c., che richiede l’unanimità dei consensi per
le modifiche del contratto sociale; ha invece sollevato alcuni dubbi interpretativi
nell’ipotesi in cui i contraenti abbiano stabilito la modificabilità a maggioranza delle
pattuizioni originarie. Accanto a chi ritiene che, in tal caso, anche la decisione di
sciogliere la società anzitempo segua la regola maggioritaria 21, si è infatti sostenuto sia
che la decisione in commento dovrebbe essere sempre e comunque adottata con il
consenso di tutti i contraenti (facendo prevalere il dato testuale dell’art. 2272, n. 3, c.c.
22
sull’eventuale clausola derogatoria dell’art. 2252 c.c.) , sia, in posizione intermedia,
che la decisione di scioglimento possa essere adottata a maggioranza solo in presenza di
una clausola che espressamente preveda tale modalità di assunzione della decisione per
questo specifico argomento, a nulla rilevando l’introduzione in contratto di una deroga
generale alla regola dell’unanimità 23.
19
Così, espressamente, CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 117118 e, in giurisprudenza, Cass. 15 luglio 1996, n. 6410, in Riv. Giur. Sarda, 1997, 326, con nota
di W EIGMANN , Cass. 13 gennaio 1987, n. 134, in Giust. Civ., 1987, I, 843, App. Firenze, 19
maggio 2000, in Foro toscano, 2001, 145.
20
Così testualmente COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit. 308-309, cui adde
CAGNASSO , La società semplice, cit., 270.
21
Cfr. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 791; FERRI, Delle società, sub art. 2272, cit.,
256; GALGANO , Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2013, 91 e CAGNASSO , La società
semplice, cit., 260.
22
In tal senso cfr. BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 409; COTTINO , Diritto
societario, Padova, 2011, 170.
23
Così, ad esempio, CAMP OBASSO, Diritto commerciale, cit., 118 e DI SABATO , La società
semplice, cit., 108.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
18
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
Le pronunce giurisprudenziali, sul punto, non sono recentissime ed appaiono, in
ogni caso, orientate ad accogliere la tesi che reputa sufficiente, ove l’atto costitutivo lo
preveda, la semplice maggioranza per sciogliere anticipatamente la società24.
Vale piuttosto la pena di segnalare una più recente decisione della Cassazione
che ha sancito come la volontà del socio di addivenire allo scioglimento della società
debba risultare in modo esplicito e non possa desumersi dalla dichiarazione di recesso
dalla società per giusta causa. «Il recesso del socio, quando non si accompagni ad una
chiara affermazione (di natura subordinata) di disponibilità allo scioglimento della
società per mutuo consenso, non può determinare tale scioglimento solo perché venga a
concorrere con una manifestazione di volontà in tal senso espressa dagli altri soci. (…) I
soci diversi dal recedente» proseguono i giudici di legittimità «che, oltre a contestare la
validità ed efficacia del recesso, dichiarino di voler addivenire allo scioglimento della
società ex art. 2272, n. 3 c.c., formulano una semplice proposta, la quale abbisogna per
tale scioglimento di un’ulteriore manifestazione di volontà del recedente in adesione
alla proposta stessa, non potendosi considerare formato il consenso di tutti i soci,
richiesto da quella norma, in base alla mera coesistenza di detto recesso e di detta
25
dichiarazione» .
2.4. Il venir meno della pluralità dei soci e la sua mancata ricostituzione nel
termine di sei mesi
«La società si scioglie» recita l’art. 2272 n. 4, c.c. «quando viene a mancare la
pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita».
26
Le società di persone non possono nascere da atto unilaterale ; ciò non
impedisce, ovviamente, che la società, costituita con una pluralità di soci, si trovi a
rimanere con un unico socio. Qualunque sia la ragione per cui ciò avviene (morte,
recesso, esclusione, acquisto di tutte le altre partecipazioni da parte di un socio), occorre
sottolineare come tale accadimento, di per sé, non determini alcuna conseguenza sul
regolare svolgimento della vita sociale. Ciò che, ai sensi dell’art. 2272, n. 4, c.c. è causa
di scioglimento della società, non è infatti la circostanza che essa rimanga con un unico
socio, ma il fatto che la pluralità dei soci non venga ricostituita nel termine di sei mesi.
24
Cfr. (oltre alle indicazioni in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone.
Associazione in partecipazione, cit., 749 ss.) Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993,
1487; Trib. Milano, 23 settembre 1965, in Dir. fall., 1966, II, 149.
25
Così Cass. 9 settembre 2002, n. 13063, in Giur. It., 2004, 100 e in Riv. notariato, 2003, II,
186.
26
Sul punto cfr. i recenti lavori monografici di CAP ELLI, Le società con un solo socio, Padova,
2012, passim e di SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola normativa, Milano, 2012, in
part. 122 ss., ove ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
19
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
Dottrina e giurisprudenza sono assolutamente concordi nel ritenere che lo
scioglimento della società si determina con effetti ex nunc allo spirare dei sei mesi e ciò
anche quando la società fosse costituita da due soci soltanto27.
La questione, affrontata dalla giurisprudenza soprattutto nell’ipotesi di morte di
uno dei due soci, viene costantemente risolta in base al principio per cui «anche nella
società di persone composta da due soli soci, ove la morte di un socio determini il venir
meno della pluralità dei soci, non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio
defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di
liquidazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce momento successivo ed
eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova
causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei
28
mesi della pluralità medesima» .
Durante il periodo di tempo concesso per ricostituire la pluralità dei soci, la
società opera pertanto regolarmente e l’unico socio conserva la stessa identica posizione
e i medesimi poteri decis ionali che avrebbe avuto se non si fosse verificato il venir
meno della pluralità dei soci: può dunque, ove ne ricorrano i presupposti, essere
assoggettato a fallimento unitamente alla società 29, così come può decidere di porre
anticipatamente in liquidazione la società (art. 2272, n. 3, c.c.), o di trasformarla in una
società per azioni o in una società a responsabilità limitata unipersonali (art. 2500 ter
c.c.) 30, ovvero, ove lo si ritenga ammissibile, in un’impresa individuale.
27
Cfr., per tutti, COTTINO , Diritto societario, cit., 171; CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2.
Diritto delle società, cit., 118; GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, cit., pag.;,
BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 411 ss. Isolata è rimasta la posizione di FERRI,
Delle società, sub art. 2272, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 246, secondo il quale la
ricostituzione della pluralità dei soci opererebbe come condicio facti dello scioglimento, i cui
effetti devono farsi risalire ex tunc al momento in cui è venuta meno la pluralità dei soci, con la
conseguenza di «ingessare» il socio superstite in uno stato di quiescenza, durante il quale egli
può compiere solo gli affari urgenti (art. 2274 c.c.) tra i quali non rientrerebbero né la
liquidazione della quota agli eredi del socio defunto o al socio receduto o escluso né la
possibilità di decidere lo scioglimento della società o la nomina dei liquidatori.
28
Così testualmente Cass. 26 giugno 2000, in Corr. giur., 2001, 1507, ma il principio è
costantemente affermato dai giudici di le gittimità a partire da Cass. 22 dicembre 1978, n. 6156
in Giur. Comm., 1979, II, 179; cfr., ex multis, Cass. 18 settembre 2012, n. 15622, in Giust. Civ.,
2012, I, 2269; Id. 11 maggio 2009, n. 10802, in www. dejure.it; Id. 5 marzo 2003, n. 3269, in
Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 824; Id. 26 giugno 2000, n. 8670, in Dir. Fall., 2000, II, 1103;
Id. 6 febbraio 1984, n. 907, in Giur. Comm., 1984, II, 240.
29
Cfr., ad esempio, Cass. 7 luglio 2008, n. 18600, in Fallimento, 2009, 365 e App. Firenze, 13
marzo 2010, in www.dejure.it.
30
Cfr. in argomento FERRI JR., Le nuove trasformazioni omogenee, in Scritti in onore di
Vincenzo Buonocore, vol. III, t. 1, Milano, 2005, 2507 e SARALE , Le trasformazioni, in AIELLOCAVALIERE -CAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 287, la
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
20
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
La possibilità di percorrere quest’ultima strada è in realtà molto controversa sia
in dottrina sia in giurisprudenza e richiede qualche precisazione.
Chi nega l’ammissibilità di tale operazione lo fa portando due diversi ordini di
argomentazioni, che operano tuttavia su piani distinti e che devono essere esaminati
separatamente. Ad un primo livello si colloca il limite di chi ritiene che tale
trasformazione non sia ammissibile in quanto non espressamente prevista dal legislatore
in nessuna delle due norme che, dopo la riforma del diritto societario, hanno disciplinato
31
le «trasformazioni eterogenee» (artt. 2500 septies e octies c.c.) . E’ ovvio che qualora
si accolga tale orientamento, il problema sarebbe risolto in radice e il socio superstite
dovrebbe necessariamente passare attraverso un procedimento di liquidazione della
società.
Su tale posizione è attestata la prevalente giurisprudenza, secondo la quale,
conseguentemente, «non può essere iscritto nel registro delle imprese l’atto con il quale
viene disposta la trasformazione di una società in nome collettivo in ditta individuale in
quanto fattispecie non prevista dal legislatore» 32.
Questa rigida lettura delle nuove disposizioni in tema di trasformazione è
tuttavia contrastata dalla prevalente dottrina, la quale, traendo spunto dalle posizioni di
chi già prima della riforma aveva indagato il tema delle trasformazioni eterogenee 33,
tende a non riconoscere carattere tassativo alle operazioni esemplificate dagli artt. 2500
quale sottolinea come anche quella dottrina che individua nella unipersonalità della società un
limite alla trasformazione (ad es. GUERRERA, La trasformazione di società di capitali in società
di persone, in Riv. notariato, 2007, I, 827 ss.), applica tale limite alla trasformazione delle
società di capitali verso i modelli per i quali la legge non prevede l’unipersonalità in sede
costitutiva, con la conseguenza che esso non avrebbe ragione di porsi nel caso di trasformazione
di una società di persone in una società di capitali.
31
Cfr. in particolare PALMIERI, Autonomia e tipicità nella nuova trasformazione, in Il nuovo
diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale,
vol. 4, cit., 120.
32
Così, testualmente, T rib. Mantova, 28 marzo 2007, in Giur. comm., 2007, II, 1131, con nota
di BENESP ERI, Trasformazione eterogenea: da società di persone a impresa individuale?,
nonché Cass. 13 luglio 2006, n. 15924, in Fallimento, 2007, 165, con nota di PERRINO , Effetti
della trasformazione di società di persone con unico socio superstite in impresa individuale;
Cass. 16 febbraio 2007, n. 3671, in Riv. notariato, 2007, II, 29; Cass. 15 maggio 2008, n. 12213,
ivi, 2009, II, 160, con nota di UNGARI T RASATTI, Profili civili e fiscali della continuazione
dell’impresa in forma individuale da parte dell’unico socio superstite di società di persone;
App. Torino, 14 luglio 2010, ivi, 2011, II, 427, con nota di SCUDERI, La questione
dell’ammissibilità delle trasformazioni eterogenee c.d. «atipiche» ed in particolare la
trasformazione da società di persone in impresa individuale.
33
Cfr. in particolare SARALE , Trasformazione e continuità dell’impresa, Milano, 1996, passim e
MARASÀ, Nuovi confini delle trasformazioni e delle fusioni nei contratti associativi, in Riv. dir.
civ., 1994, II, 314.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
21
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
septies e octies c.c. e postula l’esistenza di un principio di libertà di trasformazione in
assenza di norme che pongano limiti espressi alla libertà negoziale 34.
Se si accetta tale lettura, ne discende la piena ammissibilità di una
trasformazione della società di persone in impresa individuale nei sei mesi concessi al
35
socio ricostituire la pluralità dei soci , posto che non essendo in questo periodo la
società ancora sciolta, non trova applicazione il divieto di cui all’art. 2280 c.c. che,
secondo parte della dottrina, costituirebbe il secondo limite all’ammissibilità del
passaggio da una società di persone a un’impresa individuale 36. Anzi, la necessità di
passare necessariamente attraverso l’iscrizione della trasformazione nel registro delle
imprese, concede ai creditori sociali un utile strumento di tutela, individuando in modo
certo il momento dal quale decorrono i sessanta giorni concessi per fare opposizione
alla trasformazione ex art. 2500 novies c.c., evitando in tal modo la confusione tra il
patrimonio della società e quello personale del socio e la perdita del privilegio di cui
godono rispetto ai creditori particolari.
Lo scenario sopra descritto muta allorché, spirato il termine dei sei mesi,
divenga operativa la causa di scioglimento.
Preliminarmente è tuttavia opportuno sottolineare come il fatto che il socio non
abbia ricostituito la pluralità dei soci e, quindi, la circostanza che la società di persone
sia in fase di liquidazione, non costituisce un limite alla trasformazione in società di
capitali unipersonale. La nuova formulazione dell’art. 2499 c.c., che prevede
espressamente l’operazione anche in pendenza di una procedura concorsuale, consente
infatti di considerare superate le perplessità del passato riguardo alla sua ammissibilità
34
E vedi, dopo la riforma del 2003, ancora SARALE, Le trasformazioni, in AIELLO-CAVALIERECAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 357 ss. e MARASÀ,
Le trasformazioni eterogenee, in Riv. notariato, 2003, I, 585, nonché MALTONI, Le altre
trasformazioni, in MALTONI-TASSINARI, La trasformazione delle società, Milano, 2005, 221 ss.,
FRANCH, Sub art. 2500 septies, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Commentario alla
riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2006, 281 e
CETRA , Le trasformazioni «omogenee» ed «eterogenee», in Il nuovo diritto delle società. Liber
amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, cit., 139.
35
Così P LASMATI, La trasformazione «da» e «in» impresa individuale o mera titolarità
d’azienda, in Riv. Notariato, 2008, I, 125-126.
36
Cfr. già BOERO, Sulla «trasformazione» di società di persone in impresa individuale, in Giur.
Comm., 1994, II, 269 cui adde, per ulteriori riferimenti, UNGARI T RASATTI, Profili civili e
fiscali della continuazione dell’impresa in forma individuale da parte dell’unico socio
superstite di società di persone, cit., 160 ss. e SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola
normativa, cit., 129 ss.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
22
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
per le società in stato di liquidazione 37, così come la presenza di un unico socio lascia
sullo sfondo il problema del coordinamento tra la regola che la revoca della liquidazione
dovrebbe in ogni caso essere frutto di una decisione che raccolga il consenso unanime
dei soci e quella che prevede, invece, che la trasformazione venga decisa, salvo diversa
38
previsione, dalla maggioranza dei soci calcolata per quote di interessi .
Ciò premesso, i problemi sorgono quando, decorso inutilmente il periodo di sei
mesi, l’unico socio non abbia preso nessuna delle decisioni sopra prospettate. Tale
situazione deve essere esaminata tenendo presente che essa può in astratto dipendere
due diverse circostanze: a) da un lato il mancato avvio del procedimento di liquidazione
della società può essere frutto di una pura e semplice inerzia dell’unico socio, la quale
determina uno stallo del procedimento di liquidazione, potenzialmente idoneo a
protrarsi a tempo indefinito; b) dall’altro può accadere che l’unico socio prosegua nei
fatti come imprenditore individuale l’attività che costituiva l’oggetto sociale, senza
passare attraverso un procedimento di liquidazione e confondendo il patrimonio della
società con il suo personale.
Le due situazioni, entrambe molto frequenti nella prassi, pongono problemi
differenti e richiedono di essere esaminate separatamente.
Nel caso di inutile decorso del termine di sei mesi senza che il socio abbia
assunto nessuna iniziativa, parte della dottrina ha posto l’accento sulla necessità di
tutelare i creditori della società e il loro interesse a che il soggetto con il quale hanno
trattato «non sgusci loro di mano e il suo patrimonio non si dissolva o si confonda con
quello del socio superstite»39 e ha ipotizzato un interesse diretto di costoro di ricorrere
all’autorità giudiziaria per chiedere la nomina di un liquidatore 40.
37
Sulla compatibilità della trasformazione con lo stato di liquidazione cfr. CAVANNA , La
trasformazione delle società, in Trattato Rescigno, vol. 16, t. 1, Torino, 2008, 202 ss.; MOSCA,
Sub art. 2499, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Commentario alla riforma delle
società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, cit., 54 ss.; MALTONI, La disciplina
generale della trasformazione, in MALTONI-TASSINARI, La trasformazione delle società, cit., 15
ss. Ammette esplicitamente che la società in nome collettivo che si trovi ad essere con unico
socio possa, dopo il decorso dei sei mesi, trasformarsi in società a responsabilità limitata
unipersonale DE MARTINO , La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone
decorsi sei mesi ex art. 2272 n. 4 c.c., Studio n. 156-2009, pubblicato su www.notariato.it.
38
Sul punto si veda SARALE, Le trasformazioni, cit., 282-283 e nota 151.
39
Così COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 312 ss.
40
Cfr., riprendendo uno spunto di ASCARELLI, Morte di un socio in una società personale di
due soci, in Riv. dir. comm., 1949, I, 271, COTTINO , Diritto societario, cit., 172, e CAGNASSO,
La società semplice, cit., 275.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
23
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
La tesi, accolta anche da alcune pronunce giurisprudenziali 41, è stata criticata
poiché finirebbe con l’attribuire al creditore sociale una tutela maggiore di quella di cui
egli godrebbe durante la vita della società 42, ma ha l’indubbio pregio di individuare un
rimedio per porre fine ad una situazione ad «assetto instabile» 43, nella quale il socio
superstite protrae a tempo indefinito lo stato di liquidazione, esponendo i creditori
sociali al rischio di una confusione tra patrimonio sociale e il suo patrimonio personale e
impedendo ai creditori personali la possibilità di chiedere la liquidazione della quota
(posto che la società in stato di liquidazione nella quale il socio non compia nessuna
operazione non può considerarsi prorogata, con la conseguenza di rendere inapplicabile
l’art. 2307 c.c.) 44.
Se l’ipotesi sopra prospettata è, in concreto, molto marginale, essendo limitata ai
rari casi nei quali, spirato il termine dei sei mesi, il socio si disinteressi della sorte della
società, relegandola ad libitum in una sorta di limbo, molto più frequente è l’ipotesi che
il socio prosegua lo svolgimento dell’attività economica che costituiva l’oggetto sociale
della società, senza passare attraverso la sua liquidazione, ma «trasformandola» di fatto
in un’impresa individuale.
Chi contesta l’ammissibilità dell’operazione (oltre a richiamare il dato testuale
degli artt. 2500 septies e octies c.c., leggendo in tali norme, nei termini sopra ricordati,
un divieto di trasformazione delle società di persone in impresa individuale) invoca a
sostegno della propria posizione il disposto dell’art. 2280 c.c. (che vieta ogni
ripartizione dei beni sociali tra i soci finché non siano pagati i creditori della società o
non siano accantonate le somme necessarie per pagarli), desumendone che il passaggio
41
Si vedano Cass. 8 agosto 1990, n. 8001, in Giur. It., 1991, I, 1, 155; Trib. Como, 28 settembre
1987, in Società, 1988, 182; T rib. Torino, 18 marzo 1983, in Giur. Comm., 1984, II, 80.
42
Si veda in particolare PORZIO , Sulla disciplina della società di persone con un solo socio, in
Riv. soc., 1965, 286, nonché NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione
della società, Milano, 1990, 479.
43
Utilizza l’espressione per descrivere la situazione in cui viene a trovarsi la società il cui unico
socio non assuma alcuna iniziativa SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola normativa,
cit., 129.
44
In questo contesto si rivela inoltre di scarsa utilità (quando non addirittura controproducente)
il ricorso all’istituto della cancellazione d’ufficio della società dal registro delle imprese
disciplinato dall’art. 3, d.p.r. 247/2004. E’ infatti vero che il procedimento può essere avviato
quando l’ufficio del registro delle imprese rileva «la mancata ricostituzione della pluralità dei
soci nel termine di sei mesi» (art. 3, comma 1, lett. d), ma è altrettanto vero che un’eventuale
cancellazione della società in nome collettivo potrebbe rivelarsi per il creditore sociale un’arma
a doppio taglio, determinando il dies a quo dell’anno entro il quale, ai sensi dell’art. 10 l. fall., la
società può essere dichiarata fallita. Sotto questo profilo, piuttosto, maggiormente utile si rivela
il potere riconosciuto al Presidente del T ribunale di procedere, in alternativa alla cancellazione,
alla nomina di un liquidatore (cfr. art. 3, commi 2 e 3 del citato d.p.r. dove è descritto il
procedimento da seguire per giungere a tale nomina).
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
dalla società all’impresa individuale sarebbe possibile solo a seguito della integrale
definizione di tutti i rapporti passivi facenti capo alla società45.
Ora, nessuno nega che l’unico socio, spirato il termine dei sei mesi, dovrebbe
passare attraverso la liquidazione della società, subordinando alla cancellazione dal
registro delle imprese o, comunque, all’assenza di passività l’eventuale assegnazione a
se stesso del complesso aziendale; il punto è che lo scopo che il socio vuole raggiungere
non è certo quello di definire tutti i rapporti pendenti, bensì di utilizzare il medesimo
46
complesso produttivo per proseguire l’attività come imprenditore individuale . Si tratta
quindi di cercare, nel diritto positivo, quali norme siano maggiormente adatte a tutelare i
creditori della società quando il socio abbia nei fatti proseguito l’attività, confondendo il
patrimonio sociale con il suo proprio e facendo in tal modo perdere ai creditori sociali il
privilegio di cui godono rispetto ai creditori particolari. E, così come nell’ipotesi sopra
illustrata di trasformazione della società in impresa individuale prima della scadenza dei
sei mesi, ci sembra che lo strumento più adatto sia ancora una volta rappresentato
dall’opposizione ex art. 2500 novies c.c., pur nella consapevolezza che l’assenza di
un’adeguata pubblicità della «trasformazione» rende oggettivamente difficile garantire
una reale tutela per i creditori «privi, in casi come questo, di appigli testuali per intuire
che sia necessario e possibile presentare tempestivamente opposizione all’operazione
giuridica posta in essere»47.
2.5. Il provvedimento dell’autorità governativa e la dichiarazione di
fallimento
Come si è accennato in precedenza, le società in nome collettivo si sciolgono
altresì per provvedimento dell’autorità governativa e, se esercitano un’attività
commerciale, per la dichiarazione di fallimento.
La prima ipotesi, unanimemente ricondotta dalla dottrina al provvedimento con
il quale si dispone l’assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa (art. 197, l.
48
fall) , ha, nei fatti, perso la sua ragion d’essere. Se infatti al momento dell’entrata in
vigore del codice civile e della coeva legge fallimentare essa poteva trovare un angusto
45
Cfr. gli autori citati supra nella nota 36.
E vedi COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, cit., 314, per i quali «il patrimonio
sociale viene assorbito da quello del socio superstite (…); sicché alla responsabilità sociale
anteatta si aggiunge, senza soluzione di continuità, quella del nuovo esercizio imprenditoriale da
parte di chi ha rilevato l’azienda».
47
Così, SCUDERI, La questione dell’ammissibilità delle trasformazioni eterogenee c.d.
«atipiche» ed in particolare la trasformazione da società di persone in impresa individuale, cit.
433.
48
Per tutti, cfr. già GHIDINI, Società personali, cit., 797, BAVETTA , La società in nome
collettivo, in Tratt. Rescigno, cit., 155 e FERRI, Delle società, sub art. 2308, in Comm. ScialojaBranca, cit., 449.
46
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
ambito di applicazione nelle rare ipotesi in cui il legislatore non imponeva l’adozione
della forma di società per azioni o di società cooperativa per l’esercizio di imprese
assoggettate a controllo pubblico e, quindi, in caso di insolvenza o di gravi irregolarità
nella gestione, sottoposte alla procedura concorsuale governata dall’autorità
amministrativa, è altrettanto vero che tali ipotesi si sono nel tempo ridotte fino a
49
sparire .
Più complesso risulta invece l’esame della seconda ipotesi, che pone delicati
problemi di ordine sistematico sia in rapporto alla disciplina delle società di capitali, sia
in relazione alla disciplina del fallimento così come novellata a partire dalla riforma del
2006.
Dall’art. 2308 c.c. sono anzitutto ricavabili due principi.
Il primo è quello che la causa di scioglimento in questione non si applica a
qualunque società in nome collettivo, ma solo a quelle che hanno per oggetto un’attività
commerciale (salvo poi discutere se l’assoggettamento a procedura concorsuale
discenda dalla mera enunciazione nell’atto costitutivo di un’attività commerciale o sia
invece legato all’effettivo svolgimento di tale attività)50.
Il secondo (apparentemente scontato, ma ribadito in alcune occasioni anche dalla
giurisprudenza)51 è che il fallimento non costituisce causa di estinzione della società52,
ma solo di scioglimento, con la particolarità che, in tal caso, la liquidazione dei beni
sociali non passa attraverso l’ordinario procedimento disciplinato dal codice civile, ma è
49
Si vedano, sul punto, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, in Tratt. Cottino, vol. III,
Padova, 2004, 311 che citano, tra gli altri, il caso dell’attività bancaria, esercitabile anche dalle
società di persone in base alla legge bancaria del 1936 (artt. 28, ult. comma e 30, comma 1, r.d.l.
12 marzo 1936, n. 375) ed ora riservata da T esto unico bancario a società che abbiano adottato
la forma della società per azioni o della società cooperativa per azioni a responsabilità limitata
(art. 14, comma 1, lett. a, d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Di «difficoltà di reperire esempi
che sostanzino la disposizione de qua» parla anche BUONOCORE, Società in nome collettivo,
cit., 416.
50
Sul punto, per tutti, FORTUNATO , Sub art. 1, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio,
Bologna, 2006, 50 ss., CAP O , I presupposti del fallimento, in Fallimento e altre procedure
concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, vol. I, T orino, 2009, 26 ss. e CAVALLI, in
AMBROSINI-CAVALLI-JORIO , Il fallimento, in Tratt. Cottino, vol. XI, t. II, Padova, 2009, 78 ss.
ove ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza sui due diversi orientamenti.
51
Cfr., ad esempio, Cass. 23 aprile 2010, n. 9723, in Fall., 2010, 1463, Cass. 30 settembre 2009,
n. 20947, in Giur. Comm., 2011, II, 1046 con nota di MENICUCCI e T rib. Verona, 17 ottobre
1989, in Giur. It., 1990, I, 1, 791 con nota di CAGNASSO .
52
Si vedano già FERRI, Delle società, sub art. 2308, cit., 450; BAVETTA , La società in nome
collettivo, in Tratt. Rescigno, cit., 155; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 417.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
affidata agli organi della procedura e non rende pertanto necessario che la società
provveda a sostituire i suoi amministratori con dei liquidatori 53.
Se può dirsi pacifico che la dichiarazione di fallimento non produce di per sé
alcun effetto estintivo nei confronti della società, molto meno chiaro è invece in che
misura il fallimento sia destinato a rilevare come causa di scioglimento o, più
precisamente, quale sia la sorte della società al termine della procedura fallimentare. Il
54
quesito, ampiamente discusso già prima della riforma delle procedure concorsuali ,
trova oggi una possibile (parziale) risposta nel nuovo testo dell’art. 118, comma 2, l.
fall., così come modificato dal decreto «correttivo» del 2007 (d. lgs. 12 settembre 2007,
n. 169), in virtù del quale il curatore, al termine della procedura concorsuale, deve
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese solo nelle ipotesi in cui
la chiusura del fallimento sia disposta per avvenuta ripartizione finale dell’attivo (art.
118, n. 3, l. fall.) o perché nel corso della procedura sia accertato che la sua
prosecuzione non consente di soddisfare neppure in parte, i creditori concorsuali, né i
crediti prededucibili e le spese della procedura (art. 118, n. 4, l. fall.) 55. Ciò significa che
quando il fallimento si chiuda per uno degli altri motivi indicati nell’art. 118, comma 1,
l. fall., o per la definitività del decreto di omologazione del concordato fallimentare, e,
comunque, in tutte le ipotesi in cui alla chiusura del fallimento sussista ancora un
residuo patrimoniale in capo alla società, i soci potranno, con decisione unanime,
revocare lo stato di liquidazione e proseguire l’attività sociale 56.
Ed è in tale ultimo aspetto che si annida, a nostro avviso, una significativa
differenza di disciplina tra società di persone e società di capitali. E’ noto infatti che il
legislatore del 2003 nel dettare il nuovo art. 2484 c.c., che disciplina in modo unitario
per tutte le società di capitale le cause di scioglimento, ha espressamente espunto da
57
esse il fallimento . Tale previsione ha indubbiamente creato una disarmonia di sistema,
53
Così COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, cit., 311, nonché, amplius, NIGROVATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 307
ss.
54
Per tutti cfr. NIGRO , Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle
società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. II, T orino, 1993, 209 ss. e NICCOLINI,
Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società per azioni, ivi, vol. VII, t. 3, Torino, 1997,
377 ss.
55
In argomento AMBROSINI, in AMBROSINI-CAVALLI-JORIO , Il fallimento, cit., 682 e NIGROVATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 306, nonché, da ultimo, FERRI JR.,
Fallimento e scioglimento delle società, in Riv. dir. comm., 2009, I, 1 ss., in particolare 27 ss., e
BUSSOLETTI, Lo scioglimento e l’estinzione della società fra apertura, chiusura e riapertura del
fallimento, in RSD, 2009, 457 ss.
56
Cfr. COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 311.
57
Sul punto cfr. NICCOLINI, Sub art. 2484, in Commentario delle società di capitali, a cura di
Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1725, NIGRO , Diritto societario e procedure
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
posto che, come si è appena visto, non sono state modificate le corrispondenti norme
(artt. 2308 e 2323 c.c.) per le società di persone; poiché, tuttavia, l’art. 118 l. fall. si
applica a tutte le società (con la conseguenza che il curatore, chiuso il fallimento ex art.
118, nn. 3 o 4, l. fall., dovrà chiedere la cancellazione della società dal registro delle
imprese, senza che sotto tale aspetto il legislatore faccia distinzione tra i diversi tipi
societari), ne discende che l’unica vera diversità tra società di persone e società di
capitali si verifica nell’ipotesi di chiusura della procedura con un residuo attivo. Nel
caso delle società di capitali, infatti, non essendo più previsto il fallimento tra le cause
di scioglimento, la società potrà riprendere ad operare, senza che debba essere adottata
alcuna delibera di revoca della liquidazione; delibera che sarà invece necessaria nelle
società di persone, posto che il legislatore continua ad elencarlo tra le cause di
scioglimento, a meno di ritenere che il nuovo art. 118 l. fall. abbia determinato
l’espunzione della dichiarazione di fallimento da quelle previste per tutte le società
58
(anche di persone) , lettura che, per quanto autorevolmente sostenuta, ci sembra non
riesca ad aggirare il dato testuale dell’art. 2308 c.c.
3. Operatività e accertamento delle cause di scioglimento
E’ opinione consolidata e pacifica che le cause di scioglimento operano, nelle
società di persone, di diritto, con la conseguenza che il semplice verificarsi di una delle
ipotesi previste dalla legge, o eventualmente dal contratto sociale, pone
automaticamente la società in stato di liquidazione 59, senza che a tal fine siano
necessarie né una decisione dei soci né una pronuncia giudiziale e senza che dell’evento
in sé debba essere data alcuna forma di pubblicità (richiesta dalla legge solo per il
successivo atto di nomina dei liquidatori: art. 2309 c.c.).
L’esistenza di una causa di scioglimento, indipendentemente dal fatto che essa
sia stata rilevata o accertata, riduce però i poteri degli amministratori, limitandoli al
compimento degli affari urgenti, sino a che siano presi i provvedimenti necessari alla
liquidazione (art. 2274 c.c.). La posizione dell’amministratore che abbia violato l’art.
2274 c.c. è dalla dottrina prevalente assimilata a quella di un falsus procurator, con la
concorsuali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto
da Abba dessa e Portale, vol. 1, T orino, 2007, 188 ss. e SARALE , Scioglimento e liquidazione
delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza:
2003-2009, cit., 1188.
58
Così, esplicitamente, BUSSOLETTI, Lo scioglimento e l’estinzione della società fra apertura,
chiusura e riapertura del fallimento, cit., 459, nonché, in modo più sfumato, FIMMANÒ,
L’impresa in crisi come oggetto «proprio» della tutela cautelare, in NDS, 2013, n. 1, 61 ss.
59
E vedi già GHIDINI, Società personali, cit., 811, nonché (oltre all’ampia rassegna di in COSTIDI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 803 ss.)
COTTINO , Diritto societario, cit., 275; CAMPOBASSO , Diritto commerciale, cit., 118; DI
SABATO , La società semplice, cit.; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 419.
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
conseguenza che gli atti non urgenti da lui compiuti non saranno imputabili alla società
e delle relative obbligazioni risponderà esclusivamente colui che le ha poste in essere60.
Tale automatismo ha suscitato in alcuni autori delle perplessità, in particolare
nell’ipotesi in cui la causa di scioglimento sia di difficile verificazione o possa prestarsi
a dubbi o contestazioni: se infatti dovesse applicarsi rigidamente la regola dell’art. 1398
c.c., i terzi che abbiano contrattato con un amministratore dopo che si sia verificata una
causa di scioglimento, vedrebbero sostituirsi alla responsabilità della società (e del suo
patrimonio), quella, più ristretta, dell’amministratore che abbia agito come
61
rappresentante senza poteri .
La soluzione sta, probabilmente, nel distinguere il profilo della responsabilità
interna dell’amministratore, da quello della sua responsabilità verso i terzi. Nel primo
caso, l’amministratore che abbia compiuto atti non urgenti, pur conoscendo o potendo
conoscere usando la diligenza cui è tenuto ex art. 2260 c.c. che si era verificata una
causa di scioglimento, potrà incorrere in responsabilità verso la società, nella misura in
cui ad essa sia derivato un danno. Nel secondo, in assenza di una norma che imponga di
dare pubblicità dell’avvenuto scioglimento nel registro delle imprese, pare ragionevole
che la società non possa opporre al terzo di non essere vincolata dagli atti non urgenti
compiuti dai suoi amministratori solo perché si è verificata una causa di scioglimento,
ma che l’applicazione della disciplina generale della rappresentanza sia comunque
condizionata dalla possibilità di opporre ai terzi l’avvenuto scioglimento della società.
Con la conseguenza, si è scritto, che «l’opponibilità non potrebbe essere che rapportata
allo stato di conoscenza, da parte del terzo (o dei terzi) interessati, della situazione
62
giuridica in cui si trova la società» ; se tale situazione non è portata a conoscenza dei
terzi o se non si riesce a fornire la prova che costoro ne erano comunque a conoscenza,
gli effetti dell’atto concluso dall’amministratore senza poteri, ma in nome e per conto
della società, si produrranno nella sfera giuridica di quest’ultima, nonostante l’evento
dello scioglimento63.
E questa soluzione appare tanto più condivisibile ove si consideri che la
giurisprudenza ritiene pacificamente che, fino a quando i liquidatori non siano stati
nominati, continuano a rappresentare la società coloro che erano a ciò designati
60
Cfr. GHIDINI, Società personali, cit., 830; FERRI, Delle società, sub art. 2274, in Comm.
Scialoja-Branca, cit., 264; CAMP OBASSO, Diritto commerciale, cit., 119; CAGNASSO , La società
semplice, cit., 277.
61
Per tale rilievo si veda in particolare COTTINO , Diritto societario, cit., 176 ss.
62
Così testualmente COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 318, nonché già
GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962, 543.
63
E si vedano in tal senso MOTTI, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, cit., 78;
CAMPOBASSO , Diritto commerciale, cit., 119; P RESTI-RESCIGNO, Corso di diritto commerciale.
Vol. II. Società, cit., 48.
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LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
anteriormente allo scioglimento 64 e che «per quanto attiene, più in particolare alle
società in nome collettivo, gli amministratori che abbiano avuto conferita la
rappresentanza della società, conservano tale rappresentanza fino all’eventuale nomina
dei liquidatori, poiché la società –sia essa di persone o di capitali- non rappresenta, dopo
65
il suo scioglimento, nella fase di liquidazione, un ente diverso da quello originario» .
Qualora vi sia controversia sull’esistenza della causa di scioglimento (si pensi
alle difficoltà di accertare il conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità di
conseguirlo, o alle contestazioni che possono sorgere in merito a queste due ipotesi), è
comunque sempre possibile chiedere l’accertamento giudiziale dello stato di
liquidazione. La domanda può essere proposta sia in via principale allo scopo di
ottenere una sentenza di accertamento, sia in via di eccezione, ad esempio da parte del
socio di una società di due soci che, convenuto in giudizio per sentir pronunciare la sua
esclusione, chieda riconvenzionalmente che il tribunale dichiari l’intervenuto
scioglimento della società 66.
Quanto ai soggetti legittimati all’azione di accertamento in esame, è opinione
diffusa in giurisprudenza quella che la possibilità di far accertare lo stato di liquidazione
spetti in via esclusiva ai soci: si è così negato che gli eredi del socio defunto (che non
abbiano assunto la qualifica di soci, ma vantino unicamente un diritto alla liquidazione
della quota del loro dante causa) abbiano titolo per chiedere l’accertamento dello stato
di liquidazione della società 67 o per far valere l’illegittimità di una delibera di revoca
dello stato di scioglimento disposta dai soci superstiti68.
Uno dei punti maggiormente controversi (almeno fino a due pronunce delle
Sezioni Unite rese nel 2002 a un mese di distanza una dall’altra, prima in tema di
69
società di capitali, poi di società di persone) ha invece, a lungo, riguardato il ruolo e i
poteri del presidente del tribunale, adito per la nomina dei liquidatori ex art. 2275 c.c.
La norma (come avremo modo di approfondire nei prossimi paragrafi) prevede
che la liquidazione della società possa essere affidata a uno o più liquidatori nominati
con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale. E’
pacifico, ed è ribadito in numerosissime pronunce a) che l’intervento dell’autorità
giudiziaria è rigorosamente subordinato al disaccordo tra i soci in ordine alla nomina del
64
Cfr., ad esempio, Cass. 16 novembre 1996, n. 10065, in Giust. Civ. Mass., 1996, 1534 e Trib.
Torino, 21 marzo 1981, in Giur. Comm., 1981, II, 876.
65
Così Cass. 14 ottobre 1997, n. 10027, in Giust. Civ. Mass., 1997, 1932.
66
Sul punto, per tutti, GHIDINI, Società personali, cit., 821.
67
Così Cass. 14 marzo 2001, n. 3671, in Giust. Civ., 2001, I, 2397; Trib. Milano, 26 ottobre
2002, in Giur. It., 2003, 508.
68
In tal senso Trib. Milano, 14 ottobre 2009, in www.dejure.it.
69
Si tratta di Cass. S.U., 25 giugno 2002, n. 9231, in Giur. It., 2002, 2095 e in Riv. notariato,
2003, II, 194 e di Cass. S.U., 26 luglio 2002, n. 11104, in Giust. Civ., 2003, I, 83 e in Giur. It.,
2003, 1869, con nota di W EIGMANN, sulle quali si tornerà diffusamente infra nel testo.
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
liquidatore, b) che il provvedimento presidenziale viene emesso in sede di volontaria
giurisdizione e, in quanto tale, non è reclamabile né suscettibile di ricorso per
Cassazione ex art. 111 Cost.70.
I problemi sorgono quando il disaccordo tra i soci non riguardi la nomina del
liquidatore, ma l’esistenza stessa della causa di scioglimento. La giurisprudenza si è a
lungo divisa tra quanti ritenevano che la presenza di contestazioni sull’intervenuto
scioglimento della società non impedisse al giudice di nominare in sede di volontaria
giurisdizione i liquidatori, ferma restando la possibilità per qualunque interessato di
promuovere in sede ordinaria un’autonoma azione di accertamento negativo volta
71
contestare la circostanza che la società di trovasse in stato di liquidazione e quanti
sostenevano, invece, che il presidente del tribunale potesse nominare i liquidatori solo
nel caso in cui vi fosse accordo tra i soci sul fatto che la società si trovasse in
liquidazione, con la conseguenza che il provvedimento il quale, oltre a nominarli, si
fosse pronunciato anche sull’intervenuto scioglimento della società, assolvendo la
funzione di risolvere una controversia in materia di diritti soggettivi dei soci, avrebbe
assunto sul punto contenuto decisorio equiparabile a quello di una sentenza e sarebbe
pertanto divenuto reclamabile e ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost.72.
La questione è stata affrontata nel 2002 dalle Sezioni Unite della Cassazione 73.
La Corte ha preso decisamente posizione a favore del primo tra i due orientamenti sopra
prospettati e ha sancito che il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia
provveduto alla nomina dei liquidatori di una società di persone ai sensi dell’art. 2275
c.c. non è suscettibile di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di
provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche
quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento e il presidente si sia pronunciato
sul punto. Egli infatti, dopo un’indagine sommaria e condotta incidenter tantum, può
70
Cfr. sul punto (anche per ampi riferimenti alle posizioni della giurisprudenza prima delle
pronunce della Cassazione citate alla nota precedente) BUONOCORE, Società in nome collettivo,
cit., 436 ss., COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 319 ss., nonché (con riferimento
alla analoga questione in tema di società di capitali) NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed
estinzione delle società per azioni, cit., 554 ss. e CAVALIERE , Le cause di scioglimento, cit., 69
ss.
71
Cfr. Cass. 26 gennaio 2000, n. 845 in Foro It., 2000, I, 1622; Cass. 21 novembre 1998, n.
11798, in Giur. It., 1999, 566; Cass. 2 dicembre 1996, n. 10718, in Società, 1997, 528 con nota
di CERRAI-DINI, Natura del provvedimento giudiziario di nomina del liquidatore; Cass. 10
febbraio 1987, n. 1392, in Società, 1987, 528:
72
Si vedano in tal senso Cass. 19 settembre 2000, n. 12391 e Cass. 13 giugno 2000, n. 8030,
entrambe in Giur. It., 2001, 257 con nota di WEIGMANN ; Cass. 12 giugno 1998, n. 5885, ivi,
1999, 566; Cass. 24 ottobre 1996, n. 9267, in Giust. Civ., 1997, I, 1353 con nota di VIDIRI,
Scioglimento della società di capitali e decreto presidenziale di nomina dei liquidatori.
73
Cfr. supra nota 69.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
31
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta in via
definitiva né l’intervenuto scioglimento né le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che
ciascun interessato, purché legittimato all’azione, potrà promuovere un giudizio
ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l’insussistenza della causa di
scioglimento, ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti.
La soluzione prospettata dalla Corte (che ha trovato per un breve periodo
consacrazione legislativa nella riforma del processo societario disciplinata dal d. lgs. 17
74
75
gennaio 2005, n. 5) è stata seguita (con poche eccezioni) dalle pronunce di
legittimità e di merito successive76 e si rivela particolarmente ragionevole là dove trova
un punto di equilibrio tra le opposte esigenze, da un lato, di assicurare che «in una fase
delicata della vita della società, ed in presenza di disaccordi tra i soci, l’ente sociale non
74
Il riferimento è al regime dei procedimenti camerali in materia di società (tra i quali rientrava
per espressa previsione legislativa anche quello di nomina dei liquidatori ex art. 2275 c.c.: cfr.
l’art. 33, d. lgs. 5/2003), disciplinati dagli artt. 25-33 del d. lgs 17 gennaio 2003, n. 5 e
successivamente abrogati dall’art. 54, comma 5, della L. 18 giugno 2009, n. 69. T ali norme
disponevano che ciascuna parte potesse chiedere che fosse decisa «con efficacia di giudicato
una questione pregiudiziale, della quale il giudice deve conoscere ai fini della definizione del
procedimento» (art. 32, comma 1); il giudizio incidentale, volto nel nostro caso ad accertare la
sussistenza della causa di scioglimento, procedeva quindi secondo il rito contenzioso riformato,
ma la sua proposizione non aveva effetti sul procedimento camerale e non impediva che il
presidente del tribunale potesse nominare i liquidatori, sul presupposto, da accertarsi
sommariamente (art. 30, comma 2) dell’intervenuta causa di scioglimento. Al tempo stesso
nulla impediva che nel corso del giudizio incidentale promosso dalla parte che contestava
l’intervenuto scioglimento della società il decreto presidenziale di nomina dei liquidatori
potesse essere modificato o revocato (art. 32, comma 3). In argomento cfr. COTTINOW EIGMANN , Le società di persone, cit., 321 ss., nonché TURRONI, Il nuovo processo societario,
diretto da Chiarloni, Bologna, 2008, 1105 ss. Sul regime dei procedimenti camerali in materia di
società all'indomani dell'abrogazione degli artt. 25-33 del d. lgs. 5/2003 si vedano gli
Orientamenti dei giudici della terza sezione civile del tribunale di Roma, in Società, 2009,
1234.
75
Si veda in particolare Cass. 8 gennaio 2003, n. 61, in Dir. e prat. soc., 2003, 7, 74, secondo la
quale «il disaccordo che giustifica l'intervento del presidente del tribunale, in sede di volontaria
giurisdizione, è esclusivamente quello che attiene alla nomina del liquidatore, essendo esso
rivolto non a comporre conflitti di interessi incidenti su situazioni di diritto soggettivo, bensì a
supplire alla mancanza di un accordo sull'organo della liquidazione, una volta che sia certo,
perché incontestato o incontestabile, il presupposto di essa e cioè lo scioglimento».
76
Nel solco tracciato dalle citate Cass. 9321/2002 e 11104/2002 si vedano, ad esempio, Cass. 7
novembre 2011, n. 15070 in www.dejure.it; Cass., 27 aprile 2004, n. 4113, in www.dejure.it;
Trib. Milano, 7 aprile 2012, in Giur. It., 2012, 2291; Trib. T rib. Reggio Emilia, 5 febbraio 2008,
in Dir. e prat. soc., 2008, 14-15, 77; Trib. Napoli, 18 aprile 2007, in Società, 2008, 1256; T rib.
Roma, 26 settembre 2005, in Giur. Comm., 2007, II, 867, con nota di CARLEVALE , Note in tema
di nomina giudiziale del liquidatore e poteri di accertamento del Tribunale.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
32
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
rimanga privo per un periodo indeterminato degli organi deputati a gestire la fase
successiva allo scioglimento»77 e, dall’altro, di tutelare comunque il diritto di ogni socio
di poter contestare, in un autonomo giudizio di cognizione, l’intervenuto scioglimento
della società.
La circostanza che l’intero procedimento di liquidazione abbia ad oggetto
l'interesse generale della società e l'interesse collettivo dei soci e dei creditori, è
affermazione ricorrente in giurisprudenza, ed è utilizzata, in particolare, per sostenere
che le controversie relative all’avvenuto scioglimento della società devono essere
necessariamente proposte davanti all’autorità giudiziaria e non sono pertanto
compromettibili in arbitri.
78
Nonostante le sempre più numerose voci critiche della dottrina , la
giurisprudenza, sia di legittimità, sia di merito, è costante nell’affermare che «non è
compromettibile in arbitri, in quanto concernente diritti indisponibili, la controversia tra
soci e società di persone riguardante la verificazione di una causa di scioglimento»79. E
l’affermazione è stata tenuta ferma anche alla luce del nuovo regime processuale
introdotto dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, il cui art. 34 prevede l’assoggettabilità ad
arbitrato di ogni controversia societaria, purché avente ad oggetto diritti disponibili80.
77
Così testualmente Cass. 26 luglio 2002, n. 11104, cit.
Si vedano, in particolare, ZOPP INI, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» nel nuovo
arbitrato societario, in Riv. soc., 2004, 1173; NELA , sub art. 34, in Il nuovo processo societario,
diretto da Chiarloni, cit., 945 ss., nonché, da ultimo, CERRATO , La clausola compromissoria
nelle società, Torino, 2012, passim, e spec. 162 ss. e ID ., Le forme convenzionali di risoluzione
dei contrasti: arbitraggio gestionale ed arbitrato, infra, nella Parte III di questo volume.
79
Così Cass. 19 settembre 2000, n. 12412 in Giust. Civ., 2001, I, 405 con nota di VIDIRI
Compromesso (e clausola compromissoria) e controversie in materia societaria; nello stesso
senso cfr. Cass. 6 luglio 2000, n. 9022, in Dir. e Prat. Soc., 2000, fasc. 21, 77; Trib. Milano, 6
marzo 2003, in Giur. It., 2003, 1411; Trib. Napoli, 6 marzo 1993, in Società, 1993, 982. Sulla
non compromettibilità in arbitri della controversia relativa all’esclusione di un socio quando da
essa possa scaturire lo scioglimento della società si vedano Trib. Napoli, 29 marzo 2003, in
Società, 2003, 1251; Lodo arb. 15 aprile 2002, in Riv. Arb., 2002, 557, con nota critica di
AMADEI, In favore della compromettibilità in arbitri della controversia sulla esclusione
reciproca dei soci di una società di due persone; Trib. Catania, 13 settembre 1999, in Giur.
Comm., 2000, II, 507.
80
Dopo la riforma del processo societario cfr. Trib. Milano, 15 maggio 2009, in www.dejure.it;
Trib. Reggio Emilia, 5 febbraio 2008, cit.; Trib. Salerno, 12 aprile 2007, in Giur. Comm., 2008,
II, 865, con nota critica di CORSINI, Società di persone, clausola compromissoria statutaria ed
arbitrabilità delle controversie in materia di scioglimento del rapporto sociale; Trib. Ravenna,
3 febbraio 2006, in Giur. It., 2003, 1875, con nota critica di CERRATO , Scioglimento della
società e arbitrato: nihil sub sole novi?. A favore della tesi giurisprudenziale cfr. COTTINO ,
Diritto societario, cit., 180; CHIARLONI, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato
78
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
33
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
4. Il procedimento di liquidazione e il problema della sua obbligatorietà
La liquidazione delle società, si diceva in apertura dell’articolo, è anzitutto un
procedimento. Procedimento che da un punto di vista logico, prima ancora che
normativo, ha un momento iniziale (la nomina dei liquidatori: artt. 2275 e 2309 c.c.) e
un momento finale (la redazione e l’approvazione del bilancio finale di liquidazione:
art. 2311 c.c.); tra questi due estremi è possibile collocare altre quattro fasi: a) il
passaggio dei beni sociali dagli amministratori ai liquidatori, con relativa redazione e
sottoscrizione da parte di entrambi dell’inventario, b) la «monetizzazione» del
patrimonio sociale, c) il pagamento dei creditori sociali, d) l’eventuale distribuzione di
81
quanto resta ai soci in proporzione alla quota da ciascuno di essi posseduta .
Prima tuttavia di esaminarle, occorre affrontare una questione preliminare,
ovvero chiarire se e in che misura il procedimento formale di liquidazione sopra
descritto sia, nelle società in nome collettivo, obbligatorio.
Il punto di partenza per inquadrare correttamente il problema è costituito dalla
disciplina dettata dal legislatore per le società semplici all’art. 2275 c.c. La norma
sancisce che «la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori», ma subordina
espressamente tale modalità di dissoluzione del patrimonio sociale al fatto che il
contratto non contenga indicazioni sul punto («Se il contratto non prevede il modo di
liquidare il patrimonio sociale…») e che non sussista accordo tra i soci sul come
stabilirle («… e i soci non sono d’accordo nel determinarlo»). Da questa disposizione
giurisprudenza e dottrina ricavano, pressoché unanimemente82, la regola che la
liquidazione, intesa come procedimento volto al soddisfacimento dei creditori sociali
prima di poter procedere alla suddivisione del patrimonio sociale tra i soci, è momento
societario e sulla natura del lodo, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2004, 128, nota 10; LUISO,
Sub art. 34, in Il nuovo processo societario, a cura di Luiso, T orino, 2006, 562 ss. Sulla
disciplina dell’arbitrato societario si vedano anche CAPELLI, Profili sostanziali dell’arbitrato
societario, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, diretto da Benazzo, Cera e
Patriarca, Torino, 2011, 149 ss. e CABRAS, Sub art. 34, in Commentario romano al nuovo
diritto delle società, diretto da d’Alessandro, vol. I, Il processo commerciale e l’arbitrato
societario, a cura di Costantino e Cabras, Padova, 2009, 249 ss.
81
E vedi per questa articolazione del procedimento di liquidazione, per tutti, BUONOCORE , La
società in nome collettivo, cit., 429 ss., e, in giurisprudenza, (benché con lo scopo di affermare
l’ammissibilità di procedimenti di liquidazione convenzionali che deroghino alla necessità di
seguire le fasi sopra descritte) Cass. 16 marzo 1981, n. 1468, in Giur. Comm., 1982, II, 808 con
nota di MONTALENTI, Negozio di liquidazione di società personale e clausole di revisione:
interessi tutelati e disciplina applicabile.
82
Per la più rigida posizione sul carattere cogente e necessario della liquidazione per tutti i tipi
sociali (ivi compresa la società semplice) cfr. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati
nella estinzione della società, cit., 685.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
34
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
imprescindibile nella vita della società, ma i soci godono della più ampia possibilità di
derogare allo schema procedimentale fissato dalla legge. «Obbligatoria» si è
efficacemente scritto «è la definizione dei rapporti sociali e non anche il modo
attraverso il quale la definizione si attua»83; ben possono quindi i soci, nel contratto
sociale o con unanime decisione successiva 84, accordarsi per procedere direttamente alla
liquidazione senza nominare i liquidatori o, addirittura, omettere totalmente il
procedimento di liquidazione, sostituendolo con una divisione consensuale o chiedendo
al giudice la definizione dei reciproci rapporti di dare e avere.
Il principio è affermato in numerosissime sentenze, sia di merito, sia di
legittimità. «Il procedimento di liquidazione» si legge, ad esempio, «può essere omesso
nel caso in cui lo statuto stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale,
ovvero quando, in mancanza di apposito patto, i soci siano d’accordo nel procedere alla
definizione integrale dei rapporti preesistenti»85; e ancora: «è ammissibile lo
scioglimento di una società senza dar corso alla liquidazione dei beni sociali, quando i
soci affermino di avervi provveduto d’accordo, regolando con i terzi ogni rapporto di
dare-avere» 86.
Chiarito questo primo aspetto, il passaggio successivo consiste nell’esaminare se
i principi appena enunciati mantengano intatta la loro validità quando dalla disciplina
della società semplice si passa a quella delle società commerciali.
La tesi della facoltatività del procedimento di liquidazione è sostenuta, in modo
pressoché unanime da dottrina e giurisprudenza, nel caso delle società non iscritte nel
registro delle imprese (siano queste irregolari o di fatto), argomentando, da un lato, dal
carattere suppletivo dell’art. 2275 c.c. e, dall’altro, dall’assenza di un sistema di
83
Così testualmente FERRI, Delle società, sub art. 2275, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 267,
ma analoga affermazione si trova in quasi tutti i manuali: cfr., ad esempio, GALGANO , Diritto
commerciale. Le società, cit., 92; CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società,
cit., 120; COTTINO , Diritto societario, cit., 180; P RESTI-RESCIGNO, Corso di diritto
commerciale. Vol. II. Società, cit., 47.
84
Sulla necessaria unanimità dei consensi per addivenire ad una liquidazione convenzionale cfr.
App. Milano, 20 gennaio 2004, in Giur. merito, 2004, 2004 e T rib. Monza, 18 gennaio 2001 in
Vita not., 2001, 1374.
85
Così testualmente Cass. 27 gennaio 1992, n. 860, in Mass. Giur. It., 1992. Cfr. inoltre Cass.
20 dicembre 1985, n. 6525, in Società, 1986, 600; Cass. 3 marzo 2000, n. 2376, in Dir. e prat.
soc., 2000, 12, 79; App. Milano, 20 gennaio 2004, cit.; Trib. Lodi, 15 luglio 2005, in Società,
2006, 1140; Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487; Trib. T orino, 28 luglio 1986,
in Foro pad., 1987, I, 423.
86
Così T rib. Lucca, 18 luglio 1988, in Società, 1989, 66, nonché Cass. 29 maggio 2003, n.
8599, in Giust. civ., 2004, I, 1343 con nota di CAMELI, Liquidazione convenzionale di società
personali e divisione della cosa comune; Trib. S. Maria Capua Vetere, 16 maggio 2002, in
Società, 2002, 403.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
35
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
pubblicità legale, che «esclude che il procedimento di liquidazione possa costituire un
efficace strumento di tutela dei creditori sociali nei confronti di possibili dis gregazioni
occulte del patrimonio sociale» 87.
Le cose mutano, invece, nelle società in nome collettivo regolari. Accanto ad
88
una giurisprudenza che, con pochissime eccezioni , tende ad equiparare, sotto questo
profilo, società regolari e irregolari, ritenendo pertanto ammissibile che anche nelle
società di persone iscritte il procedimento di liquidazione possa essere sostituito da una
divisione consensuale o da un procedimento giudiziario appositamente richiesto89,
convive, e prevale, in dottrina l’opposta opinione per cui il procedimento formale di
liquidazione, che l’art. 2275 c.c. rende meramente eventuale nella società semplice,
sarebbe, nelle società registrate, obbligatorio 90.
E tale più rigida posizione appare pienamente condivisibile per un duplice ordine
di ragioni. Da un lato perché essa, evitando che le modalità di dissoluzione del
patrimonio sociale siano rimesse alla discrezionalità dei soci, si rivela quella
maggiormente idonea a tutelare l’interesse dei creditori sociali ad essere soddisfatti
prioritariamente rispetto ai soci e alla loro pretesa alla restituzione dei conferimenti 91;
dall’altro perché può contare su numerosi indici normativi che, imponendo precisi
obblighi pubblicitari (dalla nomina dei liquidatori alla richiesta di cancellazione della
87
Così BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 433. Cfr., inoltre, GHIDINI, Società
personali, cit., 823; CAGNASSO , La società semplice, cit., 253; COTTINO , Diritto societario, cit.,
181. In giurisprudenza affermano espressamente la tesi della facoltatività del procedimento
formale di liquidazione nelle società irregolari o di fatto (equiparandone la disciplina a quella
delle società semplici), oltre alle sentenze citate supra nelle note 85 e 86, Cass. 23 dicembre
2000, n. 16175, in Giur. imposte, 2001, 393; Cass. 22 novembre 1980, in Riv. notariato, 1981,
II, 452; Cass. 13 febbraio 1978, n. 5972, in Giur. Comm., 1979, II, 1033. Si veda inoltre l’ampia
rassegna in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in
partecipazione, in Giur. sist. Bigiavi, cit., 806 ss.
88
Cfr., ad esempio, Cass. 4 aprile 1981, n. 1916, in Giust. Civ., 1982, 28 e T rib. Napoli, 12
maggio 1993, in Società, 1993, 1487 per le quali nelle società di persone registrate il
procedimento formale di liquidazione è necessario e insopprimibile.
89
Così, ad esempio, Cass. 4 febbraio 1999, n. 959, in Società, 1999, 684; Trib. Monza, 18
gennaio 2001, in Vita not., 2001, 1374; T rib. Reggio Calabria, 21 marzo 1990, in Società, 1990,
958.T rib. Ascoli Piceno, 25 giugno 1985, in Società, 1986, 298.
90
Cfr. già GRECO , Sulla necessità del procedimento legale di liquidazione per le società
soggette a registrazione, in Foro pad., 1951, III, 95; ID ., Le società nel sistema legislativo
italiano, Torino, 1959, 410; MIGNOLI, Questioni sulla inderogabilità delle forme legali nella
liquidazione delle società di capitali, in Riv. dott. comm., 1951, 421, GRAZIANI, Diritto delle
società, Napoli, 1962, 544 nonché GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, in
Tratt. Galgano, cit., pag.; AA .VV., Diritto delle società. Manuale breve, cit., 78.
91
In tal senso si vedano COTTINO , Diritto societario, cit., 181 e BUONOCORE , La società in
nome collettivo, cit., 434.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
36
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
società: artt. 2309 c.c. e 2312 c.c.), sembrano dare per presupposta la presenza di un
procedimento formale di liquidazione e di un organo cui tale procedimento sia
affidato92.
5. Le fasi del procedimento di liquidazione
Esaminiamo ora le singole fasi del procedimento formale di liquidazione,
avendo cura di precisare come l’analisi condotta in questo contributo si concluda con
l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e non comprenda la trattazione della
disciplina della cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2312 c.c.) e
della sua estinzione.
5.1. La nomina dei liquidatori
Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori.
Salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, essa segue le ordinarie regole fissate per
la formazione della volontà sociale delle società di persone: deve essere fatta
all’unanimità, non richiede né metodo collegiale, né principio maggioritario. Solo in
caso di disaccordo tra i soci il potere di nomina spetta, come esaminato in precedenza,
93
al presidente del tribunale (art. 2275 c.c.) .
I liquidatori possono essere soci o non soci. Proprio in un’ipotesi di nomina
giudiziale, un’attenta pronuncia di merito ha avuto modo di sottolineare la ratio di tale
affermazione (peraltro condivisa anche dalla dottrina) 94: «è da escludere che il potere
presidenziale di nomina sia vincolato nella scelta alle sole persone dei soci, anche se il
sistema delle società di persone non tollera che l’amministratore sia soggetto estraneo
alla compagine sociale. Infatti, poiché il potere surrogatorio del presidente viene
esercitato esclusivamente perché i soci non sono in grado di esprimere una comune
volontà, prevedere che debba essere scelto esclusivamente un socio per la carica di
liquidatore significa di fatto perpetrare il conflitto che la legge intende invece superare;
inoltre l’esigenza di collegare l’amministrazione alla responsabilità illimitata (che ha
indotto il legislatore ad imporre la scelta dell’amministratore tra i soli soci) non sussiste
92
Cfr. in particolare COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 323 ss., i quali
sottolineano, inoltre, come molte fattispecie criminose disciplinate dal codice civile (nel testo
frutto della riforma del diritto penale societario attuata con il d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61) e
applicabili a tutti i tipi societari, si riferiscano ai liquidatori (cfr. gli artt. 2621, 2622, 2634,
2635, 2638 c.c.) e, almeno in un caso (si tratta dell’art. 2633 c.c., che punisce l’indebita
ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori), esclusivamente ad essi, dando in tal modo
per presupposto il loro intervento nel procedimento di liquidazione.
93
Cfr. retro, § 3.
94
Per l’affermazione per cui è possibile nominare liquidatori anche non soci cfr., ex multis,
CAGNASSO , La società semplice, cit., 279; BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 437.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
37
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
durante la fase di liquidazione, nella quale il potere di liquidare trova adeguato e
sufficiente limite nel divieto di effettuare nuove operazioni»95.
La decisione dei soci o la sentenza 96 che nomina i liquidatori devono essere
depositate a cura dei medesimi per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese
entro trenta giorni dalla notizia della nomina (art. 2309 c.c.); dalla data dell’iscrizione (e
non da quella di accettazione dell’incarico) essi assumono la rappresentanza, anche
97
processuale, della società (art. 2310 c.c.) .
Obblighi e responsabilità dei liquidatori sono regolati, salvo diversa previsione
della legge, dell’atto di nomina o dell’atto costitutivo, dalle disposizioni dettata per gli
amministratori (art. 2276 c.c.). Da tale assimilazione è possibile trarre le indicazioni per
individuare le regole applicabili agli aspetti non espressamente disciplinati: e così
ritenere, ad esempio, i) che l’incarico, in virtù del rinvio operato dall’art. 2260 c.c. alle
norme sul mandato, si presume oneroso98; ii) che, in caso di nomina di più liquidatori,
costoro operano disgiuntamente (ex art. 2257 c.c.) 99; iii) che, nel caso in cui la
95
Così App. T rento, 21 gennaio 1999, in Società, 1999, 704; nello stesso senso cfr. anche T rib.
Roma, 9 novembre 1999, in Giur. It., 2000, 787.
96
Il termine è da intendersi come sinonimo di provvedimento giudiziario e non in senso tecnico,
ben potendo la nomina, per stessa previsione del legislatore, essere fatta con decreto del
presidente del tribunale in sede di volontaria giurisdizione (cfr. il più volte citato art. 2275 c.c.):
e vedi, per tale osservazione, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 321, nota 35 e
FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 321, nota 1.
97
Per il rilievo secondo cui il liquidatore è investito del potere rappresentativo non dalla
nomina, ma dalla data dell’iscrizione della nomina nel registro delle imprese cfr. Cass. 18
settembre 2003, n. 13746, in Giur. It., 2004, 1007; Cass. 2 agosto 2001, n. 10555, in Mass.
Giust. Civ., 2001, 1525; Cass. 12 giugno 2000, n. 7972, in Dir. e prat. soc., 2000, 23, 97; Cass.
5 luglio 1979, n. 3835, in Mass. Giust. Civ., 1979. Sulla legittimazione processuale del
liquidatore si vedano altresì Cass. 21 febbraio 2007, n. 4062, in Guida dir., 2007, 29 e T rib.
Torino, 25 agosto 2008, Trib. Salerno, 5 agosto 2008 e Trib. Torino, 22 gennaio 2008 tutte
pubblicate in www.leggiditalia.it nonché, per ulteriori riferimenti, BASSI, Rassegna di
giurisprudenza sulle società di persone, in Giur. Comm., 2009, II, 1104 ss.
98
In tal senso App. Milano, 17 luglio 1979, in Arch. civ., 1979, 801; Trib. Como, 1 febbraio
2003, in Dir. fall., 2003, 1047.
99
Cfr. Cass. 15 febbraio 1986, n. 909, in Foro It., 1986, I, 2651 e T rib. Prato, 24 novembre
1987, in Società, 1988, 367 e, in dottrina, COTTINO -W EIGMANN, Le società di persone, cit.,
326; CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 122; CAGNASSO, La
società semplice, cit., 279 (ma isolatamente in senso contrario cfr. tuttavia GHIDINI, Società
personali, cit., 851, per il quale i liquidatori dovrebbero operare secondo il metodo
congiuntivo).
Mal si comprende pertanto perché il legislatore della riforma del diritto societario del 2003
abbia imposto che i liquidatori di società di capitali debbano sempre agire come collegio (cfr.
l’art. 2487, comma 1, lett. a, c.c.), tanto più che le regole sull’amministrazione disgiuntiva
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
38
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
liquidazione si protragga oltre l’anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto
dell’attività svolta (ex artt. 2261, comma 2, e 2490 c.c. ) 100.
Secondo quanto dispone l’art. 2275, comma 2, c.c. «i liquidatori possono essere
revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su
domanda di uno o più soci». La norma ricalca quanto dettato per la revoca degli
amministratori dall’art. 2259 c.c. (cui la giurisprudenza attinge sia per definire il
concetto di «giusta causa», sia per ribadire l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra
101
tutti i soci in caso di revoca giudiziale) ; se ne discosta in modo significativo là dove
non prevede la necessità di una giusta causa nell’ipotesi di revoca unanime da parte dei
soci102. Si è peraltro sostenuto che, qualora il liquidatore fosse stato nominato con il
contratto sociale, la sua revoca dovrebbe seguire la regola dettata dall’art. 2259 c.c. che
richiede per la revoca dell’amministratore la ricorrenza della giusta causa 103.
5.2. L’inventario, la liquidazione del patrimonio sociale e il pagamento dei
creditori
Il primo atto della liquidazione è la redazione dell’inventario, dal quale deve
risultare la consistenza patrimoniale della società al verificarsi della causa di
scioglimento (art. 2277, comma 2, c.c.). E per quanto la legge preveda un’attiva
partecipazione a questa fase anche degli amministratori104, vi è assoluta concordia in
possono essere adottate anche per le società a responsabilità limitata (art. 2475, comma 3, c.c.):
cfr. sul punto AIELLO , La liquidazione delle società di capitali, in AIELLO-CAVALIERECAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 140 ss.
100
Si veda T rib. Milano, 1 settembre 1986, in Società, 1986, 159. La disposizione dell’art. 2490
c.c., introdotta con la riforma del diritto societario del 2003, disciplina la redazione dei bilanci
in fase di liquidazione e, sebbene sia stata dettata per le sole società di capitali, essa «tocca
anche quelle di persone, di tipo commerciale (artt. 2302, 2315 c.c.), le quali, nel chiudere col
bilancio l’inventario annuale, devono, nelle valutazioni, “ attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci
delle società per azioni, in quanto applicabili” (art. 2217, comma 2, c.c.)»: così COTTINO W EIGMANN , Le società di persone, cit., 332. In argomento cfr. altresì A. ROSSI, Sub art. 2490,
in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, cit., 2243; AIELLO, La liquidazione
delle società di capitali, 197 ss.
101
Cfr. sul primo profilo Trib. Bari, 25 febbraio 2009, in www.leggiditalia.it e Trib. Milano, 7
luglio 1995, in Giur. It., 1996, I, 2, 114 (che individuano la giusta causa di revoca in «ogni
evento o comportamento che integri una grave violazione dei doveri inerenti al mandato e faccia
temere ulteriori irregolarità pregiudizievoli per i soci e per gli scopi del procedimento»); sul
secondo Cass. 10 gennaio 1991, n. 173, in Riv. dir. comm., 1991, II, 139, T rib. Piacenza, 22
aprile 2004, in Foro It., 2004, I, 3528 e T rib. Palermo, 19 luglio 1991, in Vita not., 1991, 708.
102
Per tutti, BUONOCORE, La società in nome collettivo, cit., 443.
103
Così FERRI, Delle società, sub art. 2275, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 275.
104
Cfr. l’art. 2277, comma 2, c.c.: «i liquidatori devono prendere in consegna i beni e i
documenti sociali, e redigere insieme con gli amministratori, l’inventario dal quale risulti lo
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
39
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
dottrina sul fatto che, ove questi ultimi si rifiutassero di collaborare, l’obbligo
graverebbe comunque sui liquidatori, che divengono, a partire da questo momento, il
solo ed unico «motore» dell’intero procedimento105.
I poteri dei liquidatori in ordine alla liquidazione sono assai vasti e, giustamente,
il legislatore si è astenuto dal tentarne un’elencazione, limitandosi ad individuarne la
finalità: «i liquidatori» dispone infatti l’art. 2278 c.c. «possono compiere gli atti
106
necessari per la liquidazione» . E tra questi rientrano, per espressa previsione
legislativa (e salvo diversa disposizione dei soci), la possibilità di vendere anche in
blocco i beni sociali 107 e di fare transazioni e compromessi (art. 2278 c.c.); quella di
chiedere ai soci, se i fondi disponibili risultino insufficienti per il pagamento dei debiti
sociali, i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote108 e, se occorre, le somme
necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione alla parte di
stato attivo e passivo del patrimonio sociale. L’inventario deve essere sottoscritto dagli
amministratori e dai liquidatori» (corsivi aggiunti).
105
Cfr. ancora FERRI, Delle società, sub art. 2277, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 328 nonché
COTTINO , Diritto societario, cit., 183 e DI SABATO , La società semplice, in Tratt. Rescigno, cit.,
115 i quali sottolineano come dall’inventario si distingua nettamente (sia per la funzione svolta,
sia per il soggetto cui compete la sua redazione) il conto della gestione, disciplinato dall’art.
2277, comma 1, c.c.: quest’ultimo è infatti atto che rientra ancora nella esclusiva responsabilità
degli amministratori ed ha la funzione di dare conto dell’attività svolta dalla società nel periodo
che intercorre tra l’approvazione dell’ultimo rendiconto e la consegna ai liquidatori di beni e
documenti sociali.
106
Sui più ampi poteri riconosciuti dopo la riforma del 2003 ai liquidatori di società di capitali si
vedano gli artt. 2487, comma 1, lett. c e 2489, comma 1, c.c.; in argomento cfr. FERRI JR., La
gestione di società in liquidazione, in Riv. dir. comm., 2003, 421; NICCOLINI, Sub art. 2487 e
Sub art. 2489, in Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno
d’Alcontres, cit., 1744 ss. e 1776 ss.; SARALE, Scioglimento e liquidazione delle società di
capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, cit.,
1210 ss.; AIELLO , La liquidazione delle società di capitali, cit., 145 ss.
107
Per l’affermazione per cui la cessione d’azienda integra un caso vendita in blocco dei beni
sociali e non è consentita ai liquidatori ove i soci abbiano espressamente manifestato il loro
dissenso all’operazione cfr. Trib. T aranto, 11 marzo 2002, in Società, 2002, 1004 con nota di
TAURINI, Cessione d’azienda ad opera del liquidatore di s.n.c., e (con riferimento ad una
società capitali, alla quale era tuttavia applicabile il previgente art. 2452 c.c., che rinviava
all’art. 2278, comma 1, c.c.) Trib. Milano, 29 novembre 2003, in Giur. It., 2004, 1457 nonché
già Cass. 16 luglio 1976, n. 2815, in Giust. Civ., 1976, I, 1518 e Cass. 6 agosto 1965, n. 1893, in
Monit. trib., 1966, 73.
108
Cfr. Cass. 12 settembre 1991, n. 9548, in Dir. Fall., 1992, II, 410 e App. Perugia, 31 marzo
1988, in Arch. civ., 1988, 1327.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
ciascuno nelle perdite (art. 2280, comma 2, c.c.) 109; nonché, secondo la giurisprudenza,
quella di esercitare l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli
amministratori110.
Gli ampi poteri riconosciuti ai liquidatori nell’individuare la strategia di
dissoluzione della società che meglio realizzi il contemperamento tra gli interessi dei
creditori ad ottenere il soddisfacimento dei propri crediti e quelli dei soci ad ottenere la
quota di liquidazione, trovano un limite in un duplice divieto: a) da un lato essi non
possono compiere nuove operazioni, pena la responsabilità personale e solidale per gli
affari intrapresi (art. 2279 c.c.); b) dall’altro non possono procedere a ripartizioni,
neppure parziali, tra i soci dei beni sociali fino a che non siano stati pagati i creditori
sociali o fino a che non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli (art.
111
2280 c.c.) .
Nell’esaminare i due divieti, non si può tuttavia prescindere da un dato
sistematico più generale. Entrambe le disposizioni che li enunciano erano infatti, prima
della riforma del diritto societario, applicabili anche ai liquidatori di società di capitali,
in virtù del richiamo contenuto nel previgente art. 2452 c.c.; il legislatore del 2003 ha
invece scelto di riscrivere ex novo la disciplina dei doveri e dei poteri dei liquidatori
senza più operare un rinvio alle corrispondenti norme dettate per le società di persone e,
anzi, attenuando i divieti rivolti ai liquidatori delle società di capitali (si vedano in
particolare gli artt. 2487, comma 1, lett. c, 2489 e 2490 c.c.). Si tratta quindi di
verificare se la modifica delle disposizioni dettate per tali società possa avere delle
ricadute anche sulle immutate norme applicabili ai liquidatori di società di persone,
consentendone una lettura meno rigida, che tenga conto delle innovazioni introdotte con
la riforma.
Fermo restando il divieto di intraprendere affari «nuovi», ovvero incompatibili
con l’obiettivo di dissoluzione del patrimonio sociale, e ferma restando la responsabilità
dei liquidatori nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte in violazione del
112
divieto , si può infatti sostenere (sfruttando l’apertura offerta dall’art. 2487, comma 1,
109
Sull’art. 2280, comma 2, c.c. e sull’esatta individuazione dei limiti in cui i liquidatori
possono rivolgersi ai soci (in deroga alla regola della solidarietà tra condebitori) cfr., in
particolare, DI SABATO , La società semplice, cit., 119 e COTTINO -W EIGMANN, Le società di
persone, cit., 330-331.
110
Sul punto cfr. Cass. 10 marzo 1992, n. 2872, in Mass. Giur. It, 1992.
111
In generale sugli artt. 2279 e 2280 c.c. si vedano BUONOCORE , La società in nome collettivo,
cit., 441 ss.; CAGNASSO, La società semplice, cit., 281-282; DI SABATO , La società semplice,
cit., 117 ss.
112
Isolata è infatti rimasta l’opinione di chi ha ritenuto che la responsabilità ex art. 2279 c.c.
fosse da qualificare come responsabilità interna verso la società (P ORZIO, Sulla disciplina della
società di persone con un solo socio, in Riv. Soc., 1965, 219), mentre assolutamente prevalente
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
41
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
lett. c, c.c.) 113 che i soci possano autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa sociale
(o, eventualmente, di un ramo di essa) quando tale operazione risulti finalizzata alla
conservazione del valore dell’impresa e si riveli conveniente in vista di una cessione in
blocco a condizioni più vantaggiose 114.
Considerazioni analoghe valgono per il secondo divieto posto a carico dei
liquidatori, ovvero quello di eseguire ripartizioni dei beni sociali tra i soci «finché non
siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per
pagarli» (art. 2280, comma 1, c.c.). La rigida lettura della norma per cui il versamento
di acconti sulla liquidazione sarebbe subordinato all’esistenza in cassa o al deposito in
banca di denaro liquido, prontamente prelevabile man mano che i crediti divengano
esigibili 115, può infatti essere mitigata dal confronto con la nuova disciplina dettata per
è l’opinione per cui la responsabilità dei liquidatori è responsabilità verso i terzi, cui si aggiunge
quella della società qualora i terzi ignorassero lo stato di liquidazione e la nomina dei liquidatori
perché non iscritta nel registro delle imprese o non portata a loro conoscenza con mezzi idonei:
sul punto cfr. FERRARA -CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 302; CAMP OBASSO, Diritto
commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 122, nota 146; GALGANO , Diritto commerciale. Le
società, cit., 93; COTTINO, Diritto societario, cit., 184.
113
Che attribuisce all’assemblea dei soci la possibilità di deliberare, tra l’altro, sugli «atti
necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio,
anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo» (corsivo aggiunto). Sul punto (e in
particolare sul ruolo da attribuire all’intervento assembleare) si vedano (oltre agli Autori citati
supra, nota 106) NICCOLINI, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione: prime
riflessioni sulla riforma, in Riv. Soc., 2003, 903 e T URELLI, L’informazione sulla gestione nella
società per azioni in liquidazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco
Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, cit., 8.
114
La possibilità che le aperture ai poteri dei liquidatori riconosciute dalle nuove disposizioni in
tema di società di capitali abbiano dei riflessi anche sulle norme dettate per le società di persone
è espressamente riconosciuta da COTTINO -W EIGMANN, Le società di persone, cit., 328-329. Nel
vigore della vecchia disciplina avevano ritenuto ammissibile la continuazione dell’attività
d’impresa nonostante lo scioglimento (quando essa risultasse funzionale ad una più vantaggiosa
cessione del complesso produttivo) T rib. Catania, 21 maggio 1992, in Foro It., 1992, I, 2514 e
Trib. Belluno, 28 marzo 1987, ivi, 1990, I, 329; sulla liceità del completamento di attività in
corso destinate al miglior esito della liquidazione cfr., inoltre, Cass. 3 maggio 2010, n. 10647, in
Società, 2010, 907 e T rib. Sanremo 12 maggio 2003, in Gius, 2003, 2886.
115
Sulla disposizione codicistica, applicabile fino al 2003 a tutte le società, si veda in particolare
NICCOLINI, L’accantonamento delle somme necessarie a pagare i creditori nella liquidazione
delle società, in Giur. Comm., 2001, I, 674, cui si rinvia per i riferimenti alle posizioni della
dottrina prima della riforma del diritto societario. La più rigida lettura dell’art. 2280 c.c. è stata,
ancora di recente, sostenuta in giurisprudenza da Cass. 31 agosto 2005, n. 17585, in Società,
2006, 854 («Il divieto, per i liquidatori, di ripartire fra i soci, anche solo parzialmente, i beni
sociali, finché non siano pagati i creditori sociali o non siano accantonate le somme necessarie a
pagarli, è posto a tutela dei creditori, che devono essere prioritariamente soddisfatti. È fatto
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
42
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
le società di capitali (art. 2490, comma 2, c.c.) che non subordina più le ripartizioni
parziali ad un accantonamento materiale o ad una disponibilità di cassa, ma ad una
dimostrazione contabile della solvibilità della società, sulla base di un bilancio
approvato116. E’ quindi ragionevole attendersi, come è stato sottolineato in dottrina,
prassi più indulgenti anche nei riguardi delle società di persone117, nelle quali, tra l’altro,
le ragioni dei creditori trovano una tutela aggiuntiva nel regime di responsabilità
illimitata dei soci 118.
5.2. La restituzione dei conferimenti, il bilancio finale e il piano di riparto
La ripartizione dell’eventuale residuo attivo della liquidazione deve essere
preceduta, oltre che dal pagamento dei debiti sociali, anche dalla restituzione dei beni
divieto ai liquidatori di società per azioni di dar luogo a ripartizioni anticipate ai soci,
fintantoché non abbiano provveduto a pagare per intero i creditori sociali o, in alternativa, ad
accantonare formalmente le somme liquide nella contabilità della società; a nulla rilevano tanto
la garanzia generica offerta ai creditori sociali dal capitale sociale iscritto, quanto la
realizzazione della piena soddisfazione dei creditori medesimi al termine della procedura di
liquidazione, giacché la legge richiede che i creditori vengano non direttamente garantiti dal
patrimonio sociale ma prioritariamente soddisfatti») e da Cass. 18 gennaio 1988, in Foro. It.,
1989, I, 513 («E’ nulla la convenzione tra i soci di una società per azioni la quale disponga il
trasferimento dei beni sociali in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo
soddisfacimento dei creditori della società»).
116
Sulla nuova disciplina si vedano, in particolare, VAIRA , Sub artt. 2488-2489, in Il nuovo
diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2004, 2116 ss.;
NICCOLINI, Sub art. 2491, Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno
d’Alcontres, cit., 1802 ss.; SCIMEMI, I poteri dei liquidatori di società di capitali nella
distribuzione dell’attivo, in Società, 2008, 292; AIELLO , La liquidazione delle società di
capitali, cit., 193 ss.
117
Cfr. ancora COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 330.
118
Sul punto si veda BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 447. Già prima della
riforma delle società di capitali alcuni autori avevano espresso posizioni favorevoli ad una
lettura meno rigida dell’art. 2280 c.c. sostenendo, ad esempio, che a riparti parziali si potesse
procedere con il consenso di tutti i creditori ancora esistenti (COSTI-DI CHIO , Società in
generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 866); o ritenendo compatibile
con la disciplina ex art. 2280 c.c. una ripartizione anticipata fra i soci dei vari beni, con accollo
pro quota dei debiti della società e contestuale adesione all'accollo da parte dei creditori sociali,
con conseguente liberazione della società (FERRI, Delle società, sub art. 2280, in Comm.
Scialoja-Branca, cit., 289); o, ancora, sostenendo l'ammissibilità di una procedura di
alienazione in blocco dell'azienda sociale, che, con il consenso dei creditori, ponesse a carico
dell'acquirente il pagamento dei debiti esistenti della società (DI SABATO , La società semplice,
cit., 118 e ancora FERRI, op. ult. cit., 288, nota 1). In giurisprudenza cfr. Cass. 6 agosto 1965, n.
1893, in Giust. Civ., 1965, I, 1536; Cass. 9 ottobre 1969, n. 3239, in Giur. It., 1971, I, 1, 149;
Cass. 27 gennaio 1992, n. 860, in Mass. Giur. It., 1992.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
43
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
conferiti in godimento (art. 2281 c.c.). Tale adempimento è conseguenza della
particolare posizione che riveste il socio che abbia effettuato questa tipologia di
conferimento: egli è rimasto, per tutta la durata del suo vincolo sociale, proprietario del
bene e pertanto, cessata con lo scioglimento della società l’attività sociale, viene
119
equiparato ad un terzo .
Questa equiparazione si riflette sulle regole che disciplinano i diritti restitutori
del socio, alcune delle quali sono espressamente enunciate dall’art. 2281 c.c., altre
desumibili dalle disposizioni dettate in tema di conferimenti. E così, ad esempio, la
statuizione che il socio ha diritto di riprendere i beni «nello stato in cui si trovano», può
essere integrata dalla previsione dell’art. 2254, comma 2, c.c. (in virtù della quale la
società acquisisce sul bene una detenzione analoga a quella del conduttore sulla cosa
ricevuta in locazione) e portare a riconoscere al socio il diritto di ritenere le eventuali
migliorie e addizioni intervenute con il suo consenso, indennizzando la società nella
minor somma fra l’importo della spesa e il valore del loro risultato utile al momento
della riconsegna, secondo i criteri indicati dagli artt. 1592 e 1593 c.c.120. Allo stesso
modo, dal principio che in caso di perimento o deterioramento dei beni per causa
imputabile agli amministratori il socio ha diritto al risarcimento del danno a carico del
patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori, può ricavarsi la regola per
cui al socio danneggiato, creditore nei confronti del patrimonio sociale, spetta un diritto
ad essere soddisfatto insieme agli altri creditori, prima della ripartizione dell’eventuale
quota di liquidazione tra i soci 121.
Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, il richiamo contenuto nell’art.
2281 c.c. alla possibilità di agire contro gli amministratori costituisce inoltre un
importante indice testuale per ritenere ammissibile anche nelle società di persone
l’azione di responsabilità esercitata dal singolo socio direttamente danneggiato da
comportamenti degli amministratori, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 2395
c.c.: «il principio per cui gli amministratori di società sono personalmente responsabili
verso i soci per i danni arrecati per un loro comportamento doloso o colposo,
specificamente stabilito dall'art. 2395 c.c. per le società di capitali» si legge in numerose
pronunce di merito e di legittimità «è operante anche rispetto alle società personali
122
come può desumersi dall'art. 2281 c.c.» .
119
Cfr. BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 448 ss. e FERRI, Delle società, sub art.
2281, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 295 ss.
120
Cfr. Cass. 13 novembre 1979, n. 5876, in Mass. Giur. It., 1979. Sul punto si vedano
COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 336, nonché, per l’esame di alcune risalenti
pronunce giurisprudenziali, COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone.
Associazione in partecipazione, cit., 863 ss.
121
Così FERRI, Delle società, sub art. 2281, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 296.
122
Così, testualmente, Cass. 28 marzo 1996, n. 2846, in Giur. It., 1997, I, 1, 790. Nello stesso
senso cfr. Cass. 25 luglio 2007, n. 16416, in Società, 2009, 607, con nota di NTUK , L’azione
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
44
STUDI E OPINIONI
LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE
Estinti i debiti sociali, e restituiti i beni conferiti in godimento, l’attivo residuo è
destinato al rimborso del valore nominale dei conferimenti, determinato, per quelli
diversi dal denaro, secondo la valutazione che ne era stata fatta nel contratto o, in
mancanza, secondo il valore che essi avevano nel momento in cui furono eseguiti. Ciò
che eventualmente rimanga dopo tale operazione è infine ripartito tra i soci, in
proporzione della parte di ciascuno nei guadagni (art. 2282 c.c.).
Per procedere al rimborso dei conferimenti e al pagamento della quota di
liquidazione è tuttavia necessario che i liquidatori passino attraverso un ultimo
adempimento formale: la redazione del bilancio finale e della proposta di un piano di
riparto (art. 2311 c.c.). Tale adempimento è esplicitamente previsto dal legislatore
esclusivamente per le società commerciali, ma vi è assoluta concordia in dottrina sul
fatto che un obbligo di rendiconto sussista in tutte le società (semplici, collettive di fatto
123
o irregolari) : la particolarità della norma non consiste quindi tanto nel prevedere in
capo ai liquidatori la redazione di un documento nel quale essi diano conto del proprio
operato (il bilancio finale) e di un documento nel quale essi presentino ai soci una
proposta di restituzione dei conferimenti e di ripartizione delle eventuali eccedenze
attive (il piano di riparto), quanto piuttosto nel procedimento che deve essere seguito
per la loro approvazione124. Solo per le società commerciali si prevede infatti che il
bilancio, sottoscritto dai liquidatori, e il piano di riparto debbano essere inviati ai soci a
mezzo lettera raccomandata e che si intendano approvati se non siano stati da questi
impugnati entro due mesi dalla loro comunicazione (art. 2311, comma 2, c.c.). E solo
per le società commerciali si sancisce il principio per cui, in caso di impugnazione
giudiziale sia del bilancio sia del piano di riparto, i liquidatori possano chiedere che le
questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla
divisione, non coinvolgendo, queste ultime, il loro operato e la loro responsabilità (art.
125
2311, comma 3, c.c.) .
Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci (art.
2311, ult. comma, c.c.).
sociale di responsabilità nelle società di persone; Cass. 17 gennaio 2007, n. 1045, in Mass.
Giur. It., 2007; App. Milano, 20 giugno 2012, in Società, 2012, 1103; Trib. Milano, 2 febbraio
2006, in Giur. Comm., 2007, II, 901, con nota di DUCCI, Il “danno diretto” degli
amministratori a singoli soci e l’azione di responsabilità nelle società di persone.
123
Sul punto, per tutti, CAGNASSO, La società semplice, cit., 283, ove ulteriori riferimenti di
dottrina.
124
Per tale osservazione cfr., in particolare, FERRI, Delle società, sub art. 2311, in Comm.
Scialoja-Branca, cit., 454 e BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 456.
125
Sul punto si vedano COTTINO , Diritto societario, cit., 188 e CAMPOBASSO , Diritto
commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 123.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
45
STUDI E OPINIONI
L’EQUO INDENNIZZO NEL
CONTRATTO DI LEASING:
UN APPROCCIO FINANZIARIO
L’Autore, adottando un approccio finanziario, affronta la questione della
determinazione dell’equo indennizzo nel contratto di leasing.
di LUCIANO Q UATTROCCHIO
1. I riferimenti normativi
La Legge Fallimentare – con riferimento al tema oggetto della presente
trattazione – prende in considerazione il contratto di leasing nell’ambito sia
dell’accertamento del passivo fallimentare sia della quantificazione del passivo
concordatario.
In particolare, sotto il primo profilo, l’art. 72-quater, comma 2, l.f., stabilisce
che «In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del
bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma
ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di
mercato rispetto al credito residuo in linea capitale»; il successivo comma 3 aggiunge:
«Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito
vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene».
Sotto il secondo profilo, l’art. 169-bis, comma 1, l.f., prevede che «Il debitore
nel ricorso di cui all’articolo 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di
ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di
esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può
essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni,
prorogabili una sola volta»; il successivo comma 2 aggiunge: «In tali casi, il contraente
ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al
mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al
concordato».
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
46
STUDI E OPINIONI
LEASING
2. La disciplina nel contesto fallimentare
2.1. Il contenuto della norma
La norma contenuta nell’art. 72-quater, comma 3, L.F., trova applicazione nel
caso in cui, alla data di apertura del concorso, sia pendente un contratto di leasing e
presuppone lo scioglimento del contratto ad opera del curatore, una volta ottenute le
autorizzazioni di legge.
Essa reca una disciplina, per così dire “speciale”, in termini di quantificazione
della somma oggetto di domanda di ammissione al passivo; e detta linee-guida in ordine
alla quantificazione della somma che deve formare oggetto di retrocessione alla
procedura.
In tale caso, la somma oggetto di domanda di ammissione al passivo – sulla base
del comma 3 – deve limitarsi alla «differenza fra il credito vantato alla data del
fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene»
Si potrebbe, quindi, ritenere – nel caso in cui il bene oggetto del contratto,
restituito alla società concedente, non sia ancora stato (nuovamente) allocato – che la
somma oggetto di ammissione al passivo debba corrispondere all’importo dei canoni
maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati
dall’utilizzatore, maggiorato degli interessi di mora sino a tale data; in tale caso, il
concedente sarebbe – peraltro – legittimato a presentare una nuova domanda di
ammissione al passivo all’atto della riallocazione del bene, recante la differenza fra il
debito residuo in linea capitale e la «somma ricavata dalla vendita o da altra
collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in
linea capitale», con l’impegno a retrocedere l’eventuale eccedenza.
In alternativa, la somma oggetto di ammissione al passivo potrebbe essere
determinata interamente in sede di prima domanda in misura pari alla differenza – da
una parte – della somma dei canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non
puntualmente onorati dall’utilizzatore, maggiorata degli interessi di mora sino a tale
data, e del debito residuo in linea capitale alla data di apertura del concorso e – dall’altra
– dal valore teorico del bene alla stessa data.
Relativamente all’ipotesi di scioglimento del contratto in epoca antecedente
all’apertura del concorso, pur non essendo dettata una disciplina “speciale” in ordine
alla somma oggetto di domanda di ammissione al passivo, si potrebbe ritenere che – se
la nuova allocazione del bene è avvenuta prima dell’apertura del concorso – la somma
oggetto di ammissione al passivo debba essere costituita dall’importo dei canoni
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
47
STUDI E OPINIONI
LEASING
maturati sino alla risoluzione del contratto non puntualmente onorati dall’utilizzatore e
del debito residuo in linea capitale, maggiorato degli interessi di mora fino alla data
della nuova allocazione del bene; tale somma dovrebbe, peraltro, essere ridotta del
prezzo ottenuto dalla nuova allocazione del bene ed il residuo maggiorato degli interessi
di mora sino alla data di apertura del concorso.
Nel caso in cui la nuova allocazione del bene avvenga, invece, dopo l’apertura
del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo sarebbe costituita dalla
somma dei canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente
onorati dall’utilizzatore, maggiorata degli interessi di mora sino a tale data e del debito
residuo in linea capitale; tale somma, in sede di ammissione al passivo, dovrebbe essere
ridotta del valore teorico del bene alla data di apertura del concorso.
2.2. Il prospetto di calcolo.
Per un’agevole quantificazione degli importi sopra delineati si è costruito un
articolato prospetto di calcolo, dal quale è agevole desumere – quantomeno in astratto –
la somma oggetto di ammissione al passivo fallimentare e l’importo che deve formare
oggetto di retrocessione alla procedura.
La ricostruzione ha preso le mosse dalle seguenti ipotesi di base:
ACQUISTO DEL BENE
VALORE DEL BENE ALL'EPOCA ZERO
VITA UTILE DEL BENE
CONTRATTO DI LEASING
DURATA DEL CONTRATTO DI LEASING
PERIODICITA' DEI CANONI DI LEASING
NUM ERO DI CANONI
IMPORTO DEI CANONI
MAXI-CANONE INIZIALE
PREZZO DI RISCATTO
TASSO INTERNO DI RENDIM ENTO ANNUO
TASSO INTERNO DI RENDIM ENTO M ENSILE EQUIVALENTE
TASSO DI M ORA ANNUO
TASSO DI M ORA M ENSILE EQUIVALENTE
100.000,00
10 anni
5 anni
mensile
60
1.800,00
10.000,00
5.000,00
9,34%
0,75%
12,00%
0,95%
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
48
STUDI E OPINIONI
LEASING
RENDISTATO ANNUO
RENDISTATO M ENSILE EQUIVALENTE
3,00%
0,25%
Nel caso di scioglimento del contratto in epoca successiva all’apertura del
concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo e quella che deve formare oggetto
di restituzione – nella prima ipotesi applicativa – dovrà essere come di seguito
determinata:
FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO POSTERIORE - PRIMA IPOTESI
DATA DI APERTURA DEL CONCORSO
30/6/2013
DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 68.342,90
ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL 5.503,13
CONCORSO)
SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO
5.503,13
DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE
30/9/2013
VALORE DEL BENE (DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE)
74.250,00
SOMMA OGGETTO DI RESTITUZIONE
5.907,10
Invece, nel caso di scioglimento del contratto in epoca successiva all’apertura
del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo e quella che deve formare
oggetto di restituzione – nella seconda ipotesi applicativa – dovrà essere come di
seguito determinata:
FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO POSTERIORE - SECONDA IPOTESI
DATA DI APERTURA DEL CONCORSO
30/6/2013
DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO)
68.342,90
ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 5.503,13
DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI APERTURA DEL 73.846,03
CONCORSO)
DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE
30/9/2013
VALORE TEORICO DEL BENE
74.250,00
SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO
-403,97
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
49
STUDI E OPINIONI
LEASING
Per contro, nel caso di risoluzione del contratto e di nuova allocazione del bene
in epoca antecedente all’apertura del concorso, la somma oggetto di ammissione al
passivo dovrà essere come di seguito determinata:
FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO ANTERIORE - ALLOCAZIONE ANTERIORE
DATA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
31/3/2013
DEBITO RESIDUO (DATA DI RISOLUZIONE DEL 72.154,42
CONTRATTO)
ULTIM I TRE CANONI (DATA DI RISOLUZIONE DEL 5.503,13
CONTRATTO)
DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI RISOLUZIONE DEL 77.657,54
CONTRATTO)
DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE
30/6/2013
DEBITO
ATTUALIZZATO
(DATA
DI
NUOVA 79.914,37
ALLOCAZIONE) EX ANTE
VALORE DEL BENE (DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE)
76.500,00
DEBITO
ATTUALIZZATO
(DATA
DI
NUOVA 3.414,37
ALLOCAZIONE) EX POST
DATA DI APERTURA DEL CONCORSO
30/9/2013
SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO
3.513,72
Infine, nel caso di risoluzione del contratto in epoca antecedente all’apertura del
concorso e di nuova allocazione del bene in epoca successiva, la somma oggetto di
ammissione al passivo dovrà essere come di seguito determinata:
FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO ANTERIORE - ALLOCAZIONE POSTERIORE
DATA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO
31/3/2013
ULTIM I TRE CANONI (DATA DI RISOLUZIONE DEL 5.503,13
CONTRATTO)
DATA DI APERTURA DEL CONCORSO
30/9/2013
DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO)
64.445,34
DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI APERTURA DEL 70.274,81
CONCORSO)
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
50
STUDI E OPINIONI
LEASING
VALORE DEL BENE (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO)
SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO
74.250,00
-3.975,19
3. La disciplina in sede concordataria
3.1. Il contenuto della norma
In sede concordataria, la Legge Fallimentare si fa carico – in ipotesi di
scioglimento del contratto – di prevedere un criterio di partecipazione al passivo che
tiene conto sia del credito maturato in capo alla società concedente sia del risarcimento
del danno da quest’ultima patito. Il credito, peraltro, non assume – quantomeno in tale
caso – carattere prededuttivo, giacché – come precisato dalla norma – deve essere
«soddisfatto come credito anteriore al concordato».
In particolare, l’art. 169-bis, comma 2, l.f., prevede che il concedente abbia
«diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato
adempimento». La quantificazione del debito concordatario deve, quindi, tenere conto
sia del debito maturato sia dell’eventuale maggior danno subìto in conseguenza del
mancato adempimento.
Il Legislatore, peraltro, non offre indicazioni sul criterio di quantificazione del
debito concordatario e dell’eventuale maggior danno.
In merito al debito concordatario (puro) pare ragionevole prendere le mosse
dalla disciplina dettata in materia fallimentare ed assumere, quindi, lo stesso in misura
pari ai canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati
dall’utilizzatore, maggiorati degli interessi di mora sino a tale data.
Quanto all’eventuale maggior danno, esso potrebbe essere determinato in misura
pari alla differenza fra il debito finanziario residuo, determinato tenendo conto del
minor tasso di reimpiego delle somme finanziate (assumendo, ad esempio, il
Rendistato) rispetto al tasso interno di rendimento, e il valore teorico del bene alla data
di apertura del concorso.
3.2. Il prospetto di calcolo
Per un’agevole quantificazione degli importi sopra delineati si è costruito un
articolato prospetto di calcolo, dal quale è agevole desumere – quantomeno in astratto –
il debito concordatario e l’eventuale maggior danno.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
51
STUDI E OPINIONI
LEASING
In particolare, nel caso di risoluzione del contratto in epoca successiva
all’apertura del concorso, il debito concordatario dovrà essere come di seguito
determinato:
CONCORDATO PREVENTIVO - SCIOGLIM ENTO
DATA DI APERTURA DEL CONCORSO
30/6/2013
ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL 5.503,13
CONCORSO)
EQUO INDENNIZZO
76.240,97
VALORE TEORICO DEL BENE
76.500,00
DEBITO CONCORDATARIO
5.244,10
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
52
DIRITTO TRIBUTARIO
GLI ASPETTI FISCALI DELL’AFFITTO
D’AZIENDA NEL FALLIMENTO
L’affitto d’azienda nell’ambito del fallimento è stato specificamente regolamentato dal
D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.
Gli Autori, dopo un’ampia illustrazione dal punto di vista giuridico dell’art. 104-bis
della Legge Fallimentare, affronta dettagliatamente gli aspetti fiscali dell’affitto
d’azienda stipulato dalla curatela fallimentare, anche in considerazione della disciplina
prevista dall’art. 183 del TUIR, relativa ai redditi d’impresa conseguiti durante il
fallimento.
di CARLO PESSINA e ANDREA PESSINA
1.
Premessa
L’affitto dell’azienda nell’ambito della procedura fallimentare, seppur diffuso e
largamente utilizzato nella prassi anche precedentemente, ha finalmente trovato una
specifica regolamentazione nell’art. 104-bis, introdotto nella Legge Fallimentare
dall’art. 31 del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5.
Prima di esaminare gli aspetti fiscali, sia per le imposte sui redditi sia per l’IRAP e
l’IVA, che interessano il curatore, è opportuno tracciare un breve quadro delle novità
introdotte sull’istituto dalla riforma fallimentare del 2006.
Come si legge nella relazione ministeriale, la riforma ha colmato una lacuna
normativa recependo una prassi giudiziaria che dava per scontata la possibilità di
addivenire all’affitto dell’azienda (o di un ramo di essa) nel fallimento; in particolare, ha
introdotto una norma (art. 104-bis) finalizzata soprattutto alla più precisa individuazione
degli effetti sulla procedura concorsuale di alcuni aspetti di particolare importanza, quali
la retrocessione, dall’affittuario al curatore, dell'azienda affittata (prevedendo la “non
responsabilità del patrimonio acquisito all’attivo per i debiti maturati sino alla
retrocessione”) e i diritti contrattualmente irrinunciabili del curatore.
Nella disciplina introdotta dalla riforma del 2006, la possibilità per il curatore di
addivenire alla stipulazione di un contratto di affitto che riguardi sia l’intera azienda sia
rami di questa è quasi un dovere connesso alla diligenza che egli deve espletare nel suo
mandato. Infatti l’art. 104-ter della L. F., anch’esso introdotto dal D. Lgs. n. 5/2006,
impone che nel programma di liquidazione dell’attivo fallimentare, che il curatore deve
predisporre entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, deve essere specificata
l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, o di singoli rami,
ovvero di autorizzare l’affitto dell’azienda, o di rami di essa.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
53
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
L’assoluta novità costituita dal programma di liquidazione consiste nel fatto che il
curatore potrà procedere rapidamente alla liquidazione dell’attivo, senza attendere la
chiusura dello stato passivo.
Non solo, ma in particolare (è la stessa relazione ministeriale a sottolineare
l'importanza di questa disposizione), il programma deve esprimersi circa l’opportunità
di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di autorizzare l’affitto dell’azienda.
E’ chiaro quindi l’intento del legislatore di raccomandare al curatore la massima
diligenza e solerzia nel mantenimento dei valori d’azienda nel suo complesso,
facendogli carico, innanzitutto, di una attenta valutazione delle opportunità alternative
della prosecuzione dell’attività d’impresa o dell’affitto dell’azienda.
Il curatore, dunque, nel programma di liquidazione dovrà, ove non ritenga utilmente
perseguibili i due indirizzi alternativi suddetti, specificare le ragioni di questo suo
convincimento.
2.
Rilevanza del patrimonio aziendale nel suo complesso
Il legislatore della riforma del 2006 ha quindi manifestamente ritenuto che un
maggior interesse economico per i creditori può essere perseguito soprattutto evitando
la dis gregazione dell’azienda (che, ovviamente, vanificherebbe il valore economico di
determinati assetti aziendali), imponendo conseguentemente al curatore di valutare se
sia possibile mantenere il valore unitario aziendale attraverso, appunto, la prosecuzione,
seppur provvisoria, dell’attività d’impresa o l’affitto dell’azienda.
E che questo sia l’obiettivo del legislatore della riforma è confermato dal disposto
dell’art. 105 della Legge Fallimentare, come sostituito dall’art. 92 del D.Lgs. n. 5/2006,
che al comma 1 testualmente recita: “La liquidazione dei singoli beni …………….. è
disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, di
suoi rami …………………….. non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”.
Pertanto, come emerge anche dalla relazione ministeriale, nel nuovo sistema
dell’esecuzione coattiva concorsuale assume un ruolo centrale la vendita dell’azienda
nel suo complesso, mentre la vendita atomistica dei singoli beni può essere effettuata
solo in subordine e allorquando sia ritenuta, seppur in termini previsionali,
economicamente più conveniente per i creditori.
Dunque il curatore, nel rispetto delle norme e degli obiettivi stabiliti dal legislatore,
dovrà preoccuparsi di mettere in atto tutte le iniziative volte alla conservazione del
patrimonio aziendale nel suo complesso, decidendo innanzi tutto sulla opportunità e
convenienza di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di autorizzare l’affitto
dell’azienda, e la sua scelta di perseguire o meno tali obiettivi dovrà essere motivata e
specificata nel programma di liquidazione.
La decisione del curatore dovrà comunque fondarsi sulle prospettive economicofinanziarie derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa o dell’affitto
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
54
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
dell’azienda, per cui si renderà necessario predisporre i necessari piani industriali .
Soprattutto la scelta della continuazione dell’impresa potrà imporre azioni di
riorganizzazione aziendale, ove si tenga conto che, se l’azienda è pervenuta al
fallimento, quasi sempre ciò è dovuto a rilevanti perdite economiche connesse alla
gestione e più raramente a difficoltà finanziarie conseguenti all’insolvenza di clienti
importanti.
3.
Contenuto del contratto di affitto dell’azienda
Riservando la nostra analisi all’affitto dell’azienda, è facile immaginare che, da un
punto di vista pratico, la sua realizzazione sarà molto più perseguibile soprattutto in
considerazione del diverso e minor grado di responsabilità che assume il curatore
rispetto all’ipotesi di continuazione dell’attività imprenditoriale.
Tuttavia, se da un lato l’affitto dell’azienda (o di un suo ramo) non comporta
sostanzialmente responsabilità gestorie a carico del curatore, d’altro lato con l’affitto
tutta l’attività gestionale viene trasferita all’affittuario, sulle cui capacità imprenditoriali
si fonda quindi la speranza del mantenimento, anzi dell’incremento, del valore
dell’azienda in attesa della sua vendita.
Il curatore dovrà quindi prestare molta attenzione nella scelta dell’affittuario; anzi
diligentemente dovrà farsi illustrare i piani industriali di questi e, ove li ritenga
economicamente validi, dovrà opportunamente prevedere in contratto la possibilità di
controllo dell’effettivo perseguimento dei medesimi, riservandosi eventualmente, come
si vedrà, la facoltà di recedere prima che una eventuale dissennata gestione del
conduttore porti al depauperamento del valore del patrimonio aziendale.
Con gli obbiettivi economici di cui sopra, da perseguirsi nell’evidente interesse della
massa dei creditori, è la stessa norma (art. 104-bis L.F.) che impone, nella scelta
dell’affittuario, di tenere conto dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle
attività imprenditoriali e, per quanto riguarda il contenuto del contratto, l’obbligo di
previsione di clausole che consentano al curatore il diritto di ispezione dell’azienda
affittata.
Nella nuova disciplina, la possibilità per il curatore di addivenire alla stipulazione di
un contratto di affitto che riguardi l’intera azienda o singoli rami è subordinata a
condizioni di carattere sia sostanziale che formale.
Innanzitutto, l’organo che può proporre la stipula del contratto d’affitto è
esclusivamente il curatore, il quale, per formalizzare il contratto, deve espressamente
essere autorizzato dal Giudice Delegato, che si esprimerà solo a seguito di parere
favorevole del comitato dei creditori.
E’ questa una delle fattispecie, insieme con quella della continuazione temporanea
dell’esercizio dell’impresa, per la quale è rimasta la potestà autorizzativa in capo al
G.D., mentre, come è noto, per gli atti il cui valore sia superiore a € 50.000 ed in ogni
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
55
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
caso se trattasi di transazione, il G.D. deve solo essere previamente informato dal
curatore.
L’affitto dell’azienda deve comunque rispondere ad un interesse meritevole di
tutela, dovendo apparire “utile per addivenire ad una più proficua vendita dell’azienda
o di suoi rami”.
Sarà quindi il curatore a prospettare, nell’istanza di autorizzazione rivolta al G.D.,
quali siano i motivi per cui si rende economicamente opportuno addivenire all’affitto e
quali le ragioni di convenienza che dovranno essere valutate, in relazione alla possibilità
(ex post) di vendere l’azienda in termini economici più proficui rispetto a quelli che
sarebbero perseguibili in situazione di azienda inattiva.
Una volta ottenuta dal Giudice Delegato l’autorizzazione, al curatore compete la
scelta dell’affittuario e la definizione dei termini contrattuali dell’affitto. Infatti, il G.D.
è chiamato ad esprimersi solamente sulla convenienza economica dell’operazione e non
sugli elementi contrattuali e di merito (ulteriori, ovviamente, rispetto alla suddetta
convenienza economica) della stessa.
La scelta del conduttore è effettuata dal curatore secondo quanto previsto
dall’articolo 107 Legge Finanziaria, come modificato dall’art. 94 del decreto legislativo
di riforma. In particolare, il curatore dovrà effettuare tale scelta tramite procedure
competitive, sulla base di stime da parte di operatori esperti, acquisendo
preventivamente coscienza di una ragionevole misura del canone locativo e dovendo
assicurare, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e
partecipazione degli interessati.
Per espressa disposizione della nuova norma la individuazione dell’affittuario deve
tenere conto, oltrechè del canone locativo, delle garanzie prestate e dell’attendibilità del
piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali (ovviamente con il solo riferimento a
quelle del particolare ramo aziendale trasferito in caso di affitto parziale dell’azienda),
avuto altresì riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali preesistenti.
Il curatore, in sintesi, dovrà effettuare una scelta che consideri tutti questi parametri:
importo del canone;
garanzie prestate, non solo in ordine al canone, ma anche riguardo alla
prosecuzione dell’attività d’impresa che opportunamente dovrà risultare da un piano
industriale attendibile;
attendibilità di questo piano;
conservazione dei livelli occupazionali preesistenti.
Valutato, quindi, ciascuno dei detti aspetti, egli opererà la scelta, senza ulteriore
intervento autorizzativo del Giudice Delegato.
A questo punto, prima di continuare l’analisi, è opportuno precisare che l’affitto
dell’azienda può essere autorizzato (ed a fortiori stipulato) anche prima della
presentazione del programma di liquidazione dell’attivo fallimentare che, secondo
quanto stabilito dal nuovo articolo 104-ter della Legge Fallimentare, deve essere
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
56
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
predisposto dal curatore entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e sottoposto
anch’esso all’approvazione del G.D..
Ciò, ovviamente, serve per contrastare eventuali iniziative dilatorie, che
ostacolerebbero il curatore nella ricerca di ulteriori potenziali conduttori dell’azienda
fallita e, soprattutto, per non correre il rischio di depauperare, col passare del tempo, il
valore economico di determinati assetti aziendali (soprattutto con riferimento ai cd. beni
immateriali) ovvero per non provocare un più rapido deperimento dei cespiti aziendali
conseguente alla cessazione dell’impresa, che non potrebbe non provocare un minore
prezzo di vendita di tali beni o dell’intera azienda.
Il contratto di affitto è stipulato dal curatore nelle forme previste dall’art. 2556 C.C.
(quindi per atto pubblico o scrittura privata autenticata) e deve avere un contenuto
minimo vincolante che preveda:
il diritto del curatore di procedere all’ispezione dell’azienda - in tal senso
si esprime, infatti, la relazione ministeriale al decreto legislativo di riforma;
la prestazione di idonee garanzie (reali o personali), non solo per il
pagamento del canone, ma per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti sia dal
contratto sia da norme di legge;
il diritto di recesso unilaterale per il curatore da esercitarsi previa
corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo da pagarsi in prededuzione.
La relazione ministeriale al decreto legislativo n. 5/2006 osserva che:
il contenuto contrattuale minimo previsto dall’art. 104-bis della L.F. è
obbligatorio;
il diritto di ispezione dell’azienda affittata è irrinunciabile dal curatore;
il diritto di recesso unilaterale compete solo al curatore.
Il recesso, seppur previsto contrattualmente, potrà essere esercitato solo a seguito di
parere favorevole del comitato dei creditori, il quale, ovviamente, si esprimerà anche
in funzione dell’indennizzo da corrispondersi all’affittuario. E’ pertanto opportuno che
il curatore preveda contrattualmente i criteri di determinazione del predetto indennizzo,
ad evitare il rischio che l’incerta entità dell'indennizzo vanifichi la possibilità di
addivenire validamente al recesso.
Non vi sono, nella riforma, vincoli temporali per esercitare il diritto di recesso,
potendone essere previsto l’esercizio in qualunque momento, ferma restando, in ogni
caso, la comunicazione all’affittuario entro un congruo preavviso da specificarsi
contrattualmente.
La mancanza e/o l’omissione dei suddetti elementi contrattuali minimi determina, a
parere di chi scrive, la nullità parziale del contratto ai sensi dell’art. 1419 Codice
Civile: parrebbe eccessivo e oltremodo dannoso che tutto il contratto, a causa di detta
mancanza od omissione, venisse interamente travolto da nullità totale.
Conseguentemente, qualora tra curatore e affittuario, nella ovvia ipotesi in cui
quest’ultimo intendesse continuare la conduzione dell’azienda, non vi fosse un accordo
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
sul contenuto (esempio entità, ecc.) delle dette clausole mancanti, evidentemente
sorgerà una vertenza giudiziaria in merito, ferma restando la responsabilità del
curatore, per i danni causati dalla sua negligenza contrattuale alla procedura e ai
creditori fallimentari.
La novella non impone, poi, una durata minima dell’affitto, ma stabilisce che la
stessa debba essere compatibile con le esigenze di una celere liquidazione dei beni;
pertanto il curatore non dovrà contrattualmente vincolarsi per una durata del contratto
che possa pregiudicare l’attività di liquidazione dell’attivo fallimentare, né essere in
contrasto con la possibilità di un miglior realizzo dei cespiti aziendali.
Anzi, proprio a tali scopi, dovrà opportunamente prevedere nel contratto una clausola
che gli consenta di recedere in qualunque momento con il più breve preavviso, fermo
restando il pagamento dell’indennizzo a favore dell’affittuario.
Ulteriore aspetto cui dovrà essere prestata molta attenzione da parte del curatore con
riguardo al contratto, è quello delle differenze inventariali di cui al comma quattro
dell’art. 2561 C.C..
Pur non essendo questa la sede per trattare l’argomento è noto a tutti che i beni
costituenti l’azienda al termine del contratto di affitto, e che quindi dovranno essere
restituiti alla procedura fallimentare, sono diversi qualitativamente (per effetto del
logorio dovuto al loro uso nel perdurare dell’affitto) e quantitativamente (per effetto di
dismissioni, sostituzioni o migliorie e apporti effettuati dal conduttore) rispetto a quelli
originariamente oggetto del contratto. E’ quindi opportuno, al riguardo, che nel
contratto siano specificatamente previste le modalità e i termini economici della
regolazione delle differenze inventariali; altrettanto opportuno è l'escludere dal contratto
le merci in giacenza all'inizio dell'affitto, cedendole all'affittuario con separato contratto.
4.
Diritto di prelazione in favore dell’affittuario
Un altro elemento molto importante, introdotto dalla riforma, è il diritto di prelazione
in favore dell’affittuario nella fase della futura vendita da parte del curatore dell’azienda
o del singolo ramo oggetto del contratto d’affitto.
Sul punto è necessario premettere che tale diritto è stato introdotto dalla L. 23 luglio
1981, n. 223 che all’art. 3, comma 4, stabilisce che all’affittuario di un’azienda o di un
singolo ramo, assoggettata a procedura concorsuale è riconosciuto il diritto di prelazione
sull’acquisto nel caso in cui venga disposta la vendita nel corso dell'affitto.
E’ ovvio innanzi tutto che qualora il curatore addivenga alla vendita dell’azienda in
epoca successiva alla scadenza del contratto, nessun diritto di prelazione spetta
all’affittuario. Inoltre, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la
sentenza n. 9052/1994, il diritto suddetto non compete alla generalità delle imprese, ma
solo a quelle che possono usufruire del trattamento straordinario di integrazione
salariale.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
58
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
Ecco quindi che, al fine di poter estendere a tutte le situazioni il beneficio della
prelazione, le disposizioni introdotte dall’art. 104-bis L.F. prevedono la possibilità di
convenire pattiziamente, tra curatore e affittuario, il diritto di prelazione; anzi è molto
probabile che nella maggioranza dei casi tale diritto sarà preteso proprio dall'affittuario,
che, difficilmente, vorrà rischiare di disperdere a favore di terzi l’avviamento e la
redditività da lui creata durante la vigenza del contratto di affitto.
Il diritto di prelazione, per espressa disposizione della novella, deve sempre essere
autorizzato dal Giudice Delegato previo parere favorevole del comitato dei creditori.
La relazione ministeriale, sul punto, precisa che “questa soluzione (di lasciare alla
determinazione pattizia delle parti il diritto di prelazione) è stata ritenuta opportuna
proprio come mezzo per incentivare l’affittuario ad effettuare investimenti sull’azienda,
onde rafforzarne il suo successivo interesse acquisitivo”.
La nuova disposizione normativa impone che il curatore debba comunicare
all’affittuario, affinché gli sia consentito l’esercizio del diritto di prelazione
sull’acquisto dell’azienda, il prezzo di vendita, una volta esaurito il procedimento per la
sua determinazione.
Il curatore, prima di addivenire alla vendita dell’azienda, dovrà dunque espletare
tutte le procedure previste dalle disposizioni legislative che disciplinano la materia per
la fissazione del prezzo di vendita.
Preliminarmente egli avrà cura di avvalersi della consulenza di esperti e di acquisire
le opportune relazioni estimative (come peraltro previsto dall’art. 107 L.F.) finalizzate
ad un’attenta e metodica valutazione del patrimonio aziendale, cioè di quella entità che
aziendalisticamente corrisponde al capitale economico dell’impresa.
Tuttavia, il valore come sopra pervenuto non può costituire la determinazione
definitiva del prezzo dell’azienda, trattandosi ovviamente di un valore meramente
teorico, che nella fase di vendita potrebbe non incontrare mai l’interesse di alcun
acquirente.
Il concetto di definitività del prezzo deve essere inteso come quel numerario che è
stato offerto in via definitiva dall’acquirente (Cassazione n. 8261/1994) e per il quale il
curatore abbia esperito e concluso le procedure di vendita previste dalla legge. Al
riguardo le disposizioni cui il curatore dovrà attenersi sono quelle stabilite dall’art. 107
L.F., nel testo riformato dal D.Lgs. n. 5/2006, che, come sottolineato anche dalla
relazione ministeriale, “sono (norme) dirette a conseguire (anche per la vendita dei
beni immobili e delle aziende comprendenti immobili) l’obiettivo del massimo realizzo
secondo modelli di speditezza flessibilità e trasparenza, totalmente slegate dai rigidi
schemi procedurali previsti per le esecuzioni individuali….”
Una volta concluso tutto il procedimento per la determinazione del prezzo, come
sopra detto, il curatore lo comunica all’affittuario nei dieci giorni successivi; entro
cinque giorni dal ricevimento della comunicazione, questi potrà esercitare il diritto di
prelazione; decorso tale termine senza risposta, egli decadrà dal diritto stesso.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
La norma non contempla le modalità che devono essere osservate dal conduttore per
formalizzare la sua accettazione per cui, in mancanza di esplicita regolamentazione
convenzionale risultante dal contratto di affitto, è opportuno che la comunicazione
avvenga con notificazione tramite ufficiale giudiziario.
5.
La retrocessione dell’azienda
Da ultimo il nuovo art 104-bis della L.F. regolamenta gli effetti conseguenti alla
retrocessione dell’azienda al termine dell’affitto, con specifico riferimento ai debiti
contratti dall’affittuario nel perdurare del contratto e dei rapporti giuridici pendenti alla
scadenza e retroceduti insieme all’azienda.
Per quanto riguarda i primi, la norma dispone che la retrocessione alla procedura
fallimentare dell’azienda, al termine del contratto o all’interruzione dello stesso per
qualunque motivo (compreso il recesso unilaterale del curatore), non comporta
responsabilità della procedura stessa per i debiti maturati in vigenza di contratto, in
deroga a quanto stabilito dalla disciplina ordinaria (artt. 2112 e 2560, C.C.).
La relazione ministeriale precisa che “la deroga trova giustificazione nel bisogno di
assicurare che i creditori anteriori alla stipula del contratto, non vengano ad essere
penalizzati da una gestione dissennata del complesso aziendale da parte
dell’affittuario”, tenendo conto che l’affitto è stato disposto proprio in funzione di una
migliore tutela degli interessi economici di tali creditori.
Con riguardo ai rapporti giuridici pendenti alla scadenza del contratto, l’art. 104-bis
fa riferimento a quelli esistenti al momento della retrocessione, per cui si deve avere
riguardo tanto a quelli preesistenti al contratto stesso e nei quali l’affittuario era
subentrato, quanto a quelli sorti da operazioni intraprese dall’affittuario durante il
contratto stesso (ad esempio nuove assunzioni o contratti d’opera anche intellettuale).
A tali rapporti, per espressa statuizione della norma, si applica la disciplina prevista
dagli artt. 72 e seguenti della L.F. per cui la loro sorte è rimessa alla discrezione del
curatore, essendo legittimato ad avvalersi delle specifiche disposizioni concorsuali
stabilite dai predetti articoli.
6.
Aspetti fiscali
Dopo questa premessa, veniamo ora all’esame degli aspetti fiscali dell’affitto
dell’azienda che coinvolgono la procedura.
L’analisi va effettuata sul piano delle imposte sul reddito e dell’IRAP da una parte e
su quello dell’IVA dall’altra.
Preliminarmente è opportuno riassumere il panorama che riguarda il concedente in
situazione ordinaria, cioè al di fuori del fallimento.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
60
DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
Con riferimento alle imposte dirette, occorre distinguere l’ipotesi in cui il locatore
mantiene la qualifica di imprenditore in quanto riveste forma di società commerciale
oppure perché, seppur impresa individuale, affitta una o comunque meno della totalità
delle aziende possedute, da quella in cui lo stesso, locando l’unica azienda di cui è
titolare, perde così automaticamente la qualifica di imprenditore.
Nel primo caso il canone locativo derivante dall’affitto dell’azienda è considerato
ricavo e il reddito è classificabile tra i redditi d’impresa e come tale soggetto alla
disciplina di tale categoria di redditi: quindi la sua imputazione deve rispettare il
principio di competenza previsto dall’art. 109 del TUIR.
Nel secondo caso il concedente perde lo status di imprenditore seppur
temporaneamente, senza che ciò rappresenti autoconsumo dei beni aziendali (con i
conseguenti riflessi sia per le imposte che per l’IVA) essendogli concessa la facoltà
“fiscale” di riacquistarlo al termine del contratto di affitto (al riguardo vedasi la
Circolare M inisteriale n. 26 del 19 marzo 1985), e il reddito è considerato reddito
diverso ai sensi dell’art. 67, lettera h), del TUIR, con imponibilità secondo il principio
di cassa ai sensi dell’art. 71, comma 2, del TUIR.
La determinazione quantitativa del reddito avverrà di conseguenza nel rispetto,
rispettivamente, delle norme che regolano i redditi d’impresa (art. 81 e seguenti TUIR)
nel primo caso o i redditi diversi (art. 71 TUIR) nel secondo.
Nell’ambito poi dei redditi diversi viene considerata anche la eventuale plusvalenza
che può derivare al concedente (imprenditore individuale) nell’ipotesi di cessione
dell’azienda affittata, la cui determinazione avviene, per espresso rinvio fattone dall’art.
71 del TUIR, secondo quanto previsto dall’art. 86 dal TUIR stesso, che riguarda il
reddito d’impresa e quindi in misura pari alla differenza tra il corrispettivo conseguito e
il costo fiscalmente riconosciuto dei beni costituenti l’azienda.
Se la detta plusvalenza è realizzata nell’ambito del reddito d’impresa (in quanto il
concedente-venditore è società oppure imprenditore titolare di più aziende), la stessa è
determinata e tassata secondo le regole di tale categoria. In tal caso la plusvalenza in
esame sarà ratealizzabile in cinque anni se sussistono le condizioni previste dal quarto
comma del citato art. 86 del TUIR.
Per concludere va ricordato che la plusvalenza suddetta è assoggettata a tassazione
separata se relativa alla cessione onerosa (quindi esclusa l'ipotesi di cessione gratuita o
di successione mortis causa) di aziende possedute da più di cinque anni, con esclusione
di tale beneficio per i soci di società personali (art. 17, comma 2, TUIR) e, per
l’imprenditore individuale che non perda tale status (quindi quando è titolare di più
aziende), a condizione di richiederla espressamente nella dichiarazione dei redditi in
alternativa alla tassazione ordinaria o differita di cui all’art. 86, comma 4, TUIR.
Per quanto riguarda l’IRAP, basta ricordare che se i canoni d’affitto dell’azienda
sono realizzati da società o da imprenditore individuale che a seguito dell’affitto
conserva tale status, gli stessi sono soggetti ad IRAP; sono esclusi esclusivamente da
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
tale tributo i canoni che, secondo quanto sopra illustrato, rientrano nella categoria dei
redditi diversi.
Le plusvalenze realizzate invece dalla vendita dell’azienda affittata non sono
soggette all’IRAP sia, ovviamente, nel caso in cui costituiscano redditi diversi, sia nel
caso in cui rientrino nei proventi dell’attività d’impresa perchè, in tale ipotesi, sono
escluse per espressa previsione di legge (vedasi l’art. 11 del D.Lgs 446/1997 per il
periodo sino al 31 dicembre 2007 e l’art. 5, comma cinque, dello stesso decreto,
modificato dall’art. 1, comma 50, della legge finanziaria per il 2008, per il periodo
successivo.
Con riferimento all’IVA, l’affitto d’azienda è da considerarsi prestazione di servizi
rientrante nella previsione dell’art. 3, comma 2, n. 1) del D.P.R. 633/72 e successive
modifiche; per cui il momento impositivo coincide con l’atto del pagamento del canone
locativo, salvo ovviamente il caso in cui il concedente decida di emettere la fattura
anteriormente.
Anche nell'ambito di tale imposta la distinzione più importante da operare è quella
tra imprenditore che, a seguito della stipulazione del contratto di affitto d’azienda,
continua a conservare detta qualifica (quindi quando il concedente riveste forma
societaria oppure è titolare di più imprese e ne affitta solo in parte) e imprenditore
individuale che affitta l’unica o tutte le imprese possedute.
Nella prima situazione l’imprenditore concedente continua ad essere considerato
soggetto IVA a tutti gli effetti e i canoni d’affitto saranno regolarmente assoggettati al
tributo, ovviamente secondo le regole delle prestazioni di servizi, nel cui ambito, come
detto, rientrano; nella seconda situazione l’imprenditore individuale concedente perde
momentaneamente (cioè nel periodo di esecuzione del contratto d’affitto) tale status con
sospensione temporanea dell’attività d’impresa, pur conservando il numero di partita
IVA. I canoni locativi quindi non saranno assoggettati a tale imposta, essendone
totalmente esclusi dall’ambito di applicazione, mentre saranno assoggettati ad imposta
di registro, da scontarsi con la registrazione del contratto.
E’ ovvio che se l’imprenditore individuale dovesse intraprendere, in pendenza
dell’affitto della sua unica azienda, una nuova attività imprenditoriale in proprio, anche i
canoni locativi suddetti rientreranno nella sfera dell’attività d’impresa, con conseguente
assoggettamento ad IVA degli stessi e con imputazione dei medesimi nel reddito
d’impresa anziché nei redditi diversi.
Di frequente ricorrenza e particolare interesse è il problema del trasferimento del
plafond dal concedente all’affittuario per gli acquisti in esenzione di IVA. L’argomento
trova espressa regolamentazione nell’art. 1, comma 5, del D.L. 417/1991 convertito
dalla L. 6 febbraio 1992, n. 66; tale norma stabilisce la possibilità da parte del
“concedente-esportatore abituale” che affitta l’azienda, di trasferire al conduttore il
plafond per gli acquisti in esenzione di IVA, a condizione che il trasferimento sia
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
espressamente previsto nel contratto e che ne venga data comunicazione entro trenta
giorni all’Agenzia delle Entrate con lettera raccomandata.
Quello sopra illustrato, seppur sinteticamente, è il quadro dell’imposizione diretta e
indiretta dell’affitto dell’azienda che si presenta in regime di normalità di esercizio di
impresa da parte del conducente.
Vediamo ora quali modifiche subisca il detto scenario nel caso in cui l’affitto
dell’azienda avvenga nell’ambito di una procedura fallimentare, tenuto conto anche
delle disposizioni espressamente previste, in materia di imposte sul reddito, dall’art. 183
del TUIR.
Riservando l’analisi alla parte che interessa il nostro argomento, questa norma
stabilisce che “il reddito d’impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio e la
chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi
è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il
patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato
in base ai valori fiscalmente riconosciuti”.
E’ indispensabile quindi per il curatore determinare esattamente questi elementi,
perché è la loro differenza che costituisce la base imponibile del periodo fallimentare,
sulla quale, prima della chiusura della procedura, dovranno venir assolte le imposte sul
reddito.
Circa il patrimonio netto iniziale, il comma 2 dell’art. 183 stabilisce che lo stesso è
costituito dalla differenza tra le attività e le passività risultanti dal bilancio redatto dal
curatore e riferito alla data di apertura della procedura
del periodo d’imposta compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data della sentenza
declaratoria del fallimento.
Le dette attività e passività devono poi essere assunte non secondo i loro valori
contabili, bensì sulla base dei valori fiscalmente riconosciuti, come precisato altresì
dalla circolare dell’A genzia Entrate n. 26/E del 22 marzo 2002.
Infine la norma richiamata precisa che, qualora l’ammontare delle passività sia
superiore a quello delle attività, il patrimonio netto iniziale è considerato
aritmeticamente pari a zero.
Ne consegue pertanto che solo nell’ipotesi in cui il residuo attivo al termine della
procedura è superiore al patrimonio netto iniziale vi potrà essere materia imponibile,
rientrante tra i redditi d’impresa, su cui il curatore dovrà corrispondere le imposte.
La citata circolare n. 26/E ha altresì precisato che il curatore deve desumere gli
elementi attivi e passivi iniziali dalle risultanze contabili dell’impresa, attribuendo agli
stessi, come già detto, il valore fiscalmente riconosciuto; qualora le scritture contabili
non esistano ovvero siano inattendibili, (come spesso accade soprattutto nei fallimenti
riguardanti piccole imprese, ove alla gestione avventurosa si accomuna il disordine
contabile) il curatore dovrà ricostruirne il patrimonio iniziale sulla base dei dati e degli
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
elementi di cui è venuto in possesso o a conoscenza sia nella fase di redazione
dell’inventario sia in quella di accertamento dello stato passivo.
E’ ovvio quindi che eventuali insinuazioni tardive, peraltro molto ridimensionate
dalla riforma fallimentare introdotta dal D.Lgs. n. 5/2006, di cui il curatore non abbia
tenuto conto per inesistenza di documentazione contabile nella determinazione del
patrimonio netto iniziale potranno comportare modifiche al valore dello stesso in
funzione dell’esito delle relative disamine.
Circa il residuo attivo, le indicazioni sono intervenute da parte dell’Agenzia delle
Entrate dapprima con la già citata circolare n. 26/E/2002 e poi con la circolare n. 42/E
del 4 ottobre 2004.
Quest’ultima, modificando in gran parte le istruzioni impartite con la precedente, ha
precisato che: i beni, sia materiali che immateriali, risultanti al termine della procedura e
non venduti dal curatore in quanto i creditori sono stati totalmente soddisfatti con altre
disponibilità liquide o per inesistenza di insinuazioni e quindi di passivo, devono essere
restituiti al fallito valorizzandoli al costo fiscalmente riconosciuto e non, come invece
era stato detto dalla precedente circolare n. 26/E/2002, sulla base del valore normale;
ciò ovviamente comporta un minor onere tributario a carico del curatore (rectius: della
procedura) in quanto il residuo attivo risulterà di ammontare inferiore;
L’art. 183 del TUIR regolamenta dunque la tassazione dei redditi d’impresa
conseguiti nel corso della procedura fallimentare, ma il suo ambito di applicazione è
limitato a tale categoria di redditi e non si estende alle altre. Pertanto, qualora i redditi
conseguiti dalla curatela siano di altra natura, la disciplina speciale della citata norma
non è applicabile, ma dovrà applicarsi quella generale che governa la categoria di redditi
interessata (ad es. di capitale, fondiari, diversi, ecc.).
Per effetto di quanto disposto dall’art. 183 TUIR, nel fallimento si può produrre un
reddito d’impresa tassabile solo se la procedura si chiude con un residuo attivo (in
concreto, cioè, con disponibilità liquide da attribuire al fallito) superiore all’ammontare
del patrimonio netto dell’azienda fallita alla data di apertura della procedura, valutato, in
base ai valori fiscalmente riconosciuti, some sopra detto.
Nella prassi è difficile immaginare che ciò accada perché significherebbe che dalla
vendita delle attività fallimentari si è realizzato un importo talmente alto da consentire il
pagamento delle spese di procedura e di tutti i creditori, chirografari compresi, nonché
di avanzare un residuo a favore dell’imprenditore fallito.
Fatta questa puntualizzazione e tenuto conto che la dichiarazione di fallimento
comporta per il fallito lo spossessamento (art. 42 L.F.) dei suoi beni, che entrano nella
disponibilità del curatore, il quale assume l’amministrazione del patrimonio fallimentare
(art. 31 L.F.), mentre la proprietà e la titolarità dei beni stessi permangono in capo al
fallito, risulta pacificamente che il curatore non può essere identificato come un
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
soggetto autonomo d’imposta diverso dal fallito, ma deve considerarsi esclusivamente
nel soggetto deputato ad adempiere agli obblighi fiscali che fanno capo a quest’ultimo.
Conseguentemente, nel caso di affitto d’azienda concluso dal curatore in pendenza
della procedura fallimentare, si possono verificare le seguenti situazioni:
1- se l’azienda affittata apparteneva, prima del fallimento, ad una società o ad un
imprenditore individuale che ne possedeva altre, i canoni locativi rientrano nell’ambito
dei redditi d’impresa e come tali concorrono alla formazione del reddito dell’unico
periodo d’imposta costituito dall’intera fase fallimentare secondo le regole previste dal
citato art. 183 TUIR;
2- se l’azienda affittata era l’unica di proprietà dell’imprenditore individuale fallito,
il reddito derivante dall’affitto della stessa rientra nella categoria dei redditi diversi e
pertanto soggiace alla disciplina generale prevista per questi dall’art. 67 e seguenti del
TUIR e non a quella speciale di cui al citato art. 183 del TUIR stesso. In tale ipotesi il
curatore dovrà annualmente presentare la dichiarazione dei redditi in quanto l’unicità
dell’esercizio fiscale stabilita da questa norma è prevista solo per i redditi d’impresa.
Nel caso in cui l’affitto rientri nell’ambito del reddito d’impresa, gli ammortamenti
dei beni costituenti l’azienda competono, per quanto disposto dall’art. 102 del TUIR,
all’affittuario salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 8, secondo il quale
le disposizioni della citata norma (comma 8 art. 102), che attribuisce appunto al
conduttore il diritto alla deduzione degli ammortamenti, non si applicano, e quindi in
tale ipotesi i detti ammortamenti rappresenterebbero un costo deducibile per il
concedente, nei casi di deroga, espressamente prevista nel contratto di affitto, alle
norme dell’art. 2561 del Codice Civile, che riguardano l’obbligo per l’affittuario di
conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili costituenti l’azienda affittata.
Se pertanto, in situazioni di normale esercizio dell’attività, potrebbe essere talvolta
opportuno o più conveniente per le parti (concedente e conduttore) derogare
convenzionalmente alle disposizioni previste dal citato art. 2561 C.C., non riteniamo
che ciò sia utile nell’ambito del fallimento. In tal caso, infatti, a fronte della possibilità
meramente ipotetica per il curatore di ridurre la base imponibile del reddito d’impresa
finale attraverso la deduzione degli ammortamenti, in quanto la formazione di reddito
tassabile dipenderà dall’esistenza di un residuo attivo superiore al patrimonio netto
iniziale, per contro vi è la certezza che l’affittuario non sarà tenuto, durante l’affitto, a
mantenere l’efficienza dei beni aziendali e quindi il curatore è sottoposto al rischio di
ricevere in restituzione un’azienda composta da beni totalmente obsoleti e inefficienti,
senza poter nulla imputare e pretendere dall’affittuario, in tal modo pregiudicando
fortemente la possibilità di venderla o, quanto meno, di realizzare un prezzo più
remunerativo.
Un’altra ipotesi che potrebbe accadere è rappresentata dal caso in cui il curatore, per
mantenere il valore dell’azienda nel suo complesso al fine di pervenire ad una maggiore
soddisfazione dei crediti, prosegua senza interruzioni l’attività del fallito, perché il
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DIRITTO TRIBUTARIO
AFFITTO D’AZIENDA
tribunale dispone l’esercizio provvisorio dell’impresa, per un certo periodo di tempo
dopo di chè addivenga all’affitto dell’azienda.
In tal caso, nulla quaestio se, per quanto già sopra illustrato, i canoni locativi
rientrano tra i redditi d’impresa: tanto questi quanto gli utili prodotti dalla prosecuzione
dell’attività da parte del curatore rientrano nel reddito d’impresa finale determinato ai
sensi dell’art. 183 del TUIR.
Se invece i canoni locativi rientrano tra i redditi diversi (in quanto riferibili all’unica
azienda del fallito), allora la procedura fallimentare sarà fiscalmente caratterizzata:
- da redditi diversi annuali ex art. 67, lettera h), del TUIR costituiti
esclusivamente dalla differenza tra i canoni locativi percepiti e le spese
specificamente inerenti la loro produzione (art. 71, comma 2, del TUIR);
- da un reddito, eventuale, d’impresa, unico riferibile al periodo corrente
tra l’inizio e la chiusura della procedura determinato ai sensi dell’art. 183 del
TUIR, dal quale dovranno ovviamente essere espunti i redditi diversi di cui
sopra.
Questa dicotomia potrebbe facilmente e spesso produrre in capo al curatore l’obbligo
di dovere pagare imposte annuali sui redditi diversi che potrebbero aritmeticamente
essere assorbiti dal reddito d’impresa di cui all’art. 183: tale effetto negativo non si
verificherebbe ovviamente nel caso in cui anche i canoni locativi rientrassero tra i
redditi d’impresa.
Quanto sopra illustrato per i redditi prodotti dai canoni d’affitto, vale anche per le
plusvalenze realizzate dalla vendita dell’azienda affittata. Se dunque questa apparteneva
ad una società fallita o ad un imprenditore fallito titolare di altre imprese, le plusvalenze
suddette rientrano, per espressa disposizione dell’art. 86 del TUIR, tra i redditi
d’impresa e quindi soggiacciono alla disciplina speciale prevista dall’art. 183 del TUIR;
se invece l’azienda affittata era l’unica di proprietà dell’imprenditore individuale fallito,
le plusvalenze realizzate dalla vendita della stessa sono considerate redditi diversi per
espressa disposizione dell’art. 67, lettera h), del TUIR; la determinazione delle dette
plusvalenze avverrà, in entrambe le ipotesi, secondo le regole stabilite dall’art. 86 del
TUIR.
Anche per quanto riguarda l’assoggettabilità o meno all’IVA dei canoni d’affitto le
considerazioni da svolgere e le conclusioni cui pervenire sono le stesse.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
SEGNALAZIONI DI
DIRITTO COMMERCIALE
I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
Vendita di quote di s.r.l. – Il Consiglio Nazionale del Notariato ha divulgato lo Studio
n. 99-2012/I, nel quale si esamina in primo luogo la possibilità di effettuare “la vendita
di una partecipazione in società a responsabilità limitata con riserva della proprietà”,
per poi soffermarsi, in un secondo momento, sui risvolti applicativi e pubblicitari che un
tale istituto comporta nella prassi.
Il testo dello Studio n. 99-2012/I, diffuso il 14 giugno 2013, è reperibile sul sito
www.notariato.it.
IRDCEC
Collegio sindacale – L’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha reso noto il Documento n. 20, concernente Verbali e procedure del Collegio
sindacale, in cui sono fornite “alcune tracce di verbali, comunicazioni e procedure che
possono essere utilizzate nella prassi professionale”. Lo scopo è quello di proporre degli “strumenti operativi che consentano un’agevole applicazione delle Norme di comportamento del Collegio sindacale”. I modelli presentati si riferiscono a società non
quotate e prescindono dall’eventuale attribuzione della revisione legale dei conti al Collegio sindacale. Tra gli altri, sono proposti il Verbale di insediamento (V.30), il Verbale
periodico dell’attività di vigilanza (V.80), nonché quello in caso di effettuazione di
un’operazione straordinaria (V.130, V.140 e V.150) e le Osservazioni del Collegio sindacale alla relazione sulla situazione patrimoniale della società a seguito di diminuzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite (V.120).
Il Documento n. 20, pubblicato il 13 giugno 2013, è consultabile sul sito www.irdcec.it,
ove sono altresì disponibili le tracce in formato modificabile (word).
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
O IC
Aggiornamento principi contabili nazionali – L’Organismo Italiano di Contabilità ha
avviato la consultazione sul principio contabile OIC 25, Il trattamento contabile delle
imposte sul reddito, modificato, tra l’altro, alla luce degli interventi legislativi in tema di
perdite fiscali riportabili a nuovo. Inoltre, in esso è stato incluso il Documento interpretativo n. 2 riferito alla versione dell’OIC 25 attualmente in vigore.
Le osservazioni possono essere formulate sino al 31 ottobre 2013.
La bozza in consultazione è reperibile sul sito www.fondazioneoic.eu.
GIURISPRUDENZA
Compromettibilità in arbitri e bilancio – Il Tribunale di M ilano si è recentemente
pronunciato in tema di compromettibilità in arbitri delle controversie relative alla delibera di approvazione del bilancio.
Il Tribunale, in tre differenti decisioni, ha affermato che nel caso in cui “la contesa si
collochi in un conflitto squisitamente endosocietario […] in questione, ancor prima della chiarezza dei conti, viene dunque la gestione sociale, argomento sicuramente disponibile e discrezionale”.
Più nel dettaglio, in due arresti, (Trib. M ilano, 10 maggio 2013, nn. 6595 e 6605), il socio impugnante lamentava “che l’altro socio avrebbe posto in essere azioni di depauperamento della società, in favore di altre sue società concorrenti” tacendo sul punto in
nota integrativa. In una terza decisione (Trib. M ilano, 13 maggio 2013, n. 6710), la contestazione del socio impugnante concerneva la “gestione e in particolare le operazioni
con parti correlate, che egli assumeva essere state nascoste nelle pieghe dei conti” non
essendo state esplicitate in nota integrativa.
“In ogni caso – hanno stabilito i Giudici nelle tre pronunce – i vizi di informazione sono
sicuramente disponibili, atteso che il socio può essere o dichiararsi sufficientemente
edotto a deliberare, anche quando l’informazione non gli sia stata correttamente fornita dal documento”. Un principio questo ancor più rilevante nella s.r.l., “laddove i ficcanti poteri di ispezione dell’art. 2476, comma 2, c.c., vanno ben oltre l’informazione
aggregata e generica che offre il bilancio”.
In tutte e tre i provvedimenti, il Tribunale si è dichiarato incompetente, dovendosi devolvere la controversia “alla cognizione del collegio arbitrale”.
Trasferimento della sede legale all’estero – Il Tribunale di Treviso ha precisato che
nonostante “la cancellazione dal Registro delle imprese produca un effetto estintivo
immediato” ai sensi dell’art. 2495 c.c., la norma attiene alla “cancellazione della società
all’esito del procedimento di liquidazione della stessa”. Qualora la cancellazione dal
Registro non sia avvenuta per tale motivo e nemmeno sia determinata dal “verificarsi di
altra situazione che comunque implichi la cessazione dell’esercizio dell’impresa”, bensì
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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SEGNALAZIONI
DIRITTO COMMERCIALE
sia dovuta al trasferimento della sede all’estero, “non può ritenersi che l’ente sia estinto”. Una tale conclusione, inoltre, è suffragata dagli artt. 2437 e 2473 c.c. che “nel riconoscere al socio la facoltà di recedere dalla società (per azioni ed a responsabilità limitata) in caso di trasferimento all’estero della sede legale, evidentemente presuppongono
che essa continui ad esistere”.
La decisione del Tribunale di Treviso del 31 maggio 2013 è disponibile sul sito
www.ilcaso.it.
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
SEGNALAZIONI DI DIRITTO
TRIBUTARIO
INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE
Valute estere, quotazioni del mese di aprile 2013
L’Agenzia delle entrate ha pubblicato, con le relative tabelle allegate, il Provvedimento
recante, - ai sensi dell’art. 10, comma 9, del Tuir e agli effetti degli articoli dei Titoli I e
II, dello stesso Tuir, che vi fanno riferimento - l’accertamento del cambio delle valute
estere per il mese di aprile 2013.
(Agenzie delle entrate, Provv. n. 2013/7583 del 29 mag. 2013)
Il parere di Assonime sulle perdite su crediti per mini importi
Assonime - in assenza di chiarimenti da parte dell'Agenzia delle entrate sull'esatta
interpretazione dei due nuovi limiti posti alla base della deducibilità fiscale delle perdite
su crediti di modesto importo (art. 101. c. 5, Tuir) - ha, con una propria circolare,
sposato la tesi interpretativa basata sul singolo rapporto di credito anche se inserito
nell'ambito di un più ampio e complesso rapporto contrattuale, precisando che, per le
perdite su crediti di modesto importo occorre sempre fare riferimento alla singola
prestazione periodica anche se ricompresa all'interno di un rapporto contrattuale più
complesso; ciò in quanto questa soluzione, all'interno di quelle possibili, sembra essere
la più aderente al dettato normativo ed ha inoltre il pregio di rendere coerente la verifica
del mantenimento del requisito quantitativo con quello della scadenza del credito e,
sposando questa tesi, continua Assonime, il periodo di osservazione utile ai fini della
verifica del duplice requisito – quantitativo e temporale – previsto dalla nuova
normativa non potrebbe che essere quello della chiusura dell'esercizio sociale. Ai fini
della deduzione della perdita, si legge ancora nella citata circolare, «si dovrebbe
semplicemente verificare se a tale data, con riferimento alle singole partite creditorie
che presentino una autonomia sotto il profilo giuridico, vi siano crediti che si collocano
al di sotto della soglia quantitativa ( 2.500 o 5.000) e che sono già scaduti da almeno sei
mesi».
(Assonime, circ. n. 15 del 13 mag. 2013)
Imprese, i chiarimenti mef per l’acconto Imu
Il M inistero dell’economia e delle finanze ha fornito chiarimenti circa l’acconto Imu per
gli immobili per i quali non è stata disposta la sospensione dell’Imu, precisando tra
l’altro che, per quel che attiene a quelli appartenenti alle imprese:
- l'aumento da 60 a 65 del moltiplicatore per il calcolo della base imponibile si
applicherà già dall'acconto del 17 giugno; ma gli immobili di categoria catastale D, al
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
pari di tutti gli altri non esentati dall'acconto, pagheranno la prima rata dell'Imu sulla
base dell'aliquota vigente nel 2012 anche se questa risulta inferiore rispetto a quella
standard fissata dalla legge di stabilità 2013 allo 0,76% (elevabile di un ulteriore
0,3% da parte dei comuni);
- chi pagherà l'acconto Imu calcolando il tributo «sulla base dell'aliquota e delle
detrazioni dei 12 mesi dell'anno precedente» ancor prima della conversione in legge
del dl n. 35 del 2013 potrà appellarsi al principio stabilito dall'art. 10, comma 3, dello
Statuto dei diritti del contribuente che sterilizza l'applicazione di sanzioni quando la
violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di
applicazione della norma tributaria;
- nulla impedisce, comunque, di procedere al pagamento della prima rata seguendo la
norma in vigore
(Mef, circ. n. 2 del 23 mag. 2013)
I chiarimenti dell’Agenzia sulla deducibilità dei canoni leasing
L’Agenzia delle entrate ha emanato una circolare sulla nuova deducibilità dei canoni
leasing così illustrandola con apposito comunicato stampa:
“Arrivano le istruzioni per effettuare correttamente la deduzione dei canoni di leasing ai
fini delle imposte dirette, a seguito della modifica alla disciplina prevista dal Dl n.16 del
2012 che ha eliminato la condizione della durata minima contrattuale, prima richiesta
per la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria. La circolare n. 17/E di oggi
fornisce, inoltre, chiarimenti e numerosi esempi sul trattamento fiscale della quota
capitale e degli interessi passivi impliciti dei canoni di leasing non ancora dedotti alla
scadenza del contratto, sul leasing immobiliare, sulla disciplina per i lavoratori
autonomi e sugli effetti ai fini Irap. Le modifiche introdotte dall’articolo 4-bis del
decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 interessano i canoni relativi ai contratti di leasing
stipulati a partire dal 29 aprile 2012.
La novità normativa - Il Dl n.16 del 2012 ha eliminato la condizione della durata
minima contrattuale, prima prevista per la deducibilità dei canoni di locazione
finanziaria, rendendo così la deduzione autonoma rispetto alla durata del contratto.
Queste novità interessano gli operatori economici che redigono il bilancio secondo i
principi contabili nazionali, mentre non coinvolgono i soggetti Ias adopter.
Come gestire i canoni di leasing non ancora dedotti alla scadenza del contratto – In
questo caso i canoni non dedotti devono trovare riconoscimento fiscale mediante
variazioni in diminuzione, pari all’importo annuale del canone fiscalmente deducibile,
da apportare fino al completo riassorbimento dei valori fiscali sospesi.
Irap – Ai fini Irap rileva l’importo del canone di leasing imputato a conto economico a
prescindere dalla durata contrattuale.
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
Lavoratori autonomi: come incide la disciplina – La circolare precisa, inoltre, che il
nuovo sistema di deducibilità si applica anche ai contratti stipulati dagli esercenti arti e
professioni.”
(Agenzia delle entrate, circ. n. 17 del 29 mag. 2013)
Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto italiano ed estero,
nuova tassazione.
L’Agenzia delle entrate ha affrontato il tema delle modifiche al regime di tassazione
degli organismi di investimento entrate in vigore il 13.05.12.
La relativa circolare, che si articola come segue:
1. Quadro normativo di riferimento
2. Il regime di tassazione degli OICVM italiani
2.1. La compensazione del risparmio d’imposta
2.2. La certificazione delle minusvalenze in caso di fusioni transfrontaliere
2.3. Il regime di tassazione dei soggetti non residenti
2.4. I trasferimenti a causa di successione o donazione
2.5. Le operazioni di switch
2.6. Disposizioni in materia di sostituti d’imposta
2.7. Il regime transitorio dei partecipanti
3. Il regime di tassazione dei proventi derivanti dalla partecipazione ad OIVCM di
diritto estero
3.1. Applicazione delle disposizioni convenzionali
4. Ulteriori disposizioni di coordinamento
5. Decorrenza
è stata così illustrata con apposito comunicato stampa:
“Le società di gestione del risparmio (SGR) operanti in uno Stato dell’Unione europea
possono istituire e gestire organismi di investimento collettivo in valori mobiliari
(OICVM ) in altri Stati membri, senza dover costituire una società di gestione anche in
queste nazioni. E’ questa una delle principali novità illustrate dalla circolare n. 19/E di
oggi, con cui le Entrate affrontano il tema delle modifiche al regime di tassazione degli
organismi di investimento, in seguito al recepimento nel nostro ordinamento della
Direttiva comunitaria UCITS IV.
Il passaporto del gestore – La Direttiva UCITS IV assicura il riconoscimento in tutta
l’Unione europea delle autorizzazioni e dei sistemi di vigilanza prudenziale di ciascun
Stato membro. Ciò significa che, per istituire e gestire un OICVM armonizzato in uno
Stato membro, è sufficiente il rilascio dell’autorizzazione e l’esercizio della vigilanza da
parte del solo Stato membro di origine della SGR (home country control). In proposito
tra i vari istituti recepiti nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 47/2012
assume particolare rilevanza il cosiddetto “passaporto del gestore”, in base al quale le
società autorizzate a prestare il servizio di gestione del risparmio (SGR) possono
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
istituire e gestire OICVM armonizzati in altri Stati membri dell’Unione europea senza
necessità di costituire in tali Stati una società di gestione.
Trasferimenti di quote e azioni a titolo gratuito, tassazione a binario unico – Il decreto
di attuazione della Direttiva ha, inoltre, apportato modifiche al “Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (TUF), e di conseguenza ha
integrato la disciplina fiscale degli OICVM . In particolare, è venuto meno il doppio
binario per il calcolo della base imponibile in caso di trasferimento per successione di
quote o azioni di organismi di investimento, ai fini della determinazione dei redditi di
capitale e dei redditi diversi.
Investitori white list, tassazione fa rima con esenzione – Con riferimento al regime di
esenzione applicabile agli investitori white list per i redditi derivanti dalla
partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, nel documento di
prassi si chiarisce che il possesso delle quote o azioni deve essere opportunamente
attestato dal deposito dei titoli presso un intermediario residente in Italia. L’esenzione
però è applicabile esclusivamente ai proventi realizzati dal soggetto non residente e
maturati nel periodo di possesso delle quote o azioni. maturati nel periodo di possesso
delle quote o azioni.”
(Agenzia delle entrate, circ. n. 19 del 4 giu. 2013
G IURISPRUDENZA
Frodi carosello. Costi: deduzione no, deduzione sì
Con due recenti e contrastanti sentenze la Corte di Cassazione ha statuito che:
1) sentenza n.11667/13: l’art.8, c.1. del dl.n.16/12 (cosiddetto sulle Semplificazioni
fiscali) non dà diritto all’imprenditore assolto dall’accusa di evasione Iva di dedurre i
costi effettivamente sostenuti a fronte di una fattura soggettivamente falsa;
2) sentenza n. 12503/13 : in tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, c. 4-bis,
della legge n. 537/93, nella formulazione introdotta con l'art. 8, c. 1, del dl n. 16/12,
sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente
inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta
«frode carosello», anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere
fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico
delle imposte sui redditi approvato con dpr n. 917/86, siano in contrasto con i
principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o
determinabilità.
Alla luce dei divergenti giudicati, non resta che attendere un definitivo pronunciamento
delle Sezioni unite.
(Cassazione, sentenze n. 11667 del 15 mag. 2013 e n. 12503 del 22 mag. 2013)
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
73
SEGNALAZIONI
DIRITTO TRIBUTARIO
La cessione d’azioni non è cessione d’azienda
La Corte di Giustizia della Ue ha statuito che la vendita (nel caso di specie del 30%)
delle azioni della società alla quale vengono prestati servizi direzionali non è
assimilabile al trasferimento dell'azienda, neppure nel caso in cui sia effettuata
contemporaneamente alle cessioni, allo stesso compratore, delle azioni possedute dagli
altri azionisti. Tale vendita costituisce invece, agli effetti dell'Iva, un'operazione esente.
Per determinare, poi, se il venditore abbia oppure no il diritto alla detrazione
dell'imposta relativa ai servizi acquisiti in vista dell'operazione, occorre accertare se il
costo di tali servizi sia stato ricaricato o meno sul prezzo della cessione delle azioni, al
fine di stabilire se abbiano un nesso diretto con l'operazione esente oppure con l'attività
in generale.
(Corte di Giustizia della Ue, sentenza del 30 mag. 2013, causa C-651/11)
Elusione. Una serie di contratti può configurarla
La sentenza statuisce che porre in essere una serie di compravendite fra società per
beneficiare indebitamente delle agevolazioni sull'imposta di registro è elusione fiscale.
Ciò perché l'amministrazione finanziaria, pur non potendo colpire una serie di contratti
legittimi, può considerarli come unica operazione commerciale, contestando l'abuso di
diritto, infatti «in tema di imposta di registro, l'art. 20 del dpr 26 aprile 1986 n. 131
attribuisce prevalenza, ai fini dell'interpretazione degli atti registrati, alla natura
intrinseca e agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente; e
in tal senso vincola l'interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati
formalmente enunciati, anche frazionatamente, in uno o più atti. Pertanto una pluralità
di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine
di produrre un unico effetto giuridico finale costituito dal trasferimento della proprietà
di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell'imposta di registro, come un fenomeno
unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva».
(Cassazione, sentenza n. 14150 del 5 giu. 2013)
IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013
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