Anno 11 – Numero 13 26 giugno 2013 NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ D IRETTA DA O RESTE C AGNASSO C OORDINATA DA E M AURIZIO I RRERA G ILBERTO G ELOSA IN QUESTO NUMERO: • DIRITTO DI RECESSO • LEASING • AFFITTO D’AZIENDA ItaliaOggi DIREZIONE SCIENTIFICA Oreste Cagnasso – Maurizio Irrera COORDINAMENTO SCIENTIFICO Gilberto Gelosa La Rivista è pubblicata con il supporto degli Ordini dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di: Bergamo, Biella, Busto Arsizio, Casale Monferrato, Crema, Cremona, Lecco, Mantova, Monza e Brianza, Verbania NDS collabora con la rivista: SEZIONE DI DIRITTO FALLIMENTARE a cura di Luciano Panzani SEZIONE DI DIRITTO INDUSTRIALE a cura di Massimo Travostino e Luca Pecoraro SEZIONE DI DIRITTO TRIBUTARIO a cura di Gilberto Gelosa SEZIONE DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E IMPRESA a cura di Marco Casavecchia SEZIONE DI TRUST E NEGOZI FIDUCIARI a cura di Riccardo Rossotto e Anna Paola Tonelli COMITATO SCIENTIFICO DEI REFEREE Carlo Amatucci, Guido Bonfante, Mia Callegari, Oreste Calliano, Maura Campra, Matthias Casper, Stefano A. Cerrato, Mario Comba, Maurizio Comoli, Paoloefisio Corrias, Emanuele Cusa, Eva Desana, Francesco Fimmanò, Toni M. Fine, Patrizia Grosso, Javier Juste, Manlio Lubrano di Scorpaniello, Angelo Miglietta, Alberto Musy, Gabriele Racugno, Paolo Revigliono, Emanuele Rimini, Marcella Sarale, Giorgio Schiano di Pepe COMITATO DI INDIRIZZO Carlo Luigi Brambilla, Alberto Carrara, Paola Castiglioni, Luigi Gualerzi, Stefano Noro, Carlo Pessina, Ernesto Quinto, Mario Rovetti, Michele Stefanoni, Mario Tagliaferri, Maria Rachele Vigani, Ermanno Werthhammer REDAZIONE Maria Di Sarli (coordinatore) Paola Balzarini, Alessandra Bonfante, Maurizio Bottoni, Mario Carena, Marco Sergio Catalano, Alessandra Del Sole, Massimiliano Desalvi, Elena Fregonara, Sebastiano Garufi, Stefano Graidi, Alessandro Monteverde, Enrico Rossi, Cristina Saracino, Marina Spiotta, Maria Venturini HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Andrea Pessina, Carlo Pessina, Barbara Petrazzini, Luciano Quattrocchio SOMMARIO Pag. RELAZIONI A CONVEGNI Abuso del diritto di recesso da parte del socio di Oreste Cagnasso 7 STUDI E OPINIONI Lo scioglimento delle società di persone di Barbara Petrazzini 12 L’equo indennizzo nel contratto di leasing: un approccio finanziario di Luciano Quattrocchio 46 DIRITTO TRIBUTARIO Gli aspetti fiscali dell’affitto di azienda nel fallimento di Carlo Pessina e Andrea Pessina 53 SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE 67 SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO 70 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 4 SOMMARIO RELAZIONI A CONVEGNI Abuso del diritto di recesso da parte del socio L’Autore, prendendo le mosse dalla regola del divieto di abuso del diritto, ne esamina il possibile rilievo con riferim ento al recesso nell’ambito delle società di persone e di capitali. di Oreste Cagnasso STUDI E OPINIONI Lo scioglimento delle società di persone L’articolo esamina, anche alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, la fase conclusiva della vita della società di persone, soffermandosi dapprima sui presupposti che determinano lo scioglimento della società e quindi sul procedimento che conduce alla sua estinzione. di Barbara Petrazzini L’equo indennizzo nel contratto di leasing: un approccio finanziario L’Autore, adottando un approccio finanziario, affronta la questione della determinazione dell’equo indennizzo nel contratto di leasing. di Luciano Quattrocchio DIRITTO TRIBUTARIO Gli aspetti fiscali dell’affitto di azienda nel fallimento L’affitto d’azienda nell’ambito del fallimento è stato specificamente regolamentato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. Gli Autor i, dopo un’ampia illustrazione dal punto di vista giuridico dell’art. 104-bis della Legge Fallimentare, affronta det tagliatamente gli aspetti fiscali dell’affitto d’azienda stipulato dalla curatela fallimentare, anche in considerazione della disciplina prevista dall’art. 183 del TUIR, relativa ai redditi d’impresa conseguiti durante il fallimento. di Carlo Pessina e Andrea Pessina IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 5 INDEX-ABSTRACT Page REPORTS ON CONFERENCES Abuse of the Right of Withdrawal by the S hareholder The Author examines the prohibition of the abuse of the law, in the light of the withdrawal by the partner/shareholder in the context of partnerships and corporations. by Oreste Cagnasso STUDIES AND O PINIONS Dissolution of partnerships The article examines, in the light of the most recent doctrine and case law, the final stage of the life of the partnership, focusing first on the causes of its dissolution and then on the process leading to its extinction. by Barbara Petrazzini The fair compensation in the lease contract: a financial approach The author, by adopting a financial approach, addresses the issue of determination of the fair compensation in the lease contract. by Luciano Quattrocchio TAX LAW The lease under the failure The lease under the failure was specifically regulated by the Legislative Decree n 5 January 9, 2006. The Authors, after a wide legal illustration of the art. 104 bis of the Bankruptcy Law talks in detail about the fiscal aspects of the lease stipulated by the Bankruptcy curatorship even in the light of the rules provided by the art. 183 of the TUIR with regard to the business income earned during the Bankruptcy. by Carlo Pessina and Andrea Pessina 7 12 46 53 IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 6 RELAZIONI A CONVEGNI ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO DA PARTE DEL SOCIO* L’Autore, prendendo le mosse dalla regola del divieto di abuso del diritto, ne esamina il possibile rilievo con riferimento al recesso nell’ambito delle società di persone e di capitali. di O RESTE CAGNASSO 1. Premessa Secondo la giurisprudenza e parte della dottrina esiste una regola implicita nell’ordinamento che consente il sindacato del giudice sul concreto esercizio dei diritti, o meglio delle situazioni giuridiche soggettive, nell’ambito dei rapporti obbligatori alla luce dei principi di correttezza e buona fede oggettiva e dell’eventuale deviazione dalla ratio di tutela. Particolare attenzione è stata dedicata, a seconda dei vari settori in cui la regola veniva applicata, alle conseguenti sanzioni, ora ricondotte al risarcimento del danno, ora ad altre reazioni a carattere reale, di vario contenuto in funzione dei contesti presi in considerazione. Al di fuori dell’ambito societario la giurisprudenza ha avuto occasione di valutare il carattere abusivo o meno dell’esercizio del diritto di recesso previsto convenzionalmente ad nutum. In particolare con riferimento, ad esempio, ai contratti bancari, i giudici sono stati chiamati più volte a verificare se fossero conformi a buona fede e correttezza la revoca senza preavviso del fido, il recesso dall’uso delle carte di credito senza preavviso e giustificazione, il recesso dal rapporto di conto corrente, .... Un ulteriore settore, ove il recesso ad nutum previsto contrattualmente è stato oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza, è quello dei contratti di distribuzione e, in specie, della concessione di vendita, ove è dato riscontrare normalmente nel concessionario la posizione di contraente - imprenditore debole. La regola del divieto di abuso nell’esercizio dei diritti può venire in considerazione e in che misura, in quali contesti, in quali prospettive con riferimento al recesso nell’ambito societario? *Relazione tenuta a Montecarlo di Lucca il 7 giugno 2013 in occasione del convegno su “ Gli abusi nel nuovo diritto societario” organizzato dalla Fondazione CIRGIS. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 7 RELAZIONI A CONVEGNI ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO La domanda assume oggi particolare rilievo, dal momento che, come è noto, il recesso nell’ambito delle società di capitali (ma anche sotto certi profili delle società di persone) ha acquisito in virtù della riforma un ruolo ben più incisivo. Da istituto confinato in pochi eccezionali casi, il cui esercizio poteva essere penalizzante per il recedente, è oggi divenuto applicabile in ipotesi molto più numerose, ampiamente estensibili nell’ambito delle società chiuse in virtù di scelte statutarie o dell’atto costitutivo. Invero accanto a fattispecie inderogabili o in alcuni casi derogabili di recesso legale, il legislatore prevede espressamente, nell’ambito delle s.p.a. chiuse e delle s.r.l., un’ampia area di possibili casi di recesso convenzionale. Al fine di fornire una prima risposta, trattandosi di terreno poco arato, alla domanda sopra formulata mi sembra opportuno, in primo luogo, prospettare una classificazione delle varie ipotesi di recesso nell’ambito delle società di persone e di capitali, individuare i possibili profili di rilevanza della regola del divieto di abuso del diritto o, se si preferisce, dell’esercizio dello stesso secondo buona fede e correttezza, per poi infine applicare tali risultati alle varie classi di recesso prima individuate. 2. Una classificazione delle fattispecie di recesso nell’ambito delle società di persone e di capitali Ai fini del nostro discorso mi pare utile classificare i casi di recesso nelle seguenti categorie. In primo luogo, il legislatore prevede il recesso ad nutum con preavviso nelle società a tempo indeterminato tanto di persone, quanto per azioni ed s.r.l.. E’ dubbio, per contro, se convenzionalmente possa introdursi un’ipotesi di recesso ad nutum per le società a tempo determinato. Sempre sotto il profilo delle scelte effettuate dal legislatore, nell’ambito delle società di persone è ammesso in ogni caso il recesso in presenza di una giusta causa. E’ dubbio se una simile fattispecie possa essere convenzionalmente prevista nelle società di capitali. Il legislatore delinea un lungo elenco di cause di recesso a favore di soci non consenzienti di s.p.a. o di s.r.l. rispetto a determinate modificazioni statutarie o dell’atto costitutivo. Come è noto, il cambiamento delle “regole del gioco” può essere ammesso solo con il consenso unanime dei soci oppure, all’opposto, a semplice maggioranza. Il diritto di recesso costituisce un “correttivo” della regola dei maggioranza adottata con riferimento a modificazioni statutarie o dell’atto costitutivo particolarmente incisive. In questo modo il legislatore attribuisce, da un lato, alla maggioranza la facoltà di introdurre tali modificazioni, ma, dall’altro, a favore dei soci non consenzienti il diritto di recesso, con conseguenze che potrebbero essere particolarmente penalizzanti per la IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 8 RELAZIONI A CONVEGNI ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO società, costretta o a trovare un’acquirente della partecipazione o a liquidarla valutando il patrimonio sociale a valori di mercato. Anche nell’ambito delle società di persone la riforma ha introdotto un’ipotesi di recesso applicando la regola di maggioranza alle decisioni dei soci aventi per oggetto le operazioni straordinarie, ma con il correttivo del diritto di recesso a favore dei soci non consenzienti. Tale diritto sussiste poi in presenza di varie fattispecie, differenti dalle modificazioni del contratto sociale, dello statuto e dell’atto costitutivo, individuate con specifici caratteri. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di recesso collegate all’esercizio del potere di direzione e coordinamento. Infine occorre prendere in considerazione un caso del tutto peculiare: il recesso ad personam, quale diritto particolare a favore di singoli soci di s.r.l.. Come è noto, quest’ultimo è attribuito al socio in quanto tale e non rientra nella partecipazione: pertanto quando è trasferita dal socio, il diritto si estingue. L’art. 2468 c.c., al suo terzo comma, dispone appunto che l’atto costitutivo può prevedere l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. E’ dubbio se, oltre a tali categorie, seppur ampie, previste dalla norma richiamata, siano configurabili ulteriori diritti particolari atipici. La risposta, a mio avviso, data l’ampia autonomia concessa ai soci di s.r.l., può essere positiva: partendo da tale premessa, potrebbe essere conferito a un singolo socio, appunto come diritto particolare, quello di recesso. 3. La rilevanza della regola del divieto di abuso del diritto di recesso La regola del divieto di abuso del diritto o dell’esercizio dello stesso secondo buona fede e correttezza può assumere, con riferimento al diritto di recesso nell’ambito societario, vari profili di rilevanza. In primo luogo, può costituire un limite all’esercizio di tale diritto, con una funzione analoga a quella sopra richiamata al di fuori della materia societaria. Può configurare un criterio di applicazione in concreto di fattispecie aperte e, in specie, della giusta causa. Può ancora rappresentare un elemento di giudizio utilizzabile al fine di valutare l’ammissibilità di determinate ipotesi di recesso convenzionale. O ancora costituire un elemento di giudizio quale strumento di interpretazione di ipotesi di recesso legale dai contenuti non chiaramente enucleati. 4. Il divieto di abuso del diritto e le varie fattispecie di recesso IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 9 RELAZIONI A CONVEGNI ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO Utilizzando la classificazione delle varie fattispecie di recesso sopra tratteggiata è possibile verificare se e quale ruolo possa assumere il divieto di abuso nell’esercizio del diritto per ciascuna di esse. L’esercizio del diritto di recesso ad nutum in caso di società a tempo determinato con il preavviso previsto dallo stesso legislatore non mi pare censurabile sotto il profilo di un eventuale abuso di diritto. In effetti i soci, scegliendo lo schema della società a tempo indeterminato, hanno necessariamente accettato la possibilità di recesso ad nutum, che costituisce una regola costantemente prevista appunto per i rapporti a tempo indeterminato. Nel caso di recesso ad nutum convenzionale nelle società a tempo determinato le stesse ragioni, che hanno indotto la giurisprudenza a sottoporre a valutazione sotto il profilo dell’abuso del diritto l’esercizio dello stesso, valgono anche per il nostro caso. M a la regola in esame può giocare un ruolo più incisivo costituendo un elemento di giudizio nel senso dell’inammissibilità di tale caso di recesso convenzionale. Invero nell’ambito delle società a tempo determinato il recesso ad nutum, sia pure con preavviso, pare porsi in contraddizione con i caratteri e le finalità della società ed in particolare con la volontà dei soci di porre in essere un rapporto con una certa durata nel tempo volto a svolgere un’attività produttiva per ripartirne gli utili. M a anche il possibile esercizio “opportunistico” del diritto di recesso potrebbe costituire un ulteriore argomento a favore della tesi che ritiene inammissibile la previsione del recesso convenzionale ad nutum nelle società a tempo determinato. Qualora si ritenga ammissibile il recesso convenzionale per giusta causa la regola dell’esercizio secondo buona fede e correttezza potrebbe svolgere un ruolo non secondario nell’individuazione in concreto della sussistenza della giusta causa. In presenza di ipotesi legali di recesso per modificazioni rilevanti del contratto, dello statuto, dell’atto costitutivo o per altri eventi specificamente individuati non pare esserci spazio per una valutazione di eventuale abuso nell’esercizio del diritto (se non forse in casi assolutamente eccezionali). Tuttavia la regola può venire in cons iderazione quale elemento di giudizio nell’interpretazione e ricostruzione di fattispecie dai contorni non ben delineati. Certamente lo strumento interpretativo fondamentale è individuabile nella sussistenza o meno della ratio di tutela del socio non consenziente. Tuttavia può venire in considerazione anche l’eventuale pericolo di uso abusivo del diritto. Si pensi al caso di recesso conseguente all’introduzione o alla modificazione della clausola compromissoria inserita nello statuto sociale o nell’atto costitutivo. Nulla dice il legislatore in ordine alla sua modificazione. Sarà esercitabile il recesso? In tutti i casi di variazione della clausola? In quelli più rilevanti? E, se si accoglie questa soluzione, quali saranno i criteri di selezione? Certamente la ratio di tutela del socio non IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 10 RELAZIONI A CONVEGNI ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO consenziente, ma anche forse l’intento di evitare possibili usi opportunistici del diritto di recesso, ove previsto. Particolare interesse presenta l’ipotesi del recesso ad personam quale diritto particolare del socio. Potrà prevedersi un recesso ad nutum? Per giusta causa? Certamente per fattispecie specificamente individuate. I rilievi sopra illustrati varranno anche in questo caso e quindi la regola del divieto dell’abuso di diritto potrà essere utilizzata nelle varie prospettive delineate. Tuttavia la fattispecie in esame presenta una peculiarità: il bilanciamento di interessi al fine del giudizio di conformità a correttezza e buona fede nell’esercizio del diritto dovrà essere effettuato non solo tenendo conto di quelli del socio che intende recedere e della società, ma anche della posizione degli altri soci privi di tale diritto. Il caso in esame, in una prospettiva più ampia, porterebbe ad affrontare un tema, che esula dalla presente relazione, certamente di grande interesse: l’abuso nell’esercizio dei diritti particolari. Profilo delicato non solo e non tanto nell’ottica dell’individuazione delle possibili fattispecie, ma soprattutto in quella delle sanzioni applicabili. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 11 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETA’ DI PERSONE * L’articolo esamina, anche alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, la fase conclusiva della vita della società di persone, soffermandosi dapprima sui presupposti che determinano lo scioglimento della società e quindi sul procedimento che conduce alla sua estinzione. di BARBARA PETRAZZINI 1. Lo scioglimento della società: considerazioni introduttive «L’estinzione della società non è un fatto istantaneo» 1. Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina infatti, di per sé, la cessazione del rapporto contrattuale, ma costituisce il momento iniziale di una nuova fase di esecuzione del contratto di società, diretta alla definizione di tutti i rapporti giuridici che ad essa fanno capo, al pagamento dei creditori sociali e, infine, alla ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo2. Pur non comportando quindi l’estinzione della società (che conseguirà solo alla conclusione del procedimento di liquidazione e, per le società in nome collettivo regolari, alla cancellazione dal registro delle imprese), il semplice verificarsi di una 1 Così, in modo tanto preciso, quanto lapidario, COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, in Tratt. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 301, nell’incipit del capitolo dedicato a scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società di persone. 2 Il principio si trova espresso, con formule pressoché equivalenti, in tutti i manuali di diritto commerciale ed è ribadito in numerose pronunce giurisprudenziali. Cfr., tra i primi COTTINO, Diritto societario, Padova, 2011, 165; GALGANO , Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2013, 90; CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, Torino, 2012, 119; P RESTI-RESCIGNO , Corso di diritto commerciale. Vol. II. Società, Bologna, 2011, 47. Fra le seconde si vedano, ad esempio, Cass. 19 settembre 2008, n. 29776, in Società, 2009, 286 («La messa in liquidazione di una società non determina un mutamento della personalità giuridica della stessa, né tantomeno la sostituzione di un soggetto di diritto ad un altro, ma semplicemente la modifica dell’oggetto sociale, che, per effetto della liquidazione è ora diretto alla liquidazione dell’attivo e alla sua ripartizione tra i soci, previa soddisfazione dei creditori sociali») e Cass. 2 aprile 1999, n. 3221, in Mass. Giur. It., 2009 («Lo scioglimento di una società non ne produce l’estinzione, ma essa continua ad esistere con la stessa individualità, struttura e organizzazione, sia pure con un restringimento della capacità, derivante dalla modificazione dello scopo che non è più quello dell’esercizio dell’impresa, bensì quello della sua liquidazione, attraverso la definizione dei rapporti di credito e di debito con i terzi»). IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 12 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE causa di scioglimento non è tuttavia senza conseguenze, ma determina automaticamente (o di diritto) 3 l’ingresso della società nello stato di liquidazione, cui il legislatore ricollega (oltre ad alcuni mutamenti nella disciplina applicabile ai rapporti tra società e terzi)4 l’insorgere di precisi divieti e obblighi a carico degli amministratori. Questi ultimi, in particolare, pur conservando il potere di amministrare fino a che non siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione, vedono limitati i propri poteri al compimento degli affari urgenti (art. 2274 c.c.); devono indicare negli atti e nella corrispondenza della società che questa è in liquidazione (art. 2250, comma 3, c.c.); e, una volta che siano stati nominati i liquidatori, devono consegnar loro i beni e i documenti sociali, presentar loro il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto e redigere e sottoscrivere unitamente ad essi l’inventario dal quale risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277 c.c.). Nell’affrontare l’esame della fase conclusiva della vita della società, si è così idealmente voluta mantenere la distinzione tra i presupposti che determinano lo scioglimento della società e il procedimento che conduce alla sua estinzione e si è suddiviso il contributo in due parti. Nella prima vengono esaminate le singole cause di scioglimento, integrando quelle elencate dall’art. 2272 c.c. con quelle espressamente dettate dall’art. 2308 c.c. per le sole società commerciali; nella seconda, dopo aver affrontato il problema dell’operatività delle cause di scioglimento e i risvolti processuali del loro accertamento nell’ipotesi in cui esse siano controverse tra i soci, si concentrerà invece l’attenzione sul procedimento formale di liquidazione (dalla nomina dei liquidatori, fino all’approvazione del bilancio finale e del piano di riparto) e sulla discussa questione della sua obbligatorietà. 2. Le singole cause di scioglimento Lo scioglimento della società in nome collettivo è disciplinato dall’art. 2308 c.c. La norma richiama espressamente la disposizione dettata per la società semplice (art. 2272 c.c.) ed aggiunge alla cause di scioglimento ivi elencate due ulteriori ipotesi, riservate alle società commerciali: il provvedimento dell’autorità governativa e, salvo che la società abbia per oggetto un’attività non commerciale, la dichiarazione di fallimento. 3 Sull’operatività delle cause di scioglimento cfr. infra, il § 3. Sul punto si veda, in particolare, MOTTI, in AA .VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2013, 78, la quale ricorda che, verificatasi una causa di scioglimento «(i) i creditori particolari non possono più esigere la liquidazione separata della quota del socio loro debitore; (ii) nei casi di scioglimento della singola partecipazione –anche se verificatosi anteriormente a quello della società- il socio o i suoi eredi non possono più pretendere la liquidazione della quota». 4 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 13 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE La possibilità di prevedere nel contratto sociale «altre cause» di scioglimento (art. 2272, n. 5, c.c.) rende tutto sommato irrilevante l’esame del problema relativo alla tassatività o meno dell’elenco 5 e consente invece di concentrare l’attenzione sulle singole ipotesi che possono determinare la dissoluzione della società, avendo cura di precisare come i maggiori dubbi interpretativi e contrasti giurisprudenziali siano in realtà concentrati su due soltanto di esse, ovvero sul quella particolare impossibilità di conseguire l’oggetto sociale determinata dall’«insanabile dissidio tra i soci» e sulla sorte della società rimasta con un unico socio nell’eventualità in cui egli, decorso inutilmente il termine di sei mesi durante i quali può ricostituire la pluralità dei soci, continui ad operare come imprenditore individuale. 2.1. Il decorso del termine e la proroga della società La prima causa di scioglimento è il decorso del termine, a condizione, ovviamente, che esso fosse indicato nel contratto sociale; cosa che, a dispetto dell’indicazione contenuta nell’art. 2295, n. 9, c.c., non costituisce condizione di 6 validità della società . E’, in questa sede, sufficiente ricordare come il termine di durata della società possa essere prorogato dai soci, sia espressamente (attraverso una modifica dell’originaria clausola del contratto sociale, da adottarsi, in assenza di diversa previsione, all’unanimità) sia tacitamente (attraverso la prosecuzione, senza soluzione di continuità rispetto alla scadenza del termine originariamente pattuito, delle operazioni sociali) 7. Nella prima ipotesi sorge in capo al creditore particolare del socio il diritto di 5 Per le due diverse opinioni cfr. rispettivamente GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, in Tratt. Galgano, Milano, 2007, pag. e FERRI, Delle società, sub art. 2272, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1981, 242; per la tesi espressa nel testo cfr. invece BUONOCORE , Società in nome collettivo, in Comm. Schlesinger, Milano, 1995, 403. Nella pressoché totale assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto (cfr. i pochi riferimenti in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in Giur. sist. Bigiavi, T orino, 1991, 768 ss. e in COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 310), la dottrina tende ad indicare come cause di scioglimento che i soci possono legittimamente inserire nel contratto sociale quelle che determinano il venir meno del vincolo relativamente a un socio per morte, recesso o esclusione: si vedano, in argomento, GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 792; DI SABATO , La società semplice, in Tratt. Rescigno, vol. 16, t. II, Torino, 1985, 109; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 415. 6 E, dopo la riforma delle società di capitali, non è più richiesta nemmeno in tali società (cfr. gli artt. 2328, n. 13, e 2454 c.c. per le società azionarie, nonché, indirettamente, l’art. 2473, comma 2, c.c. per la società a responsabilità limitata). 7 Se tra la scadenza del termine e la prosecuzione delle operazioni sociali intercorre un certo lasso di tempo non si ha proroga tacita, ma un’ipotesi di revoca della liquidazione (sulla quale cfr. infra, nota 10): cfr., sul punto, CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 117 e CAGNASSO , La società semplice, in Tratt. Sacco, T orino, 1998, 259. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 14 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE opporsi alla proroga e, in caso di opposizione vittoriosa, il diritto di ottenere la liquidazione della quota del suo debitore (art. 2307, comma 2, c.c.); nella seconda, al diritto del creditore particolare di chiedere la liquidazione della quota si aggiunge quello di ciascun socio di recedere dalla società, con un preavviso di almeno tre mesi (art. 2307, comma 3, c.c.). 2.2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo L’art. 2272, n. 2 comprende due distinte ipotesi di scioglimento. La prima («conseguimento dell’oggetto sociale») è strettamente legata alla concreta formulazione data dai soci all’attività economica che costituisce il c.d. scopomezzo per il quale la società è stata costituita e non può che essere accertata caso per 8 caso . Nulla impedisce, ovviamente, che i soci decidano di proseguire lo svolgimento in comune dell’attività economica, modificando opportunamente l’oggetto sociale; poiché tuttavia, come si avrà modo di chiarire più avanti9, le cause di scioglimento operano nelle società di persone automaticamente (o di diritto) per il solo fatto di essersi verificate, siffatta decisione non può che qualificarsi come revoca della liquidazione e, in quanto tale, richiederà necessariamente il consenso unanime di tutti i soci, anche quando il contratto originario prevedesse, in deroga all’art. 2252 c.c., la sua modificabilità a maggioranza 10. 8 Cfr. DI SABATO , La società semplice, cit., 107 e COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, in Tratt. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 306. 9 Cfr. infra § 3. 10 Regola diversa vale invece nelle società di capitali nelle quali il legislatore del 2003 ha espressamente affrontato la questione prevedendo nella nuova formulazione dell’art. 2484 n. 2 c.c. che lo scioglimento della società per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo possa essere «neutralizzato» da una decisione ad hoc dell’assemblea, convocata per le opportune modifiche statutarie, e risolvendo in tal modo in radice la questione, precedentemente discussa, circa la necessità o meno di una decisione unanime dei soci per porre fine alla vicenda dissolutiva già innescata. Cfr. sul punto CAVALIERE , Le cause di scioglimento, in AIELLO-CAVALIERE-CAVANNA-CERRATO-SARALE, Le operazioni societarie straordinarie, in Tratt. Cottino, vol. V, Padova, 2011, 107 ss.; SARALE, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2009, 1191; PASQUARIELLO, Sub art. 2484, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, 2146 ss.; NICCOLINI, Sub art. 2484, in Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1725. Per l’affermazione secondo la quale nelle società di persone la revoca della liquidazione (andando ad incidere sull’indisponibile diritto del socio alla quota di liquidazione, sorto per effetto dell’intervenuta causa di scioglimento) deve essere sempre e comunque adottata all’unanimità, anche quando i soci, in deroga all’art. 2252 c.c., abbiano sancito la modificabilità IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 15 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE Quanto alla seconda ipotesi di scioglimento legata all’oggetto sociale («sopravvenuta impossibilità di conseguirlo»), ferma restando la cons iderazione che l’impossibilità deve essere sopravvenuta (ché se fosse originaria determinerebbe l’invalidità della società) 11, i maggiori dubbi interpretativi riguardano la nozione stessa di impossibilità. Accanto ad autori che ritengono che essa debba rivestire i caratteri della definitività e dell’assolutezza (sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 1256 c.c.) 12, altri ritengono, in modo meno rigido, che l’impossibilità di cui parla l’art. 2272, n. 2, c.c. sia «semplicemente un impedimento, non temporaneo e non neutralizzabile con i mezzi normali (…) che non consente o rende economicamente svantaggioso, in rapporto con la causa del contratto di società, il perseguimento dei risultati che i soci si sono ripromessi di raggiungere» 13. Tale lettura sembra oggi trovare un’indiretta conferma nella nuova formulazione dell’art. 2484, n. 2, c.c.: dalla regola per cui nelle società di capitali lo scioglimento per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo può essere evitato da un’apposita decisione assembleare 14, è infatti ricavabile il generale principio che lo scioglimento non necessariamente deriva da un impedimento oggettivo e assoluto, ma può anche essere conseguenza di un mero giudizio di convenienza15, fermo restando che tale giudizio deve essere espresso nelle due categorie di società con modalità diverse, richiedendosi a maggioranza dell’atto costitutivo si vedano, in particolare FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 298-299 e CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 120. A meno di ritenere che le norme introdotte dalla riforma del diritto societario per le società di capitali e mutualistiche si riflettano anche su quelle che disciplinano le società di persone ed ammettere pertanto (alla luce del disposto dell’art. 2487 ter, comma 1, c.c.) che lo stato di liquidazione possa essere revocato con decisione a maggioranza, ove il contratto di società preveda tale modalità di assunzione delle decisioni per la sua modifica: per uno spunto in tal senso cfr. COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 305; COTTINO , Diritto societario, cit., 197; NICCOLINI, La «revoca dello stato di liquidazione» delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, Torino, 2007, 35, nota 5. 11 Cfr., per tutti, BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 405 e COTTINO , Diritto societario, cit., 167. 12 Sul punto si veda in particolare MONTAGNANI, Disfunzioni degli organi collegiali e impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, Milano, 1993, 116 ss. 13 Così, testualmente, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit. 307; nello stesso senso cfr. già GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 789, nonché CAGNASSO, La società semplice, cit., 260 ss., e ID ., Profili relativi alla fattispecie «sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale», in Studi in onore di Gastone Cottino, vol. I, Padova, 1997, 171 ss. (che assimila all’impossibilità sopravvenuta di raggiungere l’oggetto sociale anche l’impossibilità di raggiungere lo scopo sociale). 14 Cfr. supra, nota 10. 15 Per questa osservazione cfr. CAVALIERE, Le cause di scioglimento, cit., 110. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 16 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE in quelle di capitali una delibera assembleare assunta con l’ordinario procedimento e in quelle di persone una revoca all’unanimità della liquidazione. Vi è in ogni caso concordia sul fatto che l’impossibilità può essere determinata sia da eventi sopravvenuti esterni alla società tali da impedire lo svolgimento dell’attività sociale (quali, ad esempio, il sopraggiunto divieto legislativo di svolgere una data attività, o la revoca dell’autorizzazione amministrativa necessaria per il suo svolgimento o della concessione da parte dell’unico concedente), sia da eventi interni alla società (si pensi allo scioglimento del vincolo particolare di un socio la cui partecipazione sia da ritenersi essenziale, alla perdita integrale dei conferimenti o dei 16 locali nei quali si esercita l’impresa, o al protrarsi di un’attività in perdita) . All’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale viene infine ricondotto il caso dell’insanabile dissidio tra i soci. La giurisprudenza, sul punto, è copiosissima ed è concorde nel ritenere, da un lato, la insindacabilità, a fronte di una congrua motivazione, delle valutazioni del giudice di merito circa il concreto motivo del dissidio17 e nell’affermare, dall’altro, che il dissidio tra i soci «può costituire causa di scioglimento di una società di persone solo se, impedendo l’operatività della società o influendo sulla continuità dell’organizzazione sociale, determina l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale» 18. Il punto maggiormente discusso, e che assume particolare rilevanza nelle società formate da due soci, riguarda piuttosto il problema della «imputabilità» del dissidio ad un socio in particolare: è cioè controverso se possa addivenirsi allo scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale anche quando tale impossibilità dipenda dal comportamento di un socio e possa essere evitata escludendo dalla 16 Cfr. per ulteriori esempi DI SABATO , La società semplice, cit., 108, BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 406, GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, cit., pag., nonché COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 752 ss. 17 Cfr. Cass. 10 settembre 2004, n. 18243, in Foro It., 2005, I, 1105 e Cass. 14 febbraio 1984, n. 1122, in Dir. Fall., 1984, II, 428. 18 Cfr. Trib. Milano, 16 febbraio 2012, in Società, 2012, 1153, ma l’affermazione si ritrova pressoché identica in numerosissime pronunce di merito e di legittimità: e si vedano, limitandosi alle più recenti, App. Cagliari, 16 settembre 2004, in Riv. giur. sarda, 2006, 575; App. Firenze, 19 maggio 2000, in Foro toscano, 2001, 145; T rib. Alba, 29 aprile 2010, in Giur. piemontese, 2010, 250; Trib. Mantova, 24 gennaio 2008, reperibile su www.ilcaso.it; T rib. Milano, 18 gennaio 2006 in Società, 2007, 179; T rib. Rossano, 2 giugno 2004, in Giur. It., 2004, 1890; Trib. Roma, 9 novembre 1999, in Giur. It., 2000, 787. Per ulteriori riferimenti cfr. LUBRANO, Insanabile dissidio tra soci di società di persone, prevalenza dello scioglimento del vincolo particolare e modalità di liquidazione della quota, in Giur. Comm., 2000, I, 868 ss. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 17 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE compagine sociale il socius rixosus19. Alla tesi che il dissidio imputabile ad un socio sarebbe semplicemente causa di esclusione e non di scioglimento del rapporto sociale, si è tuttavia obiettato che essa «fa prevalere un evento comunque particolare, e controverso, quale la condotta “colposa” di un socio, sull’evento generale, e di per sé 20 produttivo di effetti, del dissidio tra i soci» : non è detto, cioè, che l’esclusione del socio sia sempre la panacea di tutti i mali; vuoi perché essa deve comunque essere deliberata da una maggioranza per teste che potrebbe non esserci, vuoi perché il comportamento del singolo socio potrebbe essere semplicemente la «spia» di un più profondo dissidio tra i soci, tale da rendere nei fatti impossibile lo svolgimento in comune dell’attività economica per cui la società è stata costituita. 2.3. La volontà di tutti i soci La società si scioglie, inoltre, per volontà di tutti i soci. La fattispecie, che costituisce applicazione del generale principio contenuto nell’art. 1372, comma 1, c.c., non pone particolari problemi allorché i soci non abbiano derogato alla regola dettata dall’art. 2252 c.c., che richiede l’unanimità dei consensi per le modifiche del contratto sociale; ha invece sollevato alcuni dubbi interpretativi nell’ipotesi in cui i contraenti abbiano stabilito la modificabilità a maggioranza delle pattuizioni originarie. Accanto a chi ritiene che, in tal caso, anche la decisione di sciogliere la società anzitempo segua la regola maggioritaria 21, si è infatti sostenuto sia che la decisione in commento dovrebbe essere sempre e comunque adottata con il consenso di tutti i contraenti (facendo prevalere il dato testuale dell’art. 2272, n. 3, c.c. 22 sull’eventuale clausola derogatoria dell’art. 2252 c.c.) , sia, in posizione intermedia, che la decisione di scioglimento possa essere adottata a maggioranza solo in presenza di una clausola che espressamente preveda tale modalità di assunzione della decisione per questo specifico argomento, a nulla rilevando l’introduzione in contratto di una deroga generale alla regola dell’unanimità 23. 19 Così, espressamente, CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 117118 e, in giurisprudenza, Cass. 15 luglio 1996, n. 6410, in Riv. Giur. Sarda, 1997, 326, con nota di W EIGMANN , Cass. 13 gennaio 1987, n. 134, in Giust. Civ., 1987, I, 843, App. Firenze, 19 maggio 2000, in Foro toscano, 2001, 145. 20 Così testualmente COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit. 308-309, cui adde CAGNASSO , La società semplice, cit., 270. 21 Cfr. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, 791; FERRI, Delle società, sub art. 2272, cit., 256; GALGANO , Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2013, 91 e CAGNASSO , La società semplice, cit., 260. 22 In tal senso cfr. BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 409; COTTINO , Diritto societario, Padova, 2011, 170. 23 Così, ad esempio, CAMP OBASSO, Diritto commerciale, cit., 118 e DI SABATO , La società semplice, cit., 108. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 18 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE Le pronunce giurisprudenziali, sul punto, non sono recentissime ed appaiono, in ogni caso, orientate ad accogliere la tesi che reputa sufficiente, ove l’atto costitutivo lo preveda, la semplice maggioranza per sciogliere anticipatamente la società24. Vale piuttosto la pena di segnalare una più recente decisione della Cassazione che ha sancito come la volontà del socio di addivenire allo scioglimento della società debba risultare in modo esplicito e non possa desumersi dalla dichiarazione di recesso dalla società per giusta causa. «Il recesso del socio, quando non si accompagni ad una chiara affermazione (di natura subordinata) di disponibilità allo scioglimento della società per mutuo consenso, non può determinare tale scioglimento solo perché venga a concorrere con una manifestazione di volontà in tal senso espressa dagli altri soci. (…) I soci diversi dal recedente» proseguono i giudici di legittimità «che, oltre a contestare la validità ed efficacia del recesso, dichiarino di voler addivenire allo scioglimento della società ex art. 2272, n. 3 c.c., formulano una semplice proposta, la quale abbisogna per tale scioglimento di un’ulteriore manifestazione di volontà del recedente in adesione alla proposta stessa, non potendosi considerare formato il consenso di tutti i soci, richiesto da quella norma, in base alla mera coesistenza di detto recesso e di detta 25 dichiarazione» . 2.4. Il venir meno della pluralità dei soci e la sua mancata ricostituzione nel termine di sei mesi «La società si scioglie» recita l’art. 2272 n. 4, c.c. «quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita». 26 Le società di persone non possono nascere da atto unilaterale ; ciò non impedisce, ovviamente, che la società, costituita con una pluralità di soci, si trovi a rimanere con un unico socio. Qualunque sia la ragione per cui ciò avviene (morte, recesso, esclusione, acquisto di tutte le altre partecipazioni da parte di un socio), occorre sottolineare come tale accadimento, di per sé, non determini alcuna conseguenza sul regolare svolgimento della vita sociale. Ciò che, ai sensi dell’art. 2272, n. 4, c.c. è causa di scioglimento della società, non è infatti la circostanza che essa rimanga con un unico socio, ma il fatto che la pluralità dei soci non venga ricostituita nel termine di sei mesi. 24 Cfr. (oltre alle indicazioni in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 749 ss.) Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487; Trib. Milano, 23 settembre 1965, in Dir. fall., 1966, II, 149. 25 Così Cass. 9 settembre 2002, n. 13063, in Giur. It., 2004, 100 e in Riv. notariato, 2003, II, 186. 26 Sul punto cfr. i recenti lavori monografici di CAP ELLI, Le società con un solo socio, Padova, 2012, passim e di SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola normativa, Milano, 2012, in part. 122 ss., ove ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 19 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE Dottrina e giurisprudenza sono assolutamente concordi nel ritenere che lo scioglimento della società si determina con effetti ex nunc allo spirare dei sei mesi e ciò anche quando la società fosse costituita da due soci soltanto27. La questione, affrontata dalla giurisprudenza soprattutto nell’ipotesi di morte di uno dei due soci, viene costantemente risolta in base al principio per cui «anche nella società di persone composta da due soli soci, ove la morte di un socio determini il venir meno della pluralità dei soci, non può riconoscersi un diritto degli eredi del socio defunto a partecipare alla liquidazione della società ed a pretendere una quota di liquidazione, in quanto lo scioglimento della società costituisce momento successivo ed eventuale rispetto allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio e trova causa non tanto nel venir meno della pluralità dei soci, quanto nel persistere per oltre sei 28 mesi della pluralità medesima» . Durante il periodo di tempo concesso per ricostituire la pluralità dei soci, la società opera pertanto regolarmente e l’unico socio conserva la stessa identica posizione e i medesimi poteri decis ionali che avrebbe avuto se non si fosse verificato il venir meno della pluralità dei soci: può dunque, ove ne ricorrano i presupposti, essere assoggettato a fallimento unitamente alla società 29, così come può decidere di porre anticipatamente in liquidazione la società (art. 2272, n. 3, c.c.), o di trasformarla in una società per azioni o in una società a responsabilità limitata unipersonali (art. 2500 ter c.c.) 30, ovvero, ove lo si ritenga ammissibile, in un’impresa individuale. 27 Cfr., per tutti, COTTINO , Diritto societario, cit., 171; CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 118; GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, cit., pag.;, BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 411 ss. Isolata è rimasta la posizione di FERRI, Delle società, sub art. 2272, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 246, secondo il quale la ricostituzione della pluralità dei soci opererebbe come condicio facti dello scioglimento, i cui effetti devono farsi risalire ex tunc al momento in cui è venuta meno la pluralità dei soci, con la conseguenza di «ingessare» il socio superstite in uno stato di quiescenza, durante il quale egli può compiere solo gli affari urgenti (art. 2274 c.c.) tra i quali non rientrerebbero né la liquidazione della quota agli eredi del socio defunto o al socio receduto o escluso né la possibilità di decidere lo scioglimento della società o la nomina dei liquidatori. 28 Così testualmente Cass. 26 giugno 2000, in Corr. giur., 2001, 1507, ma il principio è costantemente affermato dai giudici di le gittimità a partire da Cass. 22 dicembre 1978, n. 6156 in Giur. Comm., 1979, II, 179; cfr., ex multis, Cass. 18 settembre 2012, n. 15622, in Giust. Civ., 2012, I, 2269; Id. 11 maggio 2009, n. 10802, in www. dejure.it; Id. 5 marzo 2003, n. 3269, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 824; Id. 26 giugno 2000, n. 8670, in Dir. Fall., 2000, II, 1103; Id. 6 febbraio 1984, n. 907, in Giur. Comm., 1984, II, 240. 29 Cfr., ad esempio, Cass. 7 luglio 2008, n. 18600, in Fallimento, 2009, 365 e App. Firenze, 13 marzo 2010, in www.dejure.it. 30 Cfr. in argomento FERRI JR., Le nuove trasformazioni omogenee, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, vol. III, t. 1, Milano, 2005, 2507 e SARALE , Le trasformazioni, in AIELLOCAVALIERE -CAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 287, la IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 20 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE La possibilità di percorrere quest’ultima strada è in realtà molto controversa sia in dottrina sia in giurisprudenza e richiede qualche precisazione. Chi nega l’ammissibilità di tale operazione lo fa portando due diversi ordini di argomentazioni, che operano tuttavia su piani distinti e che devono essere esaminati separatamente. Ad un primo livello si colloca il limite di chi ritiene che tale trasformazione non sia ammissibile in quanto non espressamente prevista dal legislatore in nessuna delle due norme che, dopo la riforma del diritto societario, hanno disciplinato 31 le «trasformazioni eterogenee» (artt. 2500 septies e octies c.c.) . E’ ovvio che qualora si accolga tale orientamento, il problema sarebbe risolto in radice e il socio superstite dovrebbe necessariamente passare attraverso un procedimento di liquidazione della società. Su tale posizione è attestata la prevalente giurisprudenza, secondo la quale, conseguentemente, «non può essere iscritto nel registro delle imprese l’atto con il quale viene disposta la trasformazione di una società in nome collettivo in ditta individuale in quanto fattispecie non prevista dal legislatore» 32. Questa rigida lettura delle nuove disposizioni in tema di trasformazione è tuttavia contrastata dalla prevalente dottrina, la quale, traendo spunto dalle posizioni di chi già prima della riforma aveva indagato il tema delle trasformazioni eterogenee 33, tende a non riconoscere carattere tassativo alle operazioni esemplificate dagli artt. 2500 quale sottolinea come anche quella dottrina che individua nella unipersonalità della società un limite alla trasformazione (ad es. GUERRERA, La trasformazione di società di capitali in società di persone, in Riv. notariato, 2007, I, 827 ss.), applica tale limite alla trasformazione delle società di capitali verso i modelli per i quali la legge non prevede l’unipersonalità in sede costitutiva, con la conseguenza che esso non avrebbe ragione di porsi nel caso di trasformazione di una società di persone in una società di capitali. 31 Cfr. in particolare PALMIERI, Autonomia e tipicità nella nuova trasformazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, cit., 120. 32 Così, testualmente, T rib. Mantova, 28 marzo 2007, in Giur. comm., 2007, II, 1131, con nota di BENESP ERI, Trasformazione eterogenea: da società di persone a impresa individuale?, nonché Cass. 13 luglio 2006, n. 15924, in Fallimento, 2007, 165, con nota di PERRINO , Effetti della trasformazione di società di persone con unico socio superstite in impresa individuale; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3671, in Riv. notariato, 2007, II, 29; Cass. 15 maggio 2008, n. 12213, ivi, 2009, II, 160, con nota di UNGARI T RASATTI, Profili civili e fiscali della continuazione dell’impresa in forma individuale da parte dell’unico socio superstite di società di persone; App. Torino, 14 luglio 2010, ivi, 2011, II, 427, con nota di SCUDERI, La questione dell’ammissibilità delle trasformazioni eterogenee c.d. «atipiche» ed in particolare la trasformazione da società di persone in impresa individuale. 33 Cfr. in particolare SARALE , Trasformazione e continuità dell’impresa, Milano, 1996, passim e MARASÀ, Nuovi confini delle trasformazioni e delle fusioni nei contratti associativi, in Riv. dir. civ., 1994, II, 314. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 21 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE septies e octies c.c. e postula l’esistenza di un principio di libertà di trasformazione in assenza di norme che pongano limiti espressi alla libertà negoziale 34. Se si accetta tale lettura, ne discende la piena ammissibilità di una trasformazione della società di persone in impresa individuale nei sei mesi concessi al 35 socio ricostituire la pluralità dei soci , posto che non essendo in questo periodo la società ancora sciolta, non trova applicazione il divieto di cui all’art. 2280 c.c. che, secondo parte della dottrina, costituirebbe il secondo limite all’ammissibilità del passaggio da una società di persone a un’impresa individuale 36. Anzi, la necessità di passare necessariamente attraverso l’iscrizione della trasformazione nel registro delle imprese, concede ai creditori sociali un utile strumento di tutela, individuando in modo certo il momento dal quale decorrono i sessanta giorni concessi per fare opposizione alla trasformazione ex art. 2500 novies c.c., evitando in tal modo la confusione tra il patrimonio della società e quello personale del socio e la perdita del privilegio di cui godono rispetto ai creditori particolari. Lo scenario sopra descritto muta allorché, spirato il termine dei sei mesi, divenga operativa la causa di scioglimento. Preliminarmente è tuttavia opportuno sottolineare come il fatto che il socio non abbia ricostituito la pluralità dei soci e, quindi, la circostanza che la società di persone sia in fase di liquidazione, non costituisce un limite alla trasformazione in società di capitali unipersonale. La nuova formulazione dell’art. 2499 c.c., che prevede espressamente l’operazione anche in pendenza di una procedura concorsuale, consente infatti di considerare superate le perplessità del passato riguardo alla sua ammissibilità 34 E vedi, dopo la riforma del 2003, ancora SARALE, Le trasformazioni, in AIELLO-CAVALIERECAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 357 ss. e MARASÀ, Le trasformazioni eterogenee, in Riv. notariato, 2003, I, 585, nonché MALTONI, Le altre trasformazioni, in MALTONI-TASSINARI, La trasformazione delle società, Milano, 2005, 221 ss., FRANCH, Sub art. 2500 septies, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2006, 281 e CETRA , Le trasformazioni «omogenee» ed «eterogenee», in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, cit., 139. 35 Così P LASMATI, La trasformazione «da» e «in» impresa individuale o mera titolarità d’azienda, in Riv. Notariato, 2008, I, 125-126. 36 Cfr. già BOERO, Sulla «trasformazione» di società di persone in impresa individuale, in Giur. Comm., 1994, II, 269 cui adde, per ulteriori riferimenti, UNGARI T RASATTI, Profili civili e fiscali della continuazione dell’impresa in forma individuale da parte dell’unico socio superstite di società di persone, cit., 160 ss. e SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola normativa, cit., 129 ss. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 22 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE per le società in stato di liquidazione 37, così come la presenza di un unico socio lascia sullo sfondo il problema del coordinamento tra la regola che la revoca della liquidazione dovrebbe in ogni caso essere frutto di una decisione che raccolga il consenso unanime dei soci e quella che prevede, invece, che la trasformazione venga decisa, salvo diversa 38 previsione, dalla maggioranza dei soci calcolata per quote di interessi . Ciò premesso, i problemi sorgono quando, decorso inutilmente il periodo di sei mesi, l’unico socio non abbia preso nessuna delle decisioni sopra prospettate. Tale situazione deve essere esaminata tenendo presente che essa può in astratto dipendere due diverse circostanze: a) da un lato il mancato avvio del procedimento di liquidazione della società può essere frutto di una pura e semplice inerzia dell’unico socio, la quale determina uno stallo del procedimento di liquidazione, potenzialmente idoneo a protrarsi a tempo indefinito; b) dall’altro può accadere che l’unico socio prosegua nei fatti come imprenditore individuale l’attività che costituiva l’oggetto sociale, senza passare attraverso un procedimento di liquidazione e confondendo il patrimonio della società con il suo personale. Le due situazioni, entrambe molto frequenti nella prassi, pongono problemi differenti e richiedono di essere esaminate separatamente. Nel caso di inutile decorso del termine di sei mesi senza che il socio abbia assunto nessuna iniziativa, parte della dottrina ha posto l’accento sulla necessità di tutelare i creditori della società e il loro interesse a che il soggetto con il quale hanno trattato «non sgusci loro di mano e il suo patrimonio non si dissolva o si confonda con quello del socio superstite»39 e ha ipotizzato un interesse diretto di costoro di ricorrere all’autorità giudiziaria per chiedere la nomina di un liquidatore 40. 37 Sulla compatibilità della trasformazione con lo stato di liquidazione cfr. CAVANNA , La trasformazione delle società, in Trattato Rescigno, vol. 16, t. 1, Torino, 2008, 202 ss.; MOSCA, Sub art. 2499, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, cit., 54 ss.; MALTONI, La disciplina generale della trasformazione, in MALTONI-TASSINARI, La trasformazione delle società, cit., 15 ss. Ammette esplicitamente che la società in nome collettivo che si trovi ad essere con unico socio possa, dopo il decorso dei sei mesi, trasformarsi in società a responsabilità limitata unipersonale DE MARTINO , La ricostituzione della pluralità dei soci nelle società di persone decorsi sei mesi ex art. 2272 n. 4 c.c., Studio n. 156-2009, pubblicato su www.notariato.it. 38 Sul punto si veda SARALE, Le trasformazioni, cit., 282-283 e nota 151. 39 Così COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 312 ss. 40 Cfr., riprendendo uno spunto di ASCARELLI, Morte di un socio in una società personale di due soci, in Riv. dir. comm., 1949, I, 271, COTTINO , Diritto societario, cit., 172, e CAGNASSO, La società semplice, cit., 275. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 23 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE La tesi, accolta anche da alcune pronunce giurisprudenziali 41, è stata criticata poiché finirebbe con l’attribuire al creditore sociale una tutela maggiore di quella di cui egli godrebbe durante la vita della società 42, ma ha l’indubbio pregio di individuare un rimedio per porre fine ad una situazione ad «assetto instabile» 43, nella quale il socio superstite protrae a tempo indefinito lo stato di liquidazione, esponendo i creditori sociali al rischio di una confusione tra patrimonio sociale e il suo patrimonio personale e impedendo ai creditori personali la possibilità di chiedere la liquidazione della quota (posto che la società in stato di liquidazione nella quale il socio non compia nessuna operazione non può considerarsi prorogata, con la conseguenza di rendere inapplicabile l’art. 2307 c.c.) 44. Se l’ipotesi sopra prospettata è, in concreto, molto marginale, essendo limitata ai rari casi nei quali, spirato il termine dei sei mesi, il socio si disinteressi della sorte della società, relegandola ad libitum in una sorta di limbo, molto più frequente è l’ipotesi che il socio prosegua lo svolgimento dell’attività economica che costituiva l’oggetto sociale della società, senza passare attraverso la sua liquidazione, ma «trasformandola» di fatto in un’impresa individuale. Chi contesta l’ammissibilità dell’operazione (oltre a richiamare il dato testuale degli artt. 2500 septies e octies c.c., leggendo in tali norme, nei termini sopra ricordati, un divieto di trasformazione delle società di persone in impresa individuale) invoca a sostegno della propria posizione il disposto dell’art. 2280 c.c. (che vieta ogni ripartizione dei beni sociali tra i soci finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli), desumendone che il passaggio 41 Si vedano Cass. 8 agosto 1990, n. 8001, in Giur. It., 1991, I, 1, 155; Trib. Como, 28 settembre 1987, in Società, 1988, 182; T rib. Torino, 18 marzo 1983, in Giur. Comm., 1984, II, 80. 42 Si veda in particolare PORZIO , Sulla disciplina della società di persone con un solo socio, in Riv. soc., 1965, 286, nonché NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, Milano, 1990, 479. 43 Utilizza l’espressione per descrivere la situazione in cui viene a trovarsi la società il cui unico socio non assuma alcuna iniziativa SP IOTTA , La società unipersonale. Una parabola normativa, cit., 129. 44 In questo contesto si rivela inoltre di scarsa utilità (quando non addirittura controproducente) il ricorso all’istituto della cancellazione d’ufficio della società dal registro delle imprese disciplinato dall’art. 3, d.p.r. 247/2004. E’ infatti vero che il procedimento può essere avviato quando l’ufficio del registro delle imprese rileva «la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi» (art. 3, comma 1, lett. d), ma è altrettanto vero che un’eventuale cancellazione della società in nome collettivo potrebbe rivelarsi per il creditore sociale un’arma a doppio taglio, determinando il dies a quo dell’anno entro il quale, ai sensi dell’art. 10 l. fall., la società può essere dichiarata fallita. Sotto questo profilo, piuttosto, maggiormente utile si rivela il potere riconosciuto al Presidente del T ribunale di procedere, in alternativa alla cancellazione, alla nomina di un liquidatore (cfr. art. 3, commi 2 e 3 del citato d.p.r. dove è descritto il procedimento da seguire per giungere a tale nomina). IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 24 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE dalla società all’impresa individuale sarebbe possibile solo a seguito della integrale definizione di tutti i rapporti passivi facenti capo alla società45. Ora, nessuno nega che l’unico socio, spirato il termine dei sei mesi, dovrebbe passare attraverso la liquidazione della società, subordinando alla cancellazione dal registro delle imprese o, comunque, all’assenza di passività l’eventuale assegnazione a se stesso del complesso aziendale; il punto è che lo scopo che il socio vuole raggiungere non è certo quello di definire tutti i rapporti pendenti, bensì di utilizzare il medesimo 46 complesso produttivo per proseguire l’attività come imprenditore individuale . Si tratta quindi di cercare, nel diritto positivo, quali norme siano maggiormente adatte a tutelare i creditori della società quando il socio abbia nei fatti proseguito l’attività, confondendo il patrimonio sociale con il suo proprio e facendo in tal modo perdere ai creditori sociali il privilegio di cui godono rispetto ai creditori particolari. E, così come nell’ipotesi sopra illustrata di trasformazione della società in impresa individuale prima della scadenza dei sei mesi, ci sembra che lo strumento più adatto sia ancora una volta rappresentato dall’opposizione ex art. 2500 novies c.c., pur nella consapevolezza che l’assenza di un’adeguata pubblicità della «trasformazione» rende oggettivamente difficile garantire una reale tutela per i creditori «privi, in casi come questo, di appigli testuali per intuire che sia necessario e possibile presentare tempestivamente opposizione all’operazione giuridica posta in essere»47. 2.5. Il provvedimento dell’autorità governativa e la dichiarazione di fallimento Come si è accennato in precedenza, le società in nome collettivo si sciolgono altresì per provvedimento dell’autorità governativa e, se esercitano un’attività commerciale, per la dichiarazione di fallimento. La prima ipotesi, unanimemente ricondotta dalla dottrina al provvedimento con il quale si dispone l’assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa (art. 197, l. 48 fall) , ha, nei fatti, perso la sua ragion d’essere. Se infatti al momento dell’entrata in vigore del codice civile e della coeva legge fallimentare essa poteva trovare un angusto 45 Cfr. gli autori citati supra nella nota 36. E vedi COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, cit., 314, per i quali «il patrimonio sociale viene assorbito da quello del socio superstite (…); sicché alla responsabilità sociale anteatta si aggiunge, senza soluzione di continuità, quella del nuovo esercizio imprenditoriale da parte di chi ha rilevato l’azienda». 47 Così, SCUDERI, La questione dell’ammissibilità delle trasformazioni eterogenee c.d. «atipiche» ed in particolare la trasformazione da società di persone in impresa individuale, cit. 433. 48 Per tutti, cfr. già GHIDINI, Società personali, cit., 797, BAVETTA , La società in nome collettivo, in Tratt. Rescigno, cit., 155 e FERRI, Delle società, sub art. 2308, in Comm. ScialojaBranca, cit., 449. 46 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 25 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE ambito di applicazione nelle rare ipotesi in cui il legislatore non imponeva l’adozione della forma di società per azioni o di società cooperativa per l’esercizio di imprese assoggettate a controllo pubblico e, quindi, in caso di insolvenza o di gravi irregolarità nella gestione, sottoposte alla procedura concorsuale governata dall’autorità amministrativa, è altrettanto vero che tali ipotesi si sono nel tempo ridotte fino a 49 sparire . Più complesso risulta invece l’esame della seconda ipotesi, che pone delicati problemi di ordine sistematico sia in rapporto alla disciplina delle società di capitali, sia in relazione alla disciplina del fallimento così come novellata a partire dalla riforma del 2006. Dall’art. 2308 c.c. sono anzitutto ricavabili due principi. Il primo è quello che la causa di scioglimento in questione non si applica a qualunque società in nome collettivo, ma solo a quelle che hanno per oggetto un’attività commerciale (salvo poi discutere se l’assoggettamento a procedura concorsuale discenda dalla mera enunciazione nell’atto costitutivo di un’attività commerciale o sia invece legato all’effettivo svolgimento di tale attività)50. Il secondo (apparentemente scontato, ma ribadito in alcune occasioni anche dalla giurisprudenza)51 è che il fallimento non costituisce causa di estinzione della società52, ma solo di scioglimento, con la particolarità che, in tal caso, la liquidazione dei beni sociali non passa attraverso l’ordinario procedimento disciplinato dal codice civile, ma è 49 Si vedano, sul punto, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, in Tratt. Cottino, vol. III, Padova, 2004, 311 che citano, tra gli altri, il caso dell’attività bancaria, esercitabile anche dalle società di persone in base alla legge bancaria del 1936 (artt. 28, ult. comma e 30, comma 1, r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375) ed ora riservata da T esto unico bancario a società che abbiano adottato la forma della società per azioni o della società cooperativa per azioni a responsabilità limitata (art. 14, comma 1, lett. a, d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Di «difficoltà di reperire esempi che sostanzino la disposizione de qua» parla anche BUONOCORE, Società in nome collettivo, cit., 416. 50 Sul punto, per tutti, FORTUNATO , Sub art. 1, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, Bologna, 2006, 50 ss., CAP O , I presupposti del fallimento, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, vol. I, T orino, 2009, 26 ss. e CAVALLI, in AMBROSINI-CAVALLI-JORIO , Il fallimento, in Tratt. Cottino, vol. XI, t. II, Padova, 2009, 78 ss. ove ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza sui due diversi orientamenti. 51 Cfr., ad esempio, Cass. 23 aprile 2010, n. 9723, in Fall., 2010, 1463, Cass. 30 settembre 2009, n. 20947, in Giur. Comm., 2011, II, 1046 con nota di MENICUCCI e T rib. Verona, 17 ottobre 1989, in Giur. It., 1990, I, 1, 791 con nota di CAGNASSO . 52 Si vedano già FERRI, Delle società, sub art. 2308, cit., 450; BAVETTA , La società in nome collettivo, in Tratt. Rescigno, cit., 155; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 417. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 26 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE affidata agli organi della procedura e non rende pertanto necessario che la società provveda a sostituire i suoi amministratori con dei liquidatori 53. Se può dirsi pacifico che la dichiarazione di fallimento non produce di per sé alcun effetto estintivo nei confronti della società, molto meno chiaro è invece in che misura il fallimento sia destinato a rilevare come causa di scioglimento o, più precisamente, quale sia la sorte della società al termine della procedura fallimentare. Il 54 quesito, ampiamente discusso già prima della riforma delle procedure concorsuali , trova oggi una possibile (parziale) risposta nel nuovo testo dell’art. 118, comma 2, l. fall., così come modificato dal decreto «correttivo» del 2007 (d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169), in virtù del quale il curatore, al termine della procedura concorsuale, deve chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese solo nelle ipotesi in cui la chiusura del fallimento sia disposta per avvenuta ripartizione finale dell’attivo (art. 118, n. 3, l. fall.) o perché nel corso della procedura sia accertato che la sua prosecuzione non consente di soddisfare neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese della procedura (art. 118, n. 4, l. fall.) 55. Ciò significa che quando il fallimento si chiuda per uno degli altri motivi indicati nell’art. 118, comma 1, l. fall., o per la definitività del decreto di omologazione del concordato fallimentare, e, comunque, in tutte le ipotesi in cui alla chiusura del fallimento sussista ancora un residuo patrimoniale in capo alla società, i soci potranno, con decisione unanime, revocare lo stato di liquidazione e proseguire l’attività sociale 56. Ed è in tale ultimo aspetto che si annida, a nostro avviso, una significativa differenza di disciplina tra società di persone e società di capitali. E’ noto infatti che il legislatore del 2003 nel dettare il nuovo art. 2484 c.c., che disciplina in modo unitario per tutte le società di capitale le cause di scioglimento, ha espressamente espunto da 57 esse il fallimento . Tale previsione ha indubbiamente creato una disarmonia di sistema, 53 Così COTTINO -W EIGMANN , Le società di persone, cit., 311, nonché, amplius, NIGROVATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 307 ss. 54 Per tutti cfr. NIGRO , Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, vol. II, T orino, 1993, 209 ss. e NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società per azioni, ivi, vol. VII, t. 3, Torino, 1997, 377 ss. 55 In argomento AMBROSINI, in AMBROSINI-CAVALLI-JORIO , Il fallimento, cit., 682 e NIGROVATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, cit., 306, nonché, da ultimo, FERRI JR., Fallimento e scioglimento delle società, in Riv. dir. comm., 2009, I, 1 ss., in particolare 27 ss., e BUSSOLETTI, Lo scioglimento e l’estinzione della società fra apertura, chiusura e riapertura del fallimento, in RSD, 2009, 457 ss. 56 Cfr. COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 311. 57 Sul punto cfr. NICCOLINI, Sub art. 2484, in Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, Napoli, 2004, 1725, NIGRO , Diritto societario e procedure IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 27 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE posto che, come si è appena visto, non sono state modificate le corrispondenti norme (artt. 2308 e 2323 c.c.) per le società di persone; poiché, tuttavia, l’art. 118 l. fall. si applica a tutte le società (con la conseguenza che il curatore, chiuso il fallimento ex art. 118, nn. 3 o 4, l. fall., dovrà chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese, senza che sotto tale aspetto il legislatore faccia distinzione tra i diversi tipi societari), ne discende che l’unica vera diversità tra società di persone e società di capitali si verifica nell’ipotesi di chiusura della procedura con un residuo attivo. Nel caso delle società di capitali, infatti, non essendo più previsto il fallimento tra le cause di scioglimento, la società potrà riprendere ad operare, senza che debba essere adottata alcuna delibera di revoca della liquidazione; delibera che sarà invece necessaria nelle società di persone, posto che il legislatore continua ad elencarlo tra le cause di scioglimento, a meno di ritenere che il nuovo art. 118 l. fall. abbia determinato l’espunzione della dichiarazione di fallimento da quelle previste per tutte le società 58 (anche di persone) , lettura che, per quanto autorevolmente sostenuta, ci sembra non riesca ad aggirare il dato testuale dell’art. 2308 c.c. 3. Operatività e accertamento delle cause di scioglimento E’ opinione consolidata e pacifica che le cause di scioglimento operano, nelle società di persone, di diritto, con la conseguenza che il semplice verificarsi di una delle ipotesi previste dalla legge, o eventualmente dal contratto sociale, pone automaticamente la società in stato di liquidazione 59, senza che a tal fine siano necessarie né una decisione dei soci né una pronuncia giudiziale e senza che dell’evento in sé debba essere data alcuna forma di pubblicità (richiesta dalla legge solo per il successivo atto di nomina dei liquidatori: art. 2309 c.c.). L’esistenza di una causa di scioglimento, indipendentemente dal fatto che essa sia stata rilevata o accertata, riduce però i poteri degli amministratori, limitandoli al compimento degli affari urgenti, sino a che siano presi i provvedimenti necessari alla liquidazione (art. 2274 c.c.). La posizione dell’amministratore che abbia violato l’art. 2274 c.c. è dalla dottrina prevalente assimilata a quella di un falsus procurator, con la concorsuali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abba dessa e Portale, vol. 1, T orino, 2007, 188 ss. e SARALE , Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, cit., 1188. 58 Così, esplicitamente, BUSSOLETTI, Lo scioglimento e l’estinzione della società fra apertura, chiusura e riapertura del fallimento, cit., 459, nonché, in modo più sfumato, FIMMANÒ, L’impresa in crisi come oggetto «proprio» della tutela cautelare, in NDS, 2013, n. 1, 61 ss. 59 E vedi già GHIDINI, Società personali, cit., 811, nonché (oltre all’ampia rassegna di in COSTIDI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 803 ss.) COTTINO , Diritto societario, cit., 275; CAMPOBASSO , Diritto commerciale, cit., 118; DI SABATO , La società semplice, cit.; BUONOCORE , Società in nome collettivo, cit., 419. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 28 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE conseguenza che gli atti non urgenti da lui compiuti non saranno imputabili alla società e delle relative obbligazioni risponderà esclusivamente colui che le ha poste in essere60. Tale automatismo ha suscitato in alcuni autori delle perplessità, in particolare nell’ipotesi in cui la causa di scioglimento sia di difficile verificazione o possa prestarsi a dubbi o contestazioni: se infatti dovesse applicarsi rigidamente la regola dell’art. 1398 c.c., i terzi che abbiano contrattato con un amministratore dopo che si sia verificata una causa di scioglimento, vedrebbero sostituirsi alla responsabilità della società (e del suo patrimonio), quella, più ristretta, dell’amministratore che abbia agito come 61 rappresentante senza poteri . La soluzione sta, probabilmente, nel distinguere il profilo della responsabilità interna dell’amministratore, da quello della sua responsabilità verso i terzi. Nel primo caso, l’amministratore che abbia compiuto atti non urgenti, pur conoscendo o potendo conoscere usando la diligenza cui è tenuto ex art. 2260 c.c. che si era verificata una causa di scioglimento, potrà incorrere in responsabilità verso la società, nella misura in cui ad essa sia derivato un danno. Nel secondo, in assenza di una norma che imponga di dare pubblicità dell’avvenuto scioglimento nel registro delle imprese, pare ragionevole che la società non possa opporre al terzo di non essere vincolata dagli atti non urgenti compiuti dai suoi amministratori solo perché si è verificata una causa di scioglimento, ma che l’applicazione della disciplina generale della rappresentanza sia comunque condizionata dalla possibilità di opporre ai terzi l’avvenuto scioglimento della società. Con la conseguenza, si è scritto, che «l’opponibilità non potrebbe essere che rapportata allo stato di conoscenza, da parte del terzo (o dei terzi) interessati, della situazione 62 giuridica in cui si trova la società» ; se tale situazione non è portata a conoscenza dei terzi o se non si riesce a fornire la prova che costoro ne erano comunque a conoscenza, gli effetti dell’atto concluso dall’amministratore senza poteri, ma in nome e per conto della società, si produrranno nella sfera giuridica di quest’ultima, nonostante l’evento dello scioglimento63. E questa soluzione appare tanto più condivisibile ove si consideri che la giurisprudenza ritiene pacificamente che, fino a quando i liquidatori non siano stati nominati, continuano a rappresentare la società coloro che erano a ciò designati 60 Cfr. GHIDINI, Società personali, cit., 830; FERRI, Delle società, sub art. 2274, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 264; CAMP OBASSO, Diritto commerciale, cit., 119; CAGNASSO , La società semplice, cit., 277. 61 Per tale rilievo si veda in particolare COTTINO , Diritto societario, cit., 176 ss. 62 Così testualmente COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 318, nonché già GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962, 543. 63 E si vedano in tal senso MOTTI, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, cit., 78; CAMPOBASSO , Diritto commerciale, cit., 119; P RESTI-RESCIGNO, Corso di diritto commerciale. Vol. II. Società, cit., 48. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 29 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE anteriormente allo scioglimento 64 e che «per quanto attiene, più in particolare alle società in nome collettivo, gli amministratori che abbiano avuto conferita la rappresentanza della società, conservano tale rappresentanza fino all’eventuale nomina dei liquidatori, poiché la società –sia essa di persone o di capitali- non rappresenta, dopo 65 il suo scioglimento, nella fase di liquidazione, un ente diverso da quello originario» . Qualora vi sia controversia sull’esistenza della causa di scioglimento (si pensi alle difficoltà di accertare il conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità di conseguirlo, o alle contestazioni che possono sorgere in merito a queste due ipotesi), è comunque sempre possibile chiedere l’accertamento giudiziale dello stato di liquidazione. La domanda può essere proposta sia in via principale allo scopo di ottenere una sentenza di accertamento, sia in via di eccezione, ad esempio da parte del socio di una società di due soci che, convenuto in giudizio per sentir pronunciare la sua esclusione, chieda riconvenzionalmente che il tribunale dichiari l’intervenuto scioglimento della società 66. Quanto ai soggetti legittimati all’azione di accertamento in esame, è opinione diffusa in giurisprudenza quella che la possibilità di far accertare lo stato di liquidazione spetti in via esclusiva ai soci: si è così negato che gli eredi del socio defunto (che non abbiano assunto la qualifica di soci, ma vantino unicamente un diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa) abbiano titolo per chiedere l’accertamento dello stato di liquidazione della società 67 o per far valere l’illegittimità di una delibera di revoca dello stato di scioglimento disposta dai soci superstiti68. Uno dei punti maggiormente controversi (almeno fino a due pronunce delle Sezioni Unite rese nel 2002 a un mese di distanza una dall’altra, prima in tema di 69 società di capitali, poi di società di persone) ha invece, a lungo, riguardato il ruolo e i poteri del presidente del tribunale, adito per la nomina dei liquidatori ex art. 2275 c.c. La norma (come avremo modo di approfondire nei prossimi paragrafi) prevede che la liquidazione della società possa essere affidata a uno o più liquidatori nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale. E’ pacifico, ed è ribadito in numerosissime pronunce a) che l’intervento dell’autorità giudiziaria è rigorosamente subordinato al disaccordo tra i soci in ordine alla nomina del 64 Cfr., ad esempio, Cass. 16 novembre 1996, n. 10065, in Giust. Civ. Mass., 1996, 1534 e Trib. Torino, 21 marzo 1981, in Giur. Comm., 1981, II, 876. 65 Così Cass. 14 ottobre 1997, n. 10027, in Giust. Civ. Mass., 1997, 1932. 66 Sul punto, per tutti, GHIDINI, Società personali, cit., 821. 67 Così Cass. 14 marzo 2001, n. 3671, in Giust. Civ., 2001, I, 2397; Trib. Milano, 26 ottobre 2002, in Giur. It., 2003, 508. 68 In tal senso Trib. Milano, 14 ottobre 2009, in www.dejure.it. 69 Si tratta di Cass. S.U., 25 giugno 2002, n. 9231, in Giur. It., 2002, 2095 e in Riv. notariato, 2003, II, 194 e di Cass. S.U., 26 luglio 2002, n. 11104, in Giust. Civ., 2003, I, 83 e in Giur. It., 2003, 1869, con nota di W EIGMANN, sulle quali si tornerà diffusamente infra nel testo. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 30 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE liquidatore, b) che il provvedimento presidenziale viene emesso in sede di volontaria giurisdizione e, in quanto tale, non è reclamabile né suscettibile di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost.70. I problemi sorgono quando il disaccordo tra i soci non riguardi la nomina del liquidatore, ma l’esistenza stessa della causa di scioglimento. La giurisprudenza si è a lungo divisa tra quanti ritenevano che la presenza di contestazioni sull’intervenuto scioglimento della società non impedisse al giudice di nominare in sede di volontaria giurisdizione i liquidatori, ferma restando la possibilità per qualunque interessato di promuovere in sede ordinaria un’autonoma azione di accertamento negativo volta 71 contestare la circostanza che la società di trovasse in stato di liquidazione e quanti sostenevano, invece, che il presidente del tribunale potesse nominare i liquidatori solo nel caso in cui vi fosse accordo tra i soci sul fatto che la società si trovasse in liquidazione, con la conseguenza che il provvedimento il quale, oltre a nominarli, si fosse pronunciato anche sull’intervenuto scioglimento della società, assolvendo la funzione di risolvere una controversia in materia di diritti soggettivi dei soci, avrebbe assunto sul punto contenuto decisorio equiparabile a quello di una sentenza e sarebbe pertanto divenuto reclamabile e ricorribile per Cassazione ex art. 111 Cost.72. La questione è stata affrontata nel 2002 dalle Sezioni Unite della Cassazione 73. La Corte ha preso decisamente posizione a favore del primo tra i due orientamenti sopra prospettati e ha sancito che il decreto con il quale il presidente del tribunale abbia provveduto alla nomina dei liquidatori di una società di persone ai sensi dell’art. 2275 c.c. non è suscettibile di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione che non assume carattere decisorio neanche quando sussista contrasto sulla causa di scioglimento e il presidente si sia pronunciato sul punto. Egli infatti, dopo un’indagine sommaria e condotta incidenter tantum, può 70 Cfr. sul punto (anche per ampi riferimenti alle posizioni della giurisprudenza prima delle pronunce della Cassazione citate alla nota precedente) BUONOCORE, Società in nome collettivo, cit., 436 ss., COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 319 ss., nonché (con riferimento alla analoga questione in tema di società di capitali) NICCOLINI, Scioglimento, liquidazione ed estinzione delle società per azioni, cit., 554 ss. e CAVALIERE , Le cause di scioglimento, cit., 69 ss. 71 Cfr. Cass. 26 gennaio 2000, n. 845 in Foro It., 2000, I, 1622; Cass. 21 novembre 1998, n. 11798, in Giur. It., 1999, 566; Cass. 2 dicembre 1996, n. 10718, in Società, 1997, 528 con nota di CERRAI-DINI, Natura del provvedimento giudiziario di nomina del liquidatore; Cass. 10 febbraio 1987, n. 1392, in Società, 1987, 528: 72 Si vedano in tal senso Cass. 19 settembre 2000, n. 12391 e Cass. 13 giugno 2000, n. 8030, entrambe in Giur. It., 2001, 257 con nota di WEIGMANN ; Cass. 12 giugno 1998, n. 5885, ivi, 1999, 566; Cass. 24 ottobre 1996, n. 9267, in Giust. Civ., 1997, I, 1353 con nota di VIDIRI, Scioglimento della società di capitali e decreto presidenziale di nomina dei liquidatori. 73 Cfr. supra nota 69. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 31 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta, ma non accerta in via definitiva né l’intervenuto scioglimento né le cause che lo avrebbero prodotto, tanto che ciascun interessato, purché legittimato all’azione, potrà promuovere un giudizio ordinario su dette questioni e, qualora resti provata l’insussistenza della causa di scioglimento, ottenere la rimozione del decreto e dei suoi effetti. La soluzione prospettata dalla Corte (che ha trovato per un breve periodo consacrazione legislativa nella riforma del processo societario disciplinata dal d. lgs. 17 74 75 gennaio 2005, n. 5) è stata seguita (con poche eccezioni) dalle pronunce di legittimità e di merito successive76 e si rivela particolarmente ragionevole là dove trova un punto di equilibrio tra le opposte esigenze, da un lato, di assicurare che «in una fase delicata della vita della società, ed in presenza di disaccordi tra i soci, l’ente sociale non 74 Il riferimento è al regime dei procedimenti camerali in materia di società (tra i quali rientrava per espressa previsione legislativa anche quello di nomina dei liquidatori ex art. 2275 c.c.: cfr. l’art. 33, d. lgs. 5/2003), disciplinati dagli artt. 25-33 del d. lgs 17 gennaio 2003, n. 5 e successivamente abrogati dall’art. 54, comma 5, della L. 18 giugno 2009, n. 69. T ali norme disponevano che ciascuna parte potesse chiedere che fosse decisa «con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale, della quale il giudice deve conoscere ai fini della definizione del procedimento» (art. 32, comma 1); il giudizio incidentale, volto nel nostro caso ad accertare la sussistenza della causa di scioglimento, procedeva quindi secondo il rito contenzioso riformato, ma la sua proposizione non aveva effetti sul procedimento camerale e non impediva che il presidente del tribunale potesse nominare i liquidatori, sul presupposto, da accertarsi sommariamente (art. 30, comma 2) dell’intervenuta causa di scioglimento. Al tempo stesso nulla impediva che nel corso del giudizio incidentale promosso dalla parte che contestava l’intervenuto scioglimento della società il decreto presidenziale di nomina dei liquidatori potesse essere modificato o revocato (art. 32, comma 3). In argomento cfr. COTTINOW EIGMANN , Le società di persone, cit., 321 ss., nonché TURRONI, Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, Bologna, 2008, 1105 ss. Sul regime dei procedimenti camerali in materia di società all'indomani dell'abrogazione degli artt. 25-33 del d. lgs. 5/2003 si vedano gli Orientamenti dei giudici della terza sezione civile del tribunale di Roma, in Società, 2009, 1234. 75 Si veda in particolare Cass. 8 gennaio 2003, n. 61, in Dir. e prat. soc., 2003, 7, 74, secondo la quale «il disaccordo che giustifica l'intervento del presidente del tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, è esclusivamente quello che attiene alla nomina del liquidatore, essendo esso rivolto non a comporre conflitti di interessi incidenti su situazioni di diritto soggettivo, bensì a supplire alla mancanza di un accordo sull'organo della liquidazione, una volta che sia certo, perché incontestato o incontestabile, il presupposto di essa e cioè lo scioglimento». 76 Nel solco tracciato dalle citate Cass. 9321/2002 e 11104/2002 si vedano, ad esempio, Cass. 7 novembre 2011, n. 15070 in www.dejure.it; Cass., 27 aprile 2004, n. 4113, in www.dejure.it; Trib. Milano, 7 aprile 2012, in Giur. It., 2012, 2291; Trib. T rib. Reggio Emilia, 5 febbraio 2008, in Dir. e prat. soc., 2008, 14-15, 77; Trib. Napoli, 18 aprile 2007, in Società, 2008, 1256; T rib. Roma, 26 settembre 2005, in Giur. Comm., 2007, II, 867, con nota di CARLEVALE , Note in tema di nomina giudiziale del liquidatore e poteri di accertamento del Tribunale. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 32 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE rimanga privo per un periodo indeterminato degli organi deputati a gestire la fase successiva allo scioglimento»77 e, dall’altro, di tutelare comunque il diritto di ogni socio di poter contestare, in un autonomo giudizio di cognizione, l’intervenuto scioglimento della società. La circostanza che l’intero procedimento di liquidazione abbia ad oggetto l'interesse generale della società e l'interesse collettivo dei soci e dei creditori, è affermazione ricorrente in giurisprudenza, ed è utilizzata, in particolare, per sostenere che le controversie relative all’avvenuto scioglimento della società devono essere necessariamente proposte davanti all’autorità giudiziaria e non sono pertanto compromettibili in arbitri. 78 Nonostante le sempre più numerose voci critiche della dottrina , la giurisprudenza, sia di legittimità, sia di merito, è costante nell’affermare che «non è compromettibile in arbitri, in quanto concernente diritti indisponibili, la controversia tra soci e società di persone riguardante la verificazione di una causa di scioglimento»79. E l’affermazione è stata tenuta ferma anche alla luce del nuovo regime processuale introdotto dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, il cui art. 34 prevede l’assoggettabilità ad arbitrato di ogni controversia societaria, purché avente ad oggetto diritti disponibili80. 77 Così testualmente Cass. 26 luglio 2002, n. 11104, cit. Si vedano, in particolare, ZOPP INI, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» nel nuovo arbitrato societario, in Riv. soc., 2004, 1173; NELA , sub art. 34, in Il nuovo processo societario, diretto da Chiarloni, cit., 945 ss., nonché, da ultimo, CERRATO , La clausola compromissoria nelle società, Torino, 2012, passim, e spec. 162 ss. e ID ., Le forme convenzionali di risoluzione dei contrasti: arbitraggio gestionale ed arbitrato, infra, nella Parte III di questo volume. 79 Così Cass. 19 settembre 2000, n. 12412 in Giust. Civ., 2001, I, 405 con nota di VIDIRI Compromesso (e clausola compromissoria) e controversie in materia societaria; nello stesso senso cfr. Cass. 6 luglio 2000, n. 9022, in Dir. e Prat. Soc., 2000, fasc. 21, 77; Trib. Milano, 6 marzo 2003, in Giur. It., 2003, 1411; Trib. Napoli, 6 marzo 1993, in Società, 1993, 982. Sulla non compromettibilità in arbitri della controversia relativa all’esclusione di un socio quando da essa possa scaturire lo scioglimento della società si vedano Trib. Napoli, 29 marzo 2003, in Società, 2003, 1251; Lodo arb. 15 aprile 2002, in Riv. Arb., 2002, 557, con nota critica di AMADEI, In favore della compromettibilità in arbitri della controversia sulla esclusione reciproca dei soci di una società di due persone; Trib. Catania, 13 settembre 1999, in Giur. Comm., 2000, II, 507. 80 Dopo la riforma del processo societario cfr. Trib. Milano, 15 maggio 2009, in www.dejure.it; Trib. Reggio Emilia, 5 febbraio 2008, cit.; Trib. Salerno, 12 aprile 2007, in Giur. Comm., 2008, II, 865, con nota critica di CORSINI, Società di persone, clausola compromissoria statutaria ed arbitrabilità delle controversie in materia di scioglimento del rapporto sociale; Trib. Ravenna, 3 febbraio 2006, in Giur. It., 2003, 1875, con nota critica di CERRATO , Scioglimento della società e arbitrato: nihil sub sole novi?. A favore della tesi giurisprudenziale cfr. COTTINO , Diritto societario, cit., 180; CHIARLONI, Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato 78 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 33 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE 4. Il procedimento di liquidazione e il problema della sua obbligatorietà La liquidazione delle società, si diceva in apertura dell’articolo, è anzitutto un procedimento. Procedimento che da un punto di vista logico, prima ancora che normativo, ha un momento iniziale (la nomina dei liquidatori: artt. 2275 e 2309 c.c.) e un momento finale (la redazione e l’approvazione del bilancio finale di liquidazione: art. 2311 c.c.); tra questi due estremi è possibile collocare altre quattro fasi: a) il passaggio dei beni sociali dagli amministratori ai liquidatori, con relativa redazione e sottoscrizione da parte di entrambi dell’inventario, b) la «monetizzazione» del patrimonio sociale, c) il pagamento dei creditori sociali, d) l’eventuale distribuzione di 81 quanto resta ai soci in proporzione alla quota da ciascuno di essi posseduta . Prima tuttavia di esaminarle, occorre affrontare una questione preliminare, ovvero chiarire se e in che misura il procedimento formale di liquidazione sopra descritto sia, nelle società in nome collettivo, obbligatorio. Il punto di partenza per inquadrare correttamente il problema è costituito dalla disciplina dettata dal legislatore per le società semplici all’art. 2275 c.c. La norma sancisce che «la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori», ma subordina espressamente tale modalità di dissoluzione del patrimonio sociale al fatto che il contratto non contenga indicazioni sul punto («Se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale…») e che non sussista accordo tra i soci sul come stabilirle («… e i soci non sono d’accordo nel determinarlo»). Da questa disposizione giurisprudenza e dottrina ricavano, pressoché unanimemente82, la regola che la liquidazione, intesa come procedimento volto al soddisfacimento dei creditori sociali prima di poter procedere alla suddivisione del patrimonio sociale tra i soci, è momento societario e sulla natura del lodo, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2004, 128, nota 10; LUISO, Sub art. 34, in Il nuovo processo societario, a cura di Luiso, T orino, 2006, 562 ss. Sulla disciplina dell’arbitrato societario si vedano anche CAPELLI, Profili sostanziali dell’arbitrato societario, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, diretto da Benazzo, Cera e Patriarca, Torino, 2011, 149 ss. e CABRAS, Sub art. 34, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d’Alessandro, vol. I, Il processo commerciale e l’arbitrato societario, a cura di Costantino e Cabras, Padova, 2009, 249 ss. 81 E vedi per questa articolazione del procedimento di liquidazione, per tutti, BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 429 ss., e, in giurisprudenza, (benché con lo scopo di affermare l’ammissibilità di procedimenti di liquidazione convenzionali che deroghino alla necessità di seguire le fasi sopra descritte) Cass. 16 marzo 1981, n. 1468, in Giur. Comm., 1982, II, 808 con nota di MONTALENTI, Negozio di liquidazione di società personale e clausole di revisione: interessi tutelati e disciplina applicabile. 82 Per la più rigida posizione sul carattere cogente e necessario della liquidazione per tutti i tipi sociali (ivi compresa la società semplice) cfr. NICCOLINI, Interessi pubblici e interessi privati nella estinzione della società, cit., 685. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 34 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE imprescindibile nella vita della società, ma i soci godono della più ampia possibilità di derogare allo schema procedimentale fissato dalla legge. «Obbligatoria» si è efficacemente scritto «è la definizione dei rapporti sociali e non anche il modo attraverso il quale la definizione si attua»83; ben possono quindi i soci, nel contratto sociale o con unanime decisione successiva 84, accordarsi per procedere direttamente alla liquidazione senza nominare i liquidatori o, addirittura, omettere totalmente il procedimento di liquidazione, sostituendolo con una divisione consensuale o chiedendo al giudice la definizione dei reciproci rapporti di dare e avere. Il principio è affermato in numerosissime sentenze, sia di merito, sia di legittimità. «Il procedimento di liquidazione» si legge, ad esempio, «può essere omesso nel caso in cui lo statuto stabilisca quale destinazione debba avere il patrimonio sociale, ovvero quando, in mancanza di apposito patto, i soci siano d’accordo nel procedere alla definizione integrale dei rapporti preesistenti»85; e ancora: «è ammissibile lo scioglimento di una società senza dar corso alla liquidazione dei beni sociali, quando i soci affermino di avervi provveduto d’accordo, regolando con i terzi ogni rapporto di dare-avere» 86. Chiarito questo primo aspetto, il passaggio successivo consiste nell’esaminare se i principi appena enunciati mantengano intatta la loro validità quando dalla disciplina della società semplice si passa a quella delle società commerciali. La tesi della facoltatività del procedimento di liquidazione è sostenuta, in modo pressoché unanime da dottrina e giurisprudenza, nel caso delle società non iscritte nel registro delle imprese (siano queste irregolari o di fatto), argomentando, da un lato, dal carattere suppletivo dell’art. 2275 c.c. e, dall’altro, dall’assenza di un sistema di 83 Così testualmente FERRI, Delle società, sub art. 2275, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 267, ma analoga affermazione si trova in quasi tutti i manuali: cfr., ad esempio, GALGANO , Diritto commerciale. Le società, cit., 92; CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 120; COTTINO , Diritto societario, cit., 180; P RESTI-RESCIGNO, Corso di diritto commerciale. Vol. II. Società, cit., 47. 84 Sulla necessaria unanimità dei consensi per addivenire ad una liquidazione convenzionale cfr. App. Milano, 20 gennaio 2004, in Giur. merito, 2004, 2004 e T rib. Monza, 18 gennaio 2001 in Vita not., 2001, 1374. 85 Così testualmente Cass. 27 gennaio 1992, n. 860, in Mass. Giur. It., 1992. Cfr. inoltre Cass. 20 dicembre 1985, n. 6525, in Società, 1986, 600; Cass. 3 marzo 2000, n. 2376, in Dir. e prat. soc., 2000, 12, 79; App. Milano, 20 gennaio 2004, cit.; Trib. Lodi, 15 luglio 2005, in Società, 2006, 1140; Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487; Trib. T orino, 28 luglio 1986, in Foro pad., 1987, I, 423. 86 Così T rib. Lucca, 18 luglio 1988, in Società, 1989, 66, nonché Cass. 29 maggio 2003, n. 8599, in Giust. civ., 2004, I, 1343 con nota di CAMELI, Liquidazione convenzionale di società personali e divisione della cosa comune; Trib. S. Maria Capua Vetere, 16 maggio 2002, in Società, 2002, 403. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 35 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE pubblicità legale, che «esclude che il procedimento di liquidazione possa costituire un efficace strumento di tutela dei creditori sociali nei confronti di possibili dis gregazioni occulte del patrimonio sociale» 87. Le cose mutano, invece, nelle società in nome collettivo regolari. Accanto ad 88 una giurisprudenza che, con pochissime eccezioni , tende ad equiparare, sotto questo profilo, società regolari e irregolari, ritenendo pertanto ammissibile che anche nelle società di persone iscritte il procedimento di liquidazione possa essere sostituito da una divisione consensuale o da un procedimento giudiziario appositamente richiesto89, convive, e prevale, in dottrina l’opposta opinione per cui il procedimento formale di liquidazione, che l’art. 2275 c.c. rende meramente eventuale nella società semplice, sarebbe, nelle società registrate, obbligatorio 90. E tale più rigida posizione appare pienamente condivisibile per un duplice ordine di ragioni. Da un lato perché essa, evitando che le modalità di dissoluzione del patrimonio sociale siano rimesse alla discrezionalità dei soci, si rivela quella maggiormente idonea a tutelare l’interesse dei creditori sociali ad essere soddisfatti prioritariamente rispetto ai soci e alla loro pretesa alla restituzione dei conferimenti 91; dall’altro perché può contare su numerosi indici normativi che, imponendo precisi obblighi pubblicitari (dalla nomina dei liquidatori alla richiesta di cancellazione della 87 Così BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 433. Cfr., inoltre, GHIDINI, Società personali, cit., 823; CAGNASSO , La società semplice, cit., 253; COTTINO , Diritto societario, cit., 181. In giurisprudenza affermano espressamente la tesi della facoltatività del procedimento formale di liquidazione nelle società irregolari o di fatto (equiparandone la disciplina a quella delle società semplici), oltre alle sentenze citate supra nelle note 85 e 86, Cass. 23 dicembre 2000, n. 16175, in Giur. imposte, 2001, 393; Cass. 22 novembre 1980, in Riv. notariato, 1981, II, 452; Cass. 13 febbraio 1978, n. 5972, in Giur. Comm., 1979, II, 1033. Si veda inoltre l’ampia rassegna in COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, in Giur. sist. Bigiavi, cit., 806 ss. 88 Cfr., ad esempio, Cass. 4 aprile 1981, n. 1916, in Giust. Civ., 1982, 28 e T rib. Napoli, 12 maggio 1993, in Società, 1993, 1487 per le quali nelle società di persone registrate il procedimento formale di liquidazione è necessario e insopprimibile. 89 Così, ad esempio, Cass. 4 febbraio 1999, n. 959, in Società, 1999, 684; Trib. Monza, 18 gennaio 2001, in Vita not., 2001, 1374; T rib. Reggio Calabria, 21 marzo 1990, in Società, 1990, 958.T rib. Ascoli Piceno, 25 giugno 1985, in Società, 1986, 298. 90 Cfr. già GRECO , Sulla necessità del procedimento legale di liquidazione per le società soggette a registrazione, in Foro pad., 1951, III, 95; ID ., Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, 410; MIGNOLI, Questioni sulla inderogabilità delle forme legali nella liquidazione delle società di capitali, in Riv. dott. comm., 1951, 421, GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962, 544 nonché GALGANO , Le società in genere. Le società di persone, in Tratt. Galgano, cit., pag.; AA .VV., Diritto delle società. Manuale breve, cit., 78. 91 In tal senso si vedano COTTINO , Diritto societario, cit., 181 e BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 434. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 36 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE società: artt. 2309 c.c. e 2312 c.c.), sembrano dare per presupposta la presenza di un procedimento formale di liquidazione e di un organo cui tale procedimento sia affidato92. 5. Le fasi del procedimento di liquidazione Esaminiamo ora le singole fasi del procedimento formale di liquidazione, avendo cura di precisare come l’analisi condotta in questo contributo si concluda con l’approvazione del bilancio finale di liquidazione e non comprenda la trattazione della disciplina della cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2312 c.c.) e della sua estinzione. 5.1. La nomina dei liquidatori Il procedimento di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori. Salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, essa segue le ordinarie regole fissate per la formazione della volontà sociale delle società di persone: deve essere fatta all’unanimità, non richiede né metodo collegiale, né principio maggioritario. Solo in caso di disaccordo tra i soci il potere di nomina spetta, come esaminato in precedenza, 93 al presidente del tribunale (art. 2275 c.c.) . I liquidatori possono essere soci o non soci. Proprio in un’ipotesi di nomina giudiziale, un’attenta pronuncia di merito ha avuto modo di sottolineare la ratio di tale affermazione (peraltro condivisa anche dalla dottrina) 94: «è da escludere che il potere presidenziale di nomina sia vincolato nella scelta alle sole persone dei soci, anche se il sistema delle società di persone non tollera che l’amministratore sia soggetto estraneo alla compagine sociale. Infatti, poiché il potere surrogatorio del presidente viene esercitato esclusivamente perché i soci non sono in grado di esprimere una comune volontà, prevedere che debba essere scelto esclusivamente un socio per la carica di liquidatore significa di fatto perpetrare il conflitto che la legge intende invece superare; inoltre l’esigenza di collegare l’amministrazione alla responsabilità illimitata (che ha indotto il legislatore ad imporre la scelta dell’amministratore tra i soli soci) non sussiste 92 Cfr. in particolare COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 323 ss., i quali sottolineano, inoltre, come molte fattispecie criminose disciplinate dal codice civile (nel testo frutto della riforma del diritto penale societario attuata con il d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61) e applicabili a tutti i tipi societari, si riferiscano ai liquidatori (cfr. gli artt. 2621, 2622, 2634, 2635, 2638 c.c.) e, almeno in un caso (si tratta dell’art. 2633 c.c., che punisce l’indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori), esclusivamente ad essi, dando in tal modo per presupposto il loro intervento nel procedimento di liquidazione. 93 Cfr. retro, § 3. 94 Per l’affermazione per cui è possibile nominare liquidatori anche non soci cfr., ex multis, CAGNASSO , La società semplice, cit., 279; BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 437. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 37 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE durante la fase di liquidazione, nella quale il potere di liquidare trova adeguato e sufficiente limite nel divieto di effettuare nuove operazioni»95. La decisione dei soci o la sentenza 96 che nomina i liquidatori devono essere depositate a cura dei medesimi per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese entro trenta giorni dalla notizia della nomina (art. 2309 c.c.); dalla data dell’iscrizione (e non da quella di accettazione dell’incarico) essi assumono la rappresentanza, anche 97 processuale, della società (art. 2310 c.c.) . Obblighi e responsabilità dei liquidatori sono regolati, salvo diversa previsione della legge, dell’atto di nomina o dell’atto costitutivo, dalle disposizioni dettata per gli amministratori (art. 2276 c.c.). Da tale assimilazione è possibile trarre le indicazioni per individuare le regole applicabili agli aspetti non espressamente disciplinati: e così ritenere, ad esempio, i) che l’incarico, in virtù del rinvio operato dall’art. 2260 c.c. alle norme sul mandato, si presume oneroso98; ii) che, in caso di nomina di più liquidatori, costoro operano disgiuntamente (ex art. 2257 c.c.) 99; iii) che, nel caso in cui la 95 Così App. T rento, 21 gennaio 1999, in Società, 1999, 704; nello stesso senso cfr. anche T rib. Roma, 9 novembre 1999, in Giur. It., 2000, 787. 96 Il termine è da intendersi come sinonimo di provvedimento giudiziario e non in senso tecnico, ben potendo la nomina, per stessa previsione del legislatore, essere fatta con decreto del presidente del tribunale in sede di volontaria giurisdizione (cfr. il più volte citato art. 2275 c.c.): e vedi, per tale osservazione, COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 321, nota 35 e FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 321, nota 1. 97 Per il rilievo secondo cui il liquidatore è investito del potere rappresentativo non dalla nomina, ma dalla data dell’iscrizione della nomina nel registro delle imprese cfr. Cass. 18 settembre 2003, n. 13746, in Giur. It., 2004, 1007; Cass. 2 agosto 2001, n. 10555, in Mass. Giust. Civ., 2001, 1525; Cass. 12 giugno 2000, n. 7972, in Dir. e prat. soc., 2000, 23, 97; Cass. 5 luglio 1979, n. 3835, in Mass. Giust. Civ., 1979. Sulla legittimazione processuale del liquidatore si vedano altresì Cass. 21 febbraio 2007, n. 4062, in Guida dir., 2007, 29 e T rib. Torino, 25 agosto 2008, Trib. Salerno, 5 agosto 2008 e Trib. Torino, 22 gennaio 2008 tutte pubblicate in www.leggiditalia.it nonché, per ulteriori riferimenti, BASSI, Rassegna di giurisprudenza sulle società di persone, in Giur. Comm., 2009, II, 1104 ss. 98 In tal senso App. Milano, 17 luglio 1979, in Arch. civ., 1979, 801; Trib. Como, 1 febbraio 2003, in Dir. fall., 2003, 1047. 99 Cfr. Cass. 15 febbraio 1986, n. 909, in Foro It., 1986, I, 2651 e T rib. Prato, 24 novembre 1987, in Società, 1988, 367 e, in dottrina, COTTINO -W EIGMANN, Le società di persone, cit., 326; CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 122; CAGNASSO, La società semplice, cit., 279 (ma isolatamente in senso contrario cfr. tuttavia GHIDINI, Società personali, cit., 851, per il quale i liquidatori dovrebbero operare secondo il metodo congiuntivo). Mal si comprende pertanto perché il legislatore della riforma del diritto societario del 2003 abbia imposto che i liquidatori di società di capitali debbano sempre agire come collegio (cfr. l’art. 2487, comma 1, lett. a, c.c.), tanto più che le regole sull’amministrazione disgiuntiva IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 38 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE liquidazione si protragga oltre l’anno, i soci hanno diritto di avere il rendiconto dell’attività svolta (ex artt. 2261, comma 2, e 2490 c.c. ) 100. Secondo quanto dispone l’art. 2275, comma 2, c.c. «i liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta causa su domanda di uno o più soci». La norma ricalca quanto dettato per la revoca degli amministratori dall’art. 2259 c.c. (cui la giurisprudenza attinge sia per definire il concetto di «giusta causa», sia per ribadire l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra 101 tutti i soci in caso di revoca giudiziale) ; se ne discosta in modo significativo là dove non prevede la necessità di una giusta causa nell’ipotesi di revoca unanime da parte dei soci102. Si è peraltro sostenuto che, qualora il liquidatore fosse stato nominato con il contratto sociale, la sua revoca dovrebbe seguire la regola dettata dall’art. 2259 c.c. che richiede per la revoca dell’amministratore la ricorrenza della giusta causa 103. 5.2. L’inventario, la liquidazione del patrimonio sociale e il pagamento dei creditori Il primo atto della liquidazione è la redazione dell’inventario, dal quale deve risultare la consistenza patrimoniale della società al verificarsi della causa di scioglimento (art. 2277, comma 2, c.c.). E per quanto la legge preveda un’attiva partecipazione a questa fase anche degli amministratori104, vi è assoluta concordia in possono essere adottate anche per le società a responsabilità limitata (art. 2475, comma 3, c.c.): cfr. sul punto AIELLO , La liquidazione delle società di capitali, in AIELLO-CAVALIERECAVANNA -CERRATO -SARALE , Le operazioni societarie straordinarie, cit., 140 ss. 100 Si veda T rib. Milano, 1 settembre 1986, in Società, 1986, 159. La disposizione dell’art. 2490 c.c., introdotta con la riforma del diritto societario del 2003, disciplina la redazione dei bilanci in fase di liquidazione e, sebbene sia stata dettata per le sole società di capitali, essa «tocca anche quelle di persone, di tipo commerciale (artt. 2302, 2315 c.c.), le quali, nel chiudere col bilancio l’inventario annuale, devono, nelle valutazioni, “ attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili” (art. 2217, comma 2, c.c.)»: così COTTINO W EIGMANN , Le società di persone, cit., 332. In argomento cfr. altresì A. ROSSI, Sub art. 2490, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, cit., 2243; AIELLO, La liquidazione delle società di capitali, 197 ss. 101 Cfr. sul primo profilo Trib. Bari, 25 febbraio 2009, in www.leggiditalia.it e Trib. Milano, 7 luglio 1995, in Giur. It., 1996, I, 2, 114 (che individuano la giusta causa di revoca in «ogni evento o comportamento che integri una grave violazione dei doveri inerenti al mandato e faccia temere ulteriori irregolarità pregiudizievoli per i soci e per gli scopi del procedimento»); sul secondo Cass. 10 gennaio 1991, n. 173, in Riv. dir. comm., 1991, II, 139, T rib. Piacenza, 22 aprile 2004, in Foro It., 2004, I, 3528 e T rib. Palermo, 19 luglio 1991, in Vita not., 1991, 708. 102 Per tutti, BUONOCORE, La società in nome collettivo, cit., 443. 103 Così FERRI, Delle società, sub art. 2275, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 275. 104 Cfr. l’art. 2277, comma 2, c.c.: «i liquidatori devono prendere in consegna i beni e i documenti sociali, e redigere insieme con gli amministratori, l’inventario dal quale risulti lo IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 39 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE dottrina sul fatto che, ove questi ultimi si rifiutassero di collaborare, l’obbligo graverebbe comunque sui liquidatori, che divengono, a partire da questo momento, il solo ed unico «motore» dell’intero procedimento105. I poteri dei liquidatori in ordine alla liquidazione sono assai vasti e, giustamente, il legislatore si è astenuto dal tentarne un’elencazione, limitandosi ad individuarne la finalità: «i liquidatori» dispone infatti l’art. 2278 c.c. «possono compiere gli atti 106 necessari per la liquidazione» . E tra questi rientrano, per espressa previsione legislativa (e salvo diversa disposizione dei soci), la possibilità di vendere anche in blocco i beni sociali 107 e di fare transazioni e compromessi (art. 2278 c.c.); quella di chiedere ai soci, se i fondi disponibili risultino insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote108 e, se occorre, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione alla parte di stato attivo e passivo del patrimonio sociale. L’inventario deve essere sottoscritto dagli amministratori e dai liquidatori» (corsivi aggiunti). 105 Cfr. ancora FERRI, Delle società, sub art. 2277, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 328 nonché COTTINO , Diritto societario, cit., 183 e DI SABATO , La società semplice, in Tratt. Rescigno, cit., 115 i quali sottolineano come dall’inventario si distingua nettamente (sia per la funzione svolta, sia per il soggetto cui compete la sua redazione) il conto della gestione, disciplinato dall’art. 2277, comma 1, c.c.: quest’ultimo è infatti atto che rientra ancora nella esclusiva responsabilità degli amministratori ed ha la funzione di dare conto dell’attività svolta dalla società nel periodo che intercorre tra l’approvazione dell’ultimo rendiconto e la consegna ai liquidatori di beni e documenti sociali. 106 Sui più ampi poteri riconosciuti dopo la riforma del 2003 ai liquidatori di società di capitali si vedano gli artt. 2487, comma 1, lett. c e 2489, comma 1, c.c.; in argomento cfr. FERRI JR., La gestione di società in liquidazione, in Riv. dir. comm., 2003, 421; NICCOLINI, Sub art. 2487 e Sub art. 2489, in Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, cit., 1744 ss. e 1776 ss.; SARALE, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, cit., 1210 ss.; AIELLO , La liquidazione delle società di capitali, cit., 145 ss. 107 Per l’affermazione per cui la cessione d’azienda integra un caso vendita in blocco dei beni sociali e non è consentita ai liquidatori ove i soci abbiano espressamente manifestato il loro dissenso all’operazione cfr. Trib. T aranto, 11 marzo 2002, in Società, 2002, 1004 con nota di TAURINI, Cessione d’azienda ad opera del liquidatore di s.n.c., e (con riferimento ad una società capitali, alla quale era tuttavia applicabile il previgente art. 2452 c.c., che rinviava all’art. 2278, comma 1, c.c.) Trib. Milano, 29 novembre 2003, in Giur. It., 2004, 1457 nonché già Cass. 16 luglio 1976, n. 2815, in Giust. Civ., 1976, I, 1518 e Cass. 6 agosto 1965, n. 1893, in Monit. trib., 1966, 73. 108 Cfr. Cass. 12 settembre 1991, n. 9548, in Dir. Fall., 1992, II, 410 e App. Perugia, 31 marzo 1988, in Arch. civ., 1988, 1327. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 40 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE ciascuno nelle perdite (art. 2280, comma 2, c.c.) 109; nonché, secondo la giurisprudenza, quella di esercitare l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori110. Gli ampi poteri riconosciuti ai liquidatori nell’individuare la strategia di dissoluzione della società che meglio realizzi il contemperamento tra gli interessi dei creditori ad ottenere il soddisfacimento dei propri crediti e quelli dei soci ad ottenere la quota di liquidazione, trovano un limite in un duplice divieto: a) da un lato essi non possono compiere nuove operazioni, pena la responsabilità personale e solidale per gli affari intrapresi (art. 2279 c.c.); b) dall’altro non possono procedere a ripartizioni, neppure parziali, tra i soci dei beni sociali fino a che non siano stati pagati i creditori sociali o fino a che non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli (art. 111 2280 c.c.) . Nell’esaminare i due divieti, non si può tuttavia prescindere da un dato sistematico più generale. Entrambe le disposizioni che li enunciano erano infatti, prima della riforma del diritto societario, applicabili anche ai liquidatori di società di capitali, in virtù del richiamo contenuto nel previgente art. 2452 c.c.; il legislatore del 2003 ha invece scelto di riscrivere ex novo la disciplina dei doveri e dei poteri dei liquidatori senza più operare un rinvio alle corrispondenti norme dettate per le società di persone e, anzi, attenuando i divieti rivolti ai liquidatori delle società di capitali (si vedano in particolare gli artt. 2487, comma 1, lett. c, 2489 e 2490 c.c.). Si tratta quindi di verificare se la modifica delle disposizioni dettate per tali società possa avere delle ricadute anche sulle immutate norme applicabili ai liquidatori di società di persone, consentendone una lettura meno rigida, che tenga conto delle innovazioni introdotte con la riforma. Fermo restando il divieto di intraprendere affari «nuovi», ovvero incompatibili con l’obiettivo di dissoluzione del patrimonio sociale, e ferma restando la responsabilità dei liquidatori nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte in violazione del 112 divieto , si può infatti sostenere (sfruttando l’apertura offerta dall’art. 2487, comma 1, 109 Sull’art. 2280, comma 2, c.c. e sull’esatta individuazione dei limiti in cui i liquidatori possono rivolgersi ai soci (in deroga alla regola della solidarietà tra condebitori) cfr., in particolare, DI SABATO , La società semplice, cit., 119 e COTTINO -W EIGMANN, Le società di persone, cit., 330-331. 110 Sul punto cfr. Cass. 10 marzo 1992, n. 2872, in Mass. Giur. It, 1992. 111 In generale sugli artt. 2279 e 2280 c.c. si vedano BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 441 ss.; CAGNASSO, La società semplice, cit., 281-282; DI SABATO , La società semplice, cit., 117 ss. 112 Isolata è infatti rimasta l’opinione di chi ha ritenuto che la responsabilità ex art. 2279 c.c. fosse da qualificare come responsabilità interna verso la società (P ORZIO, Sulla disciplina della società di persone con un solo socio, in Riv. Soc., 1965, 219), mentre assolutamente prevalente IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 41 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE lett. c, c.c.) 113 che i soci possano autorizzare l’esercizio provvisorio dell’impresa sociale (o, eventualmente, di un ramo di essa) quando tale operazione risulti finalizzata alla conservazione del valore dell’impresa e si riveli conveniente in vista di una cessione in blocco a condizioni più vantaggiose 114. Considerazioni analoghe valgono per il secondo divieto posto a carico dei liquidatori, ovvero quello di eseguire ripartizioni dei beni sociali tra i soci «finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli» (art. 2280, comma 1, c.c.). La rigida lettura della norma per cui il versamento di acconti sulla liquidazione sarebbe subordinato all’esistenza in cassa o al deposito in banca di denaro liquido, prontamente prelevabile man mano che i crediti divengano esigibili 115, può infatti essere mitigata dal confronto con la nuova disciplina dettata per è l’opinione per cui la responsabilità dei liquidatori è responsabilità verso i terzi, cui si aggiunge quella della società qualora i terzi ignorassero lo stato di liquidazione e la nomina dei liquidatori perché non iscritta nel registro delle imprese o non portata a loro conoscenza con mezzi idonei: sul punto cfr. FERRARA -CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 302; CAMP OBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 122, nota 146; GALGANO , Diritto commerciale. Le società, cit., 93; COTTINO, Diritto societario, cit., 184. 113 Che attribuisce all’assemblea dei soci la possibilità di deliberare, tra l’altro, sugli «atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo» (corsivo aggiunto). Sul punto (e in particolare sul ruolo da attribuire all’intervento assembleare) si vedano (oltre agli Autori citati supra, nota 106) NICCOLINI, Gestione dell’impresa nella società in liquidazione: prime riflessioni sulla riforma, in Riv. Soc., 2003, 903 e T URELLI, L’informazione sulla gestione nella società per azioni in liquidazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 4, cit., 8. 114 La possibilità che le aperture ai poteri dei liquidatori riconosciute dalle nuove disposizioni in tema di società di capitali abbiano dei riflessi anche sulle norme dettate per le società di persone è espressamente riconosciuta da COTTINO -W EIGMANN, Le società di persone, cit., 328-329. Nel vigore della vecchia disciplina avevano ritenuto ammissibile la continuazione dell’attività d’impresa nonostante lo scioglimento (quando essa risultasse funzionale ad una più vantaggiosa cessione del complesso produttivo) T rib. Catania, 21 maggio 1992, in Foro It., 1992, I, 2514 e Trib. Belluno, 28 marzo 1987, ivi, 1990, I, 329; sulla liceità del completamento di attività in corso destinate al miglior esito della liquidazione cfr., inoltre, Cass. 3 maggio 2010, n. 10647, in Società, 2010, 907 e T rib. Sanremo 12 maggio 2003, in Gius, 2003, 2886. 115 Sulla disposizione codicistica, applicabile fino al 2003 a tutte le società, si veda in particolare NICCOLINI, L’accantonamento delle somme necessarie a pagare i creditori nella liquidazione delle società, in Giur. Comm., 2001, I, 674, cui si rinvia per i riferimenti alle posizioni della dottrina prima della riforma del diritto societario. La più rigida lettura dell’art. 2280 c.c. è stata, ancora di recente, sostenuta in giurisprudenza da Cass. 31 agosto 2005, n. 17585, in Società, 2006, 854 («Il divieto, per i liquidatori, di ripartire fra i soci, anche solo parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori sociali o non siano accantonate le somme necessarie a pagarli, è posto a tutela dei creditori, che devono essere prioritariamente soddisfatti. È fatto IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 42 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE le società di capitali (art. 2490, comma 2, c.c.) che non subordina più le ripartizioni parziali ad un accantonamento materiale o ad una disponibilità di cassa, ma ad una dimostrazione contabile della solvibilità della società, sulla base di un bilancio approvato116. E’ quindi ragionevole attendersi, come è stato sottolineato in dottrina, prassi più indulgenti anche nei riguardi delle società di persone117, nelle quali, tra l’altro, le ragioni dei creditori trovano una tutela aggiuntiva nel regime di responsabilità illimitata dei soci 118. 5.2. La restituzione dei conferimenti, il bilancio finale e il piano di riparto La ripartizione dell’eventuale residuo attivo della liquidazione deve essere preceduta, oltre che dal pagamento dei debiti sociali, anche dalla restituzione dei beni divieto ai liquidatori di società per azioni di dar luogo a ripartizioni anticipate ai soci, fintantoché non abbiano provveduto a pagare per intero i creditori sociali o, in alternativa, ad accantonare formalmente le somme liquide nella contabilità della società; a nulla rilevano tanto la garanzia generica offerta ai creditori sociali dal capitale sociale iscritto, quanto la realizzazione della piena soddisfazione dei creditori medesimi al termine della procedura di liquidazione, giacché la legge richiede che i creditori vengano non direttamente garantiti dal patrimonio sociale ma prioritariamente soddisfatti») e da Cass. 18 gennaio 1988, in Foro. It., 1989, I, 513 («E’ nulla la convenzione tra i soci di una società per azioni la quale disponga il trasferimento dei beni sociali in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo soddisfacimento dei creditori della società»). 116 Sulla nuova disciplina si vedano, in particolare, VAIRA , Sub artt. 2488-2489, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2004, 2116 ss.; NICCOLINI, Sub art. 2491, Commentario delle società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno d’Alcontres, cit., 1802 ss.; SCIMEMI, I poteri dei liquidatori di società di capitali nella distribuzione dell’attivo, in Società, 2008, 292; AIELLO , La liquidazione delle società di capitali, cit., 193 ss. 117 Cfr. ancora COTTINO-WEIGMANN , Le società di persone, cit., 330. 118 Sul punto si veda BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 447. Già prima della riforma delle società di capitali alcuni autori avevano espresso posizioni favorevoli ad una lettura meno rigida dell’art. 2280 c.c. sostenendo, ad esempio, che a riparti parziali si potesse procedere con il consenso di tutti i creditori ancora esistenti (COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 866); o ritenendo compatibile con la disciplina ex art. 2280 c.c. una ripartizione anticipata fra i soci dei vari beni, con accollo pro quota dei debiti della società e contestuale adesione all'accollo da parte dei creditori sociali, con conseguente liberazione della società (FERRI, Delle società, sub art. 2280, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 289); o, ancora, sostenendo l'ammissibilità di una procedura di alienazione in blocco dell'azienda sociale, che, con il consenso dei creditori, ponesse a carico dell'acquirente il pagamento dei debiti esistenti della società (DI SABATO , La società semplice, cit., 118 e ancora FERRI, op. ult. cit., 288, nota 1). In giurisprudenza cfr. Cass. 6 agosto 1965, n. 1893, in Giust. Civ., 1965, I, 1536; Cass. 9 ottobre 1969, n. 3239, in Giur. It., 1971, I, 1, 149; Cass. 27 gennaio 1992, n. 860, in Mass. Giur. It., 1992. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 43 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE conferiti in godimento (art. 2281 c.c.). Tale adempimento è conseguenza della particolare posizione che riveste il socio che abbia effettuato questa tipologia di conferimento: egli è rimasto, per tutta la durata del suo vincolo sociale, proprietario del bene e pertanto, cessata con lo scioglimento della società l’attività sociale, viene 119 equiparato ad un terzo . Questa equiparazione si riflette sulle regole che disciplinano i diritti restitutori del socio, alcune delle quali sono espressamente enunciate dall’art. 2281 c.c., altre desumibili dalle disposizioni dettate in tema di conferimenti. E così, ad esempio, la statuizione che il socio ha diritto di riprendere i beni «nello stato in cui si trovano», può essere integrata dalla previsione dell’art. 2254, comma 2, c.c. (in virtù della quale la società acquisisce sul bene una detenzione analoga a quella del conduttore sulla cosa ricevuta in locazione) e portare a riconoscere al socio il diritto di ritenere le eventuali migliorie e addizioni intervenute con il suo consenso, indennizzando la società nella minor somma fra l’importo della spesa e il valore del loro risultato utile al momento della riconsegna, secondo i criteri indicati dagli artt. 1592 e 1593 c.c.120. Allo stesso modo, dal principio che in caso di perimento o deterioramento dei beni per causa imputabile agli amministratori il socio ha diritto al risarcimento del danno a carico del patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori, può ricavarsi la regola per cui al socio danneggiato, creditore nei confronti del patrimonio sociale, spetta un diritto ad essere soddisfatto insieme agli altri creditori, prima della ripartizione dell’eventuale quota di liquidazione tra i soci 121. Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, il richiamo contenuto nell’art. 2281 c.c. alla possibilità di agire contro gli amministratori costituisce inoltre un importante indice testuale per ritenere ammissibile anche nelle società di persone l’azione di responsabilità esercitata dal singolo socio direttamente danneggiato da comportamenti degli amministratori, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 2395 c.c.: «il principio per cui gli amministratori di società sono personalmente responsabili verso i soci per i danni arrecati per un loro comportamento doloso o colposo, specificamente stabilito dall'art. 2395 c.c. per le società di capitali» si legge in numerose pronunce di merito e di legittimità «è operante anche rispetto alle società personali 122 come può desumersi dall'art. 2281 c.c.» . 119 Cfr. BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 448 ss. e FERRI, Delle società, sub art. 2281, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 295 ss. 120 Cfr. Cass. 13 novembre 1979, n. 5876, in Mass. Giur. It., 1979. Sul punto si vedano COTTINO -WEIGMANN , Le società di persone, cit., 336, nonché, per l’esame di alcune risalenti pronunce giurisprudenziali, COSTI-DI CHIO , Società in generale. Società di persone. Associazione in partecipazione, cit., 863 ss. 121 Così FERRI, Delle società, sub art. 2281, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 296. 122 Così, testualmente, Cass. 28 marzo 1996, n. 2846, in Giur. It., 1997, I, 1, 790. Nello stesso senso cfr. Cass. 25 luglio 2007, n. 16416, in Società, 2009, 607, con nota di NTUK , L’azione IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 44 STUDI E OPINIONI LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIETÀ DI PERSONE Estinti i debiti sociali, e restituiti i beni conferiti in godimento, l’attivo residuo è destinato al rimborso del valore nominale dei conferimenti, determinato, per quelli diversi dal denaro, secondo la valutazione che ne era stata fatta nel contratto o, in mancanza, secondo il valore che essi avevano nel momento in cui furono eseguiti. Ciò che eventualmente rimanga dopo tale operazione è infine ripartito tra i soci, in proporzione della parte di ciascuno nei guadagni (art. 2282 c.c.). Per procedere al rimborso dei conferimenti e al pagamento della quota di liquidazione è tuttavia necessario che i liquidatori passino attraverso un ultimo adempimento formale: la redazione del bilancio finale e della proposta di un piano di riparto (art. 2311 c.c.). Tale adempimento è esplicitamente previsto dal legislatore esclusivamente per le società commerciali, ma vi è assoluta concordia in dottrina sul fatto che un obbligo di rendiconto sussista in tutte le società (semplici, collettive di fatto 123 o irregolari) : la particolarità della norma non consiste quindi tanto nel prevedere in capo ai liquidatori la redazione di un documento nel quale essi diano conto del proprio operato (il bilancio finale) e di un documento nel quale essi presentino ai soci una proposta di restituzione dei conferimenti e di ripartizione delle eventuali eccedenze attive (il piano di riparto), quanto piuttosto nel procedimento che deve essere seguito per la loro approvazione124. Solo per le società commerciali si prevede infatti che il bilancio, sottoscritto dai liquidatori, e il piano di riparto debbano essere inviati ai soci a mezzo lettera raccomandata e che si intendano approvati se non siano stati da questi impugnati entro due mesi dalla loro comunicazione (art. 2311, comma 2, c.c.). E solo per le società commerciali si sancisce il principio per cui, in caso di impugnazione giudiziale sia del bilancio sia del piano di riparto, i liquidatori possano chiedere che le questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla divisione, non coinvolgendo, queste ultime, il loro operato e la loro responsabilità (art. 125 2311, comma 3, c.c.) . Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci (art. 2311, ult. comma, c.c.). sociale di responsabilità nelle società di persone; Cass. 17 gennaio 2007, n. 1045, in Mass. Giur. It., 2007; App. Milano, 20 giugno 2012, in Società, 2012, 1103; Trib. Milano, 2 febbraio 2006, in Giur. Comm., 2007, II, 901, con nota di DUCCI, Il “danno diretto” degli amministratori a singoli soci e l’azione di responsabilità nelle società di persone. 123 Sul punto, per tutti, CAGNASSO, La società semplice, cit., 283, ove ulteriori riferimenti di dottrina. 124 Per tale osservazione cfr., in particolare, FERRI, Delle società, sub art. 2311, in Comm. Scialoja-Branca, cit., 454 e BUONOCORE , La società in nome collettivo, cit., 456. 125 Sul punto si vedano COTTINO , Diritto societario, cit., 188 e CAMPOBASSO , Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, cit., 123. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 45 STUDI E OPINIONI L’EQUO INDENNIZZO NEL CONTRATTO DI LEASING: UN APPROCCIO FINANZIARIO L’Autore, adottando un approccio finanziario, affronta la questione della determinazione dell’equo indennizzo nel contratto di leasing. di LUCIANO Q UATTROCCHIO 1. I riferimenti normativi La Legge Fallimentare – con riferimento al tema oggetto della presente trattazione – prende in considerazione il contratto di leasing nell’ambito sia dell’accertamento del passivo fallimentare sia della quantificazione del passivo concordatario. In particolare, sotto il primo profilo, l’art. 72-quater, comma 2, l.f., stabilisce che «In caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale»; il successivo comma 3 aggiunge: «Il concedente ha diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene». Sotto il secondo profilo, l’art. 169-bis, comma 1, l.f., prevede che «Il debitore nel ricorso di cui all’articolo 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta»; il successivo comma 2 aggiunge: «In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato». IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 46 STUDI E OPINIONI LEASING 2. La disciplina nel contesto fallimentare 2.1. Il contenuto della norma La norma contenuta nell’art. 72-quater, comma 3, L.F., trova applicazione nel caso in cui, alla data di apertura del concorso, sia pendente un contratto di leasing e presuppone lo scioglimento del contratto ad opera del curatore, una volta ottenute le autorizzazioni di legge. Essa reca una disciplina, per così dire “speciale”, in termini di quantificazione della somma oggetto di domanda di ammissione al passivo; e detta linee-guida in ordine alla quantificazione della somma che deve formare oggetto di retrocessione alla procedura. In tale caso, la somma oggetto di domanda di ammissione al passivo – sulla base del comma 3 – deve limitarsi alla «differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene» Si potrebbe, quindi, ritenere – nel caso in cui il bene oggetto del contratto, restituito alla società concedente, non sia ancora stato (nuovamente) allocato – che la somma oggetto di ammissione al passivo debba corrispondere all’importo dei canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati dall’utilizzatore, maggiorato degli interessi di mora sino a tale data; in tale caso, il concedente sarebbe – peraltro – legittimato a presentare una nuova domanda di ammissione al passivo all’atto della riallocazione del bene, recante la differenza fra il debito residuo in linea capitale e la «somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale», con l’impegno a retrocedere l’eventuale eccedenza. In alternativa, la somma oggetto di ammissione al passivo potrebbe essere determinata interamente in sede di prima domanda in misura pari alla differenza – da una parte – della somma dei canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati dall’utilizzatore, maggiorata degli interessi di mora sino a tale data, e del debito residuo in linea capitale alla data di apertura del concorso e – dall’altra – dal valore teorico del bene alla stessa data. Relativamente all’ipotesi di scioglimento del contratto in epoca antecedente all’apertura del concorso, pur non essendo dettata una disciplina “speciale” in ordine alla somma oggetto di domanda di ammissione al passivo, si potrebbe ritenere che – se la nuova allocazione del bene è avvenuta prima dell’apertura del concorso – la somma oggetto di ammissione al passivo debba essere costituita dall’importo dei canoni IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 47 STUDI E OPINIONI LEASING maturati sino alla risoluzione del contratto non puntualmente onorati dall’utilizzatore e del debito residuo in linea capitale, maggiorato degli interessi di mora fino alla data della nuova allocazione del bene; tale somma dovrebbe, peraltro, essere ridotta del prezzo ottenuto dalla nuova allocazione del bene ed il residuo maggiorato degli interessi di mora sino alla data di apertura del concorso. Nel caso in cui la nuova allocazione del bene avvenga, invece, dopo l’apertura del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo sarebbe costituita dalla somma dei canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati dall’utilizzatore, maggiorata degli interessi di mora sino a tale data e del debito residuo in linea capitale; tale somma, in sede di ammissione al passivo, dovrebbe essere ridotta del valore teorico del bene alla data di apertura del concorso. 2.2. Il prospetto di calcolo. Per un’agevole quantificazione degli importi sopra delineati si è costruito un articolato prospetto di calcolo, dal quale è agevole desumere – quantomeno in astratto – la somma oggetto di ammissione al passivo fallimentare e l’importo che deve formare oggetto di retrocessione alla procedura. La ricostruzione ha preso le mosse dalle seguenti ipotesi di base: ACQUISTO DEL BENE VALORE DEL BENE ALL'EPOCA ZERO VITA UTILE DEL BENE CONTRATTO DI LEASING DURATA DEL CONTRATTO DI LEASING PERIODICITA' DEI CANONI DI LEASING NUM ERO DI CANONI IMPORTO DEI CANONI MAXI-CANONE INIZIALE PREZZO DI RISCATTO TASSO INTERNO DI RENDIM ENTO ANNUO TASSO INTERNO DI RENDIM ENTO M ENSILE EQUIVALENTE TASSO DI M ORA ANNUO TASSO DI M ORA M ENSILE EQUIVALENTE 100.000,00 10 anni 5 anni mensile 60 1.800,00 10.000,00 5.000,00 9,34% 0,75% 12,00% 0,95% IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 48 STUDI E OPINIONI LEASING RENDISTATO ANNUO RENDISTATO M ENSILE EQUIVALENTE 3,00% 0,25% Nel caso di scioglimento del contratto in epoca successiva all’apertura del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo e quella che deve formare oggetto di restituzione – nella prima ipotesi applicativa – dovrà essere come di seguito determinata: FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO POSTERIORE - PRIMA IPOTESI DATA DI APERTURA DEL CONCORSO 30/6/2013 DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 68.342,90 ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL 5.503,13 CONCORSO) SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO 5.503,13 DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE 30/9/2013 VALORE DEL BENE (DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE) 74.250,00 SOMMA OGGETTO DI RESTITUZIONE 5.907,10 Invece, nel caso di scioglimento del contratto in epoca successiva all’apertura del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo e quella che deve formare oggetto di restituzione – nella seconda ipotesi applicativa – dovrà essere come di seguito determinata: FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO POSTERIORE - SECONDA IPOTESI DATA DI APERTURA DEL CONCORSO 30/6/2013 DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 68.342,90 ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 5.503,13 DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI APERTURA DEL 73.846,03 CONCORSO) DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE 30/9/2013 VALORE TEORICO DEL BENE 74.250,00 SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO -403,97 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 49 STUDI E OPINIONI LEASING Per contro, nel caso di risoluzione del contratto e di nuova allocazione del bene in epoca antecedente all’apertura del concorso, la somma oggetto di ammissione al passivo dovrà essere come di seguito determinata: FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO ANTERIORE - ALLOCAZIONE ANTERIORE DATA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO 31/3/2013 DEBITO RESIDUO (DATA DI RISOLUZIONE DEL 72.154,42 CONTRATTO) ULTIM I TRE CANONI (DATA DI RISOLUZIONE DEL 5.503,13 CONTRATTO) DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI RISOLUZIONE DEL 77.657,54 CONTRATTO) DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE DEL BENE 30/6/2013 DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI NUOVA 79.914,37 ALLOCAZIONE) EX ANTE VALORE DEL BENE (DATA DI NUOVA ALLOCAZIONE) 76.500,00 DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI NUOVA 3.414,37 ALLOCAZIONE) EX POST DATA DI APERTURA DEL CONCORSO 30/9/2013 SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO 3.513,72 Infine, nel caso di risoluzione del contratto in epoca antecedente all’apertura del concorso e di nuova allocazione del bene in epoca successiva, la somma oggetto di ammissione al passivo dovrà essere come di seguito determinata: FALLIM ENTO - SCIOGLIM ENTO ANTERIORE - ALLOCAZIONE POSTERIORE DATA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO 31/3/2013 ULTIM I TRE CANONI (DATA DI RISOLUZIONE DEL 5.503,13 CONTRATTO) DATA DI APERTURA DEL CONCORSO 30/9/2013 DEBITO RESIDUO (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) 64.445,34 DEBITO ATTUALIZZATO (DATA DI APERTURA DEL 70.274,81 CONCORSO) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 50 STUDI E OPINIONI LEASING VALORE DEL BENE (DATA DI APERTURA DEL CONCORSO) SOMMA OGGETTO DI AMM ISSIONE AL PASSIVO 74.250,00 -3.975,19 3. La disciplina in sede concordataria 3.1. Il contenuto della norma In sede concordataria, la Legge Fallimentare si fa carico – in ipotesi di scioglimento del contratto – di prevedere un criterio di partecipazione al passivo che tiene conto sia del credito maturato in capo alla società concedente sia del risarcimento del danno da quest’ultima patito. Il credito, peraltro, non assume – quantomeno in tale caso – carattere prededuttivo, giacché – come precisato dalla norma – deve essere «soddisfatto come credito anteriore al concordato». In particolare, l’art. 169-bis, comma 2, l.f., prevede che il concedente abbia «diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento». La quantificazione del debito concordatario deve, quindi, tenere conto sia del debito maturato sia dell’eventuale maggior danno subìto in conseguenza del mancato adempimento. Il Legislatore, peraltro, non offre indicazioni sul criterio di quantificazione del debito concordatario e dell’eventuale maggior danno. In merito al debito concordatario (puro) pare ragionevole prendere le mosse dalla disciplina dettata in materia fallimentare ed assumere, quindi, lo stesso in misura pari ai canoni maturati sino alla data di apertura del concorso non puntualmente onorati dall’utilizzatore, maggiorati degli interessi di mora sino a tale data. Quanto all’eventuale maggior danno, esso potrebbe essere determinato in misura pari alla differenza fra il debito finanziario residuo, determinato tenendo conto del minor tasso di reimpiego delle somme finanziate (assumendo, ad esempio, il Rendistato) rispetto al tasso interno di rendimento, e il valore teorico del bene alla data di apertura del concorso. 3.2. Il prospetto di calcolo Per un’agevole quantificazione degli importi sopra delineati si è costruito un articolato prospetto di calcolo, dal quale è agevole desumere – quantomeno in astratto – il debito concordatario e l’eventuale maggior danno. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 51 STUDI E OPINIONI LEASING In particolare, nel caso di risoluzione del contratto in epoca successiva all’apertura del concorso, il debito concordatario dovrà essere come di seguito determinato: CONCORDATO PREVENTIVO - SCIOGLIM ENTO DATA DI APERTURA DEL CONCORSO 30/6/2013 ULTIM I TRE CANONI (DATA DI APERTURA DEL 5.503,13 CONCORSO) EQUO INDENNIZZO 76.240,97 VALORE TEORICO DEL BENE 76.500,00 DEBITO CONCORDATARIO 5.244,10 IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 52 DIRITTO TRIBUTARIO GLI ASPETTI FISCALI DELL’AFFITTO D’AZIENDA NEL FALLIMENTO L’affitto d’azienda nell’ambito del fallimento è stato specificamente regolamentato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. Gli Autori, dopo un’ampia illustrazione dal punto di vista giuridico dell’art. 104-bis della Legge Fallimentare, affronta dettagliatamente gli aspetti fiscali dell’affitto d’azienda stipulato dalla curatela fallimentare, anche in considerazione della disciplina prevista dall’art. 183 del TUIR, relativa ai redditi d’impresa conseguiti durante il fallimento. di CARLO PESSINA e ANDREA PESSINA 1. Premessa L’affitto dell’azienda nell’ambito della procedura fallimentare, seppur diffuso e largamente utilizzato nella prassi anche precedentemente, ha finalmente trovato una specifica regolamentazione nell’art. 104-bis, introdotto nella Legge Fallimentare dall’art. 31 del Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Prima di esaminare gli aspetti fiscali, sia per le imposte sui redditi sia per l’IRAP e l’IVA, che interessano il curatore, è opportuno tracciare un breve quadro delle novità introdotte sull’istituto dalla riforma fallimentare del 2006. Come si legge nella relazione ministeriale, la riforma ha colmato una lacuna normativa recependo una prassi giudiziaria che dava per scontata la possibilità di addivenire all’affitto dell’azienda (o di un ramo di essa) nel fallimento; in particolare, ha introdotto una norma (art. 104-bis) finalizzata soprattutto alla più precisa individuazione degli effetti sulla procedura concorsuale di alcuni aspetti di particolare importanza, quali la retrocessione, dall’affittuario al curatore, dell'azienda affittata (prevedendo la “non responsabilità del patrimonio acquisito all’attivo per i debiti maturati sino alla retrocessione”) e i diritti contrattualmente irrinunciabili del curatore. Nella disciplina introdotta dalla riforma del 2006, la possibilità per il curatore di addivenire alla stipulazione di un contratto di affitto che riguardi sia l’intera azienda sia rami di questa è quasi un dovere connesso alla diligenza che egli deve espletare nel suo mandato. Infatti l’art. 104-ter della L. F., anch’esso introdotto dal D. Lgs. n. 5/2006, impone che nel programma di liquidazione dell’attivo fallimentare, che il curatore deve predisporre entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario, deve essere specificata l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, o di singoli rami, ovvero di autorizzare l’affitto dell’azienda, o di rami di essa. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 53 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA L’assoluta novità costituita dal programma di liquidazione consiste nel fatto che il curatore potrà procedere rapidamente alla liquidazione dell’attivo, senza attendere la chiusura dello stato passivo. Non solo, ma in particolare (è la stessa relazione ministeriale a sottolineare l'importanza di questa disposizione), il programma deve esprimersi circa l’opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di autorizzare l’affitto dell’azienda. E’ chiaro quindi l’intento del legislatore di raccomandare al curatore la massima diligenza e solerzia nel mantenimento dei valori d’azienda nel suo complesso, facendogli carico, innanzitutto, di una attenta valutazione delle opportunità alternative della prosecuzione dell’attività d’impresa o dell’affitto dell’azienda. Il curatore, dunque, nel programma di liquidazione dovrà, ove non ritenga utilmente perseguibili i due indirizzi alternativi suddetti, specificare le ragioni di questo suo convincimento. 2. Rilevanza del patrimonio aziendale nel suo complesso Il legislatore della riforma del 2006 ha quindi manifestamente ritenuto che un maggior interesse economico per i creditori può essere perseguito soprattutto evitando la dis gregazione dell’azienda (che, ovviamente, vanificherebbe il valore economico di determinati assetti aziendali), imponendo conseguentemente al curatore di valutare se sia possibile mantenere il valore unitario aziendale attraverso, appunto, la prosecuzione, seppur provvisoria, dell’attività d’impresa o l’affitto dell’azienda. E che questo sia l’obiettivo del legislatore della riforma è confermato dal disposto dell’art. 105 della Legge Fallimentare, come sostituito dall’art. 92 del D.Lgs. n. 5/2006, che al comma 1 testualmente recita: “La liquidazione dei singoli beni …………….. è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, di suoi rami …………………….. non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”. Pertanto, come emerge anche dalla relazione ministeriale, nel nuovo sistema dell’esecuzione coattiva concorsuale assume un ruolo centrale la vendita dell’azienda nel suo complesso, mentre la vendita atomistica dei singoli beni può essere effettuata solo in subordine e allorquando sia ritenuta, seppur in termini previsionali, economicamente più conveniente per i creditori. Dunque il curatore, nel rispetto delle norme e degli obiettivi stabiliti dal legislatore, dovrà preoccuparsi di mettere in atto tutte le iniziative volte alla conservazione del patrimonio aziendale nel suo complesso, decidendo innanzi tutto sulla opportunità e convenienza di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o di autorizzare l’affitto dell’azienda, e la sua scelta di perseguire o meno tali obiettivi dovrà essere motivata e specificata nel programma di liquidazione. La decisione del curatore dovrà comunque fondarsi sulle prospettive economicofinanziarie derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa o dell’affitto IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 54 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA dell’azienda, per cui si renderà necessario predisporre i necessari piani industriali . Soprattutto la scelta della continuazione dell’impresa potrà imporre azioni di riorganizzazione aziendale, ove si tenga conto che, se l’azienda è pervenuta al fallimento, quasi sempre ciò è dovuto a rilevanti perdite economiche connesse alla gestione e più raramente a difficoltà finanziarie conseguenti all’insolvenza di clienti importanti. 3. Contenuto del contratto di affitto dell’azienda Riservando la nostra analisi all’affitto dell’azienda, è facile immaginare che, da un punto di vista pratico, la sua realizzazione sarà molto più perseguibile soprattutto in considerazione del diverso e minor grado di responsabilità che assume il curatore rispetto all’ipotesi di continuazione dell’attività imprenditoriale. Tuttavia, se da un lato l’affitto dell’azienda (o di un suo ramo) non comporta sostanzialmente responsabilità gestorie a carico del curatore, d’altro lato con l’affitto tutta l’attività gestionale viene trasferita all’affittuario, sulle cui capacità imprenditoriali si fonda quindi la speranza del mantenimento, anzi dell’incremento, del valore dell’azienda in attesa della sua vendita. Il curatore dovrà quindi prestare molta attenzione nella scelta dell’affittuario; anzi diligentemente dovrà farsi illustrare i piani industriali di questi e, ove li ritenga economicamente validi, dovrà opportunamente prevedere in contratto la possibilità di controllo dell’effettivo perseguimento dei medesimi, riservandosi eventualmente, come si vedrà, la facoltà di recedere prima che una eventuale dissennata gestione del conduttore porti al depauperamento del valore del patrimonio aziendale. Con gli obbiettivi economici di cui sopra, da perseguirsi nell’evidente interesse della massa dei creditori, è la stessa norma (art. 104-bis L.F.) che impone, nella scelta dell’affittuario, di tenere conto dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali e, per quanto riguarda il contenuto del contratto, l’obbligo di previsione di clausole che consentano al curatore il diritto di ispezione dell’azienda affittata. Nella nuova disciplina, la possibilità per il curatore di addivenire alla stipulazione di un contratto di affitto che riguardi l’intera azienda o singoli rami è subordinata a condizioni di carattere sia sostanziale che formale. Innanzitutto, l’organo che può proporre la stipula del contratto d’affitto è esclusivamente il curatore, il quale, per formalizzare il contratto, deve espressamente essere autorizzato dal Giudice Delegato, che si esprimerà solo a seguito di parere favorevole del comitato dei creditori. E’ questa una delle fattispecie, insieme con quella della continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, per la quale è rimasta la potestà autorizzativa in capo al G.D., mentre, come è noto, per gli atti il cui valore sia superiore a € 50.000 ed in ogni IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 55 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA caso se trattasi di transazione, il G.D. deve solo essere previamente informato dal curatore. L’affitto dell’azienda deve comunque rispondere ad un interesse meritevole di tutela, dovendo apparire “utile per addivenire ad una più proficua vendita dell’azienda o di suoi rami”. Sarà quindi il curatore a prospettare, nell’istanza di autorizzazione rivolta al G.D., quali siano i motivi per cui si rende economicamente opportuno addivenire all’affitto e quali le ragioni di convenienza che dovranno essere valutate, in relazione alla possibilità (ex post) di vendere l’azienda in termini economici più proficui rispetto a quelli che sarebbero perseguibili in situazione di azienda inattiva. Una volta ottenuta dal Giudice Delegato l’autorizzazione, al curatore compete la scelta dell’affittuario e la definizione dei termini contrattuali dell’affitto. Infatti, il G.D. è chiamato ad esprimersi solamente sulla convenienza economica dell’operazione e non sugli elementi contrattuali e di merito (ulteriori, ovviamente, rispetto alla suddetta convenienza economica) della stessa. La scelta del conduttore è effettuata dal curatore secondo quanto previsto dall’articolo 107 Legge Finanziaria, come modificato dall’art. 94 del decreto legislativo di riforma. In particolare, il curatore dovrà effettuare tale scelta tramite procedure competitive, sulla base di stime da parte di operatori esperti, acquisendo preventivamente coscienza di una ragionevole misura del canone locativo e dovendo assicurare, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati. Per espressa disposizione della nuova norma la individuazione dell’affittuario deve tenere conto, oltrechè del canone locativo, delle garanzie prestate e dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali (ovviamente con il solo riferimento a quelle del particolare ramo aziendale trasferito in caso di affitto parziale dell’azienda), avuto altresì riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali preesistenti. Il curatore, in sintesi, dovrà effettuare una scelta che consideri tutti questi parametri: importo del canone; garanzie prestate, non solo in ordine al canone, ma anche riguardo alla prosecuzione dell’attività d’impresa che opportunamente dovrà risultare da un piano industriale attendibile; attendibilità di questo piano; conservazione dei livelli occupazionali preesistenti. Valutato, quindi, ciascuno dei detti aspetti, egli opererà la scelta, senza ulteriore intervento autorizzativo del Giudice Delegato. A questo punto, prima di continuare l’analisi, è opportuno precisare che l’affitto dell’azienda può essere autorizzato (ed a fortiori stipulato) anche prima della presentazione del programma di liquidazione dell’attivo fallimentare che, secondo quanto stabilito dal nuovo articolo 104-ter della Legge Fallimentare, deve essere IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 56 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA predisposto dal curatore entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e sottoposto anch’esso all’approvazione del G.D.. Ciò, ovviamente, serve per contrastare eventuali iniziative dilatorie, che ostacolerebbero il curatore nella ricerca di ulteriori potenziali conduttori dell’azienda fallita e, soprattutto, per non correre il rischio di depauperare, col passare del tempo, il valore economico di determinati assetti aziendali (soprattutto con riferimento ai cd. beni immateriali) ovvero per non provocare un più rapido deperimento dei cespiti aziendali conseguente alla cessazione dell’impresa, che non potrebbe non provocare un minore prezzo di vendita di tali beni o dell’intera azienda. Il contratto di affitto è stipulato dal curatore nelle forme previste dall’art. 2556 C.C. (quindi per atto pubblico o scrittura privata autenticata) e deve avere un contenuto minimo vincolante che preveda: il diritto del curatore di procedere all’ispezione dell’azienda - in tal senso si esprime, infatti, la relazione ministeriale al decreto legislativo di riforma; la prestazione di idonee garanzie (reali o personali), non solo per il pagamento del canone, ma per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti sia dal contratto sia da norme di legge; il diritto di recesso unilaterale per il curatore da esercitarsi previa corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo da pagarsi in prededuzione. La relazione ministeriale al decreto legislativo n. 5/2006 osserva che: il contenuto contrattuale minimo previsto dall’art. 104-bis della L.F. è obbligatorio; il diritto di ispezione dell’azienda affittata è irrinunciabile dal curatore; il diritto di recesso unilaterale compete solo al curatore. Il recesso, seppur previsto contrattualmente, potrà essere esercitato solo a seguito di parere favorevole del comitato dei creditori, il quale, ovviamente, si esprimerà anche in funzione dell’indennizzo da corrispondersi all’affittuario. E’ pertanto opportuno che il curatore preveda contrattualmente i criteri di determinazione del predetto indennizzo, ad evitare il rischio che l’incerta entità dell'indennizzo vanifichi la possibilità di addivenire validamente al recesso. Non vi sono, nella riforma, vincoli temporali per esercitare il diritto di recesso, potendone essere previsto l’esercizio in qualunque momento, ferma restando, in ogni caso, la comunicazione all’affittuario entro un congruo preavviso da specificarsi contrattualmente. La mancanza e/o l’omissione dei suddetti elementi contrattuali minimi determina, a parere di chi scrive, la nullità parziale del contratto ai sensi dell’art. 1419 Codice Civile: parrebbe eccessivo e oltremodo dannoso che tutto il contratto, a causa di detta mancanza od omissione, venisse interamente travolto da nullità totale. Conseguentemente, qualora tra curatore e affittuario, nella ovvia ipotesi in cui quest’ultimo intendesse continuare la conduzione dell’azienda, non vi fosse un accordo IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 57 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA sul contenuto (esempio entità, ecc.) delle dette clausole mancanti, evidentemente sorgerà una vertenza giudiziaria in merito, ferma restando la responsabilità del curatore, per i danni causati dalla sua negligenza contrattuale alla procedura e ai creditori fallimentari. La novella non impone, poi, una durata minima dell’affitto, ma stabilisce che la stessa debba essere compatibile con le esigenze di una celere liquidazione dei beni; pertanto il curatore non dovrà contrattualmente vincolarsi per una durata del contratto che possa pregiudicare l’attività di liquidazione dell’attivo fallimentare, né essere in contrasto con la possibilità di un miglior realizzo dei cespiti aziendali. Anzi, proprio a tali scopi, dovrà opportunamente prevedere nel contratto una clausola che gli consenta di recedere in qualunque momento con il più breve preavviso, fermo restando il pagamento dell’indennizzo a favore dell’affittuario. Ulteriore aspetto cui dovrà essere prestata molta attenzione da parte del curatore con riguardo al contratto, è quello delle differenze inventariali di cui al comma quattro dell’art. 2561 C.C.. Pur non essendo questa la sede per trattare l’argomento è noto a tutti che i beni costituenti l’azienda al termine del contratto di affitto, e che quindi dovranno essere restituiti alla procedura fallimentare, sono diversi qualitativamente (per effetto del logorio dovuto al loro uso nel perdurare dell’affitto) e quantitativamente (per effetto di dismissioni, sostituzioni o migliorie e apporti effettuati dal conduttore) rispetto a quelli originariamente oggetto del contratto. E’ quindi opportuno, al riguardo, che nel contratto siano specificatamente previste le modalità e i termini economici della regolazione delle differenze inventariali; altrettanto opportuno è l'escludere dal contratto le merci in giacenza all'inizio dell'affitto, cedendole all'affittuario con separato contratto. 4. Diritto di prelazione in favore dell’affittuario Un altro elemento molto importante, introdotto dalla riforma, è il diritto di prelazione in favore dell’affittuario nella fase della futura vendita da parte del curatore dell’azienda o del singolo ramo oggetto del contratto d’affitto. Sul punto è necessario premettere che tale diritto è stato introdotto dalla L. 23 luglio 1981, n. 223 che all’art. 3, comma 4, stabilisce che all’affittuario di un’azienda o di un singolo ramo, assoggettata a procedura concorsuale è riconosciuto il diritto di prelazione sull’acquisto nel caso in cui venga disposta la vendita nel corso dell'affitto. E’ ovvio innanzi tutto che qualora il curatore addivenga alla vendita dell’azienda in epoca successiva alla scadenza del contratto, nessun diritto di prelazione spetta all’affittuario. Inoltre, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 9052/1994, il diritto suddetto non compete alla generalità delle imprese, ma solo a quelle che possono usufruire del trattamento straordinario di integrazione salariale. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 58 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA Ecco quindi che, al fine di poter estendere a tutte le situazioni il beneficio della prelazione, le disposizioni introdotte dall’art. 104-bis L.F. prevedono la possibilità di convenire pattiziamente, tra curatore e affittuario, il diritto di prelazione; anzi è molto probabile che nella maggioranza dei casi tale diritto sarà preteso proprio dall'affittuario, che, difficilmente, vorrà rischiare di disperdere a favore di terzi l’avviamento e la redditività da lui creata durante la vigenza del contratto di affitto. Il diritto di prelazione, per espressa disposizione della novella, deve sempre essere autorizzato dal Giudice Delegato previo parere favorevole del comitato dei creditori. La relazione ministeriale, sul punto, precisa che “questa soluzione (di lasciare alla determinazione pattizia delle parti il diritto di prelazione) è stata ritenuta opportuna proprio come mezzo per incentivare l’affittuario ad effettuare investimenti sull’azienda, onde rafforzarne il suo successivo interesse acquisitivo”. La nuova disposizione normativa impone che il curatore debba comunicare all’affittuario, affinché gli sia consentito l’esercizio del diritto di prelazione sull’acquisto dell’azienda, il prezzo di vendita, una volta esaurito il procedimento per la sua determinazione. Il curatore, prima di addivenire alla vendita dell’azienda, dovrà dunque espletare tutte le procedure previste dalle disposizioni legislative che disciplinano la materia per la fissazione del prezzo di vendita. Preliminarmente egli avrà cura di avvalersi della consulenza di esperti e di acquisire le opportune relazioni estimative (come peraltro previsto dall’art. 107 L.F.) finalizzate ad un’attenta e metodica valutazione del patrimonio aziendale, cioè di quella entità che aziendalisticamente corrisponde al capitale economico dell’impresa. Tuttavia, il valore come sopra pervenuto non può costituire la determinazione definitiva del prezzo dell’azienda, trattandosi ovviamente di un valore meramente teorico, che nella fase di vendita potrebbe non incontrare mai l’interesse di alcun acquirente. Il concetto di definitività del prezzo deve essere inteso come quel numerario che è stato offerto in via definitiva dall’acquirente (Cassazione n. 8261/1994) e per il quale il curatore abbia esperito e concluso le procedure di vendita previste dalla legge. Al riguardo le disposizioni cui il curatore dovrà attenersi sono quelle stabilite dall’art. 107 L.F., nel testo riformato dal D.Lgs. n. 5/2006, che, come sottolineato anche dalla relazione ministeriale, “sono (norme) dirette a conseguire (anche per la vendita dei beni immobili e delle aziende comprendenti immobili) l’obiettivo del massimo realizzo secondo modelli di speditezza flessibilità e trasparenza, totalmente slegate dai rigidi schemi procedurali previsti per le esecuzioni individuali….” Una volta concluso tutto il procedimento per la determinazione del prezzo, come sopra detto, il curatore lo comunica all’affittuario nei dieci giorni successivi; entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione, questi potrà esercitare il diritto di prelazione; decorso tale termine senza risposta, egli decadrà dal diritto stesso. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 59 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA La norma non contempla le modalità che devono essere osservate dal conduttore per formalizzare la sua accettazione per cui, in mancanza di esplicita regolamentazione convenzionale risultante dal contratto di affitto, è opportuno che la comunicazione avvenga con notificazione tramite ufficiale giudiziario. 5. La retrocessione dell’azienda Da ultimo il nuovo art 104-bis della L.F. regolamenta gli effetti conseguenti alla retrocessione dell’azienda al termine dell’affitto, con specifico riferimento ai debiti contratti dall’affittuario nel perdurare del contratto e dei rapporti giuridici pendenti alla scadenza e retroceduti insieme all’azienda. Per quanto riguarda i primi, la norma dispone che la retrocessione alla procedura fallimentare dell’azienda, al termine del contratto o all’interruzione dello stesso per qualunque motivo (compreso il recesso unilaterale del curatore), non comporta responsabilità della procedura stessa per i debiti maturati in vigenza di contratto, in deroga a quanto stabilito dalla disciplina ordinaria (artt. 2112 e 2560, C.C.). La relazione ministeriale precisa che “la deroga trova giustificazione nel bisogno di assicurare che i creditori anteriori alla stipula del contratto, non vengano ad essere penalizzati da una gestione dissennata del complesso aziendale da parte dell’affittuario”, tenendo conto che l’affitto è stato disposto proprio in funzione di una migliore tutela degli interessi economici di tali creditori. Con riguardo ai rapporti giuridici pendenti alla scadenza del contratto, l’art. 104-bis fa riferimento a quelli esistenti al momento della retrocessione, per cui si deve avere riguardo tanto a quelli preesistenti al contratto stesso e nei quali l’affittuario era subentrato, quanto a quelli sorti da operazioni intraprese dall’affittuario durante il contratto stesso (ad esempio nuove assunzioni o contratti d’opera anche intellettuale). A tali rapporti, per espressa statuizione della norma, si applica la disciplina prevista dagli artt. 72 e seguenti della L.F. per cui la loro sorte è rimessa alla discrezione del curatore, essendo legittimato ad avvalersi delle specifiche disposizioni concorsuali stabilite dai predetti articoli. 6. Aspetti fiscali Dopo questa premessa, veniamo ora all’esame degli aspetti fiscali dell’affitto dell’azienda che coinvolgono la procedura. L’analisi va effettuata sul piano delle imposte sul reddito e dell’IRAP da una parte e su quello dell’IVA dall’altra. Preliminarmente è opportuno riassumere il panorama che riguarda il concedente in situazione ordinaria, cioè al di fuori del fallimento. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 60 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA Con riferimento alle imposte dirette, occorre distinguere l’ipotesi in cui il locatore mantiene la qualifica di imprenditore in quanto riveste forma di società commerciale oppure perché, seppur impresa individuale, affitta una o comunque meno della totalità delle aziende possedute, da quella in cui lo stesso, locando l’unica azienda di cui è titolare, perde così automaticamente la qualifica di imprenditore. Nel primo caso il canone locativo derivante dall’affitto dell’azienda è considerato ricavo e il reddito è classificabile tra i redditi d’impresa e come tale soggetto alla disciplina di tale categoria di redditi: quindi la sua imputazione deve rispettare il principio di competenza previsto dall’art. 109 del TUIR. Nel secondo caso il concedente perde lo status di imprenditore seppur temporaneamente, senza che ciò rappresenti autoconsumo dei beni aziendali (con i conseguenti riflessi sia per le imposte che per l’IVA) essendogli concessa la facoltà “fiscale” di riacquistarlo al termine del contratto di affitto (al riguardo vedasi la Circolare M inisteriale n. 26 del 19 marzo 1985), e il reddito è considerato reddito diverso ai sensi dell’art. 67, lettera h), del TUIR, con imponibilità secondo il principio di cassa ai sensi dell’art. 71, comma 2, del TUIR. La determinazione quantitativa del reddito avverrà di conseguenza nel rispetto, rispettivamente, delle norme che regolano i redditi d’impresa (art. 81 e seguenti TUIR) nel primo caso o i redditi diversi (art. 71 TUIR) nel secondo. Nell’ambito poi dei redditi diversi viene considerata anche la eventuale plusvalenza che può derivare al concedente (imprenditore individuale) nell’ipotesi di cessione dell’azienda affittata, la cui determinazione avviene, per espresso rinvio fattone dall’art. 71 del TUIR, secondo quanto previsto dall’art. 86 dal TUIR stesso, che riguarda il reddito d’impresa e quindi in misura pari alla differenza tra il corrispettivo conseguito e il costo fiscalmente riconosciuto dei beni costituenti l’azienda. Se la detta plusvalenza è realizzata nell’ambito del reddito d’impresa (in quanto il concedente-venditore è società oppure imprenditore titolare di più aziende), la stessa è determinata e tassata secondo le regole di tale categoria. In tal caso la plusvalenza in esame sarà ratealizzabile in cinque anni se sussistono le condizioni previste dal quarto comma del citato art. 86 del TUIR. Per concludere va ricordato che la plusvalenza suddetta è assoggettata a tassazione separata se relativa alla cessione onerosa (quindi esclusa l'ipotesi di cessione gratuita o di successione mortis causa) di aziende possedute da più di cinque anni, con esclusione di tale beneficio per i soci di società personali (art. 17, comma 2, TUIR) e, per l’imprenditore individuale che non perda tale status (quindi quando è titolare di più aziende), a condizione di richiederla espressamente nella dichiarazione dei redditi in alternativa alla tassazione ordinaria o differita di cui all’art. 86, comma 4, TUIR. Per quanto riguarda l’IRAP, basta ricordare che se i canoni d’affitto dell’azienda sono realizzati da società o da imprenditore individuale che a seguito dell’affitto conserva tale status, gli stessi sono soggetti ad IRAP; sono esclusi esclusivamente da IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 61 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA tale tributo i canoni che, secondo quanto sopra illustrato, rientrano nella categoria dei redditi diversi. Le plusvalenze realizzate invece dalla vendita dell’azienda affittata non sono soggette all’IRAP sia, ovviamente, nel caso in cui costituiscano redditi diversi, sia nel caso in cui rientrino nei proventi dell’attività d’impresa perchè, in tale ipotesi, sono escluse per espressa previsione di legge (vedasi l’art. 11 del D.Lgs 446/1997 per il periodo sino al 31 dicembre 2007 e l’art. 5, comma cinque, dello stesso decreto, modificato dall’art. 1, comma 50, della legge finanziaria per il 2008, per il periodo successivo. Con riferimento all’IVA, l’affitto d’azienda è da considerarsi prestazione di servizi rientrante nella previsione dell’art. 3, comma 2, n. 1) del D.P.R. 633/72 e successive modifiche; per cui il momento impositivo coincide con l’atto del pagamento del canone locativo, salvo ovviamente il caso in cui il concedente decida di emettere la fattura anteriormente. Anche nell'ambito di tale imposta la distinzione più importante da operare è quella tra imprenditore che, a seguito della stipulazione del contratto di affitto d’azienda, continua a conservare detta qualifica (quindi quando il concedente riveste forma societaria oppure è titolare di più imprese e ne affitta solo in parte) e imprenditore individuale che affitta l’unica o tutte le imprese possedute. Nella prima situazione l’imprenditore concedente continua ad essere considerato soggetto IVA a tutti gli effetti e i canoni d’affitto saranno regolarmente assoggettati al tributo, ovviamente secondo le regole delle prestazioni di servizi, nel cui ambito, come detto, rientrano; nella seconda situazione l’imprenditore individuale concedente perde momentaneamente (cioè nel periodo di esecuzione del contratto d’affitto) tale status con sospensione temporanea dell’attività d’impresa, pur conservando il numero di partita IVA. I canoni locativi quindi non saranno assoggettati a tale imposta, essendone totalmente esclusi dall’ambito di applicazione, mentre saranno assoggettati ad imposta di registro, da scontarsi con la registrazione del contratto. E’ ovvio che se l’imprenditore individuale dovesse intraprendere, in pendenza dell’affitto della sua unica azienda, una nuova attività imprenditoriale in proprio, anche i canoni locativi suddetti rientreranno nella sfera dell’attività d’impresa, con conseguente assoggettamento ad IVA degli stessi e con imputazione dei medesimi nel reddito d’impresa anziché nei redditi diversi. Di frequente ricorrenza e particolare interesse è il problema del trasferimento del plafond dal concedente all’affittuario per gli acquisti in esenzione di IVA. L’argomento trova espressa regolamentazione nell’art. 1, comma 5, del D.L. 417/1991 convertito dalla L. 6 febbraio 1992, n. 66; tale norma stabilisce la possibilità da parte del “concedente-esportatore abituale” che affitta l’azienda, di trasferire al conduttore il plafond per gli acquisti in esenzione di IVA, a condizione che il trasferimento sia IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 62 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA espressamente previsto nel contratto e che ne venga data comunicazione entro trenta giorni all’Agenzia delle Entrate con lettera raccomandata. Quello sopra illustrato, seppur sinteticamente, è il quadro dell’imposizione diretta e indiretta dell’affitto dell’azienda che si presenta in regime di normalità di esercizio di impresa da parte del conducente. Vediamo ora quali modifiche subisca il detto scenario nel caso in cui l’affitto dell’azienda avvenga nell’ambito di una procedura fallimentare, tenuto conto anche delle disposizioni espressamente previste, in materia di imposte sul reddito, dall’art. 183 del TUIR. Riservando l’analisi alla parte che interessa il nostro argomento, questa norma stabilisce che “il reddito d’impresa relativo al periodo compreso tra l’inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti”. E’ indispensabile quindi per il curatore determinare esattamente questi elementi, perché è la loro differenza che costituisce la base imponibile del periodo fallimentare, sulla quale, prima della chiusura della procedura, dovranno venir assolte le imposte sul reddito. Circa il patrimonio netto iniziale, il comma 2 dell’art. 183 stabilisce che lo stesso è costituito dalla differenza tra le attività e le passività risultanti dal bilancio redatto dal curatore e riferito alla data di apertura della procedura del periodo d’imposta compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data della sentenza declaratoria del fallimento. Le dette attività e passività devono poi essere assunte non secondo i loro valori contabili, bensì sulla base dei valori fiscalmente riconosciuti, come precisato altresì dalla circolare dell’A genzia Entrate n. 26/E del 22 marzo 2002. Infine la norma richiamata precisa che, qualora l’ammontare delle passività sia superiore a quello delle attività, il patrimonio netto iniziale è considerato aritmeticamente pari a zero. Ne consegue pertanto che solo nell’ipotesi in cui il residuo attivo al termine della procedura è superiore al patrimonio netto iniziale vi potrà essere materia imponibile, rientrante tra i redditi d’impresa, su cui il curatore dovrà corrispondere le imposte. La citata circolare n. 26/E ha altresì precisato che il curatore deve desumere gli elementi attivi e passivi iniziali dalle risultanze contabili dell’impresa, attribuendo agli stessi, come già detto, il valore fiscalmente riconosciuto; qualora le scritture contabili non esistano ovvero siano inattendibili, (come spesso accade soprattutto nei fallimenti riguardanti piccole imprese, ove alla gestione avventurosa si accomuna il disordine contabile) il curatore dovrà ricostruirne il patrimonio iniziale sulla base dei dati e degli IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 63 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA elementi di cui è venuto in possesso o a conoscenza sia nella fase di redazione dell’inventario sia in quella di accertamento dello stato passivo. E’ ovvio quindi che eventuali insinuazioni tardive, peraltro molto ridimensionate dalla riforma fallimentare introdotta dal D.Lgs. n. 5/2006, di cui il curatore non abbia tenuto conto per inesistenza di documentazione contabile nella determinazione del patrimonio netto iniziale potranno comportare modifiche al valore dello stesso in funzione dell’esito delle relative disamine. Circa il residuo attivo, le indicazioni sono intervenute da parte dell’Agenzia delle Entrate dapprima con la già citata circolare n. 26/E/2002 e poi con la circolare n. 42/E del 4 ottobre 2004. Quest’ultima, modificando in gran parte le istruzioni impartite con la precedente, ha precisato che: i beni, sia materiali che immateriali, risultanti al termine della procedura e non venduti dal curatore in quanto i creditori sono stati totalmente soddisfatti con altre disponibilità liquide o per inesistenza di insinuazioni e quindi di passivo, devono essere restituiti al fallito valorizzandoli al costo fiscalmente riconosciuto e non, come invece era stato detto dalla precedente circolare n. 26/E/2002, sulla base del valore normale; ciò ovviamente comporta un minor onere tributario a carico del curatore (rectius: della procedura) in quanto il residuo attivo risulterà di ammontare inferiore; L’art. 183 del TUIR regolamenta dunque la tassazione dei redditi d’impresa conseguiti nel corso della procedura fallimentare, ma il suo ambito di applicazione è limitato a tale categoria di redditi e non si estende alle altre. Pertanto, qualora i redditi conseguiti dalla curatela siano di altra natura, la disciplina speciale della citata norma non è applicabile, ma dovrà applicarsi quella generale che governa la categoria di redditi interessata (ad es. di capitale, fondiari, diversi, ecc.). Per effetto di quanto disposto dall’art. 183 TUIR, nel fallimento si può produrre un reddito d’impresa tassabile solo se la procedura si chiude con un residuo attivo (in concreto, cioè, con disponibilità liquide da attribuire al fallito) superiore all’ammontare del patrimonio netto dell’azienda fallita alla data di apertura della procedura, valutato, in base ai valori fiscalmente riconosciuti, some sopra detto. Nella prassi è difficile immaginare che ciò accada perché significherebbe che dalla vendita delle attività fallimentari si è realizzato un importo talmente alto da consentire il pagamento delle spese di procedura e di tutti i creditori, chirografari compresi, nonché di avanzare un residuo a favore dell’imprenditore fallito. Fatta questa puntualizzazione e tenuto conto che la dichiarazione di fallimento comporta per il fallito lo spossessamento (art. 42 L.F.) dei suoi beni, che entrano nella disponibilità del curatore, il quale assume l’amministrazione del patrimonio fallimentare (art. 31 L.F.), mentre la proprietà e la titolarità dei beni stessi permangono in capo al fallito, risulta pacificamente che il curatore non può essere identificato come un IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 64 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA soggetto autonomo d’imposta diverso dal fallito, ma deve considerarsi esclusivamente nel soggetto deputato ad adempiere agli obblighi fiscali che fanno capo a quest’ultimo. Conseguentemente, nel caso di affitto d’azienda concluso dal curatore in pendenza della procedura fallimentare, si possono verificare le seguenti situazioni: 1- se l’azienda affittata apparteneva, prima del fallimento, ad una società o ad un imprenditore individuale che ne possedeva altre, i canoni locativi rientrano nell’ambito dei redditi d’impresa e come tali concorrono alla formazione del reddito dell’unico periodo d’imposta costituito dall’intera fase fallimentare secondo le regole previste dal citato art. 183 TUIR; 2- se l’azienda affittata era l’unica di proprietà dell’imprenditore individuale fallito, il reddito derivante dall’affitto della stessa rientra nella categoria dei redditi diversi e pertanto soggiace alla disciplina generale prevista per questi dall’art. 67 e seguenti del TUIR e non a quella speciale di cui al citato art. 183 del TUIR stesso. In tale ipotesi il curatore dovrà annualmente presentare la dichiarazione dei redditi in quanto l’unicità dell’esercizio fiscale stabilita da questa norma è prevista solo per i redditi d’impresa. Nel caso in cui l’affitto rientri nell’ambito del reddito d’impresa, gli ammortamenti dei beni costituenti l’azienda competono, per quanto disposto dall’art. 102 del TUIR, all’affittuario salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 8, secondo il quale le disposizioni della citata norma (comma 8 art. 102), che attribuisce appunto al conduttore il diritto alla deduzione degli ammortamenti, non si applicano, e quindi in tale ipotesi i detti ammortamenti rappresenterebbero un costo deducibile per il concedente, nei casi di deroga, espressamente prevista nel contratto di affitto, alle norme dell’art. 2561 del Codice Civile, che riguardano l’obbligo per l’affittuario di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili costituenti l’azienda affittata. Se pertanto, in situazioni di normale esercizio dell’attività, potrebbe essere talvolta opportuno o più conveniente per le parti (concedente e conduttore) derogare convenzionalmente alle disposizioni previste dal citato art. 2561 C.C., non riteniamo che ciò sia utile nell’ambito del fallimento. In tal caso, infatti, a fronte della possibilità meramente ipotetica per il curatore di ridurre la base imponibile del reddito d’impresa finale attraverso la deduzione degli ammortamenti, in quanto la formazione di reddito tassabile dipenderà dall’esistenza di un residuo attivo superiore al patrimonio netto iniziale, per contro vi è la certezza che l’affittuario non sarà tenuto, durante l’affitto, a mantenere l’efficienza dei beni aziendali e quindi il curatore è sottoposto al rischio di ricevere in restituzione un’azienda composta da beni totalmente obsoleti e inefficienti, senza poter nulla imputare e pretendere dall’affittuario, in tal modo pregiudicando fortemente la possibilità di venderla o, quanto meno, di realizzare un prezzo più remunerativo. Un’altra ipotesi che potrebbe accadere è rappresentata dal caso in cui il curatore, per mantenere il valore dell’azienda nel suo complesso al fine di pervenire ad una maggiore soddisfazione dei crediti, prosegua senza interruzioni l’attività del fallito, perché il IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 65 DIRITTO TRIBUTARIO AFFITTO D’AZIENDA tribunale dispone l’esercizio provvisorio dell’impresa, per un certo periodo di tempo dopo di chè addivenga all’affitto dell’azienda. In tal caso, nulla quaestio se, per quanto già sopra illustrato, i canoni locativi rientrano tra i redditi d’impresa: tanto questi quanto gli utili prodotti dalla prosecuzione dell’attività da parte del curatore rientrano nel reddito d’impresa finale determinato ai sensi dell’art. 183 del TUIR. Se invece i canoni locativi rientrano tra i redditi diversi (in quanto riferibili all’unica azienda del fallito), allora la procedura fallimentare sarà fiscalmente caratterizzata: - da redditi diversi annuali ex art. 67, lettera h), del TUIR costituiti esclusivamente dalla differenza tra i canoni locativi percepiti e le spese specificamente inerenti la loro produzione (art. 71, comma 2, del TUIR); - da un reddito, eventuale, d’impresa, unico riferibile al periodo corrente tra l’inizio e la chiusura della procedura determinato ai sensi dell’art. 183 del TUIR, dal quale dovranno ovviamente essere espunti i redditi diversi di cui sopra. Questa dicotomia potrebbe facilmente e spesso produrre in capo al curatore l’obbligo di dovere pagare imposte annuali sui redditi diversi che potrebbero aritmeticamente essere assorbiti dal reddito d’impresa di cui all’art. 183: tale effetto negativo non si verificherebbe ovviamente nel caso in cui anche i canoni locativi rientrassero tra i redditi d’impresa. Quanto sopra illustrato per i redditi prodotti dai canoni d’affitto, vale anche per le plusvalenze realizzate dalla vendita dell’azienda affittata. Se dunque questa apparteneva ad una società fallita o ad un imprenditore fallito titolare di altre imprese, le plusvalenze suddette rientrano, per espressa disposizione dell’art. 86 del TUIR, tra i redditi d’impresa e quindi soggiacciono alla disciplina speciale prevista dall’art. 183 del TUIR; se invece l’azienda affittata era l’unica di proprietà dell’imprenditore individuale fallito, le plusvalenze realizzate dalla vendita della stessa sono considerate redditi diversi per espressa disposizione dell’art. 67, lettera h), del TUIR; la determinazione delle dette plusvalenze avverrà, in entrambe le ipotesi, secondo le regole stabilite dall’art. 86 del TUIR. Anche per quanto riguarda l’assoggettabilità o meno all’IVA dei canoni d’affitto le considerazioni da svolgere e le conclusioni cui pervenire sono le stesse. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 66 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE SEGNALAZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE I NDICAZIO NI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO Vendita di quote di s.r.l. – Il Consiglio Nazionale del Notariato ha divulgato lo Studio n. 99-2012/I, nel quale si esamina in primo luogo la possibilità di effettuare “la vendita di una partecipazione in società a responsabilità limitata con riserva della proprietà”, per poi soffermarsi, in un secondo momento, sui risvolti applicativi e pubblicitari che un tale istituto comporta nella prassi. Il testo dello Studio n. 99-2012/I, diffuso il 14 giugno 2013, è reperibile sul sito www.notariato.it. IRDCEC Collegio sindacale – L’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha reso noto il Documento n. 20, concernente Verbali e procedure del Collegio sindacale, in cui sono fornite “alcune tracce di verbali, comunicazioni e procedure che possono essere utilizzate nella prassi professionale”. Lo scopo è quello di proporre degli “strumenti operativi che consentano un’agevole applicazione delle Norme di comportamento del Collegio sindacale”. I modelli presentati si riferiscono a società non quotate e prescindono dall’eventuale attribuzione della revisione legale dei conti al Collegio sindacale. Tra gli altri, sono proposti il Verbale di insediamento (V.30), il Verbale periodico dell’attività di vigilanza (V.80), nonché quello in caso di effettuazione di un’operazione straordinaria (V.130, V.140 e V.150) e le Osservazioni del Collegio sindacale alla relazione sulla situazione patrimoniale della società a seguito di diminuzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite (V.120). Il Documento n. 20, pubblicato il 13 giugno 2013, è consultabile sul sito www.irdcec.it, ove sono altresì disponibili le tracce in formato modificabile (word). IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 67 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE O IC Aggiornamento principi contabili nazionali – L’Organismo Italiano di Contabilità ha avviato la consultazione sul principio contabile OIC 25, Il trattamento contabile delle imposte sul reddito, modificato, tra l’altro, alla luce degli interventi legislativi in tema di perdite fiscali riportabili a nuovo. Inoltre, in esso è stato incluso il Documento interpretativo n. 2 riferito alla versione dell’OIC 25 attualmente in vigore. Le osservazioni possono essere formulate sino al 31 ottobre 2013. La bozza in consultazione è reperibile sul sito www.fondazioneoic.eu. GIURISPRUDENZA Compromettibilità in arbitri e bilancio – Il Tribunale di M ilano si è recentemente pronunciato in tema di compromettibilità in arbitri delle controversie relative alla delibera di approvazione del bilancio. Il Tribunale, in tre differenti decisioni, ha affermato che nel caso in cui “la contesa si collochi in un conflitto squisitamente endosocietario […] in questione, ancor prima della chiarezza dei conti, viene dunque la gestione sociale, argomento sicuramente disponibile e discrezionale”. Più nel dettaglio, in due arresti, (Trib. M ilano, 10 maggio 2013, nn. 6595 e 6605), il socio impugnante lamentava “che l’altro socio avrebbe posto in essere azioni di depauperamento della società, in favore di altre sue società concorrenti” tacendo sul punto in nota integrativa. In una terza decisione (Trib. M ilano, 13 maggio 2013, n. 6710), la contestazione del socio impugnante concerneva la “gestione e in particolare le operazioni con parti correlate, che egli assumeva essere state nascoste nelle pieghe dei conti” non essendo state esplicitate in nota integrativa. “In ogni caso – hanno stabilito i Giudici nelle tre pronunce – i vizi di informazione sono sicuramente disponibili, atteso che il socio può essere o dichiararsi sufficientemente edotto a deliberare, anche quando l’informazione non gli sia stata correttamente fornita dal documento”. Un principio questo ancor più rilevante nella s.r.l., “laddove i ficcanti poteri di ispezione dell’art. 2476, comma 2, c.c., vanno ben oltre l’informazione aggregata e generica che offre il bilancio”. In tutte e tre i provvedimenti, il Tribunale si è dichiarato incompetente, dovendosi devolvere la controversia “alla cognizione del collegio arbitrale”. Trasferimento della sede legale all’estero – Il Tribunale di Treviso ha precisato che nonostante “la cancellazione dal Registro delle imprese produca un effetto estintivo immediato” ai sensi dell’art. 2495 c.c., la norma attiene alla “cancellazione della società all’esito del procedimento di liquidazione della stessa”. Qualora la cancellazione dal Registro non sia avvenuta per tale motivo e nemmeno sia determinata dal “verificarsi di altra situazione che comunque implichi la cessazione dell’esercizio dell’impresa”, bensì IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 68 SEGNALAZIONI DIRITTO COMMERCIALE sia dovuta al trasferimento della sede all’estero, “non può ritenersi che l’ente sia estinto”. Una tale conclusione, inoltre, è suffragata dagli artt. 2437 e 2473 c.c. che “nel riconoscere al socio la facoltà di recedere dalla società (per azioni ed a responsabilità limitata) in caso di trasferimento all’estero della sede legale, evidentemente presuppongono che essa continui ad esistere”. La decisione del Tribunale di Treviso del 31 maggio 2013 è disponibile sul sito www.ilcaso.it. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 69 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO SEGNALAZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO INDICAZIONI INTERPRETATIVE E APPLICATIVE Valute estere, quotazioni del mese di aprile 2013 L’Agenzia delle entrate ha pubblicato, con le relative tabelle allegate, il Provvedimento recante, - ai sensi dell’art. 10, comma 9, del Tuir e agli effetti degli articoli dei Titoli I e II, dello stesso Tuir, che vi fanno riferimento - l’accertamento del cambio delle valute estere per il mese di aprile 2013. (Agenzie delle entrate, Provv. n. 2013/7583 del 29 mag. 2013) Il parere di Assonime sulle perdite su crediti per mini importi Assonime - in assenza di chiarimenti da parte dell'Agenzia delle entrate sull'esatta interpretazione dei due nuovi limiti posti alla base della deducibilità fiscale delle perdite su crediti di modesto importo (art. 101. c. 5, Tuir) - ha, con una propria circolare, sposato la tesi interpretativa basata sul singolo rapporto di credito anche se inserito nell'ambito di un più ampio e complesso rapporto contrattuale, precisando che, per le perdite su crediti di modesto importo occorre sempre fare riferimento alla singola prestazione periodica anche se ricompresa all'interno di un rapporto contrattuale più complesso; ciò in quanto questa soluzione, all'interno di quelle possibili, sembra essere la più aderente al dettato normativo ed ha inoltre il pregio di rendere coerente la verifica del mantenimento del requisito quantitativo con quello della scadenza del credito e, sposando questa tesi, continua Assonime, il periodo di osservazione utile ai fini della verifica del duplice requisito – quantitativo e temporale – previsto dalla nuova normativa non potrebbe che essere quello della chiusura dell'esercizio sociale. Ai fini della deduzione della perdita, si legge ancora nella citata circolare, «si dovrebbe semplicemente verificare se a tale data, con riferimento alle singole partite creditorie che presentino una autonomia sotto il profilo giuridico, vi siano crediti che si collocano al di sotto della soglia quantitativa ( 2.500 o 5.000) e che sono già scaduti da almeno sei mesi». (Assonime, circ. n. 15 del 13 mag. 2013) Imprese, i chiarimenti mef per l’acconto Imu Il M inistero dell’economia e delle finanze ha fornito chiarimenti circa l’acconto Imu per gli immobili per i quali non è stata disposta la sospensione dell’Imu, precisando tra l’altro che, per quel che attiene a quelli appartenenti alle imprese: - l'aumento da 60 a 65 del moltiplicatore per il calcolo della base imponibile si applicherà già dall'acconto del 17 giugno; ma gli immobili di categoria catastale D, al IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 70 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO pari di tutti gli altri non esentati dall'acconto, pagheranno la prima rata dell'Imu sulla base dell'aliquota vigente nel 2012 anche se questa risulta inferiore rispetto a quella standard fissata dalla legge di stabilità 2013 allo 0,76% (elevabile di un ulteriore 0,3% da parte dei comuni); - chi pagherà l'acconto Imu calcolando il tributo «sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi dell'anno precedente» ancor prima della conversione in legge del dl n. 35 del 2013 potrà appellarsi al principio stabilito dall'art. 10, comma 3, dello Statuto dei diritti del contribuente che sterilizza l'applicazione di sanzioni quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria; - nulla impedisce, comunque, di procedere al pagamento della prima rata seguendo la norma in vigore (Mef, circ. n. 2 del 23 mag. 2013) I chiarimenti dell’Agenzia sulla deducibilità dei canoni leasing L’Agenzia delle entrate ha emanato una circolare sulla nuova deducibilità dei canoni leasing così illustrandola con apposito comunicato stampa: “Arrivano le istruzioni per effettuare correttamente la deduzione dei canoni di leasing ai fini delle imposte dirette, a seguito della modifica alla disciplina prevista dal Dl n.16 del 2012 che ha eliminato la condizione della durata minima contrattuale, prima richiesta per la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria. La circolare n. 17/E di oggi fornisce, inoltre, chiarimenti e numerosi esempi sul trattamento fiscale della quota capitale e degli interessi passivi impliciti dei canoni di leasing non ancora dedotti alla scadenza del contratto, sul leasing immobiliare, sulla disciplina per i lavoratori autonomi e sugli effetti ai fini Irap. Le modifiche introdotte dall’articolo 4-bis del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 interessano i canoni relativi ai contratti di leasing stipulati a partire dal 29 aprile 2012. La novità normativa - Il Dl n.16 del 2012 ha eliminato la condizione della durata minima contrattuale, prima prevista per la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria, rendendo così la deduzione autonoma rispetto alla durata del contratto. Queste novità interessano gli operatori economici che redigono il bilancio secondo i principi contabili nazionali, mentre non coinvolgono i soggetti Ias adopter. Come gestire i canoni di leasing non ancora dedotti alla scadenza del contratto – In questo caso i canoni non dedotti devono trovare riconoscimento fiscale mediante variazioni in diminuzione, pari all’importo annuale del canone fiscalmente deducibile, da apportare fino al completo riassorbimento dei valori fiscali sospesi. Irap – Ai fini Irap rileva l’importo del canone di leasing imputato a conto economico a prescindere dalla durata contrattuale. IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 71 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO Lavoratori autonomi: come incide la disciplina – La circolare precisa, inoltre, che il nuovo sistema di deducibilità si applica anche ai contratti stipulati dagli esercenti arti e professioni.” (Agenzia delle entrate, circ. n. 17 del 29 mag. 2013) Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto italiano ed estero, nuova tassazione. L’Agenzia delle entrate ha affrontato il tema delle modifiche al regime di tassazione degli organismi di investimento entrate in vigore il 13.05.12. La relativa circolare, che si articola come segue: 1. Quadro normativo di riferimento 2. Il regime di tassazione degli OICVM italiani 2.1. La compensazione del risparmio d’imposta 2.2. La certificazione delle minusvalenze in caso di fusioni transfrontaliere 2.3. Il regime di tassazione dei soggetti non residenti 2.4. I trasferimenti a causa di successione o donazione 2.5. Le operazioni di switch 2.6. Disposizioni in materia di sostituti d’imposta 2.7. Il regime transitorio dei partecipanti 3. Il regime di tassazione dei proventi derivanti dalla partecipazione ad OIVCM di diritto estero 3.1. Applicazione delle disposizioni convenzionali 4. Ulteriori disposizioni di coordinamento 5. Decorrenza è stata così illustrata con apposito comunicato stampa: “Le società di gestione del risparmio (SGR) operanti in uno Stato dell’Unione europea possono istituire e gestire organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM ) in altri Stati membri, senza dover costituire una società di gestione anche in queste nazioni. E’ questa una delle principali novità illustrate dalla circolare n. 19/E di oggi, con cui le Entrate affrontano il tema delle modifiche al regime di tassazione degli organismi di investimento, in seguito al recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva comunitaria UCITS IV. Il passaporto del gestore – La Direttiva UCITS IV assicura il riconoscimento in tutta l’Unione europea delle autorizzazioni e dei sistemi di vigilanza prudenziale di ciascun Stato membro. Ciò significa che, per istituire e gestire un OICVM armonizzato in uno Stato membro, è sufficiente il rilascio dell’autorizzazione e l’esercizio della vigilanza da parte del solo Stato membro di origine della SGR (home country control). In proposito tra i vari istituti recepiti nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 47/2012 assume particolare rilevanza il cosiddetto “passaporto del gestore”, in base al quale le società autorizzate a prestare il servizio di gestione del risparmio (SGR) possono IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 72 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO istituire e gestire OICVM armonizzati in altri Stati membri dell’Unione europea senza necessità di costituire in tali Stati una società di gestione. Trasferimenti di quote e azioni a titolo gratuito, tassazione a binario unico – Il decreto di attuazione della Direttiva ha, inoltre, apportato modifiche al “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (TUF), e di conseguenza ha integrato la disciplina fiscale degli OICVM . In particolare, è venuto meno il doppio binario per il calcolo della base imponibile in caso di trasferimento per successione di quote o azioni di organismi di investimento, ai fini della determinazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi. Investitori white list, tassazione fa rima con esenzione – Con riferimento al regime di esenzione applicabile agli investitori white list per i redditi derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, nel documento di prassi si chiarisce che il possesso delle quote o azioni deve essere opportunamente attestato dal deposito dei titoli presso un intermediario residente in Italia. L’esenzione però è applicabile esclusivamente ai proventi realizzati dal soggetto non residente e maturati nel periodo di possesso delle quote o azioni. maturati nel periodo di possesso delle quote o azioni.” (Agenzia delle entrate, circ. n. 19 del 4 giu. 2013 G IURISPRUDENZA Frodi carosello. Costi: deduzione no, deduzione sì Con due recenti e contrastanti sentenze la Corte di Cassazione ha statuito che: 1) sentenza n.11667/13: l’art.8, c.1. del dl.n.16/12 (cosiddetto sulle Semplificazioni fiscali) non dà diritto all’imprenditore assolto dall’accusa di evasione Iva di dedurre i costi effettivamente sostenuti a fronte di una fattura soggettivamente falsa; 2) sentenza n. 12503/13 : in tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, c. 4-bis, della legge n. 537/93, nella formulazione introdotta con l'art. 8, c. 1, del dl n. 16/12, sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cosiddetta «frode carosello», anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con dpr n. 917/86, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. Alla luce dei divergenti giudicati, non resta che attendere un definitivo pronunciamento delle Sezioni unite. (Cassazione, sentenze n. 11667 del 15 mag. 2013 e n. 12503 del 22 mag. 2013) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 73 SEGNALAZIONI DIRITTO TRIBUTARIO La cessione d’azioni non è cessione d’azienda La Corte di Giustizia della Ue ha statuito che la vendita (nel caso di specie del 30%) delle azioni della società alla quale vengono prestati servizi direzionali non è assimilabile al trasferimento dell'azienda, neppure nel caso in cui sia effettuata contemporaneamente alle cessioni, allo stesso compratore, delle azioni possedute dagli altri azionisti. Tale vendita costituisce invece, agli effetti dell'Iva, un'operazione esente. Per determinare, poi, se il venditore abbia oppure no il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai servizi acquisiti in vista dell'operazione, occorre accertare se il costo di tali servizi sia stato ricaricato o meno sul prezzo della cessione delle azioni, al fine di stabilire se abbiano un nesso diretto con l'operazione esente oppure con l'attività in generale. (Corte di Giustizia della Ue, sentenza del 30 mag. 2013, causa C-651/11) Elusione. Una serie di contratti può configurarla La sentenza statuisce che porre in essere una serie di compravendite fra società per beneficiare indebitamente delle agevolazioni sull'imposta di registro è elusione fiscale. Ciò perché l'amministrazione finanziaria, pur non potendo colpire una serie di contratti legittimi, può considerarli come unica operazione commerciale, contestando l'abuso di diritto, infatti «in tema di imposta di registro, l'art. 20 del dpr 26 aprile 1986 n. 131 attribuisce prevalenza, ai fini dell'interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca e agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente; e in tal senso vincola l'interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati, anche frazionatamente, in uno o più atti. Pertanto una pluralità di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale costituito dal trasferimento della proprietà di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell'imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva». (Cassazione, sentenza n. 14150 del 5 giu. 2013) IL N UOVO D IRITTO DELLE SOCIETÀ – N. 13/2013 74 MODALITÀ DI ABBONAMENTO La rivista Il Nuovo Diritto delle Società viene distrubuita previa sottoscrizione di un abbonamento annuale, che comprende 24 numeri al costo di 120,00 euro. In seguito alla sottoscrizione, all’abbonato vengono assegnati una username ed una password, che consentono di accedere all’archivio storico della Rivista nonché alle banche dati di Italia Oggi (www.italiaoggi.it). L’abbonamento può essere richiesto: • telefonando al numero verde 800-822195 • inviando un fax al numero verde 800-822196. 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NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, DOTTRINA E PRASSI IL NUOVO DIRITTO DELLE SOCIETÀ ItaliaOggi ItaliaOggi Editori - Erinne srl – Via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano Telefono 02/58219.1 – Telefax 02/58317598 – email: [email protected] Direttore responsabile ed editore Paolo Panerai (02/58219209) Tariffe abbonamenti: euro 120, 00 (abbonamento annuale 24 numeri) Per la sottoscrizione di nuovi abbonamenti telefonare al numero verde 800-822195 oppure inviare un fax al numero verde 800822196 allegando, oltre alla richiesta di abbonamento con i propri dati anagrafici, fotocopia dell’assegno non trasferi bile intestato a: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 - 20122 Milano, oppure fotocopia del bonific o bancario intestato a Banca Popolare di Milano, agenzia 500, via M azzini 9/11 Milano – IBAN IT58N0558401700000000047380 Distribuzione: ItaliaOggi Editori - Erinne srl – via Marco Burigozzo 5 – 20122 Milano, numero verde 800-822195. Vendita esclusiva per abbonamento. 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