Quesito di Impresa n. 19-2011/I
SOCIETÀ SCADUTA, ADEGUAMENTO E REVOCA DELLA LIQUIDAZIONE
Si prospetta il seguente quesito: una società a responsabilità limitata, con statuto ancora con
norme non adeguate alla normativa introdotta dalla riforma del 2004, intende apportare le
necessarie modifiche al fine di renderlo conforme alla normativa vigente.
La durata della società è però stabilita sino al 31 dicembre 1999.
Si chiede se, per poter effettuare le modifiche statutarie e, soprattutto, per poter
regolarizzare la società, sia necessaria la revoca dello stato di liquidazione.
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Non v’è dubbio che si sia verificata una causa di scioglimento ai sensi dell’art. 2484, n. 1) c.c.
Ciò, tuttavia non vuol dire che per ciò stesso la società sia già in liquidazione.
Della questione si occupa espressamente, in un recente studio del Consiglio Nazionale,
PETRERA, Rimozione della causa di scioglimento della società e l'efficacia della deliberazione di
revoca, in Studi e materiali, 2008, 1139 ss., secondo il quale, per determinare l'ambito temporale
di applicazione della disciplina della revoca dello stato di liquidazione assumono particolare
rilevanza le modifiche operate dall'art. 2484 3° comma c.c., che individua il momento dal quale si
determinano gli effetti dello scioglimento”, norma il cui tenore letterale “induce a riconoscere
efficacia costitutiva agli adempimenti pubblicitari nella stessa richiamati”.
Sul punto, peraltro, come evidenziato nel citato studio, si contrappongono due orientamenti,
che pur riconoscendo agli adempimenti pubblicitari efficacia costitutiva, si differenziano poi sugli
effetti endosocietari da quelli metasocietari.
Secondo una parte della dottrina, infatti, l’efficacia costitutiva degli adempimenti pubblicitari
opererebbe nei soli confronti dei terzi e, più specificatamente, dei creditori sociali (NICCOLINI, La
revoca dello stato di liquidazione delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber
Amicorum Gian Franco Campobasso, 4, Torino 2007, 36 ss.), con conseguente riconoscimento, sul
piano endosocietario, del diritto di recesso per i soci dissenzienti a fronte di delibere che, in
assenza dell’adempimento pubblicitario, eliminino la causa dello scioglimento una volta che la
stessa si sia verificata. Il verificarsi della causa di scioglimento determinerebbe, ipso facto, sul
piano interno, lo stato di liquidazione, mentre nessuna rilevanza avrebbe tale situazione per i terzi
almeno sino a quando non si sia proceduto agli adempimenti pubblicitari.
Tale ricostruzione viene anzitutto criticata per l’incoerenza con l’impianto normativo, dato
che i creditori non potrebbero opporsi alla revoca della liquidazione laddove gli amministratori
non abbiano adempiuto alla pubblicità ex art. 2484, comma 3, c.c.
Si rileva, inoltre, come questa differenza di effetti rispetto ai soci ed ai terzi non si giustifichi
neppure in ragione della difficoltà per i terzi nell'accertare l'intervenuto scioglimento. “Si pensi,
infatti, al caso del decorso del termine di durata della società, situazione anche per i creditori
verificabile con certezza, pur in assenza di qualsiasi adempimento pubblicitario: la società sarebbe
certo in liquidazione - stando alle teorie esposte - ma ai creditori non sarebbe garantita alcuna
azione in caso di delibera con la quale i soci - eventualmente all'unanimità - decidano di fissare un
termine diverso di durata. Se in altre fattispecie, nelle quali in ragione della difficoltà di individuare
il momento al quale ricollegare la causa di scioglimento potrebbe anche giustificarsi che, per i
terzi, è solo all'adempimento pubblicitario che può ricollegarsi il nascere del diritto all'opposizione,
nel caso di specie tale giustificazione è, evidentemente, non sostenibile” (PETRERA, Rimozione della
causa di scioglimento della società e l'efficacia della deliberazione di revoca, cit.).
In tale seconda e preferibile prospettiva, dunque, la differenziazione tra il piano
endosocietario e quello metacorporativo si riduce nel senso che gli effetti del verificarsi dello
scioglimento che non si ripercuotono all'esterno della società sono limitati, per i soci, all'insorgere
del potere riconosciuto dall'art. 2485 2° comma c.c. di dare impulso agli adempimenti pubblicitari
e, per gli amministratori, agli obblighi ed ai poteri disciplinati dagli artt. 2485 e 2486 c.c..
Quindi, il verificarsi di una causa di scioglimento produce sì effetti interni
indipendentemente dai relativi adempimenti pubblicitari ma non l'insorgere di per sè dello stato di
liquidazione» (ancora PETRERA, Rimozione della causa di scioglimento della società e l'efficacia della
deliberazione di revoca,, cit., al quale si rinvia per ulteriori approfondimenti).
Di tutta evidenza le diverse conseguenze delle due ricostruzioni.
Se si opta per la prima tesi, che sostanzialmente riconduce alla scadenza del termine l’effetto
(interno) dell’instaurarsi dello stato di liquidazione, si dovrebbe ritenere applicabile – in via
analogica – anche la disciplina dell’art. 2487-ter riconoscendo il diritto di recesso al socio
dissenziente.
Se invece, come appare preferibile, si segue la seconda ricostruzione, la rimozione della
causa di scioglimento determinata dallo scadere del termine prima che si sia provveduto
all’iscrizione ai sensi dell’art. 2484, comma 3, c.c., non darà comunque luogo a revoca dello stato
di liquidazione, né all’insorgere del diritto di recesso.
Nel caso di specie, la circostanza che la causa di scioglimento per decorso del termine si sia
verificata prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto societario implica anche il dubbio
che la disciplina applicabile, stante il disposto dell’art. 218 disp. att. c.c., sia quella anteriore.
Invero, la norma fa riferimento alle “società in liquidazione alla data del 1° gennaio 2004” e,
tenuto conto che solo con la riforma si è chiaramente introdotta un’espressa previsione
dell’efficacia costitutiva della pubblicità in ordine al determinarsi degli effetti dello scioglimento,
potrebbe porsi il dubbio che rispetto alla società, proprio perché il termine di durata scadeva nel
1999, tali effetti si fossero già prodotti al gennaio 2004.
E, al riguardo, occorre ricordare come, secondo una certa opinione, al verificarsi della causa
di scioglimento la società entrava ipso iure in liquidazione (sul punto NICCOLINI, Scioglimento,
liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. Colombo- Portale, 7***, Torino, 1997,
433 s. e nt. 16): in tale ricostruzione ne dovrebbe derivare che il rilievo in ordine all’efficacia
costitutiva della pubblicità dello scioglimento ex art. 2484, comma 3, c.c. post riforma, non possa
valere nel nostro caso. La conseguenza, quindi, una volta ritenuto che la società fosse già in
liquidazione e non semplicemente “sciolta”, sarebbe quella dell’assoggettamento alla disciplina
previgente: con l’esito, quindi, di una “liquidazione da revocare”.
Tuttavia, sembra preferibile, e più aderente alla realtà, la tesi che riconduceva alla nomina
dei liquidatori l’inizio della fase della liquidazione. Con la conseguenza che, non essendosi dal 1999
ad oggi provveduto alla nomina dell’organo, la soluzione sopra prospettata (la società è sì sciolta,
ma non è ancora in liquidazione, quindi non ne è necessaria la revoca) dovrebbe essere comunque
percorribile.
Antonio Ruotolo