Oltre il terrore
- Roberto Ciccarelli, 17.01.2015
Storia contemporanea. Un'intervista a Laura Guazzone, docente di Storia dei paesi arabi e
specialista dell'Islam politico. «La strategia jjhadista colpisce il nemico lontano, l'occidente, per
abbattere quello vicino, gli stati musulmani creati artificialmente dal colonialismo»
Gli attentati di Parigi non sono isolati. Solo partire dalla Francia nel marzo 2012 ci sono stati gli
attacchi di Tolosa (7 morti, tra cui 3 bambini della scuola ebraica) e a giugno 2014 l’attentato al
museo ebraico di Bruxelles (4 morti). Tutto sembra essere iniziato nel 2004 con gli attentati di
Madrid e l’anno successivo con quelli di Londra. A Laura Guazzone, specialista di Islam politico
arabo e docente di storia contemporanea dei paesi arabi alla Sapienza di Roma chiediamo da quale
dibattito emerge la strategia che intende portare la guerra politico-religiosa del Jihad in Europa.
«Poco prima di essere catturato dalla Cia nel 2005, Abu Musab al-Suri, forse il più lucido degli
strateghi di al-Qaida, ha pubblicato sul web un libro di 1600 pagine, intitolato ’La chiamata al Jihad
globale’ (Da‘wa al-muqawama al-islamiyya al-‘alamiyya) – risponde Guazzone – dove ha elaborato la
‘giustificazione’ ideologica e la strategia militare del Jihad (guerra santa) da condurre con tecniche
di guerrilla contro l’Occidente, anche agendo individualmente. Le tattiche suggerite con dovizia di
dettagli nel più noto testo strategico di al-Qaida prevedono stragi (negli stadi, nei mezzi di
trasporto), anche con armi di distruzioni di massa, ma pure attacchi ad obiettivi particolarmente
vulnerabili come gli intellettuali, gli ebrei, i bambini».
Qual è l’obiettivo di questa strategia?
Costringere col terrore i paesi occidentali a rinunciare al loro controllo politico-militare sui paesi
musulmani, un ritiro che provocherebbe anche la caduta dei regimi empi e asserviti che governano
questi paesi. È la strategia della guerra portata al «nemico lontano» (l’Occidente) per abbattere il
«nemico vicino» (i regimi musulmani empi), liberando il mondo musulmano dagli stati nazionali
creati artificialmente dal colonialismo e sgombrando il campo per l’obiettivo finale: la riconduzione
di tutto l’ecumene islamico (la umma) in un’unica entità politica ortodossa, il califfato, premessa per
la diffusione dell’Islam in tutto il mondo (sull’ideologia di al-Qaida: Fawaz Gerges The Far Ennemy
2009).
Chi è Abu Musab al-Suri?
Un iconoclasta, critico di Bin Laden e della casistica religiosa del fondamentalismo islamico. Per lui
la vittoria del jihad non sarà regalata da Dio, ma sarà frutto di una strategia militare razionale di
lungo periodo iniziata in Europa con gli attacchi di Madrid, ispirati se non direttamente organizzati
dallo stesso al-Suri. Dopo aver acquisito la nazionalità spagnola per matrimonio, ha contribuito a
creare le reti jihadiste in Europa ed è tornato in Pakistan. Poi è stato consegnato dagli Usa al regime
siriano in una delle famigerate renditions della Cia e il regime siriano l’ha fatto uscire di prigione nel
dicembre 2011, probabilmente come scambio utile alla guerra per la sopravvivenza del presidente
Bashar al-Asad. Lo stesso regime che, pur continuando a massacrare i suoi oppositori armati e
disarmati, non ha mai contrastato militarmente le milizie dell’Isis. Grazie alle cattive strategie della
«guerra al terrore» occidentale, il principale teorico del jihad oggi è libero.
Dal 2001 in poi abbiamo imparato a riconoscere in Al Qaeda un «logo» del terrore. Oggi
sono nati altri soggetti, come i movimenti «takfiristi» e l’Isis, che rendono la scena politica
del Jihad molto più ampia e articolata rispetto a 15 anni fa. Di cosa si parla, oggi, quando
si parla di «islam politico»?
Ovunque tranne che in Tunisia, i movimenti moderati dell’Islam politico derivati dai Fratelli
musulmani sono in declino. Loro hanno rifiutato la lotta armata dagli anni Ottanta scegliendo la
partecipazione politica riformista. Il declino attuale dell’islamismo moderato è dovuto a diversi
fattori. Un fattore decisivo è senz’altro la repressione durissima di questi oppositori da parte dei
regimi restaurati. Ma un fattore importante è anche la disaffezione popolare per i movimenti
islamisti moderati, che per i musulmani «qualunque», e particolarmente per i liberali, si sono
dimostrati incapaci di realizzare per via riformista la promessa trasformazione democratica, ma
rispettosa dei valori islamici, dei sistemi politici dei loro paesi. Va infine aggiunto che, proprio per il
loro impegno sulla via politica riformista, sinora inconcludente, i movimenti islamisti moderati sono
criticati «da destra» da quelli islamici più conservatori.
Che cosa intendono i jihadisti per partecipazione politica?
Collaborazionismo coi regimi apostati. Per i movimenti salafiti invece gli islamisti avrebbero
abbandonato la difesa rigorosa dei «veri» valori islamici che, per loro, non risiedono come per i
riformisti anche nei diritti umani e politici, bensì esclusivamente nella morale e nell’ortoprassi.
Nel quadro degli sconvolgimenti in corso nel mondo arabo, a causa degli autoritarismi perduranti
come pure della perdurante occupazione israeliana dei territori palestinesi, degli esiti dell’intervento
della Nato in Libia e dell’occupazione americana dell’Iraq, l’ala vincente dell’Islam politico dalla
Siria al Mali e alla Nigeria è oggi quella jihadista, non quella riformista dei Fratelli musulmani,
rappresentata ad esempio da partiti moderati come Ennahda in Tunisia o il PJD in Marocco. Tra i
movimenti jihadisti è, poi, in corso una complessa competizione tra al-Qaida e i movimenti cosiddetti
neo-takfiristi (da takfir, accusa di apostasia, che secondo questi movimenti riguarda tutti i
musulmani che non aderiscono al jihad ed è punibile con la morte). In Siria, l’Isis è neo-takfirista e
combatte con le armi il Fronte al-Nusra, emanazione di al-Qaida.
Chi sono gli europei musulmani che scelgono di diventare jihadisti?
Talvolta, sono individui di scarsa istruzione generale e religiosa, che ignorano le differenziazioni
politiche e le sottigliezze ideologiche dei diversi movimenti, e hanno un passato di emarginazione
sociale e piccola criminalità, in cui la prigione sembra aprire la via alla radicalizzazione. Ma questo è
un nesso causale che non sempre viene confermato negli studi. Coloro che vengono inviati nei paesi
musulmani per prepararsi al jihad, ricevono un addestramento militare, ma la loro formazione
ideologica resta limitata all’indottrinamento di base. Per i musulmani europei, il jihad è senz’altro
una scelta identitaria, di rivalsa individuale e di reazione all’islamofobia dilagante, ma non è certo la
scelta consapevole di una prassi rivoluzionaria specificamente diretta contro l’esclusione sociale.
Rispetto a questo scenario, qual è la novità emersa dagli attacchi a Parigi?
I Kouachi hanno agito per al-Qaida, mentre Koulibaly ha fatto riferimento all’Isis. Jihadisti europei,
soci di una stessa cellula «fai-da-te», hanno agito insieme, mentre i movimenti a cui fanno
riferimento si combattono con le armi e hanno posizioni ideologiche diverse rispetto a questioni non
marginali. Al-Qaeda considera legittimo colpire l’Occidente e i regimi empi. L’Isis colpisce anche
tutti i musulmani che non partecipano al jihad. Al-Qaida considera il califfato come l’obiettivo ultimo
dopo l’abbattimento dei nemici vicini e lontani. Per l’Isis va realizzato qui e ora, come anche per
Boko Haram e altri.
© 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE