Istituto Oncologico Romagnolo: presentata la campagna natalizia a sostegno del Progetto ARTHE Lunedì 28 Novembre 2016 Un progetto rivoluzionario contro il tumore del seno, portato avanti dal prof. Giovanni Paganelli Si è tenuta oggi, presso la sede centrale di Corso Mazzini 65 a Forlì, la conferenza stampa di presentazione della campagna di raccolta fondi natalizia dell’Istituto Oncologico Romagnolo. Quest’anno, il progetto di ricerca scelto dalla ONLUS nata nel 1979 è ARTHE, sperimentazione portata avanti presso l’IRST IRCCS dall’equipe del prof. Giovanni Paganelli, direttore dei dipartimenti di Medicina Nucleare, Medicina Nucleare Diagnostica e Medicina Radiometabolica dell’IRST IRCCS di Meldola. Le parole di Giovanni Paganelli Ex borsista IOR, autentico pioniere della lotta al carcinoma mammario, il prof. Giovanni Paganelli ha collaborato per anni con il compianto prof. Umberto Veronesi, contribuendo in maniera decisiva alle varie scoperte in tema di tumore del seno verso terapie sempre più conservative: dalla quadrantectomia all’identificazione del Linfonodo Sentinella, fino alla tecnica ROLL. “Il Progetto ARTHE è un ulteriore passo avanti in questo percorso – ha spiegato l’esperto – un percorso che deve portarci a mostrare un rispetto sempre maggiore verso le nostre donne, le nostre figlie, le nostre madri. Con questa sperimentazione miriamo alla creazione di una tecnica sperimentale per il trattamento del tumore del seno non palpabile, che non si riesce cioè ad individuare col tatto”. Ad oggi l’approccio terapeutico a questo tipo di neoplasia, che rappresenta comunque il 30% delle lesioni mammarie tumorali complessive, è quello classico dell’intervento chirurgico e radioterapia complementare. “Se questa tecnica rivoluzionaria confermasse la sua efficacia – prosegue il prof. Paganelli – potremmo curare queste pazienti evitando loro l’intervento chirurgico”. Entriamo quindi nel merito di ARTHE, acronimo di Avidination for Radionuclide Therapy. “Di norma, le lesioni mammarie non palpabili vengono identificate nell’ambito di uno screening oncologico e Forlinotizie confermate come maligne attraverso una biopsia: in parole povere, si estrae un piccolo pezzo di neoplasia e lo si studia per capirne la natura. Questo esame lascia ovviamente un piccolo buco all’interno della massa tumorale, nel punto in cui è avvenuta la biopsia: l’idea alla base di questa nuova tecnica è di introdurre al suo interno una sostanza chiamata avidina, una proteina presente in natura, ad esempio nell’albume delle uova. L’avidina in questo modo si diffonde nel sito dell’iniezione dove si trovano ancora le cellule malate. Dopo pochi minuti si inietta in vena la biotina: una semplice vitamina (H), che noi trasformiamo in laboratorio in una sostanza debolmente radioattiva”. “L’avidina è così denominata proprio per la particolare avidità con cui si lega alla biotina – ha continuato Paganelli – che entrando nell’organismo della paziente riconosce l’avidina precedentemente iniettata nella sede tumorale e va a legarsi con essa, concentrandosi nel sito della biopsia. A quel punto rilascia le radiazioni specificatamente in quella zona, andando a distruggere le cellule tumorali ancora presenti. Insomma: con questa tecnica saremo in grado di circoscrivere le radiazioni solo ed esclusivamente dove la malattia si è presentata. Una sorta di bomba intelligente contro i piccoli tumori”. La sperimentazione ha già dato ottimi risultati, dimostrandosi sicura, su circa 35 pazienti nella sua prima fase: durante la seconda verrà quindi testata su 120 donne, che si sono offerte volontarie. “Non esistono rischi per queste donne – afferma Paganelli – poiché proseguiranno con il classico iter terapeutico: l’unica differenza sarà che, nel periodo d’attesa tra la diagnosi e l’intervento chirurgico, andremo ad intervenire con il metodo sopra descritto. La speranza è che, quando sarà il momento di andare sotto i ferri, avidina e biotina abbiano rimosso qualsiasi residuo tumorale, per rendere appunto l’intervento superfluo e far dimenticare questa brutta avventura alle pazienti senza alcuna rimozione, totale o parziale, della mammella”. Il progetto ARTHE potrebbe quindi cambiare radicalmente l’approccio terapeutico a una malattia, il tumore del seno, che purtroppo continua a rappresentare la neoplasia maggiormente comune nella donna di ogni fascia d’età. Le statistiche fornite dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica affermano che oggigiorno una donna su otto, in Italia, si ammalerà di carcinoma mammario nel corso della propria esistenza, e si stima che nel corso del 2015 siano stati diagnosticati circa 48.000 nuovi casi. La Romagna non fa eccezione: anche da noi la neoplasia alla mammella rappresenta la più comune, rappresentando addirittura il 41% dei casi totali tra le donne al di sotto dei 49 anni. “La tecnica ARTHE si applicherebbe esclusivamente alle pazienti che presentano un tumore del seno non palpabile – prosegue Paganelli – ma pensate cosa potrebbe significare per queste donne, sia in termini fisici che psicologici, evitare un’operazione che le priva di una parte fondamentale della loro persona. Senza contare quelle che potrebbero essere le ripercussioni positive sul sistema sanitario nazionale, sulla ricerca scientifica italiana e romagnola in particolare: l’IRST IRCCS è già riconosciuta come struttura d’eccellenza in Italia, ma essere i primi al mondo a perfezionare una tecnica tanto rivoluzionaria, comporterebbe un salto di qualità agli occhi della comunità medica internazionale”. Per fare ciò, però, occorrono fondi importanti: “La nostra è una sperimentazione spontanea, non appoggiata dalle case farmaceutiche – precisa Paganelli – il cammino è ancora lungo, e presenta costi notevoli. Per questo motivo per portarla avanti abbiamo bisogno di supporto. In questo senso, l’impegno dell’Istituto Oncologico Romagnolo nel sostegno economico a lungo termine di un progetto tanto importante per tutte le donne è davvero fondamentale: sapere di avere al proprio fianco un’organizzazione seria ed affidabile, che dal 1979 tanto ha fatto e tanto continua a fare nella lotta contro i tumori, è la miglior garanzia che noi ricercatori potremmo chiedere.” Le parole di Fabrizio Miserocchi Il Direttore Generale dello IOR, Fabrizio Miserocchi, gli ha fatto eco. “Ogni anno, in questo periodo, decidiamo di dedicare una parte importante della nostra raccolta fondi alla ricerca: un tema decisivo, importante, che ha risvolti immediati sulla cura. I tempi non sono brevi, però non possiamo disimpegnarci da un terreno che ci vede fortemente coinvolti da 37 anni. È un impegno che negli ultimi anni abbiamo sancito in maniera ufficiale con l’IRST IRCCS di Meldola: un po’ perché rappresenta il polo d’attrazione di tutta la ricerca scientifica in Romagna, un po’ per fornire garanzie sempre maggiori a coloro che ci sostengono. Le generose offerte dei nostri donatori non vengono destinate ad una ricerca generica, ma per qualcosa di importante e ben definito, come l’acquisto di attrezzature e di materiali volti a far compiere alla lotta contro il cancro sul nostro territorio effettivi passi avanti. Il Progetto ARTHE si inscrive sicuramente in questo filone: abbiamo pensato che per Natale la cosa migliore che potremmo regalare alle nostre donne è una cura ancor più conservativa, che possa rispettarne l’integrità fisica e morale. Per questo abbiamo deciso di sostenere l’equipe del prof. Paganelli in questa grande sperimentazione: siamo sicuri che anche quest’anno i nostri concittadini capiranno l’importanza di appoggiare questo studio e che riusciremo, assieme, ad ottenere grandi risultati”. Sanità Forlinotizie