1. La r. classica Oltre che una dimensione del linguaggio, la r. nella

1. La r. classica
Oltre che una dimensione del linguaggio, la r. nella cultura occidentale è diventata a un certo momento
una tecnica esplicita e una teoria delle funzioni del linguaggio. La r. classica è stata la prima tecnica
comunicativa e la prima teoria pragmatica costruita nella cultura occidentale. Non è probabilmente un
caso che le sue origini si confondano con quelle della democrazia e della filosofia greca, quando era
essenziale il problema delle forme e della legittimità dell’argomentazione pubblica, capace di suscitare
il consenso popolare. Elaborata nell’Atene e nelle colonie siciliane del V secolo a.C. dai sofisti, fu
codificata in maniera sistematica già da Aristotele ed è stata conservata per molti secoli nella
terminologia latina coniata da Cicerone, come parte essenziale dell’educazione umanistica.
Il campo della r. classica si usa suddividere in cinque parti, che corrispondono a diverse pratiche e,
insieme, costituiscono la competenza dell’oratore, sia egli impegnato in discorsi politici, giudiziari o
d’altro tipo. Nella tabella a pagina seguente i nomi e le definizioni classiche.
INVENTIO - Euresis
Invenire quod dicas
Trovare cosa dire
DISPOSITIO - Taxis
Inventa disponere
Ordinare ciò che si è trovato
ELOCUTIO - Lexis
Ornare verbis
Aggiungere l’ornamento delle figure
ACTIO - Ypocrisis
Agere et pronuntiare
Recitare il discorso come un attore: gesti e parole
MEMORIA - Mneme
Memoriae mandare
Studiare a memoria
1.1. Inventio (costruzione degli argomenti).
Alla base di qualunque atto persuasivo sta la costruzione di un’argomentazione con cui ottenere
il consenso del destinatario. Secondo la tradizione r. si possono seguire due strade principali per
ottenere questo risultato: la commozione del pubblico, basata sulla manipolazione dei suoi
sentimenti e il suo convincimento, basato su argomentazioni più o meno razionali. I rami
successivi della classificazione degli argomenti dell’inventio costituiscono delle opzioni
pragmatiche, che si possono scegliere o praticare successivamente nel corso della stessa
argomentazione.
Si può cercare così di coinvolgere emotivamente (commuovere) un destinatario vantando
la franchezza, la saggezza o la simpatia dell’oratore, dunque lavorando sulla definizione passionale
dell’enunciatore; o eccitando le passioni che già dominano il pubblico. Il convincimento si può
cercare per via di prove estrinseche (cioè non costruite nell’argomentazione ma prese dall’esterno
già pronte) come i pregiudizi comuni, le voci, i giuramenti, le testimonianze, gli atti; o ancora
cercare di convincere per prove intrinseche, cioè realizzate all’interno dell’argomentazione, come
gli esempi storici, le parabole o gli entimemi. L’entimema è il tipico ragionamento retorico, che
non ha forza logica, ma grande potere persuasivo, essendo fondato – secondo Aristotele – su
verosimiglianze, indizi e segni, non sul vero o l’immediato. In sostanza le premesse sono solo
probabili, non scientificamente dimostrate, e spesso anche la forma dell’argomentazione è priva
di valore logico.
I materiali per queste premesse vengono spesso dai topoi o luoghi comuni: stereotipi, ma anche
forme vuote per sviluppare il discorso, su cui esiste un consenso universale. Spesso queste
premesse hanno una forma non dichiarativa ma esprimono dei giudizi di valore più o meno
mascherati: per esempio ‘bisogna’ amare la patria, oppure l’eroismo è la ‘massima’ virtù. Si
classificano in diversi modi: topoi grammaticali, logici, metafisici; oppure topoi dell’oratoria, del
comico, della teologia, dell’immaginazione. Inutile dire che i luoghi comuni sono pericolosi proprio
per la loro genericità che può dar luogo a pratiche persuasive insidiose e irrazionali. Ancora c’è
una topica generale (loci generalissimi: possibile/impossibile, reale/irreale, piú/meno) e una topica
particolare relativa all’argomento, organizzata in forma di quaestio, che dà forma alla specificità
del discorso.
Il cuore dell’argomentazione retorica, nello spazio del convincimento intrinseco dell’inventio, è la
quaestio, il problema da decidere. Lo si considera da due punti di vista, uno generale (Tesi) e uno
specifico detto Ipotesi, ma anche causa, che è il problema vero e proprio. La causa va esaminata
da tre punti di vista (status): la realtà del fatto da giudicare (congettura), la sua definizione e la
sua qualità. Per esempio, di fronte a un processo per omicidio, il problema concreto
(ipotesi o causa vera e propria) sarà : X è colpevole della morte del suo nemico? Questa domanda
si potrà scomporre in una congettura fattuale (ha avuto luogo o no la morte?), in un problema
astratto di tipo etico, cioè in una tesi (per esempio: è lecito uccidere i propri nemici?) e infine si
concretizzerà in un’ipotesi, che cercherà di configurare la qualità dell’evento sottoposto a
giudizio, la sua definizione (per esempio, che cos’è accaduto davvero? si tratta proprio di un
assassinio?).
Bisogna tener conto che la quaestio è una tecnica per organizzare la ricerca di argomenti
pertinenti al caso in discussione, che esso sia politico, giuridico o d’altro tipo. Si tratta cioè di
stabilire la pertinenza dei discorsi da svolgere e di sviluppare in modo corretto gli entimemi che
vi si riferiscono.
1.2. Dispositio (ordinamento del discorso).
La costruzione degli argomenti e la loro sistemazione secondo schemi dimostrativi è solo il primo
passo della tecnica retorica. Il momento successivo consiste nell’organizzazione della struttura
da dare agli argomenti raccolti. In primo luogo bisogna decidere la forma dell’elocuzione,
stabilire cioè quale sarà l’interlocutore implicito al discorso, quello a cui si mostra di parlare
(anche se l’ascoltatore reale, quello che si vuol colpire, può essere diverso). Da questo punto di
vista il discorso può essere diretto (dire quel che si vuol dire indirizzandosi all’interlocutore che
effettivamente interessa convincere). Oppure può essere obliquo (è il modo di fare che viene
riassunto nel proverbiale "parlare a suocera perché nuora intenda"). Infine il discorso può
essere contrario (fondarsi cioè sull’ironia, fingendo che l’oratore abbia una posizione opposta a
quella che effettivamente sostiene; è il caso del famoso discorso di Antonio nel Giulio Cesare di
Shakespeare).
In secondo luogo gli argomenti ricevono un’organizzazione temporale. Nella tradizione retorica
il discorso si usa divide in quattro parti: un esordio, in cui l’oratore si presenta anche sul piano
psicologico ; una narratio, in cui sono ricostruiti i fatti in discussione; una confirmatio, dove sono
allineati gli elementi di valutazione (trovati nella fase dell’inventio e in particolare
della quaestio), che vanno nel senso voluto dall’oratore; e infine un epilogo, in cui vengono fatte
le richieste e le proposte dell’oratore. L’esordio e l’epilogo del discorso hanno di solito carattere
emotivo (il ‘commuovere’ dell’inventio) quelle centrali sono invece dimostrative (il ‘convincere’
dell’inventio).
Il discorso è articolato per frammenti minori (periodi) i quali sono caratterizzati da almeno due
membri ritmici ma anche emotivi: innalzamento o tasis e abbassamento o apotasis.
1.3. Elocutio (messa in parola).
Lo schema generativo che abbiamo seguito ha avuto finora un carattere prevelentemente
concettuale: si trattava di trovare degli argomenti e di organizzarne la successione, logica ed
emotiva. L’elocutio è la fase successiva in cui il lavoro dell’oratore arriva al livello della parola
vera e propria, cioè della scelta degli elementi significanti con cui rivestire la costruzione
realizzata nella fase precedente.
Due assi principali dominano la r. della ‘messa in parola’: l’electio (vale a dire la scelta delle
parole, quello che in semiotica viene chiamato asse paradigmatico), cui corrisponde la metafora;
e la compositio( cioè il modo di riunione delle parole, l’asse sintagmatico), cui corrisponde in
particolare la metonimia.
Oggetto della elocutio sono in particolare le figure retoriche, che nel corso della storia della r.
sono state classificate molto minuziosamente, fino a raggiungere il numero di diverse centinaia
di tipi. Tutte consistono sostanzialmente nella sostituzione di un’espressione base con un’altra,
giudicata più gradevole o espressiva, più adatta al contesto o all’uditorio.
Alcune
opposizioni
dominano
questo
campo
assai
disordinato:
– per dimensione: le figure retoriche si possono classificare come tropi (la sostituzione riguarda
solo un’unità linguistica) contro figure vere e proprie (la sostituzione riguarda un’espressione più
ampia);
– per efficacia: vi sono figure grammaticali (ormai stabilizzate nel linguaggio e senza forza
comunicativa, come ‘le gambe del tavolo’) contro figure retoriche (ancora ricche di effetti);
– per piano linguistico: questa è la classificazione più usata, che contrappone le figure di
parola(riguardano solo la pura superficie dell’espressione) a quelle di pensiero (non dipendono
dalle semplici forme delle parole, ma investono il piano dei contenuti).
La classificazione del campo delle figure risulta quindi sempre problematica e assai complessa,
nell’ambito delle teorie classiche, come in quello delle teorie contemporanee. Quello che segue è
un elenco di alcune delle figure più comuni, tanto di parola che di pensiero, seguite da un esempio
nei casi meno chiari: 1. allitterazione (lo zelo di Lazzaro); 2. anacoluto (il risotto, mi piace
sempre); 3. catacresi (il collo della bottiglia); 4. ellissi (veni, vidi, vici); 5. iperbole (più veloce del
vento); 6. ironia; 7. perifrasi; 8. reticenza; 9. sospensione.
Un posto a parte, per la loro capacità di organizzare tutta la materia retorica, hanno
la metafora(sostituzione del ‘simile’ col simile) e la metonimia (sostituzione del ‘contiguo’ col
contiguo. Es.: pars pro toto).