Il servo giunse ad Aram in Mesopotamia e con la carovana si fermò presso un pozzo. Venne ad attingere acqua una ragazza molto bella. Il servo la pregò: « Per favore, dammi da bere ».La giovane rispose: « Bevi pure, mio signore; dopo darò da bere anche ai tuoi cammelli ». Era la risposta che il servo attendeva. E saputo che era Rebecca, la nipote di Abramo, andò dal padre e la chiese in sposa per Isacco. Rebecca Isacco si era fatto un bel giovane e Abramo pensò che era ora di trovargli una sposa. Chiamò il più anziano dei suoi servi e gli disse: « Prometti a me e a Dio di non prendere per Isacco una moglie tra le figlie di questi cananei che non conoscono il Signore ma di prendergliela ad Aram tra i miei parenti. Se la ragazza non verrà qui, tu non condurrai mio figlio ad Aram perché Dio lo farà padrone di questo paese ». Il servo giurò che avrebbe fatto tutto questo e parti con i servi, cammelli e doni preziosi. Per via pregava il Signore: «Signore, non so come riconoscere la fanciulla che hai destinato ad Isacco. Fa' che sia colei alla quale chiederò da bere e che me ne darà e ne darà anche ai cammelli» Il servo giunse ad Aram in Mesopotamia e con la carovana si fermò presso un pozzo. Venne ad attingere acqua una ragazza molto bella. Il servo la pregò: « Per favore, dammi da bere ». La giovane rispose: « Bevi pure, mio signore; dopo darò da bere anche ai tuoi cammelli ». Era la risposta che il servo attendeva. E saputo che era Rebecca, la nipote di Abramo, andò dal padre e la chiese in sposa per Isacco. Betuel acconsentì e Rebecca partì per il Canaan. La carovana era ormai giunta nella terra di Canaan. Circondata dalle sue ancelle, la giovane Rebecca guardava la terra che ora diveniva la sua patria. Verso sera, alzando gli occhi vide un giovane venire verso la carovana. Quando seppe che era Isacco, il suo promesso sposo, Rebecca scese dal cammello e si coprì il volto con un velo: lo sposo doveva vedere il suo viso soltanto il giorno delle nozze. Isacco e Rebecca celebrarono le nozze, e qualche anno dopo ebbero due figli gemelli, Esaù e Giacobbe. Genesi 24 E Giacobbe gli diede la minestra di lenticchie. Giacobbe divenne l’erede delle grandi promesse che Dio aveva fatto ad Abramo. Esaù e Giacobbe Rebecca ottenne da Dio due gemelli: Esaù e Giacobbe. Crescevano molto diversi l’uno dall’altro: Esaù amava la caccia; Giacobbe il gregge. Un giorno Esaù rientrò affamato dalla caccia e vide in mano al fratello un piatto di lenticchie. Gli disse: « Su, dammi un po’ di quella minestra; io sto morendo di fame!». « Se mi vendi i tuoi diritti di primo figlio » - gli rispose Giacobbe. « A che mi servono quei diritti se ora muoio di fame? ». « Giuramelo! » - gli rispose Giacobbe. « Lo giuro! » - rispose Esaù. E Giacobbe gli diede la minestra di lenticchie. Giacobbe divenne l’erede delle grandi promesse che Dio aveva fatto ad Abramo. Un giorno Isacco mandò Esaù a caccia, dicendogli: « Preparami con la selvaggina un piatto di mio gusto. Io mangerò e ti darò la mia benedizione». Rebecca aveva origliato. Si fece portare da Giacobbe due capretti e li cucinò secondo il gusto di Isacco. Poi fece indossare a Giacobbe le vesti di Esaù, gli ricoprì braccia e collo di pelli di capretto, gli mise in mano il piatto e lo mandò dal padre. Isacco mangiò con piacere e si sentì contento. Credendo che Giacobbe fosse Esaù, lo benedì: « Dio benedica le tue terre e il tuo bestiame. I popoli ti servano. Sii il signore dei tuoi fratelli » Quando giunse Esaù, Isacco comprese l’inganno. Ma disse: « L’ho benedetto; benedetto resterà! ». Genesi 25-27 E avvenne che nella notte un personaggio misterioso lottò con lui fino all’alba, ma Giacobbe gli resistette. Quell’uomo gli disse: « Hai vinto! Per questo ti chiamerai Israele! ». E lo benedisse. Giacobbe – Israele disse: « Ho visto Dio! ». Giacobbe Siccome Esaù perseguitava Giacobbe, Rebecca gli suggerì di andarsene ad Aram dallo zio Labano. Giacobbe partì, ma fermatosi a Betel per riposare, sognò una scalinata tanto alta che toccava il cielo, e una lunga processione che saliva e scendeva. E vide il Signore che gli diceva: « Io sono il Signore di Abramo e di Isacco. La terra sulla quale riposi, io la darò a te. Per te benedirò tutte le famiglie della terra. Io sarò con te, e ti farò ritornare in questo paese ». Al risveglio, Giacobbe rizzò la pietra sulla quale aveva posato il capo e la consacrò versandovi l’olio. E disse: « Se ritornerò come Dio mi promette il Signore di mio padre sarà anche il mio Dio». Labano gli fece grande festa e lo tenne con sé. Giacobbe promise di lavorare per lui sette anni purché gli desse in moglie Rachele che egli amava. Labano accettò, Giacobbe lavorò sodo, e il tempo gli passò veloce come un lampo. Venne il giorno delle nozze. Ma quando Giacobbe sollevò il velo della sposa, scoprì che aveva sposato Lia, l’altra cugina. Labano l’aveva ingannato! Ma ad Aram non si usava maritare prima la figlia più giovane. Giacobbe promise di servire lo zio per altri sette anni, e Labano li diede in moglie anche Rachele. Poi volle ricompensarlo con pecore e bestiame. E Giacobbe fu ricco di beni e di figli. Poi il Signore disse a Giacobbe: « Io sono il Dio che ti ha parlato in Betel. Alzati! Torna nella terra da cui si venuto ». Giacobbe caricò sui cammelli il figli e le mogli e andò al fiume Iabbok; da lì inviò dei doni a Esaù in segno di amicizia. E avvenne che nella notte un personaggio misterioso lottò con lui fino all’alba, ma Giacobbe gli resistette. Quell’uomo gli disse: « Hai vinto! Per questo ti chiamerai Israele! ». E lo benedisse. Giacobbe – Israele disse: « Ho visto Dio! ». Intanto Esaù stava arrivando con i suoi soldati. Giacobbe – Israele ebbe paura, ma Esaù corse ad abbracciarlo e piangendo di gioia, fecero pace. Giacobbe andò a Sichem e vi comprò un pezzo di terra. Genesi 28 - 33 Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad, Asser, Issacar e Zabulon si presentarono davanti a Giuseppe - il Vicerè d’Egitto ; si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra. Giuseppe li riconobbe, e, vedendoli prostrati, ricordò i sogni avuti in gioventù. Giuseppe e i suoi fratelli Giacobbe amava in modo particolare Giuseppe, e gli aveva regalato una tunica con lunghe maniche. I fratelli lo odiavano per questo e per i suoi sogni. Un giorno aveva narrato questo sogno: «Noi legavamo i covoni del grano appena mietuto. All’improvviso, il mio covone si rizzò e i vostri vennero a prostrarsi davanti ad esso ». Un altro volta raccontò di aver sognato che il sole, la luna e undici stelle si erano posti in adorazione davanti a lui. Giacobbe cercava di capire quei sogni, ma i fratelli, invidiosi, dicevano: « Chissà chi crede di essere! Vuole forse, che noi e i nostri genitori ci inchiniamo a lui? ». Una volta Giacobbe mandò Giuseppe a vedere se i figli, che stavano col gregge in Sichem, stessero bene. Quando essi lo videro giungere in Dortan, dissero: «Ecco, arriva il sognatore! Facciamolo fuori! Vedremo a che servono i suoi sogni! ». Ma Ruben, il loro fratello maggiore, si oppose e disse: «Non uccidiamolo, ma gettiamolo in una cisterna ». Quando Giuseppe giunse, lo spogliarono e lo gettarono in una cisterna vuota. Vedendo passare una carovana, Giuda disse: «Su, vendiamolo a quei mercanti Ismaeliti, e non macchiamoci del sangue di nostro fratello ». Gli Ismaeliti pagarono Giuseppe 20 sicli d’argento e se lo portarono in Egitto. Ruben si sentiva responsabile del fratello. « Ecco – diceva – che dirò a nostro padre? ». I fratelli sporcarono la tunica di sangue e la mandarono al padre con questo messaggio: « L’abbiamo trovata da queste parti. Osservala bene. È forse la tunica di tuo figlio? ». Giacobbe la riconobbe, e piangendo ripeteva: « È la tunica di mio figlio! È proprio la sua. Una bestia feroce l’ha divorato … ». E con la perdita del figlio, nel cuore di Giacobbe si rifece vivo anche il dolore per la morte di Rachele. Di lei, ora gli restava il piccolo Beniamino, nato pochi istanti prima della morte di Rachele. E Giacobbe pianse, né alcuno poté consolarlo. Potifar, un ricco ufficiale del Faraone, comprò Giuseppe e gli affidò tutte le sue ricchezze. Giuseppe era molto bello. La moglie di Potifar si innamorò di lui e cercava di fargli commettere una cattiva azione. Ma il giovane le disse: « Voglio essere degno della fiducia del mio signore, e non voglio peccare contro il mio Dio ». La donna però, lo accusò lo stesso a suo marito. Potifar imprigionò Giuseppe, che ebbe come compagni il capo-coppiere e il panettiere del re d’ Egitto. Essi fecero dei sogni e Giuseppe li interpretò annunciando che uno avrebbe riavuto il suo posto, mentre l’altro sarebbe stato impiccato. Il coppiere, infatti, riprese il suo servizio. Egli si ricordò di Giuseppe quando seppe che nessuno riusciva a interpretare il sogni del Faraone. Andò e parlò al faraone dell’ebreo incontrato in carcere. Il faraone fece venire Giuseppe e gli narrò i suoi sogni: « Ero sulle rive del Nilo, vidi salire dal fiume sette vacche grasse e subito sette vacche magre. Le vacche magre divorarono quelle grasse. Lo stesso avvenne di sette spighe piene: vennero inghiottite da sette spighe vuote ». Giuseppe disse: « Dio ti ha mostrato ciò che avverrà: ci saranno sette anni di abbondanza e subito dopo sette anni di carestia. Il faraone trovi un uomo saggio che organizzi la raccolta e amministri la distribuzione dei viveri ». «Bene,- disse il faraone,- in te è lo spirito di Dio; tu organizzerai ciò che sarà necessario ». Il Faraone promosse Giuseppe Vicerè di Egitto: gli diede il suo anello e la sua collana d’oro, lo rivesti di abiti regali e lo presentò al popolo. La gente di Egitto si inchinava davanti a lui come davanti al Faraone e gli obbediva. In quegli anni la terra diede grano in abbondanza, e Giuseppe raccolse nei depositi grano e viveri in tanta quantità che non si poteva contare. Ma gli anni dell’abbondanza finirono e in tutto l’Egitto si cominciò a sentire la fame. Allora il Faraone disse agli Egiziani: «Andate da Giuseppe!». Ed egli aprì i granai del faraone. Anche nei paesi confinanti con l’Egitto non pioveva, e la carestia si faceva sentire. Giacobbe che era nel Canaan con tutta la famiglia, cominciava a provare il comune disagio. Allora disse ai figli: « Non state lì a morire di fame. In Egitto c’è grano. Muovetevi, scendete laggiù, e comprate viveri perché in nostri bambini possano vivere ». Allora Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad, Asser, Issacar e Zabulon presero ognuno il proprio denaro e scesero in Egitto. A casa restò solo Beniamino, perché Giacobbe si rifiutava di mandarlo con i fratelli. Diceva: « Come potrei vivere se gli accadesse una disgrazia? ». Gli altri andarono e si presentarono al Vicerè; si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra. Giuseppe li riconobbe, e, vedendoli prostrati, ricordò i sogni avuti in gioventù. Egli però non si fece riconoscere e si comportò come un estraneo. Anzi, li trattò con durezza, accusandoli di essere spie di un paese straniero. « No, signore – dissero – noi siamo sinceri. Veniamo da Canaan a comprare dei viveri. Siamo dodici fratelli: uno non c’è più, il più giovane invece, è a casa con nostro padre ». « Vi crederò quando uno di voi sarà andato a prender il vostro fratello più giovane e lo avrà condotto qui ». Disse Ruben: « Stiamo pagando il nostro peccato ». Ripartirono per Ebron lasciando Simeone in carcere. Ma quando furono giunti ad una locanda, uno dei fratelli aprì il sacco ed esclamò: « Mi hanno restituito il denaro. Eccolo qui!». « C’è anche il nostro! » dissero gli altri spaventati. Giunti a casa raccontarono tutto al padre: « Quell’uomo, che è il signore del paese, ci ha creduto spie e ci ha trattato duramente. Ha trattenuto in carcere il nostro fratello Simeone; ce lo renderà solo se gli condurremo Beniamino ». Giacobbe, oppresso dalla tristezza, disse loro: «I miei figli Giuseppe e Simeone non ci sono più. Adesso volete portami via anche Beniamino. No, questo figlio non verrà con voi ». I sacchi si vuotavano. Era la fame! E Giacobbe disse: « Su, tornate in Egitto e comprate dei viveri ». «Padre, lo sai: non possiamo presentarci al Vicerè senza nostro fratello Beniamino ». « È così – diceva un altro – abbiamo dovuto dirgli di Beniamino perché quel signore ci domandò: è ancora vivo vostro padre? Avete altri fratelli? ». Giuda confortò il vecchio padre dicendo: «Su, lascia venire Beniamino. Ne chiederai conto a me. Se ci fossimo mossi subito, saremmo ritornati ». Giacobbe si rassegnò e disse: « Andate! E portate a quel signore balsamo, laudano, miele; e restituitegli il denaro trovato nei sacchi. Prendete Beniamino e io sarò senza i miei figli …». Essi andarono e si presentarono a Giuseppe, il quale vedendo tra loro Beniamino, figlio di sua madre, li affidò al maggiordomo che li condusse in casa. Là abbracciarono Simeone, si rinfrescarono … All’ora di pranzo, venne Giuseppe, e, indicando Beniamino, domandò: « È questo è il fratello di cui mi parlaste?... Dio ti benedica, figlio mio! ». e , commosso, uscì. Pianse a lungo, e quando ritornò dai fratelli, li fece prendere posto secondo l’ordine di età a una tavola preparata davanti alla sua. Il pranzo fu loro servito dalla mensa del Vicerè, e a Beniamino furono date porzioni abbondantissime. Pareva fosse ritornato il sereno e bevvero allegri. La mattina dopo partirono, e Beniamino era con loro. Pregustavano la gioia di riconsegnare al loro padre il figlio prediletto quando furono raggiunti dal maggiordomo, che li investì con queste parole: «Avete reso male per bene. Vi siete impossessati di ciò che il mio signore usa per vedere nel futuro. Vi siete comportati male ». I fratelli si scusarono: « Non abbiamo rubato né oro e né argento. Colui che avrà ciò che cerchi sa messo a morte, e noi diventeremo schiavi del tuo signore ». Scaricarono i sacchi e li aprirono. L’Egiziano vi frugò dentro e trovò nell’ultimo sacco, quello di Beniamino, la coppa preziosa che cercava. Ritornati da Giuseppe, Giuda si fece avanti e disse: « Non c’è nulla che testimoni la nostra innocenza. Eccoci: noi saremo tutti tuoi schiavi! ». «No – disse Giuseppe –Io temo Dio!Solo colui che aveva la coppa sarà mio schiavo». « Mio signore, io sono garante di mio fratello! Resterò io! Non posso ritornare a casa senza di lui. Vedrei mio padre morire di dolore ». Giuseppe comprese che ora si volevano davvero bene. Fece uscire tutti gli Egiziani, e piangendo esclamò: « Io sono Giuseppe! Vive ancora mio padre? Venite vicino a me. Non temete perché mi vendeste, Dio mi ha mandato qui per assicurarvi da vivere. Ritornate da mio padre. E portatelo in Egitto ». Giuseppe si gettò al collo di Beniamino e pianse di intensa commozione. Beniamino guardava quel fratello che Dio aveva fatto così potente, e sorrideva. Giuseppe aveva perdonato i fratelli e li abbracciò con calore, dicendo: « Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. Egli ha voluto che fossi un padre per il Faraone, che mi ha fatto governatore di tutto l’Egitto ». Giuseppe dimostrava ai fratelli di aver scoperto il vero autore della sua storia, che era sì tragica, ma anche piena di meraviglie. I fratelli si sentirono sollevati dal loro peccato del quale si erano tante volte pentiti. Intanto anche il Faraone aveva saputo che erano arrivati i fratelli di Giuseppe. E gli disse: « Dì, ai tuoi fratelli che ritornino nel Canaan, prendano il loro padre e le loro famiglie, e vengano da me. Avranno le migliori terre. Assegna loro dei carri per il trasporto delle persone e di quello che posseggono ». Giuseppe eseguì tutto, come il Faraone gli aveva ordinato, perché gli era sembrata un’offerta sincera. Diede a ciascuno fratello un cambio di vestiti, ma a Beniamino ne diede cinque. E li congedò. Ma siccome conosceva come erano fatti, mentre partivano, li ammonì con bontà: « E durante il viaggio non litigate tra voi! ». Giunti da Giacobbe, i figli, tutti insieme, dissero: « Giuseppe è ancora vivo! È lui il Viceré d’ Egitto! ». Giacobbe si smarrì: come ciò poteva essere vero? «Sì, è vero, egli è vivo e vuole che andiamo laggiù. Guarda! Qui ci sono i suoi doni e là i suoi carri, che ci trasporteranno nella terra di Gosen ». Allora lo spirito di nomade si risvegliò in Giacobbe, e pieno di gioia esclamò: « Giuseppe è vivo! Questo è ciò che conta. Partiamo! Che io lo veda prima di morire!». E la lunga carovana si avviò verso l’Egitto. A Bersabea, Giacobbe si fermò e sacrificò a Dio, che gli disse: « Non temere. Io scendo con te. Diverrai un grande popolo, e io ti farò ritornare ». Giuda arrivò per prima da Giuseppe per avvisarlo che la carovana stava arrivando. Giuseppe fece attaccare il suo splendido cocchio e salì sulle alture di Gosen incontro al padre. Appena lo vide innanzi, lo abbracciò e pianse per lungo tempo, stretto a lui. Finalmente Giacobbe riuscì a dire: « Ora posso morire, perché ti ho visto; perché tu, figlio mio, sei ancora vivo! ». Tutti si strinsero attorno a Giuseppe, felici di vederlo vivo e di saperlo potente. La famiglia di Giuseppe si era ricomposta, ed era sicura del suo avvenire in quella terra perché il Signore era sceso con loro in Egitto. Giacobbe, sentendosi morire, chiamò Giuseppe e gli fece giurare che lo avrebbe seppellito nella grotta di Macpela, dove c’era già Isacco. Diede una benedizione speciale ai figli di lui: Efraim e Manasse, e a ciascuno dei suoi figli. Quando vide davanti a sé il figlio di Giuda, disse: « Te Giuda, loderanno i tuoi fratelli. Tu sei come un giovane leone che nessuno può vincere, tu reggerai lo scettro del comando della tua gente finché verrà Colui al quale tutti gli uomini devono obbedire ». Giacobbe morì molto vecchio e fu sepolto a Macpela. I suoi discendenti furono chiamati figli d’Israele e formarono le dodici tribù del popolo eletto. Genesi 37-47