5 - ARISTOTELE E IL RAZIONALISMO ANTICO 1. L'interesse per la natura e le scienze 1.1 Dalla corte alla scuola 1.2 La nuova figura del filosofo: lo scienziato-ricercatore Con Aristotele entra sulla scena del pensiero filosofico greco un personaggio nuovo, destinato a modificare profondamente e durevolmente il profilo intellettuale, la collocazione sociale, lo stile di lavoro del filosofo. Egli non è identificabile con nessuno dei due tipi di pensatori che ci sono noti: né con il grande aristocratico, destinato al possesso del sapere e alla gestione del potere (alla maniera di Parmenide e di Platone), né con i sapienti legati alle tecniche e alle classi urbane (alla maniera dei filosofi della città). La radicale diversità di Aristotele risulta già dal suo ambiente di provenienza. Nato nel 384 a Stagira, una piccola città della Calcidica sita all'estrema periferia del mondo greco, Aristotele risulta fin dal principio legato alle vicende del regno di Macedonia, alla cui influenza la sua città era sottoposta. Il padre era infatti medico di corte del nonno di Alessandro Magno, il costruttore di quello che sarà il primo impero dell’età ellenistica. Dalla professione del padre, il giovane Aristotele ricevette forse un incentivo verso quell'interesse per le scienze della natura che rimase costante in tutta là sua attività di ricerca; ma certamente più importante fu l'eredità implicita nella collocazione sociale del cortigiano. Per Aristotele, al contrario che per Platone, il rapporto con la politica poté fin dal principio essere soltanto indiretto, visto che dalla contesa per il potere egli era doppiamente escluso: in patria, giacché il potere vi era detenuto dalla monarchia macedone; all'estero, soprattutto in Atene, perché come straniero egli non poteva prender parte direttamente alla vita politica. Dal punto di vista dell'esclusione sociale dalla politica, Aristotele prefigura dunque l'intellettuale ellenistico, che, a partire dal III secolo, avrebbe vissuto in un mondo dominato dalle monarchie assolute. A diciassette anni Aristotele, andato ad Atene, divenne membro dell'Accademia platonica. L'ingresso del giovane provinciale nella grande istituzione ateniese fu probabilmente reso possibile da una presentazione della corte macedone, dalla quale egli proveniva. Fin dal principio non fu l'attività politica dell'Accademia ad attirare l'interesse di Aristotele, bensì le ricerche logiche e scientifiche che vi si conducevano. Aristotele restò nell'Accademia per vent'anni, fino alla morte di Platone. Nel secondo decennio della sua permanenza all'Accademia Aristotele scrisse, oltre a un certo numero di dialoghi di ispirazione platonica, anche alcune delle sue opere più importanti, soprattutto in materia di logica, di teoria del linguaggio e di retorica: a questo periodo appartengono anche probabilmente le sue prime opere scientifiche, fra cui la Fisica. Alla morte di Platone, nel 347, il trentasettenne Aristotele ha comunque ormai definito i fondamenti logici del suo pensiero. In quello stesso anno, egli abbandona Atene e l'Accademia, e si reca a Asso in Asia Minore. L'abbandono di Atene si deve probabilmente sia al disappunto per l'elezione del nipote di Platone alla direzione dell’Accademia platonica che alla reazione ateniese contro la politica espansionistica di Filippo, il padre di Alessandro Magno, alla cui corte Aristotele era notoriamente legato. Ad Asso Aristotele conobbe il giovane naturalista Teofrasto e i due studiosi attesero soprattutto a ricerche di carattere biologico. Nel 342 Aristotele venne invitato da Filippo ad assumere l'incarico di precettore del giovane erede al trono, Alessandro, presso la corte macedone. Più che la sua fama di studioso, furono probabilmente i suoi legami famigliari a procurargli questo L'INTERESSE PER LA NATURA E LE SCIENZE DALLA CORTE ALLA SCUOLA Aristotele né ________________________ né _________________________________ L’ambiente di provenienza: ___________________________________ L’esclusione dalla ____________________ in patria:____________________________ ad Atene:___________________________ La frequentazione dell’________________ di _________________________ gli interessi ________________________ e ___________________________________ L’abbandono di ______________________ Gli studi ___________________________ 1 invito. In Macedonia Aristotele si trattenne per diversi anni; il suo compito presso Alessandro non andò comunque mai oltre quello di un normale insegnante di letteratura e di retorica, ed è certamente leggendaria la tradizione antica e medievale di un profondo influsso politico del filosofo sul giovane re, di cui il primo probabilmente non capiva e non condivideva le ambizioni imperiali. Nel 338 Filippo impose definitivamente la supremazia macedone sull'intera Grecia, ponendo fine all’esperienza delle città-stato; due anni dopo Alessandro succedette al padre sul trono di Macedonia. Aristotele era così libero di tornare ad Atene in tutta sicurezza, grazie alla potente protezione del suo regale discepolo. Rotti ormai i rapporti con l'Accademia, Aristotele aprì al Liceo, un ginnasio pubblico aperto all'insegnamento dei filosofi, una sua scuola con corsi regolari. Con l'insegnamento, cui d'ora in poi egli si dedicherà interamente, si definisce il secondo polo fondamentale dell'esperienza di Aristotele: partito dalla corte, egli approda alla scuola. Escluso dal potere, straniero in Atene, privo di una vera patria, il filosofo, che nella reggia è subalterno e di cui la piazza diffida perchè straniero, trova finalmente nella scuola una casa sicura in cui esser padrone; trova nella pratica dello studio e dell'insegnamento quell'appagamento, quel senso di autonomia e di compiutezza che la città gli nega nella mutata situazione sociale. Il Liceo aristotelico era naturalmente assai diverso dall'Accademia platonica. Fra i condiscepoli non esisteva alcun legame religioso, alcuna regola comune di vita, alcun progetto politico cui operare insieme. Meno aperto alla libera discussione dialettica di quanto lo fosse l'Accademia (giacché la dottrina e l'insegnamento di Aristotele erano in certo modo "ufficiali" e non questionabili), all’interno del Liceo venivano condotte tutta una serie di ricerche settoriali, dalla fisica, alla biologia, alla zoologia all’interno del quadro teorico delineato dalle teorie di Aristotele. Durante il periodo dell'insegnamento nel Liceo Aristotele compose le sue maggiori opere filosofiche, etiche, biologiche e psicologiche. Questo periodo di riflessione e di organizzazione della ricerca venne interrotto bruscamente da un grave sommovimento politico. Nel 323 morì Alessandro Magno, e ad Atene riprese vigore, anche se per un breve periodo, il partito antimacedone; per Aristotele, malvisto a causa dei suoi notissimi legami con i Macedoni, non c'era più posto nella città. Egli si rifugiò quindi nella casa della madre, a Calcide in Eubea, dove trascorse in solitudine gli ultimi mesi della sua vita. Le opere che Aristotele ci ha lasciato - un'imponente serie di scritti che coprono quasi tutti i campi del sapere - sono anch'esse legate, come tanta parte della sua vita, alla scuola e all'insegnamento. Aristotele scrisse, è vero, anche dialoghi di tipo platonico destinati alla pubblicazione, che si sono perduti, ma essi rappresentarono comunque una parte secondaria della sua produzione. Il suo pensiero potente, il suo sterminato sapere sono invece esposti nei trattati scientifici, costituiti dalla trascrizione dei corsi tenuti nei lunghi anni di insegnamento prima all'Accademia e poi al Liceo. Aristotele sostenne, nella sua Etica, che la vita contemplativa, dedicata solo al sapere teorico, allo studio, alla conoscenza, è la forma più alta di esistenza, la sola che avvicina l'uomo alla condizione divina: e il suo dio, in effetti come vedremo, non è che pensiero e conoscenza. In questo modo Aristotele descriveva la nuova figura del filosofo che egli stesso aveva impersonato e condotto a perfezione: non più il legislatore, il profeta, come voleva la tradizione aristocratico-sacerdotale, né l'ingegnoso inventore di tecniche, come per i filosofi della città, ma il caposcuola, l’insegnante o il grande intellettuale, ricercatore e scienziato, dedito a una conoscenza che Aristotele definisce del tutto disinteressata e perciò inutile dal punto di vista di ogni possibile fine pratico: fine de la conoscenza non è altro che la conoscenza stessa. Dalla società, dalla politica - cioè, ormai, dal potere regio - il filosofo si attende solo quella benevola L’istruzione di _______________________ Il ritorno a __________________________ La fondazione del ____________________ Dalla ___________________________ alla __________________________________ Liceo e ____________________________ La fuga da Atene e la _________________ Opere di Aristotele testi di _________________________________ LA NUOVA FIGURA DEL FILOSOFO: LO SCIENZIATO-RICERCATORE L’esaltazione della vita ________________ ___________________________________ La nuova figura di ___________________: lo _________________________________ dedito a un sapere ____________________ 2 protezione che gli consenta di attendere serenamente ai suoi studi nel tranquillo recinto della scuola. A sua volta, egli offre alla società un sapere privo di qualsiasi applicazione, che va perseguito solo perché il desiderio di sapere è coessenziale all'uomo. Certo, come vedremo, questo sapere contiene anche una giustificazione globale del sistema del mondo e della società, che fornisce un'indiretta ma solida base ideologica al potere del re e alla conservazione delle differenze di ceto. 2. Aristotele, Platone e la storia della filosofia 2.1 I compiti e l’oggetto della filosofia 2.2 Due concezioni della realtà 2.3 Platonismo e aristotelismo nella storia della filosofia ARISTOTELE, PLATONE E LA STORIA DELLA FILOSOFIA ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO: Nella storia della filosofia europea, platonismo e aristotelismo sono rimasti, fino ai nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di pensare la filosofia, i suoi fini, i suoi oggetti e conseguente come due modi alternativi di concepire la realtà. Una delle ragioni fondamentali di questa contrapposizione è individuabile nella trasformazione oggettiva intervenuta nel ruolo sociale del filosofo e dunque nella destinazione stessa del suo lavoro. Il fine della filosofia e del sapere per l'aristocratico Platone, discendente da re e legislatori, sta nel rinnovamento eticopolitico della società; per Aristotele, l'una e l’altro sono fine a sé stessi, dunque socialmente inutili, se non per appagare quel bisogno di conoscenza pura che è insito nell'essenza dell'uomo. Ma questa diversa concezione dei fini della filosofia, che è oggettivamente pilotata dalla struttura sociale, incide poi a sua volta sul modo di pensare gli oggetti stessi della filosofia. Per il platonismo, la filosofia doveva occuparsi non degli oggetti del sapere empirico, volgare, per rivolgersi agli oggetti suoi propri - le idee - diversi da quelli su cui verteva l ‘esperienza comune. Il platonismo introduce dunque una scissione del mondo che è strettamente funzionale ai compiti che esso assegna alla filosofia: rendere certa la vita morale (garantita dall'esistenza di un altro «mondo», ultraterreno e sovrasensibile, dove i premi e le pene vengono equamente distribuiti secondo i meriti) e la guida politica della città destinata ai filosofi i soli in grado di conoscere la realtà ideale. Per Aristotele, al contrario, il compito della filosofia non sta né nell'immaginare né nel costruire un mondo nuovo e ideale; postulare una scissione del mondo fra il livello empirico e quello della «vera» realtà è per Aristotele in linea di principio un abuso dell'immaginazione filosofica, e ne riflette un eccesso del desiderio eticopolitico. Le idee di Platone sono inutili doppioni delle cose e, per di più, siamo costretti a pensarle in numero superiore rispetto alle cose stesse (ci deve essere l'idea dell'oggetto X e, insieme, le idee di tutte le sue qualità e i suoi modi di essere). Non c'è, per lui, che un solo mondo, ed è quello della nostra esperienza quotidian a , pur con tutta la sua complessità e le sue articolazioni che spetta al sapere di comprendere e descrivere. Non c'è che una sola realtà, ed è quella delle sostanze individuali - gli uomini, gli animali, le piante, gli astri, la divinità - che popolano il nostro mondo e che noi percepiamo con i sensi, o di cui ci parla il nostro linguaggio. Descrivere le qualità, l'essenza specifica, l'ordine che definiscono queste sostanze; comprendere le ragioni della loro esistenza, della loro struttura; giustificare razionalmente il grande piano del mondo e della natura:, questo diventa, per l’aristotelismo, il compito della filosofia e del sapere in generale. Queste diversità di compiti che i due filosofi affidano alla filosofia (per Platone rendere sicura la vita morale e l’azione politica, per Aristotele spiegare 3 razionalmente il mondo della natura) conduce all’elaborazione di due concezioni del reale diverse e opposte. Se Platone concepisce la vera realtà, oggetto del vero conoscere, come trascendente il mondo dell'esperienza, Aristotele al contrario assume l'esistenza e la conoscibilità degli enti sensibili e del mondo empirico come il proprio fondamentale punto d'avvio. Alla formazione di questo convincimento concorse verosimilmente l'orientamento naturalistico del padre, medico presso la corte macedone, lo studio della tradizione filosofica e scientifica ionica, oltre alle condizioni storico-politiche di cui abbiamo detto. Nel loro insieme, le principali dottrine di Aristotele configurano una concezione della realtà e del sapere autonoma e alternativa a quella di Platone. I caratteri originali della filosofia aristotelica si mostrano con evidenza nel confronto tra alcune dottrine aristoteliche e le corrispondenti platoniche. Per Aristotele tutte le singole cose che ci circondano (gli animali, le piante, ma anche gli oggetti prodotti dall'uomo) esistono effettivamente, sono cioè sostanze nel senso più proprio e non "immagini" imperfette dell'idea, che invece per Platone è la vera realtà. Gli individui (questo cane, questo albero, questo tavolo) sono concepiti come composti di materia e di forma: alla costituzione del tavolo concorre il legno di cui esso è fatto e la forma che l'artigiano conferisce al materiale legnoso. La forma è dunque pensata ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO: A – I________________DELLA FILOSOFIA Platone = guida ______________________ della società Aristotele = _____________________________________________________________________________________________________ B - GLI __________________ DELLA FILOSOFIA Platone = il mondo delle _____________________________ Aristotele = esperienza _______ _________________________ L’inutilità del mondo delle idee: le idee come _______________ ________________________ C - CONCEZIONI DELLA REALTÀ Platone realtà vera = mondo che _______________________________________ Aristotele realtà vera = mondo ________________________________________ da cui: 1 - gli oggetti reali per Platone = immagini ______ _________________________ per Aristotele = composti da: ______________ ______________ + _______________________________________ Forma nelle ____________________ Idea _______________________________________ 2 studio della ______________ Platone:_______________ Aristotele: ______________ ricerca delle_______________ e dei _______________ delle _______ come una componente strutturale delle cose, a differenza dell'idea platonica, che esiste "oltre" le cose (sui concetti aristotelici di forma e materia ci soffermeremo più avanti). Se gli enti individuali, dei quali i sensi ci rendono testimonianza, sono realtà a tutti gli effetti, ne consegue per Aristotele che essi possono divenire oggetto di vera conoscenza. In particolare, l a pos si bi l i t à di uno studio scientifico della natura, negata da Platone, rappresenta uno dei capisaldi del pensiero 4 aristotelico. La constatazione che gli enti naturali nascono, si corrompono, mutano e si muovono non si traduce in Aristotele, come invece in Platone, nella rinuncia a conoscerli con verità, ma dà luogo alla ricerca di cause e principi capaci di rendere intelligibili gli incessanti processi di trasformazione che si verificano intorno a noi. Il nuovo atteggiamento di Aristotele nei confronti della filosofia, dei suoi compiti, dei suoi oggetti, e la stessa nuova concezione della realtà se sul piano storicoculturale appaiono strettamente connessi alle nuove condizioni socio-politiche, sul piano teorico, per molti versi, sono ancora una volta il frutto del dibattito filosofico, e comunque dell’incontro/scontro tra tradizioni e quindi modi di vedere diversi, che ha il merito di diventare l’occasione per un approfondimento, un raffinamento, un superamento delle incongruenze, delle “ingenuità” contenute nei rispettivi punti di vista. Infatti, come voleva la tradizione aristocratico-sacerdotale il vero sapere coincide con un sapere che, come abbiamo detto, avvicina l’uomo alla condizione divina e che comunque si identica con un sapere disinteressato, non pratico ma fine a se stesso; la conoscenza ha però per oggetto, come voleva la tradizione dei filosofi della città, il mondo reale, il mondo dell’esperienza quotidiana. Da questo punto di vista non appare forse inutile sottolineare come la filosofia aristotelica si presenti come una riflessione su quella che è la nostra esperienza ordinaria e comune, per cui molte delle teorie aristoteliche appaiono confermate dal nostro comune modo di affrontare la vita quotidiana, coincidendo con il senso comune. L’esempio forse più noto di questa coincidenza è dato dalle teorie geocentriche, fatte proprie da Aristotele, che appunto coincidono con quello che appare nella vita di tutti i giorni, con il nostro senso comune. Un altro legame con la nostra esperienza ordinaria è dovuto inoltre al fatto che , come vedremo, uno degli oggetti principali delle indagini aristoteliche è costituito dal linguaggio di cui ci serviamo per parlare del mondo e che esprime quello che è il nostro abituale, quotidiano, rapporto con il modo stesso. Platonismo e aristotelismo, abbiamo detto all’inizio del paragrafo sono rimasti, fino ai nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di concepire la filosofia e la realtà. In effetti essi rappresentano il prototipo di due atteggiamenti che sono rimasti costanti nella storia della cultura occidentale, quello idealistico-religioso e quello razionalistico. Nel suo tendere a giudicare il mondo reale in base al mondo ideale Platone è, infatti, sicuramente il padre del primo atteggiamento, mentre nel suo voler conoscere il mondo reale descrivendolo, classificandolo, spiegandone la cause Aristotele appare il padre di un atteggiamento razionalistico. I due filosofi hanno svolto una influenza diretta nella storia della filosofia almeno sino alla filosofia moderna, dal momento che tutta la filosofia cristiana si è svolta all’interno dei quadri concettuali fissati dall’uno o dall’altro. Infatti, Agostino d’Ippona, il primo dei filosofi cristiani, riprenderà l’atteggiamento radicalmente antimaterialista di Platone che dominerà, attraverso la sua mediazione, sino al XIII secolo quando la cultura europea riscoprirà, attraverso la mediazione della cultura araba, l’aristotelismo che finirà, con l’opera di Tommaso d’Aquino, per ispirare quella che è ancora oggi la visione teologica ufficiale della Chiesa cattolica. PLATONISMO E ARISTOTELISMO NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA Il dibattito __________________________ Il pensiero di Aristotele come tentativo di fusione _____________________________ ___________________________________ Conoscenza ______________________ (tradiz. __________________________)+ ________________________ (filosofi della ____________) Il pensiero di Aristotele e il __________ _______________________ - teorie _________________ - l’analisi del ______________________ _________________________________ Platonismo e aristotelismo: prototipi dell’_________________________ e del _________________________________ Platonismo, aristotelismo e ___________ _____________: Platone ________________________ ______________________ Tommaso d’Aquino 5 3. La Metafisica 3.1 I livelli della conoscenza: dalla conoscenza sensibile alla conoscenza per la conoscenza 3.2 La filosofia prima o metafisica 3.3 I principi per comprendere razionalmente la realtà 3.4 L'essere in quanto tale 3.5 La sostanza sovrasensibile La Metafisica di Aristotele si apre con la celebre affermazione: «Tutti gli uomini aspirano per natura alla conoscenza». Ma i livelli della conoscenza sono molti e non tutti gli uomini pervengono a quella che, secondo Aristotele, è la forma della suprema conoscenza. L'uomo condivide con gli animali la possibilità di avere sensazioni. Prerogativa delle sensazioni in generale è di riguardare sempre un oggetto o un evento definito nello spazio e nel tempo. Ciò che si percepisce con i sensi, infatti, è sempre un oggetto qui e ora (questo libro che è qui e ora davanti a me). Aristotele esprime questa idea dicendo che la sensazione concerne il che delle cosa, non ancora il loro perché. Tra le sensazioni, Aristotele attribuisce una posizione di primato all'udito e alla vista. Attraverso l'udito, infatti, riceviamo insegnamenti e, quindi, apprendiamo. Questa caratterizzazione aristotelica della funzione dell'udito suggerisce che la via fondamentale per la trasmissione del sapere è ancora ravvisata nell'oralità, non nella scrittura. Tra i vari sensi, tuttavia, quello dotato di maggiori poteri conoscitivi è, per Aristotele, la vista. Questa, infatti, consente di cogliere - con una nettezza impossibile per gli altri sensi - le differenze tra gli oggetti. La superiorità della vista, inoltre, è dovuta al fatto che essa può essere utilizzata anche indipendentemente dall'azione e servire soltanto allo scopo disinteressato di contemplare le cose. La memoria - di cui sono dotate anche alcune specie animali oltre all'uomo - consente di conservare l'informazione ottenuta mediante la percezione, anche quando è assente l'oggetto che l'ha prodotta. Per esempio si sa che il fuoco brucia anche quando non lo si percepisce. Ciò che, per Aristotele, differenzia nettamente l'uomo dagli animali è l'esperienza, intesa come un insieme di molti ricordi della medesima cosa. Ad esempio, il ricordo che un determinato fuoco - percepito una volta - ha prodotto una sensazione di bruciore non è ancora un'esperienza. Sì ha un'esperienza solo quando un avvenimento – verificatosi più volte - è registrato nella memoria, in modo da permettere una conoscenza di tipo generale (ad esempio, il fuoco per lo più brucia). Dall'esperienza, secondo Aristotele, si genera la tecnica. La tecnica, infatti, è caratterizzata dal fatto di avere l'universale come oggetto della propria conoscenza. La medicina, per esempio, raggiunge il livello di tecnica - e non di semplice esperienza - quando è in grado di stabilire che un determinato rimedio guarisce non soltanto Socrate o Platone e così via, bensì ogni persona affetta da una certa malattia. Ciò significa che quel rimedio si rivela efficace nella totalità dei casi in cui è presente tale malattia. Qual è, allora, la differenza tra colui che ha semplicemente fatto esperienza della capacità di guarigione di un farmaco e colui che possiede la tecnica medica? La risposta è che - sebbene entrambi abbiano verificato l'efficacia di quel rimedio in una pluralità di casi - il primo non sa il perché. Chi, invece, possiede la tecnica gli è superiore, perché conosce la causa per cui tale rimedio è efficace in relazione a una data malattia e, quindi, necessariamente per tutti coloro che ne sono o ne saranno affetti. Anche la tecnica, tuttavia, non rappresenta per Aristotele il livello più alto del sapere. La ragione è che la tecnica, in tutte le sue manifestazioni, è subordinata a fini diversi dalla conoscenza. Le prime tecniche inventate LA METAFISICA I LIVELLI DELLA CONOSCENZA: DALLA CONOSCENZA SENSIBILE ALLA CONOSCENZA PER LA CONOSCENZA 1- le ___________________________ Le cose qui e _____________ ma non il __________________________________ Udito ___________________________ _____________ + poteri conoscitivi + ____________ e indipendente ________ ________________ (contemplazione) 2 - la ____________________ conserva ________________ anche in assenza dell’_________________________ 3 - l’____________________________ memoria che consente _________________ ___________________________________ 4 - la tecnica La generalizzazione dell’ ______________ il _____________ delle cose la ____________________ a fini diversa dalla ____________________________ 6 dagli uomini sono quelle destinate a soddisfare i bisogni primari e a garantire la sopravvivenza. Il loro scopo è, dunque, l'utilità. Ma anche arti inventate successivamente (per esempio, la musica), pur non avendo come fine l'utilità, hanno un fine diverso dalla conoscenza. Esse mirano, infatti, a 5 – il sapere per il ____________________ produrre piacere o diletto. Al di sopra delle tecniche si colloca, dunque, il conoscere per il conoscere: una forma di conoscenza che ha di mira soltanto se stessa, ossia la conoscenza veramente libera, non subordinata a fini esterni a essa. Questa è la sapienza, il sapere più alto che ha per oggetto le cause prime di tutte le cose. A questo sapere mira la filosofia. In tal modo, Aristotele ha elaborato una nozione di sapere ormai lontana dal significato arcaico di sapere come saper fare, cioè di un sapere legato all'agire e al produrre. Lontana da quel sapere che i primi filosofi di Mileto avevano legato proprio al mondo delle tecniche che Aristotele vuole superare; lontano anche dal sapere platonico volto a dirigere l’azione politica. Per poter ricercare questo sapere disinteressato occorre quella che in greco era detta scholè, ossia il «tempo libero» da ogni attività lavorativa o pubblica. Un tal modo di intendere la conoscenza era legato alla struttura produttiva e sociale del mondo greco. Nella società greca, come in tutte le società occidentali sino al l’ideale di Aristotele: _________________ XVII-XVIII secolo) la classe dominante, tale perchè controllava ciò che le altre classi producevano, hanno visto nelle attività produttive soltanto un mezzo per _________________________ potersi dedicare ad attività “superiori”, tali perchè del tutto estranee alla produzione. Solo con l’avvento della società capitalista, la nuova classe dominante, la borghesia, porrà l’attività economica e produttiva al centro dei suoi interessi richiedendo alla scienza di essere un’attività utile, volta ad incrementare il dominio dell’uomo sulla natura. Nella prospettiva di Aristotele, il luogo autentico in cui questo sapere può essere perseguito è la scuola dei filosofi. Tutti gli uomini aspirano a conoscere, ma soltanto i filosofi realizzano in senso pieno questo fine iscritto nella natura dell'uomo. Il sapere per il ____________________e struttura _________________ e __________________ del mondo antico classe dominante : - controlla ciò _______________________________________________________________ - si dedica alle attività ______________________ perché non _______________________________ Società capitalista: la scienza deve essere ________________ classe dominante si dedica alle __________________________________________________ Se il compito delle scienze e quello di farci conoscere i diversi aspetti della realtà, il compito della filosofia è quello di delineare il quadro generale che rende possibile tale conoscenza, di definire con la massima precisione concettuale le coordinate generali valide per ogni aspetto della realtà: i principi primi, cioè, che sorreggono tutta l'impalcatura della realtà. Per Aristotele si tratta di spiegare l'essenza di ciascun ente individuale: non di comprendere l'universale lasciando cadere gli elementi individuali, ma di elaborare concetti universali che siano di aiuto alla comprensione dei particolari, perché solo le cose particolari esistono e gli enti universali - come le idee platoniche - sono solo astrazioni mentali. Aristotele chiama filosofia prima questo tipo di indagine, ma nella tradizione filosofica successiva è prevalso l'uso del termine metafisica, attribuito nel I sec. LA FILOSOFIA PRIMA O METAFISICA Compiti: delle scienze = ______________________ __________________________________ della filosofia = i principi _____________ _________________________________: a) validi per ________________________ 7 a.C. da Andronico di Rodi al complesso dei libri aristotelici che trattano delle b) concetti ________________ in grado di cause ultime. Si tratta, del resto, di andare davvero oltre la fisica (metà = _________ _________________________ "oltre", "dopo"), perché non si tratta di parlare di una qualche singola cosa fisica, compito di una qualche scienza particolare ma dell’essere delle cose in Filosofia prima o __________________ generale. Per determinare tali principi Aristotele parte dall’analisi di ciò che compiamo LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA quando cerchiamo di comprendere la realtà. Nel comprendere la realtà noi ci REALTÀ: serviamo di quattro diverse operazioni: determiniamo con rigore concettuale la precisa identità di ogni cosa, rispondendo cioè alla domanda: "che cosa è ...?"; inoltre, poiché ogni cosa è soggetta a mutamento, si tratta di comprendere come sia possibile che il suo essere si trasformi, devono essere comprese le cause del divenire; in terzo luogo classifichiamo l’oggetto in relazione a tutti gli altri e, infine, ricerchiamo le cause delle trasformazioni che le cose subiscono. LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA REALTÀ: I PRINCIPI PER COMPRENDERE RAZIONALMENTE LA REALTÀ 1 definire ___________________________________ di ogni cosa _______________________ e _______________________ 2 – comprendere le __________ __________________delle cose _______________________ e _______________________ 3 - _________________________ in relazione ________________ _______________________ e _______________________ 4 – individuare le _______________ delle ___________________ __________________: __________________________________ 1 - I PRINCIPI PER COMPRENDERE Si tratta quindi di enunciare in primo luogo i principi che permettono di definire l'identità di una cosa. Aristotele rifiuta la separazione ontologica radicale tra materia e pensiero, e quindi esclude che il pensiero sia un carattere costitutivo della mente del tutto separato dal corpo e che la conoscenza sia reminiscenza. Ciò che pensiamo è invece inteso come prodotto dell'attività della mente che in se stessa non ha particolari contenuti e trae le proprie informazioni dal mondo esterno lasciandosi plasmare da esse. Aristotele deve quindi poter mostrare come il pensiero astratto possa nascere nella mente dell'uomo mediante l'esperienza, cioè mediante il rapporto sensibile con le cose. Che cosa accade quando mediante la vista osserviamo un oggetto? Ne formiamo una rappresentazione interiore, che diviene parte della nostra coscienza. L'oggetto materiale è ancora davanti a noi nella sua pienezza e nessun frammento della materia di cui è composto è entrato a far parte della nostra mente. Che cos'è dunque una rappresentazione soggettiva di una cosa? Che cosa è stato rappresentato dell'oggetto? La sua materia? Piuttosto è stato rappresentato un insieme di caratteristiche della materia di cui è composto: la sua disposizione nello spazio che gli conferisce una figura particolare; il suo colore; la qualità della luce che lo colpisce; il disegno delle parti che lo compongono; la struttura interna delle sue parti; e così via. Se la materia di cui sono composte le cose non avesse queste caratteristiche, potremmo rappresentarla sensibilmente? Ma non esiste alcuna cosa materiale la cui materia non abbia questo tipo di RAZIONALMENTE LA REALTÀ A – L’IDENTITÀ DELLE COSE Il rifiuto della separazione tra ___________ ___________________________________ Pensare = esperienza (rapporto __________ ___ con le cose) + attività della _________ la rappresentazione _______________delle cose: dalla cosa ______________ alla _________ ________________________________ Gli oggetti = MATERIA = __________________________ ___________________________________ + FORMA = ___________________________ _________________________________ 8 caratteristiche. E tuttavia esse non costituiscono affatto un carattere proprio della materia in quanto tale. Si prenda un foglio di carta e lo si strappi in diverse parti. Nulla nella materia è cambiato: essa è la stessa di prima, ma il foglio di carta non è più un foglio di carta. È diventato un insieme di pezzetti strappati. La materia c'è ancora, il foglio di carta non più, e al suo posto c'è qualcos'altro. Ne possiamo trarre la conclusione che il foglio di carta era tutto nella particolare disposizione della materia che abbiamo distrutto? Ma non ci sarebbe alcun foglio di carta senza la materia che lo compone. Dobbiamo concluderne che la cosa - il foglio di carta in questo esempio, ma il principio vale per ogni cosa - non è esclusivamente composto dalla materia, ma anche dalla organizzazione unitaria di questa materia: in una parola da una forma. Essa è l'essenza della cosa, perché solo in questa forma quella determinata materia è divenuta l'oggetto reale che stiamo studiando; se cambiasse la sua forma, cambierebbe la sua identità, la sua essenza: sarebbe un'altra cosa. Tuttavia né la forma né la materia da sole costituiscono la cosa (come può esistere la forma di un foglio di carta senza nulla di materiale? Come può esistere una materia che non abbia alcuna forma?). La cosa è l'unità (con parola greca: il "sinolo") di materia e forma. Quando il soggetto conosce, sensibilmente un oggetto esterno materiale, nella mente nasce una rappresentazione della sua forma, non della materia di cui è composto. (La materia non è pensabile in quanto tale, ma solo in quanto ha assunto una forma. Per rendersene conto, si provi a formare la rappresentazione mentale di un corpo che non abbia alcuna forma: per quanto sforzi facciamo, daremo sempre a quella materia una forma, per quanto caotica essa sia). Questa concezione delle cose come unità di materia e forma si presenta così come una sintesi del pensiero precedente: i filosofi della città avevano identificato la realtà con gli elementi materiali, Platone con le idee; la verità è data, per Aristotele, dalla combinazione di queste due soluzioni (che sono in se stesse errate in quanto unilaterali). D’altra parte non bisogna però dimenticare che la forma mantiene un primato, una priorità. Il principio che determina la materia è la forma: il vetro, il legno, il corpo vivente devono ricevere una certa determinazione, una certa forma, per diventare, rispettivamente, bicchiere, albero e uomo. Ogni cosa diventa precisamente ciò che è grazie alla forma, che ne costituisce quindi l'essenza. La forma non deve essere intesa però platonicamente come separata, trascendente, rispetto alla materia, bensì intrinseca alla materia, in essa immanente. Platone ha saputo individuare il principio della forma, ma l’ha posto come separato, trascendente rispetto alle cose, per cui non è stato in grado di spiegare in che modo le idee possano effettivamente essere cause delle cose. Ciò può avvenire solo se il principio della forma viene concepito come immanente nelle cose stesse, negli individui. Materia e forma sono distinte solo col pensiero, nella realtà sensibile esse sono sempre indissolubilmente unite. L'ente concreto (questo bicchiere, questo albero, questo uomo) è infatti un composto di materia e forma, un sinolo, un intero, un individuo che ha una sussistenza autonoma. Stabilita la priorità della forma, d’altronde, Aristotele potrà introdurre, come vedremo, l’esistenza di entità sovrasensibili, che non appartengono quindi alla realtà sensibile, riproponendo in questo modo una visione, tipica della tradizione aristocratico-sacerdotale, per cui la realtà non si esaurisce in ciò che ci rivelano i sensi. Un esempio: ________________________ La priorità della ______________________ a) cambiando la _______________ cambia _______________________________ oggetto = unità di ____________________ ____________________ b) ciò che viene rappresentato è _________ _______________ dell’oggetto La sintesi aristotelica: forma _______________ Platone materia __________________________ vedi a la forma come _____________ (dentro le cose) e non ________ _________________ (________ dalle cose) Dalla forma alla _____________________ _________________________ B– IL DIVENIRE DELLE COSE Per la comprensione della realtà nei suoi principi costitutivi non possiamo fermarci al rapporto tra materia e forma, perché le cose non sono realtà Un esempio: _______________ immutabili, ma sono continuamente soggette a mutamento. Dobbiamo quindi definire i principi che ci permettano di comprendere razionalmente qual è la natura del movimento e di capire che cos'è un evento, che cos'è qualcosa che accade. 9 Che cosa accade quando il seme, caduto da un albero, germoglia dando origine a una nuova pianta? Quel seme poteva essere distrutto, poteva divenire cibo per uomini e animali. Non è accaduto, per un concorso di circostanze, ma poteva accadere. Non potevano invece accadere altre cose: ad esempio, non poteva accadere che quel seme germogliasse dando origine a una pianta diversa da quella da cui proviene, che da un seme di un pesco nascesse un ciliegio. Alcune possibilità erano reali, altre no, e di quelle reali una sola si è realizzata. Aristotele interpreta il movimento della natura servendosi dei concetti di potenza e di atto. Considerata in ciascun istante del tempo, ogni cosa è ciò che è, ma nel fluire del tempo diverrà qualche cosa di diverso: il seme è divenuto una nuova pianta. Dunque nel presente ogni cosa è in atto ciò che è, ma nello stesso tempo è in potenza tutto ciò che potrà essere domani. L'atto e la potenza, si osservi, riguardano entrambi il presente. Infatti nel movimento del tempo - quando il seme diverrà una nuova pianta e non cibo per l'uomo - le potenzialità che erano possibili svaniranno: una diverrà reale, le altre non si realizzeranno. Dopo un certo tempo, ogni cosa sarà in atto qualche cosa di diverso da prima, e manterrà solo le potenzialità compatibili con il suo nuovo stato. L'essere di ogni cosa non è quindi, per ciascun momento del tempo, interamente in atto, ma è intriso di potenzialità. Poiché ogni cosa è composta da materia e da forma, nell'unità del sinolo, l'atto e le potenzialità presenti in ciascun istante sono determinati dal particolare rapporto tra quella determinata materia e quella determinata forma. La materia in se stessa non ha alcuna forma, ma potenzialmente può assumerle tutte. Dunque il modo migliore di definire la materia è chiamarla pura potenzialità. Il suo attualizzarsi sino a formare il mondo delle cose così come lo osserviamo nella natura è determinato dall'assunzione di forme determinate. L'universo è quindi concepito da Aristotele come una macchina (dotata di intelligenza, come vedremo) in movimento incessante, dominata dal processo di attualizzazione delle potenzialità. Non c'è bisogno di ricorrere a realtà trascendenti - come ritiene Platone - per spiegare il mondo: esso ha le sue leggi in se stesso. Tuttavia, la natura è qualche cosa di assai più complesso di quanto ritenesse Platone, che non aveva dedicato sufficiente studio alla ricerca sperimentale. Le potenzialità che la materia possiede sono enormi, e lo studio della fisica è tutto dedicato a comprendere nel dettaglio il movimento delle trasformazioni reali. C'è un rapporto preciso tra i concetti di materia e di forma e quelli di atto e di potenza. La materia è concepita da Aristotele come potenzialità, cioè come capacità di essere plasmata da una forma: tutto ciò che la materia è in atto - questo o quell'ente individuale della realtà - deriva dalla assunzione di una forma. La forma è concepita come l'atto della materia, cioè come l'essenza reale che permette alla cosa di essere ciò che è, attraverso la strutturazione della materia in una determinata configurazione. Nell'universo quindi c'è un movimento comune a tutti gli enti reali: tutta la materia tende ad attualizzarsi, ad acquisire una forma realizzando fin dove le è possibile la pienezza delle sue potenzialità. Tuttavia Aristotele non concepisce la realtà in modo simile al mito dell'età arcaica, che fa iniziare il movimento della generazione di ogni cosa da un elemento primordiale informe, come il Caos di Esiodo. Alle origini le cose non possono essere andate così. Anzi, per Aristotele non si può nemmeno parlare di origine. Infatti non si può concepire la materia senza una forma, la potenza senza l'atto: perché si abbia passaggio dalla potenza all'atto, l'ente che così si trasforma deve essere già qualche cosa in atto. Il principio della priorità dell'atto è di fondamentale importanza nella concezione della realtà per Aristotele, perché implica che l'universo e il tempo non abbiano avuto origine, ma vivano da sempre all'interno di un processo eterno di trasformazioni. ATTO = _____________________________ POTENZA = __________________________ La materia non ha _________________ma potenzialmente ______________________ materia = pura ____________________ Atto la materia assume una __________ _________________________ Universo = _________________________ _________________________ L’_________________________ delle cose La priorità dell’_____________ Per passare dalla _________________ all’___________ vi deve essere già _______________________ per cui: universo non ha ____________ 10 Oltre alle coppie forma e materia, potenza e atto, Aristotele ha elaborato un'ultima coppia di concetti per definire i principi che definiscono l'essere delle cose che hanno la loro origine nell’operazione, atto tipico della nostra conoscenza, della classificazione degli oggetti Ciascuna cosa è composta da diversi elementi organicamente fusi insieme: si pensi al corpo umano e alla molteplicità dei suoi organi e delle sue funzioni. Il rapporto tra materia e forma determina ciò che l'uomo è in atto in ogni istante e che cosa potrà diventare sviluppando le sue potenzialità, e l'uomo è l'unità di una grande varietà di elementi organici. La sua forma dà unità a membra e funzioni diverse. Sono tutte egualmente essenziali per definire ciò che l'uomo è? Non nello stesso modo. Perché l'uomo sia uomo non fa differenza quali siano il colore della sua pelle o dei suoi capelli, la sua età, il suo sesso, e così via. Altri elementi sono indispensabili: precise differenze sostanziali distinguono l'uomo dall'animale, il vivo dal morto, e così via. Dobbiamo dunque distinguere ciò che appartiene alla sostanza dell'uomo da ciò che è semplicemente un elemento accessorio, accidentale. Appartiene alla sostanza dell'uomo ciò che, se non ci fosse, renderebbe l'uomo, qualche cosa di diverso dall'uomo (ad esempio, la vita, il pensiero, il linguaggio e così via); appartiene al campo dell'accidentale ciò che, pur mancando o variando - come il colore dei capelli o l'età - non modifica affatto il suo essere uomo. Così è per ogni cosa. Lo studioso della natura deve tendere a classificare ciascun ente della natura in rapporto alla sua sostanza, in modo da poterlo identificare rispetto agli altri. In questo modo la scienza della natura potrà procedere metodicamente attraverso osservazioni ordinate e non casuali, che permettano di avere un quadro chiaro degli elementi che compongono la natura e delle loro possibili trasformazioni. C - LA CLASSIFICAZIONE DELLE COSE SOSTANZA = ________________________ _________________________ ACCIDENTE = _______________________ ____________________________ La priorità della ____________ D– LE CAUSE DELLE TRASFORMAZIONI DELLE COSE Oltre a definire gli oggetti, descrivere i loro mutamenti e a classificare gli oggetti, nel conoscerli noi ricerchiamo le cause delle trasformazioni che le cose subiscono. Definire che cos’è ciascuna delle componenti della realtà significa, infatti, descrivere gli oggetti e le loro trasformazioni ma anche definire dettagliatamente le cause che la determinano ad essere così com'è e la sottopongono al divenire, trasformandola nel tempo. Le cause che agiscono in natura sono diverse ed è necessario elencarle per individuare tutte le r agioni per cui ogni cosa è come è. Con il termine causa Aristotele intende un concetto piuttosto ampio, più ampio del significato che questa parola ha per noi. Per cause si devono intendere le condizioni che è necessario ammettere per spiegare le cose e le loro trasformazioni. Distinguiamo dunque con Aristotele quattro cause. Solo il loro complesso potrà rendere chiaro l'essere della realtà, tuttavia per Aristotele la quarta è quella decisiva. Vediamole una per una. 1) Causa materiale. Ciascuna cosa è composta da una determinata materia: per comprendere che cosa sia un ente della realtà è condizione indispensabile comprendere di quale materia esso è composto e, più in generale, comprendere che cosa sia la materia. 2) Causa formale. La stessa materia può dare luogo a cose diverse, assumendo forme diverse: si pensi, ad esempio, all'acqua, al ghiaccio e al vapore acqueo. Si tratta di comprendere quale sia per ciascuna cosa lo specifico rapporto tra la materia e la forma che essa assume 3) Causa efficiente. È ciò che corrisponde al concetto moderno di causa: per comprendere tanto una cosa quanto un evento è necessario risalire indietro nel tempo e comprendere quali altre cose e quali altri eventi hanno determinato ciò che studiamo a essere, significa scoprire il perché, il motivo per cui ciò che adesso è presente deriva da ciò che è stato prima. 4) Causa finale. Aristotele attribuisce un'importanza fondamentale a questa causa. Egli è convinto che per comprendere la realtà si debba anzitutto esaminare Causa = ____________________________ ___________________________________ Le 4 cause: A – LA CAUSA ________________________ la materia di cui è ____________________ B – LA CAUSA _______________________ _________________________ che assume C – LA CAUSA ________________________ ciò che ha __________________________ ___________________________________ D – LA CAUSA ______________________ il ____________ a cui tendono le cose La priorità della causa _________________ 11 quale è lo scopo, il fine, a cui tutte le cose e gli eventi sono rivolti. Ogni essere possiede quattro tipi di cause: materiale (la materia di cui è formato), efficiente (la causa che l’ha prodotto), formale (la forma che rende quella materia una certa cosa e non un’altra) e finale (lo scopo). Solo le ultime due hanno, per Aristotele, una rilevanza sostanziale: un tempio è tale quando è stato progettato per questo scopo o quando assolve in ogni modo la funzione religiosa, indipendentemente da chi l'ha costruito (causa efficiente) e dal materiale di costruzione. Vediamo meglio quest'ultimo punto. Aristotele non accetta il dualismo radicale tra pensiero e materia proposto da Platone come schema di interpretazione della realtà. Rifiuta quindi su un punto essenziale la teoria delle idee. La ragione intima della realtà deve essere cercata nella realtà stessa, nel mondo delle cose. E in esse Aristotele scopre i l finalismo. Comprendere il perché delle cose significa comprendere la loro destinazione, il termine verso il quale tutto si muove. È infatti evidente che l'incessante divenire di ogni cosa, sottolineato dai filosofi del periodo arcaico, non può essere semplicemente d e s c r i t t o , ma deve essere efficacemente spiegato. Perché la realtà è tutta in movimento? Verso dove si dirige? L'analogia con il comportamento umano può illustrare la situazione, ma non può costituire una spiegazione efficace. Perché l'uomo agisce? Per raggiungere uno scopo che si è prefissato. C'è un obiettivo, posto prima dell'azione dalla sua mente, al quale seguono diverse scelte che gli permetteranno di realizzarlo. Comprendere il perché dell'azione dell'uomo significa comprendere qual è il suo obiettivo, il suo scopo. La natura, a sua volta, sembra agire nello stesso modo: Aristotele, ricercatore attento nel campo della biologia, osserva che ogni organo è preposto a uno scopo, ogni funzione dell'organismo non è mai casuale, ma è finalizzata a soddisfare determinate esigenze dell'organismo vivente. E così tutto in natura sembra finalizzato a qualcosa: non c'è cosa o animale o pianta che non assolva a una funzione necessaria al buon coordinamento del tutto. Tuttavia l'analogia tra il comportamento dell'uomo e quello della natura non può essere spinta troppo oltre. Possiamo infatti ammettere che la natura decida quale obiettivo raggiungere e agisca di conseguenza? Dovremmo ammettere un'intelligenza cosciente posta dietro la materia e interpretare la natura come se fosse dominata da una mente dal carattere cosmico. Dovremmo immaginare una divinità simile all'uomo e alle sue capacità. Ma non abbiamo prove di questo e rischiamo di cadere in un ingenuo antropomorfismo. Per Aristotele il problema è quello di determinare le condizioni in cui opera il finalismo della natura rimanendo strettamente arcorati ai dati dell'esperienza. In questo modo Aristotele si allontana dal finalismo platonico che comunque pone il fine delle cose in qualcosa di esterno alle cose stesse, dal momento che ciò a cui mirano le cose per Platone è rappresentato dalla perfezione del mondo delle idee, fine che è imposto alle cose da un agente esterno quale il Demiurgo. Nella visione di Aristotele, invece, il fine è posto all’interno delle cose stesse dal momento che esso consiste nell’esplicitare al meglio le potenzialità che ciascuna cosa possiede ( così, ad IL FINALISMO L’analogia con ______________________ Agire umano = raggiungere ____________ Azione della natura = _________________ ____________________________ Esiste un’ _________________ divina che decide? _______ perché: - non abbiamo _______________________ - soluzione __________________________ Fine delle cose non esterno (Platone) ma ______________ Fine delle cose = _____________________ ___________________________________ 12 esempio, il fine dell’uomo consiste nel realizzare tutte le potenzialità della persona) . La visione finalista verrà ampiamente ripresa dal cristianesimo che si rifarà più al Il finalismo _________________ platonismo che non all’aristotelismo, infatti nella visione cristiana tutte le cose ___________________________________ tendono a realizzare un piano divino che pone il fine all’esterno delle cose stesse (così, ad esempio, il fine del mondo è servire l’uomo e il fine dell’uomo servire Dio). La dignità __________________________ Ancora una volta la visione di Aristotele appare dunque dominata dalla volontà di restituire piena dignità alle singole cose che contengono in se stesse il proprio fine. Oltre ad enunciare i principi primi che ci consentono di comprendere razionalmente la realtà la metafisica, o filosofia prima, ha un ulteriore compito. Dice Aristotele: «C'è una scienza che considera l'essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera l'essere in quanto essere universale, ma, dopo aver delimitato una parte di esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte». Le scienze particolari spiegano particolari regioni o aspetti della realtà: la fisica, ad esempio, indaga l'essere in quanto essere in movimento, la biologia l'essere in quanto essere vivente, la matematica l'essere in quanto numero, ecc. Ma è chiaro che interrogarsi sull'essere in quanto movimento o in quanto vivente presuppone che si sappia che cosa è l'essere in generale, l'essere, in quanto tale senza alcuna determinazione particolare (così come chiedere che cosa sia il moto uniforme o il moto accelerato presuppone che si sappia che cosa è il moto in generale). Ora, la scienza che studia l'essere in quanto essere è la metafisica. E poiché l'essere in quanto essere è l'oggetto comune a tutte le scienze particolari, tutte le scienze particolari presuppongono la metafisica che, proprio in questo senso, è la "filosofia prima". Ma com’è possibile parlare dell’essere in quanto essere? Come individuare questo oggetto, che è comune alle cose particolari, di cui si occupano le singole scienze, ma non coincide con esse? La risposta di Aristotele è, al tempo stesso, semplice ed estremamente complessa: l'ambito comune, non solo ad ogni scienza, ma anche ad ogni forma di sapere e di comunicazione umana, è formato dal linguaggio, i modi, le strutture, i significati del linguaggio organizzano qualsiasi nostra espressione, il nostro modo di parlare del mondo, di pensarlo, di interpretarlo. Poiché dunque la realtà viene esaurientemente espressa dal sapere umano, e questo si esprime a sua volta in un linguaggio - cioè con le parole, la grammatica, la sintassi, i significati della lingua -, la lingua si configura per Aristotele come lo strumento unitario per la comprensione del mondo: la struttura del linguaggio e la struttura della realtà gli appaiono omogenee e sovrapponibili, giacché in ultima analisi la prima rinvia sempre alla seconda. Tale identificazione tra strutture del linguaggio, che ci consente di descrivere il mondo, e le strutture della realtà, il mondo stesso, fonda la giustificazione della convinzione che il nostro pensiero, che utilizza il linguaggio, sia in grado di conoscere perfettamente la realtà. Questa convinzione costituisce sicuramente uno dei legami tra Aristotele e la tradizione aristocratico-sacerdotale che su tale identità aveva costruito tutta la sua riflessione a partire da Parmenide. Lo studio dell’essere, attraverso l’analisi delle strutture del linguaggio, porta Aristotele a individuare le diverse forme che esso può assumere che costituiscono le strutture fondamentali della realtà e, contemporaneamente, le strutture concettuali che ci consentono di comprenderla. I nostri discorsi possono riferirsi ad un qualsiasi oggetto in molti modi raggruppabili in dieci classi, ovvero categorie. Infatti, di una qualsiasi cosa noi possiamo parlare sotto i seguenti aspetti: 1- dire di che cosa si tratta, definendo le sue qualità sostanziali (categoria che Aristotele chiama Sostanza) 2 - dire quali qualità possiede (Qualità) 3 - descriverla quantitativamente (Quantità) 4 metterla in relazione con le altre cose (Relazione) 5- parlare delle azioni che 2 - L'ESSERE IN QUANTO TALE Le scienze particolari studiano __________ ___________________________________ La metafisica studia __________________ ___________________________________ Il __________________________ come strumento di ______________ dell'______ ___________________________________ a) - Il linguaggio come ________________ ______________ di ogni forma di sapere b) - il sapere conosce esaurientemente ___________________________________ c) - struttura della ________________ e del ____________________ sono __________ _________________________ Pensiero = _______________ = realtà come voleva la _________________ _________________________ LE 10 CATEGORIE 13 compie (Agire) 6- o degli effetti che subisce (Subire) 7 – indicare il luogo dove si trova (Dove) 8 - collocarla nel tempo (Quando) 9 - descrivere ciò che gli Un esempio appartiene (Avere) o, infine, 10 - il suo essere in una determinata posizione (Giacere). Nella seguente proposizione, ad esempio, vengono usate tutte e dieci le categorie, ovvero tutte le modalità che ci consentono di parlare di una cosa,: Tizio è un uomo (sostanza) di bell'aspetto (qualità) alto un metro e ottanta (quantità) che sta scrivendo (agire) e sta prendendo il sole (subire) vicino a Caio (relazione) sulla spiaggia (dove) oggi (quando) e porta gli occhiali da sole (avere) e sta seduto (giacere). LE 10 CATEGORIE : i modi con cui possiamo ___________________________ di una cosa: - __________________________________________________ -_____________________________________________ - __________________________________________________ - ____________________________________________ - __________________________________________________ - ____________________________________________ - __________________________________________________ - ____________________________________________ - __________________________________________________ - ____________________________________________ Se riflettiamo sull'esempio addotto, ci rendiamo conto facilmente che la categoria più importante è la sostanza. Perché si possa parlare di una cosa in termini, ad esempio, di dove e di quando, è condizione fondamentale che questa cosa ci sia e sia identificabile. Essa è l'unica ad avere una sussistenza autonoma, mentre tutte le altre si riferiscono ad essa e la presuppongono: la qualità, la quantità, l'azione ecc. sono sempre qualità, quantità, azione di qualcosa, di una sostanza. La cosa si può esprimere anche così: i predicati inclusi nella categoria sostanza «si dicono di un soggetto e non sono in un soggetto, dicono cioè che cosa è quel soggetto, ne definiscono l'essenza (alla domanda «che cosa è Tizio? si risponderà «Tizio è un uomo» e non certo «Tizio è bello o alto, ecc.); invece i predicati inclusi nelle altre categorie "sono in un soggetto" ossia ne esprimono questa o quella caratteristica (Tizio è bello, alto, ecc.). Il significato del termine essere quindi, pur non essendo univoco, non è nemmeno equivoco, ossia essere non è un termine usato per indicare, cose del tutto diverse (come, ad esempio, il termine scorpione usato per indicare l'animale o la costellazione celeste): i suoi diversi significati hanno un comune denominatore che è il seguente, l'essere o è sostanza o si riferisce alla sostanza. Per questo motivo lo studio dell'essere per Aristotele è essenzialmente lo studio delle sostanze reali, esistenti come individui nella realtà. Sulla doppia natura delle categorie che sono contemporaneamente, da un punto di vista logico, gli strumenti concettuali con i quali comprendiamo la realtà, e, da un punto di vista ontologico, i generalissimi modi di essere della realtà si fonda la nostra possibilità di conoscere con certezza il mondo reale. Infatti in questo modo le categorie sono modi di organizzare il nostro pensiero, attraverso il linguaggio, fondate su specifiche caratteristiche strutturali della realtà e che quindi ci consentono di rappresentarci la realtà esattamente come essa è. Le categorie essendo forme dell’essere, della realtà, e del pensiero valgono come leggi della realtà (valore ontologico) e del pensiero (valore gnoseologico). La priorità della ______________________ a) sussistenza _____________________ b) _________________________________ ___________________________________ Essere = _________________ LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE 14 LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE Le categorie sono contemporaneamente: - modi di essere della ________________ - strumenti __________________________ che organizzano il nostro ___________ Conoscenza _____________ 3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE Dobbiamo ora affrontare il terzo ed ultimo oggetto di studio della metafisica, insieme ai principi primi che ci consentono di conoscere la realtà e all’essere in generale. Aristotele ritiene, dunque, contro Platone, che non esista una realtà soprasensibile (mondo delle idee) separata dalla realtà naturale, più vera della realtà sensibile, in quanto pensa che la struttura razionale (forma per le singole cose, categorie per l’essere) sia una parte, non separata dalle singole cose, ma costituente le singole cose e l’universo in generale. Non ritiene, però, - in questo concorde con la tradizione aristocratico-sacerdotale e con Platone – che la realtà si esaurisca in ciò che ci rivelano i sensi. Infatti, se occorre che la ragione elabori i principi razionali per comprendere la realtà, occorre anche che la stessa ammetta le conclusioni logicamente derivabili da questi principi, anche se ad essi non corrisponde alcuna esperienza. Ma qual’è il ragionamento che ci costringe ad ammettere una realtà sovrasensibile? I concetti di potenza/atto, così come quelli corrispondenti di materia/forma, sono relativi: ciò che è punto di arrivo, e quindi atto e forma, di un processo diventa punto di partenza, e quindi potenza e materia, di un altro processo. Che una cosa sia materia o forma, potenza o atto dipende dal punto di osservazione: il bambino è potenza rispetto all'uomo adulto, ma è atto rispetto al feto. Questa catena di potenza/atto (materia/forma) non può tuttavia essere pensata come infinità. All'estremo inferiore dobbiamo porre una potenza pura o materia prima del tutto priva di determinazioni. Si tratta di un concetto logicamente necessario a cui non può corrispondere nessuna esperienza. Tutto ciò che è osservabile, infatti, è sempre materia in qualche modo formata, potenzialità in qualche modo attuata. All'estremo superiore della catena degli esseri dobbiamo poi ammettere una forma pura o un atto puro. Possiamo a questo punto affrontare il quarto e ultimo significato di metafisica come indagine su Dio e la sostanza soprasensibile. La necessità di pensare un atto puro all'estremo superiore della catena degli esseri consegue dal principio fondamentale dell'anteriorità dell'atto sulla potenza. Se infatti la potenza presuppone l'atto, è evidente che, per evitare l'assurdo di un regresso infinito, dobbiamo porre al termine superiore della catena potenza-attopotenza, ecc. un atto senza potenza, ossia un Atto puro. Data la corrispondenza tra atto e forma, l'Atto puro è nel contempo pura Forma senza materia ed è pertanto una sostanza incorporea, sovrasensibile. Ontologicamente esso è il Principio supremo, il fondamento da cui dipende tutta la catena degli esseri, ciò che gli uomini chiamano Dio. 15 3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE contro _________________: la struttura razionale delle cose non è ________________ dalle ________ ma è un ________________________ con ______________ e la tradizione ________________: la realtà non si esaurisce _________________________________________ perché occorre accettare le conclusione _________________________ derivabili dai ______________ _________________________ Le catena potenza / __________ e _____________ / __________ per non essere pensate come _______________ necessitano: all’inizio ________________ + ______________________________ ___________ atto puro _______________________________ + Atto puro + _____________________ = sostanza _________________ = ________________ Dio e le sostanze sovrasensibili sono dunque il terzo oggetto di studio della metafisica. L'esigenza di evitare il regresso infinito è alla base di tutte le dimostrazioni aristoteliche dell'esistenza di Dio. Il medesimo ragionamento che ci costringe a porre Dio come Atto puro e Forma pura può essere applicato al movimento: ogni cosa mossa presuppone qualcosa che la metta in moto ossia un motore, ma anche quest'ultimo, in quanto è a sua volta mosso, presuppone un motore, ecc., per cui, per non incorrere nel regresso infinito, dobbiamo porre al termine della catena un motore che non sia a sua volta mosso, ovvero un Motore immobile. Analogamente stanno le cose, se riflettiamo sulla catena delle cause: ogni effetto presuppone una causa, che è a sua volta effetto di un'altra causa e così via; dovrà quindi esserci una Causa prima non causata. Dio è quindi Atto puro e Forma pura, Motore immobile, Causa prima; in quanto sostanza sovrasensibile non ha né grandezza né parti, è eterno, separato, ingenerabile incorruttibile. A questa sostanza sovrasensibile, in quanto perfezione massima, appartiene il modo di vivere più perfetto, «quel modo di vivere che a noi [uomini] è concesso solo per breve tempo» e di cui essa invece gode in eterno: la vita dell'intelligenza. Dio è quindi pensiero ed è pensiero «che ha come oggetto ciò che è eccellente in massimo grado» ossia se stesso: egli è Pensiero che pensa se stesso. Dio è il supremo motore non in quanto causa efficiente, ma in quanto causa finale: egli muove, senza a sua volta essere mosso, "come l'oggetto d'amore attrae l'amante", ossia in quanto Fine ultimo a cui tendono tutti gli esseri. Dio non ha volontà, perché il volere e il desiderio presuppongono la mancanza di ciò che si vuole e si desidera, ed egli non manca di nulla; perciò il rapporto di Dio col mondo è unidirezionale: tutte le cose tendono a Dio, ma Dio non tende a nulla ed è impassibile. Il mondo non ha avuto un inizio nel tempo e nemmeno si è sviluppato dal caos all'ordine: esso è eterno, sempre identico a se stesso e unico. Tempo e movimento sono coeterni al mondo. Le dimostrazione ____________________ fondate sull’esigenza di evitare _________ ___________________________________ esempi: - atto/potenza e materia/ _____________ - _________________________________ - __________________________________ DIO 16 DIO - Atto _____________ + _____________ pura - Motore ____________ _____________ prima - Sostanza _________________________________ (eterno, ingenerabile, incorruttibile) - Pensiero che _______________________________________ - Fine ______________ le cose tendono _______ ma Dio non _____________________ (rapporto Dio-mondo: ________________) - La coeternità di ______________________________________________ Poiché da Dio come Motore immobile dipende il movimento fisico di tutti i Il legame tra metafisica e ______________: cieli, tra metafisica e fisica (o filosofia naturale) sussiste, nella visione aristotelica, una connessione essenziale: non è possibile trattare i problemi Dio, Motore __________________ mette in fondamentali del mondo fisico, delle sostanze sensibili, senza fare riferimento alla sostanza sovrasensibile, anzi alle sostanze sovrasensibili. Secondo moto ______________________________ Aristotele, infatti, Dio è la suprema, ma non l'unica sostanza sovrasensibile: le sfere celesti sono mosse da Intelligenze simili a Dio, anche se a lui inferiori. Aristotele non è quindi monoteista; come tutti i filosofi greci, egli ritiene che il divino sia costituito da molte realtà eterne e incorruttibili, anche se pensa queste realtà disposte in un ordine gerarchico che ha alla sommità il supremo Motore immobile. Aristotele elabora dunque anche una concezione teologica che risulta alquanto diversa dalla tradizione ebraico-cristiana. Infatti, mentre nella concezione cristiana Dio si presenta come una persona dotata di una propria volontà e che, pur trascendendo le cose essendo posto al di là delle cose, interviene attivamente e direttamente nella storia del mondo e delle cose, per Aristotele Dio un ente dettato da una necessità logica del ragionamento, che non ci costringe però ad attribuirgli alcuna caratteristica antropomorfica, e tende ad occupare un posto, all’inizio o alla fine, nella catena degli eventi e degli esseri ma senza intervenire direttamente. Dio, per Aristotele non può essere una persona in quanto, come abbiamo visto, non possiamo attribuirgli una volontà perchè il volere presuppone la mancanza di ciò che si vuole, ed egli non manca di nulla. Inoltre benché amato dagli altri esseri, che sono attratti da lui come il fine ultimo, egli non ama gli altri esseri. Questa mancanza di correlatività nel rapporto uomo-Dio, è stato osservato, comporta la mancanza del senso del peccato, tipica del cristianesimo. Il senso del peccato deriva infatti nell’uomo cristiano dall’avvertire il senso di colpa per non aver corrisposto all’amore paterno di Dio. Inoltre Dio non trascende né interviene nell’universo, infatti, pur essendo una sostanza sovrasensibile non è pensato come separato dall’universo. Infatti egli, come abbiamo osservato, trova posto nella catena degli eventi come Causa prima, Fine ultimo o come Motore immobile, ma la sua azione si limita a trasmettere il moto alle altre intelligenze celesti senza ulteriori interventi nella catena stessa. 17 Il dio cristiano: Il dio di Aristotele: a - ___________________ dotata di __________________ a - necessità _______________ non persona perché: - non ha _________________ (non gli _______________________) - è __________________ dagli altri esseri ma non __________ (uomo non ________________) b - trascende il mondo b – non è _______________________ dall’universo (trova posta all’__ ___________ e alla ___________ della catena degli eventi c - __________________________________________________ c – la sua azione ____________ ____________________________ GLI OGGETTI DI STUDIO DELLA METAFISICA 1- ________________________________________________________________________________________________________ 2 - ________________________________________________________________________________________________________ 3 - ________________________________________________________________________________________________________ 18 6 - LO STOICISMO E IL VITALISMO ANTICO 0. Lo stoicismo 1. La concezione della realtà Materia e pensiero Il monismo L’immanentismo La provvidenza divina L’ottimismo metafisico Il finalismo della natura La fisica Lo stoicismo La quarta ed ultima visione della realtà, il vitalismo, altrimenti detta animismo, monismo organicismo, è stata elaborata dagli stoici, la più importante scuola filosofica, insieme all’epicureismo, dell’epoca ellenistica. Lo stoicismo è stato particolarmente attivo nell'età tardo-ellenistica e in seno alla cultura romana. Le ragioni di ciò non sono oscure: lo stoicismo era pervaso da una profonda ispirazione morale e religiosa, che rispondeva bene alle nuove esigenze spirituali che si diffusero a partire dal I secolo a.C. Data la grande longevità del movimento stoico gli studiosi sono soliti distinguerlo in tre parti: una «Stoa antica», che occupa grosso modo il III secolo a.C., dominata dalle grandi figure di Zenone, Cleante e Crisippo; una «Stoa di mezzo», che giunge fino al I secolo a.C.; una «Stoa nuova» (o «Stoa romana»), che restò assai viva fino al II secolo d.C. (ricordiamo i nomi di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio). In questo capitolo ci occuperemo solo della Stoa antica. Fondatore della scuola fu Zenone di Cizio (nell'isola di Cipro), un uomo di probabile origine fenicia. Egli giunse ad Atene all'età di ventidue anni, e compì il suo apprendistato intellettuale alla scuola platonica. Intorno al 300 a.C. Zenone fondò ad Atene la sua scuola, che fu detta «stoica» dal nome del luogo dove si insediò ( e cioè il «portico dipinto»: per questo motivo gli stoici saranno poi detti i «filosofi del Portico»). La scelta di un portico come luogo di insegnamento non è casuale. Zenone, in quanto straniero, non poteva possedere beni immobili in Atene, e ciò contribuì in qualche modo a determinare le caratteristiche esterne del sodalizio stoico: non un istituto organizzato e riconosciuto come l'Accademia platonica o il Giardino di Epicuro, ma piuttosto un gruppo di filosofi e di amici che si riunivano liberamente «sotto il portico» per discutere di filosofia. Anche le opere degli stoici antichi sono in gran parte perdute. Ciò tuttavia non ci impedisce di avere una conoscenza abbastanza organica del loro pensiero. Infatti la tradizione ci ha conservato un patrimonio di frammenti e di testimonianze assai ricco, e questo proprio a causa delle simpatie che le dottrine del Portico raccolsero negli ambienti più disparati. Risulta invece difficile individuare i singoli contributi dei maestri stoici, sia perché molti testimoni si riferiscono genericamente alla Stoa, sia perché la sistemazione proposta da Crisippo (il quale spesso altera sensibilmente il pensiero di Zenone, pur protestando la sua fedeltà al fondatore) finisce per essere attribuita a tutta la scuola. Per questo motivo esporremo le dottrine stoiche in modo sostanzialmente unitario. Ellenismo, _____________________ e religiosità Zenone di Cizio La scuola stoica 19 La concezione della realtà Materia e pensiero L'asse portante dell'interpretazione stoica della realtà è il concetto di logos, introdotto nella tradizione filosofica greca da Eraclito, e interpretato in modo originale, fino a farne la chiave per la spiegazione di ogni aspetto della realtà. Platone aveva sostenuto l'ipotesi dualista (differenza reale tra l'universo fisico spazio-temporale e l'universo dello spirito), lo stoicismo invece sostiene l'ipotesi monista (da monos, uno: materia e spirito sono due forme della stessa realtà). Il problema da cui muove la filosofia antica è la scoperta, che risale al pensiero di Eraclito e di Parmenide, di due sfere della realtà: la materia e il pensiero. Nell'uomo il filosofo osserva l'interazione tra la forza del corpo e la forza della mente: materia e pensiero si mostrano nella loro connessione. Il pensiero astratto, il logos, concepisce in sé gli elementi sensibili della materia; la sua forza penetra negli aspetti nascosti delle cose; la decisione presa all'interno dello spirito si prolunga in azioni del corpo e la mente governa tutto il comportamento della persona, sia fisico che spirituale. Tuttavia, la relazione tra le due sfere è oscura. È questo il problema: fare luce razionale su questa oscurità. Rifiutando la visione platonica, lo stoicismo concepisce l'universo come un cosmo unitario. Nel Tutto entità fisica e allo stesso tempo spirituale - il logos è forza, energia vivificatrice, che plasma l'inerte e passiva materia dandole una forma e uno scopo. Nulla è stabile e fermo nella natura - secondo l'intuizione, ancora oscura, di Eraclito -, ma ogni cosa è presa dal vortice del movimento. Quale forza lo genera? Che cosa si esprime nell'incessante moto degli astri, nel gioco delle maree, nella mutevole vita degli esseri che popolano la Terra? Una sola forza pervade ogni aspetto del Tutto: l'energia del logos che guida il mondo verso la propria destinazione e conferisce il significato razionale ad ogni evento. Dobbiamo concepire questa forza come materiale o spiritual e? La domanda è mal posta, perché presuppone - platonicamente, secondo una concezione ignota ai presocratici - che materia e spirito possano esistere l'uno indipendentemente dall'altro: da un lato la materia senza vita, dall'altro lo spirito creatore, indipendenti, concepiti ciascuno nella propria sfera. L'esperienza non ci dice questo, ma è in accordo con l'antica visione eraclitea della natura (physis): la materia non è affatto senza vita, ma è vivente; lo spirito non è affatto separato dalla materia, ma è la forza vitale interna ad essa. Dovremmo concepire viventi le piante e gli animali, e non la Terra che li nutre? Dovremmo concepire vivente l'essere che respira, e non l'aria che permette la vita? Certo, non si deve concepire il cosmo sull'analogia dell'uomo e dell'animale. Queste ultime sono forme individuali dell'essere, dotate di coscienza personale e nulla ci dice che il pianeta Terra abbia forme simili di coscienza. Ma dire che la Terra, il Sole e gli astri sono viventi non significa affatto che essi pensano come l'uomo o hanno coscienza nella sua stessa maniera. Abbiamo esperienza di molteplici forme di coscienza in natura: la pianta orienta le foglie nella direzione della luce, e sa quindi quale sia la posizione del Sole. Ma non possiamo dire che questa forma di sapere sia analoga a quella dell'uomo. Pensare che nell'universo vi sia una ragione profonda sottesa ad ogni essere, che tutto plasma e muove verso uno scopo determinato - e, come vedremo, buono - non significa immaginare una coscienza sul modello umano dilatata fino a coincidere con il cosmo. "Dal cosmo deve trarre origine tutto ciò che le sue parti hanno in sé: non solo il sostrato corporeo, ma anche il movimento, l'anima, la ragione, la perfezione morale. Noi dobbiamo quindi attribuire tutto ciò anche al cosmo stesso. In primo luogo la vita. ...Questo fu per la Stoa un principio indiscusso: solo la ristrettezza di una prospettiva antropomorfica può negare che il mondo, LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ A – IL MONISMO Il __________________________ L’ _______________________________ MATERIA E PENSIERO _________________ e _______________: la loro __________________________ L’energia __________________________ del Tutto: il _____________________ Materia e __________________ NON sono ___________________________________ la materia è _____________________ lo spirito è _________________________ interna alla ______________________ il vitalismo Forme di _______________________ in natura l’origine di __________________ dal Tutto cosmico l’animismo 20 preso come un tutto, sia un essere animato dotato di ragione e perfetto" (M. Pohlenz). Il logos dell'uomo è la forza del pensiero che gli permette di plasmare le cose fino a creare con la cultura e la civiltà quasi una "seconda natura" - nella città ben costruita, nei campi coltivati, nello spazio segnato da strade e ordinato dalla legge come territorio dello Stato. Che nell'universo vi sia una ragione profonda significa concepire questo logos dell'uomo come il prolungamento in una persona, dai tratti individuali, di una forza razionale cosmica - la stessa forza che si esprime nell'inconscio movimento della materia. Si osservi il processo della generazione di una pianta. La natura segue delle fasi estremamente precise, facendo sì che il seme abbia nel tempo una lunga serie ordinata di trasformazioni, fino a diventare albero. Tutto accade come se il seme fosse "programmato" (la parola, ovviamente, è moderna) per divenire albero, se nella sua struttura vi fosse già inscritto il fine. Una mente ha operato questo? Non dobbiamo immaginare la mente che guida l'universo sul modello della mente umana. L'uomo procede per tentativi ed errori, torna sui suoi passi, riprende la ricerca, è condizionato da mille fattori esteriori e psicologici. Il cosmo non procede affatto così: la via delle cose è segnata con assoluta perfezione, il seme diventa albero in un ciclo ininterrotto di nascita e di morte che dura da molto tempo, gli astri compiono un movimento incessante, senza nessuna delle incertezze umane. Dai tempi più antichi gli uomini hanno concepito come Dio una simile forza che gli stoici concepiscono come logos. Ed anche fra gli stoici alcuni spiriti sono profondamente attratti da una interpretazione in chiave religiosa dell'universo. Cleante, l'allievo di Zenone che, alla sua morte, diviene scolarca è dominato da un profondo sentimento religioso, e lucidamente esprime la sua fede in un Dio (la sua è una visione pienamente monoteista) come principio vivificatore del cosmo in un inno che ci è stato tramandato. Nel concepire questa divinità, non si pensi al messaggio cristiano, lontano ancora di secoli. Il Dio di Cleante e degli stoici non è altra cosa dall'universo. È l'intima forza che pervade tutto il cosmo, lo guida e gli conferisce senso. Non è puro spirito contrapposto alla materia, ma l'elemento vivificante della materia, concepito come fuoco, materia vivente, pura energia. Dio è immanente. Gli stoici sono i primi filosofi a concepire in piena consapevolezza l'ipotesi dell'immanenza. Il termine deriva dal verbo latino immanere (restar dentro) e si contrappone al termine trascendenza, con il quale indichiamo la tesi platonica che il mondo dello spirito trascende da la natura e sia eterno (cioè sia per natura ontologicamente separato e indipendente dalla materia e dal tempo). La tesi stoica sul cosmo è che Dio, cioè la forza dello spirito, sia dentro la natura che il logos sia il suo elemento vivificante - e non possa concepirsi alcuna realtà eterna e immobile, alcuna idea fuori dal tempo. Il Tutto è scandito dal movimento e guidato secondo ragione verso il bene dalla propria intima costituzione divina (concezione finalistica dell'universo). In questo senso l'uomo - l'essere della natura in cui il logos divino si prolunga nella pienezza della sua cosciente razionalità è affine alla natura di Dio e Cleante può concludere la sua preghiera con queste parole: "Nessun ufficio più alto fu dato agli dei e agli uomini / che celebrare la legge che gli uni e gli altri nel giusto unisce". Si trattava, come si vede, di una concezione della divinità profondamente diversa da quella che sarà fatta propria dal Cristianesimo. Infatti la concezione stoica vedeva la divinità come qualcosa di immanente, ovvero come qualcosa di coincidente, insito nell’universo, mentre nella visione del cristianesimo Dio IL LOGOS Nell’uomo: _____________________ nell’universo: _______________________ ___________________________________ La differenza non ___________________________ ma ____________________________ L’interpretazione ___________________: il logos è __________________________ B – L’IMMANENTISMO Dio come _________________________ ___________________________________ Immanenza e ________________________ Logos ____________ uomo simile a ____________________ IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO (vedi schema al fondo) 21 apparirà come un principio trascendente, ovvero superiore, non riconducibile e comunque esterno all’universo (di derivazione quindi platonica). Un’ulteriore differenza tra la concezione stoica della divinità e quella cristiana è rintracciabile nel fatto che la divinità stoica non coincide con quella del Dio persona cristiano in quanto esso rappresenta piuttosto la legge che governa l’universo. Dio come persona e come principio immanente sono tipici della tradizione ebraica e da essa sono pervenuti al cristianesimo. La concezione della realtà La provvidenza divina Strettamente connessa con questa concezione è la dottrina stoica della provvidenza divina. Il logos, infatti, governa il mondo secondo necessità (la stessa necessità che osserviamo nelle inesorabili leggi di natura, al cui potere non c'è nulla che sfugga). Esso, concepito come divinità, guida tutta la natura verso il bene, fine ultimo d'ogni movimento dell'essere. Il bene non è concepito alla maniera platonica come un'istanza superiore ed eterna, immutabile, ma è applicato al mutevole mondo dell'esperienza. Bene non è quindi tanto la destinazione finale, quanto l'orientamento attuale dell'essere delle cose che sistematicamente e necessariamente si evolve, perché tutto è soggetto al movimento del tempo. E questo stesso movimento ad essere buono, perché pone ordine a tutto l'essere in ogni sua fase. Il bene è immanente nel mondo, anche se al nostro debole occhio il male può apparire vincente. Ciò dipende dal fatto che non cogliamo il significato vero delle cose e degli eventi: li osserviamo da un'angolazione ristretta, da un'ottica particolare, e non capiamo perché sono necessari al fine della perfezione del Tutto. Niente accade per caso, tutto accade secondo necessità, perché l'universo abbia ordine e misura. Non c'è movimento nella natura - la caduta delle foglie in autunno, il ciclo della vita e della morte, il costante ruotare dei cieli, e così fino al più piccolo evento che, per la nostra ignoranza, ci appare frutto del caso - che non abbia un senso nell'ordine del tutto. La provvidenza non è l'intervento della divinità che dall'esterno agisce sul mondo per guidarne il corso verso il bene. E la stessa ragione intima delle cose, è il senso oggettivo dell'evoluzione cosmica. L'uomo deve affidarsi a questo cammino dalle tappe già segnate, abbandonarsi con fiducia alla perfezione divina anche quando essa non appaia in tutta chiarezza e il male sembriprendere il sopravvento. Ma ciò che è male dalla visuale dell'individuo (ad esempio la morte per la preda) è bene nell'ordine dei tutto (il rapporto tra preda e predatore garantisce la vita nel ciclo cosmico del divenire). Naturalmente è vana la pretesa di comprendere sempre le ragioni della divinità, forma immanente che regge il mondo. Rimane il mistero nelle cose, negli eventi, nel destino individuale. Ma la ragione ci spinge ad avere fiducia nella bontà del Tutto. Il saggio si affida alla provvidenza appunto perché ha fiducia nella bontà della provvidenza. Se ripercorre col pensiero il corso della propria vita, l'uomo ha l'impressione che essa sia governata dalla Tyche, l'antica dea greca del caso, il cieco destino privo di senso che rende irrazionale ogni progetto troppo preciso a lunga scadenza: la vita soggiace infatti ai colpi della "fortuna", nel senso latino del termine. Per gli stoici questa maniera di pensare è frutto della nostra ignoranza del futuro, della mancanza del saldo possesso razionale della rete di cause che determinano un evento e, soprattutto, delle conseguenze che ne deriveranno. Il saggio però non si lascia ingannare dai limiti delle informazioni in suo possesso. Attraverso la ragione, egli sa che non c'è il caso nella natura, ma rigoroso ordine. Tutto è regolato dalla ragione che governa il cosmo secondo il bene. LA PROVVIDENZA DIVINA Il logos come _____________ del Tutto verso il ______________________ Bene NON _________________________ Bene come _________________________ _____________________________ Il male ha un senso ___________________ __________________________________ ma vana è la pretesa dell’uomo _________ _________________________________ L’inesistenza _______________________ Tutto è _____________________________ all’interno del piano provvidenziale 22 C - L’ OTTIMISMO METAFISICO L'essere stesso è bene, è divino. Il male è solo un momento del ciclo del bene, oppure è il frutto dell'ignoranza (un errore di prospettiva, nato dall'ottica sfocata che ci concede la nostra natura), oppure è il momentaneo prevalere La bontà ________________________ e dell'irrazionalità, cui il logos saprà dare un senso positivo, volgendo gli eventi verso il bene all’interno del piano provvidenziale. Gli stoici, dunque, hanno espresso _______________________________ la massima fiducia nella positività dell'essere. Il loro è un profondo ottimismo metafisico: la vita, l'essere in quanto essere, è bene. Non si tratta di chiudere gli occhi di fronte al male del mondo, di non voler vedere l'irrazionalità della vita e la profondità del dolore che opprime il vivente (ogni essere vivente, non solo l'uomo). Al contrario, la realtà va guardata con lucidità, oggettività: come la scienza ha cercato di fare in ogni tempo e come i Greci Ottimismo e ______________________ avevano imparato fin dai tempi delle prime osservazioni naturalistiche. Il male, tuttavia va compreso nell'ottica del bene. In questo ottimismo radicale – che ritroveremo nel pensiero medievale cristiano - va certamente vista una forma nuova di religiosità. D Questa fede nasce dalla interpretazione finalistica della natura (che, quindi, richiama Aristotele). Gli stoici sono profondamente colpiti dall'ordine dell'universo e dal fatto che tanto gli organismi viventi quanto il cosmo nel suo complesso appaiono orientati verso uno scopo. Si prenda il caso dell’uomo. Ogni suo organo sembra "programmato" per la buona efficienza dell'organismo; ogni momento del suo sviluppo (dal concepimento alla nascita alla crescita) appare finalizzato al perseguimento della migliore condizione dell'adulto; il suo corpo ha caratteristiche che lo predispongono alla parola e alla comunicazione spirituale con i suoi simili. Tutto accade come se un'intelligenza avesse "pensato" lo sviluppo dell'uomo secondo un preciso fine, la pienezza del suo essere. È come se vi fosse un progetto. Troppo bella la natura, per non pensarlo, troppo pieni e perfetti i suoi colori le sue forme, il fascino degli elementi, il paesaggio di tutti i giorni sulle terre dei Greci: il mare, il sole, l'aria, il profilo delle isole e dei monti. Lo stesso accade per ogni piano e per ogni animale. Se si pensa al ciclo delle stagioni, all'alternarsi del caldo e del freddo, del. l'umido e del secco, e così via la natura sembra costituire una macchina meravigliosa finalizzata al bene. La bellezza stessa della natura sembra proclamare la perfezione del divino che è in lei. Gli stoici descrivono ammirati tutto questo, e ai loro occhi il finalismo della natura appare come la migliore e la più razionale prova dell'esistenza di Dio come supremo reggitore dell'universo. Forse non comprendiamo tutte le vie del mondo, qualcuna è dolorosa - forse troppo dolorosa - per noi. Ma l'uomo saggio si affida all'ordine divino, quell'ordine che compare con tanto splendore nella bellezza del mare e della luce, nel ciclo vitale, finalizzato al bene, degli organismi. E tra questi - in un mondo che non ha voluto, ma che contempla con occhi stupiti e che comprende con la sua ragione - è ciascuno di noi. La ragione accomuna il nostro l o go s al logos divino che è in ogni cosa. L'uomo è affine a Dio. Ma come può fuggire dall'infelice condizione in cui si trova, oppresso dal dolore e schiavo delle passioni, per giungere alle serene regioni della vita divina, guidata dalla ragione? L'uomo può accostarsi a Dio? Si rifletta sulla posizione dell'uomo nel cosmo. Mentre gli epicurei concepiscono l'uomo come uno dei tanti casuali prodotti del movimento degli atomi, il pensiero stoico è dominato dall'antropocentrismo: l'uomo ha il primo posto nella scala degli esseri e la sua anima è affine a Dio. A questo punto però si presentava agli stoici un problema: qual è lo scopo ultimo che la natura persegue nel suo creare? Se noi vediamo una casa ben arredata, non ci domandiamo soltanto chi l'ha costruita ma anche per chi è stata costruita. La risposta per loro non è dubbia: tutte le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. La terra nutre le piante, queste nutrono gli animali, e gli animali servono all'uomo - IL FINALISMO DELLA NATURA L’_____________________ dell’universo: a – la ______________________________ b – la ____________________________ c - la ______________________________ a + b + c dimostrano ______________ _______________ La centralità ___________________ nell’___________________________ a - la comunanza tra __________________ b – l’universo al ____________________ ______________________ 23 come strumento e come cibo. Infatti, sebbene fisicamente l'uomo sia inferiore per molti aspetti agli animali, col suo logos egli si rende padrone di loro e di tutto il mondo. Egli è usufruttuario di tutte le cose ed è pure il solo essere atto e chiamato ad apprezzare la grandezza Dio e uomo = _______________________ e la bellezza del mondo e a trarne motivo d'edificazione. Grazie al l o go s egli è imparentato con la divinità. Dio e uomo sono gli esseri razionali, la più alta la maggior ______________________ forma dell'essere, la quale svela lo scopo e il senso del mondo. Il cosmo secondo ______________________________ Crisippo è «un sistema costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create per loro»" (M. Pohlenz). Con questo antropocentrismo gli stoici introducono un elemento nuovo nella cultura greca: esso è infatti assente non solo presso i filosofi, ma anche presso i poeti dell'età arcaica e classica. Anche questo antropocentrismo, insieme con l’ottimismo, verranno riprese dal cristianesimo fin dall’opera di Paolo di Tarso che nella sua interpretazione della Stoicismo e Cristianesimo figura di Gesù si servì ampiamente dei concetti elaborati dagli stoici. Tra questi vi è anche il concetto di provvidenza che è strettamente legato alla divinità per cui anch’essa viene, a causa della diversa concezione della divinità, concepita diversamente. La provvidenza costituisce un piano impersonale in quanto determinato da una legge, mentre per i cristiani sarà il frutto di una precisa volontà, quella divina. Inoltre, per gli stoici essa è, come la divinità, un principio immanente all’universo, mentre per i cristiani essa, come la divinità di cui rappresenta la volontà, e trascendente rispetto al mondo. Alla visione del mondo elaborata dagli stoici è strettamente connesso, come vedremo, la concezione, anch’essa destinata a essere ripresa dal cristianesimo, dalla morale come dovere. IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO 1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________ 2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________ Concetti ____________________ __________________________________ A Provvidenza ma (vedi divinità) 1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________ 2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________ B _____________________________________________________________ C _____________________________________________________________ D _____________________________________________________________ La fisica LA FISICA La fisica stoica è dichiaratamente materialistica. Per sostenere tale orientamento Il _____________________________ i maestri del Portico potevano giovarsi di un argomento di Platone. Nel Sofista questi aveva affermato che veramente reale è solo ciò che ha il potere di agire e di patire. Ma, osservano gli stoici, solo ciò che è materiale può godere di queste caratteristiche: dunque tutto ciò che agisce e patisce è corporeo. Si tratta di una concezione gravida di conseguenze: vediamone subito due. In primo 24 luogo definire la materia come «quella cosa che è in grado di agire e di patire» conferisce al materialismo stoico un aspetto dinamico che lo differenzia Differenze con _________________: nettamente dal materialismo epicureo. Per Epicuro, infatti, la materia è soprattutto la sostanza della realtà: è ciò che occupa uno spazio, che si può toccare e vedere e che si muove in modo geometrico, sospinto da una cieca forza meccanica. Per gli stoici, al contrario, la materia è qualcosa che (usando un'espressione aristotelica) è sempre in potenza, in quanto possiede la capacità intrinseca di divenire. Da qui deriva anche la seconda conseguenza che volevamo mettere in luce. Spesso lo stoicismo insisterà nel considerare materiale tutta la La materialità dei ____________________ realtà senza alcuna eccezione, comprese le entità astratte come la virtù, la giustizia, ecc. Orbene, questa tesi diviene comprensibile solo tenendo presente la concezione della materia illustrata sopra: la giustizia, ad esempio, è per gli stoici non già una realtà immateriale, ma l'insieme delle forme che la «materia» assume nelle persone, nei fatti e nelle cose «giuste». Alla luce di quanto si è detto, si capisce anche perché il carattere distintivo della Il _______________________________ fisica stoica risulti essere, più che il materialismo, il monismo. Platone aveva separato dualisticamente la forma (le idee) dalla materia (il mondo sensibile) e Aristotele aveva mantenuto, sia pure in forma indebolita, questa distinzione. Gli stoici, dal canto loro, non negano l'esistenza di un principio attivo e di uno passivo, di una realtà in certo modo «formale» e di una realtà «materiale». Negano, invece, che tale dualismo sia originario. Per loro esiste infatti una sola «materia» primigenia che riempie di sé tutto l'universo, e che di volta in volta può specificarsi in differenti ruoli e funzioni. Da qui deriva concezione stoica secondo cui esistono sia la materia che la forma, ma la forma stessa è qualcosa di materiale. In sostanza essi ritengono sia possibile, in via teorica, individuare un principio attivo e uno passivo, purchè si tenga presente non solo che tali principi sono realtà inseparabili (e fin qui saremmo ancora vicini alle critiche che Aristotele rivolgeva a Platone), ma che sono la stessa e unica cosa. A ben guardare il materialismo serve agli stoici soprattutto per confutare il dualismo metafisico di Platone. Dopodichè chiamare l'unica realtà esistente con la parola materia o con qualche altro termine non ha più molta importanza: la «materia» degli stoici è materia che è anche forma e spirito. Le caratteristiche della fisica degli stoici emergono bene attraverso un paragone con la fisica degli epicurei. Epicuro, come abbiamo visto, aveva una concezione «meccanica» della materia, credeva che fosse composta di atomi indivisibili inframmezzati dal vuoto, e asseriva l'impenetrabilità dei corpi; riteneva inoltre che i mondi fossero infiniti e nessuna necessità o provvidenza ne guidasse gli sviluppi, che gli dei vivessero fuori dal mondo e non si occupassero dei destini dell'umanità, e di conseguenza sosteneva l'esistenza del libero arbitrio. È facile dimostrare che su tutti questi punti gli stoici espressero tesi diametralmente opposte. La materia, in primo luogo, è per loro viva ed attiva, interamente compatta e divisibile all'infinito: un principio che poteva essere sostenuto solo ammettendo la penetrabilità dei corpi. In secondo luogo per gli stoici esiste un unico mondo guidato da una provvidenza divina calata nella realtà mondana, una provvidenza la quale guida le sorti di tale mondo secondo un destino che l'uomo è incapace di modificare nella sostanza. Queste differenze non sono casuali. Esse esprimono due maniere di interpretare la realtà naturale, la cui radicale opposizione fu lucidamente colta non solo dagli antichi ma anche in epoca posteriore (ad esempio nel rinascimento). L'universo epicureo assomiglia a un gioco di costruzioni fatto di elementi mobili, che si aggregano e si disgregano in infinite combinazioni senza ordine e senza legge: ogni oggetto è una temporanea unione di «mattoni» che presto o tardi si separeranno per comporne altri, e così via. L'universo stoico, al contrario, è simile ad un unico blocco di materia compatta e malleabile la quale, guidata da una legge intrinseca, assume le forme più varie attraverso una trasformazione continua senza nette divisioni o salti interni. Ancora, mentre gli epicurei 25 ritengono necessario, per spiegare la realtà mondana, un pluralismo spinto fino alle estreme conseguenze (l'infinità degli atomi), gli stoici ritengono che tale spiegazione sia possibile ammettendo una natura unica in grado di assumere configurazioni diverse. Differenze con _________________: A -____________________: materia come ________________________________ Stoici: materia come _______________________________________________ B - ______________________: _________________________________________________________________________________ Stoici: ______________________________________________________________________________________________________ C - ______________________: _________________________________________________________________________________ Stoici: ______________________________________________________________________________________________________ Un'altra significativa dottrina fisica della Stoa è il principio della cosiddetta «mescolanza di tutte le cose», e della loro interazione universale. Il principio di causalità universale sostiene che tutto ciò che accade nell’universo ha una causa che è a sua volta causa di qualcos’altro. L’universo è dunque retto da un’unica catena causale per cui un evento privo di causa è impensabile, in quanto ci sarebbe qualcosa di non determinato dalla natura e dalla ragione divina insita in essa. La provvidenza costituisce, per gli stoici, il piano razionale che, tramite la causalità universale, regge e governa il mondo realizzando un mondo perfetto perché ordinato e armonico in cui il male stesso appare giustificato nell’economia del tutto. Orbene, per i filosofi del Portico ciò implica che in natura tutto ha effetto su tutto: per esempio, anche una sola goccia di vino che cade in mare non è un accadimento irrilevante ma ha il potere di modificare, sia pure in misura infinitesima, le caratteristiche qualitative dell'insieme Da qui deriva anche un'ulteriore, fondamentale concezione, quella della cosiddetta «simpatia universale»: tutte le parti dell'universo, anche le più remo hanno organici rapporti di azione reciproca. Tale concezione ha, tra le altre cose, un importante significato religioso. È infatti grazie ad essa che gli stoici sostennero la fondatezza dell’astrologia, e più in generale furono portati a vedere in tutti i fenomeni della natura le molteplici manifestazioni Il principio _______________________ e piano ___________________________ La ______________________________ e _________________________ LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ Monismo: ______________________________________________________ Materia e pensiero sono ____________________________: Immanentismo: __________________________________________________ Ottimismo metafisico: _____________________________________________ Finalismo della natura:_____________________________________________ IL LOGOS come _________________ ______________________________ LA ____________________________ come __________________________ ________________________ 26 27