Aristotele e stoici

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5 - ARISTOTELE E IL RAZIONALISMO ANTICO
1. L'interesse per la natura e le scienze
1.1 Dalla corte alla scuola
1.2 La nuova figura del filosofo: lo scienziato-ricercatore
Con Aristotele entra sulla scena del pensiero filosofico greco un personaggio
nuovo, destinato a modificare profondamente e durevolmente il profilo intellettuale,
la collocazione sociale, lo stile di lavoro del filosofo. Egli non è identificabile con
nessuno dei due tipi di pensatori che ci sono noti: né con il grande aristocratico,
destinato al possesso del sapere e alla gestione del potere (alla maniera di Parmenide e
di Platone), né con i sapienti legati alle tecniche e alle classi urbane (alla
maniera dei filosofi della città).
La radicale diversità di Aristotele risulta già dal suo ambiente di
provenienza. Nato nel 384 a Stagira, una piccola città della Calcidica sita all'estrema
periferia del mondo greco, Aristotele risulta fin dal principio legato alle vicende del
regno di Macedonia, alla cui influenza la sua città era sottoposta. Il padre era
infatti medico di corte del nonno di Alessandro Magno, il costruttore di quello
che sarà il primo impero dell’età ellenistica. Dalla professione del padre, il
giovane Aristotele ricevette forse un incentivo verso quell'interesse per le
scienze della natura che rimase costante in tutta là sua attività di ricerca; ma
certamente più importante fu l'eredità implicita nella collocazione sociale del
cortigiano. Per Aristotele, al contrario che per Platone, il rapporto con la
politica poté fin dal principio essere soltanto indiretto, visto che dalla
contesa per il potere egli era doppiamente escluso: in patria, giacché il potere vi era
detenuto dalla monarchia macedone; all'estero, soprattutto in Atene, perché
come straniero egli non poteva prender parte direttamente alla vita politica.
Dal punto di vista dell'esclusione sociale dalla politica, Aristotele prefigura
dunque l'intellettuale ellenistico, che, a partire dal III secolo, avrebbe vissuto
in un mondo dominato dalle monarchie assolute.
A diciassette anni Aristotele, andato ad Atene, divenne membro
dell'Accademia platonica. L'ingresso del giovane provinciale nella grande
istituzione ateniese fu probabilmente reso possibile da una presentazione
della corte macedone, dalla quale egli proveniva. Fin dal principio non fu
l'attività politica dell'Accademia ad attirare l'interesse di Aristotele, bensì le
ricerche logiche e scientifiche che vi si conducevano.
Aristotele restò nell'Accademia per vent'anni, fino alla morte di Platone. Nel
secondo decennio della sua permanenza all'Accademia Aristotele scrisse, oltre a un
certo numero di dialoghi di ispirazione platonica, anche alcune delle sue opere più
importanti, soprattutto in materia di logica, di teoria del linguaggio e di retorica: a
questo periodo appartengono anche probabilmente le sue prime opere scientifiche,
fra cui la Fisica.
Alla morte di Platone, nel 347, il trentasettenne Aristotele ha comunque ormai
definito i fondamenti logici del suo pensiero. In quello stesso anno, egli abbandona
Atene e l'Accademia, e si reca a Asso in Asia Minore. L'abbandono di Atene si
deve probabilmente sia al disappunto per l'elezione del nipote di Platone alla
direzione dell’Accademia platonica che alla reazione ateniese contro la politica
espansionistica di Filippo, il padre di Alessandro Magno, alla cui corte Aristotele
era notoriamente legato. Ad Asso Aristotele conobbe il giovane naturalista
Teofrasto e i due studiosi attesero soprattutto a ricerche di carattere biologico.
Nel 342 Aristotele venne invitato da Filippo ad assumere l'incarico di precettore del
giovane erede al trono, Alessandro, presso la corte macedone. Più che la sua fama di
studioso, furono probabilmente i suoi legami famigliari a procurargli questo
L'INTERESSE PER LA NATURA E LE
SCIENZE
DALLA CORTE ALLA SCUOLA
Aristotele né ________________________
né _________________________________
L’ambiente di provenienza:
___________________________________
L’esclusione dalla ____________________
in patria:____________________________
ad Atene:___________________________
La frequentazione dell’________________
di _________________________
gli interessi ________________________ e
___________________________________
L’abbandono di ______________________
Gli studi ___________________________
1
invito. In Macedonia Aristotele si trattenne per diversi anni; il suo compito presso
Alessandro non andò comunque mai oltre quello di un normale insegnante di
letteratura e di retorica, ed è certamente leggendaria la tradizione antica e medievale
di un profondo influsso politico del filosofo sul giovane re, di cui il primo
probabilmente non capiva e non condivideva le ambizioni imperiali.
Nel 338 Filippo impose definitivamente la supremazia macedone sull'intera Grecia,
ponendo fine all’esperienza delle città-stato; due anni dopo Alessandro succedette
al padre sul trono di Macedonia. Aristotele era così libero di tornare ad Atene in
tutta sicurezza, grazie alla potente protezione del suo regale discepolo. Rotti ormai
i rapporti con l'Accademia, Aristotele aprì al Liceo, un ginnasio pubblico aperto
all'insegnamento dei filosofi, una sua scuola con corsi regolari.
Con l'insegnamento, cui d'ora in poi egli si dedicherà interamente, si definisce il
secondo polo fondamentale dell'esperienza di Aristotele: partito dalla corte, egli
approda alla scuola. Escluso dal potere, straniero in Atene, privo di una vera patria,
il filosofo, che nella reggia è subalterno e di cui la piazza diffida perchè straniero,
trova finalmente nella scuola una casa sicura in cui esser padrone; trova nella pratica
dello studio e dell'insegnamento quell'appagamento, quel senso di autonomia e di
compiutezza che la città gli nega nella mutata situazione sociale.
Il Liceo aristotelico era naturalmente assai diverso dall'Accademia platonica. Fra i
condiscepoli non esisteva alcun legame religioso, alcuna regola comune di vita, alcun
progetto politico cui operare insieme. Meno aperto alla libera discussione dialettica
di quanto lo fosse l'Accademia (giacché la dottrina e l'insegnamento di
Aristotele erano in certo modo "ufficiali" e non questionabili), all’interno del
Liceo venivano condotte tutta una serie di ricerche settoriali, dalla fisica, alla
biologia, alla zoologia all’interno del quadro teorico delineato dalle teorie di
Aristotele.
Durante il periodo dell'insegnamento nel Liceo Aristotele compose le sue maggiori
opere filosofiche, etiche, biologiche e psicologiche. Questo periodo di riflessione e di
organizzazione della ricerca venne interrotto bruscamente da un grave
sommovimento politico. Nel 323 morì Alessandro Magno, e ad Atene riprese
vigore, anche se per un breve periodo, il partito antimacedone; per Aristotele,
malvisto a causa dei suoi notissimi legami con i Macedoni, non c'era più posto
nella città. Egli si rifugiò quindi nella casa della madre, a Calcide in Eubea, dove
trascorse in solitudine gli ultimi mesi della sua vita.
Le opere che Aristotele ci ha lasciato - un'imponente serie di scritti che coprono
quasi tutti i campi del sapere - sono anch'esse legate, come tanta parte della
sua vita, alla scuola e all'insegnamento. Aristotele scrisse, è vero, anche dialoghi di
tipo platonico destinati alla pubblicazione, che si sono perduti, ma essi
rappresentarono comunque una parte secondaria della sua produzione. Il suo
pensiero potente, il suo sterminato sapere sono invece esposti nei trattati
scientifici, costituiti dalla trascrizione dei corsi tenuti nei lunghi anni di
insegnamento prima all'Accademia e poi al Liceo.
Aristotele sostenne, nella sua Etica, che la vita contemplativa, dedicata solo al
sapere teorico, allo studio, alla conoscenza, è la forma più alta di esistenza, la
sola che avvicina l'uomo alla condizione divina: e il suo dio, in effetti come
vedremo, non è che pensiero e conoscenza. In questo modo Aristotele
descriveva la nuova figura del filosofo che egli stesso aveva impersonato e
condotto a perfezione: non più il legislatore, il profeta, come voleva la
tradizione aristocratico-sacerdotale, né l'ingegnoso inventore di tecniche, come
per i filosofi della città, ma il caposcuola, l’insegnante o il grande intellettuale,
ricercatore e scienziato, dedito a una conoscenza che Aristotele definisce del
tutto disinteressata e perciò inutile dal punto di vista di ogni possibile fine pratico:
fine de la conoscenza non è altro che la conoscenza stessa. Dalla società, dalla politica
- cioè, ormai, dal potere regio - il filosofo si attende solo quella benevola
L’istruzione di _______________________
Il ritorno a __________________________
La fondazione del ____________________
Dalla ___________________________ alla
__________________________________
Liceo e ____________________________
La fuga da Atene e la _________________
Opere di Aristotele  testi di
_________________________________
LA NUOVA FIGURA DEL FILOSOFO: LO
SCIENZIATO-RICERCATORE
L’esaltazione della vita ________________
___________________________________
La nuova figura di ___________________:
lo _________________________________
dedito a un sapere ____________________
2
protezione che gli consenta di attendere serenamente ai suoi studi nel
tranquillo recinto della scuola. A sua volta, egli offre alla società un sapere
privo di qualsiasi applicazione, che va perseguito solo perché il desiderio di
sapere è coessenziale all'uomo. Certo, come vedremo, questo sapere contiene
anche una giustificazione globale del sistema del mondo e della società, che
fornisce un'indiretta ma solida base ideologica al potere del re e alla
conservazione delle differenze di ceto.
2. Aristotele, Platone e la storia della filosofia
2.1 I compiti e l’oggetto della filosofia
2.2 Due concezioni della realtà
2.3 Platonismo e aristotelismo nella storia della filosofia
ARISTOTELE, PLATONE E LA
STORIA
DELLA FILOSOFIA
ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO:
Nella storia della filosofia europea, platonismo e aristotelismo sono rimasti,
fino ai nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di pensare
la filosofia, i suoi fini, i suoi oggetti e conseguente come due modi alternativi di
concepire la realtà.
Una delle ragioni fondamentali di questa contrapposizione è individuabile nella
trasformazione oggettiva intervenuta nel ruolo sociale del filosofo e dunque nella
destinazione stessa del suo lavoro. Il fine della filosofia e del sapere per
l'aristocratico Platone, discendente da re e legislatori, sta nel rinnovamento eticopolitico della società; per Aristotele, l'una e l’altro sono fine a sé stessi, dunque
socialmente inutili, se non per appagare quel bisogno di conoscenza pura che è
insito nell'essenza dell'uomo. Ma questa diversa concezione dei fini della filosofia,
che è oggettivamente pilotata dalla struttura sociale, incide poi a sua volta sul modo
di pensare gli oggetti stessi della filosofia. Per il platonismo, la filosofia doveva
occuparsi non degli oggetti del sapere empirico, volgare, per rivolgersi agli oggetti
suoi propri - le idee - diversi da quelli su cui verteva l ‘esperienza comune. Il
platonismo introduce dunque una scissione del mondo che è strettamente funzionale
ai compiti che esso assegna alla filosofia: rendere certa la vita morale (garantita
dall'esistenza di un altro «mondo», ultraterreno e sovrasensibile, dove i premi e le
pene vengono equamente distribuiti secondo i meriti) e la guida politica della città
destinata ai filosofi i soli in grado di conoscere la realtà ideale.
Per Aristotele, al contrario, il compito della filosofia non sta né nell'immaginare
né nel costruire un mondo nuovo e ideale; postulare una scissione del mondo fra il
livello empirico e quello della «vera» realtà è per Aristotele in linea di principio un
abuso dell'immaginazione filosofica, e ne riflette un eccesso del desiderio eticopolitico. Le idee di Platone sono inutili doppioni delle cose e, per di più,
siamo costretti a pensarle in numero superiore rispetto alle cose stesse (ci deve
essere l'idea dell'oggetto X e, insieme, le idee di tutte le sue qualità e i suoi
modi di essere). Non c'è, per lui, che un solo mondo, ed è quello della nostra
esperienza quotidian a , pur con tutta la sua complessità e le sue articolazioni che
spetta al sapere di comprendere e descrivere. Non c'è che una sola realtà, ed è
quella delle sostanze individuali - gli uomini, gli animali, le piante, gli astri, la
divinità - che popolano il nostro mondo e che noi percepiamo con i sensi, o di cui ci
parla il nostro linguaggio. Descrivere le qualità, l'essenza specifica, l'ordine che
definiscono queste sostanze; comprendere le ragioni della loro esistenza, della loro
struttura; giustificare razionalmente il grande piano del mondo e della natura:,
questo diventa, per l’aristotelismo, il compito della filosofia e del sapere in
generale.
Queste diversità di compiti che i due filosofi affidano alla filosofia (per Platone
rendere sicura la vita morale e l’azione politica, per Aristotele spiegare
3
razionalmente il mondo della natura) conduce all’elaborazione di due concezioni
del reale diverse e opposte. Se Platone concepisce la vera realtà, oggetto del vero
conoscere, come trascendente il mondo dell'esperienza, Aristotele al contrario
assume l'esistenza e la conoscibilità degli enti sensibili e del mondo empirico
come il proprio fondamentale punto d'avvio. Alla formazione di questo
convincimento concorse verosimilmente l'orientamento naturalistico del padre,
medico presso la corte macedone, lo studio della tradizione filosofica e scientifica
ionica, oltre alle condizioni storico-politiche di cui abbiamo detto.
Nel loro insieme, le principali dottrine di Aristotele configurano una concezione
della realtà e del sapere autonoma e alternativa a quella di Platone. I caratteri
originali della filosofia aristotelica si mostrano con evidenza nel confronto tra
alcune dottrine aristoteliche e le corrispondenti platoniche. Per Aristotele tutte le
singole cose che ci circondano (gli animali, le piante, ma anche gli oggetti prodotti
dall'uomo) esistono effettivamente, sono cioè sostanze nel senso più proprio e non
"immagini" imperfette dell'idea, che invece per Platone è la vera realtà. Gli individui
(questo cane, questo albero, questo tavolo) sono concepiti come composti di materia
e di forma: alla costituzione del tavolo concorre il legno di cui esso è fatto e la
forma che l'artigiano conferisce al materiale legnoso. La forma è dunque pensata
ARISTOTELE E PLATONE A CONFRONTO:
A – I________________DELLA FILOSOFIA
Platone = guida ______________________ della società
Aristotele =
_____________________________________________________________________________________________________
B - GLI __________________ DELLA FILOSOFIA
Platone = il mondo delle _____________________________
Aristotele = esperienza _______ _________________________
L’inutilità del mondo delle idee: le idee come _______________ ________________________
C - CONCEZIONI DELLA REALTÀ
Platone  realtà vera = mondo che _______________________________________
Aristotele  realtà vera = mondo ________________________________________
da cui:
1 - gli oggetti reali
per Platone = immagini ______ _________________________
per Aristotele = composti da: ______________ ______________ + _______________________________________
Forma nelle ____________________
Idea _______________________________________
2 studio della ______________
Platone:_______________
Aristotele: ______________  ricerca delle_______________ e dei _______________ delle _______
come una componente strutturale delle cose, a differenza dell'idea platonica, che
esiste "oltre" le cose (sui concetti aristotelici di forma e materia ci
soffermeremo più avanti).
Se gli enti individuali, dei quali i sensi ci rendono testimonianza, sono realtà
a tutti gli effetti, ne consegue per Aristotele che essi possono divenire oggetto
di vera conoscenza. In particolare, l a pos si bi l i t à di uno studio scientifico
della natura, negata da Platone, rappresenta uno dei capisaldi del pensiero
4
aristotelico. La constatazione che gli enti naturali nascono, si corrompono,
mutano e si muovono non si traduce in Aristotele, come invece in Platone, nella
rinuncia a conoscerli con verità, ma dà luogo alla ricerca di cause e principi
capaci di rendere intelligibili gli incessanti processi di trasformazione che si
verificano intorno a noi.
Il nuovo atteggiamento di Aristotele nei confronti della filosofia, dei suoi compiti,
dei suoi oggetti, e la stessa nuova concezione della realtà se sul piano storicoculturale appaiono strettamente connessi alle nuove condizioni socio-politiche, sul
piano teorico, per molti versi, sono ancora una volta il frutto del dibattito
filosofico, e comunque dell’incontro/scontro tra tradizioni e quindi modi di
vedere diversi, che ha il merito di diventare l’occasione per un approfondimento,
un raffinamento, un superamento delle incongruenze, delle “ingenuità”
contenute nei rispettivi punti di vista.
Infatti, come voleva la tradizione aristocratico-sacerdotale il vero sapere
coincide con un sapere che, come abbiamo detto, avvicina l’uomo alla
condizione divina e che comunque si identica con un sapere disinteressato, non
pratico ma fine a se stesso; la conoscenza ha però per oggetto, come voleva la
tradizione dei filosofi della città, il mondo reale, il mondo dell’esperienza
quotidiana.
Da questo punto di vista non appare forse inutile sottolineare come la filosofia
aristotelica si presenti come una riflessione su quella che è la nostra esperienza
ordinaria e comune, per cui molte delle teorie aristoteliche appaiono confermate
dal nostro comune modo di affrontare la vita quotidiana, coincidendo con il
senso comune. L’esempio forse più noto di questa coincidenza è dato dalle teorie
geocentriche, fatte proprie da Aristotele, che appunto coincidono con quello che
appare nella vita di tutti i giorni, con il nostro senso comune.
Un altro legame con la nostra esperienza ordinaria è dovuto inoltre al fatto che ,
come vedremo, uno degli oggetti principali delle indagini aristoteliche è
costituito dal linguaggio di cui ci serviamo per parlare del mondo e che esprime
quello che è il nostro abituale, quotidiano, rapporto con il modo stesso.
Platonismo e aristotelismo, abbiamo detto all’inizio del paragrafo sono rimasti, fino ai
nostri giorni, come due modelli alternativi, due modi contrapposti di concepire la
filosofia e la realtà. In effetti essi rappresentano il prototipo di due atteggiamenti che
sono rimasti costanti nella storia della cultura occidentale, quello idealistico-religioso e
quello razionalistico. Nel suo tendere a giudicare il mondo reale in base al mondo
ideale Platone è, infatti, sicuramente il padre del primo atteggiamento, mentre nel suo
voler conoscere il mondo reale descrivendolo, classificandolo, spiegandone la cause
Aristotele appare il padre di un atteggiamento razionalistico.
I due filosofi hanno svolto una influenza diretta nella storia della filosofia almeno sino
alla filosofia moderna, dal momento che tutta la filosofia cristiana si è svolta
all’interno dei quadri concettuali fissati dall’uno o dall’altro. Infatti, Agostino
d’Ippona, il primo dei filosofi cristiani, riprenderà l’atteggiamento radicalmente
antimaterialista di Platone che dominerà, attraverso la sua mediazione, sino al XIII
secolo quando la cultura europea riscoprirà, attraverso la mediazione della cultura
araba, l’aristotelismo che finirà, con l’opera di Tommaso d’Aquino, per ispirare quella
che è ancora oggi la visione teologica ufficiale della Chiesa cattolica.
PLATONISMO E ARISTOTELISMO NELLA
STORIA DELLA FILOSOFIA
Il dibattito __________________________
Il pensiero di Aristotele come tentativo di
fusione _____________________________
___________________________________
Conoscenza ______________________
(tradiz. __________________________)+
________________________ (filosofi della
____________)
Il pensiero di Aristotele e il __________
_______________________
- teorie _________________
- l’analisi del ______________________
_________________________________
Platonismo e aristotelismo: prototipi
dell’_________________________ e del
_________________________________
Platonismo, aristotelismo e ___________
_____________:
Platone ________________________
______________________ Tommaso
d’Aquino
5
3. La Metafisica
3.1 I livelli della conoscenza: dalla conoscenza sensibile alla conoscenza
per la conoscenza
3.2 La filosofia prima o metafisica
3.3 I principi per comprendere razionalmente la realtà
3.4 L'essere in quanto tale
3.5 La sostanza sovrasensibile
La Metafisica di Aristotele si apre con la celebre affermazione: «Tutti gli uomini
aspirano per natura alla conoscenza». Ma i livelli della conoscenza sono molti e
non tutti gli uomini pervengono a quella che, secondo Aristotele, è la forma della
suprema conoscenza.
L'uomo condivide con gli animali la possibilità di avere sensazioni. Prerogativa
delle sensazioni in generale è di riguardare sempre un oggetto o un evento definito
nello spazio e nel tempo. Ciò che si percepisce con i sensi, infatti, è sempre un
oggetto qui e ora (questo libro che è qui e ora davanti a me). Aristotele esprime
questa idea dicendo che la sensazione concerne il che delle cosa, non ancora il loro
perché.
Tra le sensazioni, Aristotele attribuisce una posizione di primato all'udito e alla
vista. Attraverso l'udito, infatti, riceviamo insegnamenti e, quindi, apprendiamo.
Questa caratterizzazione aristotelica della funzione dell'udito suggerisce che la via
fondamentale per la trasmissione del sapere è ancora ravvisata nell'oralità, non
nella scrittura. Tra i vari sensi, tuttavia, quello dotato di maggiori poteri
conoscitivi è, per Aristotele, la vista. Questa, infatti, consente di cogliere - con
una nettezza impossibile per gli altri sensi - le differenze tra gli oggetti. La
superiorità della vista, inoltre, è dovuta al fatto che essa può essere utilizzata
anche indipendentemente dall'azione e servire soltanto allo scopo disinteressato
di contemplare le cose.
La memoria - di cui sono dotate anche alcune specie animali oltre all'uomo - consente
di conservare l'informazione ottenuta mediante la percezione, anche quando
è assente l'oggetto che l'ha prodotta. Per esempio si sa che il fuoco brucia anche
quando non lo si percepisce.
Ciò che, per Aristotele, differenzia nettamente l'uomo dagli animali è l'esperienza,
intesa come un insieme di molti ricordi della medesima cosa. Ad esempio, il ricordo
che un determinato fuoco - percepito una volta - ha prodotto una sensazione di
bruciore non è ancora un'esperienza. Sì ha un'esperienza solo quando un
avvenimento – verificatosi più volte - è registrato nella memoria, in modo da
permettere una conoscenza di tipo generale (ad esempio, il fuoco per lo più brucia).
Dall'esperienza, secondo Aristotele, si genera la tecnica. La tecnica, infatti, è
caratterizzata dal fatto di avere l'universale come oggetto della propria
conoscenza. La medicina, per esempio, raggiunge il livello di tecnica - e non di
semplice esperienza - quando è in grado di stabilire che un determinato rimedio
guarisce non soltanto Socrate o Platone e così via, bensì ogni persona affetta da una
certa malattia. Ciò significa che quel rimedio si rivela efficace nella totalità dei casi in
cui è presente tale malattia.
Qual è, allora, la differenza tra colui che ha semplicemente fatto esperienza della
capacità di guarigione di un farmaco e colui che possiede la tecnica medica? La
risposta è che - sebbene entrambi abbiano verificato l'efficacia di quel rimedio in una
pluralità di casi - il primo non sa il perché. Chi, invece, possiede la tecnica gli è
superiore, perché conosce la causa per cui tale rimedio è efficace in relazione a una
data malattia e, quindi, necessariamente per tutti coloro che ne sono o ne saranno
affetti.
Anche la tecnica, tuttavia, non rappresenta per Aristotele il livello più alto
del sapere. La ragione è che la tecnica, in tutte le sue manifestazioni, è
subordinata a fini diversi dalla conoscenza. Le prime tecniche inventate
LA METAFISICA
I LIVELLI DELLA CONOSCENZA: DALLA
CONOSCENZA SENSIBILE ALLA
CONOSCENZA
PER LA CONOSCENZA
1- le ___________________________
Le cose qui e _____________ ma non il
__________________________________
Udito  ___________________________
_____________  + poteri conoscitivi
+ ____________ e indipendente ________
________________ (contemplazione)
2 - la ____________________ conserva
________________ anche in assenza
dell’_________________________
3 - l’____________________________
memoria che consente _________________
___________________________________
4 - la tecnica
La generalizzazione dell’ ______________
il _____________ delle cose
la ____________________ a fini diversa
dalla ____________________________
6
dagli uomini sono quelle destinate a soddisfare i bisogni primari e a
garantire la sopravvivenza. Il loro scopo è, dunque, l'utilità. Ma anche arti
inventate successivamente (per esempio, la musica), pur non avendo come
fine l'utilità, hanno un fine diverso dalla conoscenza. Esse mirano, infatti, a
5 – il sapere per il ____________________
produrre piacere o diletto.
Al di sopra delle tecniche si colloca, dunque, il conoscere per il conoscere: una
forma di conoscenza che ha di mira soltanto se stessa, ossia la conoscenza
veramente libera, non subordinata a fini esterni a essa. Questa è la sapienza, il
sapere più alto che ha per oggetto le cause prime di tutte le cose. A questo sapere
mira la filosofia.
In tal modo, Aristotele ha elaborato una nozione di sapere ormai lontana dal
significato arcaico di sapere come saper fare, cioè di un sapere legato all'agire e
al produrre. Lontana da quel sapere che i primi filosofi di Mileto avevano legato
proprio al mondo delle tecniche che Aristotele vuole superare; lontano anche dal
sapere platonico volto a dirigere l’azione politica.
Per poter ricercare questo sapere disinteressato occorre quella che in greco era
detta scholè, ossia il «tempo libero» da ogni attività lavorativa o pubblica. Un
tal modo di intendere la conoscenza era legato alla struttura produttiva e sociale
del mondo greco. Nella società greca, come in tutte le società occidentali sino al l’ideale di Aristotele: _________________
XVII-XVIII secolo) la classe dominante, tale perchè controllava ciò che le altre
classi producevano, hanno visto nelle attività produttive soltanto un mezzo per _________________________
potersi dedicare ad attività “superiori”, tali perchè del tutto estranee alla
produzione. Solo con l’avvento della società capitalista, la nuova classe
dominante, la borghesia, porrà l’attività economica e produttiva al centro dei
suoi interessi richiedendo alla scienza di essere un’attività utile, volta ad
incrementare il dominio dell’uomo sulla natura.
Nella prospettiva di Aristotele, il luogo autentico in cui questo sapere può essere
perseguito è la scuola dei filosofi. Tutti gli uomini aspirano a conoscere, ma
soltanto i filosofi realizzano in senso pieno questo fine iscritto nella natura
dell'uomo.
Il sapere per il ____________________e struttura _________________ e __________________ del mondo antico
classe dominante : - controlla ciò _______________________________________________________________
- si dedica alle attività ______________________ perché non _______________________________
Società capitalista:
la scienza deve essere ________________
classe dominante si dedica alle __________________________________________________
Se il compito delle scienze e quello di farci conoscere i diversi aspetti della
realtà, il compito della filosofia è quello di delineare il quadro generale che
rende possibile tale conoscenza, di definire con la massima precisione concettuale
le coordinate generali valide per ogni aspetto della realtà: i principi primi, cioè, che
sorreggono tutta l'impalcatura della realtà. Per Aristotele si tratta di spiegare
l'essenza di ciascun ente individuale: non di comprendere l'universale lasciando cadere gli elementi individuali, ma di elaborare concetti universali che
siano di aiuto alla comprensione dei particolari, perché solo le cose particolari
esistono e gli enti universali - come le idee platoniche - sono solo astrazioni
mentali.
Aristotele chiama filosofia prima questo tipo di indagine, ma nella tradizione
filosofica successiva è prevalso l'uso del termine metafisica, attribuito nel I sec.
LA FILOSOFIA PRIMA O
METAFISICA
Compiti:
delle scienze = ______________________
__________________________________
della filosofia = i principi _____________
_________________________________:
a) validi per ________________________
7
a.C. da Andronico di Rodi al complesso dei libri aristotelici che trattano delle b) concetti ________________ in grado di
cause ultime. Si tratta, del resto, di andare davvero oltre la fisica (metà =
_________ _________________________
"oltre", "dopo"), perché non si tratta di parlare di una qualche singola cosa
fisica, compito di una qualche scienza particolare ma dell’essere delle cose in Filosofia prima o __________________
generale.
Per determinare tali principi Aristotele parte dall’analisi di ciò che compiamo
LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA
quando cerchiamo di comprendere la realtà. Nel comprendere la realtà noi ci
REALTÀ:
serviamo di quattro diverse operazioni: determiniamo con rigore concettuale
la precisa identità di ogni cosa, rispondendo cioè alla domanda: "che
cosa è ...?"; inoltre, poiché ogni cosa è soggetta a mutamento, si tratta di
comprendere come sia possibile che il suo essere si trasformi, devono
essere comprese le cause del divenire; in terzo luogo classifichiamo
l’oggetto in relazione a tutti gli altri e, infine, ricerchiamo le cause delle
trasformazioni che le cose subiscono.
LE OPERAZIONI PER COMPRENDERE LA REALTÀ:
I PRINCIPI PER COMPRENDERE RAZIONALMENTE LA REALTÀ
1 definire ___________________________________ di ogni
cosa
_______________________ e _______________________
2 – comprendere le __________ __________________delle
cose
_______________________ e _______________________
3 - _________________________ in relazione
________________
_______________________ e _______________________
4 – individuare le _______________ delle
___________________
__________________:
__________________________________
1 - I PRINCIPI PER COMPRENDERE
Si tratta quindi di enunciare in primo luogo i principi che permettono di definire l'identità di una cosa.
Aristotele rifiuta la separazione ontologica radicale tra materia e pensiero, e
quindi esclude che il pensiero sia un carattere costitutivo della mente del tutto
separato dal corpo e che la conoscenza sia reminiscenza. Ciò che pensiamo
è invece inteso come prodotto dell'attività della mente che in se stessa non ha
particolari contenuti e trae le proprie informazioni dal mondo esterno lasciandosi
plasmare da esse. Aristotele deve quindi poter mostrare come il pensiero astratto
possa nascere nella mente dell'uomo mediante l'esperienza, cioè mediante il
rapporto sensibile con le cose. Che cosa accade quando mediante la vista
osserviamo un oggetto? Ne formiamo una rappresentazione interiore, che
diviene parte della nostra coscienza. L'oggetto materiale è ancora davanti
a noi nella sua pienezza e nessun frammento della materia di cui è composto è
entrato a far parte della nostra mente. Che cos'è dunque una rappresentazione
soggettiva di una cosa?
Che cosa è stato rappresentato dell'oggetto? La sua materia? Piuttosto è stato
rappresentato un insieme di caratteristiche della materia di cui è composto: la
sua disposizione nello spazio che gli conferisce una figura particolare; il suo
colore; la qualità della luce che lo colpisce; il disegno delle parti che lo
compongono; la struttura interna delle sue parti; e così via. Se la materia di cui
sono composte le cose non avesse queste caratteristiche, potremmo rappresentarla sensibilmente?
Ma non esiste alcuna cosa materiale la cui materia non abbia questo tipo di
RAZIONALMENTE LA REALTÀ
A – L’IDENTITÀ DELLE COSE
Il rifiuto della separazione tra ___________
___________________________________
Pensare = esperienza (rapporto __________
___ con le cose) + attività della _________
la rappresentazione _______________delle
cose:
dalla cosa ______________ alla _________
________________________________
Gli oggetti =
MATERIA = __________________________
___________________________________
+
FORMA = ___________________________
_________________________________
8
caratteristiche. E tuttavia esse non costituiscono affatto un carattere proprio della
materia in quanto tale. Si prenda un foglio di carta e lo si strappi in diverse parti.
Nulla nella materia è cambiato: essa è la stessa di prima, ma il foglio di carta
non è più un foglio di carta. È diventato un insieme di pezzetti strappati. La
materia c'è ancora, il foglio di carta non più, e al suo posto c'è qualcos'altro. Ne
possiamo trarre la conclusione che il foglio di carta era tutto nella particolare
disposizione della materia che abbiamo distrutto? Ma non ci sarebbe
alcun foglio di carta senza la materia che lo compone. Dobbiamo
concluderne che la cosa - il foglio di carta in questo esempio, ma il principio vale
per ogni cosa - non è esclusivamente composto dalla materia, ma anche dalla
organizzazione unitaria di questa materia: in una parola da una forma. Essa
è l'essenza della cosa, perché solo in questa forma quella determinata materia è
divenuta l'oggetto reale che stiamo studiando; se cambiasse la sua forma, cambierebbe la sua identità, la sua essenza: sarebbe un'altra cosa. Tuttavia né la
forma né la materia da sole costituiscono la cosa (come può esistere la forma di
un foglio di carta senza nulla di materiale? Come può esistere una materia che
non abbia alcuna forma?). La cosa è l'unità (con parola greca: il "sinolo") di
materia e forma. Quando il soggetto conosce, sensibilmente un oggetto esterno
materiale, nella mente nasce una rappresentazione della sua forma, non della
materia di cui è composto. (La materia non è pensabile in quanto tale, ma solo in
quanto ha assunto una forma. Per rendersene conto, si provi a formare la
rappresentazione mentale di un corpo che non abbia alcuna forma: per
quanto sforzi facciamo, daremo sempre a quella materia una forma, per quanto
caotica essa sia).
Questa concezione delle cose come unità di materia e forma si presenta così
come una sintesi del pensiero precedente: i filosofi della città avevano
identificato la realtà con gli elementi materiali, Platone con le idee; la verità è
data, per Aristotele, dalla combinazione di queste due soluzioni (che sono in
se stesse errate in quanto unilaterali). D’altra parte non bisogna però dimenticare che
la forma mantiene un primato, una priorità. Il principio che determina la
materia è la forma: il vetro, il legno, il corpo vivente devono ricevere una
certa determinazione, una certa forma, per diventare, rispettivamente,
bicchiere, albero e uomo. Ogni cosa diventa precisamente ciò che è grazie alla
forma, che ne costituisce quindi l'essenza. La forma non deve essere intesa però
platonicamente come separata, trascendente, rispetto alla materia, bensì
intrinseca alla materia, in essa immanente. Platone ha saputo individuare
il principio della forma, ma l’ha posto come separato, trascendente rispetto
alle cose, per cui non è stato in grado di spiegare in che modo le idee possano
effettivamente essere cause delle cose. Ciò può avvenire solo se il principio della
forma viene concepito come immanente nelle cose stesse, negli individui.
Materia e forma sono distinte solo col pensiero, nella realtà sensibile esse
sono sempre indissolubilmente unite. L'ente concreto (questo bicchiere,
questo albero, questo uomo) è infatti un composto di materia e forma, un
sinolo, un intero, un individuo che ha una sussistenza autonoma.
Stabilita la priorità della forma, d’altronde, Aristotele potrà introdurre, come
vedremo, l’esistenza di entità sovrasensibili, che non appartengono quindi alla
realtà sensibile, riproponendo in questo modo una visione, tipica della
tradizione aristocratico-sacerdotale, per cui la realtà non si esaurisce in ciò che
ci rivelano i sensi.
Un esempio: ________________________
La priorità della ______________________
a) cambiando la _______________ cambia
_______________________________
oggetto = unità di ____________________
____________________
b) ciò che viene rappresentato è _________
_______________ dell’oggetto
La sintesi aristotelica:
forma  _______________  Platone
materia  __________________________
vedi a
la forma come _____________ (dentro le
cose) e non ________ _________________
(________ dalle cose)
Dalla forma alla _____________________
_________________________
B–
IL DIVENIRE DELLE COSE
Per la comprensione della realtà nei suoi principi costitutivi non possiamo
fermarci al rapporto tra materia e forma, perché le cose non sono realtà Un esempio: _______________
immutabili, ma sono continuamente soggette a mutamento. Dobbiamo quindi
definire i principi che ci permettano di comprendere razionalmente qual è la natura
del movimento e di capire che cos'è un evento, che cos'è qualcosa che accade.
9
Che cosa accade quando il seme, caduto da un albero, germoglia dando origine a
una nuova pianta? Quel seme poteva essere distrutto, poteva divenire cibo
per uomini e animali. Non è accaduto, per un concorso di circostanze, ma
poteva accadere. Non potevano invece accadere altre cose: ad esempio, non poteva accadere che quel seme germogliasse dando origine a una pianta diversa da
quella da cui proviene, che da un seme di un pesco nascesse un ciliegio.
Alcune possibilità erano reali, altre no, e di quelle reali una sola si è
realizzata. Aristotele interpreta il movimento della natura servendosi dei
concetti di potenza e di atto. Considerata in ciascun istante del tempo, ogni
cosa è ciò che è, ma nel fluire del tempo diverrà qualche cosa di diverso: il seme
è divenuto una nuova pianta. Dunque nel presente ogni cosa è in atto ciò che è,
ma nello stesso tempo è in potenza tutto ciò che potrà essere domani. L'atto e la
potenza, si osservi, riguardano entrambi il presente. Infatti nel movimento del
tempo - quando il seme diverrà una nuova pianta e non cibo per l'uomo - le
potenzialità che erano possibili svaniranno: una diverrà reale, le altre non si
realizzeranno. Dopo un certo tempo, ogni cosa sarà in atto qualche cosa di diverso
da prima, e manterrà solo le potenzialità compatibili con il suo nuovo stato.
L'essere di ogni cosa non è quindi, per ciascun momento del tempo,
interamente in atto, ma è intriso di potenzialità. Poiché ogni cosa è composta da
materia e da forma, nell'unità del sinolo, l'atto e le potenzialità presenti in
ciascun istante sono determinati dal particolare rapporto tra quella determinata
materia e quella determinata forma. La materia in se stessa non ha alcuna forma,
ma potenzialmente può assumerle tutte. Dunque il modo migliore di definire
la materia è chiamarla pura potenzialità. Il suo attualizzarsi sino a formare il mondo
delle cose così come lo osserviamo nella natura è determinato dall'assunzione di
forme determinate. L'universo è quindi concepito da Aristotele come una macchina
(dotata di intelligenza, come vedremo) in movimento incessante, dominata
dal processo di attualizzazione delle potenzialità. Non c'è bisogno di ricorrere a
realtà trascendenti - come ritiene Platone - per spiegare il mondo: esso ha le sue leggi
in se stesso. Tuttavia, la natura è qualche cosa di assai più complesso di quanto
ritenesse Platone, che non aveva dedicato sufficiente studio alla ricerca
sperimentale. Le potenzialità che la materia possiede sono enormi, e lo
studio della fisica è tutto dedicato a comprendere nel dettaglio il movimento delle
trasformazioni reali. C'è un rapporto preciso tra i concetti di materia e di forma
e quelli di atto e di potenza. La materia è concepita da Aristotele come
potenzialità, cioè come capacità di essere plasmata da una forma: tutto ciò che
la materia è in atto - questo o quell'ente individuale della realtà - deriva dalla
assunzione di una forma.
La forma è concepita come l'atto della materia, cioè come l'essenza reale che
permette alla cosa di essere ciò che è, attraverso la strutturazione della
materia in una determinata configurazione. Nell'universo quindi c'è un
movimento comune a tutti gli enti reali: tutta la materia tende ad attualizzarsi,
ad acquisire una forma realizzando fin dove le è possibile la pienezza delle sue
potenzialità.
Tuttavia Aristotele non concepisce la realtà in modo simile al mito dell'età
arcaica, che fa iniziare il movimento della generazione di ogni cosa da un elemento
primordiale informe, come il Caos di Esiodo. Alle origini le cose non possono
essere andate così. Anzi, per Aristotele non si può nemmeno parlare di origine.
Infatti non si può concepire la materia senza una forma, la potenza senza
l'atto: perché si abbia passaggio dalla potenza all'atto, l'ente che così si trasforma deve essere già qualche cosa in atto. Il principio della priorità dell'atto è
di fondamentale importanza nella concezione della realtà per Aristotele, perché
implica che l'universo e il tempo non abbiano avuto origine, ma vivano da
sempre all'interno di un processo eterno di trasformazioni.
ATTO = _____________________________
POTENZA = __________________________
La materia non ha _________________ma
potenzialmente ______________________
 materia = pura ____________________
Atto  la materia assume una __________
_________________________
Universo = _________________________
_________________________
L’_________________________ delle cose
La priorità dell’_____________
Per passare dalla _________________
all’___________ vi deve essere già
_______________________
per cui:
universo non ha ____________
10
Oltre alle coppie forma e materia, potenza e atto, Aristotele ha elaborato
un'ultima coppia di concetti per definire i principi che definiscono l'essere delle
cose che hanno la loro origine nell’operazione, atto tipico della nostra conoscenza,
della classificazione degli oggetti
Ciascuna cosa è composta da diversi elementi organicamente fusi insieme:
si pensi al corpo umano e alla molteplicità dei suoi organi e delle sue funzioni. Il
rapporto tra materia e forma determina ciò che l'uomo è in atto in ogni istante e
che cosa potrà diventare sviluppando le sue potenzialità, e l'uomo è l'unità di
una grande varietà di elementi organici. La sua forma dà unità a membra e
funzioni diverse. Sono tutte egualmente essenziali per definire ciò che l'uomo
è? Non nello stesso modo. Perché l'uomo sia uomo non fa differenza quali siano il
colore della sua pelle o dei suoi capelli, la sua età, il suo sesso, e così via. Altri
elementi sono indispensabili: precise differenze sostanziali distinguono
l'uomo dall'animale, il vivo dal morto, e così via. Dobbiamo dunque distinguere
ciò che appartiene alla sostanza dell'uomo da ciò che è semplicemente un elemento
accessorio, accidentale. Appartiene alla sostanza dell'uomo ciò che, se non
ci fosse, renderebbe l'uomo, qualche cosa di diverso dall'uomo (ad esempio, la
vita, il pensiero, il linguaggio e così via); appartiene al campo dell'accidentale ciò
che, pur mancando o variando - come il colore dei capelli o l'età - non modifica
affatto il suo essere uomo.
Così è per ogni cosa. Lo studioso della natura deve tendere a classificare ciascun
ente della natura in rapporto alla sua sostanza, in modo da poterlo identificare
rispetto agli altri. In questo modo la scienza della natura potrà procedere
metodicamente attraverso osservazioni ordinate e non casuali, che permettano di
avere un quadro chiaro degli elementi che compongono la natura e delle loro
possibili trasformazioni.
C - LA CLASSIFICAZIONE DELLE COSE
SOSTANZA = ________________________
_________________________
ACCIDENTE = _______________________
____________________________
La priorità della ____________
D–
LE CAUSE DELLE TRASFORMAZIONI
DELLE COSE
Oltre a definire gli oggetti, descrivere i loro mutamenti e a classificare gli oggetti,
nel conoscerli noi ricerchiamo le cause delle trasformazioni che le cose subiscono.
Definire che cos’è ciascuna delle componenti della realtà significa, infatti,
descrivere gli oggetti e le loro trasformazioni ma anche definire dettagliatamente le
cause che la determinano ad essere così com'è e la sottopongono al divenire,
trasformandola nel tempo. Le cause che agiscono in natura sono diverse ed è necessario
elencarle per individuare tutte le r agioni per cui ogni cosa è come è. Con il
termine causa Aristotele intende un concetto piuttosto ampio, più ampio del
significato che questa parola ha per noi. Per cause si devono intendere le
condizioni che è necessario ammettere per spiegare le cose e le loro
trasformazioni. Distinguiamo dunque con Aristotele quattro cause. Solo il loro
complesso potrà rendere chiaro l'essere della realtà, tuttavia per Aristotele la quarta
è quella decisiva. Vediamole una per una.
1) Causa materiale. Ciascuna cosa è composta da una determinata materia: per
comprendere che cosa sia un ente della realtà è condizione indispensabile
comprendere di quale materia esso è composto e, più in generale, comprendere
che cosa sia la materia.
2) Causa formale. La stessa materia può dare luogo a cose diverse,
assumendo forme diverse: si pensi, ad esempio, all'acqua, al ghiaccio e al
vapore acqueo. Si tratta di comprendere quale sia per ciascuna cosa lo
specifico rapporto tra la materia e la forma che essa assume
3) Causa efficiente. È ciò che corrisponde al concetto moderno di causa: per
comprendere tanto una cosa quanto un evento è necessario risalire indietro
nel tempo e comprendere quali altre cose e quali altri eventi hanno determinato
ciò che studiamo a essere, significa scoprire il perché, il motivo per cui ciò
che adesso è presente deriva da ciò che è stato prima.
4) Causa finale. Aristotele attribuisce un'importanza fondamentale a questa causa.
Egli è convinto che per comprendere la realtà si debba anzitutto esaminare
Causa = ____________________________
___________________________________
Le 4 cause:
A – LA CAUSA
________________________
la materia di cui è ____________________
B – LA CAUSA
_______________________
_________________________ che assume
C – LA CAUSA
________________________
ciò che ha __________________________
___________________________________
D – LA CAUSA
______________________
il ____________ a cui tendono le cose
La priorità della causa _________________
11
quale è lo scopo, il fine, a cui tutte le cose e gli eventi sono rivolti.
Ogni essere possiede quattro tipi di cause: materiale
(la materia di cui è formato), efficiente (la causa che l’ha
prodotto), formale (la forma che rende quella materia
una certa cosa e non un’altra) e finale (lo scopo). Solo le
ultime due hanno, per Aristotele, una rilevanza
sostanziale: un tempio è tale quando è stato
progettato per questo scopo o quando assolve in ogni
modo la funzione religiosa, indipendentemente da chi
l'ha costruito (causa efficiente) e dal materiale di
costruzione.
Vediamo meglio quest'ultimo punto. Aristotele non accetta il dualismo
radicale tra pensiero e materia proposto da Platone come schema di
interpretazione della realtà. Rifiuta quindi su un punto essenziale la teoria delle
idee. La ragione intima della realtà deve essere cercata nella realtà stessa,
nel mondo delle cose. E in esse Aristotele scopre i l finalismo.
Comprendere il perché delle cose significa comprendere la loro
destinazione, il termine verso il quale tutto si muove. È infatti evidente che
l'incessante divenire di ogni cosa, sottolineato dai filosofi del periodo arcaico, non
può essere semplicemente d e s c r i t t o , ma deve essere efficacemente spiegato.
Perché la realtà è tutta in movimento? Verso dove si dirige? L'analogia con il
comportamento umano può illustrare la situazione, ma non può costituire una
spiegazione efficace. Perché l'uomo agisce? Per raggiungere uno scopo che
si è prefissato. C'è un obiettivo, posto prima dell'azione dalla sua mente, al
quale seguono diverse scelte che gli permetteranno di realizzarlo. Comprendere il
perché dell'azione dell'uomo significa comprendere qual è il suo obiettivo, il
suo scopo. La natura, a sua volta, sembra agire nello stesso modo:
Aristotele, ricercatore attento nel campo della biologia, osserva che ogni organo è
preposto a uno scopo, ogni funzione dell'organismo non è mai casuale, ma è
finalizzata a soddisfare determinate esigenze dell'organismo vivente. E così
tutto in natura sembra finalizzato a qualcosa: non c'è cosa o animale o pianta
che non assolva a una funzione necessaria al buon coordinamento del tutto.
Tuttavia l'analogia tra il comportamento dell'uomo e quello della natura non
può essere spinta troppo oltre. Possiamo infatti ammettere che la natura decida
quale obiettivo raggiungere e agisca di conseguenza? Dovremmo ammettere
un'intelligenza cosciente posta dietro la materia e interpretare la natura come
se fosse dominata da una mente dal carattere cosmico. Dovremmo
immaginare una divinità simile all'uomo e alle sue capacità. Ma non
abbiamo prove di questo e rischiamo di cadere in un ingenuo antropomorfismo. Per Aristotele il problema è quello di determinare le condizioni in cui
opera il finalismo della natura rimanendo strettamente arcorati ai dati dell'esperienza.
In questo modo Aristotele si allontana dal finalismo platonico che comunque pone il
fine delle cose in qualcosa di esterno alle cose stesse, dal momento che ciò a cui
mirano le cose per Platone è rappresentato dalla perfezione del mondo delle idee, fine
che è imposto alle cose da un agente esterno quale il Demiurgo. Nella visione di
Aristotele, invece, il fine è posto all’interno delle cose stesse dal momento che esso
consiste nell’esplicitare al meglio le potenzialità che ciascuna cosa possiede ( così, ad
IL FINALISMO
L’analogia con ______________________
Agire umano = raggiungere ____________
Azione della natura = _________________
____________________________
Esiste un’ _________________ divina che
decide?
_______ perché:
- non abbiamo _______________________
- soluzione __________________________
Fine delle cose non esterno (Platone) ma
______________
Fine delle cose = _____________________
___________________________________
12
esempio, il fine dell’uomo consiste nel realizzare tutte le potenzialità della persona) .
La visione finalista verrà ampiamente ripresa dal cristianesimo che si rifarà più al Il finalismo _________________ 
platonismo che non all’aristotelismo, infatti nella visione cristiana tutte le cose ___________________________________
tendono a realizzare un piano divino che pone il fine all’esterno delle cose stesse
(così, ad esempio, il fine del mondo è servire l’uomo e il fine dell’uomo servire Dio). La dignità __________________________
Ancora una volta la visione di Aristotele appare dunque dominata dalla volontà di
restituire piena dignità alle singole cose che contengono in se stesse il proprio fine.
Oltre ad enunciare i principi primi che ci consentono di comprendere
razionalmente la realtà la metafisica, o filosofia prima, ha un ulteriore compito.
Dice Aristotele: «C'è una scienza che considera l'essere in quanto essere e le
proprietà che gli competono in quanto tale. Essa non si identifica con
nessuna delle scienze particolari: infatti nessuna delle altre scienze considera
l'essere in quanto essere universale, ma, dopo aver delimitato una parte di
esso, ciascuna studia le caratteristiche di questa parte».
Le scienze particolari spiegano particolari regioni o aspetti della realtà: la fisica,
ad esempio, indaga l'essere in quanto essere in movimento, la biologia l'essere
in quanto essere vivente, la matematica l'essere in quanto numero, ecc. Ma è
chiaro che interrogarsi sull'essere in quanto movimento o in quanto vivente
presuppone che si sappia che cosa è l'essere in generale, l'essere, in quanto
tale senza alcuna determinazione particolare (così come chiedere che cosa
sia il moto uniforme o il moto accelerato presuppone che si sappia che cosa è
il moto in generale). Ora, la scienza che studia l'essere in quanto essere è la
metafisica. E poiché l'essere in quanto essere è l'oggetto comune a tutte le
scienze particolari, tutte le scienze particolari presuppongono la metafisica che,
proprio in questo senso, è la "filosofia prima".
Ma com’è possibile parlare dell’essere in quanto essere? Come individuare questo
oggetto, che è comune alle cose particolari, di cui si occupano le singole scienze,
ma non coincide con esse? La risposta di Aristotele è, al tempo stesso, semplice ed
estremamente complessa: l'ambito comune, non solo ad ogni scienza, ma anche ad
ogni forma di sapere e di comunicazione umana, è formato dal linguaggio, i
modi, le strutture, i significati del linguaggio organizzano qualsiasi nostra
espressione, il nostro modo di parlare del mondo, di pensarlo, di interpretarlo.
Poiché dunque la realtà viene esaurientemente espressa dal sapere umano, e questo
si esprime a sua volta in un linguaggio - cioè con le parole, la grammatica, la sintassi,
i significati della lingua -, la lingua si configura per Aristotele come lo strumento
unitario per la comprensione del mondo: la struttura del linguaggio e la struttura
della realtà gli appaiono omogenee e sovrapponibili, giacché in ultima analisi la
prima rinvia sempre alla seconda.
Tale identificazione tra strutture del linguaggio, che ci consente di descrivere il
mondo, e le strutture della realtà, il mondo stesso, fonda la giustificazione della
convinzione che il nostro pensiero, che utilizza il linguaggio, sia in grado di
conoscere perfettamente la realtà. Questa convinzione costituisce sicuramente uno
dei legami tra Aristotele e la tradizione aristocratico-sacerdotale che su tale identità
aveva costruito tutta la sua riflessione a partire da Parmenide.
Lo studio dell’essere, attraverso l’analisi delle strutture del linguaggio, porta
Aristotele a individuare le diverse forme che esso può assumere che costituiscono le
strutture fondamentali della realtà e, contemporaneamente, le strutture concettuali
che ci consentono di comprenderla.
I nostri discorsi possono riferirsi ad un qualsiasi oggetto in molti modi
raggruppabili in dieci classi, ovvero categorie. Infatti, di una qualsiasi cosa noi
possiamo parlare sotto i seguenti aspetti: 1- dire di che cosa si tratta, definendo le
sue qualità sostanziali (categoria che Aristotele chiama Sostanza) 2 - dire quali
qualità possiede (Qualità) 3 - descriverla quantitativamente (Quantità) 4 metterla in relazione con le altre cose (Relazione) 5- parlare delle azioni che
2 - L'ESSERE IN QUANTO TALE
Le scienze particolari studiano __________
___________________________________
La metafisica studia __________________
___________________________________
Il __________________________ come
strumento di ______________ dell'______
___________________________________
a) - Il linguaggio come ________________
______________ di ogni forma di sapere
b) - il sapere conosce esaurientemente
___________________________________
c) - struttura della ________________ e del
____________________ sono __________
_________________________
Pensiero = _______________ =
realtà come voleva la _________________
_________________________
LE
10 CATEGORIE
13
compie (Agire) 6- o degli effetti che subisce (Subire) 7 – indicare il luogo dove
si trova (Dove) 8 - collocarla nel tempo (Quando) 9 - descrivere ciò che gli
Un esempio
appartiene (Avere) o, infine, 10 - il suo essere in una determinata posizione
(Giacere).
Nella seguente proposizione, ad esempio, vengono usate tutte e dieci le
categorie, ovvero tutte le modalità che ci consentono di parlare di una cosa,:
Tizio è un uomo (sostanza) di bell'aspetto (qualità) alto un metro e ottanta
(quantità) che sta scrivendo (agire) e sta prendendo il sole (subire) vicino a Caio
(relazione) sulla spiaggia (dove) oggi (quando) e porta gli occhiali da sole
(avere) e sta seduto (giacere).
LE
10 CATEGORIE :
i modi con cui possiamo ___________________________ di una cosa:
- __________________________________________________
-_____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
- __________________________________________________
- ____________________________________________
Se riflettiamo sull'esempio addotto, ci rendiamo conto facilmente che la
categoria più importante è la sostanza. Perché si possa parlare di una cosa in
termini, ad esempio, di dove e di quando, è condizione fondamentale che questa
cosa ci sia e sia identificabile. Essa è l'unica ad avere una sussistenza autonoma, mentre tutte le altre si riferiscono ad essa e la presuppongono: la qualità,
la quantità, l'azione ecc. sono sempre qualità, quantità, azione di qualcosa, di
una sostanza. La cosa si può esprimere anche così: i predicati inclusi nella
categoria sostanza «si dicono di un soggetto e non sono in un soggetto, dicono
cioè che cosa è quel soggetto, ne definiscono l'essenza (alla domanda «che
cosa è Tizio? si risponderà «Tizio è un uomo» e non certo «Tizio è bello o
alto, ecc.); invece i predicati inclusi nelle altre categorie "sono in un soggetto"
ossia ne esprimono questa o quella caratteristica (Tizio è bello, alto, ecc.).
Il significato del termine essere quindi, pur non essendo univoco, non è
nemmeno equivoco, ossia essere non è un termine usato per indicare, cose del
tutto diverse (come, ad esempio, il termine scorpione usato per indicare
l'animale o la costellazione celeste): i suoi diversi significati hanno un comune
denominatore che è il seguente, l'essere o è sostanza o si riferisce alla sostanza.
Per questo motivo lo studio dell'essere per Aristotele è essenzialmente lo
studio delle sostanze reali, esistenti come individui nella realtà.
Sulla doppia natura delle categorie che sono contemporaneamente, da un punto
di vista logico, gli strumenti concettuali con i quali comprendiamo la realtà, e,
da un punto di vista ontologico, i generalissimi modi di essere della realtà si
fonda la nostra possibilità di conoscere con certezza il mondo reale. Infatti in
questo modo le categorie sono modi di organizzare il nostro pensiero, attraverso
il linguaggio, fondate su specifiche caratteristiche strutturali della realtà e che
quindi ci consentono di rappresentarci la realtà esattamente come essa è. Le
categorie essendo forme dell’essere, della realtà, e del pensiero valgono come
leggi della realtà (valore ontologico) e del pensiero (valore gnoseologico).
La priorità della ______________________
a) sussistenza _____________________
b) _________________________________
___________________________________
Essere = _________________
LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE
14
LA DOPPIA NATURA DELLE CATEGORIE
Le categorie sono contemporaneamente:
- modi di essere della ________________
- strumenti __________________________ che organizzano il nostro ___________
Conoscenza _____________
3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE
Dobbiamo ora affrontare il terzo ed ultimo oggetto di studio della metafisica,
insieme ai principi primi che ci consentono di conoscere la realtà e all’essere in
generale.
Aristotele ritiene, dunque, contro Platone, che non esista una realtà
soprasensibile (mondo delle idee) separata dalla realtà naturale, più vera della
realtà sensibile, in quanto pensa che la struttura razionale (forma per le singole
cose, categorie per l’essere) sia una parte, non separata dalle singole cose, ma
costituente le singole cose e l’universo in generale. Non ritiene, però, - in questo
concorde con la tradizione aristocratico-sacerdotale e con Platone – che la realtà
si esaurisca in ciò che ci rivelano i sensi. Infatti, se occorre che la ragione elabori
i principi razionali per comprendere la realtà, occorre anche che la stessa
ammetta le conclusioni logicamente derivabili da questi principi, anche se ad
essi non corrisponde alcuna esperienza.
Ma qual’è il ragionamento che ci costringe ad ammettere una realtà
sovrasensibile?
I concetti di potenza/atto, così come quelli corrispondenti di materia/forma,
sono relativi: ciò che è punto di arrivo, e quindi atto e forma, di un
processo diventa punto di partenza, e quindi potenza e materia, di un altro
processo. Che una cosa sia materia o forma, potenza o atto dipende dal punto
di osservazione: il bambino è potenza rispetto all'uomo adulto, ma è atto
rispetto al feto.
Questa catena di potenza/atto (materia/forma) non può tuttavia essere pensata
come infinità. All'estremo inferiore dobbiamo porre una potenza pura o materia
prima del tutto priva di determinazioni. Si tratta di un concetto logicamente
necessario a cui non può corrispondere nessuna esperienza. Tutto ciò che è
osservabile, infatti, è sempre materia in qualche modo formata, potenzialità in
qualche modo attuata.
All'estremo superiore della catena degli esseri dobbiamo poi ammettere una
forma pura o un atto puro. Possiamo a questo punto affrontare il quarto e ultimo
significato di metafisica come indagine su Dio e la sostanza soprasensibile.
La necessità di pensare un atto puro all'estremo superiore della catena degli esseri
consegue dal principio fondamentale dell'anteriorità dell'atto sulla potenza. Se
infatti la potenza presuppone l'atto, è evidente che, per evitare l'assurdo di un
regresso infinito, dobbiamo porre al termine superiore della catena potenza-attopotenza, ecc. un atto senza potenza, ossia un Atto puro. Data la corrispondenza tra
atto e forma, l'Atto puro è nel contempo pura Forma senza materia ed è pertanto
una sostanza incorporea, sovrasensibile. Ontologicamente esso è il Principio
supremo, il fondamento da cui dipende tutta la catena degli esseri, ciò che gli
uomini chiamano Dio.
15
3-LA SOSTANZA SOVRASENSIBILE
contro _________________: la struttura razionale delle cose non è ________________ dalle ________ ma è un
________________________
con ______________ e la tradizione ________________: la realtà non si esaurisce _________________________________________
perché
occorre accettare le conclusione _________________________ derivabili dai ______________ _________________________
Le catena potenza / __________ e _____________ / __________ per non essere pensate come _______________ necessitano:
all’inizio  ________________ +
______________________________
___________  atto puro
_______________________________
+
Atto puro + _____________________ = sostanza _________________ = ________________
Dio e le sostanze sovrasensibili sono dunque il terzo oggetto di studio della
metafisica.
L'esigenza di evitare il regresso infinito è alla base di tutte le dimostrazioni
aristoteliche dell'esistenza di Dio. Il medesimo ragionamento che ci costringe a
porre Dio come Atto puro e Forma pura può essere applicato al movimento:
ogni cosa mossa presuppone qualcosa che la metta in moto ossia un motore, ma
anche quest'ultimo, in quanto è a sua volta mosso, presuppone un motore,
ecc., per cui, per non incorrere nel regresso infinito, dobbiamo porre al
termine della catena un motore che non sia a sua volta mosso, ovvero
un Motore immobile. Analogamente stanno le cose, se riflettiamo sulla
catena delle cause: ogni effetto presuppone una causa, che è a sua volta
effetto di un'altra causa e così via; dovrà quindi esserci una Causa prima non
causata.
Dio è quindi Atto puro e Forma pura, Motore immobile, Causa prima; in quanto
sostanza sovrasensibile non ha né grandezza né parti, è eterno, separato,
ingenerabile incorruttibile. A questa sostanza sovrasensibile, in quanto
perfezione massima, appartiene il modo di vivere più perfetto, «quel modo di
vivere che a noi [uomini] è concesso solo per breve tempo» e di cui essa invece
gode in eterno: la vita dell'intelligenza. Dio è quindi pensiero ed è pensiero
«che ha come oggetto ciò che è eccellente in massimo grado» ossia se
stesso: egli è Pensiero che pensa se stesso.
Dio è il supremo motore non in quanto causa efficiente, ma in quanto causa
finale: egli muove, senza a sua volta essere mosso, "come l'oggetto d'amore
attrae l'amante", ossia in quanto Fine ultimo a cui tendono tutti gli esseri. Dio
non ha volontà, perché il volere e il desiderio presuppongono la mancanza di
ciò che si vuole e si desidera, ed egli non manca di nulla; perciò il rapporto di
Dio col mondo è unidirezionale: tutte le cose tendono a Dio, ma Dio non
tende a nulla ed è impassibile.
Il mondo non ha avuto un inizio nel tempo e nemmeno si è sviluppato dal
caos all'ordine: esso è eterno, sempre identico a se stesso e unico. Tempo e
movimento sono coeterni al mondo.
Le dimostrazione ____________________
fondate sull’esigenza di evitare _________
___________________________________
esempi:
- atto/potenza e materia/ _____________
- _________________________________
- __________________________________
DIO
16
DIO
- Atto _____________ +
_____________ pura
- Motore ____________  _____________ prima
- Sostanza _________________________________
(eterno, ingenerabile, incorruttibile)
- Pensiero che _______________________________________
- Fine ______________ le cose tendono _______
ma Dio non _____________________ (rapporto Dio-mondo: ________________)
- La coeternità di ______________________________________________
Poiché da Dio come Motore immobile dipende il movimento fisico di tutti i
Il legame tra metafisica e ______________:
cieli, tra metafisica e fisica (o filosofia naturale) sussiste, nella visione
aristotelica, una connessione essenziale: non è possibile trattare i problemi Dio, Motore __________________ mette in
fondamentali del mondo fisico, delle sostanze sensibili, senza fare riferimento
alla sostanza sovrasensibile, anzi alle sostanze sovrasensibili. Secondo moto ______________________________
Aristotele, infatti, Dio è la suprema, ma non l'unica sostanza sovrasensibile:
le sfere celesti sono mosse da Intelligenze simili a Dio, anche se a lui
inferiori. Aristotele non è quindi monoteista; come tutti i filosofi greci, egli
ritiene che il divino sia costituito da molte realtà eterne e incorruttibili,
anche se pensa queste realtà disposte in un ordine gerarchico che ha alla
sommità il supremo Motore immobile.
Aristotele elabora dunque anche una concezione teologica che risulta alquanto
diversa dalla tradizione ebraico-cristiana. Infatti, mentre nella concezione cristiana
Dio si presenta come una persona dotata di una propria volontà e che, pur
trascendendo le cose essendo posto al di là delle cose, interviene attivamente e
direttamente nella storia del mondo e delle cose, per Aristotele Dio un ente dettato
da una necessità logica del ragionamento, che non ci costringe però ad attribuirgli
alcuna caratteristica antropomorfica, e tende ad occupare un posto, all’inizio o alla
fine, nella catena degli eventi e degli esseri ma senza intervenire direttamente.
Dio, per Aristotele non può essere una persona in quanto, come abbiamo visto, non
possiamo attribuirgli una volontà perchè il volere presuppone la mancanza di
ciò che si vuole, ed egli non manca di nulla. Inoltre benché amato dagli altri
esseri, che sono attratti da lui come il fine ultimo, egli non ama gli altri esseri.
Questa mancanza di correlatività nel rapporto uomo-Dio, è stato osservato,
comporta la mancanza del senso del peccato, tipica del cristianesimo. Il senso
del peccato deriva infatti nell’uomo cristiano dall’avvertire il senso di colpa
per non aver corrisposto all’amore paterno di Dio.
Inoltre Dio non trascende né interviene nell’universo, infatti, pur essendo una
sostanza sovrasensibile non è pensato come separato dall’universo. Infatti egli,
come abbiamo osservato, trova posto nella catena degli eventi come Causa
prima, Fine ultimo o come Motore immobile, ma la sua azione si limita a
trasmettere il moto alle altre intelligenze celesti senza ulteriori interventi nella
catena stessa.
17
Il dio cristiano:
Il dio di Aristotele:
a - ___________________ dotata di __________________
a - necessità _______________ non persona perché:
- non ha _________________ (non gli _______________________)
- è __________________ dagli altri esseri ma non __________
(uomo non ________________)
b - trascende il mondo
b – non è _______________________ dall’universo (trova posta
all’__ ___________ e alla ___________ della catena degli eventi
c - __________________________________________________
c – la sua azione ____________ ____________________________
GLI OGGETTI DI STUDIO DELLA METAFISICA
1- ________________________________________________________________________________________________________
2 - ________________________________________________________________________________________________________
3 - ________________________________________________________________________________________________________
18
6 - LO STOICISMO E IL VITALISMO ANTICO
0. Lo stoicismo
1. La concezione della realtà
Materia e pensiero
Il monismo
L’immanentismo
La provvidenza divina
L’ottimismo metafisico
Il finalismo della natura
La fisica
Lo stoicismo
La quarta ed ultima visione della realtà, il vitalismo, altrimenti detta
animismo, monismo organicismo, è stata elaborata dagli stoici, la più
importante scuola filosofica, insieme all’epicureismo, dell’epoca ellenistica.
Lo stoicismo è stato particolarmente attivo nell'età tardo-ellenistica e in seno
alla cultura romana. Le ragioni di ciò non sono oscure: lo stoicismo era pervaso
da una profonda ispirazione morale e religiosa, che rispondeva bene alle nuove
esigenze spirituali che si diffusero a partire dal I secolo a.C.
Data la grande longevità del movimento stoico gli studiosi sono soliti
distinguerlo in tre parti: una «Stoa antica», che occupa grosso modo il III secolo
a.C., dominata dalle grandi figure di Zenone, Cleante e Crisippo; una «Stoa di
mezzo», che giunge fino al I secolo a.C.; una «Stoa nuova» (o «Stoa romana»),
che restò assai viva fino al II secolo d.C. (ricordiamo i nomi di Seneca, Epitteto e
Marco Aurelio). In questo capitolo ci occuperemo solo della Stoa antica.
Fondatore della scuola fu Zenone di Cizio (nell'isola di Cipro), un uomo di
probabile origine fenicia. Egli giunse ad Atene all'età di ventidue anni, e compì il
suo apprendistato intellettuale alla scuola platonica. Intorno al 300 a.C. Zenone
fondò ad Atene la sua scuola, che fu detta «stoica» dal nome del luogo dove si
insediò ( e cioè il «portico dipinto»: per questo motivo gli stoici saranno poi detti i
«filosofi del Portico»). La scelta di un portico come luogo di insegnamento non è
casuale. Zenone, in quanto straniero, non poteva possedere beni immobili in
Atene, e ciò contribuì in qualche modo a determinare le caratteristiche esterne
del sodalizio stoico: non un istituto organizzato e riconosciuto come l'Accademia
platonica o il Giardino di Epicuro, ma piuttosto un gruppo di filosofi e di amici che
si riunivano liberamente «sotto il portico» per discutere di filosofia.
Anche le opere degli stoici antichi sono in gran parte perdute. Ciò tuttavia non ci
impedisce di avere una conoscenza abbastanza organica del loro pensiero.
Infatti la tradizione ci ha conservato un patrimonio di frammenti e di
testimonianze assai ricco, e questo proprio a causa delle simpatie che le dottrine
del Portico raccolsero negli ambienti più disparati. Risulta invece difficile
individuare i singoli contributi dei maestri stoici, sia perché molti testimoni si
riferiscono genericamente alla Stoa, sia perché la sistemazione proposta da
Crisippo (il quale spesso altera sensibilmente il pensiero di Zenone, pur
protestando la sua fedeltà al fondatore) finisce per essere attribuita a tutta la
scuola. Per questo motivo esporremo le dottrine stoiche in modo sostanzialmente
unitario.
Ellenismo, _____________________ e
religiosità
Zenone di Cizio
La scuola stoica
19
La concezione della realtà
Materia e pensiero
L'asse portante dell'interpretazione stoica della realtà è il concetto di logos,
introdotto nella tradizione filosofica greca da Eraclito, e interpretato in
modo originale, fino a farne la chiave per la spiegazione di ogni aspetto della
realtà.
Platone aveva sostenuto l'ipotesi dualista (differenza reale tra l'universo fisico
spazio-temporale e l'universo dello spirito), lo stoicismo invece sostiene l'ipotesi
monista (da monos, uno: materia e spirito sono due forme della stessa realtà).
Il problema da cui muove la filosofia antica è la scoperta, che risale al pensiero di
Eraclito e di Parmenide, di due sfere della realtà: la materia e il pensiero.
Nell'uomo il filosofo osserva l'interazione tra la forza del corpo e la forza della
mente: materia e pensiero si mostrano nella loro connessione. Il pensiero astratto, il
logos, concepisce in sé gli elementi sensibili della materia; la sua forza penetra
negli aspetti nascosti delle cose; la decisione presa all'interno dello spirito si
prolunga in azioni del corpo e la mente governa tutto il comportamento della
persona, sia fisico che spirituale. Tuttavia, la relazione tra le due sfere è oscura. È
questo il problema: fare luce razionale su questa oscurità. Rifiutando la visione
platonica, lo stoicismo concepisce l'universo come un cosmo unitario. Nel Tutto entità fisica e allo stesso tempo spirituale - il logos è forza, energia
vivificatrice, che plasma l'inerte e passiva materia dandole una forma e uno scopo.
Nulla è stabile e fermo nella natura - secondo l'intuizione, ancora oscura, di
Eraclito -, ma ogni cosa è presa dal vortice del movimento. Quale forza lo
genera? Che cosa si esprime nell'incessante moto degli astri, nel gioco
delle maree, nella mutevole vita degli esseri che popolano la Terra? Una sola
forza pervade ogni aspetto del Tutto: l'energia del logos che guida il mondo
verso la propria destinazione e conferisce il significato razionale ad ogni
evento.
Dobbiamo concepire questa forza come materiale o spiritual e? La
domanda è mal posta, perché presuppone - platonicamente, secondo una
concezione ignota ai presocratici - che materia e spirito possano esistere l'uno
indipendentemente dall'altro: da un lato la materia senza vita, dall'altro lo spirito
creatore, indipendenti, concepiti ciascuno nella propria sfera. L'esperienza non ci
dice questo, ma è in accordo con l'antica visione eraclitea della natura
(physis): la materia non è affatto senza vita, ma è vivente; lo spirito non è
affatto separato dalla materia, ma è la forza vitale interna ad essa. Dovremmo
concepire viventi le piante e gli animali, e non la Terra che li nutre? Dovremmo
concepire vivente l'essere che respira, e non l'aria che permette la vita? Certo, non
si deve concepire il cosmo sull'analogia dell'uomo e dell'animale. Queste
ultime sono forme individuali dell'essere, dotate di coscienza personale e
nulla ci dice che il pianeta Terra abbia forme simili di coscienza. Ma dire
che la Terra, il Sole e gli astri sono viventi non significa affatto che essi
pensano come l'uomo o hanno coscienza nella sua stessa maniera. Abbiamo
esperienza di molteplici forme di coscienza in natura: la pianta orienta le foglie
nella direzione della luce, e sa quindi quale sia la posizione del Sole. Ma non
possiamo dire che questa forma di sapere sia analoga a quella dell'uomo. Pensare
che nell'universo vi sia una ragione profonda sottesa ad ogni essere, che tutto
plasma e muove verso uno scopo determinato - e, come vedremo, buono - non
significa immaginare una coscienza sul modello umano dilatata fino a coincidere
con il cosmo. "Dal cosmo deve trarre origine tutto ciò che le sue parti hanno in sé:
non solo il sostrato corporeo, ma anche il movimento, l'anima, la ragione, la
perfezione morale. Noi dobbiamo quindi attribuire tutto ciò anche al cosmo
stesso. In primo luogo la vita. ...Questo fu per la Stoa un principio indiscusso:
solo la ristrettezza di una prospettiva antropomorfica può negare che il mondo,
LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ
A
– IL MONISMO
Il __________________________
L’ _______________________________
MATERIA E PENSIERO
_________________ e _______________:
la loro __________________________
L’energia __________________________
del Tutto: il _____________________
Materia e __________________ NON sono
___________________________________
la materia è _____________________
lo spirito è _________________________
interna alla ______________________
il vitalismo
Forme di _______________________ in
natura
l’origine di __________________ dal Tutto
cosmico
l’animismo
20
preso come un tutto, sia un essere animato dotato di ragione e perfetto" (M.
Pohlenz).
Il logos dell'uomo è la forza del pensiero che gli permette di plasmare le cose fino
a creare con la cultura e la civiltà quasi una "seconda natura" - nella città ben
costruita, nei campi coltivati, nello spazio segnato da strade e ordinato dalla legge
come territorio dello Stato. Che nell'universo vi sia una ragione profonda
significa concepire questo logos dell'uomo come il prolungamento in una
persona, dai tratti individuali, di una forza razionale cosmica - la stessa forza
che si esprime nell'inconscio movimento della materia. Si osservi il
processo della generazione di una pianta. La natura segue delle fasi
estremamente precise, facendo sì che il seme abbia nel tempo una lunga
serie ordinata di trasformazioni, fino a diventare albero. Tutto accade come se
il seme fosse "programmato" (la parola, ovviamente, è moderna) per
divenire albero, se nella sua struttura vi fosse già inscritto il fine. Una mente
ha operato questo?
Non dobbiamo immaginare la mente che guida l'universo sul modello
della mente umana. L'uomo procede per tentativi ed errori, torna sui suoi
passi, riprende la ricerca, è condizionato da mille fattori esteriori e psicologici. Il cosmo non procede affatto così: la via delle cose è segnata
con assoluta perfezione, il seme diventa albero in un ciclo ininterrotto di nascita
e di morte che dura da molto tempo, gli astri compiono un movimento
incessante, senza nessuna delle incertezze umane.
Dai tempi più antichi gli uomini hanno concepito come Dio una simile forza che
gli stoici concepiscono come logos. Ed anche fra gli stoici alcuni spiriti sono
profondamente attratti da una interpretazione in chiave religiosa dell'universo.
Cleante, l'allievo di Zenone che, alla sua morte, diviene scolarca è dominato da
un profondo sentimento religioso, e lucidamente esprime la sua fede in un
Dio (la sua è una visione pienamente monoteista) come principio
vivificatore del cosmo in un inno che ci è stato tramandato.
Nel concepire questa divinità, non si pensi al messaggio cristiano, lontano
ancora di secoli. Il Dio di Cleante e degli stoici non è altra cosa
dall'universo. È l'intima forza che pervade tutto il cosmo, lo guida e gli
conferisce senso. Non è puro spirito contrapposto alla materia, ma
l'elemento vivificante della materia, concepito come fuoco, materia vivente,
pura energia. Dio è immanente.
Gli stoici sono i primi filosofi a concepire in piena consapevolezza l'ipotesi
dell'immanenza. Il termine deriva dal verbo latino immanere (restar dentro) e si
contrappone al termine trascendenza, con il quale indichiamo la tesi platonica
che il mondo dello spirito trascende da la natura e sia eterno (cioè sia per natura
ontologicamente separato e indipendente dalla materia e dal tempo). La tesi
stoica sul cosmo è che Dio, cioè la forza dello spirito, sia dentro la natura che il logos sia il suo elemento vivificante - e non possa concepirsi alcuna realtà
eterna e immobile, alcuna idea fuori dal tempo. Il Tutto è scandito dal
movimento e guidato secondo ragione verso il bene dalla propria intima
costituzione divina (concezione finalistica dell'universo). In questo senso l'uomo
- l'essere della natura in cui il logos divino si prolunga nella pienezza della
sua cosciente razionalità è affine alla natura di Dio e Cleante può concludere la
sua preghiera con queste parole: "Nessun ufficio più alto fu dato agli dei
e agli uomini / che celebrare la legge che gli uni e gli altri nel giusto
unisce".
Si trattava, come si vede, di una concezione della divinità profondamente
diversa da quella che sarà fatta propria dal Cristianesimo. Infatti la concezione
stoica vedeva la divinità come qualcosa di immanente, ovvero come qualcosa di
coincidente, insito nell’universo, mentre nella visione del cristianesimo Dio
IL LOGOS
Nell’uomo: _____________________
nell’universo: _______________________
___________________________________
La differenza
non ___________________________
ma ____________________________
L’interpretazione ___________________:
il logos è __________________________
B
– L’IMMANENTISMO
Dio come _________________________
___________________________________
Immanenza e ________________________
Logos ____________  uomo simile a
____________________
IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO
(vedi schema al fondo)
21
apparirà come un principio trascendente, ovvero superiore, non riconducibile e
comunque esterno all’universo (di derivazione quindi platonica).
Un’ulteriore differenza tra la concezione stoica della divinità e quella cristiana è
rintracciabile nel fatto che la divinità stoica non coincide con quella del Dio
persona cristiano in quanto esso rappresenta piuttosto la legge che governa
l’universo. Dio come persona e come principio immanente sono tipici della
tradizione ebraica e da essa sono pervenuti al cristianesimo.
La concezione della realtà
La provvidenza divina
Strettamente connessa con questa concezione è la dottrina stoica della provvidenza
divina. Il logos, infatti, governa il mondo secondo necessità (la stessa
necessità che osserviamo nelle inesorabili leggi di natura, al cui potere non c'è
nulla che sfugga). Esso, concepito come divinità, guida tutta la natura verso il
bene, fine ultimo d'ogni movimento dell'essere. Il bene non è concepito alla
maniera platonica come un'istanza superiore ed eterna, immutabile, ma è
applicato al mutevole mondo dell'esperienza. Bene non è quindi tanto la
destinazione finale, quanto l'orientamento attuale dell'essere delle cose
che sistematicamente e necessariamente si evolve, perché tutto è soggetto al
movimento del tempo. E questo stesso movimento ad essere buono, perché pone
ordine a tutto l'essere in ogni sua fase. Il bene è immanente nel mondo,
anche se al nostro debole occhio il male può apparire vincente. Ciò dipende dal
fatto che non cogliamo il significato vero delle cose e degli eventi: li osserviamo da un'angolazione ristretta, da un'ottica particolare, e non capiamo perché
sono necessari al fine della perfezione del Tutto. Niente accade per caso,
tutto accade secondo necessità, perché l'universo abbia ordine e misura.
Non c'è movimento nella natura - la caduta delle foglie in autunno, il ciclo della
vita e della morte, il costante ruotare dei cieli, e così fino al più piccolo
evento che, per la nostra ignoranza, ci appare frutto del caso - che non abbia un
senso nell'ordine del tutto.
La provvidenza non è l'intervento della divinità che dall'esterno agisce sul mondo
per guidarne il corso verso il bene. E la stessa ragione intima delle cose, è il
senso oggettivo dell'evoluzione cosmica. L'uomo deve affidarsi a questo
cammino dalle tappe già segnate, abbandonarsi con fiducia alla perfezione
divina anche quando essa non appaia in tutta chiarezza e il male sembriprendere il
sopravvento. Ma ciò che è male dalla visuale dell'individuo (ad esempio la morte per
la preda) è bene nell'ordine dei tutto (il rapporto tra preda e predatore garantisce la
vita nel ciclo cosmico del divenire). Naturalmente è vana la pretesa di comprendere
sempre le ragioni della divinità, forma immanente che regge il mondo. Rimane
il mistero nelle cose, negli eventi, nel destino individuale. Ma la ragione ci spinge
ad avere fiducia nella bontà del Tutto.
Il saggio si affida alla provvidenza appunto perché ha fiducia nella bontà della
provvidenza.
Se ripercorre col pensiero il corso della propria vita, l'uomo ha l'impressione
che essa sia governata dalla Tyche, l'antica dea greca del caso, il cieco destino
privo di senso che rende irrazionale ogni progetto troppo preciso a lunga scadenza:
la vita soggiace infatti ai colpi della "fortuna", nel senso latino del termine.
Per gli stoici questa maniera di pensare è frutto della nostra ignoranza del
futuro, della mancanza del saldo possesso razionale della rete di cause che determinano un evento e, soprattutto, delle conseguenze che ne deriveranno. Il saggio
però non si lascia ingannare dai limiti delle informazioni in suo possesso.
Attraverso la ragione, egli sa che non c'è il caso nella natura, ma rigoroso ordine.
Tutto è regolato dalla ragione che governa il cosmo secondo il bene.
LA PROVVIDENZA DIVINA
Il logos come _____________ del Tutto
verso il ______________________
Bene NON _________________________
Bene come _________________________
_____________________________
Il male ha un senso ___________________
__________________________________
ma vana è la pretesa dell’uomo _________
_________________________________
L’inesistenza _______________________
Tutto è _____________________________
all’interno del piano provvidenziale
22
C - L’ OTTIMISMO METAFISICO
L'essere stesso è bene, è divino. Il male è solo un momento del ciclo del bene,
oppure è il frutto dell'ignoranza (un errore di prospettiva, nato dall'ottica sfocata
che ci concede la nostra natura), oppure è il momentaneo prevalere La bontà ________________________ e
dell'irrazionalità, cui il logos saprà dare un senso positivo, volgendo gli eventi
verso il bene all’interno del piano provvidenziale. Gli stoici, dunque, hanno espresso _______________________________
la massima fiducia nella positività dell'essere. Il loro è un profondo ottimismo
metafisico: la vita, l'essere in quanto essere, è bene.
Non si tratta di chiudere gli occhi di fronte al male del mondo, di non voler vedere
l'irrazionalità della vita e la profondità del dolore che opprime il vivente (ogni
essere vivente, non solo l'uomo). Al contrario, la realtà va guardata con lucidità,
oggettività: come la scienza ha cercato di fare in ogni tempo e come i Greci
Ottimismo e ______________________
avevano imparato fin dai tempi delle prime osservazioni naturalistiche. Il male,
tuttavia va compreso nell'ottica del bene. In questo ottimismo radicale – che
ritroveremo nel pensiero medievale cristiano - va certamente vista una forma
nuova di religiosità.
D
Questa fede nasce dalla interpretazione finalistica della natura (che, quindi,
richiama Aristotele). Gli stoici sono profondamente colpiti dall'ordine
dell'universo e dal fatto che tanto gli organismi viventi quanto il cosmo nel suo
complesso appaiono orientati verso uno scopo. Si prenda il caso dell’uomo.
Ogni suo organo sembra "programmato" per la buona efficienza
dell'organismo; ogni momento del suo sviluppo (dal concepimento alla nascita
alla crescita) appare finalizzato al perseguimento della migliore condizione
dell'adulto; il suo corpo ha caratteristiche che lo predispongono alla parola e
alla comunicazione spirituale con i suoi simili. Tutto accade come se
un'intelligenza avesse "pensato" lo sviluppo dell'uomo secondo un preciso fine, la
pienezza del suo essere. È come se vi fosse un progetto. Troppo bella la natura,
per non pensarlo, troppo pieni e perfetti i suoi colori le sue forme, il fascino degli
elementi, il paesaggio di tutti i giorni sulle terre dei Greci: il mare, il sole, l'aria,
il profilo delle isole e dei monti. Lo stesso accade per ogni piano e per ogni
animale. Se si pensa al ciclo delle stagioni, all'alternarsi del caldo e del freddo,
del. l'umido e del secco, e così via la natura sembra costituire una macchina
meravigliosa finalizzata al bene. La bellezza stessa della natura sembra proclamare
la perfezione del divino che è in lei. Gli stoici descrivono ammirati tutto
questo, e ai loro occhi il finalismo della natura appare come la migliore e la più
razionale prova dell'esistenza di Dio come supremo reggitore dell'universo. Forse
non comprendiamo tutte le vie del mondo, qualcuna è dolorosa - forse troppo
dolorosa - per noi. Ma l'uomo saggio si affida all'ordine divino, quell'ordine che
compare con tanto splendore nella bellezza del mare e della luce, nel ciclo
vitale, finalizzato al bene, degli organismi. E tra questi - in un mondo che non ha
voluto, ma che contempla con occhi stupiti e che comprende con la sua ragione
- è ciascuno di noi. La ragione accomuna il nostro l o go s al logos divino che
è in ogni cosa. L'uomo è affine a Dio. Ma come può fuggire dall'infelice
condizione in cui si trova, oppresso dal dolore e schiavo delle passioni, per
giungere alle serene regioni della vita divina, guidata dalla ragione? L'uomo può
accostarsi a Dio?
Si rifletta sulla posizione dell'uomo nel cosmo. Mentre gli epicurei concepiscono
l'uomo come uno dei tanti casuali prodotti del movimento degli atomi, il pensiero
stoico è dominato dall'antropocentrismo: l'uomo ha il primo posto nella scala
degli esseri e la sua anima è affine a Dio. A questo punto però si presentava agli
stoici un problema: qual è lo scopo ultimo che la natura persegue nel suo
creare? Se noi vediamo una casa ben arredata, non ci domandiamo soltanto
chi l'ha costruita ma anche per chi è stata costruita. La risposta per loro non è
dubbia: tutte le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. La
terra nutre le piante, queste nutrono gli animali, e gli animali servono all'uomo
- IL FINALISMO DELLA NATURA
L’_____________________ dell’universo:
a – la ______________________________
b – la ____________________________
c - la ______________________________
a + b + c  dimostrano ______________
_______________
La centralità ___________________
nell’___________________________
a - la comunanza tra __________________
b – l’universo al ____________________
______________________
23
come strumento e come cibo.
Infatti, sebbene fisicamente l'uomo sia inferiore per molti aspetti agli animali, col
suo logos egli si rende padrone di loro e di tutto il mondo. Egli è usufruttuario di
tutte le cose ed è pure il solo essere atto e chiamato ad apprezzare la grandezza Dio e uomo = _______________________
e la bellezza del mondo e a trarne motivo d'edificazione. Grazie al l o go s egli è
imparentato con la divinità. Dio e uomo sono gli esseri razionali, la più alta  la maggior ______________________
forma dell'essere, la quale svela lo scopo e il senso del mondo. Il cosmo secondo ______________________________
Crisippo è «un sistema costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create per
loro»" (M. Pohlenz).
Con questo antropocentrismo gli stoici introducono un elemento nuovo nella cultura
greca: esso è infatti assente non solo presso i filosofi, ma anche presso i poeti dell'età
arcaica e classica.
Anche questo antropocentrismo, insieme con l’ottimismo, verranno riprese dal
cristianesimo fin dall’opera di Paolo di Tarso che nella sua interpretazione della Stoicismo e Cristianesimo
figura di Gesù si servì ampiamente dei concetti elaborati dagli stoici. Tra questi vi è
anche il concetto di provvidenza che è strettamente legato alla divinità per cui
anch’essa viene, a causa della diversa concezione della divinità, concepita
diversamente. La provvidenza costituisce un piano impersonale in quanto
determinato da una legge, mentre per i cristiani sarà il frutto di una precisa
volontà, quella divina. Inoltre, per gli stoici essa è, come la divinità, un principio
immanente all’universo, mentre per i cristiani essa, come la divinità di cui
rappresenta la volontà, e trascendente rispetto al mondo.
Alla visione del mondo elaborata dagli stoici è strettamente connesso, come
vedremo, la concezione, anch’essa destinata a essere ripresa dal cristianesimo,
dalla morale come dovere.
IL DIO DEGLI STOICI E IL DIO CRISTIANO
1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
Concetti ____________________  __________________________________
A Provvidenza ma (vedi divinità)
1 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
2 _____________________________________________ CTR ___________________________________________
B _____________________________________________________________
C _____________________________________________________________
D _____________________________________________________________
La fisica
LA FISICA
La fisica stoica è dichiaratamente materialistica. Per sostenere tale orientamento Il _____________________________
i maestri del Portico potevano giovarsi di un argomento di Platone. Nel Sofista
questi aveva affermato che veramente reale è solo ciò che ha il potere di agire
e di patire. Ma, osservano gli stoici, solo ciò che è materiale può godere di
queste caratteristiche: dunque tutto ciò che agisce e patisce è corporeo. Si tratta
di una concezione gravida di conseguenze: vediamone subito due. In primo
24
luogo definire la materia come «quella cosa che è in grado di agire e di patire»
conferisce al materialismo stoico un aspetto dinamico che lo differenzia Differenze con _________________:
nettamente dal materialismo epicureo. Per Epicuro, infatti, la materia è
soprattutto la sostanza della realtà: è ciò che occupa uno spazio, che si può toccare
e vedere e che si muove in modo geometrico, sospinto da una cieca forza
meccanica. Per gli stoici, al contrario, la materia è qualcosa che (usando
un'espressione aristotelica) è sempre in potenza, in quanto possiede la capacità
intrinseca di divenire. Da qui deriva anche la seconda conseguenza che volevamo
mettere in luce. Spesso lo stoicismo insisterà nel considerare materiale tutta la La materialità dei ____________________
realtà senza alcuna eccezione, comprese le entità astratte come la virtù, la
giustizia, ecc. Orbene, questa tesi diviene comprensibile solo tenendo presente la
concezione della materia illustrata sopra: la giustizia, ad esempio, è per gli
stoici non già una realtà immateriale, ma l'insieme delle forme che la
«materia» assume nelle persone, nei fatti e nelle cose «giuste».
Alla luce di quanto si è detto, si capisce anche perché il carattere distintivo della Il _______________________________
fisica stoica risulti essere, più che il materialismo, il monismo. Platone aveva
separato dualisticamente la forma (le idee) dalla materia (il mondo sensibile) e
Aristotele aveva mantenuto, sia pure in forma indebolita, questa distinzione. Gli
stoici, dal canto loro, non negano l'esistenza di un principio attivo e di uno
passivo, di una realtà in certo modo «formale» e di una realtà «materiale».
Negano, invece, che tale dualismo sia originario. Per loro esiste infatti una
sola «materia» primigenia che riempie di sé tutto l'universo, e che di volta in
volta può specificarsi in differenti ruoli e funzioni. Da qui deriva concezione
stoica secondo cui esistono sia la materia che la forma, ma la forma stessa è
qualcosa di materiale. In sostanza essi ritengono sia possibile, in via teorica,
individuare un principio attivo e uno passivo, purchè si tenga presente non solo
che tali principi sono realtà inseparabili (e fin qui saremmo ancora vicini alle
critiche che Aristotele rivolgeva a Platone), ma che sono la stessa e unica cosa.
A ben guardare il materialismo serve agli stoici soprattutto per confutare il
dualismo metafisico di Platone. Dopodichè chiamare l'unica realtà esistente con
la parola materia o con qualche altro termine non ha più molta importanza: la
«materia» degli stoici è materia che è anche forma e spirito.
Le caratteristiche della fisica degli stoici emergono bene attraverso un paragone
con la fisica degli epicurei. Epicuro, come abbiamo visto, aveva una
concezione «meccanica» della materia, credeva che fosse composta di atomi
indivisibili inframmezzati dal vuoto, e asseriva l'impenetrabilità dei corpi; riteneva inoltre che i mondi fossero infiniti e nessuna necessità o provvidenza ne
guidasse gli sviluppi, che gli dei vivessero fuori dal mondo e non si occupassero
dei destini dell'umanità, e di conseguenza sosteneva l'esistenza del libero
arbitrio. È facile dimostrare che su tutti questi punti gli stoici espressero tesi
diametralmente opposte. La materia, in primo luogo, è per loro viva ed attiva,
interamente compatta e divisibile all'infinito: un principio che poteva essere
sostenuto solo ammettendo la penetrabilità dei corpi. In secondo luogo per gli
stoici esiste un unico mondo guidato da una provvidenza divina calata nella
realtà mondana, una provvidenza la quale guida le sorti di tale mondo secondo
un destino che l'uomo è incapace di modificare nella sostanza.
Queste differenze non sono casuali. Esse esprimono due maniere di interpretare
la realtà naturale, la cui radicale opposizione fu lucidamente colta non solo dagli
antichi ma anche in epoca posteriore (ad esempio nel rinascimento). L'universo
epicureo assomiglia a un gioco di costruzioni fatto di elementi mobili, che si
aggregano e si disgregano in infinite combinazioni senza ordine e senza legge:
ogni oggetto è una temporanea unione di «mattoni» che presto o tardi si
separeranno per comporne altri, e così via. L'universo stoico, al contrario, è simile
ad un unico blocco di materia compatta e malleabile la quale, guidata da una
legge intrinseca, assume le forme più varie attraverso una trasformazione
continua senza nette divisioni o salti interni. Ancora, mentre gli epicurei
25
ritengono necessario, per spiegare la realtà mondana, un pluralismo spinto fino
alle estreme conseguenze (l'infinità degli atomi), gli stoici ritengono che tale
spiegazione sia possibile ammettendo una natura unica in grado di assumere
configurazioni diverse.
Differenze con _________________:
A -____________________: materia come ________________________________
Stoici: materia come _______________________________________________
B - ______________________: _________________________________________________________________________________
Stoici: ______________________________________________________________________________________________________
C - ______________________: _________________________________________________________________________________
Stoici: ______________________________________________________________________________________________________
Un'altra significativa dottrina fisica della Stoa è il principio della cosiddetta
«mescolanza di tutte le cose», e della loro interazione universale. Il principio di
causalità universale sostiene che tutto ciò che accade nell’universo ha una causa
che è a sua volta causa di qualcos’altro. L’universo è dunque retto da un’unica
catena causale per cui un evento privo di causa è impensabile, in quanto ci
sarebbe qualcosa di non determinato dalla natura e dalla ragione divina insita in
essa. La provvidenza costituisce, per gli stoici, il piano razionale che, tramite la
causalità universale, regge e governa il mondo realizzando un mondo perfetto
perché ordinato e armonico in cui il male stesso appare giustificato
nell’economia del tutto.
Orbene, per i filosofi del Portico ciò implica che in natura tutto ha effetto su
tutto: per esempio, anche una sola goccia di vino che cade in mare non è un
accadimento irrilevante ma ha il potere di modificare, sia pure in misura
infinitesima, le caratteristiche qualitative dell'insieme Da qui deriva anche
un'ulteriore, fondamentale concezione, quella della cosiddetta «simpatia
universale»: tutte le parti dell'universo, anche le più remo hanno organici
rapporti di azione reciproca. Tale concezione ha, tra le altre cose, un importante
significato religioso. È infatti grazie ad essa che gli stoici sostennero la
fondatezza dell’astrologia, e più in generale furono portati a vedere in tutti i
fenomeni della natura le molteplici manifestazioni
Il principio _______________________
e piano ___________________________
La ______________________________
e _________________________
LA CONCEZIONE DELLA REALTÀ
Monismo: ______________________________________________________
Materia e pensiero sono
____________________________:
Immanentismo: __________________________________________________
Ottimismo metafisico: _____________________________________________
Finalismo della natura:_____________________________________________
IL LOGOS
come _________________
______________________________
LA
____________________________
come __________________________
________________________
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