Introduzione
«Ho voluto comprare un abbonamento Internet. Sono andato in
un’agenzia dove sono stato in coda mezz’ora. Sono tornato con il mio
kit d’installazione. Ho impiegato tre giorni a cercare di farlo funzionare. Ho chiamato la hotline, che costa un occhio della testa, il tutto
per imbattermi in una casella vocale che non è stata in grado di aiutarmi a risolvere il problema. Alla fine sono riuscito a parlare con un
operatore che mi ha dato risposte standard e inutili. Sono stato sul
punto di insultarlo. Infine, un mio amico che lavora nell’informatica
ha capito come farlo funzionare».
Che cos’hanno in comune questa situazione e il fatto di comprare un viaggio su Internet, spingere un carrello in un supermercato,
compilare un questionario di valutazione o fare dei video per YouTube? In ognuno di questi casi, l’individuo è coproduttore di quello
che consuma. Prendendo sul serio l’idea che l’individuo partecipi alla
produzione, questo libro si propone di analizzare da un punto di vista
sociologico il lavoro del consumatore.
Far lavorare il consumatore
La coproduzione è nota da tempo. È un fenomeno tradizionalmente
citato dagli osservatori della relazione di servizio per indicare ciò che
fa il cliente durante l’interazione con un professionista. Ora, la coproduzione si trova al centro delle strategie delle imprese pubbliche e
private, le quali mettono al lavoro il consumatore in diverse fasi della
creazione del valore. Egli contribuisce a creare il mercato, fornire il
servizio, gestire i guasti e i rischi, differenziare i rifiuti, ottimizzare le
immobilizzazioni dei fornitori e persino a fare del management. La
coproduzione interessa tutte le prestazioni di massa e in particolare
VIII
introduzione
i servizi: distribuzione, banche, trasporti, divertimento, ristorazione,
media, formazione, salute...
Essa instaura una nuova divisione del lavoro, che un’abbondante letteratura gestionale prescrive [1]. «La novità è riconoscere che
la prossima frontiera della competitività è incoraggiare il cliente a
diventare un “coproduttore”» [2], dicono gli specialisti del marketing, precisando che «il consumatore giocherà un ruolo sempre più
attivo fino a sostituirsi ai distributori, ad auto-consigliarsi e a garantirsi da sé il proprio servizio clienti» [3]. Verrebbe così chiamato a
diventare co-creatore del mercato, co-sviluppatore di prodotti e cofornitore di servizi. Secondo questi autori, la coproduzione segnerebbe addirittura il punto di passaggio tra modernità e postmodernità [4]. Mentre il vecchio consumatore era piuttosto passivo e il
marketing cercava di conoscerlo per influenzare le sue decisioni di
acquisto [5], si tratta d’ora in avanti di renderlo attore della produzione al punto di ipotizzare la reversibilità dei ruoli di produttore e
consumatore [6]. Ricercatori ed esperti indagano i mezzi per sostituire gli impiegati con i consumatori, fino a definire questi ultimi
come «quasi-impiegati» o «impiegati parziali» (secondo l’espressione
coniata da Chester Barnard nel 1938 e da allora ripresa nel campo del marketing [7-10]). Le loro competenze e i loro talenti [11,
12] sono risorse che l’impresa deve saper sfruttare per aumentare il
livello del servizio.
La logica del marketing incoraggia lo sviluppo della coproduzione
da una ventina d’anni. Nel 1987, due specialisti proponevano il termine di servuction per indicare la coproduzione [13]. Esso favorisce l’apporto d’informazioni, coopera, esegue e controlla. Per questo motivo,
influisce sui risultati qualitativi ed economici dell’azienda. Il marketing relazionale, a sua volta, si rivolge al prosumer, neologismo che
indica allo stesso tempo il produttore e il consumatore [3]. Per altri,
il consumatore sarebbe diventato anche un «consum’attore» militante,
intelligente e «partecipativo» [14]. Nell’approccio detto «edonico» si
suppone che egli «co-construisca la sua esperienza di consumo» [5],

I numeri tra parentesi quadre rimandano alle fonti del corpus indicato nelle
pagine finali. Le citazioni dei testi in lingua inglese sono tradotte dall’autrice in francese nel testo originale.

C. Barnard, The Function of the Executive, Cambridge, Harvard University Press,
1938.
introduzione
IX
analogamente a quello del customer empowerment che, come vedremo,
promette di affidargli un potere maggiore. Il marketing tenta di rendere ogni consumatore un alleato nella coproduzione.
Una manodopera gratuita, disponibile e motivata
La logica gestionale è chiara: «È evidente che quando il consumatore
effettua la parte più grossa del lavoro, viene fatto un buon lavoro al
momento giusto» [15]. Sembra in effetti sensato affidargli la «personalizzazione» del servizio, visto che lui conosce meglio di tutti chi è e
ciò che vuole. Adeguare un prodotto al suo gusto, alle sue dimensioni,
al suo bisogno o al suo desiderio è un piccolo lavoro di adattamento
dello standard, che gli anglosassoni chiamano customization. Inoltre, il
consumatore è interessato in prima persona all’efficienza della produzione e del consumo del servizio: è «motivato» dalla sua produttività
e dalla sua qualità. E, per giunta, non chiede di essere remunerato per
svolgere questi compiti. Questo lavoro, data la sua gratuità, è ancora
più interessante economicamente di qualunque manodopera, foss’anche a basso costo. Infine, la collaborazione del consumatore implica
vantaggi secondari: partecipando alla produzione, egli si fa un’idea
migliore della qualità dei servizi e ne diventa uno zelante promotore.
L’arruolamento dell’utente nella produzione del servizio lo renderebbe perfino più «inoffensivo» [16].
In questo modo, i consumatori possono essere considerati come
una riserva di manodopera disponibile, gratuita, motivata, fedele e
ben disposta nei confronti di chi presta il servizio. È allora forte la
tentazione di metterli al lavoro, anche se quest’obiettivo richiedesse
un progetto manageriale delicato.
Dei «quasi-impiegati» difficili da gestire
I consumatori verrebbero messi al lavoro pur non essendo dei professionisti o degli impiegati. Essi hanno un rapporto occasionale con
il proprio compito, e livelli di competenza e di abilità eterogenei. In
questo senso rappresentano una fonte di forte incertezza e variabilità
per l’impresa, che influisce sulla qualità, la sicurezza e la produttività,
compresa quella dei lavoratori salariati [16]. Gli specialisti del marke-
X
introduzione
ting hanno analizzato da tempo questo problema [10]. La coproduzione crea allora nuove problematiche «gestionali» per i manager.
Essi concludono logicamente che le «imprese devono imparare a
gestire queste implicazioni», sapendo che un tale coproduttore è «per
natura capriccioso, emotivo» e, naturalmente, «del tutto indifferente»
agli obiettivi di profitto dell’impresa [15]. I manager si impegnano
allora affinché il suo lavoro venga «controllato e valutato allo stesso
modo dell’attività degli impiegati» [17] e raccomandano di prendere
in considerazione la sua motivazione a coprodurre. Alcuni propongono di elaborare, di volta in volta, una descrizione del tipo di lavoro
[12], di prevedere piani di formazione e di applicare metodi di gestione delle risorse umane [16, 18, 19].
La coproduzione assume quindi una nuova portata nelle tecniche
e prescrizioni di gestione. Che cosa dicono i sociologi del lavoro e del
consumo riguardo a questo fenomeno?
Per una sociologia del lavoro del consumatore
L’economista Henri Storch faceva riferimento, fin dal 1815, alla necessaria cooperazione tra produttore e consumatore nei servizi. Tuttavia,
per un secolo e mezzo, quest’ipotesi di ricerca non sarà presa in considerazione. Victor Fuchs la riprenderà nel 1968, mostrando che il
consumatore partecipa operativamente alla produzione del servizio:
egli è un «fattore di produzione» che esercita un’influenza sulla produttività. Ma l’economia dei servizi conoscerà un vero sviluppo solo a
partire dagli anni Ottanta del XX secolo. In particolare, Jean Gadrey
sostiene l’idea che «il passaggio dalla produzione alla coproduzione
cambia la natura e l’economia delle relazioni di produzione»; l’autore
sottolinea l’interesse di condurre ricerche pluridisciplinari su questa
«produzione di servizi», che rinnoverebbe i quadri concettuali classici.
In sociologia, la scuola di Chicago fu la pioniera dell’analisi della coproduzione. L’interazionismo ha rappresentato il quadro teo-

V. Fuchs, The Service Economy, New York, Columbia University Press, 1968.
J. Gadrey, «L’Economie des services», Rep•res, Paris, La Découverte, 1996.

J. de Bandt e J. Gadrey (a cura di), Relations de service, marchŽ de service, Paris,
CNRS Editions, 2000.

In particolare Erving Goffman, Everett C. Hugues, Anselm Strauss e William
Foote Whyte.

introduzione
XI
rico di numerose ricerche sui «servizi» e la «relazione di servizio»,
due termini spesso utilizzati come sinonimi. Riprendendo la tesi
di Erving Goffman, negli ospedali, uffici postali, fast-food, hotel,
call center, supermercati o altri servizi a domicilio, si osserva che
il consumatore coproduce soluzioni tecniche, accordi commerciali
e scambi di cortesie nella sua relazione con il professionista. Questi
lavori microsociologici dialogano con quelli degli ergonomi, degli
specialisti in etnometodologia e degli psicologi clinici del lavoro;
essi convergono nel difendere la specificità dell’analisi dei servizi, o
più esattamente della relazione di servizio dove «il contenuto dello
scambio non preesiste allo scambio, la produzione (del bene o del
servizio) non preesiste al suo consumo». Tuttavia, in questi casi, il
lavoro del consumatore viene spesso osservato dal punto di vista del
professionista, probabilmente perché «l’utente-destinatario del servizio viene considerato come un intruso, privo di status» e perché
non appartiene all’«universo teorico di riferimento» dei sociologi
del lavoro. Il consumatore è «invisibile, rimosso, non calcolato, non
quantificabile». In particolare, ciò che fa il consumatore al posto del
professionista resta generalmente fuori dal campo di queste analisi,
dedicate alle attività che lui solo può compiere (descrivere i propri
dolori a un medico, formulare una richiesta a un venditore, salire su
un treno...). Inoltre, concentrandosi sulle interazioni, questi approcci non considerano l’attività del consumatore che si svolge al di fuori
di una relazione. Queste ricerche aprono quindi, più di quanto non
esauriscano, la questione della coproduzione e del lavoro del consumatore.
Oltre all’analisi macrosociologica della «civiltà del servizio» emersa intorno al 1970, la sociologia si è occupata delle istituzioni e del

E. Goffman, Asiles. Etude sur la condition sociale des malades mentaux, Paris,
Minuit, 2002 [1968].

F. Hubault e F. Bourgeois, «La relation de service: une convocation nouvelle
pour l’ergonomie?», in La Relation de service. Opportunités et questions nouvelles pour
l’ergonomie, Toulouse, Octarès Editions, 2002, pp. 5-31.

A. Borzeix, «Relation de service et sociologie du travail. L’usager: une figure qui
nous dérange?», Cahiers du genre, n. 28, 2000.

Ibidem.

Ibidem.

D. Bell, The Coming of Post-Industrial Society. A Venture in Social Forecasting,
New York, Basic Books, 1973.
XII
introduzione
sistema di attori (Stato, associazioni, padronato, consumatori). In
particolare, l’analisi delle loro strategie e funzioni sociali ha dimostrato che il consumatore è una costruzione sociale recente, che ha
acquisito un nuovo status sociale e perfino la «legittimità di un marchio politico». La sociologia economica mostra che anche il «cliente» è una figura retorica recente, utile per la fabbricazione sociale del
mercato. Queste ricerche sono preziose per comprendere l’arruolamento del consumatore nel lavoro commerciale. Allo stesso modo, i
lavori ergonomici che si interessano alle situazioni di coproduzione e
cooperazione contribuiscono alla definizione del fenomeno, sottolineando allora che questo «co-» non è un «prerequisito, ma piuttosto
un mezzo e un risultato».
Che cosa ne dice la sociologia del consumo?
Si potrebbe pensare che, con la coproduzione, la sociologia del lavoro
incontri quella del consumo. Quest’incontro però non c’è stato.
L’analisi della società detta dei consumi, in cui il consumatore è
diventato la figura principale, dimostra che consumare ci preoccupa, ci occupa, crea identità, legami e appartenenze sociali. Il consumo è diventato un’«attività centrale nell’esistenza degli individui,
poiché richiede tempo, energia fisica e psichica e un coinvolgimento
emozionale». Tuttavia, la sociologia dei consumi ha studiato soprattutto i modi di acquisizione e di utilizzo degli oggetti, in particolare
nella loro dimensione caratteristica e simbolica; essa descrive i vari

M. Wieviorka, L’Etat, le patronat et les consommateurs, Paris, PUF, 1977.
T. Parsons, «How are clients integrated into service organizations?» in M.
Lefton e W.R. Rosengren (a cura di), Organizations and Clients: Essays in the Sociology of Service, Columbus, Charles E. Merrill Publishing Company, 1970, pp. 1-16.

L. Pinto, «La gestion d’un label politique: la consommation», Actes de la recherche en sciences sociales, nn. 91-92, 1992, pp. 3-19.

Vedi in particolare F. Cochoy (a cura di), «Les figures sociales du client», Sciences de la société, n. 56, 2002.

F. Hubault e F. Bourgeois, «La relation de service», cit., p. 8.

B. Heilbrunn, «La Consommation et ses sociologies», 128 Sociologie, Paris,
Armand Colin, 2005.

Ibidem, p. 21.

T. Veblen, Théorie de la classe de loisir. Une étude économique des institutions, Paris,
Gallimard, 1970 [1899]; P. Bourdieu, La Distinction, Paris, Minuit, 1979.

introduzione
XIII
modi di utilizzare un oggetto, di «appropriarsene» e di adottarlo.
Quando assume un atteggiamento critico, la sociologia dei consumi
descrive un uomo prigioniero dei prodotti commerciali, alienato da
questi e dalla pubblicità, che fabbrica una realtà illusoria e disincantata. Storici e antropologi studiano il rapporto degli uomini con gli
oggetti e degli uomini tra loro, nell’atto banale e quotidiano del consumo. La «microsociologia del quotidiano» mette in luce la dimensione politica, identitaria e sociologica del consumo. Ma, in definitiva,
la sociologia dei consumi, critica o meno, è focalizzata sugli oggetti e
si mantiene dalla parte della loro emissione. Il consumo dei servizi,
da un lato, e l’attività del consumatore come coproduttore dall’altro,
richiedono allora di essere esplorati.
Tuttavia, ritenendo che la coproduzione rappesenti un fenomeno
socio-organizzativo importante, ci proponiamo di concentrare l’attenzione su ciò che fa il consumatore, sostenendo l’ipotesi che egli
lavori.
Consumo e lavoro
Storicamente, l’analisi della produzione e dei consumi non oppone né
separa questi due termini. Gli economisti classici, come Smith, Ricardo o Marx, ne sottolineavano il carattere indissolubile a livello economico, sociale e soggettivo. Consumare e lavorare sono due attività
centrali nella nostra civiltà. Entrambe contribuiscono a definire un

M. de Certeau, «L’Invention du quotidien. 1. Arts de faire», Folio, Paris, Gallimard, 1990.

I. Garabuau-Moussaoui, «Une anthropologie par la consommation», in E.
Rémy, I. Garabuau-Moussaoui, D. Desjeux e M. Filser (a cura di), Sociétés, consommation et consommateurs. Marketing et sciences sociales à la rencontre de la consommation,
Paris, L’Harmattan, 2003, pp. 41-54.

Adam Smith e Rousseau furono i precursori di questa critica, seguiti da Georg
Simmel, Herbert Marcuse, Jean Baudrillard, Roland Barthes, Vance Packard, David
Riesman, Guy Debord.

G. Ritzer, The McDonaldization Thesis, London, Sage, 1998.

D. Roche, Histoire des choses banales. Naissance de la consommation XVII-XIX
siècle, Paris, Fayard, 1999; A. Corbin, «L’Avènement des loisirs 1850-1960», Champ,
Paris, Flammarion, 2001.

D. Desjeux (a cura di), Objet banal, objet social. Les objets quotidiens comme révélateurs des relations sociales, Paris, L’Harmattan, 2001.

Ibidem.
XIV
introduzione
certo tipo di esistenza, di rapporto con le cose e con gli uomini. Esse
agiscono sul mondo fisico e i rapporti sociali, così come nella vita
soggettiva; sono al centro della nostra concezione di ciò che l’uomo
«fa» al mondo, nel senso esistenziale e pratico del termine.
Tuttavia, lavoro e consumo sono oggi separati. Prima di tutto nelle
nostre esistenze: il consumo e la sua estensione nei paesi ricchi costituiscono «la parte più piacevole dell’economia di mercato»... anche
se le condizioni di produzione possono essere «brutali». Produzione
e consumo possono essere distanti sia topograficamente che socialmente. La moltiplicazione degli intermediari «produce un effetto di
impersonalizzazione del mercato». Il divorzio viene confermato in
ambito scientifico. In particolare, sociologi, psicologi o manager sono
specialisti della produzione (e del lavoro) o del consumo. È diventato più difficile pensarli insieme. Ci assumeremo tuttavia il rischio
di farlo, in via sperimentale e basandoci sui contributi delle diverse
discipline su questo tema.
Questi due termini sono talemente polisemici che è indispensabile precisarne il senso in questo contesto. Il termine «consumatore»
ha assunto significati diversi e ambivalenti nel corso della storia. In
realtà, «il» consumatore, così come lo intenderemo, è una rappresentazione sociale costruita in ambito politico e di marketing. Ciò nonostante, utilizzeremo il termine per designare un attore sociale, definito
dalla propria posizione organizzativa oggettiva: colui che utilizza un
prodotto commerciale (un bene o un servizio) per un uso proprio.
Evidentemente, dietro questo termine troviamo persone i cui interessi, spazi, risorse e vincoli sono estremamente diversificati, spesso
divergenti e perfino contraddittori. Non confondiamo questa figura
con il beneficiario, l’utilizzatore, il destinatario, l’acquirente o il cliente, sebbene questi ruoli spesso coincidano.
Poiché questo consumatore coproduce, è possibile considerare il

R. Rochefort, La Société des consommateurs, Paris, Odile Jacob, 2001.
Ibidem.

F. Cochoy, «Une histoire du marketing», Textes à l’appui, Paris, La Découverte,
1999, p. 21.

Nel latino cristiano, si è verificata una confusione decisiva tra consumere (consumare) e consummare, diventato sinonimo di perdere. Una «lunga esitazione semantica»
sussiste fino al 1705. Nel XIX secolo, il termine passa dall’idea di distruzione dell’oggetto alla soddisfazione del bisogno, e ora all’accesso al piacere e al narcisismo (A.
Rey, Dictionnaire historique de la langue française, Paris, Le Robert, 1998).

introduzione
XV
suo contributo come un lavoro? Nelle scienze umane e sociali, non
troviamo una definizione consensuale stabile del termine «lavoro».
Lo impiegheremo qui mettendo da parte, volontariamente, le sue
connotazioni morali o religiose e la sua associazione impropria con
l’impiego, in particolare con il lavoro dipendente. Parliamo di lavoro
riferendoci alle attività umane che rispondono a tre criteri: in primo
luogo un criterio sociologico. Il lavoro è un rapporto sociale, un’attività socializzata e socializzante. Viene «diviso» in un certo modo nella
società, organizzato, indirizzato e realizzato con (o contro) altri. Inoltre, per distinguerlo dal tempo libero, diciamo che il lavoro crea valore
per l’impresa: è questo un criterio economico. Infine, parliamo di lavoro
per designare l’attività del soggetto a stretto contatto con la realtà e
la costrizione, in lotta per lo sviluppo del proprio ambiente materiale,
sociale e soggettivo. Ci riferiamo qui alle tradizioni antropocentriche,
fenomenologiche, ergonomiche e psicologiche per stabilire un criterio
soggettivo nella definizione del lavoro. Lavorare, infatti, è «metterci
del proprio». Così definito, il lavoro è profondamente ambivalente.
Secondo le condizioni sociali e organizzative del suo manifestarsi, è
un mezzo per lo sviluppo economico, sociale o soggettivo, oppure una
fonte di sfruttamento e alienazione.
Mostreremo che, quando il consumatore coproduce, si impegna in
compiti produttivi prescritti, socialmente organizzati, allo scopo di
creare valore economico. Egli realizza un’«attività coordinata utile»,
un lavoro, nel senso economico, sociologico ed ergonomico del termine. Gli strumenti concettuali derivati dalla sociologia del lavoro e delle organizzazioni, delle professioni e della gestione, così come quelli
ricavati dalla sociologia economica saranno allora utili per comprendere l’oggetto in questione.
Il nostro quadro teorico privilegia l’analisi del lavoro sotto quattro
aspetti. Innanzitutto, possiamo rendere conto della prescrizione e dei
controlli che dirigono l’attività del consumatore: quello che gli «si»
dice di fare o di non fare, in quali condizioni e con quali mezzi. Per

A. Cottereau, «Théories de l’action et notion de travail. Notes sur quelques difficultés et quelques perspectives», Sociologie du travail, fuori collana, 1994, pp. 79-90;
D. Meda, «Le Travail», Que sais-je?, Paris, PUF, 2004; M. Lallement, «Le Travail.
Une sociologie contemporaine», Folio Essais, Paris, Gallimard, 2007.

M. Lallement, «Le Travail», cit.

C. Dejours, «Le Facteur humain», Que sais-je?, Paris, PUF, 1995, p. 44.

M.-A. Dujarier, L’Idéal au travail, Paris, PUF, 2006.
XVI
introduzione
cogliere la costruzione sociale di questi imperativi, adotteremo una
posizione comprensiva riguardo agli organizzatori che li elaborano
(in particolare, dirigenti, manager e addetti al marketing). Distingueremo quest’attività prescritta da ciò che il consumatore fa «veramente», compreso ciò che egli fa in maniera invisibile e indiretta. Il lavoro
reale, in larga parte invisibile a occhio nudo, è tuttavia ciò che rappresenta l’essenziale del lavoro cognitivo, emotivo, relazionale e corporale; è molto più ampio dell’attività alla fine realizzata, o di quello
che il consumatore «alla fine» ha compiuto. Possiamo aggiungere la
dimensione vissuta dell’attività: la maniera in cui il consumatore la
interpreta e le dà senso, prima, durante e dopo la sua realizzazione.
Distingueremo inoltre il lavoro produttivo dal lavoro di organizzazione. Quest’ultimo indica tutte le attività collettive che contribuiscono a definire un’organizzazione; consiste nell’identificare e risolvere le molteplici contraddizioni presenti nell’attività. Quando viene
realizzato correttamente, esso produce organizzazioni funzionali ed
efficaci, che rispettano le norme sociali in vigore, e offre agli individui
l’opportunità di uno sviluppo soggettivo felice all’interno della propria attività. Un buon lavoro di organizzazione produce risposte pratiche («funziona»), socialmente e soggettivamente accettabili (come
obiettivo minimo).
Metodo di ricerca
Questo progetto di ricerca si ricollega alla mia esperienza di consumo, a cui, come sociologa del lavoro, ho rivolto uno sguardo prima
interrogativo, poi metodico. Le indagini empiriche sono state condotte in una decina di grandi città, in Europa occidentale e negli Stati

M. Pages, M. Bonetti, V. de Gaulejac e D. Descendre, L’Emprise de l’organisation, Paris, Desclée de Brouwer, 1979.

M.-A. Dujarier, «Services: une division sociale du travail d’organisation», in Y.
Clot e D. Lhuiler (a cura di), «Clinique du travail», Nouvelle Revue de psychosociologie,
n. 1, maggio 2006; M.-A. Dujarier, «Prendre sur soi: l’individualisation du travail
d’organisation», in G. de Terssac, C. Saint-Martin e C. Thébault (a cura di), «La
Précarité: une relation entre travail, organisation et santé», Le travail en débats, Série
MSHS-T, n. 6, Toulouse, Octarès Editions, 2008.

In Francia, ma anche in Germania, Belgio, Spagna, Gran Bretagna, Grecia,
Olanda, Italia, Portogallo, Svizzera.
introduzione
XVII
Uniti; esse riguardano i servizi di massa, privati o pubblici, soprattutto commerciali, per i cittadini. Può trattarsi di servizi rivolti alle persone, come la salute, la ristorazione (fast-food, ristoranti tradizionali
ecc.), i trasporti pubblici (aerei, treni, metropolitane ecc.), il turismo,
il tempo libero, i club sportivi, i servizi culturali (cinema, home video,
teatri, musei, musica, biblioteche, concerti ecc.), la formazione, l’informazione (giornali, radio, televisione) fino ai saloni di parrucchieri.
Prendiamo in considerazione anche i servizi destinati ai beni, come il
trasporto di lettere e pacchi, la distribuzione di prodotti (supermercati, distributori automatici), la locazione (di auto, biciclette, DVD
ecc.), i servizi bancari e assicurativi, l’informatica (provider, software,
personal computer), le riparazioni e il pronto intervento, la raccolta e
il trattamento dei rifiuti.
Ho effettuato più di un centinaio di osservazioni empiriche di
situazioni di consumo, tenendo presenti quattro aspetti. Come consumatrice coinvolta ho, per cinque anni, messo in atto ciò che si potrebbe chiamare una partecipazione osservante. Ho accumulato appunti
sulle situazioni di consumo quotidiano sul mio taccuino di ricercatrice. In seguito, ho selezionato dei luoghi di consumo precisi (l’ufficio
postale, il self-scanning al supermercato, la stazione della metropolitana, l’aeroporto, i siti Internet ecc.) e ho realizzato osservazioni partecipanti. Ho a volte cercato un’interazione con i partecipanti, allo scopo
di sviluppare insieme un’interpretazione comune della situazione di
consumo in cui ci trovavamo, nell’ottica di un’osservazione dialogante. Quindi, domandavo loro di commentare, spiegare, interpretare il
piccolo avvenimento che avevano appena vissuto. Infine, ho condotto
osservazioni sperimentali, in cui si tratta di provocare volontariamente un cambiamento di parametro in una data situazione sociale, al fine
di osservare le trasformazioni che questo provoca: fare dell’umorismo
con un operatore di call center che ha fretta, chiedere un «caffè macchiato» da Starbucks, non rispettare una fila di attesa, rifiutare (con il
pretesto di non essere capace) di utilizzare una postazione elettronica... e vedere poi cosa succede. Ho proceduto analizzando i vari casi,
con un attegiamento clinico: mettendomi «al capezzale» della situazione sociale e organizzativa per capirne i meccanismi oggettivi e i
processi soggettivi.

2005.
P. Falzon e M. Cerf, Situation de service: travailler dans l’interaction, Paris, PUF,
XVIII
introduzione
In seguito, ho utilizzato i dati forniti dai manager stessi. Come
fecero Luc Boltanski ed Eve Chiapello per descrivere il nuovo spirito
del capitalismo, ho svolto un’analisi sociologica del marketing a partire dai manuali e dalle riviste di riferimento. Ho preso in esame e ho
selezionato sessanta fonti documentarie relative al lavoro del consumatore (articoli di ricerca, manuali di gestione, stampa, testimonianze
di attori). Ne ho estratto, allo stesso tempo, la dimensione tecnica
(come è organizzata la produzione), ma anche quella normativa (ciò
che è positivo, e perché) e prescrittiva (ciò che queste logiche raccomandano di fare e in quale modo). Rispetto al nostro proposito, la
letteratura del marketing offre importanti informazioni sulle tecniche
impiegate per agire sul comportamento del consumatore, non soltanto
per far sì che egli acquisti, ma anche per farlo lavorare. Vengono così
esposte, in maniera accessibile ed esplicita, le credenze, la retorica e le
pratiche di coloro che incoraggiano il fenomeno; essi spiegano in che
modo si pone il problema, e come cercano di ottenere comportamenti
precisi da parte del consumatore. Questa letteratura forma e informa
indirettamente gli esperti, anche nel caso in cui queste prescrizioni
non vengano applicate alla lettera.
Inoltre, ho proceduto a un’analisi di contenuto della comunicazione rivolta al consumatore per spingerlo a lavorare (pubblicità, opuscoli, sistemi esperti, siti Internet). Anche gli scambi tra consumatori, tramite blog o riviste dedicate al consumo, sono stati preziosi per
comprendere la loro attività. D’altro lato, ho condotto un’analisi sistematica delle due riviste di difesa del consumatore relative agli ultimi
tre anni (60 millions de consommateurs e la rivista dell’Institut national
de la consommation [INC]).
Infine, ho realizzato interviste individuali e collettive con consumatori, «manager» progettisti o con il personale a contatto in queste
imprese di servizi di massa. Queste interviste hanno permesso di affinare le ipotesi e di testarne insieme la validità, tramite un approccio
co-interpretativo dei fenomeni sociali. I limiti metodologici di questa
ricerca sono inerenti al suo oggetto di studio. Come sottolinea Franck
Cochoy, «la consumer research ci ha insegnato quanto fosse difficile
comprendere i consumatori». Oltre al fatto che «il» consumatore
non esiste, neppure quello «medio», è difficile rendere conto di tutte le


L. Boltanski e E. Chiapello, Le Nouvel Esprit du capitalisme, Paris, Gallimard, 1999.
F. Cochoy (a cura di), «Les figures sociales du client», cit., p. 37.
introduzione
XIX
sue sfaccettature senza cadere in una sociologia generale della società.
Prendendo la scorciatoia teorica della figura del consumatore come
attore organizzativo, non esauriamo evidentemente tutte le avventure
possibili degli individui alle prese con queste configurazioni produttive. Speriamo che questa lacuna servirà da stimolo alla disciplina.
Avanziamo l’ipotesi che esistano tre modi principali di mettere al
lavoro il consumatore, ed è quanto esporremo nelle prime tre parti di
questo libro. Il primo esternalizza compiti e costi sul consumatore. Il
secondo raccoglie informazioni, comportamenti e produzioni dal forte
valore aggiunto. Nel primo caso, l’individuo lavora per consumare: vi
è fortemente costretto. Nel secondo, al contrario, coproduce per lavorare. La sua partecipazione alla produzione è volontaria, nella misura
in cui offre occasioni di crescita sociale e soggettiva tramite l’attività.
Infine, svilupperemo l’ipotesi secondo cui il consumatore realizza un
terzo tipo di lavoro, ancora differente, che contribuisce alla creazione
di valore per l’impresa: effettua un lavoro di organizzazione quando
deve trovare soluzioni pratiche e accettabili a contraddizioni politiche,
sociali, morali e soggettive nel suo consumo. A queste tre forme di
lavoro del consumatore corrisponde una configurazione organizzativa
precisa che le tecnologie e il marketing contribuiscono a disegnare.
Vedremo in quali maniere il lavoro del consumatore viene prescritto,
incoraggiato e controllato in queste tre forme di coproduzione. Prenderemo in considerazione anche il suo lavoro reale, realizzato e vissuto, compresi i modi di acconsentire o meno a lavorare. Analizzeremo
infine, nella quarta parte, le trasformazioni provocate dalla messa al
lavoro del consumatore sulle produzioni stesse e sulla dinamica dei
rapporti sociali.