Mario Giovanzana 28 aprile 01 LENTI A CONTATTO TORICHE RIGIDE ASTIGMATISMO DEFINIZIONE E FONDAMENTO OTTICO Fu il fisico Whewell ( 1817 ) a dare per primo la definizione di astigmatismo. Egli definì come “ astigmatismo “ o “ ametropia astigmatica “ l’ametropia caratterizzata da una differenza fra i raggi di curvatura , e quindi fra i poteri diottrici , della cornea registrabili lungo i vari meridiani. ( Per meridiani corneali si intendono i diametri della cornea che si incrociano sul suo vertice). Un’ulteriore e in definitiva migliore definizione di astigmatismo fu quella data da Gullstrand che definì l’ametropia astigmatica come il risultato di una asimmetria della rifrazione oculare. Conoide di STURM Fig.1 GENESI DELL’ASTIGMATISMO La causa tipo dell’astigmatismo è la toricità di una o più superfici oculari; si tratta quindi di un astigmatismo di curvatura. Non si può escludere comunque la possibilità di un astigmatismo per incidenza obliqua . Irregolare è invece l’astigmatismo causato da una chiara mancanza di coincidenza fra l’asse ottico della cornea e quello del cristallino. Inoltre irregolare è l’astigmatismo definito da indice ( tipicamente del cristallino nella cataratta incipiente ). Di minima importanza inoltre è l’astigmatismo da inclinazione dello schermo retinico. 1 SEDE DELL’ASTIGMATISMO Nella maggior parte dei casi, l’astigmatismo è da attribuire alla superficie anteriore della cornea. Nell’astigmatismo “ secondo regola “, il meridiano verticale della cornea avrà un raggio più stretto , mentre nel “ contro regola “ il raggio sarà più piatto. Sede dell’astigmatismo può essere anche la superficie posteriore delle cornea. Un’ulteriore sede dell’astigmatismo è quella del cristallino, che rappresenta l’elemento più importante dell’astigmatismo residuo. Fig.2 ASTIGMATISMO CORNEALE La superficie corneale anteriore non risulta sferica, SENFF e VON HELMHOLTZ la consideravano di profilo ellissoidale; da ricerche meno antiche ( MATTHIESSEN, ERIKSEN, GULLSTRAND, LO CASCIO ) è stata dimostrata distinguibile in due zone: la parte centrale, o ZONA OTTICA, di forma circolare con un diametro non superiore ai quattro millimetri, con il suo punto medio, in genere, decentrato rispetto al polo oftalmometrico e leggermente torica; la zona basale, anulare, progressivamente più piatta verso la periferia. L’appiattimento della zona basale risulta un po’ più accentuato nel meridiano verticale, a causa della pressione esercitata dalla palpebra. La superficie posteriore della cornea è di difficile rilevazione, data la sua vicinanza alla superficie anteriore. ASTIGMATISMO DEL CRISTALLINO Le superfici esterne del cristallino non hanno una curvatura sferica, ma tendono, secondo le teorie di Nordenson e Lo Cascio, alla paraboloide. E’ comunque accertabile un rapido appiattimento, verso la periferia. Inoltre la superficie anteriore è più piatta rispetto a quella posteriore. Lo spessore del cristallino si aggira intorno ai quattro millimetri. 2 CORREZIONE DELL’ASTIGMATISMO LENTI SFERICHE L’utilizzo di lenti sferiche, rigide e morbide, nei casi di bassi poteri di astigmatismo è la soluzione migliore in quanto una lente coassiale, priva di prismi e differenze di spessore nella giunzione e quindi più confortevole, assicura comunque una correzione ottimale. Fig.3 LENTI ASFERICHE Lo studio delle lenti asferiche fu iniziato più di tre secoli fa da Cartesio, studio che è tuttora di grande attualità. Tale studio ha come fondamento la legge della rifrazione dalla quale si osserva che i raggi paralleli all’asse ottico di una lente, una volta usciti dalla faccia di emergenza, non si incontrano in un punto dell’asse stesso ma su punti di zone diverse. La zona vicina all’asse ottico si chiama PARASSIALE e quella vicino all’orlo si chiama MARGINALE. Di conseguenza, esistono sull’asse un fuoco parassiale, un fuoco marginale e tanti fuochi intermedi. La potenza della lente varia passando dalla zona marginale a quella parassiale. Questo fenomeno si chiama ABERRAZIONE SFERICA, e deve il suo nome al fatto che è generato dalla forma sferica delle superfici. La soluzione era quella di generare una superficie non sferica, ma sempre di rivoluzione intorno all’asse ottico. Le lenti a contatto asferiche hanno una superficie asferica ( esterna ) e una superficie sferica ( interna ) sono assosimmetriche. L’uso di lenti asferiche si è rivelato efficace in quanto, correggendo l’aberrazione sferica, favoriscono una visione più contrastata con immagini più nitide. Le lenti sferiche e asferiche non assicurano una correzione ottimale dell’astigmatismo quando il difetto supera certi valori ( per semplicità : 2 diottrie per lenti rigide; 0,75 diottrie per lenti morbide ). 3 LENTI A CONTATTO TORICHE Le lenti a contatto a forma torica sono in uso da molti anni e, grazie ad un perfezionamento delle tecniche di produzione e ripetibilità della geometria, il loro uso è notevolmente aumentato. Le lenti toriche vengono applicate nei seguenti casi: • quando le lenti sferiche, per l’elevato valore o tipo di astigmatismo, non sono in grado di correggerlo in modo ottimale, • per migliorare l’applicabilità della lente attraverso una geometria fisiologicamente più confortevole. Questi due utilizzi possono essere disgiunti, oppure in alcune circostanze essere sovrapposti. Il principio di base delle lenti toriche si riferisce all’allineamento dei due meridiani principali oculari, attraverso diversi sistemi di stabilizzazione. Le lenti toriche sono realizzabili sia con materiale rigido che morbido. Nell’ambito delle classificazioni più frequentemente proposte, ne ho selezionato alcune che, per quanto ho potuto verificare nella mia esperienza professionale, si sono rivelate le più idonee alla soluzione delle problematiche appena evidenziate. Gruppo rigido • Lente con superficie interna torica, zona ottica e curva periferica torica • Lente a base nella zona ottica interna sferica e curva periferica torica Gruppo morbido • Lente a stabilizzazione prismatica • Lente a stabilizzazione dinamica • Lente a stabilizzazione prismo-dinamica LENTI A CONTATTO TORICHE GRUPPO RIGIDO Le lenti toriche rigide si caratterizzano per la stabilizzazione determinata dalla differenza tra la sagittale del meridiano più corto e quella del meridiano più lungo. Considerazioni ottiche: Se applichiamo una lente a contatto con superficie interna torica, il sistema di adattamento non dovrà essere di tipo corneo conforme. I raggi di curvatura della lente non dovranno essere cioè identici a quelli della cornea, per evitare una sovracorrezione dell’astigmatismo, che verrebbe determinata dal maggiore indice di rifrazione del materiale della lente rispetto a quello del film lacrimale. Ad esempio se i raggi di una cornea sono: Meridiano più piatto RAGGIO 8.00 mm DIOTTRIE 41.50 a 180° Meridiano più stretto RAGGIO 7.50 mm DIOTTRIE 44.25 a 90° e tenendo conto che: con l’INDICE DI RIFRAZIONE del film lacrimale di n. 1.332 otteniamo una POTENZA di D –2.75 con l’INDICE DI RIFRAZIONE del materiale di n. 1.46 otteniamo una potenza di D –3.85 si evidenzia che la stabilizzazione della lente attraverso il raggio del meridiano più stretta non è corretta, in quanto superiore di Diottrie –1.10. Il problema allora può essere risolto utilizzando la: Lente con superficie interna torica, zona ottica e curva periferica torica. Con questo tipo di lente è possibile correggere tutti i tipi di astigmatismo in cui la cornea risulta torica, in quanto la stabilizzazione viene realizzata attraverso la curva periferica del meridiano più curvo. Ciò avviene semplicemente cambiando la relazione tra i due meridiani principali, in modo da ottenere sul meridiano più curvo una zona ottica più grande. In questo modo, agendo sulla zona periferica della lente per stabilizzarla e sfruttando la potenza del film lacrimale, che ha un indice di rifrazione inferiore, non si eccede nella correzione astigmatica nel meridiano più stretto. Si ottiene con questo metodo una buona stabilizzazione della lente e non si è costretti ad una compensazione con un toro esterno (lente bitorica). 4 Le figure (dalla 4 alla 7) evidenziano infatti che attraverso una riduzione dell’appiattimento esistente tra le curve del meridiano più stretto, la zona ottica passa da una forma ellittica orizzontale ad una verticale (vedi figura 7). La sagittale in questo processo passa da una differenza 0, con la curva periferica sferica, a valori progressivamente più elevati, riducendo la differenza tra le due curve del meridiano più stretto. Fig.4 Fig.5 5 Fig.6 Fig.7 Nella figura 8, qui sotto riportata, si evidenzia come le metodologie tradizionali adottino una differenza costante sia tra la curva base del meridiano più piatto e la curva periferica, che tra la curva base del meridiano più stretto e la curva periferica. In questo caso 2.00 mm, mentre la zona ottica del meridiano verticale è di 7.54 mm. L’utilizzo dello stesso rapporto non consente una corretta stabilizzazione della lente sulla parte periferica, in quanto le dimensioni della zona ottica del meridiano più curvo sono troppo contenute. 6 Fig.8 Il sistema di produzione da me proposto è effettuabile solo per tornitura in quanto questo consente di sviluppare diverse curvature indipendenti tra di loro. Tale sistema consente inoltre di uniformare lo spessore al bordo della lente, eliminando la differenza tra le due sagittali attraverso l’utilizzo di un mandrino decentrante fisso. Il programma relativo alla “lente con superficie interna torica, zona ottica e curva periferica torica” da me sviluppato consente di calcolare sia il raggio esterno che quello lenticolare del meridiano più piatto, inoltre fornisce il valore del raggio lenticolare del meridiano più curvo in modo da ridurre lo spessore del bordo. GENERATORE DI SUPERFICIE TORICA INTERNA Gfeller City Crown IT-4 CNC Fig.9 7 ESEMPI DI APPLICAZIONE DEL PROGRAMMA Inserendo nel calcolatore i valori di: 1. indice di rifrazione (1.46), 2. sagittale (1.41), 3. sagittale del cilindro (1.52), 4. spessore centrale (0.10), 5. raggio base (7.80), 6. potere (-4.00), 7. zona ottica esterna (8.90), 8. area P (0.60), 9. diametro totale (9.30), 10. spessore totale (2.20) si ottengono i valori di: 1. raggio esterno (8.40), 2. raggio lenticolare (7.45), 3. raggio comparatore (10.50), 4. angolo (31.99), 5. spostamento tecnico (1.15), 6. braccio (-5.34), 7. raggio comparatore (6.11), 8. raggio lenticolare P (6.64) LENTE NEGATIVA Fig.10 Inserendo i seguenti dati: 1.indice di rifrazione (1.46), 2. sagittale (1.41), 3. sagittale cilindro (1.52), 4. giunzione (0.15), 5. raggio base (7.80), 6. potere (15.00), 7. zona ottica (7.80), 8. area P (0.60), 9. diametro totale (9.30), 10. spessore totale (2.20)si ottengono i valori di:1. raggio esterno (6.36), 2. raggio lenticolare (8.54), 3. raggio comparatore (8.12), 4. spessore centrale (0.44), 5. angolo (37.84), 6. spostamento tecnico (-2.57), 7. braccio (9.84), 8. raggio comparatore (7.25), 9. raggio lenticolare P (7.21), 10. potere B (14.41) LENTE POSITIVA Fig.11 8 Inserendo i seguenti dati: 1. indice di rifrazione (1.46), 2. sagittale (1.41), 3. sagittale cilindro (1.52), 4. raggio base (7.80), 5. potere (2.00), 6. area P (0.60), 7. diametro totale (9.30), 8. spessore totale (2.20) si ottengono i valori di: 1.raggio esterno (7.62), 2. raggio comparatore (9.57), 3. spessore centrale (0.25), 4. raggio comparatore (6.40), 5. raggio lenticolare P (6.73) LENTE SFERICA Fig.12 LENTE A BASE NELLA ZONA OTTICA INTERNA SFERICA CURVA PERIFERICA TORICA Questo tipo di lente viene utilizzato nel caso si debba migliorare il posizionamento di una lente sferica su di una cornea torica. Normalmente si usa quando la cornea è leggermente torica nella zona centrale ma tende ad aumentare la toricità verso la zona periferica . In questo caso le lente, per ottenere una buona stabilizzazione, deve prevedere una sagittale più profonda in corrispondenza del meridiano più stretto. Si può notare come in una lente di questo tipo la sagittale del meridiano più stretto (cilindro) sia di valore superiore a quella del meridiano più piatto. Anche in questo caso ridurremo lo spessore al bordo nel meridiano verticale utilizzando un mandrino decentrante fisso. 9