VIII
Otto
o
Domenica 12 dicembre 2010
Cultura, personaggi e miti dell’Irpinia
«La facevano da padroni la “f’sina” (grossa anfora)
dialetti
in cui venivano conservati “li curnciedd’ a l’acit”
(i peperoni sott’aceto) e “r’ damigian’” (le damigiane)»e tradizioni
il detto
trapassato presente
e abitazioni dei contadini irpini erano tutte molto simili. Si
c o ntraddistinguevano per le
condizioni igieniche e sanitarie prec arie, per i pavimenti
consunti e sconnessi e per le
pareti talmente annerite dal
fumo da no n far vedere le mac c hie di
muffa. La stanza più impo rtante era la
c uc ina, arre d ata umilme nte c o n una
madia, per fare e conservare il pane, una
“buffetta” (tavo lo stretto e lungo ) e co n
sedie impagliate e sgangherate. C’erano,
inoltre, “lu stip” (la credenza) che conteneva piatti di terracotta e bicchieri “p’ ru
susolije” (per il rosolio), “lu scann’” (sgabello) su cui di solito sedevano i bambini,
“lu cascett’ e lu cascion’” (contenitori di
legno che servivano per conservare farina, grano e cereali).
Fra i vari utensili appesi alle pareti c’erano “la sc h’ c ummaredda, lu c uo pp e la
p ale tta r’ le v’ na” ( la s c hiumaro la, il
mesto lo e la p aletta d i legno ) . Mo lto
usato era “lu murtal’” (mortaio) che serviva per pestare pepe e pepero nc ini. Il
caffè, se e quando c’era, veniva macinato
“’ndà lu mac’niedd’” (nel macinino ) che
era c o mpo sto da una sc ato la di legno
dotata di manico, in cui venivano inseriti
i chicchi, e da un piccolo cassetto da cui
si prelevava la polvere ottenuta. Il focolare era il punto nodale della famiglia. Esso
o
Sul fuoco appesi alla pertica
venivano stesi ad asciugare
“sal’sicchije, cut’chin, subbursat’, capcuoll’, putt’rnedda”
era utilizzato no n so lo c o me luo go di
ritro vo e per sc aldarsi, ma anc he c o me
fornello per cucinare. Racconta vicino al
fuo c o Carulina Vic inzieddr’”fac emm’ Na
bo tta a lu c hingh' e una a lu tumbagn'.”
fac evamo Una bo tta a "lu c hingh" è un
recipiente di terraco tta per fare la pizza
di granone e una allo spianatoio per fare
la pasta a mano.
Sul fuo c o appesi alla pertic a venivano
stesi ad asciugare “sal’sicchije, cut’chin,
subbursat’, c apc uo ll’, putt’rnedda” (salsic c e, c o tec hini, so ppressate, c apic o lli,
pancetta). Accanto ai ceppi, tutto il giorno ribo lliva “la pignata” (pignatta) nella
quale si cucinavano fagioli, ceci, cotiche e
castagne, mentre direttamente sulla fiamma veniva posizionato “lu trebb’t” (treppiedi) che sosteneva “lu tian” (pentola di
c o c c io ) s ul fuo c o . Se il fo c o laio e ra
costruito ad arte, oltre al camino vero e
pro prio , tro vavano po sto altre aperture
che servivano per posizionare “lu callar’”
(c aldero ne di rame) nel quale venivano
preparati “la salza, lu suff’ritt’” (la passata di po mo do ro , il so ffritto di maiale) e
altre lec c o rnie c he venivano c o nsumate
quando i commensali erano tanti.
«“Riceva z’ Nicola Sitara” irreparabile
era la disgrazia per una famiglia quando
moriva il capo famiglia»
Quann’ era viv’ tata
Quando era vivo papà
scemm’ addret’ addret’
andavamo indietro indietro
mo ca eia muort’ tata
adesso che è morto papà
sciam’ annanz’ annanz’.
andiamo avanti avanti.
attrezzi
per la vita
«Fra i vari utensili appesi alle pareti c’erano
“la sch’cummaredda, lu cuopp e la paletta r’ lev’na”
(la schiumarola, il mestolo e la paletta di legno).
Molto usato era “lu murtal’” (mortaio) che serviva
per pestare pepe e peperoncini. Il caffè, se
e quando c’era, veniva macinato “’ndà lu
mac’niedd’” (nel macinino) che era composto da
una scatola di legno dotata di manico, in cui
venivano inseriti i chicchi, e da un piccolo cassetto
da cui si prelevava la polvere ottenuta. Il focolare
era il punto nodale della famiglia. Era
utilizzato non solo come luogo di ritrovo e per
scaldarsi, ma anche come fornello per cucinare.
Racconta vicino al fuoco Carulina
Vicinzieddr’”facemm’ Na botta a lu chingh' e una a
lu tumbagn'.” facevamo Una botta a "lu chingh" è un
recipiente di terracotta per fare la pizza di granone
e una allo spianatoio per fare la pasta a mano»
o
di MARIANGELA CIORIA E TERESA LAVANGA
Nel ripostiglio piccolo ma ben areato, che
serviva da deposito per le provviste invernali, la fac evano da padro ni la “f’sina”
(grossa anfora) in cui venivano conservati
“li curnciedd’ a l’acit” (i peperoni sott’aceto) e “r’ damigian’” (le damigiane) che contenevano il vino. Sulle mensole trovavano
posto “buccacc’” (barattoli) pieni di ogni
ben di dio, dai sott’oli, alle “amaren’ sott’
spirt’” (amarene conservate sotto l’alcool)
e “maciott’l r’ cas’” (forme di formaggio),
mentre al soffitto venivano appesi “cas’cavadd” (caciocavalli) e “v’ssich cu la ‘nzogna” ( ve s c ic he d i maiale c o nte ne nte
sugna).
Le altre stanze, se c’erano, erano situate o
al piano di sopra o accanto alla cucina. Il
più delle volte come camera da letto per i
figli si usava il sottotetto, rifugio anche per
i to p i ( c he ve nivano c atturati “ c u lu
mastriedd”), che d’estate era caldissimo e
d’inverno gelido. Gli abiti venivano appesi
ai chiodi che si trovavano dietro le porte,
mentre la bianc heria veniva piegata e
rip o sta in ap p o site c assap anc he . La
camera da letto dei genitori, che veniva
regalata dai genitori della sposa in occasio ne del matrimo nio , era arredata c o n
un grande letto in cima al quale si trovava un quadro della madonna o un crocifisso, due sgangherati comodini, “r’ culnett’ ”, e un armadio . Spesso però , gli
uomini d’estate dormivano nelle capanne
e d’ inverno nella stalla, respirando la
stessa aria delle vacche, dell’asino e dei
maiali. Ogni casa, aveva sempre una sola
po rta, spesso pic c o lina, detta “purtedda”, e pic c o le finestre, per evitare la
dispersione di calore. Accanto alla casa,
se essa era c o struita un po ’ fuo ri dal
paese, si trovavano il pollaio, il pozzo, il
forno per cuocere il pane e “lu pagliar’”
(il pagliaio). Nel pagliaio, o nella stalla, si
trovavano di solito gli attrezzi che veni-
a Trevico
Profumo
di terra
4°posto: del concorso Irpinia Mia
sez. poesia Profumo di Terra di De
Lorenzo Ronca Paola di Avellino
Scivolo ...
verso il ricordo
in un'atmosfera brechtiana
un'aria bigia eppur tersa
si respira
e un profumo sempre nuovo
di terra umida e rimossa
non so se sia la mia ombra
a trascinarsi lenta
su questa landa infinita
che è la vita
a volte però
ma non sempre
nascono impensate
le viole
tra il grigior del niente
e presto da un sorriso
un prato verde ed infinito
nascosta, dietro i vetri,
e un pò furtiva
la mia anima canta
la sua ultima poesia:
fuga verso un tramonto
o eclissi di una vita?
vano usati quo tidianamente in c ampagna: “lu c hiantatur’ ” ( arnese di legno
appuntito , dalla fo rma ad L, usato per
bucare il terreno e poi piantare legumi e
o rtaggi) , “lu rastriedd’” ( rastrello ) , “lu
zappiedd” (pic c o la zappa usata so prattutto nell’orto), “la fal’cia” (la falce), “lu
furcidd’” (piccola forca), “lu fal’cion” (falcione utilizzato per tagliare erba e fieno),
“lu prurend’” (zappa a forma di U usata
p er smuo vere gro sse zo lle d i terra) ,
“l’ann’ttatur’” (spatola di ferro che serviva a pulire l’aratro), “l’arata” (aratro), “lu
chiav’zzull’” (chiave in ferro che serviva
a svitare il falc io ne), “lu sc iuv” (gio go )
che spesso era in legno finemente lavora-
o
Ogni casa, aveva sempre
una sola porta, spesso
piccolina, detta “purtedda”,
e piccole finestre
to e “la varda” ( sella) c he serviva per
mo ntare as ini, muli e “ s c iumme nt’ ”
(cavalli). Diceva zio Nicola della contrada Setaro “Riceva z’ Nicola Sitara” irreparabile era la disgrazia per una famiglia
quando mo riva il c apo famiglia. Infatti
q uand o c ’ e ra il p ad re c ’ e ra anc he il
fuo c o per sc aldarsi. Una vo lta mo rto
bisognava avvicinarsi sempre di più perché la legna scarseggiava.