to Contabile Riclassificazione

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to Contabile Riclassificazione
IL MODELLO DI ANALISI DELLA GESTIONE Indice 1. ANALISI FONDAMENTALE E ANALISI DI BILANCIO 2. ANALISI DI BILANCIO E RICLASSIFICAZIONE 3. L’ANALISI PER AREE DI GESTIONE 1. ANALISI FONDAMENTALE E ANALISI DI BILANCIO Ogni analisi d’impresa ha come obiettivo quello di valutare le condizioni di equilibrio reddituale e finanziario della gestione. L’equilibrio reddituale è essenziale perché da esso dipende la capacità dell’impresa di offrire una adeguata remunerazione ai capitali in essa investiti; tuttavia, in mancanza di condizioni di equilibrio finanziario, sia nel breve che nel medio‐lungo termine, la l’attività dell’impresa non potrebbe svolgersi, dal momento che la disponibilità di mezzi finanziari condiziona lo svolgimento di tutte le operazioni di scambio fra l’impresa e il contesto nel quale essa opera. La valutazione delle due richiamate condizioni trova la sua espressione di sintesi nella determinazione il valore fondamentale dell’impresa. Il valore fondamentale, chiamato anche valore economico del capitale, rappresenta il valore che il mercato riconosce all’impresa in ragione delle capacità che questa ha di funzionare creando ricchezza per i suoi finanziatori. Vari sono i metodi per determinare il valore fondamentale. Il più diffuso, specie nelle valutazioni condotte nei mercati finanziari, è il Discounted Cash Flow (DCF). Il valore del complesso aziendale, in sostanza, è pari al valore attuale dei flussi di cassa che l’impresa genererà in futuro nel corso della sua vita. La formula alla base del DCF è rappresentata, in modo volutamente generico, nella Tavola 1. Come noto, essa si basa sulla determinazione di due componenti del valore: una componente che nasce dall’attualizzazione dei flussi stimati attraverso una previsione analitica condotta su un orizzonte di tempo definito e limitato (di solito cinque anni); una seconda componente, frutto di un processo di previsione sintetica, che si estende, a partire dall’anno successivo all’ultimo anno di previsione analitica, su un orizzonte di tempo indefinito e porta alla determinazione del cosiddetto terminal value. Il processo di attualizzazione viene compiuto basandosi su un tasso di interesse “i” che rappresenta il costo del capitale, ossia quanto un capitale dovrebbe rendere considerato il livello di rischio proprio dell’attività nella quale è investito. I flussi di cassa della previsione analitica vengono attualizzati attraverso tale tasso di sconto, riportandoli al momento in cui la valutazione è operata; i flussi relativi alla previsione analitica vengono, dapprima, attualizzati con riferimento all’anno successivo all’ultimo anno di previsione analitica; successivamente, anche il valore così ottenuto, viene riportato al momento in cui la valutazione è compiuta. Modello di analisi della gestione 2011
Tavola 1 – La determinazione del valore fondamentale Le variabili in gioco ‐ flussi di cassa al numeratore e tassi di interesse al denominatore – sono stimate attraverso la redazione di una serie di bilanci prospettici o pro‐forma. Tuttavia, il futuro affonda le proprie radici nel passato. Le determinanti dei flussi di cassa, sulle quali basarsi per prevedere il futuro, e i livelli di rischio percepiti dagli investitori vanno ricostruiti anche considerando i risultati conseguiti dall’impresa in passato, risultati espressi dai bilanci di esercizio pubblici. In questo senso, l’analisi di bilancio rappresenta un momento essenziale del processo di analisi fondamentale (cfr. tavola 2). Tavola 2 – Il processo di analisi fondamentale L’analisi dei bilanci consuntivi si pone tre obiettivi: • misurare la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa; www.analisidibilancio.it 4 Modello di analisi della gestione 2011
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individuare i fattori dai quali essa dipende (razionale economico); esplicitare le condizioni di rischio legate alla gestione che influenzano il costo del capitale. Il raggiungimento di questi obiettivi passa attraverso lo svolgimento di varie fasi che configurano anche l’analisi dei bilanci consuntivi come un vero e proprio processo (cfr. tavola 3). Tavola 3 – Le fasi dell’analisi di bilancio 2. ANALISI DI BILANCIO E RICLASSIFICAZIONE Nel processo di analisi di bilancio, cruciale è il momento comunemente definito della riclassificazione. E’ qui che i valori contenuti nei prospetti ufficiali di bilancio vengono organizzati in modo da consentire, attraverso l’impiego ulteriori specifiche elaborazioni, di individuare: • le determinanti dei flussi di cassa; • le condizioni di rischio della gestione. Le determinanti dei flussi di cassa e le condizioni rischio dipendono dalle modalità di funzionamento dell’azienda; i dati di bilancio, dunque, devono essere il più possibile esposti in modo tale da riflettere, e consentire di interpretare, il funzionamento di questa. Ai fini della riclassificazione, occorre, pertanto, schematizzare un modello di funzionamento aziendale generale che riconduca i valori contabili alle principali operazioni della gestione (cfr. tavola 4). Tale modello di analisi deve essere generalizzabile, così da poterlo applicare a realtà anche marcatamente differenti. Soprattutto, esso deve essere applicabile a tutti i prospetti contabili così da consentirne una lettura integrata. In tal modo, i dati riclassificati consentiranno www.analisidibilancio.it 5 Modello di analisi della gestione 2011
una più immediata e chiara lettura delle dinamiche economiche, patrimoniali e finanziarie della gestione. L’operazione di riclassificazione, all’atto pratico, richiede un’attenta lettura dei documenti che formano il bilancio ufficiale, specie la sezione narrativa nella quale sono contenute informazioni preziose per comprendere il contenuto e l’origine delle poste contabili. Tavola 4 – Riclassificazione dei valori di bilancio e modello di rappresentazione della gestione 3. L’ANALISI PER AREE DI GESTIONE La complessiva gestione di ogni impresa può essere vista come la risultante di tre gruppi di operazioni: • gestione corrente; • gestione degli investimenti; • gestione dei finanziamenti. La gestione corrente riguarda il ciclo operativo quotidiano. Essa si traduce nelle operazioni di acquisto di fattori produttivi di consumo (es. materie prime), loro trasformazione in prodotti (beni o servizi) e vendita di tali prodotti. Il costante succedersi di tali operazioni configura il ciclo operativo dell’impresa. Fintanto che l’impresa è in funzionamento, il ciclo operativo è sempre attivo e rappresenta il cuore della gestione. Per far funzionare il ciclo operativo occorre, comunque, investire. La gestione degli investimenti si traduce in operazioni di acquisizione di fattori produttivi durevoli, che partecipano ripetutamente al ciclo produttivo, come impianti, macchinari, brevetti ecc.. www.analisidibilancio.it 6 Modello di analisi della gestione 2011
Gli investimenti, tuttavia, possono anche non essere volti alla produzione, ma a ottenere “guadagni” finanziari (investimenti finanziari). L’acquisizione di obbligazioni sul mercato finanziario, ad esempio, va in questa direzione. Si tratta di un impiego di liquidità a fine “speculativo” piuttosto che precipuamente produttivo (cfr. tavola 5). Tavola 5 – La gestione degli investimenti Infine, la gestione dei finanziamenti. Per realizzare gli investimenti, vuoi durevoli che correnti, occorrono capitali finanziari i quali provengono dalla gestione dei rapporti con il mercato finanziario rappresentato sia dai portatori di capitale di credito che di rischio. La gestione dei finanziamenti presuppone non solo operazioni di raccolta, ma anche il servizio di quanto raccolto, sia in termini di remunerazione periodica che di rimborso (cfr. tavola 6). Tavola 6 – La gestione dei finanziamenti www.analisidibilancio.it 7 Modello di analisi della gestione 2011
A ben vedere, il modello delineato può essere reso ancor più “parsimonioso”, riconducendo le attività di gestione dell’impresa a due grandi aree di gestione: a) gestione operativa; b) gestione finanziaria. a) L’area operativa raccoglie le operazioni che determinano scambi con le aree di affari con le quali l’impresa opera. In quest’ottica, la gestione operativa presenta due dimensioni distinte ma complementari: • quella corrente, espressa dal ciclo operativo; • quella strutturale, che si traduce nell’attività di investimento finalizzata alla predisposizione e al continuo adattamento dell’apparato produttivo stabile. Ciclo e struttura sono permanentemente avvinti, l’attività corrente non potendosi svolgere senza il supporto della struttura e la struttura rimanendo inerte senza lo svolgimento del ciclo operativo. b) L’area finanziaria, invece, raccoglie tutte le operazioni di scambio con i mercati finanziari ai quali l’impresa si rivolge. Anche quest’ambito di gestione presenta due profili distinti: • la gestione finanziaria passiva o dei finanziamenti; • la gestione finanziaria attiva o degli investimenti. La gestione finanziaria passiva costituisce il primo e più immediato aspetto della gestione finanziaria. Essa si esprime nelle operazioni di raccolta dei capitali dal mercato finanziario; raccolta alla quale segue il servizio, ossia la remunerazione e il rimborso. I capitali raccolti vengono, anzitutto, impiegati per fronteggiare il fabbisogno finanziario generato dalla gestione operativa, vuoi corrente vuoi strutturale. Una parte di essi, tuttavia, può essere impiegata in investimenti finanziari, ossia investimenti rappresentati da: titoli, partecipazioni, crediti di finanziamento, valute, etc.. L’investimento finanziario risponde a due finalità principali: • assicurare economica mobilità finanziaria all’impresa; • integrare la redditività dell’impresa. La prima finalità si ricollega alla formazione di momentanee eccedenze di liquidità, destinate a essere successivamente impiegate per lo sviluppo dell’attività operativa. Il mantenimento di capitali prontamente disponibili, inoltre, rende più flessibile la gestione dell’impresa, consentendo di fronteggiare eventuali e improvvisi squilibri di liquidità. www.analisidibilancio.it 8 Modello di analisi della gestione 2011
In periodi in cui gli investimenti reali hanno un rendimento inferiore a quelli finanziari e nelle imprese che, strutturalmente, presentano esuberi di liquidità legati al ciclo operativo (vedi ad esempio le imprese della grande distribuzione commerciale) all’accennata finalità si aggiunge quella reddituale, laddove l’investimento finanziario è realizzato con l’intento di generare proventi che integrino i margini derivanti dalla gestione operativa. La chiave di lettura della gestione ora prospettata si riconcilia agevolmente con la precedente, basata sui tre momenti: corrente, degli investimenti e dei finanziamenti. L’elemento che consente la riconciliazione è rappresentato dalla distinzione degli investimenti fra operativi e finanziari (cfr. tavola 7). Tavola 7 – La riconciliazione dei modelli di rappresentazione della gestione Ciò consente di prospettare l’impresa quale trasformatore finanziario che opera come cerniera fra due “mondi”: • le aree di affari nelle quali realizza e vende la produzione che la caratterizza, facendone un’azienda manifatturiera, piuttosto che di servizi o commerciale; • Il mercato finanziario, dal quale attinge le risorse di capitale necessarie per la produzione; risorse che, in varia misura, sono reinvestite in tale mercato mediante l’acquisto di valori mobiliari. 4. DAL MODELLO DI ANALISI DELLA GESTIONE ALLA RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO Il modello di analisi della gestione in precedenza delineato costituisce il criterio guida per compiere la riclassificazione dei valori contenuti nei prospetti di bilancio. Questi, infatti, devono www.analisidibilancio.it 9 Modello di analisi della gestione 2011
essere riaggregati considerando le aree di gestione che ne hanno determinato la formazione; in particolare, si tratta di distinguere fra valori che si sono formati in conseguenza degli scambi con le aree di affari e valori sorti in seguito agli scambi con il mercato finanziario (cfr. tavola 8). La riclassificazione riguarda i valori contenuti nello Stato Patrimoniale e nel Conto Economico. Nel primo caso, si tratterà di suddividere le attività e passività in ragione della loro appartenenza ai diversi della gestione (cfr. tavola 9 a); nel secondo, la suddivisione riguarderà i costi e ricavi di esercizio (cfr. tavola 9 b). Tavola 8 – Valori di bilancio e aree di gestione Tavola 9 – La riclassificazione dei prospetti di bilancio www.analisidibilancio.it 10 Modello di analisi della gestione 2011
11 Lo stesso criterio di riclassificazione interessa anche il rendiconto finanziario, laddove questo documento sia stato redatto seguendo gli schemi dettati dalla prassi contabile; in questo caso, a essere ripartiti per aree di gestione saranno i flussi monetari in entrata e in uscita (cfr. tavola 9 c). Se, invece, il rendiconto non fa parte del fascicolo di bilancio, il modello per aree di gestione costituirà, invece, il riferimento per la costruzione del documento. Applicando la stessa logica di riclassificazione ai tre prospetti contabili, diventa possibile una loro lettura integrata, la sola che riflette il carattere unitario della gestione. www.analisidibilancio.it LA RICLASSIFICAZIONE DELLO STATO PATRIMONIALE Indice 1. LO STATO PATRIMONIALE DI PERTINENZA GESTIONALE 2. LE FINALITA’ CONOSCITIVE DELLO STATO PATRIMONIALE “DI PERTINENZA” 3. IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE E IL FABBISOGNO NETTO DEL CICLO OPERATIVO 3.1. I FATTORI CHE INCIDONO SULLA CONSISTENZA DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE 3.2. IL FABBISOGNO NETTO DEL CICLO OPERATIVO QUALE FABBISOGNO CRUCIALE DELL’IMPRESA 4. IL CAPITALE OPERATIVO INVESTITO NETTO 5. IL CAPITALE INVESTITO NETTO GLOBALE. IL PROSPETTO CAPITALE INVESTITO‐CAPITALE RACCOLTO 6. LA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA 7. LO STATO PATRIMONIALE IN FORMA SCALARE 1. LO STATO PATRIMONIALE DI PERTINENZA GESTIONALE Il modello di riclassificazione dello Stato Patrimoniale comunemente detto di pertinenza gestionale nasce dall’applicazione ai valori patrimoniali del criterio di analisi della gestione per aree presentato nel capitolo 1., In concreto, le poste dello Stato Patrimoniale vengono suddivise e raggruppate in classi distinte in relazione alla loro appartenenza alle aree di gestione identificate. A tal fine, anzitutto, si rielabora il settore delle attività distinguendole per “area gestionale di pertinenza”. La prima distinzione è fra: • attività operative; • altre attività. Le altre attività, per quanto detto in tema di aree di gestione, sono: • attività di natura finanziaria (es. titoli, valute, crediti finanziari); • attività di natura accessoria (es. terreni e immobili non adibiti a uso “industriale”) La seconda distinzione riguarda le attività operative. Queste vengono distinte in: • attività relative alla dimensione strutturale della gestione. Ne costituiscono esempi: immobili industriali, impianti e attrezzature, brevetti e marchi; • attività correlate al ciclo operativo della gestione. La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
Per quanto riguarda queste ultime, si tratta, in sostanza, di elementi patrimoniali presenti nella compagine aziendale in quanto in essa si viene svolgendo il ciclo operativo. In prima approssimazione, questi ultimi sono espressi da: • consistenze delle scorte di magazzino: materie prime, semilavorati, prodotti finiti; • ammontare dei crediti esclusivamente di natura commerciale. Seguendo questa logica, nessuna importanza assume la “durata” dei crediti commerciali. E’, inoltre, evidente come scorte e crediti siano attività che riflettono il ciclo operativo colto in diversi “stadi” del suo svolgimento: nella fase di acquisto (le materie prime); in vari momenti della trasformazione (semilavorati e prodotti finiti); nella fase di vendita (crediti commerciali). Dopo aver rielaborato le attività, si passa a riclassificare il settore della passività. La distinzione fondamentale è fra: • passività operative; • passività finanziarie; • capitale netto. Le passività operative, altrimenti dette “spontanee”, sono costituite da tutti i debiti di “funzionamento” collegabili a dilazioni di pagamento di fattori produttivi, di varia natura, impiegati nella gestione operativa, nonché dagli accantonamenti a fondi rischi e spese e dai debiti che derivano dai rapporti con il fisco. Si usa il termine passività spontanee per sottolineare il fatto che esse si formano come diretta conseguenza dell’acquisizione di fattori produttivi della gestione operativa con pagamento dilazionato secondo gli usi e le condizioni che regolano gli scambi commerciali in determinati settori. Si pensi, ad esempio, ai debiti verso fornitori. Lo stesso vale per i fondi. Questi si vengono formando, nel rispetto delle logiche di rilevazione, come diretta e “automatica” conseguenza dello svolgimento della gestione secondo determinate modalità. Nulla a che fare, dunque, con le passività finanziarie. Queste, infatti, sorgono come diretta conseguenza dell’esplicita negoziazione non già di fattori produttivi ma di denaro. Si pensi, ad esempio, ai mutui passivi. Le passività spontanee si possono, al loro volta, distinguere in: • passività legate al ciclo operativo; • passività legate alla struttura operativa. La passività legate al ciclo operativo sono espresse da debiti conseguenti a dilazioni di pagamento di fattori impiegati nel ciclo operativo. Anche in questo caso, a nulla rileva la lunghezza www.analisidibilancio.it 13 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
della dilazione ottenuta. Conta, piuttosto, l’origine “gestionale”. In prima approssimazione, possono essere individuate nei debiti verso fornitori ordinari, ossia fornitori di materie prime e servizi. Per quanto detto, rientrano in quest’ambito anche quei fondi rischi e oneri concernenti attività del ciclo come, ad esempio, fondi rischi su crediti commerciali e fondi oscillazione cambi relativi a crediti e debiti commerciali. Le passività legate alla struttura operativa sono rappresentate da ogni passività operativa non direttamente legata al ciclo operativo. Si tratta tipicamente di debiti verso fornitori per impianti e di altre passività espresse da fondi rischi e oneri, specie di natura pluriennale, che sono ricollegabili alla gestione operativa ma non direttamente alla sua dimensione corrente. Ne costituiscono esempi il fondo per lavori ciclici di manutenzione degli impianti e, come accennato, il fondo trattamento fine rapporto. Ancorché l’ambito operativo sia quello prevalente, passività spontanee si possono individuare anche in relazione all’area accessoria della gestione. Si pensi, ad esempio, a fondi rischi e oneri inerenti investimenti “accessori” (fondo manutenzione immobili civili). Laddove tali poste siano presenti, esse devono essere opportunamente enucleate, venendo a formare “zone” specifiche e separate del passivo, o, più propriamente, “sub‐zone” della più vasta zona delle passività “spontanee” che si articola, così, in passività spontanee: operative e accessorie. Le passività finanziarie sono costituite da finanziamenti di terzi negoziati sul mercato monetario e finanziario. Si tratta prevalentemente di debiti di finanziamento a breve e a medio lungo termine. Dunque, non dilazioni ottenute, ma denaro “esplicitamente” negoziato. Gli esempi di questa categoria di finanziamenti sono numerosi: • debiti vs. banche ed altri intermediari finanziari; • debiti vs. soci; • prestiti obbligazionari. Infine, il patrimonio netto. Questo resta chiaramente separato dalle altre fonti di finanziamento. Esso, infatti, esprime l’ammontare dei capitali, di pertinenza del soggetto economico, investiti nell’impresa. Anzitutto, dunque, il Capitale Sociale. A ben vedere, anche in questo caso, come nella precedente categoria, si tratta di capitali negoziati “esplicitamente” sul mercato finanziario. Qui, però, il vincolo con il quale tali capitali vengono acquisiti è un vincolo di pieno rischio. Accanto al Capitale Sociale si individuano, poi, i fondi di riserva, il Risultato dell’esercizio ed, eventualmente, quelli di esercizi precedenti non ancora “sistemati” contabilmente. La tavola 1 riassume ed esemplifica il modello di Stato Patrimoniale sin qui sinteticamente descritto. www.analisidibilancio.it 14 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
2. LE FINALITA’ CONOSCITIVE DEL MODELLO “DI PERTINENZA” Sottesa al modello di pertinenza si ritrova una visione dell’impresa quale trasformatore di ricchezza che fa da cerniera” fra due “sistemi ambientali”: • il mercato dei capitali dal quale l’impresa raccoglie le risorse finanziarie; • le Aree Strategiche di Affari (ASA) in cui l’impresa opera investendo i capitali raccolti. Dall’interazione con questi “sistemi” scaturiscono i principali flussi economici e finanziari della gestione d’impresa. E’, infatti, la gestione delle diverse “forze competitive” presenti nelle ASA che determina l’entità degli investimenti da realizzare e, di conseguenza, il vario formarsi di fabbisogni finanziari per coprire i quali occorre rivolgersi al mercato dei capitali, vuoi capitali di credito, vuoi capitali di rischio. Ed è sempre dalla gestione delle ASA che l’impresa ritrae i redditi grazie ai quali offrire congrua remunerazione ai capitali finanziari raccolti, mantenendoli avvinti alla combinazione produttiva, così da permettere la continuazione dell’attività aziendale. Tavola 1 – Le principali zone dello Stato patrimoniale di pertinenza gestionale La tavola 2 cerca schematicamente di esemplificare queste relazioni proiettandole sui valori patrimoniali. www.analisidibilancio.it 15 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
Tavola 2 – Mercati di riferimento e valori patrimoniali 16 Sulla base di una siffatta rappresentazione dell’impresa, emerge in modo evidente il primo, fondamentale, obiettivo conoscitivo del modello di pertinenza gestionale. Le zone individuate consentono, infatti, di mettere in rilievo le principali variabili che influiscono sui fabbisogni finanziari netti dell’impresa riconducibili ai vari gruppi (aree) di operazioni di gestione svolte. Si pensi ad esempio, all’area operativa della gestione. Grazie al modello di pertinenza è immediato individuare lo “specifico” fabbisogno finanziario “lordo” e “netto” derivante da quel determinato gruppo di operazioni di gestione. Il fabbisogno “lordo” è costituito dal totale degli investimenti operativi legati al ciclo (crediti e scorte di magazzino); il fabbisogno “netto” è dato dalla differenza fra il totale di quegli investimenti e i finanziamenti “spontanei” correlati ad essi (fornitori ordinari e fondi specifici). Quest’ultimo fabbisogno indica di quanti soldi ha costantemente bisogno l’imprenditore per svolgere quotidianamente le proprie operazioni di acquisto, trasformazione e vendita. Si tratta, ad evidenza, del fabbisogno finanziario più importante. Il ruolo dello stato patrimoniale di pertinenza ai fini dell’analisi del fabbisogno finanziario si può comprendere meglio passando a osservare i principali margini che vengono ottenuti aggregando le zone individuate. Per questo, la determinazione dei margini rappresenta l’evoluzione naturale, o meglio obbligata, del prospetto riclassificati. 3. IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE E IL FABBISOGNO NETTO DEL CICLO OPERATIVO Il primo, fondamentale, margine che si può determinare impiegando il modello di pertinenza è il Capitale Circolante Netto commerciale (CCNc). Tale margine è uguale alla differenza fra le www.analisidibilancio.it La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
attività e passività legate al ciclo operativo. Questo aggregato ha un significato ben preciso: esprime la consistenza del fabbisogno finanziario netto derivante dal ciclo operativo (cfr. tavola 3). Per comprendere questa affermazione, si consideri la logica seguita nella costruzione dello stato patrimoniale di pertinenza dal quale il CCNc deriva direttamente. Le attività esprimono investimenti, ossia impieghi di capitale. Esse, pertanto, misurano la consistenza del fabbisogno finanziario (FF) “lordo” dell’impresa, il fabbisogno finanziario, cioè, che si manifesta indipendentemente dall’ammontare di qualsiasi delle fonti utilizzate per coprire tale fabbisogno. In questo quadro, le attività legate al ciclo operativo esprimono quegli investimenti suscitati specificamente dallo svolgimento della gestione operativa corrente. In altre parole, se non venisse svolto il ciclo, non ci sarebbe la formazione delle scorte di magazzino né dei crediti verso i clienti. Quindi, non vi sarebbe un FF dovuto all’impiego di denaro in quegli investimenti. Di contro, le passività “spontanee” indicano in che misura il FF lordo si riduce grazie alle dilazioni di pagamento ottenute dai fornitori e simili. Nella misura in cui i fornitori consentono di “non pagare” i fattori impiegati nel ciclo, il FF del ciclo effettivamente da affrontare si riduce. Tavola 3 – CCNc e fabbisogno finanziario corrente Di conseguenza, la differenza fra attività e passività operative legate al ciclo non può che esprimere il FF netto della gestione operativa corrente, ossia l’ammontare di capitali che l’impresa deve “autoprodurre” (autofinanziamento) o raccogliere direttamente sul mercato, da banche e azionisti se vuole regolarmente svolgere il proprio processo di “acquisto‐trasformazione‐vendita”. Tenuto conto del suo particolare significato, il CCNc può assumere anche segno negativo senza che ciò si debba valutare come sintomo di squilibrio. Quando il CCNc è negativo, infatti, www.analisidibilancio.it 17 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
significa che il ciclo operativo non solo non determina fabbisogni finanziari ma, anzi, produce disponibilità monetarie. Si pensi, ad esempio, al ciclo operativo di un supermercato. Le caratteristiche della gestione fanno sì che: la consistenza dei crediti commerciali sia molto esigua (tendenzialmente nulla); anche la consistenza delle scorte sia contenuta, puntando su acquisti frequenti per il rinnovo delle giacenze; di contro, data la notevole forza contrattuale, si può contare su ampie dilazioni strappate ai fornitori. Avremo, pertanto, passività legate al ciclo operativo di importo superiore a quello delle attività legate a tale ciclo. Quindi, non un fabbisogno finanziario ma, al contrario, un surplus di mezzi monetari temporaneamente a disposizione dell’impresa. Temporaneamente, in quanto tali mezzi si renderanno necessari al momento di “saldare” i fornitori. 3.1. I FATTORI CHE INCIDONO SULLA CONSISTENZA DEL CCNc Per interpretare l’ammontare e la dinamica del CCNc è necessario individuare i fattori dai quali queste dipendono. A questo fine, occorre prendere le mosse dai fattori che concorrono a definire le condizioni e le modalità di svolgimento del ciclo operativo, atteso che da tale ciclo il CCNc trae la sua origine. In questa prospettiva, il ciclo operativo può essere compiutamente “descritto” sulla base di due fondamentali ordini di fattori che si riflettono nei valori di bilancio: a) il volume di attività realizzato attraverso il ciclo. Esso trova espressione nel volume delle vendite e nei correlati volumi di acquisti e consumi dei diversi fattori impiegati per la produzione; b) le politiche commerciali e produttive adottate dall’impresa. Queste trovano espressione: b1) nella durata delle dilazioni concesse ai clienti; b2) nell’ammontare delle scorte di materie prime, ritenute necessarie per il regolare svolgimento dei processi di produzione (tenuto conto delle modalità tecniche secondo cui questi si svolgono), e nella consistenza delle giacenze di prodotti finiti, considerati i tempi di rifornimento del mercato; b3) nella durata delle dilazioni ottenute/concesse dai fornitori. Un semplice esempio numerico aiuterà a comprendere meglio il ruolo dei fattori individuati. L’impresa A, nel corso del suo primo esercizio di vita, realizza il seguente volume di attività: ƒ ƒ fatturato € 1200; 1
ƒ costo variabile del venduto € 900; 2
ƒ consumi di materie prime € 300; 1) Ossia, un “costo del venduto” formato dai soli costi di: materie prime, alcuni servizi (come le “lavorazioni presso terzi”) e manodopera diretta. www.analisidibilancio.it 18 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
ƒ costi per servizi € 190. 19 Le politiche commerciali e produttive adottate sono le seguenti: ƒ dilazione di pagamento concessa ai clienti pari a giorni 60; ƒ scorte di prodotti finiti (PF) pari alle vendite di giorni 30; ƒ scorte di materie prime (MP) pari alla produzione ottenuta di giorni 60;3 ƒ dilazione di pagamento ottenuta dai fornitori pari a giorni 60. Sulla base di questi dati è agevole ricavare la consistenza del CCNc. n Anzitutto, i crediti verso clienti. Se l’attività dell’impresa non ha carattere stagionale, possiamo ipotizzare che il fatturato di € 1200 venga realizzato in modo sostanzialmente uniforme durante l’anno, ossia € 100 ogni mese. Di conseguenza l’ammontare dei crediti mediamente da riscuotere sarà pari a € 200 (le vendite di 2 mesi). Volendo tradurre il ragionamento in una formula di generale applicabilità avremo: (fatturato/360) x giorni di dilazione concessi ai clienti o Discorso analogo per determinare la consistenza delle scorte di magazzino. Come noto, queste sono valorizzate al costo. Le scorte di prodotti finiti si possono valorizzare al costo variabile del venduto, il quale include i diversi oneri direttamente sostenuti per ottenere i prodotti finiti attraverso il ciclo trasformativo (materie, manodopera diretta, spese per alcuni servizi, lavorazioni presso terzi, ecc.). Le scorte di materie, invece, sono valorizzate in base al loro “nudo” costo di acquisto. Di conseguenza, se il costo variabile del venduto è di € 900 all’anno, il costo di produzione delle vendite di un mese di prodotti sarà pari a € 75 (900:12). Quindi, il valore di costo delle scorte corrispondenti a un mese di vendite di prodotti finiti ammonterà a € 75. Volendo tradurre il ragionamento in una formula di generale applicabilità avremo: (costo del venduto/360) x giorni di giacenza scorte prodotti finiti Analogamente se il costo dei consumi di materie prime per la produzione di un anno è di € 300, il costo delle materie relative alla produzione di un mese sarà pari a € 25 (300:12). Quindi, il 2) Si tratta, qui, dei consumi relativi alla produzione “ottenuta”. I consumi di materie, infatti, si possono esprimere in relazione alla produzione “ottenuta” o rispetto alla produzione “venduta”. Se l’impresa ha incrementato le scorte di prodotti, i consumi della produzione ottenuta saranno superiori a quelli relativi alla produzione venduta. 3) La consistenza delle scorte di materie può essere proporzionata ai consumi legati alla produzione venduta o a quelli relativi alla produzione ottenuta.
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valore di costo delle scorte corrispondenti a due mesi di produzione ammonterà a € 50. Volendo tradurre il ragionamento in una formula di generale applicabilità avremo: (consumi di materie prime/360) x giorni di dilazione scorte materie prime p Infine, i debiti verso fornitori. Per calcolare la consistenza dei debiti verso fornitori occorre rifarsi al valore degli acquisti dell’anno (o del periodo di riferimento). L’ammontare degli acquisti sarà dato da:4 MP acquistate e consumate nella produzione + MP acquistate e messe in scorta5 + servizi Gli acquisti complessivi del periodo ammontano, dunque, a € 540 di cui: MP acquistate e “consumate” nella produzione pari a € 300; MP acquistate per “costituire la scorta di magazzino” pari a € 50; servizi impiegati nei processi aziendali pari a € 190. Pertanto, ipotizzando un flusso di acquisti regolare durante l’anno, gli acquisti mensili saranno pari a € 45 (540:12). Dunque, l’ammontare dei debiti verso fornitori mediamente da pagare sarà pari a € 90 (ossia, gli acquisti di 2 mesi). Volendo tradurre il ragionamento in una formula di generale applicabilità avremo: (acquisti /360) x giorni di dilazione ottenuti dai fornitori Di conseguenza, sulla base delle ipotesi formulate, avremo la formazione di un CCNc pari, in media, a € 235.6 4) Per una corretta quantificazione del debito medio verso fornitori, il valore degli acquisti deve comprendere non solo gli acquisti di MP e/o merci, ma anche quello dei “servizi” impiegati nei processi aziendali. Anche questi, infatti, possono dar luogo a dilazioni di pagamento concesse dai fornitori. Nel nostro esempio, i costi per servizi sono supposti pari a 190. 5) Se rimuoviamo l’ipotesi di essere nel “primo esercizio di attività”, occorre considerare la “variazione” delle scorte, ossia la differenza fra rimanenza iniziale e rimanenza finale di MP. Inoltre, qualora i consumi impiegati nei calcoli fossero quelli relativi alla produzione “ottenuta”, in presenza di scorte di PF, sarebbe necessario aggiungere al valore delle MP acquistate e consumate nella produzione venduta anche il valore di quelle acquistate e consumate nella produzione della variazione delle scorte di PF. 6) Per impiegare le formule presentate nel testo al fine di una corretta quantificazione del CCNc, occorre considerare anche l’ipotesi secondo la quale una parte degli acquisti (ad esempio, il 15%) è negoziata in contanti, e la rimanente con termini di pagamento diversificati (ad esempio: 50% a 30 giorni, 50% a 90). In questi casi, l’adattamento della formula di calcolo è agevole. Si considerino i valori proposti nel testo, ossia acquisti per € 540. I calcoli della “consistenza fornitori” dovrebbero allora riguardare solo l’85% degli acquisti, cioè circa € 460. Di queste, € 230 sono negoziate a 30 giorni, e le altre € 230 a 90 giorni. Quindi, applicando l’ultima formula avremo: € 19,16 + € 57,50 = € 76,66 complessivi di debiti verso fornitori. www.analisidibilancio.it 20 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
Partendo da questi dati, possiamo ora verificare gli effetti, sulla consistenza del CCNc, prodotti da variazioni delle ipotesi formulate in merito ai due fattori causali indicati, e cioè: ƒ volume di attività; ƒ politiche commerciali e produttive. Ipotizziamo, anzitutto, modifiche nel volume di attività, ovvero che il fatturato raddoppi in quantità e così anche, per semplicità di ipotesi, il correlato “costo variabile del venduto” nonché il costo delle MP “consumate” per la produzione. Supponiamo invece che le politiche commerciali adottate restino le stesse. Come conseguenza, ripercorrendo i calcoli in precedenza proposti, il CCNc passerà da 235 a € 470. Da qui, una prima conclusione di notevole rilievo pratico: aumenti del fatturato, a parità di politiche commerciali, determinano proporzionali aumenti del CCNc, ossia del fabbisogno finanziario legato al ciclo operativo. La conclusione, apparentemente ovvia, non lo è per molte piccole imprese. Queste accolgono con grande soddisfazione ogni segnale di crescita, anche repentina, del fatturato, salvo poi trovarsi a gestire un fabbisogno finanziario che cresce in misura imprevista ed altrettanto rapida. Alla luce di queste circostanze, appare utile sintetizzare la relazione che lega variazioni del fatturato e consistenza del CCNc, ferme le politiche commerciali. Tale relazione può essere sintetizzata dal rapporto: CCNc/fatturato Questo indice viene denominato aliquota di circolante. Come è facile intuire, esso offre indicazioni semplici ed immediate per impostare le rilevazioni preventive tipiche dei processi di “programmazione”. Attraverso l’aliquota di circolante, infatti, è possibile predeterminare, con buona approssimazione, la consistenza di CCNc, e quindi del FF operativo corrente, che l’impresa dovrà coprire qualora realizzi i livelli di fatturato ipotizzati. Nello stesso senso, l’aliquota costituisce un interessante strumento di indagine dei dati del bilancio ufficiale anche per l’analista “esterno” impegnato a valutare le condizioni economico‐
finanziarie prospettiche dell’impresa. In questo caso, tuttavia, l’impiego dell’aliquota richiede alcune cautele. Infatti, i dati consuntivi, esposti nel bilancio ufficiale, possono presentare valori, delle fondamentali variabili che compongono il CCNc, influenzati da fattori contingenti. Tali fattori indeboliscono la correlazione esistente fra la consistenza del CCNc e i livelli di fatturato, correlazione questa che sta alla base della determinazione dell’“aliquota” e del suo impiego in ottica prospettica. Si pensi, ad esempio, alla consistenza dei crediti commerciali. Questa può risultare “gonfiata” dalla presenza di crediti “incagliati” o aventi una sostanziale natura di crediti finanziari. Ancora, si consideri il caso di giacenze di magazzino che sono il riflesso di un’occasionale manovra speculativa. E’ di tutta evidenza che, in questi casi, la relazione fra un determinato livello Il discorso vale, ovviamente, anche per la quantificazione dell’ammontare dei crediti verso clienti. Qui è il fatturato che in parte viene incassato in contanti ed in parte secondo scadenze di pagamento diversificate.
www.analisidibilancio.it 21 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
di fatturato ed una data consistenza di un componente del CCNc non è significativa e, quindi, destinata a non ripetersi in futuro secondo un determinato rapporto. Pertanto, onde dare maggior fondamento ai calcoli, la determinazione dell’aliquota dovrebbe essere compiuta ricorrendo non tanto al CCNc consuntivo, espresso dai dati di bilancio, quanto al CCNc “normalizzato” ossia un CCNc quale sarebbe in assenza delle condizioni di disturbo accennate. A questo fine, le tecniche utilizzabili per ricostruire il CCNc normalizzato sono diverse. Di particolare efficacia si rivela l’uso di diagrammi di dispersione e di metodi di regressione semplice e multipla. Tutto ciò richiede, comunque, un’attenta analisi dei dati consuntivi, della tecnologia di base dell’impresa e delle concrete modalità di svolgimento del suo ciclo operativo. Guardiamo, ora, all’effetto esercitato dalle politiche commerciali. Supponiamo che, fermo il fatturato a € 1200, cambino le politiche commerciali adottate dall’impresa. Le nuove politiche commerciali e produttive siano ora le seguenti: ƒ dilazione di pagamento concessa ai clienti: giorni 90; ƒ scorte di magazzino PF pari a giorni 60; ƒ scorte di magazzino MP pari a giorni 90; ƒ dilazione di pagamento ottenuta dai fornitori: giorni 30. Anche in questo caso è immediato verificare che il CCNc passerà da 235 a 480. Quindi, a parità di fatturato, variazioni nelle politiche commerciali determinano variazioni aumentative (o diminutive) nella consistenza del CCNc. Nel nostro esempio, più clienti, più scorte e meno fornitori non possono, infatti, significare altro che più fabbisogno finanziario derivante dal ciclo operativo. 3.2. IL FABBISOGNO NETTO DEL CICLO OPERATIVO QUALE FABBISOGNO CRUCIALE DELL’IMPRESA Gli esempi riportati segnalano la peculiarità del fabbisogno finanziario espresso dal CCNc e spiegano perché esso rivesta un’importanza decisiva nell’economia di ogni impresa. Si tratta, infatti, di un fabbisogno che subisce continue variazioni che sono l’immediata e diretta conseguenza delle scelte inerenti la quotidiana attività dell’imprenditore. Ciò lo differenzia da altri fabbisogni come, ad esempio, quello strutturale derivante dagli impianti. Quest’ultimo, infatti, è un fabbisogno, diciamo così, “una tantum” e non più modificabile nel breve termine. E’, quindi, chiaro che, nel breve termine, l’unica strada per ridurre le esigenze finanziarie dell’impresa e alleggerire il peso del costo dei debiti è quella di contenere il capitale circolante. In particolare, bisogna aver presente che gli aumenti del fatturato, specie se alimentati, come spesso avviene, da politiche commerciali “aggressive”, basate su invitanti dilazioni di pagamento offerte ai clienti, lungi dal ridurre i problemi finanziari dell’impresa, tendono ad accrescerli. Si determina, www.analisidibilancio.it 22 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
infatti, uno sviluppo ipertrofico del CCNc, ossia del fabbisogno finanziario legato al ciclo operativo, indicato con il termine tecnico di overtrading. Di conseguenza se l’impresa non è in grado di coprire questo maggior fabbisogno, possono essere guai anche seri. Si parla, in proposito, di morte per troppo successo! Alla luce di quanto osservato, la determinazione e l’analisi del CCNc si presentano molto utili in sede di analisi e programmazione della dinamica finanziaria. Attraverso questo margine, infatti, è possibile sapere quanti soldi sono necessari per far andare avanti il “ciclo operativo” in relazione a determinati livelli di fatturato e a certe scelte di approvvigionamento e di gestione del magazzino, tenuto conto delle dilazioni concesse alla clientela e accordate dai fornitori. Nello scegliere le vie da seguire per la copertura del fabbisogno finanziario espresso dal CCNc, è comunque necessaria una più approfondita analisi delle caratteristiche di tale fabbisogno. Ragionando sui fattori che incidono sul CCNc (volume di attività e politiche commerciali/produttive), non può allora sfuggire che il CCNc presenta, al suo interno, due componenti (cfr. tavola 4): a) una componente durevole; b) una componente fluttuante. Tavola 4 – La componente durevole e fluttuante del CCNc a) La componente durevole è riconducibile a determinati livelli “minimi” di condizioni economico‐tecniche di svolgimento del ciclo operativo. I livelli “minimi” in parola sono riconducibili a politiche commerciali in linea con i vincoli economici e tecnici posti dalle condizioni competitive dell’area di affari in cui l’impresa opera e con i vincoli tecnici del processo produttivo attuato. Si pensi, anzitutto, alle scorte di magazzino. La durata della giacenza di magazzino, e la correlata consistenza delle scorte, non è manovrabile ad www.analisidibilancio.it 23 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
libitum da parte dell’imprenditore. Produzioni la cui realizzazione richieda numerose e protratte lavorazioni, determinano tempi lunghi nel passaggio dalla materia prima al prodotto finito e, quindi, alla vendita. Ciò necessariamente comporta un allungamento dei tempi medi di giacenza dei semilavorati nei magazzini ed un accumulo di scorte. Analogamente, tempi lunghi di consegna da parte dei fornitori impongono all’impresa di costituire volumi di scorte di MP tali da evitare di lasciare a secco il processo trasformativo. Dello stesso tenore sono le considerazioni relative alla durata, e dunque alla consistenza, dei crediti commerciali. Questa è condizionata vuoi dalla forza che i clienti sono in grado di esercitare sull’impresa, vuoi dalle politiche commerciali adottate dalle altre imprese concorrenti. Trenta giorni in meno di dilazione concessa ai clienti possono si significare meno CCNc, e quindi meno fabbisogno finanziario da coprire, ma anche la perdita di fette critiche di fatturato. Infine, i fornitori. Qui è ancora in gioco la forza che l’impresa è in grado di esercitare su questi ultimi. Ma ciò che più conta è il peso dei “costi dilazionabili” nell’economia del processo produttivo. Un’impresa il cui processo produttivo presenti una struttura dei costi caratterizzata da scarsi consumi di materie e servizi e da largo impiego di lavoro e impianti, ben poco giovamento potrà trarre, ai fini di contenere il CCNc, dall’allungamento dei “giorni fornitori”. Infatti, i costi sui quali la dilazione fornitori può “agire” costituiscono solo una quota modesta degli impegni finanziari sostenuti nel ciclo operativo dall’impresa. Dati questi presupposti, alla componente durevole del CCNc si associa un fabbisogno finanziario costante il quale non può essere ulteriormente “compresso” (ridotto) senza danneggiare il cuore dell’operatività dell’impresa. b) Questo ragionamento non vale per la componente “fluttuante” del CCNc. Essa è infatti dovuta a: espansioni temporanee del fatturato legate a condizioni di mercato favorevoli o fenomeni di stagionalità; politiche commerciali e/o produttive di massima convenienza economico‐tecnica; si pensi ad esempio al caso di un’espansione del magazzino dovuta ad ingenti acquisti legati allo sfruttamento di condizioni di mercato favorevoli. Oppure a maggiori dilazioni di pagamento concesse nel caso di ordini più profittevoli della media. La componente fluttuante, dunque, origina un fabbisogno finanziario variabile e comprimibile, almeno temporaneamente, senza minare le condizioni minime di equilibrio economico. Le “leve” sulle quali agire per operare l’accennata compressione sono da rintracciare nei fattori determinanti la consistenza del CCNc: fatturato e politiche commerciali. Da quanto osservato appare, dunque, evidente che la liquidità dell’impresa è legata anche alla possibilità di comprimere, almeno per un certo periodo di tempo, il volume del CCNc. www.analisidibilancio.it 24 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
4. IL CAPITALE OPERATIVO INVESTITO NETTO Il CCNc non è l’unico margine che può essere costruito avvalendosi dei dati di uno Stato Patrimoniale riclassificato secondo la logica “di pertinenza”. Ve ne sono molti altri che meritano tutta l’attenzione dell’analista di bilancio. E ciò perché è solo grazie ad essi che si rendono disponibili grandezze di fondamentale importanza per articolate ed approfondite analisi sia di redditività, sia finanziarie. Anzitutto, proprio partendo dal CCNc, è possibile pervenire a un più ampio margine sempre incentrato sui valori dell’area operativa della gestione: il Capitale Operativo Investito Netto (COIN). In concreto, il COIN si calcola così: CCN commerciale
più
investimenti legati alla struttura operativa
meno
altre passività operative non legate al ciclo
operativo
Il significato di questo margine è evidente. L’aggregato esprime il volume complessivo degli investimenti richiesti dalla gestione operativa al netto delle passività spontanee complessive suscitate dalla stessa gestione operativa, ossia al netto non solo dell’indebitamento verso fornitori, ma anche di tutti gli accantonamenti legati alla gestione operativa (TFR; fondi spese; fondi rischi). Si veda la tavola 5. Il COIN, dunque, esprime il fabbisogno finanziario netto totale riconducibile alla gestione operativa; quindi, fabbisogno legato al ciclo operativo più fabbisogno legato alla struttura operativa. 5. IL CAPITALE INVESTITO NETTO GLOBALE. IL PROSPETTO CAPITALE INVESTITO‐CAPITALE RACCOLTO Partendo dal COIN, si giunge facilmente a quantificare il capitale investito netto globale (CIN). Questo, infatti, è uguale a: COIN
più
investimenti finanziari
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Si tratta di un aggregato che esprime il complesso dei capitali globalmente investiti nell’impresa al netto delle fonti di finanziamento indirette. Quindi, sia capitali impiegati nella gestione operativa sia capitali impiegati nella gestione finanziaria attiva e nella eventuale gestione accessoria. Tavola 5 – Le componenti del capitale operativo investito netto Una volta determinato il capitale investito netto globale, è possibile ricostruire uno schema di Stato Patrimoniale capace di mettere in evidenza: - da un lato, il capitale complessivamente impiegato nelle diverse gestioni dell’impresa al netto di finanziamenti spontanei; - dall’altro, il capitale raccolto sul mercato finanziario, ossia raccolto presso “terzi”, sia con vincolo di debito che con vincolo di rischio (finanziamenti, cioè, non spontaneamente legati ai processi di gestione, ma specificamente negoziati sul “mercato”). In sostanza, lo Stato Patrimoniale può essere riconfigurato come nella tavola 6. Il prospetto “capitale investito‐capitale raccolto” è il presupposto per approfondire l’analisi delle scelte di politica finanziaria dell’impresa. I valori che formano il capitale raccolto, infatti, permettono di affinare l’esame della struttura finanziaria dell’impresa sotto i due fondamentali aspetti: ƒ grado di indebitamento; ƒ costo dell’indebitamento. www.analisidibilancio.it 26 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
Quanto al grado di indebitamento, il capitale raccolto comprende solo finanziamenti espressamente “negoziati” dall’impresa, ossia finanziamenti sui quali è possibile esercitare una deliberata manovra di politica finanziaria. In altre parole, si tratta di quelle fonti la cui consistenza e la cui composizione sono largamente il risultato di precise e deliberate scelte di gestione. Non fanno parte del capitale raccolto le passività sulle quali l’impresa non ha o ha scarsa possibilità di influire in termini di entità e composizione. Tavola 6 – Il prospetto capitale investito‐capitale raccolto Quanto al costo dell’indebitamento, l’aggregato capitale raccolto si focalizza su passività che, non solo sono “manovrabili”, rispetto alle quali, cioè, l’impresa può esercitare una scelta, ma sono anche “esplicitamente” onerose. L’attenzione è, dunque, su quelle fonti di finanziamento dalle quali dipende fondamentalmente il peso degli oneri finanziari sull’economia dell’impresa. In altre parole se si vuole impostare un’azione volta ad agire consapevolmente sul costo della provvista, è a questo complesso di fonti di capitale che bisogna guardare. Atteso che le diverse passività finanziarie, in relazione alla loro durata temporale, non hanno la stessa onerosità, un’approfondita analisi del costo delle scelte di indebitamento presuppone di considerare anche la composizione dell’indebitamento finanziario. E’ questo il presupposto per misurare separatamente il concorso, alla formazione del costo del denaro, delle passività a breve e delle passività a medio termine. Ovviamente, quando si parla di finanziamenti a breve termine e a medio‐lungo termine, si guarda non alla “durata residua” delle partite di debito, ma alla loro “durata originaria”. Infatti, una quota di mutuo in scadenza nell’esercizio successivo resta, nella sua “sostanza”, sempre un debito negoziato secondo le condizioni tipiche dei debiti a medio‐lungo termine e come tale, quindi, deve essere considerata. www.analisidibilancio.it 27 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
In quest’ottica, il capitale raccolto può essere utilmente ripartito fra: ƒ indebitamento finanziario a breve; ƒ indebitamento finanziario a medio termine. Alla luce di questa ripartizione è possibile valutare compiutamente il grado di aggressività della struttura finanziaria. Una struttura finanziaria è aggressiva quando presenta uno sbilanciamento verso passività di breve termine. L’aggressività deriva dalla supposta attitudine di tale struttura a cogliere le diverse opportunità di finanziamento di volta in volta offerte dal mercato al tasso migliore. 6. LA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA L’indebitamento finanziario svolge un ruolo cruciale nell’economia dell’impresa. Da esso derivano gli oneri finanziari che si manifestano nel Conto Economico. Esso, inoltre, si propone in sostituzione dei debiti commerciali, conferendo elasticità finanziaria alla gestione dell’impresa. L’indebitamento finanziario, quindi, deve essere attentamente controllato, valutando il generale contesto di solvibilità nel quale viene a inserirsi. A questo fine, però, occorre guardare alla presenza, fra le attività patrimoniali, di investimenti finanziari. Questi sono, almeno potenzialmente, investimenti a rischio più contenuto di quelli di natura operativa. Si tratta infatti, di investimenti fungibili, in varia misura, trasformabili in moneta, specie se negoziabili su mercati regolamentati. In questo senso, se si vuole quantificare l’indebitamento finanziario di un’impresa, onde misurare il rischio gravante su di esso, è allora logico procedere a esprimere tale indebitamento al netto degli eventuali investimenti finanziari. Infatti, l’indebitamento, per la parte idealmente corrispondente ad attività finanziarie, può essere annullato aspettando la naturale scadenza di tali attività oppure mediante l a loro cessione sul mercato o anche agli stessi creditori. E’ in questo quadro, che si propone il calcolo della Posizione Finanziaria Netta (PFN). La PFN può assumere diverse configurazioni (cfr. tavola 7). La configurazione più generale (posizione finanziaria netta complessiva) nasce dalla differenza fra il totale delle passività finanziarie e quello delle attività finanziarie. Nella prospettiva della copertura assicurata all’indebitamento, tuttavia, è più prudente distinguere fra attività finanziarie liquide o prontamente liquidabili e tutte le altre a più lunga scadenza o di più difficile monetizzazione. Solo le prime vengono sottratte all’indebitamento. Anche guardando all’indebitamento, però, è evidente che la funzione di copertura assicurata dalla liquidità esistente al termine di un dato esercizio riguarda tipicamente i debiti a breve scadenza, gli altri dovendo trovare copertura nella liquidità che si formerà successivamente, all’approssimarsi della loro scadenza. Si giunge, così, a configurare una posizione finanziaria netta a breve termine, frutto della differenza fra la liquidità e l’indebitamento finanziario a breve. Sommata ai restanti www.analisidibilancio.it 28 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
debiti a medio‐lungo termine, la posizione finanziaria netta a breve termine concorre a configurare l’ammontare dell’indebitamento netto. Tavola 7 – Le diverse configurazioni di posizione finanziaria netta Il calcolo della PFN si ricollega al mutato ruolo della funzione finanziaria nell’impresa: non solo procacciamento di capitali, ma anche gestione autonoma di investimenti finanziari (es. titoli, valute) sia per assicurare condizioni di “mobilità” (flessibilità) finanziaria alla gestione, sia per integrare la redditività. È soprattutto guardando a quest’ultima finalità che la determinazione della PFN assume particolare rilievo: ƒ nei periodi durante i quali la redditività degli investimenti reali è inferiore a quella degli investimenti finanziari; ƒ nelle imprese che, per le caratteristiche della loro gestione, presentano costantemente esuberi di liquidità. Si pensi, ad esempio, alle imprese che operano nel settore della grande distribuzione. Per queste, l’investimento in attività finanziarie è una fonte di redditività che spesso supera quella della stessa gestione operativa. 7. LO STATO PATRIMONIALE IN FORMA SCALARE A conclusione di questa “carrellata” di margini, ancora una volta si conferma, in modo inequivocabile, l’idea secondo la quale la “rielaborazione dei documenti di bilancio” rappresenta una vera e propria fase di “analisi delle condizioni economico‐finanziarie dell’impresa” e non un mero lavoro preparatorio all’analisi. La costruzione delle zone e la formazione dei margini, infatti, pone l’analista di fronte a una www.analisidibilancio.it 29 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
molteplicità di scelte ognuna delle quali apre determinate opportunità di analisi della gestione. Quindi, non è ricorrendo ad astratti schemi precodificati, ma è avendo ben chiare le finalità conoscitive specificamente perseguite, che si possono operare riclassificazioni realmente utili e significative per comprendere strutture e modalità di funzionamento di ogni impresa. I margini ottenuti seguendo la logica delle aree di gestione, in particolare, una volta “messi in fila”, forniscono un quadro immediato: • della natura e composizione del fabbisogno finanziario dell’impresa, da un lato; • delle fonti alle quali si è fatto ricorso per la copertura di esso, dall’altro. Infatti: • il CCNc indica il fabbisogno del ciclo operativo al netto dei finanziamenti spontanei; • gli investimenti operativi strutturali, al netto del TFR e di altre passività legate alla gestione operativa (es. debiti vs. fornitori per impianti), esprimono la consistenza del fabbisogno finanziario imputabile alla creazione dell’apparato produttivo dell’impresa; • entrambi i margini segnalano il fabbisogno finanziario netto dovuto all’intera gestione operativa. Aggiungendo a questo fabbisogno la consistenza degli investimenti finanziari e accessori (entrambi al netto delle rispettive, eventuali, passività spontanee) otteniamo il complessivo fabbisogno finanziario della gestione vista nelle sue aree fondamentali. Tale fabbisogno trova copertura nel ricorso a determinate “dosi” di: • capitale proprio; • mezzi di terzi negoziati nelle forme tecniche del credito a breve termine e a medio‐
lungo termine. Questa chiave di lettura dei margini dello Stato Patrimoniale “di pertinenza” è stata ritenuta essenziale anche dall’ASSONIME (Associazione fra le Società Italiane per Azioni). Dal gennaio del 1989, con la circolare n. 12, infatti, tutte le società quotate in Borsa venivano invitate ad accompagnare i propri bilanci con la redazione di un prospetto come quello riportato alla tavola 8. Si tratta, ad evidenza, di un prospetto da interpretare seguendo la logica sin qui delineata, pur con alcune differenze. Conoscere il prospetto Assonime, o suoi derivati, e saperlo leggere è di grande utilità per ogni operatore economico. Infatti, buona parte delle analisi economico‐
finanziare di singole imprese presentate nella pubblicistica specializzata sono accompagnate da un prospetto intitolato: “Fabbisogno di capitale e sua copertura”. www.analisidibilancio.it 30 La riclassificazione dello Stato Patrimoniale 2011
Tavola 8 – Fabbisogno di capitale e sua copertura (prospetto Assonime) A. IMMOBILIZZAZIONI NETTE*
Imm.ni materiali (-f.do amm.to)
Imm.ni immateriali (-f.do amm.to)
Imm.ni finanziarie
B. CAPITALE D’ESERCIZIO
Rimanenze di magazzino
Crediti commerciali
Altre attività
- Debiti commerciali
Fondi per rischi e oneri
Altre passività
C. Capitaleinvestitodedottele
passivitàd’esercizio(A+B)
D. TFR
E. FABB. NETTODI CAPITALE(C–D)
F. CAPITALEPROPRIO
Capitale sociale
Riserve da conferimenti
Riserve da utili
Utile (perdita) dell’esercizio
G. INDEBITAMENTOFIN. NETTO
Debiti finanziari a m./l. termine
Indebitamento finanziario netto a
breve termine (oppure disponibilità
liquide nette)
H. TOTALE (F–G) =E
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