ElevaMente al Cubo

annuncio pubblicitario
CARLO DARIOL
CORSO DI
MECCANICA QUANTISTICA
che si basa sugli appunti del prof. Lubicz dell’Università Roma 3
Sommario
Introduzione
p. 4
1. Crisi della fisica classica
p. 5
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
1.6.
1.7.
1.8.
La fisica classica
Lo spettro di corpo nero
L’effetto fotoelettrico
L’effetto Compton
Onde o particelle?
La struttura dell’atomo
L’atomo di Bohr
Test ed esercizi
2. I principi della meccanica quantistica
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
Esperimenti di interferenza con pallottole, onde ed elettroni
La matematica della MQ
Il principio di indeterminazione
I principi della MQ.
La MQ e gli integrali sui cammini
Test ed esercizi
IL FORMALISMO GENERALE DELLA M. Q.







p. 25
p. 40
L’esperimento di Stern e Gerlach
Esperimenti di Stern e Gerlach ripetuti
Vettori di stato bra e ket. Principio di sovrapposizione
Operatori. Rappresentazioni matriciali e relazione di completezza
Esempio: vettori di stato, operatori e rappresentazioni matriciali per
particelle di spin ½
Operatori, osservabili e valori di aspettazione
Autovalori e autovettori di osservabili
1




Autovettori di osservabili come vettori di base
Autostati dell’operatore di posizione, misure di posizione e funzione d’onda
Operatore impulso. Autostati e autofunzioni
Evoluzione temporale degli stati. Equazione di Schrödinger.
3. L’equazione di Schrödinger e sistemi quantistici
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
3.5.
3.6.
3.7.
3.8.
L’equazione di Schrödinger
Osservabili e operatori
La particella libera
La buca di potenziale infinita
La barriera di potenziale e l’effetto tunnel
Due esempi dell’effetto tunnel
L’oscillatore armonico
L’atomo di idrogeno
Test ed esercizi
4. I lavori originali: 1925-1927
4.1.
4.2.
p. 83
I lavori più significativi del biennio
Test ed esercizi
5. Il momento angolare
5.1.
5.2.
5.3.
5.4.
5.5.
p. 88
Simmetrie e leggi di conservazione
Momento angolare orbitale e spin
Quantizzazione del momento angolare
Composizione dei momenti angolari
Test ed esercizi
6. I nuovi fenomeni, sviluppi e interpretazioni
6.1.
6.2.
6.3.
6.4.
6.5.
6.6.
6.7.
6.8.
p. 64
Particelle identiche
Il principio di esclusione di Pauli
Probabilità e variabili nascoste
Il collasso della funzione d’onda
Gli stati entangled
Le disuguaglianze di Bell
Difficoltà interpretative della meccanica quantistica
Conclusioni
2
p. 102
INTRODUZIONE
Argomento di studio di questo corso è la MECCANICA QUANTISTICA. Essa
descrive la materia e la luce (radiazione) in tutti i suoi aspetti, in particolare per quanto
riguarda i fenomeni microscopici, che avvengono cioè su scala atomica.
La meccanica quantistica, dunque, sostituisce le leggi della fisica “classica”
(meccanica ed elettromagnetismo) nella descrizione più accurata della natura.
Descrivendo il comportamento dei sistemi microscopici, la meccanica quantistica
descrive fenomeni completamente diversi da quelli ai quali ci ha abituato l’esperienza. In
questo risiede la principale difficoltà che incontriamo nel “capire” la meccanica
quantistica. Formalmente, la matematica che entra nella formulazione delle leggi
quantistiche non è più complessa di quella richiesta nelle leggi classiche (è la matematica
delle onde e degli spazi vettoriali complessi).
Lo sviluppo della meccanica quantistica ha rappresentato, insieme a quello della
relatività, una rivoluzione scientifica nel XX secolo. Per quanto riguarda la meccanica
quantistica, questo è dovuto non solo all’introduzione di leggi nuove ma anche e
soprattutto al carattere di queste nuove leggi. In particolare, le leggi quantistiche non
sono deterministiche nel senso classico, cioè non possono prevedere gli eventi che
occorreranno nell’evoluzione di un sistema fisico, ma solo le probabilità con cui diversi
eventi potranno occorrere. E questa caratteristica non è determinata da una nostra
conoscenza incompleta del sistema fisico (come nel lancio di un dado, dove le variabili
che entrano in gioco sono numerosissime) o dalla teoria stessa, ma è intrinseca nel
mondo fisico. Non esistono “variabili nascoste”, come diversi fisici hanno per lungo
tempo ipotizzato.
3
4
Cap. 1
LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA
Per illustrare meglio il percorso che ha condotto allo sviluppo della meccanica
quantistica, ricordiamo sommariamente qual era la situazione della fisica classica, ossia la
fisica conosciuta prima del ’900. A quell’epoca i fisici ritenevano di avere ormai
compreso le leggi fondamentali in grado di spiegare, almeno in principio, qualunque
fenomeno fisico. Nel giro di pochi anni si trovarono nella necessità di cercare nuovi
fondamenti per la fisica.
Ma per capire la portata della rivoluzione è il caso di fare il punto su quella che era
la fisica (la fisica classica!) fino a quel momento.
1.1. La fisica classica
La fisica classica è la fisica di Newton, grazie al quale si era giunti alla formulazione
completa delle leggi del moto (meccanica) che nel 1686 pubblica la sua F = ma, e di
Maxwell, che nel 1865 pubblica le sue famose quattro equazioni.
L’equazione di Newton è un’equazione differenziale: può essere “integrata”:
conoscendo posizione e velocità delle componenti del sistema fisico in un istante è
possibile conoscere posizione e velocità di ogni particella in ogni altro istante. In questa
possibilità risiede il carattere deterministico della meccanica classica. Una tale concezione
è alla base di una visione deterministica della storia del mondo, quale sarà compitamente
espressa da Pierre Simone de Laplace (Essai philosophique sur les probabilites, 1814):
“Possiamo considerare lo stato attuale dell’universo come l’effetto del suo passato e la
causa del suo futuro. Un intelletto che a un determinato istante dovesse conoscere tutte
le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni di tutti gli oggetti di cui la
natura è composta, se questo intelletto fosse inoltre sufficientemente ampio da
sottoporre questi dati ad analisi, esso racchiuderebbe in un’unica formula i movimenti
dei corpi più grandi dell'universo e quelli degli atomi più piccoli; per un tale intelletto
nulla sarebbe incerto e il futuro proprio come il passato sarebbe evidente davanti ai suoi
occhi”.
Nota l’equazione del moto, compito della fisica diventa lo studio delle forze. Quali
sono le forze fondamentali per la fisica classica? Lo stesso Newton comprende la
GRAVITAZIONE UNIVERSALE descritta dalla formula
F G
Mm
. Le altre due
d2
forse note, quella ELETTRICA e quella MAGNETICA, dovettero aspettare due secoli
per essere unificate, da Maxwell, nelle sue celebri equazioni nel 1865. Forza elettrica e
forza magnetica non sono che due aspetti dello stesso fenomeno e si evidenziano a
seconda del sistema di riferimento dal quale vengono osservati. Le equazioni di Maxwell
mostrano inoltre come i campi elettrico e magnetico si propaghino mediante onde
5
elettromagnetiche, di cui la luce (visibile) non è che un esempio in un particolare
intervallo. Questo risultato sembrava porre fine all’antica diatriba circa la natura
corpuscolare od ondulatoria della luce. La prima, sostenuta dallo stesso Newton, era
stata messa fortemente in crisi dall’osservazione, in particolare nel corso del 1700, dai
fenomeni prettamente ondulatori, quali l’interferenza e la diffrazione della luce. È del
1801 il famoso esperimento di Young della doppia fenditura. La risposta,
apparentemente definitiva, era stata fornita dalla teoria di Maxwell (destinata tuttavia ad
essere messa nuovamente in discussione nei primi anni del ’900).
Le altre due forze (che oggi conosciamo ma che nel 1900 erano sconosciute) sono
la forza DEBOLE (responsabile del decadimento radiattivo) e la forza FORTE (che
tiene uniti i nuclei degli atomi), che lavorano alla scala atomica dei nuclei.
Alla fine dell’800 i fisici pensavano di aver scoperto sostanzialmente tutto. Sì, è
vero, c’erano dei piccoli problemi: la velocità della luce predetta da Maxwell, ad esempio,
era c 
1
 0 0
, una costante, mentre avrebbe dovuto essere una velocità relativa al
sistema di riferimento, e perciò ci si chiedeva in quale sistema fossero valide le equazioni
di Maxwell (oggi sappiamo – dalla Teoria della relatività – che sono valide in ogni
sistema, ma allora questo era un piccolo problema); non si riusciva a spiegare la curva di
radiazione di corpo nero, né l’effetto fotoelettrico, né gli spettri discontinui di emissioni
e assorbimento dei vari atomi… Ma parevano piccoli problemi, destinati a essere risolti
di lì a poco.
Più in generale, nel periodo che va dalla fine del XIX secolo ai primi anni del XX,
una serie di risultati sperimentali, riguardanti fenomeni che avvengono su scala atomica,
portarono a una crisi della fisica classica. L’interpretazione di questi risultati richiese un
cambiamento radicale nelle concezioni e nelle leggi della meccanica quantistica.
Discuteremo di seguito alcuni di questi risultati che evidenziarono, in particolare, le
proprietà corpuscolari della radiazione e, per contro, proprietà ondulatorie della materia.
Scriveva Albert Abraham Michelson (colui che stava lavorando alla ricerca del
vento d’etere), nel 1903, in Le onde luminose e loro usi: “Le leggi e i fatti fondamentali delle
scienze fisiche sono stati tutti scoperti e sono ora così fortemente stabilite che la
possibilità che vengano soppiantati in conseguenza di nuove scoperte è estremamente
remota.”
Ma appena tre anni prima Planck aveva dato una soluzione per la radiazione di
corpo nero che sarebbe stata destinata a rivoluzionare la fisica.
1.2. Lo spettro di corpo nero
Un corpo nero è… un oggetto nero! Ebbene, una rivoluzione scientifica nascerà dallo
studio del corpo nero.
La radiazione che giunge su un corpo può essere TRASMESSA, RIFLESSA,
ASSORBITA.
6
Il colore degli oggetti, ad esempio, dipende dalle frequenze che vengono riflesse. Un
oggetto verde ci appare tale perché riflette le frequenze del verde e assorbe le altre. Un
corpo nero è un corpo che assorbe completamente la radiazione incidente.
Un CORPO RISCALDATO può a sua volta emettere radiazione: quando metto
la mano vicino a un ferro da stiro caldo sento del calore: quel calore è radiazione.
Per ciascun corpo nero si possono definire due funzioni:
- il potere assorbente A( ; T ) ci dice quale % viene assorbita della
frequenza ω alla temperatura T; essa dipende dalla forma e dal materiale di
cui è costituito il corpo.
- il potere emissivo E (; T ) dà la quantità di radiazione emessa. Anch’essa
dipende dalla forma e dal materiale di cui è costituito il corpo
Tali funzioni dipendono dalla forma dell’oggetto, dal materiale… ma una cosa
E (; T )
 u (; T ) non dipende dalla
A(; T )
forma e dal materiale di cui è costituito il corpo: questa funzione u (; T ) è una funzione
nota dal 1860 (legge scoperta da Kirchhoff) era che
universale, cioè è la stessa per tutti i corpi, indipendentemente dalla forma e dal materiale
del corpo. Per il corpo nero è A(; T )  1 . Dunque la funzione universale u (; T ) coincide
con il potere emissivo E (; T ) del corpo nero.
Come si studia il corpo nero?
Una cavità con un forellino che lascia entrare della radiazione elettromagnetica e non la
lascia più uscire, per cui tutta la radiazione risulterà assorbita (e raggiungerà una
situazione di equilibrio) si comporta come un corpo nero. Ed è questo l’esempio da cui
partiamo.
Il potere emissivo del corpo nero coincide con la distribuzione della densità di
energia della radiazione elettromagnetica in equilibrio termico all’interno di una cavità a
temperatura T.
7
Il problema nello studio del potere emissivo del corpo nero era rappresentato
dalla discrepanza tra le osservazioni sperimentali e la descrizione teorica
Lo studio secondo i principi della fisica classica aveva portato Rayleigh e Jeans a
elaborare una formula
2
u (; T )  2 3 K B T
 c
che rappresenta correttamente i dati sperimentali solo per le frequenze piccole
(mentre per le frequenze grandi tale densità tende a esplodere, fenomeno noto
come “catastrofe ultravioletta”).
Wilhelm Wien aveva scoperto (1893) che la frequenza corrispondente al
massimo dello spettro era direttamente proporzionale a T (formula di Wien:
 max  T , o anche: maxT  const ) e aveva elaborato una formula empirica
u(;T )  C 3e


T
che presentava un massimo in corrispondenza della legge da lui trovata e che funzionava
molto bene per le grandi frequenze… … ma non per le piccole.
Né la formula classica di Rayleigh-Jeans né la formula empirica di Wien (che pure
presentava il suo massimo in posizione corretta) descrivevano la distribuzione spettrale
del corpo nero nella regione delle frequenze intermedie
Finalmente, nel 1900, mediante una interpolazione tra la formula di
Rayleigh-Jeans e quella di Wien, Planck suggerì la formula corretta:

u (; T )  2 3 
 c
3
e

K BT
1
che risultava in perfetto accordo con le misure sperimentali assumendo per la “costante
di Planck” il valore  
h
 1,055  1034 Js
2
8
È immediato verificare che la formula di Planck nei limiti di basse e alte frequenze
ripropone correttamente gli andamenti già noti

u ( ; T )  2 3 
 c
3
e

K BT

1
2
K T
 2c3 B
(  K BT )  R  J

 3e K BT
2 3
 c
(  K BT )  Wien
 
Il perfetto accordo della sua formula con i dati sperimentali indusse Planck a cercare una
spiegazione teorica. Per comprendere la spiegazione trovata da Planck è utile discutere
prima la derivazione della formula di Rayleigh-Jeans ottenuta utilizzando le leggi della
fisica classica. Abbiamo già anticipato che la formula di R-J non poteva comunque essere
corretta perché conduce a una densità di energia totale (integrata su tutte le frequenze)
infinita (“catastrofe ultravioletta”).


K T
E (T )   u ( , T )d  2B 3   2 d  
R J  c
0
0
La formula classica di Rayleigh-Jeans era derivata calcolando il numero di modi normali
di oscillazione della radiazione elettromagnetica con frequenza compresa tra ω e ω+dω e
associando a ciascun modo una energia media KT (in accordo con la legge classica
dell’equipartizione dell’energia).
Discutiamo la derivazione di entrambi questi risultati.
Calcoliamo il numero di modi normali di oscillazione della radiazione
elettromagnetica con frequenza compresa tra ω e ω+dω.
Un’onda che si propaga nella direzione x con vettore d’onda kx è descritta dalla
funzione exp(ikxx). Se consideriamo per il campo elettromagnetico nella cavità con
volume finito condizioni al bordo periodiche, allora il vettore d’onda kx è soggetto alla
condizione
eikx x  eikx ( x L )  eikx L  1  k x 
2
n con n  0,1,2,...
L
dove L è la lunghezza del volume nella direzione x. Il numero dnx di modi normali di
oscillazione con vettore d’onda kx compreso tra kx e kx+dkx è allora:
dnx 
L
dkx
2
Consideriamo le 3 direzione spaziali del vettore d’onda e il fatto che per
ciascun’onda di vettore k esistono 2 gradi di polarizzazione indipendenti, otteniamo per
il numero totale di oscillazioni con frequenza compresa tra ω e ω+dω il valore
 2 
V
2
3
2
dn  2 
d k  V 3 4k dk  V  2 3 d
( ck )
(2 )3
8
 c 
9
Il primo fattore che entra nella formula di Rayleygh-Jeans,
2
 2c 3
, rappresenta
dunque il numero di modi normali di oscillazione della radiazione, per unità di
volume, compresa tra ω e ω+dω.
Dimostriamo ora come il secondo termine, KBT, rappresenti secondo la fisica
classica l’energia media di ciascun oscillatore del campo.
La parte della fisica che ci insegna come calcolare l’energia di un sistema
termodinamico in equilibrio alla temperatura T è la MECCANICA STATISTICA. Dato
un gas a una certa pressione, confinato in un certo volume a una certa temperatura,
quando si ha a che fare con un numero enorme di particelle le leggi della fisica si
semplificano perché ci basta calcolare la velocità media per calcolare l’energia media.
Secondo la meccanica statistica, la probabilità che un sistema mantenuto in
equilibrio termico alla temperatura T si trovi in uno stato S corrispondente a un’energia
ES è data da
ES
1  K BT
p ( ES )  e
Z
dove Z, detta funzione di partizione, è l’opportuna costante di normalizzazione
della probabilità:
Z  e

ES
K BT
S
La sommatoria è estesa qui a tutti i possibili stati microscopici del sistema.
Da quanto detto segue anche che l’energia media del sistema, mantenuto in
equilibrio alla temperatura T, è data da
ES

1
E   p( ES )  ES   Es e KBT
Z S
S
Applichiamo ora questi concetti per calcolare l’energia media di un oscillatore
armonico unidimensionale in equilibrio alla temperatura T. L’Hamiltoniana (l’energia
totale) dell’oscillatore è
p2 1
H
 m 2 x 2
2m 2
e la “somma sugli stati” dell’oscillatore è un integrale su tutti i possibili valori di impulso
e posizione:
    dpdx
S
L’energia media dell’oscillatore è allora (avendo posto   1 )
K BT
10
 2

    p  1 m 2 x 2 
 2m 2



E 
e

e


e

p2
2m

e

e
 p2 1

  
 m 2 x 2 
 2m 2

p2
dp
2m
p2

2m
 S 2
 p2 1


 m 2 x 2 dpdx
 2m 2



e
dpdx
1
  m 2 x 2
2
 
e
dp
1
m 2 x 2 dx
2
1
  m 2 x 2
2

dx
S 2 dS



2

 2  
 2
ln  e  S dS  
  
 S 2

e
dS


 2



1
ln

ln    K BT

 

Troviamo dunque il risultato cercato: E  K BT
Moltiplicando questa energia media di ciascun oscillatore per il numero di
oscillatori si ottiene la formula di Rayleigh-Jeans.
Come ricavò Planck la sua formula?
Ci conviene riscrivere la formula trovata da Planck nel modo seguente:
2
u (; T )  2 3 
 c

e

K BT
1
In questo modo il primo termine è identico al primo termine della formula di RayleighJeans e (ricordiamolo!), dato che un campo elettromagnetico si può pensare come una
serie di oscillatori che oscillano sulla frequenza ω, il primo termine ci dice quanti
sono gli oscillatori che oscillano con frequenza nell’intervallo ;     per unità di
volume, mentre il secondo termine (un’energia) deve rappresentare l’energia
media di ogni oscillatore.
11
IPOTESI DI PLANCK. Planck trovò che la sua formula per lo spettro di corpo
nero poteva essere derivata assumendo che l’energia associata con ciascun modo del
campo elettromagnetico non variasse con continuità, come predetto dalla fisica classica,
ma fosse un multiplo intero di un “quanto” minimo di energia ε, legato alla frequenza ω
del modo normale da
    hf
per cui l’energia poteva assumere solo i valori E n  n  nhf con n numero
naturale, e costante di proporzionalità
h  6,626  1034 Js

h
 1,055  1034 Js
2
Era un’ipotesi rivoluzionaria, estranea alla fisica classica, per la quale invece
l’energia varia con continuità; eppure con questa ipotesi si riproduceva la curva
sperimentale corretta.
Le unità di h, cioè J e s, sono unità tipicamente macroscopiche. Ma qui compare
un fattore 10–34 : sulle scale macroscopiche i quanti di energia sono estremamente piccoli!
Era naturale che non si fossero mai osservati, e nemmeno rilevati, anche a scale
microscopiche.
Per Rayleigh e Jeans valor medio dell’energia degli oscillatori è K BT ; del resto è
facile capire che cosa significa: se gli oscillatori sono piccole molle con 2 gradi di libertà,
quello è il valore che si ricava ricordando la formula dell’energia media di una molecola:
E 
f
K BT .
2
[Nota: la funzione della costante di Boltzmann in tutte queste formule è quella di
convertire le unità di temperatura in unità di energia.]
Per Planck il numero di oscillatori è lo stesso, ma cambia l’energia media
di un oscillatore che viene tenuto in equilibrio alla temperatura T. E per
calcolarlo, con la nuova ipotesi, ricorriamo ancora alla meccanica statistica.
Dato un gas a una certa pressione, confinato in un certo volume a una certa
temperatura,
En
1  K BT
P( E n )  e
Z
dove Z   e

En
K BT
dà la probabilità che il gas abbia energia En …
è la funzione di partizione.
n
Qual è la probabilità che il sistema abbia una energia En  K BT ? È bassa assai.
12
la probabilità che il sistema abbia energia En  K BT ?
1
P( En  K BT )  , dunque assai elevata. Si intuisce che l’energia media deve stare
e
intorno al valore  K BT
Per la meccanica classica abbiamo visto che Z era un integrale, perché l’energia
assume valori continui. Per Planck invece, assumendo l’energia quantizzata, Z diventa
una sommatoria:
Qual
è

E   E n P( E n ) 
n
1
Z

 n  e n 
0
 n  e 
 n
0

e 
 n

     n 
ln  e

  0

0
 
 
1


 e

ln



  1  e    1  e   e    1
Questa energia media, moltiplicata per il numero di modi normali per unità di
volume con frequenza compresa tra ω e ω+dω conduce alla formula di Planck.
Lo spettro del corpo nero sembrava dunque indicare che la radiazione elettromagnetica
si comporta come se fosse costituita da un insieme di quanti di energia con energia hf.
L’origine di questo comportamento sembrava ancora oscura. Il passo successivo,
che contribuirà a chiarire la conclusione di Planck, si ebbe cinque anni dopo, con
l’interpretazione fornita da Einstein dell’effetto fotoelettrico.
Quando, quasi due decenni dopo, a Planck venne dato il Nobel del 1918 per aver
elaborato la legge della radiazione di corpo nero (il premio però non gli fu assegnato
quell’anno, in quanto nel 1918 l’Accademia Svedese ritenne di non dover premiare
nessuno, bensì l’anno successivo per l’anno precedente, cosa possibile per regolamento)
questo fu il discorso che il fisico pronunciò a Stoccolma in occasione della premiazione:
13
1.3. Effetto fotoelettrico
L’effetto fotoelettrico, scoperto nel 1887 da Hertz, può essere riassunto nel modo
seguente:
1. quando una superficie metallica viene investita da un’onda luminosa può emettere
elettroni;
2. l’emissione o meno di elettroni dipende dalla frequenza della luce incidente. In
generale esiste una soglia (che varia da metallo a metallo) per cui solo frequenze
maggiori della soglia producono la corrente fotoelettrica;
3. l’intensità della corrente, quando esiste, è proporzionale all’intensità della
radiazione luminosa;
4. l’energia dei fotoelettroni è indipendente dall’intensità della luce ma varia
linearmente con la frequenza della luce incidente.
Classicamente, l’effetto fotoelettrico risultava inspiegabile. Secondo l’elettrodinamica classica, infatti, l’energia trasportata da un’onda elettromagnetica è proporzionale
all’intensità dell’onda, ed è indipendente dalla frequenza. Non è possibile pertanto
spiegare perché l’effetto abbia una soglia dipendente dalla frequenza e perché l’energia
dei fotoelettroni dipenda dalla frequenza.
La spiegazione venne fornita da Einstein nel 1905 utilizzando il concetto di
natura quantistica (corpuscolare) della luce. Per spiegare l’effetto fotoelettrico, Einstein
partì dall’ipotesi che la radiazione luminosa è costituita da quanti di energia ħω
(=hf ) dove ω è la frequenza della luce.
L’assorbimento da parte di un elettrone del metallo di un singolo quanto di luce, o
fotone, come venne in seguito chiamato, accresce l’energia dell’elettrone di una quantità
ħω. Una parte di questa energia, W, detta funzione lavoro, deve essere spesa per
separare l’elettrone dal metallo. Questa energia varia da metallo a metallo.
L’energia restante è disponibile come energia cinetica dell’elettrone fotoemesso.
La conservazione dell’energia nel processo implica pertanto la seguente relazione
tra la velocità v dell’elettrone e la frequenza ω della luce
1 2
mv    W
2
14
La presenza di una soglia e la relazione tra energia dell’elettrone e frequenza sono
contenute in questa formula.
La proporzionalità tra corrente fotoelettrica e intensità della sorgente luminosa
può essere spiegata in termini di quantità di luce: una sorgente di luce più intensa emette
più fotoni e questi, a loro volta, liberano più elettroni.
La correttezza della formula di Einstein venne verificata in una serie di
esperimenti, in particolare da Millikan. L’effetto fotoelettrico venne così a costituire
una delle forti evidenze sperimentali a favore della natura corpuscolare della luce.
Supporre l’esistenza di fotoni/quanti spiega anche la radiazione di corpo nero.
L’ipotesi che la luce fosse costituita di particelle era però rivoluzionaria: riapriva
una questione che sembrava chiusa definitivamente con Maxwell a favore dell’ipotesi
ondulatoria.
Nessuno, inizialmente, neanche Planck, credette all’ipotesi di Einstein. E anche
quando ad Einstein venne dato il Nobel (nel 1921), l’Accademia svedese glielo assegnò
“per aver trovato la formula che spiega l’effetto fotoelettrico”, non per averlo spiegato.
Poi che fu dato il Nobel ad Einstein per la formula dell’effetto fotoelettrico,
l’Accademia Svedese ritenne di doverlo dare anche a Hertz, che l’effetto aveva per primo
scoperto, e che ricevette il Nobel nel 1925.
1.4. Effetto Compton
L’effetto Compton (1922) è forse il fenomeno fisico che più di ogni altro ha fornito
un’evidenza diretta della natura corpuscolare della luce.
Compton scoprì che la radiazione di una certa lunghezza d’onda (nella regione dei raggi
X), fatta incidere su di un foglio metallico, veniva diffusa con una lungheza d’onda
differente dalla lunghezza d’onda dell’onda incidente, e la differenza delle lunghezze
d’onda dipendeva dall’angolo di diffusione.
Secondo l’elettrodinamica classica, la diffusione della luce è dovuta
all’irraggiamento da parte degli elettroni atomici, che vengono posti in oscillazione
forzata dalla luce incidente. In questo caso la lunghezza d’onda della luce diffusa è
15
prevista essere uguale alla lunghezza d’onda della luce incidente, e l’intensità ha una
2
dipendenza dall’angolo θ di diffusione data da ( 1  cos  ) (Scattering Thomson).
Lo spostamento osservato nella lunghezza d’onda della luce diffusa venne
spiegato da Compton considerando la radiazione incidente come un fascio di fotoni di
energia ħω. I singoli fotoni vengono diffusi elasticamente dai singoli elettroni.
Dimostrazione della formula
Poiché i fotoni viaggiano alla velocità della luce, dobbiamo ricorrere alle formule
della meccanica relativistica.
2
2 2
Dalla formula relativistica E  p c  E0 (invariante relativistico) ricaviamo
2
4
2 2
che l’energia di una particella è E  m0 c  p c
Per l’elettrone in quiete è p=0
da cui
2
E = m0 c2, energia a riposo
E 
 k ,
Per i fotoni è m0 = 0,
da cui
E = pc,
da cui p  
c
c
che può anche essere scritta in forma vettoriale come p = ħ k, dove k è il vettore d’onda.
La conservazione dell’energia impone
  m0 c 2   ' m0 c 4  p ' 2 c 2
2
mentre la conservazione dell’impulso impone

 
k  k ' p '
L’unica incognita è p’, che vado a isolare in entrambe le equazioni e quindi ad
eliminare: dalla prima ottengo

p'2 c 2  m0 c 4     'm0 c 2
2

2
mentre nella seconda, isolato p’, trovo il modulo quadro di ciascun vettore a destra
e a sinistra dell’uguale moltiplicandoli scalarmente per sé stessi (e poi moltiplico per c2):



 2 2
 2 2
 p' c  k  k ' c  2 2  2'2 22 ' cos
Due rapidi passaggi porgono quindi
16
  ' 

 ' (1  cos )
m0 c 2
da cui, dividendo per ωω’, e ricordando che è   kc 
 ' 
2c


1



, si ottiene
2c
h
(1  cos )
m0 c
che esprime lo spostamento della lunghezza d’onda del fotone diffuso, λ’, in termini
della lunghezza d’onda del fotone incidente λ. Questa previsione risultò in perfetto
accordo con i dati sperimentali.
La quantità
h
e 2 c
1
10
12
C 
 2


2


r


2
.
4

10
cm

2
.
4

10
m
0
2
2
m0 c

me c e
è detta LUNGHEZZA D’ONDA COMPTON (le due frazioni corrispondono la
prima a r0, raggio classico dell’elettrone, e la seconda al valore 137, reciproco della
costante α di struttura fine).
L’interpretazione da parte di Compton dell’effetto che da allora prese il suo nome
fornì l’evidenza definitiva del comportamento corpuscolare della luce. Da quel momento
tutti credettero alla natura corpuscolare della luce. Poiché la radiazione elettromagnetica
presenta anche proprietà ondulatorie, e dà luogo a fenomeni di interferenza e
diffrazione, questi risultati dovevano portare a un radicale cambiamento delle leggi
classiche.
1.5. Onde o particelle? (Diffrazione degli elettroni)
17
BREVE STORIA DELLA LUCE
 Christiaan Huygens, 1690: la luce è onda, i raggi di luce si attraversano.
 Isaac Newton, 1704: la luce è composta di particelle (l’ipotesi non è però
giustificata).
 Thomas Young, 1804: l’esperimento di interferenza da doppia fenditura mostra
chiaramente e definitivamente che la luce è onda!
 James Clerk Maxwell, 1865: le equazioni che danno la velocità di un’onda
elettromagnetica dicono che la luce è onda!! La questione è chiusa.
Ma nel 1905 Einstein con la sua spiegazione dell’effetto fotoelettrico e nel 1922
Compton con la spiegazione dell’effetto Compton misero di nuovo in crisi la fisica.
La luce in certe circostanze si comporta come onde, in altre come particelle.
Nel 1923 De Broglie nella sua tesi di dottorato avanzò l’ipotesi che la natura duale ondaparticella della radiazione avesse la sua controparte in una natura duale onda-particella
della materia (riceverà per questo il Nobel nel 1929).
Per i fotoni vale la relazione:
p  k 
2


h

De Broglie ipotizzò che la stessa relazione fosse valida per le particelle della
materia. In altri termini, una particella di impulso p si comporta, sotto certe condizioni,
come un’onda di lunghezza d’onda

h
p
Venne allora suggerito che l’ipotesi di De Broglie potesse essere verificata
sperimentalmente osservando un fenomeno di diffrazione degli elettroni.
La diffrazione degli elettroni venne osservata in una serie di esperimenti di
Davisson e Germer (1927), che studiarono la diffusione degli elettroni da una superficie
di un cristallo (osservando una figura identica a quella prodotta da raggi X):
18
La differenza di fase tra due onde diffuse da piani adiacenti del reticolo cristallino è data
da
  kx 
2

 2a  sen
dove a è il passo reticolare e α è l’angolo che la radiazione forma con i piani del reticolo
cristallino su cui incide.
Si osserverà allora interferenza costruttiva quando questa differenza (cammino
ottico) è pari a un multiplo intero di 2π:
kx  2n , ossia quando
2a  sen  n
(questa formula, che è detta Legge di Bragg, si ottiene direttamente imponendo che la
differenza di percorso tra il raggio incidente sul primo piano e quello che indice sul
secondo piano sia pari a un multiplo di lunghezza d’onda).
Una figura di diffrazione, i cui massimi si presentano in corrispondenza degli
angoli definiti dalla precedente equazione, venne effettivamente osservata negli
esperimenti. La lunghezza d’onda, associata ad elettroni di impulso p, risultò inoltre in
accordo con la formula di De Broglie. Questa osservazione rappresentò pertanto un
passo fondamentale nella formulazione della meccanica ondulatoria.
1.6. La struttura dell’atomo
A fine ’800 l’ipotesi atomica (di Dalton, 1808) era largamente accettata. L’atomo era
considerato “indivisibile”.
Nel 1897 Thomson (che lavorava a Cambridge) scopre l’elettrone, con carica
negativa e massa 2000 volte inferiore alla massa atomica… ed elabora il suo modello di
atomo, detto modello a panettone, in cui si ipotizzavano gli elettroni immersi in una
distribuzione di carica positiva la cui estensione determina le dimensioni dell’atomo.
Nel 1908 il neozelandese Rutherford (che lavorava a Manchester, con Geiger e
Marsden, suoi assistenti) effettuò un esperimento per studiare la struttura atomica.
19
L’esperimento consisté nel bombardare una sottile lamina d’oro con particelle α,
prodotte da decadimento radioattivo. Il risultato inatteso dell’esperimento fu che una
significativa frazione di particelle α veniva deviata a grandi angoli di diffusione.
Il risultato dell’esperimento di Rutherford era inconsistente con le aspettative
basate sul modello dell’atomo di Thomson, nel quale gli elettroni, immersi nella carica
positiva, non deviano le particelle α, avendo una massa circa 104 volte più piccola.
Pertanto la sorgente che diffonde le particelle α deve essere la carica positiva, ma
una carica positiva distribuita implica che gli angoli di diffusione siano minimi.
Se la particella α passa fuori dell’atomo d’oro, la repulsione coulombiana è la
stessa che se la carica positiva fosse tutta concentrata nel centro dell’atomo (e, in base ai
calcoli, è minima); se la particella α passa “all’interno” dell’atomo non sente l’effetto di
tutta la carica positiva dell’atomo ma solo di quella parte che sta dentro la sfera di raggio
pari alla distanza dal centro a cui passa la particella.
Grandi angoli di diffusione implicano invece che il potenziale alla superficie della
distribuzione della carica sia grande. Questo a sua volta implica che la carica positiva sia
confinata in una regione di spazio molto più piccola dell’atomo.
Rutherford propose allora un nuovo modello (1909) in grado di spiegare i dati.
In questo modello tutta la carica positiva (e quasi tutta la massa) è concentrata in una
piccola regione al centro dell’atomo. Questo nucleo di carica positiva attrae gli elettroni,
carichi negativamente, e poiché la legge di forza ha un andamento 1/r 2 gli elettroni si
muovono in orbite circolari o ellittiche attorno al nucleo.
20
Sebbene in grado di spiegare i dati sperimentali relativi alla diffusione delle
particelle α, il modello (“planetario”) di Rutherford presentava due insuperabili
difficoltà:
- mancava di un meccanismo per stabilizzare gli atomi: gli elettroni in orbite
circolari o ellittiche sono costantemente accelerati e, secondo la teoria
elettrodinamica classica, dovrebbero irradiare energia. La continua perdita di
energia condurrebbe, in un tempo molto breve (dell’ordine di 10 –10 sec), al
collasso dell’atomo, con gli elettroni che cadono sopra al nucleo;
- il modello non era in grado di spiegare gli spettri atomici, che si osservavano
avere la struttura (formula di Rydberg)
1 
 1
 R 2  2 

m 
n
1
con n, m numeri naturali, m>n
Queste evidenti difficoltà teoriche nell’interpretazione dei risultati sperimentali relativi
alla struttura atomica giocarono un ruolo fondamentale nello sviluppo della teoria
quantistica.
1.7. L’atomo (il modello) di Bohr (1913)
Bohr si era laureato a Copenaghen nel 1911, quindi si era trasferito a Cambridge, dove
lavorava Thomson; e un po’ perché riuscì a interagire poco (e a legare poco) con
Thomson, un po’ perché da subito aveva sollevato obiezioni al modello di Thomson,
non ebbe molto feeling con nume di Cambridge e preferì spostarsi a Manchester, dove
lavorava Rutherford. E lì tentò di spiegare i risultati dello stesso Rutherford e di e
trovare un rimedio ai problemi posti dal modello atomico planetario di quest’ultimo.
Come mai gli atomi erano stabili?
Bohr fece tre ipotesi:
1.
2.
L’elettrone ruota attorno al nucleo su orbite stabili (senza emettere
radiazione).
Le sole orbite consentite sono quelle per le quali il momento angolare L
risulti multiplo intero di ħ
L  mvr  n
3.
L’elettrone può effettuare transizioni discontinue tra due orbite consentite.
Quando ciò accade viene emessa o assorbita radiazione di frequenza
  E  E'
dove E  E  E ' è la variazione di energia dell’elettrone tra le due orbite.
21
Conseguenze
La stabilità di un’orbita è determinata dall’equilibrio tra la forza coulombiana e la forza
e2
v2
2
2
k 2 m
centrifuga
, da cui ke  mv r
r
r
Questa condizione, a sistema con la condizione di quantizzazione del momento
angolare, porge
mv 2 r  ke 2
ke 2
n n 2  2
v
r 


n
mv mke 2
 mvr  n
Dunque
v 1 ke2 


c n c n
2
rn
 n 2 a0
2
mke
2
dove α è la già citata costante di struttura fine, pari a 1/137
Nota: in meccanica quantistica le due formule vengono rispettivamente scritte come
v2
2
 2 ]
c2
n
1
1
 2 ]
r
n a0
Calcoliamo l’energia cinetica T e potenziale V delle orbite:
 p 2 mv 2 mk 2 e 4 mc 2 2




2m
2
2n 2  2
2n 2

2
2 4
2 2
  ke   mk e   mc 

r
n 2 2
n2
In meccanica quantistica valgono questi stessi risultati per i valori medi di T e V.
p2
e2
mc 2 2
k

Ricaviamo E 
2m
r
2n 2
Le righe di emissione e assorbimento dell’atomo hanno pertanto frequenze della
forma
mc 2 2  1
1 
  hf  E  E ' 
 2  2
2  n'
n 
22
che è la formula di Rydberg! La costante sperimentale R adesso ha un significato
fisico.
Ipotesi di Planck, quanti di luce nell’effetto fotoelettrico, quantizzazione del
momento angolare stavano cambiando la percezione del mondo microscopico.
Quale fosse la reazione dei fisici a quelle “novità” la possiamo dedurre dai
commenti di Heisenberg e Einstein riportati sotto.
1.8. Test ed esercizi
Esperimenti condotti negli ultimi decenni hanno appurato che l’Universo è permeato da una
radiazione elettromagnetica (“radiazione cosmica di fondo”) che presenta un massimo di
intensità alla lunghezza d’onda di 1.87 mm. Considerando l’Universo come un corpo nero, e
sapendo che il massimo dello spettro di corpo nero nella formula di Planck si ha per ℏ ⋅ωmax =
2.82 kB*T, a quale temperatura corrisponde questa emissione?
a. 2.73 K
b. 2.73 mK
c. 2.73 x 10−6 K
d. 273 K
e. 2.73 x 10 6 K
[La risposta corretta è la a. Bisogna usare la legge di Wien: λMAXT= cost,
ovvero, nella forma in cui è scritta sopra, T= ℏ ⋅ωmax /(2.82 kB) =h f/(2.82 kB) = h c/(λ x 2.82 x
kB) = 6.626 x 10 – 34 x 2.998 x 10 8 / (1.87 x 10 – 3 x 2.82 x 1.381 x 10 – 23 ) K = 2.73 K]
Calcolare la lunghezza d’onda di De Broglie di un elettrone con energia cinetica di 50 eV.
a. 0.17 cm
b. 170 nm
c. 17 fm
d. 170 mm
23
e. 0.17 nm
[La risposta corretta è la e. Il valore preciso è 0,1734…. Le formule da usare sono
λ=h/p e E= p2/2m cioè p = radq(2mE) che implica λ=h/p= h/radq(2mE) ]
In un esperimento di diffrazione simile a quello di Davisson e Germer un fascio di elettroni
con energia cinetica 50 eV viene inviato su un cristallo di nickel. La distanza tra i piani del
reticolo cristallino in esame vale a=0.091 nm. Per quale angolo si osserverà il primo massimo di
interferenza costruttiva?
a. 103.4 gradi
b. 29.1 gradi
c. 72.4 gradi
d. 88.4 gradi
e. 15.6 gradi
[La risposta corretta è la c. Ma occorre prendere qualche decimale
in più di quelli della risposta e. al test precedente: 0,17346.
La formula è 2a sen θ = nλ, cioè sen θ = nλ /2a con n=1, cioè θ = arcsen (λ/2a)]
In un esperimento di diffrazione simile a quello di Davisson e Germer, un fascio di elettroni
viene inviato su un cristallo. La distanza tra i piani del reticolo cristallino in esame vale a=0.54
nm. Sapendo che il primo massimo di interferenza costruttiva viene osservato a 60 gradi,
trovare la lunghezza d’onda degli elettroni utilizzati.
a. 0.47 nm
b. 0.94 nm
c. 0.63 cm
d. 0.54 nm
e. 835 fm
[La risposta corretta è la b. Occorre usare la formula 2a sen 60° = λ]
Nell’esperimento di Compton, secondo le previsioni della fisica classica, la radiazione
elettromagnetica che investiva la materia avrebbe dovuto…
a. proseguire indisturbata senza generare luce diffusa.
b. mettere in oscillazione gli elettroni del bersaglio, generando così luce diffusa ad una lunghezza
d’onda maggiore.
c. mettere in oscillazione gli elettroni del bersaglio, generando così luce diffusa ad una lunghezza d’onda
minore.
d. mettere in oscillazione gli elettroni del bersaglio, generando così luce diffusa alla stessa lunghezza
d’onda.
e. estrarre gli elettroni dal materiale.
[La risposta corretta è la d.]
24
Cap. 2
I PRINCIPI DELLA MECCANICA
QUANTISTICA
PROBABILITÀ E AMPIEZZE DI PROBABILITÀ
DUALISMO ONDA-PARTICELLA
INDETERMINAZIONE
La “meccanica quantistica” è la descrizione del comportamento della materia e della luce
in tutti i suoi dettagli, e in particolare di ciò che avviene su scala atomica.
Gli oggetti su scala molto piccola non si comportano come nessuna cosa di
cui si possa avere diretta esperienza. Sotto alcuni aspetti si comportano come onde,
sotto altri come particelle, ma in effetti non si comportano come né l’una né l’altra cosa.
D’altra parte, il comportamento quantistico degli oggetti atomici (elettroni,
protoni, neutroni, fotoni, e così via) è lo stesso per tutti: sono tutti onde-particelle, o
qualunque altro nome gli si voglia dare.
Una descrizione coerente del comportamento della materia su scala microscopica
venne dato, negli anni 1926-27, principalmente da Schrödinger, Heisenberg e Born.
Considereremo qui le principali caratteristiche di tale descrizione descrivendo un
“esperimento ideale”, che mette a confronto, in una particolare situazione sperimentale,
il comportamento quantistico degli elettroni con il comportamento di particelle classiche,
quali pallottole, e onde classiche, del tipo di quelle che si formano nell’acqua.
2.1. Esperimenti di interferenza con pallottole, onde ed
elettroni
UN ESPERIMENTO CON PALLOTTOLE
P1 = probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 1
P2 = probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 2
P12 = probabilità che il proiettile giunga in x passando per il foro 1 o per il foro 2
25
Risultato dell’esperimento:
- i proiettili arrivano sempre a blocchi identici e distinti;
- l’effetto con entrambi i fori aperti è la somma degli effetti che si hanno
quando è aperto ciascuno dei due fori da solo. Le probabilità vanno
sommate:
- P1 + P2 = P12: non si osserva interferenza.
UN ESPERIMENTO CON ONDE (prodotte in acqua)
L’intensità I è il quadrato dell’ampiezza dell’onda:
I1 = intensità misurata lasciando aperto solo il foro 1
I2 = intensità misurata lasciando aperto solo il foro 2
I12 = intensità misurata lasciando aperti entrambi i fori 1 e 2
Risultato dell’esperimento:
- l’intensità può assumere qualsiasi valore; non possiede una struttura a
“blocchi”;
- l’intensità misurata quando entrambi i fori sono aperti non è la somma di I 1
e I2: si ha interferenza tra le due onde.
26
MATEMATICA DELL’INTERFERENZA
(FORMALISMO COMPLESSO)
Re(h1e it ) = altezza istantanea al rivelatore dell’onda proveniente dal foro 1
Re(h2 e it ) = altezza istantanea al rivelatore dell’onda proveniente dal foro 2
Re((h1  h2 )e it ) = altezza istantanea al rivelatore dell’onda quando entrambi i
fori sono aperti
L’intensità è proporzionale all’ampiezza quadratica media cioè, con il formalismo
complesso, al modulo quadro dell’ampiezza. Tralasciando la costante di proporzionalità:
I1  h1
I 2  h2
2
2
I12  h1  h2  h1  h2  2 h1 h2 cos
2
2
2
(δ è la differenza di fase tra h1 e h2, ed è funzione di x)
Allora, in termini di intensità, I12  I1  I 2  2 I1 I 2 cos . L’ultimo termine di
questa espressione è il “termine di interferenza”.
UN ESPERIMENTO CON ELETTRONI
P1 = probabilità che un elettrone giunga in x passando per il foro 1 con il foro 2 chiuso
P2 = probabilità che un elettrone giunga in x passando per il foro 2 con il foro 1 chiuso
P12 = probabilità che un elettrone giunga in x con entrambi i fori aperti
Risultato dell’esperimento:
- gli elettroni arrivano sempre in granuli, tutti identici tra loro (come i
proiettili);
- la probabilità P12 ottenuta con entrambi i fori aperti non è la somma di P1 e
P2 :
P12 ≠ P1+ P2
27
- Se fosse vero che “ciascun elettrone o attraversa il foro 1 o attraversa il foro
2” allora la probabilità P12 dovrebbe essere la somma di P1 e P2 .
- Si potrebbe pensare che gli elettroni seguono percorsi complicati, passando
magari più volte per ciascun foro. Ma nemmeno questo è possibile: vi sono
punti in cui arrivano meno elettroni quando sono aperti entrambi i fori,
ossia la chiusura di un foro aumenta il numero di elettroni provenienti
dall’altro.
- Al centro della curva, P12 è maggiore di P1+ P2; è come se la chiusura di un
foro diminuisse il numero di elettroni che escono dall’altro.
Sebbene questi risultati siano incomprensibili, la loro descrizione matematica è
estremamente semplice: la curva P12 è proprio una curva di interferenza come I12 e la
matematica è dunque quella dell’interferenza.
I risultati dell’esperimento possono essere dunque descritti introducendo due
numeri complessi (funzioni di x): φ1 e φ 2.
P1  1
P2   2
2
2
P12  1  2  1  2  2 1 2 cos
2
2
2
Il fatto che sommiamo le ampiezze e non le probabilità ci dice che lo stato
dell’elettrone che giunge sullo schermo è lo stato di un elettrone “passato per entrambe
le fenditure”; è uno stato cioè che corrisponde a una sovrapposizione di stati.
La 12  1   2 è un concetto puramente quantistico.
Altro esempio: la polarizzazione dei fotoni: i fotoni che possono essere polarizzati nella
direzione della velocità o in direzione opposta possono anche essere polarizzati in una
qualunque direzione che risulti combinazione lineare (sovrapposizione) delle due.
OSSERVAZIONE DEGLI ELETTRONI
Poiché il numero di elettroni che arriva in un particolare punto non è uguale al numero
di elettroni che arrivano passando dal foro 1 più quelli che passano dal foro 2, questo ci
28
porta a concludere che non è vero che gli elettroni passano attraverso l’uno o l’altro dei
fori 1 e 2. Verifichiamo questa conclusione con un esperimento.
Aggiungiamo nell’apparato sperimentale una sorgente di luce, posta dietro allo
schermo a metà tra i due fori. Poiché le cariche elettriche diffondono luce, quando un
elettrone riesce ad attraversare lo schermo devierà verso il nostro occhio della luce e
potremo “vedere” il cammino dell’elettrone stesso.
Risultato dell’esperimento:
- gli elettroni che vengono osservati risultano essere passati o dal foro 1 o dal
foro 2 ma mai da tutti e due insieme;
- l’andamento di P1 ' e P2 ' , costruiti lasciando entrambi i fori aperti ma
osservando da quale foro è passato l’elettrone è uguale all’andamento di P1
e P2 osservato nel precedente esperimento chiudendo uno dei due fori.
Quindi gli elettroni che vediamo arrivare attraverso il foro 1 sono distribuiti
nello stesso modo, indipendentemente dalla situazione del foro 2;
- la probabilità totale risulta dunque essere la somma delle probabilità
P12 '  P1  P2
Riassumendo:
i risultati dell’esperimento delle due fenditure risultano incomprensibili…
ma la descrizione matematica è molto semplice: è la stessa delle
onde classiche.
La distribuzione degli elettroni sullo schermo quando li osserviamo è
differente da quella quando non li osserviamo.
Evidentemente la luce, nell’essere diffusa dagli elettroni, dà loro un colpo che ne
fa mutare il movimento. Si può allora tentare di modificare l’esperimento in modo da
osservare gli elettroni senza disturbarli troppo.
29
Si potrebbe 1) diminuire l’intensità della luce… oppure 2) diminuire la frequenza
della luce, in modo da diminuire l’energia dei fotoni.
Nel primo caso alcuni elettroni finisco per vederli ma altri mi sfuggono: per gli
elettroni che ho visto passare si osserva una figura NON d’interferenza, alla quale però si
sovrappone una figura di interferenza generata dagli elettroni che non ho visto passare.
Nel secondo caso, se riduco la frequenza significa che aumenta la λ; e se prima,
con una frequenza alta e una λ piccola riuscivo a distinguere da quale fenditura passava
l’elettrone, con una frequenza più bassa e una λ più lunga, che arriva a superare la
distanza tra le due fenditure, non riesco più a capire da quale fenditura è passato
l’elettrone… e si osserva figura di interferenza. È possibile allora migliorare
l’esperimento? No!
È impossibile costruire un apparecchio per determinare da quale foro è
passato l’elettrone che allo stesso tempo non perturbi l’elettrone sufficientemente
da distruggere l’interferenza. Se un apparecchio è in grado di determinare da quale
foro è passato l’elettrone, non può essere così delicato da non alterarne in modo
essenziale la distribuzione. Questo risultato è una conseguenza particolare del principio
di indeterminazione.
2.2. La matematica della meccanica quantistica.
PRINCIPI BASE DELLA MECCANICA QUANTISTICA:
PROBABILITÀ E AMPIEZZE DI PROBABILITÀ
Riassumiamo ora, in una forma generale, le principali conclusioni dell’esperimento sopra
descritto.
1. La probabilità di un evento in un esperimento ideale è data dal quadrato del modulo
di un numero complesso Φ che viene detto ampiezza di probabilità:
P = probabilità
Φ = ampiezza di probabilità
P = |Φ|2
2. Quando un evento può avvenire secondo varie alternative, l’ampiezza di probabilità
per l’evento è la somma delle ampiezze di probabilità per le varie alternative
considerate separatamente:
Φ = Φ1 + Φ2
P = |Φ1 + Φ2|2
3. Se si effettua un’esperienza capace di determinare se una o l’altra delle possibili
alternative è effettivamente realizzata, la probabilità per l’evento è la somma delle
probabilità per ciascuna delle alternative. Non si ha più interferenza
P = P 1 + P2
Sottolineiamo una differenza molto importante tra la meccanica classica e la
meccanica quantistica. Nella meccanica quantistica è impossibile prevedere ciò che
30
accadrà in una data situazione. La sola cosa che è possibile prevedere è la
probabilità di eventi differenti.
2.3. Il principio di indeterminazione
Scoperto da Heisenberg nel 1927, “il principio di indeterminazione sta a difesa della
meccanica quantistica” (Feynman)
La presenza di interferenza nell’esperimento con gli elettroni attraverso le due
fenditure mette in risalto come, nel caso di particelle microscopiche, il concetto di
traiettoria, che sta a fondamento della meccanica classica, viene a perdere di
significato nella meccanica quantistica.
Tale circostanza trova la sua espressione nel cosiddetto principio di
indeterminazione, uno dei principi basilari della meccanica quantistica, scoperto da
Heisenberg nel 1927.
Se, in seguito a una misura, a un elettrone vengono assegnate coordinate
determinate, esso allora non ha, in generale, nessuna velocità determinata. Viceversa, se è
dotato di una velocità determinata, l’elettrone non potrà avere una posizione determinata
nello spazio. Infatti, l’esistenza simultanea a ogni istante delle coordinate e della velocità
significherebbe l’esistenza di una traiettoria, che l’elettrone non ha.
Di conseguenza nella meccanica quantistica le coordinate e la velocità
dell’elettrone sono grandezze che non possono essere misurate con precisione
allo stesso istante, cioè non possono avere simultaneamente valori determinati. Si
può dire che le coordinate e la velocità dell’elettrone sono grandezze non esistenti
simultaneamente.
Una formulazione matematica del principio di indeterminazione è data dalla
relazione

p x  x 
2
Mostriamo, in un caso particolare, come il principio di indeterminazione di
Heisenberg debba essere valido al fine di evitare situazioni inconsistenti.
Il principio di indeterminazione e l’esperimento delle due fenditure.
Einstein era scettico sulla meccanica quantistica e sul principio di indeterminazione e, in
uno degli incontri tra fisici ai congressi Solvay, propose a Bohr una modifica
dell’esperimento della doppia fenditura in questo modo: immaginiamo di modificare
l’esperimento di interferenza degli elettroni sostituendo la parete fissa, con le due
fenditure, con una lamina montata su cuscinetti che si può muovere liberamente in
direzione dell’asse x:
31
osservando il moto della lamina possiamo provare a determinare attraverso quale foro
passa un elettrone. Consideriamo infatti il caso in cui il rivelatore è posto in x = 0. Ci
aspettiamo che un elettrone che passi per il foro 1 (più in alto) debba essere deflesso
verso il basso dalla lamina per poter arrivare al rivelatore. Poiché la componente verticale
dell’impulso dell’elettrone è variata, la lamina deve muoversi in direzione opposta con lo
stesso impulso. La lamina riceverà quindi una spinta verso l’alto. Se invece l’elettrone
passa attraverso il foro inferiore la lamina dovrebbe subire una spinta verso il basso. È
chiaro che per ogni posizione del rilevatore l’impulso ricevuto dalla lamina avrà un
valore differente a seconda che l’elettroni attraversi il foro 1 o il foro 2. Quindi, senza
per nulla perturbare gli elettroni, ma solo osservando la lamina, possiamo determinare il
percorso scelto dall’elettrone.
Bohr rimase sveglio tutta la notte… e capì dov’era l’errore di Einstein: bisognava
applicare il principio di indeterminazione anche alla lamina!
Per poter determinare di quanto è variato l’impulso della lamina dopo il passaggio
dell’elettrone occorre conoscere l’impulso di questa prima che l’elettrone lo attraversi.
Calcoliamo l’impulso che l’elettrone trasmette alla lamina attraversando un foro,
supponendo che l’elettrone, rimbalzando sulla parete del foro, arrivi nel massimo
centrale: se a è la distanza tra le fenditure e D è la distanza della lamina dallo schermo e
a
pa
a
p x  p sin  
tg    2 
2D
D 2D
pa
l’impulso trasmesso è dell’ordine p  2 p x 
D
e questa quantità rappresenta anche l’incerta massima con la quale è necessario
conoscere l’impulso della lamina prima che l’elettrone l’attraversi per poter distinguere se
l’elettrone è passato attraverso il foro 1 oppure il foro 2.
In base al principio di indeterminazione, se l’impulso della lamina è noto con una
precisione maggiore di Δp, allora la posizione della lamina stessa non può essere
conosciuta con una precisione maggiore di
32
x 
h
hD D


p pa
a
h
è la lunghezza d’onda di De Broglie associata all’elettrone che si
p
muove con impulso p.
L’incertezza Δx è allora anche l’incertezza con cui è definita la posizione delle due
fenditure, che saranno quindi in diverse posizioni per ogni elettrone che l’attraversi.
Questo significa che il centro delle frange di interferenza avrà una posizione differente
per i vari elettroni.
Dimostreremo ora che la lunghezza Δx, di cui oscillano lungo l’asse x le frange
d’interferenza, è circa uguale alla distanza tra due massimi vicini. Un tale movimento, che
avviene a caso, è giusto sufficiente a distruggere le oscillazioni del grafico e quindi a far sì
che non si osservi più interferenza.
dove  
Se Δs è la differenza delle distanze delle due fenditure dal punto x dello schermo, la
differenza di fase δ tra le due onde che giungono in x è pari a
2
2
2ax
  ks 
s 
a sin  


D
I massimi di interferenza si hanno quando la differenza di fase δ è pari a un
multiplo intere di 2π (ovvero quando Δs è un multiplo intero di lunghezza d’onda), ossia
D
nei punti di coordinate xn  n
con n = 0, ±1, ±2, …
a
D
Due massimi consecutivi si trovano dunque a distanza x 
che coincide
a
esattamente con lo spostamento tipico del centro delle frange di interferenza per ciascun
elettrone.
Il principio di indeterminazione garantisce quindi che l’aver osservato la fenditura
attraverso la quale è passato l’elettrone porta alla scomparsa dell’interferenza.
33
Il principio di indeterminazione ha conseguenze sugli oscillatori armonici (cioè sui
piccoli pendoli): per la meccanica quantistica non è possibile il pendolo fermo nello stato
di equilibrio in cui Δx = 0 e ΔE = 0 cioè Δp = 0. L’esistenza di una energia minima
comporta che ci sia un’energia nel vuoto (la costante cosmologica!): è l’energia che
possiedono gli oscillatori.
Poiché le particelle sono descritte da campi (i fotoni sono delle piccole oscillazioni
proprie del campo elettromagnetico), anche quando non ci sono particelle il campo deve
avere una energia minima perché i suoi oscillatori non possono avere energia nulla.
Altra conseguenza del principio di indeterminazione è l’effetto tunnel, che
vedremo più avanti.
2.4. I principi della MQ: misure, osservabili e principio di
indeterminazione
2.5. La meccanica quantistica e gli integrali sui cammini
Una formulazione alternativa della meccanica quantistica fu fornita da Feynman nel 1948
(e per la quale prese il Nobel nel 1965). L’idea originaria era di Dirac, che poi non la
sviluppò.
Se l’elettrone che parte da A e, passando attraverso le due fenditure, viene poi
rilevato in B, sappiamo che “è passato” per entrambe le fenditure.
34
E se le fenditure dello schermo fossero 3? Vi sarebbero 3 possibili stati e bisognerebbe
sommare le 3 possibili ampiezze di probabilità e fare la somma sui 3 possibili cammini.
E se aggiungiamo un altro schermo, quest’ultimo con 4 fenditure? I possibili cammini
diventano 12… e devo fare la somma delle ampiezze di probabilità su tutti e 12 i
possibili cammini.
Generalizzando il ragionamento: tolti tutti gli schermi con le varie fenditure, per
calcolare la probabilità che l’elettrone, partito da A, giunga in B devo sommare le
ampiezze di probabilità su tutti i possibili cammini che l’elettrone può fare per andare da
A a B.
Per Feynman questa somma vale dunque
i

 exp  S[ x(t )]
x (t )
35
Per la meccanica classica (disegno a destra) la particella va da A a B seguendo la linea
retta. L’equazione di Newton è soddisfatta dalla soluzione S[ x(t )]  S min , cioè il
cammino classico è quello di minima azione.
Come si passa dalla meccanica quantistica alla meccanica classica? Quando si fa la
somma su tutti i possibili cammini, la ħ tende a 0, cammini anche vicini finiscono per
“annullarsi l’un l’altro”, e rimane solo quello previsto dalla meccanica classica.
Quindi, concludendo, possiamo dire che “l’elettrone non segue una traiettoria”
oppure (con Feynman) che “l’elettrone si muove seguendo tutte le traiettorie possibili”.
2.6. Test ed esercizi
La meccanica quantistica non è una teoria deterministica. Nota la funzione d'onda di una
particella libera ad un dato istante, infatti, la meccanica quantistica…
a. ci permette di dire quali saranno i possibili eventi futuri (ad esempio "se effettuo una misura di
posizione troverò la particella in x"), ma non le corrispondenti probabilità.
b. ci permette unicamente di determinare la probabilità degli eventi futuri (ad esempio "se effettuo una
misura di posizione troverò la particella in x").
c. non ci permette di dire nulla circa gli eventi futuri (ad esempio "se effettuo una misura di posizione
troverò la particella in x").
d. ci permette di calcolare le probabilità dei possibili eventi futuri (ad esempio "se effettuo una misura
di posizione troverò la particella in x"), ma solo con una certa indeterminazione, non riducibile tramite
un processo di misura della posizione della particella.
e. ci permette di calcolare le probabilità dei possibili eventi futuri (ad esempio "se effettuo una misura di
posizione troverò la particella in x"), ma solo con una certa indeterminazione, riducibile tramite un
processo di misura della posizione della particella.
[La risposta esatta è la b.]
Si consideri un esperimento di doppia fenditura con elettroni. Quale delle seguenti
affermazioni è vera?
a. La figura di interferenza si genera perché gli elettroni che passano per la fenditura 1 interagiscono
con gli elettroni che passano per la fenditura 2. Infatti, chiudendo una delle due fenditure, l’interferenza
sparisce.
36
b. Immaginiamo di mettere una sorgente luminosa, che interagendo con gli elettroni mi permetta di
discriminare attraverso quale fenditura sono passati, come spiegato nella lezione. Sullo schermo si
formerà comunque la figura di interferenza, a patto che io non guardi dove gli elettroni sono passati.
c. È impossibile osservare la figura di interferenza e contemporaneamente sapere attraverso quale
fenditura sono passati gli elettroni
d. Le affermazioni b. e c. sono entrambe vere.
e. Nessuna delle altre affermazioni è vera.
[La risposta esatta è la c.]
In un esperimento di doppia fenditura, le due onde che attraversano le due fenditure arrivano
in un certo punto dello schermo avendo rispettivamente ampiezze di A1=3 e A2=4, e fasi
θ1=π/3 e θ2=π/4. Calcolare l’intensità complessiva (modulo quadro dell'ampiezza) che si
produce per interferenza in quel punto.
a. 25
b. 9.1
c. 48.2
d. 33.8
e. 71.4
[la risposta esatta è la c. La formula da usare è
A = A1 +A2 + 2 A1 A2 cos(θ1–θ2)=9+16+2x3x4 cos (π /12)]
2
2
2
Quale delle seguenti affermazioni sul principio di indeterminazione è vera?
a. Il principio di indeterminazione mi impedisce di conoscere l’impulso di un corpo con precisione
arbitrariamente piccola.
b. Il principio di indeterminazione mi impedisce di conoscere la posizione di un corpo con precisione
arbitrariamente piccola.
c. Il principio di indeterminazione afferma che, a causa delle ineliminabili incertezze sperimentali, non
potrò mai conoscere con precisione infinita la posizione e l’impulso che un corpo possiede.
d. Le affermazioni a. e b. sono entrambe vere.
e. Nessuna delle altre affermazioni è vera.
[La risposta esatta è la e.]
Il principio di indeterminazione, nota l’indeterminazione sulla posizione di un sistema fisico,
mi permette di...
a. calcolare l’impulso del sistema.
b. trovare un limite inferiore per l’indeterminazione sull’impulso del sistema.
c. stimare l’ordine di grandezza dell’impulso del sistema.
d. trovare un limite superiore per l’indeterminazione sull’impulso del sistema.
e. determinare l’indeterminazione sull’impulso del sistema.
[La risposta esatta è la b.]
Calcolare l’energia cinetica di un elettrone confinato in un segmento di lunghezza Δx=10−6 m
sapendo che l’indeterminazione relativa sull’impulso Δp/p vale 10−5
a. 593 eV
b. 95 eV
c. 62 meV
d. 0.5 MeV
e. 2.4 MeV
37
Da (a) si ricava che
[La risposta corretta è la b. Le formule da usare sono
a) Δx Δp =ħ/2
b) E=p2/2m
Δx Δp/p =ħ/2p
ossia p= ħ/(2 Δx Δp/p)= ħ/(2x10 – 11 m)
E infine da (b) E = [ħ/(2 Δx Δp/p)]2/2m =…]
L’indistinguibilità tra particelle della stessa specie ha conseguenze molto importanti in
meccanica quantistica. Questa indistinguibilità è legata al principio di indeterminazione. In
che modo?
a. Le masse delle particelle della stessa specie possono avere, classicamente, piccolissime differenze. Il
principio di indeterminazione mi impedisce di osservare, anche in linea di principio, queste differenze.
b. (errata) Per il principio di indeterminazione due particelle della stessa specie hanno necessariamente la
stessa funzione d’onda e pertanto sono indistinguibili.
c. Il principio di indeterminazione ci impedisce di conoscere l’esatta traiettoria di una particella. La
nostra ignoranza sul moto di due particelle della stessa specie le rende, ai nostri occhi, indistinguibili.
d. Le dimensioni delle particelle della stessa specie possono avere, classicamente, piccolissime
differenze. Il principio di indeterminazione mi impedisce di osservare, anche in linea di principio,
queste differenze.
e. Il principio di indeterminazione ci impone di abbandonare il concetto di traiettoria e rende quindi
impossibile, anche in linea di principio, distinguere due particelle della stessa specie sulla base del loro
moto.
[La risposta esatta è la e.]
Un sistema fisico si trova in una sovrapposizione di stati corrispondenti ai valori di
energia E1=2 eV ed E2=4 eV. Misurando l’energia del sistema possiamo ottenere:
a. qualsiasi valore compatibile con il principio di indeterminazione.
b. un valore compreso tra 2 e 4 eV, dipendente dalla espressione esplicita della funzione d’onda del
sistema.
c. solo 2 eV oppure 4 eV, con probabilità dipendenti dalla espressione esplicita della funzione d’onda.
d. 6 eV: l’energia del sistema è pari alla somma delle energie, perché la meccanica quantistica deve in
ogni caso riprodurre le leggi della fisica classica a livello macroscopico.
e. non è possibile misurare l’energia del sistema microscopico: ogni tentativo di misura distrugge
l’interferenza tra gli stati.
[La risposta esatta è la e.]
Si consideri una particella con la funzione d’onda mostrata in figura. Quale delle seguenti
affermazioni è vera?
a. Se effettuo una misura di posizione, troverò la particella con x compresa tra 3 e 4 con una probabilità
dell’80%.
b. Nessuna delle altre affermazioni è vera.
c. Posso concludere che la particella si trova in una delle posizioni x per le quali Φ(x) è diversa da zero
ma non so in quale. Per scoprirlo devo effettuare una misura di posizione.
d. La probabilità di trovare la particella con x=4 è maggiore di quella di trovare la particella con x=3.5.
38
e. Se effettuo una misura di posizione, la probabilità di trovare la particella con x compresa tra 3 e 4 è
doppia rispetto a trovarla tra 1 e 2.
[La risposta esatta è la a. Infatti la probabilità coincide con il modulo al quadrato
della funzione d’onda, che dunque vale A2 tra 1 e 2 e vale 4A2 tra 3 e 4]
Si consideri una particella con la funzione d’onda mostrata in figura (quella di prima).
Ricordando che la somma su tutti gli x della probabilità di trovare la particella in x deve essere
pari a 1, trovare il valore di A.
a. 1/√5
b. 1
c. 1/√3
d. 1/3
e. 1/5
[La risposta corretta è la a. Infatti A2 + 4A2 deve valere 1]
39
IL FORMALISMO GENERALE DELLA
MECCANICA QUANTISTICA: KET, BRA E
OPERATORI.
Principio di sovrapposizione.
Esperimenti di Stern e Gerlach ripetuti.
Introduciamo qui il formalismo generale della meccanica quantistica descrivendo in
termini completamente quantistici, ancora un esperimento ideale. Questo esperimento è
una generalizzazione del famoso esperimento, realizzato da Stern e Gerlach nel 1921,
che ha evidenziato la quantizzazione del momento angolare.
L’ESPERIMENTO DI STERN E GERLACH
L’esperimento di Stern e Gerlach aveva come obiettivo la misura del momento angolare
degli atomi.
Esso consiste nel far passare un fascio collimato di atomi di argento attraverso un
campo magnetico non omogeneo.
Un atomo di momento magnetico μ, che si trovi in un campo magnetico di
intensità B, diretto lungo l’asse z, acquista una energia potenziale
V    B   z B
Se il campo magnetico non è omogeneo, ma la sua intensità varia lungo l’asse z,
V
B
 z
allora l’atomo è soggetto a una forza Fz  
z
z
Nell’esperimento di S-G il campo magnetico era orientato perpendicolarmente
alla direzione di propagazione del fascio, dimodoché la forza F deviasse gli atomi dalle
loro traiettorie iniziali.
Secondo la teoria classica, tutte le orientazioni del momento magnetico sono
ugualmente possibili e la forza F può dunque assumere tutti i valori compresi tra
B
B
 z
e  z
. Atomi diversi verranno quindi differentemente deviati e si
z
z
dovrebbe osservare, sullo schermo che intercetta il fascio, che questo si è
uniformemente sparpagliato su una regione limitata tra un valore massimo e un valore
minimo di z.
Il risultato dell’esperimento, invece, fu completamente diverso dalle aspettative
classiche: il fascio di elettroni si separò perfettamente in due. Si osservò cioè che il
momento magnetico dell’atomo non può prendere che due orientazioni discrete:
 z   .
40
L’atomo di argento è costituito da un nucleo e 47 elettroni, dei quali 46 possono essere
visualizzati come una nube elettronica simmetrica priva di momento angolare
complessivo. Se ignoriamo lo spin nucleare (che è accoppiato molto debolmente con il
campo magnetico), vediamo che l’atomo nel suo complesso ha un momento angolare
dovuto unicamente al momento angolare di spin (ossia “intrinseco”) del solo 47-esimo
elettrone. Poiché il momento magnetico risulta proporzionale al momento angolare, il
risultato dell’esperimento di S-G dimostra che il momento angolare di spin dell’elettrone
è quantizzato, e la sua componente z può assumere soltanto due valori discreti. Questi

valori sono S z  
2
ESPERIMENTI DI STERN E GERLACH RIPETUTI
Per discutere il formalismo generale della meccanica quantistica consideriamo una
versione modificata e ideale dell’esperimento di S-G.
Consideriamo in primo luogo particelle di spin 1 che nell’attraversare un
apparecchio di S-G si separano in tre fasci: un fascio è deviato verso l’alto, uno verso il
basso e uno non viene affatto deflesso. La componente z dello spin delle particelle può
assumere i valori
S z  0 e S z  
Consideriamo poi una versione modificata dell’apparecchio di S-G, rappresentato
in figura (la particella attraversa tre campi B consecutivi, il primo e il terzo di larghezza L
e orientati allo stesso modo, il secondo, di larghezza 2L, è orientato in senso inverso).
Per la simmetria dell’apparecchio, il fascio di particelle che all’interno viene
suddiviso in tre esce comunque riunito.
Per concentrarci solo su fenomeni che dipendono dallo spin degli atomi, e non
dover includere effetti del moto sugli atomi che escono fuori, supponiamo che
all’ingresso dell’apparecchio in A ci sia un meccanismo che fa partire gli atomi da fermi,
e all’uscita dell’apparecchio in B ci sia un altro meccanismo atto a frenare gli atomi e a
riportarli a riposo in B.
Per brevità di notazione, conveniamo di indicare l’apparecchio di S-G modificato
con il simbolo
 
 
 0  , dove +, 0, – indicano i tre diversi fasci in cui si suddivide,
 
 
S
all’interno, il fascio originario. Poiché ci proponiamo di usare molti apparecchi insieme, e
con diverse orientazioni, li distingueremo ognuno con una lettera in basso (S
nell’esempio precedente).
41
Con degli opportuni diaframmi è possibile bloccare all’interno dell’apparecchio
uno o più dei tre fasci, permettendo solo agli altri il proseguimento del percorso.
Indicheremo per esempio l’apparecchio che blocca i due fasci più in basso con il simbolo
 
 
0 |  .
 | 
 
S
Diremo che gli atomi che nell’apparecchio S passano nel fascio superiore sono
“nello stato + rispetto a S”, quelli che prendono il cammino di mezzo sono “nello stato
0 rispetto a S” e quelli che passano sotto “nello stato – rispetto a S”.
Un apparecchio di S-G con diaframmi, quale quello indicato sopra, è in grado di
selezionare uno stato puro rispetto a S. Infatti, con due apparecchi di S-G consecutivi,
nella combinazione
 
 
0 | 
 | 
 
 
 
0 | 
 | 
 
S
S
Sì
(°)
osserviamo che tutte le particelle che hanno attraversato il primo apparecchio
attraversano pure il secondo. D’altro canto, con le due combinazioni di apparecchi
 
 
0 | 
 | 
 
 | 
 
0 
 | 
 
S
S
 
 
0 | 
 | 
 
 | 
 
0 | 
 
 
S
S
No
No
(°°)
(°°°)
non si osserva nessuna particella sullo schermo.
Abbiamo già discusso come, secondo la meccanica quantistica, la probabilità di un
evento in un esperimento ideale è data dal modulo quadro di un numero complesso
detto ampiezza di probabilità.
Per le ampiezze di probabilità utilizzeremo la notazione inventata da Dirac, e
applicata usualmente in meccanica quantistica, secondo cui si indica con

l’ampiezza che un atomo, inizialmente nello stato α, finisca nello stato β, o,
come anche si dice, che un atomo dallo stato α si porti nello stato β (si noti l’analogia col
simbolo del calcolo delle probabilità: …β dato α).
Le esperienze riportate sopra indicano per le ampiezze di probabilità le relazioni
 S  S 1
0S  S  0
S S 0
(Δ)
Supponiamo ora di utilizzare due apparecchi di S-G in serie, dei quali il secondo
sia ruotato di un angolo attorno all’asse y (direzione di propagazione delle particelle).
Eseguiamo quindi i seguenti esperimenti (T indica l’apparecchio ruotato)
42
 
 
0 | 
 | 
 
 
 
0 | 
 | 
 
S
T
 
 
0 | 
 | 
 
 | 
 
0 
 | 
 
S
T
 
 
0 | 
 | 
 
 | 
 
0 | 
 
 
S
T
Sì
T  S  0
Sì
0T  S  0
Sì
T  S  0
Ne segue che gli atomi che sono in uno stato definito rispetto a S non sono in uno
stato definito rispetto a T.
Si osservi inoltre che filtrare uno stato puro di T fa perdere l’informazione circa lo
stato precedente della particella, come si può meglio osservare dal seguente esperimento
 
 
0 | 
 | 
 
 | 
 
0 
 | 
 
 | 
 
0 
 | 
 
S
T
S
Sì
(#󠄀)
0S 0T 0T  S  0
o, in termini di ampiezze,
In altri termini, gli atomi che escono da T sono nello stato (0T) e non hanno
memoria del fatto che prima erano nello stato (+S).
Questi risultati illustrano uno dei principi fondamentali della meccanica
quantistica: ogni sistema atomico può essere analizzato, per mezzo di un processo di
filtraggio, in un certo insieme di stati, chiamati stati di base. Il comportamento futuro
degli atomi che si trovano in un determinato stato di base dipende solo dalla natura di
questo stato ed è indipendente dalla storia precedente.
Gli stati di base dipendono, come è chiaro, dal filtro che è stato usato. Per
esempio i tre stati (+S), (0S) e (–S) sono un insieme di stati di base; i tre stati (+T), (0T) e
(–T) un altro. Si parla comunemente di stati di base in una certa “rappresentazione”.
Osserviamo che la perdita di informazione nell’esperimento sopra è causata non
dall’aver separato in tre il fascio nell’apparecchio T ma dall’aver introdotto in T dei
diaframmi.
Infatti si ha
 
 
0 | 
 | 
 
 
 
0 
 
 
 | 
 
0 
 | 
 
S
T
S
43
No
(#󠄀#󠄀)
In generale un apparecchio T, o un altro qualsiasi, non diaframmato non produce
alcun cambiamento.
Abbiamo già discusso come, in meccanica quantistica, quando un evento può
avvenire secondo varie alternative, l’ampiezza di probabilità per l’evento è la somma
delle ampiezze di probabilità per le varie alternative considerate separatamente.
L’ampiezza di probabilità per l’esperimento ultimo citato si scrive allora
 0S iT
iT  S
i   ,0, 
e questa ampiezza deve essere uguale a quella ottenuta rimuovendo dall’esperimento
l’apparecchio T non diaframmato. Dunque:
 0S iT
iT  S  0S  S
i   , 0, 
(ΔΔ)
La perdita di informazione sullo stato iniziale nell’esperimento (#󠄀) è dunque
dovuta all’introduzione nell’apparecchio T dei diaframmi di arresto, ossia all’aver
eseguito una misura dello stato T della particella. Questo risultato è generale (e ne
abbiamo visto un altro esempio nella discussione dell’esperimento di interferenza degli
elettroni nel passaggio di due fenditure): il processo di misura nella meccanica quantistica
influisce sempre sulla particella, oggetto della misura. Questa proprietà è dovuta al fatto
che le caratteristiche della particella non si manifestano che come risultato della misura
stessa.
È questa proprietà essenziale del processo di misura che giustifica il paradosso cui
si giunge confrontando i risultati (#󠄀) e (#󠄀#󠄀): lasciando aperti più canali passano meno
atomi (si ha pertanto un esempio di interferenza distruttiva). Dal punto di vista
matematico questo è conseguenza del fatto che in meccanica quantistica si sommano le
ampiezze e non le probabilità.
Nel caso dell’esperimento (#󠄀) abbiamo
P  0 S 0T 0T  S
2
0
Nel caso dell’esperimento (#󠄀#󠄀) abbiamo
P
 0S iT
2
iT  S
0
i   ,0, 
(La somma delle tre ampiezze è nulla ma ciascuna delle tre ampiezze è diversa da zero).
Dimostriamo infine un’altra importante legge cui soddisfano le ampiezze.
Abbiamo già visto come un apparecchio senza diaframmi non abbia alcuna influenza
sullo stato della particella. Abbiamo allora che:
44
  S iT
iT  S   S  S  1
i   , 0, 
D’altra parte la probabilità che una particella nello stato  S attraversando un
apparecchio T vada a passare attraverso uno qualsiasi dei tre fasci di T deve essere 1,
cioè

iT  S
2


i   , 0, 
iT  S
*
iT  S  1
i   , 0, 
Dal confronto delle ultime due equazioni ricaviamo che, per ogni i,
iT  S   S iT
*
(ΔΔΔ)
Riepiloghiamo, esprimendole in forma generale, tre leggi importanti ricavate per le
ampiezze.
Queste sono contenute nelle equazioni (Δ), (ΔΔ) e (ΔΔΔ)
1)
i j   ij
2)
x  x i i
3)
x   x
i
*
In queste equazioni i e j si riferiscono a tutti gli stati di base in una singola
rappresentazione, mentre rappresentano due stati arbitrari della particella.
VETTORI DI STATO BRA E KET. PRINCIPIO DI
SOVRAPPOSIZIONE
Le equazioni sin qui derivate per le ampiezze di probabilità quantistiche presentano una
forte rassomiglianza formale con le proprietà del prodotto scalare di due vettori.
Per esempio: l’equazione
x  x i i
i
($)
può essere paragonata con la formula valida per il prodotto scalare di due vettori:
 
   
B  A   ( B  ei )(ei  A)
i
dove gli ei sono i tre versori di base nelle direzioni x, y, z. Infatti
45
(*)
B  e2  B y
B  e1  Bx
B  e3  Bz
(e lo stesso per il vettore A)
e l’equazione (*) equivale a B  A  Bx Ax  B y Ay  Bz Az
Confrontando le equazioni ($) e (*) si vede che gli stati φ e x corrispondono ai due
vettori A e B gli stati di base i corrispondono ai vettori di base ei.
Poiché i vettori di base ei sono ortonormali, vale la relazione
ei  e j   ij
Questa relazione ha il suo analogo nell’equazione
i j   ij
valida per le ampiezze di transizione tra stati di base.
C’è una differenza tra le ampiezze quantistiche e il prodotto scalare: per le prime si ha
x   x
mentre nell’algebra dei vettori è
*
($$$)
   
A B  B  A
(###)
ossia, nel prodotto scalare, l’ordinamento dei termini è irrilevante.
L’equazione (*), che esprime una proprietà del prodotto scalare tra due vettori, è
valida in generale per qualunque vettore B. L’equazione può quindi essere scritta in
forma vettoriale “eliminando” B da entrambi i membri. Si arriva così all’equazione

  




A   ei (ei  A)   Ai ei  Ax ex  Ay e y  Az ez
i
i
In modo analogo si può pensare di definire dalla relazione quantistica ($) l’analogo
di un “vettore”. Eliminando la da entrambi i membri della ($) si ottiene
   i i    ci i
i
In altri termini: la “parentesi”
La seconda parte,

x
i
viene considerata come composta di due parti.
, è detta KET mentre la prima,
x
, è detta BRA.
La notazione è di Dirac
Insieme
I simboli
x
x
e
e


compongono una BRA-KET (“braket” = “parentesi” in inglese).
sono anche detti vettori di stato.
46
La differenza tra le equazioni ($$$) e (###) sta ad indicare che i vettori di stato
KET e i vettori BRA sono definiti in uno spazio vettoriale complesso. In particolare,
x
scriviamo l’equazione (*) per un vettore
x   i i x   di i
i
i
Confrontiamo questa equazione con quella che si ottiene dalla ($) eliminando il ket

e utilizzando la proprietà ($$$)
x   x i i   di i
*
i
i
Vediamo dunque che vale la seguente regola di corrispondenza tra ket e bra:
c   c   c*   c* 
Sottolineiamo che mentre i vettori nello spazio a tre dimensioni sono
rappresentabili per mezzo di tre versori mutuamente ortogonali, i vettori di base i per
gli stati quantistici devono variare su quell’insieme completo che si adatta al particolare
problema. A seconda dei casi, possono essere necessari due, o tre o anche un numero
infinito di stati di base.
Consideriamo l’interpretazione fisica dell’equazione (*). Essa afferma che, in
meccanica quantistica, ogni stato  può essere espresso come combinazione lineare, o
sovrapposizione, con opportuni coefficienti, di un insieme di stato di base. Viceversa, se
lo stato  e lo stato x sono due stati accessibili per il sistema allora qualunque
combinazione lineare di  e x è ancora uno stato accessibile del sistema. Questo
enunciato costituisce il principio di sovrapposizione degli stati e rappresenta uno dei
principi fondamentali della meccanica quantistica.
La possibilità per un sistema di trovarsi in uno stato che è una
sovrapposizione di più stati è un concetto puramente quantistico e non ha
analogo classico. Così un atomo può trovarsi in una sovrapposizione di stati di spin, un
fotone in una sovrapposizione di stati di polarizzazione, un elettrone in uno stato
risultante dalla sovrapposizione di stati che definiscono il passaggio attraverso una o
l’altra di due fenditure. È il principio di sovrapposizione che è dunque alla base di tutti i
fenomeni di interferenza sin qui considerati.
Concludiamo con un’osservazione sulla normalizzazione dei vettori di stato.
Scegliendo nell’equazione ($) lo stato arbitrario x uguale allo stato  troviamo che
47
    i i  i
i
2
i
ossia l’ampiezza   è sempre un numero reale non negativo. Il quadrato di questa
ampiezza rappresenta la probabilità che “un sistema nello stato  venga trovato nello
stato  . Tale probabilità è evidentemente uguale a 1. L’ampiezza   deve dunque
soddisfare
  1
I vettori di stato corrispondenti a stati fisici devono essere normalizzati.
OPERATORI. RAPPRESENTAZIONI MATRICIALI E
RELAZIONE DI COMPLETEZZA
Per introdurre il concetto di “operatore” consideriamo nuovamente un esperimento di
S-G ideale costruito nel modo seguente
 
 
0 | 
 | 
 
 
 
 A
 
 
 | 
 
0 
 | 
 
S
R
Con A si intende un qualunque insieme, comunque complicato, di apparecchi di S-G. La
corrispondente ampiezza di probabilità che la particella, inizialmente nello stato
 S prima di entrare in A, ne esca nello stato 0 R si indica con
0R A  S
In generale A indica una qualunque operazione effettuata sullo stato della particella, e si
dice che A è un operatore. Quando un operatore agisce su un vettore di stato lo
trasforma in un altro vettore di stato.
Per comprendere come l’apparecchio A agisce tra una coppia di stati arbitrari
consideriamo il seguente esperimento:
 
 
0 | 
 | 
 
 
 
0 
 
 
S
T
 
 
 A
 
 
 
 
0 
 
 
 | 
 
0 
 | 
 
T
R
in cui, ai lati dell’apparecchio A sono aggiunti due apparecchi T senza filtri. Poiché la
presenza di apparecchi senza filtri non modifica la situazione dal punto di vista fisico,
per le corrispondenti ampiezze di probabilità abbiamo
0 R A  S   0 R iT iT A jT jT  S
i
j
48
Questa espressione non dipende evidentemente dalla specifica scelta
dell’apparecchio T e dalla scelta degli stati iniziali e finale,  S e 0 R . Può quindi
essere scritta nella forma generale
x A   x i i A j j 
(**)
i, j
Il secondo membro dell’equazione (**) è in realtà più semplice del primo. Ci dice
che l’apparecchio A è completamente descritto dai nove numeri
iAj
per ogni i e j
che danno la risposta di A relativa ai tre stati di base in una determinata
rappresentazione. Una volta noti questi nove numeri è possibile calcolare l’azione
dell’operatore A tra due stati iniziali e finali  e x qualsiasi se definiamo ciascuno di
essi per mezzo delle tre ampiezze per la transizione a j  o da x i , ognuno dei tre
stati di base.
L’equazione (**) può anche essere scritta in forma vettoriale eliminando lo stato
arbitrario x :
A   i i A j j 
(#)
i, j
Questa equazione definisce completamente lo sviluppo in termini dei vettori di
base i del vettore di stato A  ottenuto facendo agire l’operatore A sul ket  .
Analogamente, eliminando lo stato  nell’equazione (**) possiamo derivare
l’effetto di un operatore A che agisce su un bra x da destra:
x A x j i A j j
(##)
i, j
Questa equazione definisce lo sviluppo del bra x A in termini dei ket di base j .
Tutti gli operatori che consideriamo qui sono operatori lineari.
Risulta spesso conveniente raccogliere i diversi numeri complessi i A j che
definiscono l’azione dell’operatore A nella forma di una matrice quadrata NxN, dove N
è in generale la dimensione dello spazio dei ket (N = 3 per gli atomi di spin 1
nell’esperimento di S-G):
 1 A1
1 A 2 ... 


2
A
1
2
A
2
...


A =r
 ...
...
... 

Il simbolo “=r” sta per “è rappresentato da”.
49
Osserviamo che gli elementi di questa matrice dipendono evidentemente dalla
particolare scelta effettuata per i vettori di base i .
I coefficienti dello sviluppo del vettore di stato   A  in termini di ket di
base possono essere ottenuti moltiplicando i membri dell’equazione (#󠄀) a sinistra per un
bra di base k :
k   k A   k i i A j j    k A j j 
i, j
j
dove si è utilizzata l’ortonormalità dei vettori di base: k i   ki . Ma questa equazione
può essere vista come l’ordinario prodotto di una matrice per un vettore-colonna
quando i coefficienti dello sviluppo dei vettori di stati  e   A  sono disposti
nella forma di vettore colonna:
 1 
 1 




2

2





 =r  ... 
 =r  ... 
,




 ... 
 ... 




Analogamente, i coefficienti dello sviluppo del bra   x A ottenuto facendo agire (da
destra) l’operatore A sul bra
x , possono essere ottenuti moltiplicando scalarmente
l’equazione (#󠄀#󠄀) per il ket di base k
 k  x Ak  x i i A j j k  x i i Ak
i, j
i
Questa equazione può essere interpretata come l’ordinario prodotto di un vettore
riga per una matrice quando conveniamo di rappresentare  e x in termini di vettori
riga:
x =r
 x 1 , x 2 ,...   1 x *, 2 x *,...
  1 ,  2 ,...   1  *, 2  *,...
 =r
Si noti in queste espressioni la comparsa dell’operazione di coniugazione
complessa.
Con una notazione matriciale può essere anche espresso il prodotto scalare di due
vettori di stato x e  .
Scriviamo questo prodotto nella forma
x  x i i 
($)
i
50
Questo non è altro che il prodotto di un vettore riga per un vettore colonna:
 1 


x    1 x * 2 x * ... 2  
 ... 


Un operatore particolarmente semplice è l’operatore identità I, definito come
l’operatore la cui azione su un qualunque vettore di stato è nulla:
xI  x
Confrontando questa relazione con l’equazione ($), se ne deduce che è possibile
scrivere per gli stati di base
i i I
i
Questa equazione è nota come relazione di completezza. La relazione di
completezza, unita all’equazione i j   ij garantisce che gli stati i costituiscono un
buon sistema di stati di base.
Concludiamo questo paragrafo osservando che in generale è possibile definire il
prodotto di un ket per un bra nella forma
 
e viene detto prodotto esterno (come contrapposto al prodotto scalare di un bra
per un ket detto anche prodotto interno.
Il prodotto esterno è evidentemente un operatore, e i suoi elementi di matrice in
una determinata rappresentazione si ottengono moltiplicando (come in ogni altro caso)
l’operatore per il bra di base i a sinistra e il ket di base j a destra:

 1 1  *

 =r  2  1  *

...

1  2  * ... 

2  2  * ... 
...
... 
ESEMPIO
VETTORI DI STATO, OPERATORI E RAPPRESENTAZIONI
MATRICIALI PER PARTICELLE DI SPIN ½
Gli atomi di spin ½ che attraversano un apparecchio di Stern e Gerlach con il campo
magnetico orientato nella direzione dell’asse z si separano in due fasci. Questi fasci
contengono le particelle per le quali le proiezioni dello spin lungo l’asse z valgono
rispettivamente ± ħ/2. Indichiamo i due corrispondenti vettori di stato con i simboli
51
  S z   / 2
  S z   / 2
(o)
Come abbiamo visto, questi vettori di stato soddisfano le condizioni di
ortonormalità
     1
     0
(oo)
Scegliamo i due stati  e  come insiemi di stati di base. Utilizzando le
relazioni di ortonormalità (oo) è immediato derivare le rappresentazioni matriciali per i
ket  e  nella base considerata
    1
     0
   
   
 =r 

=r 
 0
 1





  

  
Possiamo anche verificare che gli stati di base  e  soddisfino la relazione di
completezza
1
0
1 0  0 0 1 0





  
  
  I




i
i







1
0

0
1


0
1
i 
 
 
0 0  0 1 0 1
ossia
i
i I
i 
Un qualunque vettore di stato  può essere espresso come combinazione
lineare (sovrapposizione) dei vettori di stato
  c   c 
dove c+ e c– sono coefficienti complessi.
La condizione di normalizzazione per il vettore di stato  implica
1     c *   c *  c   c   
 c
2
   c  * c     c  * c    c 
2
   c   c
2
2
ossia
c  c  1
2
2
Le rappresentazioni matriciali per il vettore di stato  e per il corrispondente bra
sono evidentemente
     c 
   
 =r 
 c



  
 =r

*
  *  c * c *
Così, ad esempio, due possibili vettori di stato per gli atomi di spin ½ si
ottengono scegliendo per i coefficienti c+ e c– i valori
1
i
c 
, c  
2
2
52
ossia
y 
1  1
1
i
 
 
 =r
2  i 
2
2
1 1
1
i
 
y 
 
 =r
2   i 
2
2
(#)
(La notazione adottata per questi vettori di stato corrisponde al fatto che tali stati
possono essere selezionati utilizzando un apparecchio di S-G con il campo magnetico
diretto lungo l’asse y. Essi corrispondono pertanto agli stati in cui la proiezione dello
spin lungo l’asse y vale rispettivamente ± ħ/2.)
Consideriamo la probabilità che un atomo, selezionato nello stato
 ( S z   / 2 ) venga trovato, a seguito di una misura di Sy nello stato
 y ( S y   / 2 ). In altri termini, consideriamo la probabilità per il seguente
esperimento di S-G:
 | 
 
 
 
 
 | 
Sy
Sz
La corrispondente ampiezza di probabilità,  y  , può essere calcolata facilmente
utilizzando la seconda delle equazioni (#):
i
1
i
1
 1

 y  
 
 
 
 
2 
2
2
2
 2
Allo stesso risultato si giunge, ovviamente, utilizzando le rappresentazioni matriciali per i
vettori di stato
1
1
1 i    1
y  
2
2
 0
Per la probabilità corrispondente si ha pertanto
2
1
P   y  
2
La probabilità che un atomo nello stato  venga trovato invece nello stato
1
S y   / 2 deve valere ovviamente P  1  P  .
2
Si ha infatti, per l’ampiezza corrispondente
1
1
1  i    1
y 
2
2
0
da cui
53
P   y 
2

1
2
come previsto.
Consideriamo ora un operatore A rappresentato dal seguente apparecchio di S-G:
 


|
 
A  
Sz
L’azione di questo operatore è evidentemente la seguente: se nell’apparecchio di
S-G viene fatto entrare un atomo selezionato nello stato  questo attraverso
l’apparecchio indisturbato e ne esce trovandosi sempre nello stato  . Viceversa, se
nell’apparecchio viene fatto entrare un atomo selezionato nello stato  , allora questo
atomo è bloccato dal diaframma e non si osserva alcun atomo in uscita. Da queste
considerazioni, è immediato ricavare la rappresentazione matriciale dell’operatore A nella
base di Sz:
  A
 A   1 0

  
A =r 
 0 0 

A


A



 
Esercizio: dimostrare che A   
Utilizzando questa rappresentazione è poi possibile derivare l’azione
dell’operatore A su un generico vettore di stato. Nello caso dello stato  y si ha ad
esempio:
1  1 0 1 1  1  1

  
 

A  y =r
2  0 0  i 
2  0 
2
è evidente a priori, del resto, come un atomo all’uscita dell’apparecchio
 
 
 |  debba
Sx
trovarsi nello stato  .
OPERATORI, OSSERVABILI E VALORI DI ASPETTAZIONE
Discutiamo qui la teoria quantistica della misura. In meccanica quantistica, per un
sistema che si trovi in un determinato stato iniziale  , una misura di una quantità fisica
54
A non produce, in generale, sempre lo stesso risultato. Piuttosto si possono ottenere
differenti risultati, ciascuno con una ben determinata probabilità.
Se indichiamo con ai i possibili risultati di una misura dell’osservabile A e con Pi le
relative probabilità (riferite a un sistema che si trovi nello stato  ) possiamo scrivere il
valore medio dei risultati di una misura di A come
A   ai Pi
i
Nella meccanica quantistica si associa a ogni grandezza fisica A un operatore
lineare che la rappresenta
grandezza
operatore
fisica 
A
A
L’operatore A viene definito in maniera tale che, per un sistema che si trovi in
uno stato  , valga la relazione
A   A
ossia il valore medio dei possibili risultati di una misura di A è dato dal valore di
aspettazione dell’operatore A sullo stato  .
Naturalmente i valori medi di qualsiasi grandezza fisica reale, in qualunque stato,
sono reali. Questa circostanza pone determinate limitazioni alle proprietà degli operatori
che corrispondono, nella meccanica quantistica, alle grandezze fisiche. Assumiamo
infatti che  A  sia reale per qualunque scelta del vettore di stato  . Consideriamo
poi un vettore  della forma
  u   v
dove α e β sono numeri complessi. Il valore di aspettazione di A su questo stato è
dato da
 * u   * v A u   v  
  u A u   v A v   *  u A v   * v A u
Per ipotesi, i primi due termini che entrano in questa espressione sono reali. Deve
dunque essere reale anche la somma dei due secondi termini. Uguagliando a zero la parte
immaginaria di questa somma otteniamo
 *   u A v  u A v    *  v A u  v A u   0
2
2
(A+ è la trasposta coniugata, o aggiunta, di A)
Tale condizione può essere scritta nella forma
 *   m   * m*  0

dove m  u A v  u A v
55
Scegliendo allora  *  reale oppure scegliendolo immaginario puro si ottiene
rispettivamente
 *   (m  m*)  0  m  m *


che implicano necessariamente m  0
 *   (m  m*)  0 m  m *


Pertanto deve essere u A v  u A v  0  u A v  u A v
Ma poiché i vettori u e v sono arbitrari concludiamo che
A  A
ossia gli operatori che rappresentano le osservabili in meccanica quantistica sono
operatori hermitiani1.
(Viceversa, se A  A allora  A  è reale per definizione di A+, trasposta
coniugata, ovvero aggiunta di A.
AUTOVALORI E AUTOVETTORI DI OSSERVABILI
Cerchiamo di determinare i possibili valori della grandezza A e gli stati a ' nei quali tale
grandezza non può avere che un solo valore a' . Per tali stati lo scarto quadratico medio
A2
 A  A

2
deve essere nullo.
Calcoliamo allora esplicitamente il valore di aspettazione di A sullo stato a ' ,
2
ponendo dunque A  a' . Utilizzando la relazione di completezza per un insieme
arbitrario di stati di base, si ottiene:
2
0  a' A a'  a'  A  a' A  a' a'   a'  A  a' i i  A  a' a' 

i

  i A   a ' a ' * i  A  a ' a '   i  A  a ' a '
i
2
i
Poiché ciascun termine della sommatoria è positivo o nullo, questa condizione
può essere soddisfatta solo se i A  a' a'  0 per ogni i
Otteniamo quindi la relazione
1
In algebra lineare una matrice hermitiana (dal nome del matematico francese Charles Hermite) o
matrice autoaggiunta è una matrice a valori complessi che coincide con la propria trasposta coniugata (o
matrice aggiunta). Una matrice hermitiana con elementi nel campo dei numeri reali è dunque una
matrice simmetrica.
56
A a'  a' a'
Questa equazione è detta equazione agli autovalori.
I numeri a' sono detti autovalori dell’operatore A e i corrispondenti a ' stati
prendono il nome di autostati o autovettori dell’operatore.
Abbiamo così mostrato che un sistema si trova in uno stato corrispondente
ad un autostato dell’operatore A con autovalore a' , allora una misura
dell’osservabile A produce con certezza il valore a' .
Viceversa, se una misura dell’osservabile A in un determinato stato produce
con certezza il valore a' , allora lo stato in questione è un autostato di A
corrispondente all’autovalore a' .
In meccanica quantistica si postula inoltre che la totalità degli autovalori
dell’operatore A è identica alla totalità di tutti i possibili risultati di una misura della
grandezza A corrispondente.
È utile sottolineare la distinzione tra autovalori e valori di aspettazione. Per
esempio, per una particella di spin ½, i risultati di una misura della componente z dello
spin possono assumere solo i valori   / 2 (corrispondenti agli autovalori dell’operatore
Sz) mentre il valore di aspettazione di Sz in un determinato stato può assumere in
generale qualunque valore tra   / 2 e   / 2 .
AUTOVETTORI DI OSSERVABILI COME VETTORI DI BASE
Consideriamo due proprietà degli operatori hermitiani:
1) Gli autovalori di un operatore hermitiano sono reali. Indichiamo con a' un
autovalore di A e con a ' il corrispondente autovettore convenientemente
normalizzato: a' a'  1. Possiamo allora scrivere a' A a'  a' a' a'  1 .
D’altra parte, per l’hermitianità dell’operatore A si ha pure
a' A a'  a' A a' *  a'* da cui segue
a'  a'* .
Questo risultato è consistente con l’assunzione che gli autovalori di un operatore
hermitiano A rappresentano i possibili risultati di una misura della grandezza fisica
reale A.
2) Gli autovettori di un operatore hermitiano corrispondenti ad autovalori distinti sono
ortogonali.
Indichiamo con a' e a' ' due autovalori distinti di A e con a ' e a ' ' i corrispondenti
autovettori. Si ha:
57
a' A a' '  a' ' a' a' '
a' A a' '  a' ' A a' *  a' a' ' a' *  a' a' a' '
dove nella seconda equazione si è utilizzato il risultato secondo cui gli autovalori di
un operatore hermitiano sono reali. Sottraendo allora membro a membro le due
equazioni si ottiene
(a' 'a' ) a' a' '  0
ossia
a' a' '  0 per a'  a' '
Osserviamo che in generale autostati associati a uno stesso autovalore non
sono ortogonali. Poiché però una qualunque combinazione lineare di autostati degeneri
è ancora un autostato associato allo stesso autovalore, risulta sempre possibile
scegliere autostati in modo che siano a due a due ortogonali.
Per ogni operatore hermitiano A è possibile dunque definire un insieme
ortogonale di autovettori, che soddisfa cioè la relazione
a' a' '   a 'a ''
e che rappresenta una base nello spazio dei vettori di stato.
Risulta allora possibile sviluppare un vettore di uno stato arbitrario 
come combinazione lineare di autostati dell’operatore A:
   c a ' a'
a'
I coefficienti dello sviluppo si ottengono moltiplicando a sinistra per a ' '
utilizzando l’ortonormalità degli autostati di A:
e
ca '  a ' 
Cerchiamo il significato fisico delle ampiezze c a ' . In termini di queste ampiezze, il
valore medio di A sullo stato  si scrive
A   A    ca ' * ca '' a' A a' '   ca ' * ca '' a' ' a' a' '   ca ' a'
2
a ',a ''
a ',a ''
a'
D’altra parte, la condizione di normalizzazione
   1   ca ' * ca '' a' a' '   ca ' a'
2
a ',a ''
Dalle due uguaglianze
a'
A   ca ' a '
2
a'
c
2
a'
a'  1
si deduce che il
a'
modulo quadro delle ampiezze c a ' rappresenta la probabilità di trovare, in seguito a una
58
misura della grandezza fisica A, il valore a' : probabilità per
a' = aa '  a ' 
2
2
(purché lo stato  sia normalizzato).
Questa interpretazione è del tutto naturale, nel formalismo che stiamo
sviluppando: la quantità a'  rappresenta infatti l’ampiezza di probabilità che lo stato
 “si porti” nello stato a ' , stato in cui una misura di A produce con certezza il valore
a' .
Se su di un sistema nello stato  si effettua la misura dell’osservabile A e
si ottiene come risultato il valore a' , allora, per effetto della misura, il sistema
“precipita” nello stato a '


misura di  A
a'
In questo senso il processo di misura, in meccanica quantistica, influisce
sempre sullo stato del sistema. La sola eccezione è quando lo stato iniziale è già un
autostato dell’osservabile che viene misurata.
AUTOSTATI DELL’OPERATORE DI POSIZIONE, MISURE DI
POSIZIONE E FUNZIONE D’ONDA
Abbiamo assunto che le osservabili finora abbiano uno spettro discreto di autovalori. In
meccanica quantistica, tuttavia, vi sono osservabili con autovalori continui.
Un caso particolarmente importante di osservabile con spettro continuo è
rappresentato dalla posizione.
Consideriamo (per semplicità) una particella vincolata a muoversi in una
dimensione e sia x l’asse lungo il quale è possibile il moto. Possiamo allora pensare di
indicare con il simbolo x ' lo stato in cui la particella si trova nella posizione x' .
Una misura di posizione per una particella che si trovi nello stato x ' fornisce (per
definizione) con certezza il valore x' . In altri termini, lo stato x ' deve essere un
autostato dell’operatore di posizione corrispondente all’autovalore x' :
x x'  x' x'
In questa equazione, x' è semplicemente un numero mentre x rappresenta
l’operatore posizione.
Così come uno stato qualsiasi può essere sviluppato in serie di autostati di una
grandezza con spettro discreto, allo stesso modo uno stato può essere sviluppato,
questa volta in integrale, secondo un sistema completo di autostati di una
59
grandezza con spettro continuo. Nel caso degli autostati dell’operatore posizione,
questo sviluppo ha la forma

   dx' x' x' 
(o)

Contrariamente al caso di variabile con spettro discreto, il modulo quadro
2
x '  non può essere interpretato come probabilità che una particella nello stato venga
a trovarsi nella posizione x' . Infatti, per una variabile continua, tale probabilità è nulla.
Il significato fisico dell’ampiezza x'  può essere derivato nel modo seguente.
Utilizzando lo sviluppo (o) calcoliamo il valore medio della posizione nello stato  :




 x    dx'  x x' x'    dx' x' x' 
Da questa espressione vediamo che la quantità x ' 
che la particella nello stato 
dx' attorno al punto x' .
2
2
(oo)
dx' rappresenta la probabilità
si trovi posizionata in un intervallo di larghezza
Solitamente, l’ampiezza x'  prende il nome di funzione d’onda
stato  :
 (x' ) per lo
x'    ( x' )
La precedente equazione mostra allora che per un intervallo infinitesimo la
probabilità che una particella nello stato si trovi compresa in intervallo di
larghezza dx' attorno al punto x' è:
2
P ( x' , x' dx' )  x' 
dx'   ( x' ) dx'
2
Conseguentemente, la probabilità di registrare la particella in qualche punto
compreso nell’intervallo è
b
P(a  x  b)    ( x' ) dx'
2
a
La probabilità di trovare la particella in qualche punto tra – ∞ e +∞ si ottiene
integrando  (x' ) su tutto l’asse x. Dall’equazione (o) risulta che questa probabilità
è correttamente normalizzata all’unità se lo stato  è normalizzato:
2
60

  ( x' )

2
dx' 


2
x'  dx' 



x' x'  dx'     1

Questa equazione esprime la condizione di normalizzazione per la funzione
d’onda.
L’equazione (oo) esprime in termini della funzione d’onda nello stato  il valor
medio della posizione della particella:


 x    x' x'  dx'   x'  ( x' ) dx'
2

2

Inoltre, utilizzando l’equazione (o), che definisce la relazione di completezza degli
autostati della posizione, è possibile esprimere una qualunque ampiezza   in termini
di un integrale di sovrapposizione della funzione d’onda per gli stati  e  :
 




 x' x'  dx'    * ( x' )   ( x' )dx'

OPERATORE IMPULSO. AUTOSTATI E AUTOFUNZIONI
Introduciamo ora gli autostati dell’operatore impulso, ossia gli stati per i quali l’impulso
della particella ha un valore determinato. Considerando per semplicità il caso di una
dimensione, questi stati soddisfano l’equazione
p p'  p' p'
(*)
dove p è l’operatore impulso e p ' il determinato autovalore.
Le funzioni d’onda corrispondenti agli autostati dell’impulso, ossia le ampiezze
x' p ' sono anche dette autofunzioni dell’operatore impulso. L’espressione esplicita di
queste funzioni d’onda può essere dedotta empiricamente considerando la relazione di
De Broglie, verificata sperimentalmente, secondo cui una particella di impulso p è
descritta da un’onda piana la cui lunghezza d’onda λ è legata all’impulso dalla relazione

h 2
2

 k
ossia p 
p
p

dove k è il vettore d’onda. Assumiamo dunque per la funzione d’onda di una particella
di impulso p l’espressione
61
 p ' ( x' )  x' p '  Ne ik 'x '  Ne
i
p 'x '

(**)
dove N è una costante di normalizzazione.
Il significato fisico dell’espressione ottenuta per le autofunzioni dell’impulso è
evidente: la probabilità che una particella che possiede impulso determinato si trovi in
una regione dello spazio compresa tra x e x  dx è una costante indipendente da x :
2
P ( x, x  dx)  p ' ( x ) dx  N dx
2
In altri termini, in accordo con il principio di indeterminazione, una particella con
impulso determinato ha una indeterminazione totale sulla propria posizione nello
spazio.
È evidente che le onde piane (**), autofunzioni dell’impulso, soddisfano la
seguente equazione differenziale
 i

p ' ( x' )  p ' p ' ( x' )
x
(***)
Confrontando l’equazione (*) con l’equazione (***) vediamo che l’autostato
dell’operatore impulso e la corrispondente autofunzione soddisfano la stessa equazione
agli autovalori purché si intenda, nel secondo caso, identificare l’operatore impulso con
quella che viene chiamata la sua espressione nella rappresentazione delle coordinate:
o, nel caso generale di tre dimensioni,

p x   i
x


p   i 
Moltiplicando entrambi i membri dell’eq. (*) a sinistra per un bra autostato della
posizione si ottiene
x' p p '  p ' x' p '  p '  p ' ( x' )
Il primo membro di questa equazione può essere espresso pure in termini
dell’autofunzione  p ' ( x ' ) .
Il confronto con l’equazione (***) fornisce infatti

x ' p p '  i 
 p ' ( x' )
(#)
x'
che mostra come l’espressione dell’operatore impulso nella rappresentazione delle
coordinate sia legata all’elemento di matrice dell’operatore tra un suo autostato e un
autostato della posizione.
Inoltre, utilizzando la relazione di completezza degli autostati dell’impulso, la
precedente espressione può essere generalizzata a un vettore di stato  generico. Si ha
infatti
62
x' p    dp' x' p p' p'   i


dp' x' p' p'   i
 p ' x' 

x'
x'
ossia
x' p   i

 ( x' )
x'
(##)
Dall’equazione (#󠄀#󠄀) possiamo infine derivare un’espressione esplicita per gli
elementi di matrice  p  in termini delle funzioni d’onda degli stati  e  :


 p    dx'  x' x' p    dx'  x'   i
 
 

 x'    dx'  * ( x' )  i
 ( x' )
x' 
x' 

In particolare, il valor medio dell’impulso per una particella che si trova nello stato
 è espresso da:
p

 

  p    dx'  * ( x' )  i
 ( x' )
x' 

(Questa espressione è l’analoga dell’equazione che esprime il valore medio della
posizione in termini della funzione d’onda dello stato
x

  x    dx'  * ( x' ) x'  ( x' )   dx' x'  ( x' )
2
EVOLUZIONE TEMPORALE DEGLI STATI.
EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER.
In meccanica quantistica il vettore di stato, o equivalentemente la funzione d’onda,
determina in modo completo lo stato di un sistema fisico. Ciò significa che questo
vettore  ,t 0 , dato a un certo istante di tempo t 0 , ne definisce anche il comportamento
in tutti gli istanti successivi. Lo stato del sistema evolverà nel tempo e sarà descritto, a
ciascun istante di tempo t  t 0 , dal vettore  , t . Analogamente la funzione d’onda
 
all’istante iniziale t 0 ,  x, t 0  x'
 , t 0 evolve nel tempo e determina la funzione
 
d’onda a ciascun istante di tempo successivo,  x, t  x '
,t
Il problema che ci proponiamo qui di affrontare è lo studio dell’evoluzione
temporale della funzione d’onda o, equivalentemente, del vettore di stato.
63
Cap. 3
L’EQUAZIONE DI SCHRÖDINGER
E SISTEMI QUANTISTICI
3.1. L’equazione di Schrödinger
(fu formulata nel 1926: per tale equazione Schrödinger prese il Nobel nel 1933)
Risulta conveniente discutere il problema dell’evoluzione temporale considerando
dapprima il caso più semplice della particella libera, ossia non soggetta a forze esterne.
La dinamica della particella è in questo caso descritta, in meccanica quantistica come in
meccanica classica, dalla semplice Hamiltoniana

p2
H
2m

dove p è l’impulso della particella (in meccanica quantistica un operatore) ed m la sua
massa.
L’esperienza (effetto fotoelettrico, effetto Compton, diffrazione degli elettroni,
…) mostra che la particella libera è descritta da un’onda piana le cui frequenza e
vettore d’onda sono legate all’energia e all’impulso della particella dalle relazioni di


Einstein ( E   ) e di De Broglie ( p  k )
Possiamo dunque assumere che la funzione d’onda totale, dipendente dal tempo,
della particella libera abbia la forma
 
i
 
( Et  p  x )

i (t  k  x )

 ( x; t )  Ne
 Ne
(Δ)
dove energia è impulso sono legati tra loro dalla relazione

p2
E
2m
(ΔΔ)
valida in assenza di forze esterne.
Abbiamo già visto, nel paragrafo precedente, come l’onda piana soddisfi


 i   p ,
l’equazione
che ci ha permesso di identificare l’espressione
dell’operatore impulso nella rappresentazione delle coordinate:


p   i 
Osserviamo
i
ora
come
l’onda
piana
(Δ)
soddisfi
anche
l’equazione

  E , che ci consente di identificare anche l’espressione nella
t
64
rappresentazione delle coordinate dell’operatore energia, o operatore Hamiltoniano:
i

H.
t
Tenendo anche conto della relazione tra energia e impulso (ΔΔ) valida per la
particella libera, si trova allora che la funzione d’onda (Δ) di particella libera soddisfa
l’equazione


p2
2 2
i
 H 

 
t
2m
2m
(ΔΔΔ)
Volendo semplificare il modo per ottenere l’equazione, possiamo scrivere l’equazione di
un’onda piana in una dimensione
 i (t  kx )
 ( x; t )  Ae
sostituiamo in essa la relazione di Einstein E      E  e quella di De Broglie:
p  k  k  p
( x; t )  Ae
i
 ( Et  px )

 . Otteniamo
Un modo per calcolare l’energia di una particella (libera, per il momento), è quella di
derivare la funzione d’onda rispetto al tempo
 ( Et  px ) 

i 
i  ( x; t )  iAe 
   E   E ( x; t )
t
  
i
Un modo per calcolare l’impulso di una particella è quello di derivare la funzione d’onda
rispetto alla x
 ( Et  px ) 

i 
 i  ( x; t )  iAe 
   p   p ( x; t )
x
  
i
Le due espressioni si possono scrivere simbolicamente in maniera convenzionale come
E  i

t
p  i

x
p2
Poiché per una particella libera non relativistica e non soggetta a potenziale è E 
,
2m
tale formula può essere ricondotta alla funzione d’onda nel modo seguente

2 2
i   

2
t
2m x
La soluzione di questa equazione differenziale (equazione di Schrödinger) è appunto
l’onda piana Ψ da cui siamo partiti, onda piana che dunque descrive la particella libera.
65
Se la particella non è libera ma vincolata in un campo di forze, l’equazione di
Schrödinger si generalizza facilmente. In perfetta corrispondenza con l’espressione
classica, in meccanica quantistica l’Hamiltoniano di una particella sottoposta a un
campo esterno (per semplicità ci limitiamo a considerare qui il solo caso in cui
l’Hamiltoniano del sistema non dipenda esplicitamente dal tempo) è:


p2
 V (x)
la sua energia totale sarà H 
2m
dove V (x) è l’energia potenziale della particella nel campo esterno. L’equazione di
Schrödinger è allora l’immediata generalizzazione dell’equazione (ΔΔΔ) valida nel caso
libero

 p2
 2 2
 
 

i
 H  
 V ( x )    
  V ( x ) 
t
 2m

 2m

(▲)

dove   x, t 
Questa equazione, derivata da Schrödinger nel 1926, consente di determinare la
funzione d’onda del sistema fisico dato e la sua evoluzione nel tempo (in termini della
 
condizione iniziale  x, t 0
In una dimensione l’equazione assume la più semplice veste
 2 2



i    

V
(
x
)
2
t
 2m x

L’equazione di Schrödinger può essere scritta equivalentemente in termini dei

vettori di stato  , t , in luogo della f.d.o.  ( x , t ) , nella forma
i

 ,t  H  ,t
t
(▲▲)
da cui l’equazione (▲) per la f.d.o. segue direttamente moltiplicando per un bra x
autostato della posizione e identificando l’Hamiltoniano con la sua espressione nella
rappresentazione delle coordinate
 2 2


  
x H  , t  H x , t    
  V ( x )  x , t 
 2m

(▲▲▲)
L’evoluzione temporale del sistema risulta particolarmente semplice per gli stati del
sistema in cui l’energia assume un valore determinato (come per gli stati di particella
libera considerati inizialmente).
Questi stati sono detti stati stazionari e corrispondono agli autostati
dell’operatore Hamiltoniano, soddisfano cioè l’equazione agli autovalori
H n  En n
L’equazione di Schrödinger per uno stato stazionario
66
(=)
i

n, t  H n, t  E n n, t
t
può essere integrata direttamente rispetto al tempo e dà
n, t  e
i
 Ent

n ,0
dove si è considerato per semplicità t 0  0 . Questa equazione indica che se il
sistema si trova in un determinato istante in un autostato dell’Hamiltoniana, esso
resta in tale autostato per tutti gli istanti seguenti (il vettore di stato evolve nel
tempo solo con un fattore di fase moltiplicativo e lo stato fisico non cambia).
Equivalentemente, possiamo affermare che se nello stato dato l’energia ha un valore
determinato, questo valore resterà costante nel tempo. Questo risultato esprime in
meccanica quantistica la legge di conservazione dell’energia per i sistemi isolati o
che si trovano in campi esterni non dipendenti dal tempo.


Indichiamo con n x '  x ' n
le autofunzioni dell’Hamiltoniano
corrispondenti agli autovalori En , ossia le funzioni d’onda degli stati con energia En
determinata. Moltiplicando l’equazione (=) per un autostato della posizione,



x ' H n  En x ' n  En n x '
e assumendo per l’Hamiltoniano nella rappresentazione delle coordinate l’espressione
(▲▲▲), si ottiene
 2 2
 
Hn   
  V ( x ) n  En n
 2m

Questa equazione per le autofunzioni dell’energia è anche detta equazione
d’onda di schrödinger indipendente dal tempo. La sua risoluzione determina allo
stesso tempo le autofunzioni n e i corrispondenti autovalori En
dell’Hamiltoniano.
Esempio semplificato
Analizziamo ora una situazione in cui la particella ha una energia ben determinata; ad
p2
esempio la particella libera ha una energia ben determinata: E 
.
2m
Tutte le funzioni d’onda che descrivono particelle con una energia ben
determinata dipendono dal tempo in una maniera ben precisa:
 ( x; t )  Ae
i
 ( Et  px )

e
i
 Et

 ( x)
Se derivo rispetto al tempo trovo E. Per questi particolari stati fisici, la parte
spaziale che equazione soddisfa?
Sostituiamo la funzione nella forma scritta sopra nell’equazione di Schr.
67
 2 2



i    

V
(
x
)
2
t
2
m

x


 2 2
  i Et
e
E ( x)   
 V ( x) e  ( x)
2
Otteniamo
 2m x

 2 2


 ( x) che mostra
E

(
x
)



V
(
x
)
 2m x 2
Che semplificata ci dà


i
 Et

esclusiva dipendenza spaziale. Essa è l’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo.
Chiamato H il funzionale indicato dalla parentesi tonda, tale funzionale non è che
l’hamiltoniana = cinetica + potenziale = K+V, e l’equazione di può indicare nel modo
compatto come H ( x)  E ( x ) , equazione nella quale i valori autovalori soluzioni
dell’equazione sono i possibili di E.
Tale equazione ammette soluzioni solo per valori discreti di E, una volta trovati i
quali possiamo risalire a come è fatta la φ(x), parte spaziale di Ψ(x;t), sapendo poi che
      prob.
2
Applicata all’atomo di idrogeno, dove il potenziale è coulombiano, ci dirà come è
fatta la “parte spaziale” φ(x) dell’onda.
3.2. Osservabili e operatori
Abbiamo visto che in Meccanica Quantistica all’energia E e all’impulso p sono associati
degli OPERATORI
E  i

t
p  i

x
Gli operatori rappresentano le OSSERVABILI FISICHE perché agendo sulla Ψ mi
permettono di determinare appunto tali osservabili.
In Meccanica Quantistica qualunque osservabile (E, p, x, L) non è rappresentato
da funzioni ma da operatori.
Per i due mancanti è
xx
(è l’unico che non si presenta come un operatore vero e proprio ma come una
semplice moltiplicazione: xΨ=xΨ)
Lz  i
68


dove φ è l’angolo azimutale in coordinate polari.
In Meccanica Classica
p2
E
 V ( x)
2m
In Meccanica Quantistica
 2 2



i    

V
(
x
)
2
t
2
m

x


Occorre tener presente che gli operatori NON COMMUTANO tra loro. Ad
px  xp in Meccanica Classica.
 p; x  px  xp  0 … e si può calcolare
esempio,
è
Invece
il
commutatore
def
 p; x def  px  xp  i 
 x
xx
 
 
x 
 

 


 i ( x )  x    i   x   x    i
x 
x
x 
 x

… da cui
 p; xdef px  xp  i
Posizione e impulso dunque non commutano… e si sa che in Meccanica
Quantistica le osservabili che non commutano non possono avere valori
simultaneamente determinati, ma anzi per esse vale il seguente teorema
1
A  B   A; B 
2
che nel caso di x e p fornisce la seguente:
 p; xdef
px  xp  i  x  p 

2
che altro non è se non il famoso Principio di indeterminazione di Heisenberg.
Tale principio discende dunque dal fatto che gli operatori p e x non commutano
tra loro.
SISTEMI QUANTISTICI
Discutiamo qui di seguito le espressioni per le autofunzioni dell’energia e i
corrispondenti autovalori (livelli di energia) per alcuni sistemi fisici importanti. Questi
69
risultati si ottengono dalla risoluzione dell’equazione di Schrödinger indipendente dal
tempo
 2 2

H   
  V ( x)   E
 2m

La risoluzione dell’equazione non verrà qui derivata ma la correttezza dei risultati
riportati può essere verificata a posteriori mediante sostituzione diretta.
3.3. La particella libera
Il più semplici di tutti i sistemi fisici è quello in cui la particella è libera, in assenza di
forze, per cui è V ( x )  0 .
L’equazione di Schrödinger indipendente dal tempo in questo è dunque
2 2

   E
2m
Le autofunzioni totali (dipendenti dal tempo) dell’energia e i corrispondenti autovalori
sono le onde piane
 ( x, t ) 
1
2 
3
e
2
i
 ( Et  px )

p
E

con
2m
Lo spettro energetico della particella libera è quindi continuo e si estende da 0 a +∞.
Ciascuno di questi autovalori (ad eccezione del valore E = 0) è degenere e con ordine di
degenerazione infinito. Infatti a ciascun valore di E non nullo corrisponde un’infinità di
stati (e corrispondenti autofunzioni) che si distinguono per la direzione del vettore di
modulo fissato.
In una dimensione:
 2  2
 2   2mE
p2

 E  2 
 2 
2m x 2
x
2

equazione armonica che ha come soluzione
 ( x) 
1
2
e
i
px

La sua parte reale è la funzione coseno (in realtà siamo partiti proprio
dall’equazione dell’onda piana per ricavare l’equazione di Schrödinger) con
k
2


p 2p
h

 

h
p
70
Se fossimo partiti dall’equazione di Schrödinger avremmo trovato che una
particella libera con impulso p si comporta come un’onda piana di lunghezza d’onda h/p
.
Poiché la particella in questo stato ha energia e impulso completamente
E  0  p  0 , per il principio di indeterminazione la posizione
della particella deve essere completamente indeterminata: x   .
determinati (cioè
Il modulo-quadro della funzione d’onda è l’ampiezza di probabilità
i
 ( x) 
1  px
1
2
e   ( x) 
2 : la particella si troverà con la
2
medesima probabilità (1/2π) in qualunque punto dello spazio, dato che tale probabilità
non dipende da x. Questo è però un caso ideale: in realtà l’incertezza sull’impulso non
sarà mai 0 e quindi non sarà mai infinita l’incertezza sulla posizione)
3.4. La buca di potenziale infinita (particella su un segmento)
Immaginiamo una particella (di gas) libera di muoversi in un contenitore di larghezza a
0 xa
 0
V ( x)  
 
x  0 x  a
Quale o quali saranno la funzione d’onda di tale particella? (una per ogni livello di
energia possibile, cioè una per ogni autovalore della eq. di Schrödinger)
Fuori della buca il valore della funzione sarà 0 (il suo modulo quadro, che dà la
probabilità di trovare la particella fuori della buca, deve appunto valere 0); dentro la buca
la funzione deve soddisfare l’equazione di Schrödinger; inoltre bisogna imporre delle
condizioni per la funzione sul bordo della scatola, se vogliamo che la funzione sia
continua in tutto lo spazio: dobbiamo imporre n (0)  n (a)  0
La soluzione non è più l’onda piana del caso precedente ma soltanto la sua parte
immaginaria: le autofunzioni dell’energia e i corrispondenti autovalori sono
71
 2
2
nx

sin
k
x

sin
0 xa
n
n ( x)   a
a
a

0
x  0 x  a

 2 k n2  2 2 n 2
En 

n = 1, 2, 3, …
2m
2ma 2
 2 2
E1 
L’energia più bassa si ha per n = 1:
2ma 2
2
Esistono dunque infiniti livelli discreti di energia (che crescono come n 2 ): E n  n E1
72
C’è una corrispondenza tra una energia discreta e quello che si dice uno stato legato,
ovvero: se n ()  0 (la particella cioè è legata, non si può allontanare all’infinito)
allora (si può dimostrare) i livelli di energia sono sempre discreti.
Viceversa, se la particella può andare all’infinito (come nel caso della particella
libera) i livelli di energia sono continui.
Se metto un gas dentro una scatola, per il solo fatto di averlo confinato in una
regione i suoi livelli di energia devono essere discreti, e sono quelli previsti dall’equazione
di Sch.
3.5. La barriera di potenziale e l’effetto tunnel
Consideriamo il moto unidimensionale di una particella (o un fascio di particelle) in un
campo di forze con una barriera di potenziale, descritto da:
0
V ( x)  
V0
x a
x a
Consideriamo in particolare il moto di una particella che giunge da sinistra con energia
E  V0 . Classicamente la particella, giunta alla barriera, viene riflessa e torna indietro. La
meccanica quantistica prevede invece che la particela possa attraversare la barriera, ed
essere dunque trovata nella regione x  a , con una probabilità diversa da zero. Questo
fenomeno è noto con il nome di EFFETTO TUNNEL.
Prima e dopo la barriera il potenziale è nullo ( V ( x)  0 ) e la particella si comporta
come una particella libera: l’equazione di Schr. per una particella libera è
 2   2mE

  k 2 
2
2
x

Le soluzioni dell’equazione caratteristica associata sono  ik e la soluzione
 ikx
 ( x)  Ae  Be , che, per x  a , si
generale dell’equazione di Schr. è
presenta come la somma di un’onda incidente (la particella si muove verso la barriera) e
ikx
73
un’onda riflessa (la particella, giunta sulla barriera, viene riflessa all’indietro: solo il
secondo termine diventa in questo caso significativo per x  a ).
Nella regione della barriera l’equazione è invece
 2  2mV0  E 

  2 
2
2
x

Le soluzioni dell’equazione caratteristica associata sono   e la soluzione
x
 x
( x)  Ce  De
generale dell’equazione di Schr. è
per x  a ; si noti che
in questa regione risulta diversa da zero la f.d.o., ossia c’è una probabilità non nulla che
la particella venga trovata nella regione “sotto la barriera” di potenziale. in questa regione
è evidente che l’esponenziale importante è quello che decresce.
Dopo la barriera l’equazione ridiventa quella per una particella libera ma è chiaro
che la soluzione conterrà solo l’onda trasmessa, che risulta dunque essere diversa da
zero.
 Ae ikx  Be ikx per x  a
 x
x

(
x
)

 Ce  De per x  a
Ricapitolando

Fe ikx
per x  a

2m(V0  E )
2mE
2
2
con k  2
e  

2
e dove A, B, C, D, F sono coefficienti funzioni dell'energia E.
La probabilità di attraversamento della barriera è il cosiddetto coefficiente di
trasmissione T. Questa probabilità è legata ai coefficienti F e A della f.d.o. dalla relazione
T
F
A
2
2
(è un rapporto di moduli quadro)
La sua espressione risulta particolarmente semplice quando è soddisfatta la
condizione
2a  1  2a 
74
/ p
(V0 / E  1)1/ 2
cioè quando la lunghezza 2a della barriera è molto maggiore della lunghezza d’onda di
De Broglie della particella,  / p , divisa per il fattore (V0 / E  1)
(tipicamente di
O(1)). In questo caso la probabilità di attraversamento della barriera risulta espressa da
1/ 2

 E  E   4 a
T  16 1  e
 V0  V0 

2m
V0  E  
2


La probabilità di trasmissione, dunque, decresce esponenzialmente con la lunghezza
della barriera e quanto più l’altezza della barriera eccede l’energia della particella.
Le stesse conclusioni continuano a valere in condizioni più generali. Utilizzando la
cosiddetta approssimazione WKB (dai nomi dei fisici Wentzel, Kramers, Brillouin) è
possibile infatti derivare per il coefficiente di trasmissione l’espressione
T e


2m
 2
V ( x )E dx 
 barriera  2


valida per potenziali V(x) non troppo rapidamente variabili nello spazio.
Com’è possibile che, per x  a , la particella si trovi sotto la barriera? Nella meccanica
classica ciò è impossibile (dovrebbe avere un’energia cinetica negativa!), ma nella
meccanica quantistica questo è possibile perché E e V(x) non sono simultaneamente
determinate, e quindi non è vero che E  V0 proprio a causa dell’indeterminazione.
I transistor funzionano grazie all’effetto tunnel.
DUE ESEMPI DELL’EFFETTO TUNNEL
I) EMISSIONE FREDDA
È il fenomeno per cui è possibile estrarre elettroni da un metallo senza fornire energia.
75
Gli elettroni dentro il metallo hanno energia negativa (stati legati) e si dispongono
su diversi livelli di energia per il principio di esclusione di Pauli.
 F è l’energia di Fermi: per estrarre l’ultimo elettrone (il meno legato) devo
fornirgli una energia W
Se applico un campo E all’esterno del metallo, il campo E all’interno del metallo
rimane nullo (continua a non fornire energia agli elettroni) ma si modifica il potenziale
all’esterno del metallo: gli elettroni possono allora essere emessi per effetto tunnel e si
può calcolare il coefficiente T.
T e


2m
 2
W eEx dx 
 barriera  2


II) DECADIMENTO ALFA
Se il numero atomico Z è maggiore di 81 sappiamo che gli elementi sono instabili: prima
o poi decadono. Nel decadimento-alfa viene emessa una particella-alfa, ossia un nucleo
di elio.
Perché questo accade? La spiegazione fu data da George Gamow nel 1928… e
si basa sull’effetto tunnel.
La particella alfa è carica, e anche il nucleo è carico, e la particella alfa (fuori del
raggio del nucleo dove agisce la forza forte) è soggetta al potenziale coulombiano il cui
valore è indicato in figura.
La particella alfa che si trova nella buca di potenziale all’interno del nucleo ha
dunque una certa probabilità di uscirne e di attraversare la barriera.
76
T e
 b 2 m  2 Ze2
 
2

 E dr 
2 
r



 
 R

Questa probabilità è legata alla vita media.
3.6. L’oscillatore armonico
Consideriamo una particella che compie piccole oscillazioni unidimensionali, il
cosiddetto oscillatore armonico. L’energia potenziale di tale particella è, in prima
approssimazione, uguale a
V ( x) 
1
m 2 x 2
2
1
2
[che è ciò che resta di V ( x)  V ( x0 )  V ' ( x0 )( x  x0 )  V ' ' ( x0 )( x  x0 ) 2  ... notando che i
primi due termini sono nulli] e dove  
k
rappresenta nella meccanica classica la
m
frequenza propria delle oscillazioni. Una molecola biatomica, costituita da due atomi che
oscillano rispetto al punto di equilibro, è descritta da un potenziale armonico. Anche gli
atomi di un reticolo cristallino oscillano con un potenziale armonico.
L’equazione di Schrödinger acquista in questo caso la forma
 2 d 2 1
2 2
 

m

x n  E n n
2
2
m
2
dx


77
Le condizioni al contorno sono lim V ( x)   , dato che la particella non può andare
x 
all’infinito. Questo comporta che lim ( x)  0 , dato che la probabilità (modulo quadro
x 
della funzione d’onda) di trovare una particella all’infinito deve essere nulla.
Poiché ci troviamo in una situazione di stati legati lo spettro dovrà essere discreto.
La risoluzione dell’equazione di Schrödinger indica che i livelli di energia
dell’oscillatore (gli autovalori) sono della forma:
1

E n   n   con n = 0, 1, 2, …
2

Sono dunque livelli discreti ed equispaziati (di un quanto ħω). Nello stato fondamentale,
1
2
corrispondente al livello di energia minima, l’energia non vale zero ma vale E 0   .
Il principio di indeterminazione vieta l’esistenza di uno stato con energia
nulla, come previsto invece dalla meccanica classica, giacché l’oscillatore non può
trovarsi in quiete, cioè con impulso p = 0, nella posizione di equilibrio corrispondente a
x = 0.

2
1
2
Si dimostra che quando è E 0   è x  p  , cioè lo stato di minima energia
è anche lo stato di minima indeterminazione. La conseguenza per la meccanica
relativistica e quantistica (dove le particelle sono descritte da campi) è che le oscillazioni
proprie del campo sono i fotoni.
1
2
1
2
Se En è lo stato con n fotoni, E n  n   , allora E 0   è l’energia nel
vuoto, con 0 fotoni. Il campo elettromagnetico si comporta come tanti oscillatori:
l’energia del campo è l’energia di questi oscillatori. Ma anche il vuoto ha un’energia!
78
Dalle misure di astrofisica sappiamo che è così… ed è quella che chiamiamo costante
cosmologica.
Come sono fatte le funzioni d’onda di un oscillatore armonico?
Le autofunzioni dell’Hamiltoniana corrispondenti ai livelli di energia En hanno la
forma
 x
n ( x)  An H n 
 x0

e

 x 
 
x 
0
 
2
2
 An H n  e

 2

.
m
dove x0 
2
 x 
L’esponenziale alla fine è una gaussiana, mentre gli H n   sono i polinomi di
 x0 
Hermite2: H 0    1 , H1    2 , H 2    4 2  2
 x
H 0 
 x0
n=0
 1
0 ( x)  
 x
0


  1

1
2

 e


 x 
 
x 
0
 
2
2
La funzione d’onda dello stato fondamentale dell’oscillatore è una gaussiana
centrata nell’origine e di larghezza (varianza)   1  x  x0
 x
H 1 
 x0
n=1

 x
  2

 x0



1 ( x)  A1 2
2
 x
 x
H 2    4   2
 x0 
 x0 
n=2
x
e
x0
 x 
 
x 
0
 
2
  x
2 ( x)  A2  4
  x0

2
è una funzione dispari


  2 e



2
 x 
 
x 
 0 
2
2
è una pari
x2
2
x2
d2  2
Nota: i polinomi di Hermite (in fisica) sono dati dalla formula H n ( x) : (1) e
e
e
dx n
costituiscono una successione di polinomi ortogonali sull’intera retta reale rispetto alla funzione-peso
n
2
e

x2
2

, cioè si ha
H
n
( x ) H m ( x )e

x2
2
dx per n  m . Questo equivale a dire che essi sono ortogonali

rispetto alla distribuzione normale di probabilità. Essa costituisce una base ortogonale dello spazio di
HIlbert delle funzioni a valori complessi f(x) quadrato sommabile sull’intera retta reale, funzioni che

soddisfano la

2
f ( x) e

x2
2
dx  

Per questo spazio il prodotto interno di due suoi vettori f e g è dato dall'integrale che

comprende una funzione gaussiana f g 
 f ( x) g ( x)e

79

x2
2
dx .
3.7. L’atomo di idrogeno
L’atomo di idrogeno è un sistema composto da un protone (nucleo) e un elettrone che
interagiscono tra loro mediante la forza di attrazione coulombiana. L’energia totale
dell’atomo di idrogeno, ovvero l’Hamiltoniana che descrive l’atomo (in approssimazione
non relativistica) è sempre data da:
 2
2
pP
pe
e2
H

  
2M P 2me rP  re
Introducendo le coordinate del centro di massa e del moto relativo,


M r  M e re
R P P
M P  me
l’Hamiltoniana assume la forma
e posto
  
r  re  rP ,


p2
p 2 e2
H


2 M 2m r
dove il primo termine descrive il moto del centro di massa del sistema, che si muove
come una particella libera di massa M  M P  me , e i secondi due termini descrivono
il moto relativo. Questo corrisponde al moto di una particella con massa pari alla massa
1
 1
1 
  in un campo centrale con potenziale coulombiano.
ridotta m  
 M P me 
Poiché la massa del protone M P è circa 2000 volte maggiore della massa me
dell’elettrone, il moto relativo descrive, con buona approssimazione, il moto
dell’elettrone nel sistema di quiete del protone.
Gli stati quantistici dell’elettrone sono caratterizzati da tre numeri quantici, n, l,
m, legati rispettivamente all’autovalore dell’energia (n), del momento angolare orbitale (l)
e della sua componente nella direzione dell’asse z (m). I numeri quantici possono
assumere i seguenti valori:
n = 1, 2, 3, …
l = 0, 1, … , n – 1
m = – l, – l + 1, … , l – l, l
Gli autovalori dell’energia dell’atomo dipendono dal solo numero quantico
principale n e sono della forma:
1 me 4
En   2 2
2n 
n = 1, 2, 3, …
80
Lo spettro è discreto e costituito dunque da un’infinità di livelli compresi tra il
livello fondamentale
me 4
E1   2
2
= – 13,6 eV
e zero. Gli intervalli tra due livelli consecutivi diminuiscono al crescere di n, ossia i livelli
si infittiscono man mano che ci si avvicina al valore E  0 (in corrispondenza del quale
l’atomo si dissocia e lo spettro diventa continuo).
Le autofunzioni dell’energia dipendono da tutti e tre i numeri quantici e, in
coordinate polari, hanno la forma
nlm (r , ,  )  Rnl (r )Ylm ( ,  )
La dipendenza angolare è descritta dalle funzioni Ylm ( ,  ) , dette armoniche
sferiche. La dipendenza radiale è determinata invece dalle funzioni d’onda radiali
Rnl (r )  cnl e

r
na0
l
 2r  2 h1  2r 

 Ln,l 1 

na
na
 0
 0
2
 0.529 108 cm è il cosiddetto raggio di Bohr (che determina
dove a0 
2
me
2 h1
le tipiche dimensioni dell’atomo), Ln ,l 1   sono i cosiddetti polinomi generalizzati
cnl una costante di normalizzazione.
Ciascun livello di energia En , dipendente solo da n ma non da l e da m è 2n2
di Laguerre e
volte degenere, dove il fattore 2 tiene conto dei due possibili stati di spin dell’elettrone.
3.8. Test ed esercizi
Nell’atomo di idrogeno, il numero quantico n è associato a:
a. la carica dell’elettrone
b. la componente z del momento angolare orbitale dell’elettrone
c. la componente z del momento angolare di spin dell’elettrone
d. il momento angolare orbitale dell’elettrone
e. l’energia dell’elettrone
[La risposta corretta è la e.]
Quali dei seguenti processi fisici è vietato in fisica classica ma può accadere secondo la
meccanica quantistica?
a. Una particella di energia E può attraversare una barriera di potenziale di altezza V 0<E e lunghezza
infinita.
b. Una particella di energia E può attraversare una barriera di potenziale di altezza infinita e lunghezza
finita.
81
c. Una particella di energia E può attraversare una barriera di potenziale di altezza V0>E e lunghezza
finita.
d. Una particella di energia E può attraversare una barriera di potenziale di altezza V0>E e lunghezza
infinita.
e. Una particella di energia E può attraversare una barriera di potenziale di altezza V0<E e lunghezza
finita
[La risposta corretta è la c.]
Quando una particella si trova in uno stato legato, ovvero è vincolata a muoversi in una regione
finita di spazio, accade che:
a. La particella ha un valore definito di energia
b. La probabilità che la particella si trovi in un certo punto di quella regione di spazio è la stessa per
tutti i punti
c. I possibili valori dell’energia sono discreti (la sua funzione d’onda dev’essere un’onda stazionaria
dentro la regione finita)
d. L’indeterminazione sull’impulso è zero
e. L’indeterminazione sulla posizione è infinita
[La risposta corretta è la c.]
Si consideri un elettrone vincolato a muoversi in una dimensione in una buca di potenziale di
lunghezza a=0.27nm. Si calcoli il ΔE tra il primo e il secondo livello energetico permesso.
a. 15.5 eV
b. 97.2 eV
c. 2.5⋅10−18 eV
d. 2.5 eV
e. 35.3 KeV
[La risposta corretta è la a. La risposta richiede l’uso della formula En=n2E1
dove E1=ħ2π2/(2ma2) e poiché E2=4E1, la loro differenza è ΔE = 3E1]
Il prodotto xp è pari a:
a. maggiore o uguale a ℏ /2
b. uguale a px
c. uguale a px−iℏ
d. minore o uguale a ℏ /2
e. uguale a px+iℏ
[La risposta corretta è la e.
Si ricordi che px – xp = −iℏ ]
82
Cap. 4
I LAVORI ORIGINALI: 1925 – 1927
I due anni indicati sopra furono un momento molto particolare nella storia della fisica: vi
fu un’esplosione di idee che vennero poi ricondotte a una teoria coerente.
Gli anni 1900 – 1925 furono gli anni cosiddetti della
1900: Planck trova la formula che spiega lo spettro di radiazione di corpo nero.
1905: Einstein spiega l’effetto fotoelettrico facendo l’ipotesi dei fotoni. Il campo
elettromagnetico è costituito di fotoni.
1909: Rutherford fa la scoperta del nucleo atomico ed elabora il modello planetario.
1913: Bohr propone il suo modello di atomo di idrogeno che raccoglie l’idea dei quanti
e propone la quantizzazione di L: tale modello ripropone correttamente i livelli di
energia dell’atomo di idrogeno. Ha il difetto di essere appunto un modello e non
una teoria.
1922: Compton spiega l’effetto di diffusione della luce assumendo che la luce si
comporti come un insieme di particelle. Da quel momento tutti i fisici si
convincono che i fotoni sono particelle.
1923: De Broglie attribuisce una lunghezza d’onda anche alle particelle massive, e dà
una interpretazione del modello di Bohr: la quantizzazione del momento angolare
equivale ad ammettere come possibili solo le orbite che corrispondono a una
lunghezza di un multiplo intero di lunghezze d’onda.
1925: Heisenberg presenta la sua Meccanica Quantistica.
Fino a quel momento la situazione era piuttosto confusa; lo stesso Heisenberg, allora
studente di Bohr a Gottinga, in una lettera ai familiari scriveva che “tutti lavora[va]no a
cose diverse”.
83
- Ma nel luglio del 1925 succede qualcosa. Heisenberg era appena stato a
Copenaghen, da Bohr (era già conosciuto da Bohr, che lo apprezzava), e lì era
rimasto colpito da un potente raffreddore: lacrimava, non riusciva a scrivere… Bohr
gli concede una vacanza e Heisenberg, per curarsi, va nell’isola di Helgoland, vicina
alla Danimarca. In una notte di grande eccitazione, in cui non riesce a dormire, si
alza dal letto e va a camminare; ha un’illuminazione: finalmente ha capito le regole
della Meccanica Quantistica. Rientra a Gottinga e scrive: “QUANTUMTHEORETICAL
RE-INTERPRETATION
OF
KINEMATIC
AND
MECHNICAL RELATIONS” (ricevuto dalla Rivista il 29 luglio 1925). Il titolo è in
inglese ma in realtà è scritto in tedesco. La novità del lavoro riguarda le osservabili
fisiche: “laddove nella teoria classica x(t)y(t)=y(t)x(t), questo non è necessariamente
vero nella Meccanica Quantistica”. Ora, ciò che in matematica non gode della
proprietà commutativa è il prodotto tra matrici. A Gottinga c’era un’ottima scuola di
matematici… ma Heisenberg non conosceva la matematica delle matrici.
- Il 27 settembre 1925 vieni scritto da Max Born (revisore dell’articolo di
Heisenberg) e da Pascual Jordan (un fisico, ex allievo di Born, ma molto versato
nella matematica) un lavoro “ON QUANTUM MECHANICHS” “in cui si sviluppa
in una teoria sistematica l’approccio teoretico di Heisenberg con l’aiuto dei metodi
delle matrici”.
- Il 16 novembre 1925 esce “ON QUANTUM MECHANICS II” a cura di Born,
Heisenberg, Jordan. È il lavoro noto come “the three men paper”, che completa la
descrizione della teoria al caso multidimensionale. Era iniziata una nuova era per la
fisica. In questo lavoro compare la già citata regola della commutazione
pq  qp 
h
1
2i dove quell’1 è la matrice unità (relazione da cui seguirà il
Principio di indeterminazione… nel 1927)
I fisici tedeschi erano convinti che l’unico posto al mondo dove si capisse la
quantistica fosse la Germania, Gottinga in particolare… senonché, poco prima del “the
three men paper”…
- Il 7 novembre 1925 Paul Adrien Maurice Dirac, studente di Cambridge, pubblica
“THE FUNDAMENTAL EQUATION OF QUANTUM MECHANICS”.
Sconosciuto, giovanissimo, dimostrava non solo di aver capito il (primo) lavoro di
Heisenberg ma portava anche dei contributi fondamentali che lasciarono scioccati i
fisici tedeschi. Dirac coglie un punto importante: le equazioni della Meccanica
Classica e della Meccanica Quantistica sono sostanzialmente le stesse: quello che
cambia è questo: quelle che nella Meccanica Classica erano funzioni, in Meccanica
Quantistica erano “osservabili”, cioè operatori, cioè MATRICI. I commutatori
introdotti da Heisenberg (xy – yx) sono proporzionali a una grandezza scalare che
era ben nota in Meccanica Classica: le parentesi di Poisson delle stesse due
84
variabili: xy  yx 
ih
x; y , dove la quadra è la parentesi di Poisson classica.
2i
Quindi, dice Dirac, è sufficiente calcolare la parentesi di Poisson classica. dato che il
“commutatore” di Heisenberg è proporzionale ad essa La parentesi di Poisson è

y y x 



q

p
 r r qr pr 
x; y def   x
r
A questo punto seguono una serie di lavori importanti.
- Il 17 gennaio 1926 Wolfgang Pauli Jr pubblica “FROM THE STANDPOINT OF
THE NEW QUANTUM MECHANICS”, lavoro in cui Pauli sostanzialmente
“risolve l’atomo di idrogeno” con la meccanica matriciale: applica la MQ all’atomo di
idrogeno e predice i livelli di energia del medesimo, ottenendo la stessa espressione
RhZ 2
che era stata ottenuta da Bohr per il suo modello di atomo, E 
n 2 , ma
questa volta il risultato è ottenuto nell’ambito di una teoria chiara.
- Pochi giorni dopo, il 27 gennaio 1927, Erwin Schrödinger, che si trova a Vienna,
scrive un lavoro che presenta un approccio diverso alla MQ, utilizzando l’equazione
d’onda: “QUANTISATION AS A PROBLEM OF PROPER VALUES”; applica la
sua equazione all’atomo di idrogeno, ottenendo nuovamente i livelli di energia
ottenuti da Pauli con la meccanica matriciale.
2m 
e2 
   2  E    0
K 
r 
2
2 2 mc 4
 El 
h 2l 2
Inizialmente sembrava che non ci fosse nessun legame tra l’approccio di Gottinga
e di Dirac e l’approccio analitico di Schrödinger.
- Ma pochi mesi dopo, il 18 marzo 1926, lo stesso Schrödinger dimostrò che le due
teorie sono la stessa teoria.
- Nel suo lavoro del 25 giugno 1926, “ON THE QUANTUM MECHANICS OF
COLLISION”, Max Born fornisce l’interpretazione corretta della funzione
d’onda, quella che oggi conosciamo, ossia in termini di probabilità. Born ragiona
sulla meccanica quantistica delle collisioni e capisce che l’unica interpretazione di
 nm ( ,  ,  ) è la probabilità che l’elettrone, arrivando dalla direzione z, venga
gettato nella direzione individuata dagli angoli α, β, γ. In realtà non è proprio
corretto, in quanto è il modulo-quadro della funzione d’onda che corrisponde lla
probabilità. E in effetti una nota con un (*) aggiunta in extremis quando il lavoro è
già in stampa dice: (*) “More careful consideration shows that the probability is
85
proportional tu the square of the quantity Φnm”. Born cioè si era già accorto
dell’errore.
- Nel marzo 1927 Heisenberg, nel suo lavoro “the physical content of quantum
kinematics and mechanics” introduce il suo principio di indeterminazione (che egli
scrive così: p1q1  h ). Come racconterà in seguito, l’idea del prodotto delle
incertezze gli era venuta a seguito di un colloquio avuto con Einstein.
PER CONCLUDERE: I NOBEL DELLA QUANTISTICA
1922: Bohr, per le indagini sulle strutture degli atomi e delle radiazioni da loro
provenienti.
1932: Heisenberg, per la creazione della Meccanica Quantistica.
1933: Schrödinger-Dirac, per le nuove forme di teoria atomica
1945: Pauli, per la scoperta del principio di esclusione.
1954: Born, per la sua interpretazione statistica della funzione d’onda.
Born, che lo ricevette vent’anni dopo Heisenberg e Schrödinger masticò a lungo
amaro perché riteneva che non fossero stati riconosciuti i suoi contributi: aveva preso il
Nobel Heisenberg, suo studente, di cui aveva revisionato i lavori; l’aveva preso
Schrödinger, la cui funziona d’onda egli era riuscito a interpretare correttamente… e lui
no… Finché nel 1954…
86
4.1. Test ed esercizi
Chi per primo propose l’interpretazione statistica della funzione d’onda, ossia l’associazione
tra il modulo quadro della funzione d’onda e la probabilità di trovare una particella in una certa
posizione?
a. Pauli
b. Schrödinger
c. Born
d. Dirac
e. Heisenberg
[La risposta corretta è la c.]
I seguenti eventi hanno rappresentato dei passaggi fondamentali per arrivare a formulare la
meccanica quantistica. Si indichi il loro ordine cronologico corretto.
a. Spettro del corpo nero, esperimento sull’effetto Compton, interpretazione dell’effetto fotoelettrico,
esperimento di Rutherford, ipotesi di De Broglie, modello di Bohr
b. Spettro del corpo nero, interpretazione dell’effetto fotoelettrico, modello di Bohr, esperimento di
Rutherford, esperimento sull’effetto Compton, ipotesi di De Broglie
c. Spettro del corpo nero, interpretazione dell’effetto fotoelettrico, esperimento di Rutherford, modello
di Bohr, esperimento sull’effetto Compton, ipotesi di De Broglie
d. Interpretazione dell’effetto fotoelettrico, spettro del corpo nero, esperimento di Rutherford, modello
di Bohr, esperimento sull’effetto Compton, ipotesi di De Broglie
e. Spettro del corpo nero, interpretazione dell’effetto fotoelettrico, esperimento di Rutherford, ipotesi
di De Broglie, modello di Bohr, esperimento sull’effetto Compton
[La risposta corretta è la c.]
Quando nel 1926 Pauli “risolve” il problema dell’atomo di idrogeno, ritrova sostanzialmente gli
stessi risultati ottenuti da Bohr 13 anni prima. Che cosa mancava al modello di Bohr?
a. Non riproduceva gli spettri sperimentali.
b. Non rispettava il principio di indeterminazione.
c. Era solo un modello con ipotesi formulate ad-hoc.
d. Non conteneva la quantizzazione delle energie dei livelli.
e. Non conteneva la quantizzazione del momento angolare.
[La risposta corretta è la c.]
87
Cap. 5
IL MOMENTO ANGOLARE
Il momento angolare L gioca un ruolo importante nella descrizione del mondo atomico.
Nella meccanica quantistica L si presenta in forma nuova rispetto alla meccanica classica.
La meccanica quantistica prevede anche un momento angolare di SPIN (che non ha
corrispondente nella meccanica classica)
5.1. Simmetrie e leggi di conservazione
SIMMETRIA
Traslazioni spaziali
Rotazioni
Traslazioni temporali
LEGGE DI CONSERVAZIONE
Impulso
Momento angolare
Energia
Quanto mostrato sopra è vero sia in meccanica classica che in meccanica quantistica.
TEOREMA DI NOETHER (1918)
Ad ogni simmetria di un sistema fisico, ovvero ad ogni trasformazione continua
che lascia invariante la dinamica del sistema, corrisponde una quantità
conservata.
Per i SISTEMI ISOLATI
SIMMETRIA
Traslazioni
spaziali
Rotazioni
Traslazioni
temporali
LEGGE DI
CONSERVAZIONE
Impulso
Momento angolare
Energia
PROPRIETÀ
OMOGENEITÀ DELLO SPAZIO.
Tutti i punti sono uguali tra loro.
ISOTROPIA.
Tutte le direzioni sono equivalenti
OMOGENEITÀ DEL TEMPO.
Gli istanti sono equivalenti.
L’energia totale dell’universo (un sistema chiuso) si conserva. Dunque…
Einstein a Hilbert a proposito di Emmy Noether (il 24 maggio 1915): “Ieri ho
ricevuto dalla signorina Noether un lavoro molto interessante sugli invarianti. Mi
impressiona molto il fatto che qualcuno riesca a comprendere questioni di questo tipo da
un punto di vista così generale. Non sarebbe stato male mandare la vecchia guardia di
Göttingen a scuola da lei”.
Forse è il caso di aprire una parentesi su
88
LE DONNE E LA SCIENZA
Nel 1915 Emmy Noether viene invitata da David Hilbert e Felix Klein a far parte del
Dipartimento di Matematica dell'Università Georg August di Gottinga. Alcuni membri
della Facoltà di Filosofia si opposero, sostenendo che il titolo di Privatdozent non
potesse essere attribuito alle donne, e lei trascorse quattro anni tenendo lezione a nome
di Hilbert. Nel 1919 le venne infine concesso di sostenere l’esame per l’abilitazione, che
ottenne nel maggio dello stesso anno, continuando però ad insegnare senza percepire
alcuno stipendio fino al 1923. Durante gli anni trascorsi a Gottinga ottenne rispetto e
stima a livello mondiale per i suoi innovativi lavori in matematica, venendo invitata a
tenere una conferenza plenaria al Congresso Internazionali dei Matematici di Zurigo nel
1932. L’anno seguente il governo nazista della Germania le vieta l’attività di
insegnamento in quanto ebrea. Emigra di conseguenza negli Stati Uniti d’America, dove
ottiene un posto al Bryn Mawr College in Pennsylvania. Solo due anni dopo, tuttavia, nel
1935, muore a seguito di un intervento chirurgico per una cisti ovarica.
LEGGI DI CONSERVAZIONE IN M.Q.
dA
 0 . Tuttavia questa
dt
dA
0
legge di conservazione ha un significato diverso da quello che ha in M.C., dove
dt
dA
 0 non significa nulla perché una grandezza A non ha
significa A = cost. In M.Q.
dt
un valore determinato, e se anche all’istante t la grandezza A avesse un valore
determinato, all’istante t  t non ce l’avrebbe più.
dA
 v ; in M.Q. posizione x e velocità v
Ad esempio: se A  x dovrebbe essere
dt
sono osservabili associati a operatori e il prodotto delle loro incertezze è soggetto al
principio di indeterminazione.
dA A i

 H ; A , dove la parentesi quadra è
In M.Q. vale invece la seguente:
dt
t 
il commutatore tra l’hamiltoniana H e la grandezza A.
Le leggi di conservazione hanno generalmente questa forma
Perché dunque A si conservi devono essere soddisfatte due condizioni:
A
 0 : l’osservabile cioè non deve dipendere esplicitamente dal tempo;
t
H ; A  0 : esprime l’invarianza del sistema, ossia una proprietà di simmetria da
cui segue tale invarianza.
89
Immaginiamo un condensatore ideale con lastre piane indefinite orizzontali, parallele
all’asse x e spariamovi dentro un elettrone con velocità iniziale parallela all’asse x (si ha
un moto parabolico, ecc.). L’asse verticale sia l’asse z.
Se trasliamo l’elettrone in direzione x il fenomeno si ripete uguale, nulla cambia.
Si deve conservare l’impulso in direzione x. In effetti:
dpx p x i
i

 H ; p x   eEz; p x   0
dt
t


Il primo addendo è nullo perché l’impulso in direzione x non dipende
esplicitamente dal tempo. L’hamiltoniana H è la somma di energia cinetica ed energia
p2
potenziale, K + V, con K 
, ma dove è V  eEz la parte rilevante.
2m
In M.Q. l’impulso non commuta con la posizione, e ciascuna componente
dell’impulso non commuta con la posizione… ma è invece eEz; p x   0 e questo ci
dice che l’impulso in direzione x si conserva; non si conserva invece in direzione z
i
perché eEz; p z   0 : infatti per traslazioni in direzione z la quantità eEz cambia, e

dunque l’impulso in direzione z non si conserva.
90
Stesso esperimento di prima ma osservato in due momenti diversi.
In questo caso l’osservabile collegato con la traslazione temporale è proprio
l’hamiltoniana H.
dH H i

 H ; H   0
dt
t 
Il primo addendo è nullo perché in un sistema isolato da forze esterne l’energia si
conserva, e il secondo è ovviamente nulla perché H commuta con se stessa. Se ne
deduce che H (l’energia) si conserva.
Se il campo esterno E variasse nel tempo, l’hamiltoniana H varierebbe nel tempo
e sarebbe il primo dei due termini ad essere diverso da zero, e l’energia non si
conserverebbe.
Prendiamo un atomo di idrogeno, con l’elettrone che ruota attorno al protone;
l’asse di rotazione sia l’asse z. Tale fenomeno è invariante per rotazioni di un qualche
angolo attorno all’asse z.
Si conserva in questo caso il momento angolare Lz :
dLz Lz i

 H ; Lz   0
dt
t

Il primo termine infatti è nullo perché Lz non dipende esplicitamente dal tempo, e
il secondo termine è nullo perché H commuta con Lz .
91
5.2. Momento angolare e di spin
Nel 1922 Stern e Gerlach vogliono misurare il momento magnetico degli atomi.
Da un forno vengono sparati atomi d’argento che vengono collimati facendoli
passare per una fenditura, per poi passare attraverso un campo magnetico molto intenso,
oltre il quale c’è una lastra.
In un campo magnetico diretto secondo l’asse z l’energia potenziale
V    B   z B
La situazione di maggior energia potenziale è quando il momento magnetico
dell’elettrone e il campo B sono antiparalleli.
Per calcolare la forza in direzione z si deriva l’energia potenziale secondo la
variabile z:
V
B
Fz  
 z
z
z
Poiché la componente z del momento magnetico μ può assumere (per la fisica
classica) tutti i valori tra il min e il max, ci si aspettava di vedere sullo schermo una
B
B
 Fz  
macchia continua:  
… ma non fu il risultato dell’esperimento.
z
z
Quello che invece si osservò furono due macchie ben distinte, una in alto, una in
basso.
Come interpretiamo oggi il risultato? Il momento magnetico è quantizzato!
92
Per la meccanica classica una particella carica che “ruota” si comporta come una spira di
corrente: il suo momento magnetico è, notoriamente,   iA . In particolare
e
evr
e
  iA  
 r 2  

L
dove L  r  mv
2r
2
2m
v
Si trova insomma che   L . Il momento magnetico degli atomi è determinato
dagli elettroni, pur essendo la loro massa molto inferiore a quella del nucleo, ma la
velocità e la distanza dal nucleo finisco per pesare assai di più. Con il loro esperimento
Stern e Gerlach misurarono il momento angolare degli atomi, che coincideva
prevalentemente col momento angolare degli elettroni… e l’esperimento diceva che il
momento angolare è quantizzato.
Nel modello di Bohr l’atomo di Ag (numero atomico 47), 46 dei 47 elettroni si
dispongono simmetricamente a saturare i primi quattro livelli, con un momento angolare
totale nullo.
Di fatto, misurare il momento angolare dell’atomo di argento significa misurare il
momento angolare di quell’unico elettrone che si trova sul quinto “guscio”.
La meccanica quantistica ci dice che il momento angolare ha due componenti:
- un momento angolare ORBITALE L  r  p
- un momento angolare INTRINSECO, detto SPIN S , inizialmente interpretato
come rotazione dell’elettrone su sé stesso
Il momento angolare TOTALE vale
J  LS
93
Nell’esperimento di Stern e Gerlach di fatto si misura il momento angolare di quel
47° elettrone (per il quale si sa che L  0 )… e dunque si misura
S . Il fatto di rilevare
sullo schermo solo due macchie in direzione z significa che S z  
1

2
BREVE STORIA DELLO SPIN
PAULI; 1924: introduce un “grado di libertà quantico a due valori” e poi il principio di
esclusione.
KRONIG, 1925: ne dà un’interpretazione in termini di momento angolare associato
all’autorotazione degli elettroni. Criticata da Pauli con argomenti relativistici) la
superficie dell’elettrone dovrebbe avere velocità superiori a quelle della luce),
l’osservazione non fu pubblicata.
UHLENBECH e GOUDSMIT, 1925: hanno la stessa idea di Kronig, ma su consiglio di
Ehrenfest la pubblicano.
PAULI, 1927: teoria quantistica dello SPIN.
Spin
0
1
2
1
2
Lo spin può assumere valori interi o seminteri
Particella
Sz 
0
1

2
-1 0 1
-2 -1 0 1 2
Bosone di Higgs (è l’unica particella con spin=0)
Elettrone, muone, quark… (cioè le particelle che
costituiscono la materia)
Fotone, Bosone W e Z0, Gluone (i mediatori delle forze)
Gravitone
5.3. Quantizzazione del momento angolare
Perché il momento angolare risulta quantizzato?
Nella meccanica quantistica, impulso, momento angolare ed energia, cioè
le quantità che si conservano nelle varie trasformazioni, vengono detti generatori
delle trasformazioni. Che cosa significa?
I sistemi sono descritti da funzioni d’onda: se faccio una traslazione, una
rotazione, una traslazione temporale, come si trasforma la funzione d’onda?
94
 i

 ( r , t )  exp  p  x  ( r , t )
 

 i


(
r
,
t
)

exp
  J n    ( r , t )


Per una rotazione attorno all’asse n di
 

 i

 (r , t )  exp  H  t  (r , t )
Per una traslazione temporale di t
 

Le tre quantità p, Jn, H sono legati alle trasformazioni perché ci dicono come
cambia la funzione d’onda rispettivamente per una traslazione spaziale o temporale o per
una rotazione.
Per una traslazione spaziale di x
Le rotazioni non commutano
Quindi, se la funzione d’onda, per una rotazione attorno all’asse n cambia come
nel modo sotto
 i

 (r , t )  Dn ( ) ( r , t )  exp  J n   (r , t )
 

dove D è l’operatore rotazione attorno all’asse di direzione n, si osserva che
D ( )D ( )(r, t )  D ( )D ( )(r, t )
x
y
y
x
in quanto gli esponenziali sono operatori (sono matrici) e perciò non commutano (se
fossero semplici numeri reali sarebbe invece e a e b  e b e a ).
Nell’operazione di moltiplicazione degli esponenziali compaiono termini
aggiuntivi
1
 i

exp  ( J x  J y )  2 J x , J y  2  ... 
2
 


95

dove al posto dei puntini ci sono i termini delle potenze 3, 4, 5 … tutti legati ai
commutatori; solo il primo termine, quello lineare è un invariante, mentre gli altri
devono cambiare e quindi deve essere J x , J y  0
Ciò è conseguenza della proprietà delle rotazioni che non commutano.
Posso dunque osservare che Dx e Dy non commutano… ma posso anche
osservare e calcolare come non commutano: J x , J y  iJ z




Da ciò si ricavano 2 conseguenze importanti:
1) le diverse componenti del momento angolare non possono avere valori
simultaneamente determinati, dato che vale la seguente relazione:
1
1

A  B   A, B  . E dunque deve essere J x  J y  J x , J y  J z
2
2
2
2) i valori del momento angolare sono quantizzati (in unità di  )
J = 0, ½ , 1, 3/2 , 2, … con  J  J z  J a passi di 1.

Spin
Sz 
0
1
2
1
2
0
1

2
-1 0 1
-2 -1 0 1 2

Particella
Bosone di Higgs (è l’unica particella con spin=0)
Elettrone, muone, quark… (cioè le particelle che
costituiscono la materia)
Fotone, Bosone W e Z0, Gluone (i mediatori delle forze)
Gravitone
[S x , S y ]  iS z
Per il momento angolare orbitale (L) un’ulteriore restrizione viene dalla
richiesta della periodicità della funzione d’onda: m ( )  exp(im )
m (0)  m (2 ) .
Questo comporta che per m  Lz  sono possibili solo i valori m = 0, 1, 2, …
e non i seminteri.
La periodicità ci restituisce anche l’ipotesi ad hoc di Bohr per cui il momento
angolare era L  mvr  n , con n = 0, 1, 2, …
96
Qui sotto riportiamo la forma di alcuni orbitali per alcuni valori di l e m.
Le traslazioni invece commutano: Δx + Δy = Δy + Δx.
L’impulso è il generatore delle traslazioni. Quando faccio una traslazione la funzione
d’onda Ψ si trasforma ma deve essere [ px , py ]  0 .
Ne seguono due cose:
1) le diverse componenti dell’impulso possono
simultaneamente determinati.
2) l’impulso di una particella libera non è quantizzato.
avere
valori
5.4. Composizione dei momenti angolari
La composizione dei momenti angolari ci interessa perché ci capita sovente di
considerare sistemi in cui il momento angolare è la somma dei contributi di 2 particelle.
Per esempio: 2 elettroni, il primo con m.a. S1, l’altro con m.a. S2: quello che si
conserva è il momento angolare totale S = S1+ S2
Anche per una singola particella sappiamo che il momento angolare J è la somma
di 2 momenti, il momento angolare ORBITALE e il momento angolare di SPIN:
97
J=L+S
In generale, dunque, se J= J 1 + J 2… che valori può assumere J ?
In meccanica classica è tutto facile: se J1 =(J1x ; J1y ; J1z ) e J2 =(J2x ; J2y ; J2z ) allora
si fa una semplice somma di vettori: J = J1+ J2 = (J1x + J2x ; J1y + J2y; J1z + J2z)
Ma secondo la meccanica quantistica i valori Jx, Jy, Jz
non sono simultaneamente determinati,
dunque non si possono sommare le 3 componenti.
Come si compongono allora i momenti?
Una singola componente può sempre essere determinata: supponiamo che siano
le componenti J1z e J2z. Allora può essere determinata la componente z di J: Jz = J1z + J2z
… e dato che J1z e J2z sono quantizzate anche Jz lo è.
Per quanto riguarda le altre componenti, esse non sono determinate e non ha
senso chiedersi quanto valgono.
Sappiamo che il modulo del momento angolare J può assumere valori compresi
tra un minimo che è il modulo della differenza dei moduli (J1 e J2 antiparalleli) e un
massimo che è il modulo della somma dei moduli (J1 e J2 paralleli e concordi)
In M.Q. tra tutti i valori possibili tra il minimo e il massimo solo alcuni
sono possibili: deve essere J1  J 2  J  J1  J 2 a passi di 1
Esempio 1: abbiamo due particelle entrambe con spin ½ cioè S1 = S2 = ½.
Allora S = 0, 1. (0 = ½ – ½ e 1 = ½ + ½)
Esempio 2: due particelle con spin 1 cioè S1 = S2 = 1
Allora S = 0, 1, 2. (0 = S1 – S2 e 2 = S1 + S2)
Queste regole di composizione sono particolarmente importanti dal punto di vista
della fisica atomica.
Abbiamo due particelle con spin ½ (per esempio elettroni); ciascun elettrone può
trovarsi in due possibili stati: Sz = ½ oppure Sz = – ½ , che possiamo anche indicare,
utilizzando la notazione di Dirac per gli stati si un sistema in meccanica quantistica, con
 e  . Per il principio di sovrapposizione un elettrone può trovarsi ANCHE in una
qualunque sovrapposizione dei due stati   a   b 
Esempio 1: se l’elettrone può passare sia per la fenditura 1 che per la fenditura 2,
allora l’elettrone può trovarsi in una qualunque combinazione dello stato 1 dello stato 2:
fisicamente l’elettrone “passa” simultaneamente per tutte e due le fenditure.
98
Esempio 2:
Supponiamo che le componenti z siano tutte determinate; allora la somma sulla
componente z risulta possibile, e sarà: Sz = S1z + S2z. Nei quattro casi è:
Sz=1
Sz= – 1
Sz = 0
Sz = 0
in unità di ħ.
E quindi, essendo queste le proiezioni sull’asse z, potrà essere
S=1 e dunque Sz = – 1, 0, 1
oppure S=0 e dunque Sz=0
Anche ragionando in termini di SPIN totale si hanno quattro stati:
99
5.5. Test ed esercizi
Per il 47-mo elettrone dell’atomo di Ag (protagonista dell’esperimento di Stern & Gerlach), si
ha L=0 e S=½: quali valori di momento angolare totale J sono possibili per quell’elettrone?
a. J=0 e J=1/2
b. Solo J=1/2
c. J=+½, J=-½ e J=0
d. J=+½ e J=-½
e. J=0, J=1 e J=2
[La risposta esatta è la b. J ha valori positivi,
mentre sono le proiezioni sull’asse z di m e σ
che possono assumere anche i valori negativi)]
Cosa significa il fatto che in meccanica quantistica il momento angolare è il generatore delle
rotazioni?
a. Significa che se un sistema ruota su sé stesso il suo momento angolare è nullo.
b. Significa che ogni qual volta io ruoto un sistema fisico sto allo stesso tempo introducendo un
momento angolare.
c. Significa che se moltiplico l’operatore associato alla componente x del momento angolare per la
funzione d’onda il risultato rappresenta la funzione d’onda ruotata nel piano x=0.
d. Significa che l’operatore associato alla componente x del momento angolare è quello che interviene
nella trasformazione che ruota la funzione d’onda di un generico angolo intorno all’asse x.
e. Significa che l’operatore associato alla componente x del momento angolare è quello che interviene
nella trasformazione che ruota la funzione d’onda di un generico angolo nel piano y=0.
[La risposta corretta è la d.]
Se una particella ha momento orbitale L pari a 2, quali sono i valori possibili della componente
z di L?
a. -2, -3/2, -1, -½, 0, ½, 1, 3/2, 2
b. 2
c. 0, 1 e 2
d. +2 e -2
e. Da -2 a 2, a passi di 1
[La risposta corretta è la e.]
Se una misura di Lz fornisce il valore 2, quali sono i possibili valori di L?
a. Tutti gli interi maggiori di 2
b. Interi e semi-interi maggiori o uguali a 2
c. Tutti gli interi fino a 2 (escluso)
d. Tutti gli interi fino a 2 (compreso)
e. Tutti gli interi maggiori o uguali a 2
[La risposta corretta è la e.]
Per una particella di spin S=3/2 quali sono i possibili valori di Sz?
a. 0, 1/2, 1, 3/2
b. Da –3/2 a +3/2, a passi di 1
c. Da –3/2 a + 3/2, a passi di 1/2
d. +1/2 e +3/2
e. +3/2 e -3/2
[La risposta corretta è la b.]
100
Quale risultato avrebbe fornito l’esperimento di Stern Gerlach se invece di atomi di argento
avessero usato atomi con L=1 e S=0?
a. il fascio di atomi non avrebbe subito alcuna deflessione perché S=0.
b. Il campo magnetico avrebbe diviso il fascio di atomi in 2.
c. nessuna delle altre risposte.
d. Il campo magnetico avrebbe diviso il fascio di atomi in 3.
e. ciascun atomo avrebbe subito una deflessione differente perché la proiezione del momento
magnetico lungo z può assumere qualsiasi valore.
[La risposta corretta è la d.]
Quali valori sono possibili per lo spin totale di un sistema di due particelle di spin S=3/2?
a. Solo 3
b. Quello che si somma è il momento angolare totale J, quindi bisogna conoscere anche i valori di L
c. ½ e 3/2
d. 0, 1, 2 e 3
e. +3/2 e - 3/2
[La risposta corretta è la d.]
Se un sistema fisico è invariante per traslazioni spaziali lungo la direzione z, quale dei seguenti
commutatori è certamente nullo?
a. [x,px]
b. [py, H]
c. [px, H]
d. [x, H]
e. [pz, H]
[La risposta corretta è la e.]
Quale delle seguenti affermazioni NON è conseguenza delle regole di commutazione del
momento angolare?
a. Le componenti del momento angolare non possono essere simultaneamente determinate.
b. Quando effettuo la composizione dei momenti angolari non è possibile sommare vettorialmente le
loro tre componenti.
c. Esiste una relazione di indeterminazione tra Ly e Lz.
d. Per il momento angolare orbitale i valori semi-interi (in unità della costante di Planck) sono proibiti.
e. Il momento angolare è una grandezza quantizzata.
[La risposta corretta è la d.
La proprietà discende dalla periodicità della funzione d’onda.]
Quali delle seguenti particelle possiede spin 1/2 in unità di ℏ ?
a. Fotone
b. Bosone di Higgs
c. Nessuna delle altre risposte
d. Muone
e. Gluone
[La risposta corretta è la d. Fotone e gluone hanno spin 1,
come tutti i mediatori di forza. Il bosone di Higgs è l’unica particella con spin = 0 ]
101
Cap. 6
I NUOVI FENOMENI, SVILUPPI
E INTERPRETAZIONI
6.1. Particelle identiche
Particelle di specie diverse sono distinte per le loro proprietà fisiche. Ad esempio:
un elettrone e un protone sono particelle distinte per le loro proprietà fisiche: massa,
carica, spin, ecc. Particelle della stessa specie, essendo caratterizzate dalle stesse proprietà
fisiche, sono invece indistinguibili. Questo è vero sia nella meccanica classica che nella
meccanica quantistica.
Ma nella meccanica classica le particelle identiche (per esempio elettroni),
malgrado l’identità delle loro proprietà fisiche, non perdono però una loro
“individualità”:
si può immaginare di numerare in un certo istante la particella di un sistema fisico
dato e seguire poi il moto di ciascuna di esse lungo la sua traiettoria; sarà allora possibile
identificare la particella in qualsiasi istante.
Nella meccanica quantistica, invece, la situazione è completamente diversa.
In virtù del principio di indeterminazione, il concetto di traiettoria della particella
perde completamente significato. Di conseguenza, localizzate e numerate le particelle ad
un certo istante, questo non ci dà la possibilità di identificarle negli istanti successivi.
102
Nella meccanica quantistica non esiste, in linea di principio, alcuna possibilità di
seguire separatamente ciascuna delle particelle identiche, e quindi di
distinguerle. L’identità delle particelle relativa alle loro proprietà fisiche ha
quindi un significato molto profondo: essa porta alla indistinguibilità totale delle
particelle.
Questo principio di indistinguibilità delle particelle identiche ha un ruolo
fondamentale nella teoria quantistica dei sistemi formati da particelle identiche.
Consideriamo, per iniziare, un sistema formato da due sole particelle
identiche. Siano a , b , … i vettori di stato di ciascuna particella considerata da sola
come un sistema dinamico. Possiamo ottenere un vettore di stato per il sistema costituito
dalle due particelle prendendo il prodotto di ket per ciascuna particella considerata da
sola. Per esempio
a b
(o)
rappresenta lo stato in cui la prima particella si trova nello stato a e la seconda
nello stato b .
Nella (o) possiamo scambiare il ruolo delle due particelle e ottenere un altro
vettore di stato per il sistema costituito dalle due particelle, ossia il vettore di stato
(oo)
b a
Questo rappresenta lo stato in cui la prima particella si trova nello stato b e la
seconda nello stato a .
Il processo di scambiare tra loro le due particelle è un operatore lineare che
può essere applicato ai vettori di stato del sistema costituito dalle due particelle.
Indicando con P12 questo operatore si ha: P12 a b  b a
Supponiamo di effettuare una misura sul sistema costituito dalle due particelle e di
trovare che una particella si trova nello stato a e l’altra nello stato b . Tuttavia non
sappiamo a priori se lo stato sia a b oppure
combinazione lineare dei due stati, della forma
  c1 a b  c2 b a
b a , oppure una qualsiasi
(ooo)
In altri termini, tutti i vettori di stato della forma (ooo) portano allo stesso insieme
di autovalori quando si esegue la misura. Ciò è noto come degenerazione di scambio.
La degenerazione di scambio sembra rappresentare una difficoltà, poiché,
contrariamente al caso di una particella singola, l’assegnazione degli autovalori di un
insieme completo di osservabili non determina completamente il vettore di stato.
103
Tuttavia il principio di indistinguibilità delle particelle identiche implica che gli stati del
sistema che si ottengono l’uno dall’altro semplicemente scambiando tra loro le due
particelle devono essere fisicamente del tutto equivalenti. Questo significa che, come
risultato dello scambio, il vettore di stato del sistema può variare soltanto di un fattore di
fase inessenziale (il modulo quadro, che dà la probabilità, non deve variare). Ossia
P12   ei 
(󠄀)
dove α è una costante reale.
Scambiando ancora una volta le due particelle si deve riottenere, evidentemente,
2
lo stato iniziale. L’operatore P12 soddisfa cioè la condizione: P12  1
2
L’applicazione dell’operatore P12 allo stato  equivale a moltiplicare il vettore
i
2 i
2 i
di stato per e . Ne segue che e  1 , ossia che e  1 . Di conseguenza
P12    
(󠄀󠄀)
Ora ci chiediamo: + oppure – ?
Siamo giunti al risultato fondamentale che esistono in tutto due possibilità:
o il vettore di stato costituito da due particelle identiche è simmetrico, cioè non
cambia nello scambio di due particelle, o esso è antisimmetrico, cioè nello
scambio cambia di segno.
Le due combinazioni corrispondono rispettivamente agli stati
1
a b  b a 
S 
2
(o)
1
a b  b a 
A 
2
È evidente, inoltre, che i vettori di stato rappresentativi di tutti gli stati
dello stesso sistema devono godere della stessa simmetria. Se così non fosse,
infatti, il vettore di stato che rappresenta la sovrapposizione di stati con diverse
simmetrie non sarebbe né simmetrico né antisimmetrico.
Questo risultato si generalizza immediatamente ai sistemi formati da un
numero qualsiasi di particelle identiche. Infatti, a causa dell’identità delle particelle, è
chiaro che se una coppia di queste particelle gode della proprietà di poter essere
descritta, per esempio, da vettori di stato simmetrici, tutte le altre coppie di particelle
avranno la stessa proprietà. Quindi il vettore di stato delle particelle identiche deve o
restare assolutamente immutato per lo scambio di qualsiasi coppia di particelle,
o cambiare di segno per lo scambio di ogni coppia.
Le proprietà del sistema di poter essere descritto da vettori di stato simmetrici o
antisimmetrici dipende dalla natura delle particelle che lo compongono. Delle particelle
descritte da vettori di stato simmetrici si dice che ubbidiscono alla statistica di Bose–
Einstein, o che sono bosoni, delle particelle descritte da vettori di stato antisimmetrici si
104
dice che ubbidiscono alla statistica di Fermi–Dirac, ovvero che sono fermioni. Così,
indicando con Pij l’operatore che scambia la i-esima particella con la j-esima particella, si
ha
Pij N  bosoni identici   N  bosoni identici
Pij N  fermioni identici   N  fermioni identici
Utilizzando le leggi della meccanica quantistica relativistica è possibile mostrare
che la statistica cui obbediscono le particelle è univocamente legata al loro spin:
le particelle con spin intero sono bosoni, quelle con spin semintero sono
fermioni.
Esempio: consideriamo un atomo di elio. I due elettroni di un atomo di elio sono
particelle identiche perché appartenenti alla stessa specie. Se si scambiano tra loro i due
elettroni (due fermioni) lo stato del sistema non deve cambiare: la probabilità di trovare
gli elettroni in una certa posizione definita deve rimanere la stessa.
(1;2)  (2;1)
da cui  (1;2)    (2;1) … ma + o – ?
2
2
Una delle scoperte delle scoperte in meccanica quantistica è che per gli elettroni
(fermioni) vale la seguente:  (1;2)   (2;1)
La funzione d’onda è definita come
ab (1;2)  a (1)b (2)  b (1)a (2)
Fossero stati due bosoni identici la funzione d’onda sarebbe stata invece:
ab (1;2)  a (1)b (2)  b (1)a (2)
Invece lo stato a (1)b (2) non esiste in natura.
Fermioni e bosoni hanno comportamenti diversi.
L’elio-4 (due protoni e due neutroni) ha S=0, ed è dunque un bosone; invece
l’elio-3 (due protoni e un neutrone) ha S= ½ ed è dunque un fermione. L’elio-4 a basse
105
temperature (intorno alla temperatura T = 2 K) si comporta come un fluido a bassissima
viscosità, cioè come un superfluido. L’elio-3 invece è un fluido ordinario.
6.2. Il principio di esclusione di Pauli (1925)
Dalle proprietà di simmetria enunciate nel capitolo precedente segue un risultato
importante, o meglio, l’antisimmetria della funzione d’onda rispetto allo scambio di
particelle implica che IN UN SISTEMA DI FERMIONI IDENTICI DUE (o più)
PARTICELLE NON POSSONO TROVARSI IN UNO STESSO STATO. Questo è il
cosiddetto PRINCIPIO DI PAULI. Nel caso particolare costituito da due soli fermioni
identici, ad esempio, l’espressione (o) mostra come il vettore di stato antisimmetrico si
annulla identicamente quando i due fermioni si trovano nello stesso stato:
1
 a a  a a  0
se a  b allora A 
2
per cui la probabilità di trovare due fermioni nello stesso stato salta a zero.
Il principio di Pauli…
…FORNISCE UNA SPIEGAZIONE SEMPLICE E NATURALE
DELLA TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI.
Una volta occupati i posti disponibili del primo guscio o livello energetico (che
sono due), gli elettroni del Litio (Z=3) cominciano a occupare i posti del secondo livello
106
energetico (che sono otto). L’undicesimo elettrone del sodio (Z=11), non potendo
occupare il secondo livello, va a occupare il terzo guscio.
Il principio di Pauli…
…SPIEGA LA STABILITÀ SU LARGA SCALA DELLA MATERIA
Le molecole non possono essere spinte arbitrariamente una contro l’altra poiché
gli elettroni di ogni molecola non possono entrare nello stesso stato degli elettroni di
un’altra molecola.
Il principio di Pauli spiega come si comporta…
…IL GAS DI FERMIONI DEGENERE
Consideriamo un gas di particelle libere non interagenti. Secondo la fisica classica, lo
stato di ciascuna particella del gas è rappresentato da un punto nello spazio delle fasi.
In meccanica quantistica, invece, il principio di indeterminazione richiede che posizione
e impulso di ciascuna particella abbiano una indeterminazione minima tali che
x  p  h .
107
Per un gas di fermioni, il principio di esclusione di Pauli richiede che ciascuno
stato quantistico sia occupato da una sola particella. Ciascuna celletta dello spazio delle
fasi può essere occupata da 2 particelle (se lo spin delle particelle è s= ½ )(figura sopra a
destra)
Alle basse temperature (figura a sinistra) vengono allora occupati solo gli stati
corrispondenti a piccola energia e piccolo impulso. Se si diminuisce il volume, ossia si
aumenta la densità del gas, le particelle vanno ad occupare stati con impulso ed energia
sempre più elevati (figure al centro e a destra). Le particelle con impulso elevato
inducono una forte pressione, che si oppone a una ulteriore pressione del gas. Questa
pressione è chiamata pressione di degenerazione.
La pressione di degenerazione dipende dalla densità del gas ma è indipendente
dalla temperatura. Esiste anche a temperatura T = 0 K.
Secondo la fisica classica, invece, la pressione di un gas perfetto è p  NK BT / V .
108
LE STELLE DEGENERI
Nana bianca: massa simile a quella del Sole e raggio confrontabile con quello della
Terra. La densità tipica è di una tonnellata per centimetro cubo.
Stella di neutroni: massa simile a quella del Sole e raggio di circa 10 – 20 Km. La
densità tipica è di 200 milioni di tonnellate per centimetro cubo.
Le stelle degeneri non sono soggette alla fusione nucleare (sono stelle “fredde”).
Non possiedono dunque una fonte di energia autonoma che possa contrastare il collasso
gravitazionale. L’unica forza che vi si oppone è la pressione di degenerazione, indotta
dagli elettroni per le nane bianche e dai neutroni per le stelle di neutroni.
IL GAS DI BOSONI DEGENERE
In un gas di bosoni alle basse temperature e alte densità tutte le particelle vanno a
occupare lo stesso stato con impulso p = 0.
È il fenomeno della cosiddetta condensazione di Bose-Einstein. Con lo stesso
principio si spiegano anche la superfluidità e la superconduttività.
109
6.3. Probabilità e variabili nascoste
Consideriamo l’esperimento di interferenza degli elettroni
Possiamo predire attraverso quale fenditura passerà l’elettrone se lo andremo a
osservare? NO. Possiamo solo determinare le probabilità P1 e P2. che venga visto
passare per la fenditura 1 o per la fenditura 2.
Nella fisica classica, la probabilità interviene quando non siamo in grado di
conoscere tutte le cause che determinano un fenomeno o quando non siamo comunque
in grado di calcolare gli effetti che quelle cause determinano. La probabilità è
epistemica.
Nella meccanica quantistica, la probabilità non dipende da ciò che non
sappiamo del mondo ma esprime il fatto che il mondo in sé ha caratteristiche
indefinite:
non esistono variabili nascoste.
All’inizio si riteneva (lo stesso Einstein riteneva) che la meccanica quantistica fosse una
teoria incompleta, ossia che la descrizione dei fenomeni fosse incompleta, perché c’era
qualcosa che non si conosceva: “ma se conoscessimo queste variabili sapremmo dire per
quale fenditura passa l’elettrone”. Invece la meccanica quantistica ci dice che non
esistono quelle variabili nascoste.
Altro esempio: i decadimenti radioattivi
Consideriamo il decadimento-beta dell’azoto (tempo di dimezzamento: 10 minuti)
Qual è la differenza tra i due atomi di azoto?
110
Dopo il decadimento è evidente. Ma prima del decadimento? Per la meccanica
quantistica, la risposta è: No, prima del decadimento i due atomi erano perfettamente
identici. Non ci sono variabili nascoste. Fino a che non si esegue la misura, entrambi gli
atomi si trovano in una sovrapposizione di “atomo decaduto” e “atomo non decaduto”
(come gli elettroni attraverso la doppia fenditura).
Le proprietà fisiche non pre-esistono alla misura.
6.4. Il collasso della funzione d’onda
Consideriamo un elettrone singolo.
Per la Scuola di Copenaghen, a seguito della misura, il sistema “collassa” in uno
stato definito. Prima della misura lo spin era in una sovrapposizione di stati di spin; dopo
la misura la funzione collassa in uno dei due stati possibili.
6.5. Gli stati entangled
Quando si considera un sistema costituito da 2 (o più) particelle, la sovrapposizione
conduce a fenomeni nuovi e particolari.
111
Una misura dello spin del 2° elettrone determina con certezza lo spin del 1°
elettrone.
Stati di questo tipo sono chiamati STATI ENTANGLED (INTRECCIATI):
possono essere descritti solo come sovrapposizione di più stati
  
Stato separabile
  c1 1 1  c2  2  2  ...
Stato entangled
In uno stato entangled la misura di un’osservabile per una parte del sistema
determina ISTANTANEAMENTE il valore anche per l’altra.
Se i sistemi si trovano SPAZIALMENTE separati, l’entanglement implica la
presenza di CORRELAZIONI A DISTANZA tra le loro quantità fisiche.
Prendiamo due elettroni entangled e lasciamoli viaggiare, uno verso New York e
l’altro verso Tokio.
Poi chiediamo a un fisico di New York di misurare lo spin dell’elettrone arrivato
lì. Supponiamo che lui misuri “+”.
Questo ci garantisce che a Tokio, se un altro fisico misurasse lo spin dell’elettrone
arrivato lì, troverebbe “–”, ossia che vale la seguente: 12    .
La teoria è NON LOCALE!
112
Da queste osservazioni nasce il paradosso EPR (1935) (dai nomi di Einstein, Podolsky,
Rosen) per i quali tra i due elettroni parrebbe esserci una “spaventosa azione a distanza”.
Era questo uno dei motivi per cui Einstein non riusciva ad accettare la meccanica
quantistica, per via di questa “spaventosa azione a distanza”.
Oggi sappiamo che non c’è nessuna violazione della relatività, ovvero che
non risulta possibile trasmettere informazione a velocità superluminale (superiore a
quella della luce). Tuttavia sorprende che ci sia questo legame a distanza.
Fatta la misura a New York (o a Tokyo), come faccio a sapere qual era lo stato
iniziale (ovvero lo spin di ciascun elettrone) a Roma? A Roma c’era una sovrapposizione
degli stati o c’era “già” lo stato che poi è stato rilevato dai fisici di New York (e Tokyo)?
Consideriamo un esempio, per chiarire la situazione (ma che sottolinea anche quanto sia
lontana la meccanica quantistica dal senso comune).
A Roma inserisco una palla blu in una scatola di cartone e una palla arancione in una
scatola identica; sigillo le due scatole e, senza sapere quale palla è contenuta in quale
scatola, le spedisco una a New York e l’altra a Tokyo.
113
A New York apro la scatola e trovo la palla blu.
Non ho bisogno di aprire la scatola a Tokyo per sapere che dentro vi è la palla arancione.
Le proprietà fisiche pre-esistono alla misura. Non c’è alcuna “spaventosa” azione a
distanza.
Forse anche nel caso degli elettroni le proprietà fisiche pre-esistono alla misura e
non c’è alcuna “spaventosa azione a distanza?
No, con gli elettroni non è così, e a mostrarcelo sono le disuguaglianze di Bell.
6.6. Le disuguaglianze di Bell
Partendo dall’ultima domanda del paragrafo precedente, facciamo le due ipotesi
contenute in essa:
1) le proprietà fisiche sono reali, ossia pre-esistono alla misura (REALISMO);
2) non c’è alcuna istantanea azione a distanza (IPOTESI DI LOCALITÀ).
Nel 1964 il fisico nordirlandese John Bell concepì un modo per sottoporre a
verifica sperimentale queste due ipotesi… e si verificò che entrambe le ipotesi sono false
per la meccanica quantistica.
Il metodo si basa su di una serie di disuguaglianze che oggi chiamiamo appunto
“disuguaglianze di Bell”.
Ne utilizziamo una, in particolare, per chiarire il nostro discorso.
114
Dato un insieme qualunque di elementi e tre proprietà fisiche reali, A, B, C, vale la
seguente disuguaglianza di Bell (1964)
N ( A, non B)  N ( A, non C)  N (non B, C)
Per fare un esempio, sia per gli alunni di una classe,
A= maschi, B = alti più di 1.70 m, C = occhi azzurri.
Si può facilmente verificare che la disuguaglianza sopra è soddisfatta.
Per un insieme di elettroni sia:
A = spin +½ nella direzione θ = 0°
B = spin +½ nella direzione θ = 45°
C = spin +½ nella direzione θ = 90°
Tuttavia non è possibile misurare le proprietà A, B e C sul singolo elettrone: vale
una proprietà di indeterminazione nella misura dello spin a 0° e dello spin a 45°,
(conseguenza del fatto che le diverse componenti del momento angolare non
commutano tra loro). Se vado a misurare la proprietà A modifico lo stato dell’elettrone,
e quindi non posso misurare N ( A, non B ) . Non posso dunque verificare la
disuguaglianza di Bell sull’insieme degli elettroni. Però posso considerare una coppia di
elettroni in stato entangled: faccio la misura sul primo senza toccare/misurare il secondo.
Obiezione: ma se “osservo” il primo, di fatto determino lo stato del secondo! No,
se assumo l’ipotesi di località e immagino di andare a guardare il primo elettrone quando
i due entangled sono così distanti che nemmeno viaggiando alla velocità della luce un
segnale potrebbe modificare lo stato del secondo elettrone, per cui la misura del secondo
non sarà influenzata dalla misura del primo. Misuro la proprietà A sul primo dei due e la
proprietà B sul secondo dei due: se il primo ha la proprietà A e il secondo ha la proprietà
B allora il primo appartiene all’insieme degli N ( A, non B ) .
Esperimenti di questo tipo sono stati fatti… e in tutti gli esperimenti condotti su
fotoni, elettroni, … negli stati entangled la disuguaglianza di Bell è violata.
Ne segue che o è falsa l’ipotesi (1) o è falsa l’ipotesi (2) o lo sono entrambe. In
ogni caso non possono essere entrambe vere.
Le teorie con variabili nascoste locali sono da escludersi.
Non solo la disuguaglianza di Bell è violata, ma lo è esattamente nel modo
predetto dalla meccanica quantistica.
115
6.7. Difficoltà interpretative della meccanica quantistica
Nell’interpretazione tradizionale (di Copenaghen) della meccanica quantistica, la
descrizione di un processo di misura distingue tra
Questa distinzione pone dei problemi concettuali.
Nella teoria non esiste una separazione tra mondo macroscopico e mondo
microscopico. Le leggi quantistiche valgono per tutti i sistemi fisici. I loro effetti saranno
più evidenti sui sistemi microscopici e meno evidenti o trascurabile sui sistemi
macroscopici ma tutti dovranno soddisfare le leggi della meccanica quantistica.
L’interpretazione di Copenaghen risulta insoddisfacente. Come possiamo ovviare?
Possiamo considerare l’apparato di misura e il sistema microscopico un unico sistema.
Ma se abbandoniamo la distinzione e includiamo l’apparato di misura nella descrizione
quantistica, allora nella teoria non esiste più nulla che possa provocare il collasso.
116
È quello che si è visto, ad esempio, nel capitolo 2, nell’obiezione che Einstein mosse a
Bohr proponendogli lo schermo con due fenditure libero di muoversi. No, fu la risposta
di Bohr, anche lo schermo è soggetto al principio di indeterminazione…
Vediamo a quali contraddizioni si arriva trattando sistema microscopico e
apparato di misura come un tutt’uno.
L’elettrone ha spin “+” e l’apparecchio di misura è sullo 0. I due sistemi
interagiscono tra loro e la lancetta dello strumento segna “+”.
Se nello stato iniziale lo spin dell’elettrone fosse stato “–”, elettrone e strumento
di misura avrebbero interagito e lo strumento avrebbe segnato “–”.
Consideriamo adesso uno stato che sia una sovrapposizione di stati. L’evoluzione
del sistema è descritta dall’equazione di Schrödinger che è un’equazione lineare: se la
situazione iniziale è una combinazione lineari di stati, anche l’evoluzione temporale e la
situazione finale devono essere una combinazione lineare di stati: l’apparecchio di misura
(che dopo l’interazione segna “+” oppure “–”) deve essere anch’esso in una
sovrapposizione di stati, e anche all’inizio doveva essere una sovrapposizione di stati. Ma
questo che cosa significa? Nulla: è un’affermazione del tutto priva di senso che non ha
nessun riscontro nella realtà macroscopica.
È quello che tentò di spiegare Schrödinger con il suo famoso paradosso del
gatto.
117
Il gatto di Schrödinger
Quando si vogliano applicare i principi della meccanica quantistica ai sistemi
macroscopici si giunge a paradossi che decisamente contrastano con il senso comune.
Supponiamo di avere un gatto chiuso in una scatola dove c’è una fiala di cianuro.
All’interno della scatola vi è anche un contenitore con un atomo di azoto (tempo di
dimezzamento dell’azoto = 10 minuti, per cui la probabilità che dopo 10 minuti l’atomo
sia decaduto è ½ ) e vi è un contatore Geiger in grado di registrare l’avvenuto (o meno)
decadimento; collegato al Geiger vi è un martello: se il contatore registra il decadimento
aziona un meccanismo che muove il martello che rompe la fiala… e il gatto muore.
Che cosa prevediamo dopo un tempo di dimezzamento (10 minuti)? Il gatto o è
vivo (con probabilità ½) o e morto (con probabilità ½). La meccanica quantistica ci dice
che prima della misura l’atomo di azoto è nella sovrapposizione di “atomo decaduto” e
“atomo non decaduto”.
La proprietà fisica però si manifesta solo dopo la misura (solo dopo che siamo
andati a controllare cosa è successo dentro la scatola).
Se leghiamo il sistema macroscopico (il gatto) al sistema microscopico (l’atomo di
azoto), prima della misura anche il gatto doveva trovarsi, così come l’atomo di azoto, in
una sovrapposizione di “gatto vivo” e “gatto morto”. Ma questa sovrapposizione non
l’ha mai osservata nessuno. E la meccanica quantistica non sa dire perché.
118
6.8. Conclusioni
La meccanica quantistica, nonostante i problemi concettuali che pone (vedi i paradossi
sopra), rimane la teoria meglio verificata e di maggior successo nella storia della scienza.
Tra i suoi principali risultati/successi ci sono:
Grazie alla meccanica quantistica, alla metà del ’900 fu elaborato il
MODELLO STANDARD delle particelle elementari, che descrive con
accuratezza ineguagliata le interazioni elettromagnetiche, deboli e forti.
119
Infine, per sparar lì un ultimo botto…
[Ma che cos’è il momento magnetico anomalo dell’elettrone?]
6.9. Test ed esercizi
La verifica sperimentale delle disuguaglianze di Bell ha mostrato che...
a. le disuguaglianze non possono essere verificate: devono esistere delle variabili nascoste locali.
b. le disuguaglianze sono violate: la meccanica quantistica non è completa e devono esistere delle
variabili nascoste locali.
c. le disuguaglianze sono rispettate, nel modo predetto dalla meccanica quantistica: non esistono
variabili nascoste locali.
d. le disuguaglianze sono rispettate: la meccanica quantistica non è completa e devono esistere delle
variabili nascoste locali.
e. le disuguaglianze sono violate, nel modo predetto dalla meccanica quantistica: non esistono variabili
nascoste locali.
[La risposta corretta è la e.]
In un gas di fermioni degenere a T=0 la pressione è dovuta:
a. alla condensazione di Bose-Einstein.
b. al fenomeno della superfluidità.
c. alla pressione di degenerazione.
d. al fenomeno della superconduttività.
e. alla pressione ordinaria e alla pressione di degenerazione.
[La risposta corretta è la c. Per i fermioni vale il principio di esclusione di Pauli.]
L’esistenza di “stelle compatte” (nane bianche e stelle di neutroni) in equilibrio rappresenta...
a. un problema che non si sa spiegare in maniera soddisfacente nell’ambito della meccanica quantistica.
b. un problema che si può spiegare in maniera soddisfacente anche nell’ambito della fisica classica.
c. una manifestazione macroscopica del principio di esclusione.
d. una manifestazione macroscopica del fenomeno della superfluidità.
e. una manifestazione macroscopica del fenomeno della superconduttività.
[La risposta corretta è la c.]
Effettuo una misura dello spin lungo z su un elettrone che si trova nello stato
|Ψ⟩=
e suppongo di trovare come risultato Sz=+ℏ 2
a. ho una probabilità pari a 1/5 di misurare Sz=+ℏ 2 ma certamente l’elettrone dopo la misura si
troverà nello stato
.
120
b. ho una probabilità pari a 4/5 di misurare Sz=−ℏ 2 e che l’elettrone subito dopo la misura si trovi
nello stato |+⟩.
c. ho una probabilità pari a 1/5 di misurare Sz=+ℏ 2 e che l’elettrone dopo la misura si trovi nello stato
|+⟩.
d. ho una probabilità pari a 1/5 di misurare Sz=+ℏ 2 e che l’elettrone dopo la misura si trovi nello stato
.
e. ho una probabilità pari a
di misurare Sz=+ℏ 2 e che l’elettrone dopo la misura si trovi nello stato
.
[La risposta corretta è la c.]
Immaginiamo di effettuare una misura dello spin lungo z di un elettrone in uno
stato
e di trovare come risultato Sz=+ℏ 2. Se istantaneamente dopo la misura
effettuo una seconda misura dello spin lungo z…
a. non è possibile conoscere in alcun modo la probabilità del risultato della misura.
b. troverò come risultato Sz=+ℏ /2 con probabilità ½.
c. troverò certamente come risultato Sz=−ℏ /2.
d. troverò certamente come risultato Sz=+ℏ /2.
e. troverò come risultato Sz=+ℏ /2 con probabilità 1/radq(2).
[La risposta corretta è d. C’è stato il collasso della funzione d’onda]
Concludiamo questo libro dando la parola ai tre fisici che hanno segnato la storia della
meccanica quantistica.
121
Carlo Dariol : Perché mai mi sono messo in testa di scrivere un
libro sulla quantistica quando potevo giocare a dadi anch’io?
122
Scarica