Identificativo: DO20071104046AAA Data: 04-11-2007 Testata: IL SOLE 24 ORE DOMENICA Riferimenti: ECONOMIA E SOCIETA' Pag. 46 Misure della ricchezza Ossessionati dal Pil Un pamphet di Pierangelo Dacrema critica la portata reale di questo parametro Una sintesi statistica corretta dallo Human Development Index promosso da Sen - Politiche distributive e welfare mirati garantiscono ai Paesi poveri uno sviluppo più equilibrato Giorgio Barba Navaretti di Giorgio Barba Navaretti Pil o Pil? Nelle economie moderne non c'è scampo al prodotto interno lordo, quel numero che misura l'insieme dei redditi creati in un dato periodo da tutti i cittadini di un paese, una regione o una città. Misura sintetica per eccellenza, viene utilizzata e citata come termine di riferimento per capire se una nazione stia meglio di un'altra, quanto producano i suoi cittadini, quanto siano capaci, anno dopo anno, a migliorare la loro performance economica. Ed è anche l'indicatore utilizzato per capire cosa succederà ai mercati finanziari e dunque per prendere decisioni di investimento, per definire misure di politica fiscale o monetaria. Se leggete qualunque rapporto economico su un paese, da quelli del Fondo monetario internazionale a quelli della Cia o dell'Economist intelligence unit, le prime pagine e le prime tavole sono sempre dedicate al Pil: quant'è, come cresce e quali sono le sue componenti. Il dibattito su quanto questo indicatore rifletta effettivamente lo stato di salute di un'economia è immenso. Ad esempio le pagine di Amartya Sen su come catturi poco dello sviluppo di un Paese hanno fatto scuola. Non si riesce a capire, infatti, come il reddito sia distribuito. Se un Paese ha ad esempio un prodotto interno lordo pro-capite diciamo di 10mila euro, non sappiamo se questa è la media tra redditi relativamente uguali oppure molto disuguali. Di conseguenza, utilizzare la crescita del Pil come obiettivo principale di sviluppo può essere fuorviante. Considerate, ad esempio, una nazione africana che abbia necessità di fare uscire milioni di persone dalla povertà estrema. Dato un determinato tasso di crescita del reddito il tempo necessario a ottenere questo risultato si ridurrà molto se il Paese adotta anche delle politiche redistributive, ad esempio programmi di welfare mirati. Proprio per ovviare l'aridità del Pil e sulla spinta dei lavori di Sen, le Nazioni unite hanno sviluppato lo Human development index che incorpora misure della dimensione sociale dello sviluppo economico, come ad esempio la vita attesa alla nascita o il tasso di scolarità della popolazione. Che il Prodotto interno lordo sia una gabbia da cui liberarsi è la tesi del libro di Pierangelo Dacrema, appunto La dittatura del Pil appena pubblicato da Marsilio. «Non mi sento al sicuro sotto il tetto del Pil», sostiene il nostro autore. Un tetto a cui è stato attribuito un significato simbolico che va ben oltre la superficie che in effetti è in grado di coprire e proteggere. A ben vedere il problema in questione è in parte un colossale malinteso. Il Prodotto interno lordo, in sé, non è altro che un utilissimo indicatore statistico. Così come i profitti per le imprese, ci permette di avere un'idea di sintesi dello stato di salute di un'economia, di disporre di un parametro oggettivo con cui fare dei confronti internazionali. Ma ovviamente, come qualunque indicatore sintetico, nasconde molte cose che dobbiamo andarci a cercare altrove. Il problema non è la misura ma il modo in cui la utilizziamo. E appunto, come nel caso del Human development index, le soluzioni per compensarne i limiti sono già state trovate. Il Pil per Dacrema è in verità altro, il simbolo dell'ossessione contemporanea per l'accumulo di ricchezza, che diventa l'obiettivo, il bene supremo da raggiungere. E siccome, come dimostra la crescente disuguaglianza sia tra Paesi che all'interno dei Paesi, è un obiettivo che non tutti riescono a raggiungere, questa ambizione collettiva crea anche grandi tensioni sociali. Forse viviamo in una società di eccessi, che non riesce ad attribuire il giusto valore alle cose e che ha perso di vista, per dirla con i Monty Python, il senso della vita. Ma la soluzione non è dimenticarsi del Pil. I predicatori della decrescita – tra i quali mi pare che saggiamente Dacrema non si iscriva – dimenticano quanti straordinari risultati abbia portato con se l'aumento della ricchezza. Il problema, come vede bene chi osserva oggi Paesi a sviluppo rapidissimo come la Cina o l'India, è che il resto, la qualità della vita oltre il denaro, è un bene di lusso per cittadini molto viziati. Che l'ambiente, o il tempo trascorso con i figli, siano beni essenziali e che si debba difenderli a spada tratta è incontestabile. Ma potremmo farlo senza anni di crescita del Pil alle spalle? [email protected] 1 Pierangelo Dacrema, «La dittatura del Pil», Marsilio, Venezia, pagg. 94, € 10,00.