limbo Núm. 29, 2009, pp. 145-151 issn: 0210-1602 La ragione ermeneutica di Santayana Giuseppe Patella José Beltrán Llavador, Celebrar el mundo. Introducción al pensar nómada de George Santayana, Valencia, Universitat de València, Biblioteca Javier Coy d’estudis nord-americans, 2008, 2.ª ed., 268 pp. Impresa difficile e insidiosa cercare di avvicinare il pensiero vasto e multiforme di un autore tanto prolifico quanto enciclopedico come George Santayana, si corre sempre il rischio di semplificare o di banalizzare. L’impresa può tuttavia presentarsi anche come uno stimolo incredibile, come una sfida talmente grande e salutare che riuscire a portarla a termine procura enorme soddisfazione. È esattamente quello che succede con il libro di José Beltrán Llavador, che riesce ad avvicinare l’opera di questo grande pensatore e a penetrare con acutezza e precisione il nucleo centrale della sua riflessione evitando sia facili schemi interpretativi sia sintesi banalizzanti, producendo di fatto un enorme sforzo ermeneutico che rappresenta già un punto fermo nella bibliografia intorno a Santayana e procura innanzitutto il piacere della lettura. Con sicura competenza e grande rigore metodologico, il libro si concentra soprattutto sulla produzione centrale del filosofo iberoamericano, in modo particolare su due opere che possono essere considerate le più emblematiche della sua riflessione matura e per certi versi anche le più “sistematiche” tra le altre, la cui elaborazione gli costò quasi venti anni di lavoro: Scepticism and Animal Faith del 1923 e Realms of Being (1927-1940). Nel libro non manca tutta145 146 Giuseppe Patella via un’ampia analisi introduttiva della vita e dell’opera di Santayana (si ricordi che la prima edizione del volume risale ai primi anni del duemila, cioè ad un período in cui Santayana, contrariamente a quanto sta accadendo solo recentemente, era sostanzialmente ancora poco conosciuto, poco studiato, e i suoi libri scarsamente tradotti o introvabili perfino nella natia Spagna) in cui si sottolinea opportunamente la “profunda imbricación entre la vida de una obra y la obra de una vida. Esta semblanza pone énfasis en la relevancia ontológica del nomadismo como signo o clave bajo el cual he querido explicar más su filosofia para comprenderla mejor” (p. 244). Così come non manca neppure una lucida ed approfondita indagine su quella parte della filosofia di Santayana al cui centro ci sono i cinque volumi de The Life of Reason (1905-06) che, secondo l’autore, costituiscono i primi “tentativas racionales”, le prime prove di una linea di pensiero di tipo realistico che nella maturità prenderà la forma più sistematica di una epistemologia e più tardi di una vera e propria ontologia, cui l’autore riserva la maggior parte delle sue energie interpretative. Ora, parlare di “sistema” in Santayana può apparire contraddittorio e fuori luogo, e l’autore ne è perfettamente cosciente dal momento che ci troviamo di fronte ad un pensiero in continua trasformazione, profondamente antidogmatico e “nomade”, come lo definisce Beltrán stesso, che rifiuta di fatto ogni riduzionismo, ma ciò nonostante egli prova a interrogare il significato epistemologico e ontologico che emerge dalle opere centrali prese in considerazione riuscendo a individuarne il momento unificante in un nucleo di natura essenzialmente ermeneutica che coinvolge il senso dell’essere. In questa ottica, secondo l’autore, la domanda ontologica diventa principalmente domanda ermeneutica e in questo modo si può dire che essere diventa “essere interpretato”, come scrive lo stesso José Beltrán parafrasando una nota proposizione filosofica. È infatti una prospettiva di lettura di tipo ermeneutico quella che persegue esplicitamente l’autore del libro, il quale intende questa chiave di lettura in senso autenticamente gadameriano come un La ragione ermeneutica di Santayana 147 approccio libero e responsabile che non chiude ma lascia aperta la strada a diverse possibilità interpretative riuscendo così a scardinare ogni rigidità sistematica. José Beltrán lo scrive chiaramente: Desde esta óptica, mi pretensión consiste, más que en realizar una única lectura o interpretación literal del pensamiento de Santayana, en llevar a cabo una aproximación a su tarea filosófica, que lejos de ser exclusiva y excluyente, entre en diálogo con otras lecturas y se abra a otras interpretaciones (p. 16). Questa apertura dell’ermeneutica che attraversa il libro per intero è, a mio avviso, molto significativa perché intrinsecamente antidogmatica e pluralista, rimanda alla possibilità che vi sia sempre una pluralità di discorsi e di valori, ma soprattutto crede nella possibilità dell’ascolto e del dialogo fecondo, nella traduzione continua degli uni negli altri, senza per questo ritenere che tutti i discorsi e tutti i valori siano uguali, intercambiabili e immutabili. Tutto questo si traduce in una lettura dell’opera di Santayana che privilegia l’ascolto, la traduzione e l’appropriazione continua del testo da parte dell’autore, il quale intende quindi l’interpretazione come “una exploración dialogica, un recorrido alrededor del logos, contando con la complicidad y la complejidad necesaria entre el autor y el lector”. Ciò è evidente per esempio nel lavoro molto ravvicinato e attento che l’autore compie soprattutto sui testi di Scepticism and Animal Faith e The Realms of Being, dai quali emerge una interpretazione della filosofia di Santayana come una sorta di ontologia ermeneutica, nel senso di una comprensione del problema dell’essere strettamente dipendente dall’interpretazione ermeneutica, in grado pertanto di mostrare i vari aspetti dell’essere ma sempre in forma plurale e parziale. Più che in termini rigidamente metafisici o astratti, l’ontologia di Santayana viene infatti descritta da José Beltrán come una “mapa de la realidad”, cioè come una sorta di cartografia intesa come un inRevista de libros 148 Giuseppe Patella sieme di rilievi, di annotazioni, di elementi con cui leggere, decifrare, decodificare le province e le regioni che formano “los reinos del ser”, in cui decisiva è però la presenza di metafore grafiche e geografiche che danno conto fino in fondo di una realtà dinamica di per sé mai completamente chiara e distinta ma sempre opaca e indeterminata. È noto d’altra parte quanto le metafore svolgano un ruolo privilegiato nel pensiero di Santayana, esse possono essere considerate “como filo-conductores o traductores, auténticos intérpretes o mediadores linguísticos y semánticos al fin y al cabo, hasta el punto de que podríamos reconocer su ontología como una ontología de la metáfora” (p. 18). Ed è per questo che per avvicinare una realtà che non si dà mai in maniera completamente trasparente diventa necessario l’uso di una ragione poetica o metaforica che poco spiega in termini scientifici o razionali ma molto suggerisce e molto dà a pensare —per dirla con Ricoeur— in termini simbolici o metaforici. Come scrive José Beltrán: reconozco la elección de un modo de vida y de conocimiento que, contando con la razón, va más allá de ella en la medida en que permite un contacto con la realidad más poético (simbólico) que estrictamente epistémico. Y es que no es posible inventariar exhaustivamente la realidad, pues ésta siempre está sometida a una cierta opacidad semántica. Pero el pensar poético o metafórico de Santayana no es un pensar irreflexivo, sino un pensar narrativo, que constituye una fuente de información pertinente sobre la realidad y nuestro conocimiento de la misma. El pensar poético-narrativo, que no es del todo especulativo en su sentido más técnico o logicista, es en cambio una solicitación continua del concepto, un ‘pensar otro’, un ‘pensar distante’ o ‘pensar desasido’ (p. 245). Assai interessante e perfettamente riuscito mi sembra, inoltre, l’esperimento che l’autore propone nel capitolo finale del suo libro, nel quale presenta un compendio narrativo delle idee approfondite e discusse nel suo lavoro, e lo fa ancora una volta in chiave ermeneu- La ragione ermeneutica di Santayana 149 tica, in perfetta consonanza con l’approccio teorico e metodologico utilizzato, rileggendo le pagine del capolavoro narrativo The Last Puritan (1936). È evidente che questo libro può essere considerato un riflesso simbolico per eccellenza dell’universo filosofico di Santayana, il quale presenta le vicende, i personaggi, gli eventi e i concetti narrati nel romanzo proprio in forma simbolica. Il simbolo, la metafora, il poetico, del resto rappresentano forse l’unica via per abbordare l’essere, l’essenziale, che di per sé quasi heideggerianamente tende a ritrarsi, a permanere in uno stato di mutismo restando per lo più ineffabile. In questa “Memoir in the Form of a Novel” —come recita il sottotitolo del romanzo— prende forma allora l’intero microcosmo intellettuale di Santayana e in esso confluiscono mirabilmente e nello stesso tempo finzione narrativa ed enunciati speculativi, affabulazione fantastica e pretesa veritativa, il simbolo e il concetto, prendendo corpo in tal modo quella “ragione narrativa” di cui è intessuto il romanzo e che rappresenta la cifra di quella più ampia “ragione ermeneutica”, per così dire, su cui giustamente Beltrán insiste molto. A questo punto possiamo allora chiederci quale sia l’immagine finale di Santayana che emerge da questo lavoro, quale profilo di pensatore si presenta al nostro sguardo di lettori, e la risposta la fornisce lo stesso autore a conclusione della sua opera quando parla chiaramente di Santayana come di un “intérprete”, alla luce quindi di quell’ermeneutica o — si potrebbe anche dire — di quell’antica arte dell’interpretazione governata dal dio greco Hermes, messaggero degli dei, nume della comunicazione e della trasmissione dei significati, che come “nomade” e viandante è in grado di mettere in contatto gli umani e i celesti, i mortali e gli immortali. Ma “intérprete” significa anche pensatore “ironico”, per dirla con Rorty, —l’ironia, scrive opportunamente Beltrán “no es sino una forma de compromiso critico con la realidad, una manera de cuestionar abiertamente la legalidad de los dogmas conceptuales y de las trampas de la razón”— un pensatore cioè distaccato, scettico al fondo, che non crede all’esistenza di una realtà oggettiva, unica, immuRevista de libros 150 Giuseppe Patella tabile ed eterna, ma ritiene che la comprensione dell’essere si dia ancora una volta in una prospettiva ermeneutica, che in ultima istanza significa che l’esperienza della verità sia un’esperienza essenzialmente interpretativa, aperta cioè al contributo sempre nuovo e sempre diverso degli uomini, che con la loro lettura, interpretazione, ricreano continuamente nuovi mondi, nuovi orizzonti di comprensione. Come degna conclusione del libro troviamo, infine, un apparato bibliografico di primo e di secondo livello assai ricco, preciso e aggiornato, che non rimane certo semplicemente enumerato ma si dimostra essere stato direttamente compulsato dal suo autore. Il risultato finale di questo lavoro è sotto gli occhi di tutti: ci troviamo probabilmente di fronte alla più esaustiva e penetrante introduzione al pensiero maturo di Santayana scritta in lingua spagnola (e non solo), che d’ora in poi non c’è dubbio costituirà una pietra miliare nella vasta bibliografia internazionale sul filosofo ibero-americano e un punto di riferimento imprescindibile per tutta la comunità degli studiosi della sua opera. Last but not least, vorrei segnalare il puntuale Prólogo al libro scritto da Romà de la Calle, che mette opportunamente in risalto “numerosos e importantes ingredientes y valores de raíz europea, latina y espanola” —si potrebbe dire mediterranei— del pensiero di Santayana, rivendicando la necessità di rilanciare oggi l’interesse nei confronti del nostro pensatore. L’attuale Director del MuVIM, el Museo Valenciano de la Ilustración y de la Modernidad, che negli ultimi anni si è impegnato a promuovere importanti iniziative culturali con dibattiti internazionali e pubblicazioni su pensatori come Kant, Schiller, Levinas, Hegel, Rousseau, ha ora giustamente deciso di puntare sulla figura di quel “centauro cultural”, come lui stesso definisce Santayana, promuovendo pubblicazioni, conferenze e congressi internazionali, come quello in programma a Valencia nel novembre del 2009 in collaborazione con altre istituzioni, che vedrà la partecipazione dei più grandi studiosi mondiali della sua opera. Si tratta di iniziative che serviranno senza dubbio a porre al centro del dibattito internazionale l’attualità di un pensato- La ragione ermeneutica di Santayana 151 re la cui opera continua a suscitare domande e questioni per noi decisive ancora oggi e ad esercitare un fascino cui è davvero difficile resistere. 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