ETICA ECONOMICA E RESPONSABILITA’ SOCIALE DELLE IMPRESE Docente: PROF. LORENZO CASELLI APPUNTI DELLE LEZIONI LEZIONE 1 A.A. 2015.2015 29/2/2015 1 INTRODUZIONE AL CORSO Innanzitutto un saluto cordialissimo a tutti voi, grazie per aver scelto questo insegnamento. Penso che insieme faremo una esperienza stimolante, interessante, arricchente per voi e per me, penso anche che i risultati saranno più che soddisfacenti. Gli studenti dell’anno scorso come hanno valutato l’insegnamento? È doveroso rendervene conto. Era un insegnamento da 9 crediti, perché era agganciato ad AFC, quest’anno si prosegue solo come Management da sei crediti, o come insegnamento a scelta da altre persone che hanno ritenuto l’insegnamento interessante. L’anno scorso il 90% di studenti frequentanti che ha compilato il questionario si sono dichiarati più che soddisfatti, e alcuni hanno ritenuto di aggiungere anche qualche commento. Ne leggo qualcuno: Ci ha aperto orizzonti nuovi, ci ha stimolato a guardare all’economia e all’impresa in modo diverso, ci ha aiutato a pensare criticamente. Il 10% non tanto insoddisfatto, quanto infastidito. Le cose che si dicono in questo insegnamento cosa c’entrano, e soprattutto a cosa servono? Non sono osservazioni di poco conto, sia quelle positive sia quelle negative, perché pongono sul tappeto una questione fondamentale, cruciale. L’università oggi cosa deve fare? Che obiettivi deve porsi? Che questioni deve avere? E soprattutto cosa deve dare agli studenti? Sarebbe bello saperlo, queste cose le faremo man mano che ci conosceremo, vengo col microfono e chiedo: cosa si aspetta da questa università? Certamente deve dare un saper fare, spendibile sul mercato del lavoro. Ma anche, io credo, deve dare un saper essere. Certamente deve darvi un know how, ma anche un know why, un perché? Deve fornirvi dei mezzi, strumenti, metodologie, ma anche io credo, dei fini e dei valori. Ancora, l’università deve darvi una professionalità, o una meta professionalità da usare sul campo, e delle abilità. Io credo che l’università deve dare anche la cultura. Non siamo in una scuola professionale, però è importante. In altri termini, gli ingredienti del nostro essere fare università, fare una laurea magistrale in management, ha come ingredienti: il valore, il sapere, le conoscenze, le competenze, le abilità. Sono tutte necessarie. Alcuni insegnamenti possono privilegiare certi aspetti più pratici e operativi, altri possono privilegiare gli aspetti culturali, fondativi. L’importante è che ci sia sinergia nell’ambito di una formazione che dovrebbe essere il più concreto possibile. Questo perché? Il manager è anche un uomo e donna di cultura, in termini di politica dovrei dire donne e uomini, per semplificare userò l’espressione uomini. Il manager è anche un uomo di cultura. Quando entra in azienda non attacca in attaccapanni la sua cultura, la porta con sé. Allora, in queste prime lezioni, oggi e domani, vedremo poi le questioni organizzative, io cercherò di mettere le carte in tavola: quelle ideali e valoriali, e ovviamente quelle carte organizzative e oggettive. 2 La mia affermazione di partenza, che sostanzia il corso, è la seguente: in economia più strade sono possibili. Solo ampliando l’ambito di riferimento ideale e pratico è possibile pensare ad un modello di sviluppo, e quindi un modello di vita, con costi umani meno pesanti e più ampi. Un modello di sviluppo e di vita giuridico più solidale, capace di riprodursi relativamente, ma anche in grado di rispondere alle domande di senso delle donne e degli uomini. Che cosa ci sta dietro questa affermazione di partenza? Ci sta il convincimento che l’economia, nella dimensione macro e nella dimensione micro, è prima di tutto una scienza sociale, una scienza umana. L’uomo, o meglio la persona, è oggetto e soggetto delle cose che si dicono e che si fanno. L’uomo, nella sua pienezza antropologica, non l’homo hoeconomicus, che è caricatura di uomo al di fuori del tempo e dello spazio, proprio per questo il docente di Economia, uso il termine in senso ampio delle discipline che si applicano qui, espliciti i propri convincimenti, i propri presupposti, le cose concrete. Da questo punto di vista, anticipo una affermazione che svilupperemo più avanti, in quest’ottica: ritengo che se la scienza economica non rinnova i suoi presupposti, fondamenti e i suoi paradigmi, i paradigmi su cui la scienza economica poggia: individualismo, metodologico e pratico, e una sorta di darwinismo sociale per cui i più forti devono vincere e prendere tutto, se la scienza economica non rinnova questi presupposti, è destinata a fare poca strada. Sulla base di queste affermazioni, che ho anticipato, non sono asettico, non sono neutrale. Devo però essere intellettualmente onesto. Allora, quali sono i miei convincimenti, i miei paradigmi? Come leggo il contesto in cui ci troviamo a vivere, a operare, e per quel che ci riguarda a svolgere il corso di Etica economica e responsabilità sociale delle imprese? Questo è necessario, perché ogni insegnamento che si pratica qui, ma anche nelle altre facoltà, non sono un qualche cosa di astratto, di neutrale, fuori dal tempo e dallo spazio. Neppure la matematica è fuori dal tempo e dallo spazio. Ogni insegnamento ha una dimensione storica, va contestualizzato. Ciò è particolarmente vero per il nostro insegnamento, etica economica e responsabilità sociale delle imprese. Allora, vi propongo 15 proposizioni preliminari, abbastanza sintetiche, ma mi auguro efficaci che verranno riprese e sviluppate. 1) Viviamo noi, le imprese, le istituzioni, in un tempo complesso, contradditorio, ambiguo. Un tempo che si caratterizza per una sorta di crisi della ragione, ovvero crisi delle categorie concettuali e strumentali con le quali l’uomo si rapporta a se stesso, si rapporta agli altri, si rapporta alla natura, all’ambiente. 2) La scienza, ne parleremo ampiamente, è oggi una forza direttamente e immediatamente produttiva, capace cioè di trasformarsi immediatamente in tecnologia, in organizzazione, processo e modalità di vita. Attenzione, la velocità dei cambiamenti sopravanza sovente la nostra capacità di comprensione. 3 3) 4) 5) 6) 7) Nel contempo, il gioco perverso di un capitalismo finanziario speculativo sembra trascinare nel baratro stati, imprese, istituzioni, movimenti, la vita di miliardi di persone. Le diseguaglianze crescono in maniera esponenziale tra i diversi Paesi e soprattutto all’interno di ciascun Paese, sia esso ricco sia esso povero: diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, patrimonio nelle chance di vita, nei rapporti con l’ambiente, nella possibilità di costruire un proprio progetto di vita. Mancano dei punti di riferimento stabili, univoci. Non è facile individuare dei valori, delle norme condivise, in vista del bene comune. Le ideologie, gli ordinamenti tradizionali stanno entrando in crisi, che sia destra, sinistra o centro. Aumentano le distanze tra i cittadini e le istituzioni. Crescono le dimensioni individualistiche e privatistiche. Questo caratterizza negativamente il nostro sistema. Gli stili di vita si moltiplicano, si contrappongono. La cultura si frammenta, in una molteplicità di subculture tra di loro incomunicanti. È difficile oggi costruire delle scale di priorità, c’è incertezza, c’è disagio, c’è precarietà. Nel vuoto etico della globalizzazione si inseriscono poteri inconfrontabili ed incontrollabili. Il progresso, il cambiamento, la produzione di ricchezza quando sono svincolati dal bene comune, sarà una parola chiave del nostro corso, svincolati da un progetto di giustizia e bontà, generano soltanto problemi e conflitti a livello locale e a livello globale. Da qui una sensazione di impotenza, di smarrimento, di rassegnazione. L’uomo di oggi, è ricco di strumenti, ma è tremendamente povero di fini e di valori. Messo con le spalle al muro, l’uomo deve ricostruire se stesso. Il sentiero è stretto ma percorribile, in quanto non mancano sono anche percepiti in questo nostro tempo, segni di inquietudine e segni di speranza. Ad esempio, ci si interroga sulla validità, sui rischi che sono connessi agli attuali modelli di produzione, consumo, di utilizzo delle risorse. Le imprese si interrogano su questo. Ancora, si fa strada la consapevolezza che sono necessari modelli nuovi di modernizzazione, modelli plurali, interdipendenti, modelli in grado di sviluppare le capacità, le potenzialità delle persone, a partire da quelle più deboli. Ancora, ci si accorge che non si è soli. Siamo tutti reciprocamente responsabili per il bene e per il male. La responsabilità non ha confini. Anche se si elevano dei muri. La responsabilità non ha confini né di tempo e né di spazio. Cito una affermazione di papa Francesco della Laudatio sii, che riprenderò per gli aspetti laici: “L’umanità, il calore umano, il senso di comunità, possono far sì che qualsiasi uomo smetta di essere un inferno, e diventi il contesto della vita vera”. Sono queste categorie concettuali che non sono al di fuori dell’uomo, ma devono starci dentro, non sono al di fuori dell’impresa, ma devono starci dentro. Abbiamo parlato di interdipendenza, nel senso che tutto si chiede. Emergono nuovi diritti, a livello sociale, economico, diritti di autodeterminazione, di autorealizzazione. Ma la esigibilità di questi nuovi diritti presuppone nuovi 4 doveri, verso l’ambiente e verso le generazioni future. La storia ci insegna che ogniqualvolta gli esclusi hanno ottenuto dei diritti, la libertà di tutti ne è uscita potenziata. 8) Lo sviluppo indefinito, senza limiti, è un pericolo. Si bruciano delle risorse non riproducibili, si generano squilibri. Allora, proprio nel tempo dell’onnipotenza tecnologica, l’uomo scopre di essere limitato. Proprio perché limitato, l’uomo è aperto, bisognoso degli altri uomini. Non si è autosufficienti. Non è una contraddizione in termini. La non autosufficienza è garanzia di libertà. Libertà di entrare in una cooperazione costruttiva con gli altri uomini. Libertà di essere custodi intelligenti della natura. 9) Mai come in questo momento si avverte un grande bisogno di Etica: nelle relazioni politiche, sociali, economiche. Tratteremo ampiamente. Il bisogno di etica nel senso che ci si interroga in ordine alla vita buona, ci si interroga in ordine alla giustizia, al come non fare male agli altri, al come vivere in modo cooperativo e rispettoso. 10) Le domande in ordine alla vita buona, in ordine alla giustizia, non sono domande di poco conto. A queste domande si può rispondere in tanti modi. Il nostro tempo si caratterizza per una sorta di pluralismo etico. Più valori, più principi, più codici di comportamento, e ciascuno con una propria pretesa di validità. Siamo in presenza, cioè, di differenziare articolate posizioni etico morali. Queste posizioni etiche e morali non sempre sono compatibili tra di loro. Possono entrare in conflitto. Ci si può chiedere allora come evitare il conflitto tra le differenziate e diversificate posizioni morali? Si può rispondere, ad esempio, prendiamo atto che ci sono delle differenze, anche profonde, viviamole nella tolleranza. Possiamo anche rispondere così: mettiamoci d’accordo su un comune denominatore, su alcuni valori che portiamo avanti. Oppure, più difficile e impegnativo, procedere lungo la strada di una ricerca ulteriore di verità nel dialogo e nel rispetto reciproco. Ricerca cioè di valori fondamentali, costitutivi della nostra comune umanità. 11) L’agire scientifico, sociale, economico, che è un agire dell’uomo per l’uomo, chiede umanizzazione e trascendimento etico. In particolare l’economia chiede umanizzazione e trascendimento etico. Laddove all’etica non si attribuisca tanto il senso di ricettario, ma all’etica il significato di recupero di senso, in ordine al produrre, al consumare, al risparmiare, al fare impresa, al fare mercato. Tutto nella prospettiva del bene comune. Etica che diventa dimora, come anche l’etimologia lo dice: ēthikós costume, dimora. 12)Educare, formare, al bene comune è educare, formare allo sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo. Nel senso che lo sviluppo integrale, nel senso di un umanesimo integrale. Un grande pensatore francese, che io amo molto citare, Edgar Morin ha affermato questo: L’occidente valuta gli uomini basandosi soltanto sulla 5 razionalità tecnica, sull’efficienza, sulla competenza professionale. La storia dimostra invece che le società complesse hanno bisogno, anche, di altri criteri tenere conto delle relazioni tra le persone, dei sentimenti, anche delle emozioni. Le emozioni, in economia, non sono secondarie. In altre parole: bellezza, creatività, senso di giustizia, legalità, gusto per l’eccellenza, riconoscimento del merito, solidarietà, sono tutti ingredienti indispensabili per una crescita umana, per una fioritura umana, tanto a livello micro che macro. 13) Il bisogno di etica non nasce dalla paura, ma dalla fiducia. L’uomo può essere amico dell’uomo, l’uomo può essere custode dell’altro. La fiducia si costruisce a partire dalla scala locale, anche da quest’aula si costruisce fiducia. La fiducia si traduce in reti di cooperazione, di solidarietà, di partecipazione, di ricerca di soluzioni condivise: questo nell’impresa, nella scuola, nella città, nella prospettiva di un bene comune il più ampio possibile. 14) [Credo inizi qui] Sen parla di buona società in cui vivere. Nel mio libretto parlo di vita buona nell’economia e nella società. Alcune idee forza di questa buona società o di questa vita buona: - Idea forza della partecipazione, intesa come allargamento delle aree decisionali. - Idea forza della solidarietà, indispensabile per il governo della complessità e dell’interdipendenza. - Idea forza nell’uguaglianza sociale, che passa attraverso la valorizzazione, la promozione delle capacità di ciascuno di noi, e nel cui ambito il merito è visto come un servizio per gli altri. - Idea forza nella diversità delle esperienze come modo di reciproco arricchimento. - Idea forza della sussidiarietà, la centralità della società civile. L’idea forza nel rifiuto della sacralizzazione del mercato e dei suoi automatismi. Il mercato è uno strumento fondamentale e irrinunciabile ma non è un fine. - Idea forza del dialogo, della cooperazione internazionale, della pace. - Idea forza della costruzione, di stili di vita nell’ambito dei quali la ricerca del vero, del bello, del buono, del giusto nella cooperazione fra gli uomini, siano gli elementi che determinano le scelte di consumo di risparmio e di investimento. Chiarimento sul 14 paradigma. La buona società in cui vivere, ovvero la vita buona dell’economia per realizzarsi e poggiarsi deve poggiarsi su idee forza. Per una buona vita in cui vivere c’è bisogno di partecipazione, solidarietà, uguaglianza sociale, valorizzazione della persona, rifiuto della sacralizzazione del mercato, il mercato è indispensabile ma non è un fine. La necessità di stili di vita nei quali il bello, il vero, il giusto, il buono, sono alla base del campo economico, alla base dell’investimento, del risparmio. 6 Ormai ci si rende conto che il PIL non è un sistema adeguato di misura adeguata del benessere. L’Istat e il Censis parlano di benessere equo e solidale. 15) Qual è, quale può essere il luogo di origine della tensione etica e solidaristica da porre a fondamento dell’economia e dell’impresa? Certamente dal sapere, dalla conoscenza, da un nuovo statuto della ragione, anche da un dato sistema delle competenze. Pur tuttavia, l’intelligenza è una condizione necessaria ma non sufficiente. I grandi cambiamenti hanno anche bisogno del cuore, ovvero di un amore strutturale dell’uomo per gli altri uomini. Concludo queste 15 proposizioni con le citazioni non di un economista di un poeta, che è Holderlin, poeta romantico tedesco: “Hai dell’intelligenza, mostrala. Hai del cuore, mostralo. Ma non mostrarli mai insieme. La scommessa, invece, è di riuscire a mostrarli insieme. A questo punto, mi chiedo, e soprattutto vi chiedo quali sono le vostre reazioni di fronte alle cose che ho detto? Perché, nel mio rapporto pluriennale, mi sono sempre fatto guidare da questa affermazione del filosofo francese, icona del Maggio del 1968, il quale affermava: al rapporto con i giovani occorre capire cosa i giovani denunciano e cosa annunciano? Lo sforzo, per me, è capire cosa denunciate e cosa annunciate. A questo proposito, distribuisco un articolo sul corriere della sera del 12 febbraio, recentissimo, di Mauro Magatti professore di sociologia all’università cattolica. Il titolo dell’articolo è: l’identità politica dei giovani a metà tra: ricerca tra l’io e il noi. [fonte: Corriere della sera, 12 febbraio 2016] ! L’identità politica dei giovani a metà tra l’Io e il Noi 7 Ricerca tra i Millennials che nei sondaggi preferiscono Corbyn e Sanders è in atto un nuovo orientamento: sono sensibili all’etica e attenti alla collettività di Mauro Magatti Nella corsa alle presidenziali degli Stati Uniti, il candidato «socialista» Sanders sta inaspettatamente mettendo a rischio la nomination di Hillary Clinton. Con un accento molto forte sui temi della giustizia sociale e uno stile decisamente antitelevisivo — basato su un tratto bonario e quasi paterno, il contrario dell’«uomo che non deve chiedere mai» — Sanders sta riscuotendo un successo inaspettato. Nel suo ultimo confronto con Clinton è uscito a testa alta, riuscendo a comunicare il senso di essere una persona lontana dall’establishment (e da Wall Street) e proprio per questo degna di fiducia. La cosa più interessante però è il profilo demografico degli elettori di Sanders: nella piccola Iowa, l’84 % degli elettori democratici con meno di 30 anni ha votato Sanders, mentre tra gli ultra sessantenni la percentuale scende a meno del 30 %. Qualcosa di molto simile sta accadendo anche in Inghilterra, dove Jeremy Corbyn, anch’egli apparentemente piuttosto démodé, da qualche mese ha preso la guida del partito laburista a partire da una piattaforma politico-economica che mette definitamente alle spalle la «terza via» di Tony Blair. Secondo i critici, Corbyn è un vecchio laburista, di quelli che hanno sempre fatto perdere le elezioni. E ci sono buone ragioni per pensare che ciò sia assai probabile. Eppure, la cosa curiosa è che Corbyn è appoggiato soprattutto dai giovani (secondo un ultimo sondaggio, nella fascia di età tra 18-24 anni il 61 % pensa chi stia facendo bene), mentre chi è più avanti negli anni rimane freddo (tra gli ultra sessantenni l’approvazione crolla al 16%) Naturalmente, queste indicazioni non devono essere sopravvalutate. Stiamo parlando di sondaggi e di candidati che sono ancora molto lontani da un vero test elettorale. E tuttavia, gli orientamenti giovanili, che spesso segnalano tendenze che poi si diffondono in tutta la società, non possono non sorprendere. Tanto più che stiamo parlando dei Paesi anglosassoni, che rimangono i battistrada del mondo occidentale. Il fatto è che sono ormai tante le ricerche che concordemente rilevano un significativo riorientamento in atto nel mondo giovanile. Probabilmente come risposta agli anni difficili che hanno segnato la loro giovinezza, i cosiddetti Millennials (nati tra il 1980 e il 2000) appaiono eticamente più sensibili, meno cinici e strumentali rispetto alle generazioni precedenti. Un po’ in tutti i Paesi occidentali (e anche in Italia), questa nuova generazione è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra le proprie aspirazioni personali e lo sviluppo della comunità, tra la crescita economica e il rispetto dell’ambiente, tra l’identità storica e culturale di un popolo e la necessità di aprirsi al mondo, compresa anche l’ospitalità per i rifugiati. Nella convinzione, più in generale, che l’etica costituisca una dimensione irrinunciabile per raggiungere una prosperità che è vista come individuale e insieme collettiva. I prossimi anni ci diranno se queste nuove tendenze culturali riusciranno a rafforzarsi, aprendo la via per una agenda politica ed economica. Ipotesi tutta da dimostrare, tanto più che il profilo demografico delle nostre società è oggi sbilanciato sulle classi di età più avanzate, come sempre conservatrici rispetto alla loro esperienza, tutta centrata sull’individualismo di matrice neoliberista. Rimane il fatto che, come accaduto già altre volte nella storia, lunghezza e profondità della crisi hanno già rimodellato gli orientamenti culturali dei giovani. Nella oscillazione tipica della vita sociale tra il polo privato dell’Io e il polo pubblico del Noi, le nuove generazioni si pongono alla ricerca di un equilibrio nuovo, capace di trovare un punto di mediazione più avanzato rispetto a quello che noi siamo stati capaci di fare. Dopo tanti anni di slegamento, i giovani — non a caso 8 cresciuti con il web e i social network anziché con la Tv — sono i primi a rendersi conto che c’è bisogno di nuove legature. Dove espressione di sé e condivisione non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Quale nuova offerta politica, quale nuova forma di organizzazione economica, saranno in grado di rispondere a questa nuova domanda culturale rimane ancora da capire. Tanto più che la questione, come si vede bene nel panorama politico contemporaneo, interpella tanto la destra quanto la sinistra. Può essere che, al di là dei loro destini elettorali, Sanders e Corbyn stiano davvero aprendo una nuova stagione politica. Ma può darsi che si tratti solo di primi esploratori. E che tocchi ad altri trovare quelle nuove soluzioni che tutti, a partire dai giovani, stiamo cercando. Diciamo qualcosa sul senso e l’organizzazione dell’insegnamento. Le lezioni, che essendo sei crediti sono 48 lezioni per dodici settimane. In queste dodici settimane, cercheremo di declinare e approfondire i termini che costituiscono la denominazione del corso. Parleremo prima di etica, parleremo di etica economica, come specificità dell’etica sociale e giuridica, parleremo di etica di impresa e della concretizzazione dell’etica di impresa nella responsabilità sociale. Etica, etica economica, e impresa e responsabilità sociale. Più specificatamente, in tutte le lezioni, ovvero con riferimento a queste questioni, cercheremo di collegare aspetti macro, contesto economico, sociale e politico, e aspetti micro. Cercheremo di collegare i fondamenti filosofici del ragionamento e le dimensioni operative e 9 strumentali. I valori non sono qualcosa che restano per aria. Cercheremo appunto di collegare i valori con le competenze. Il saper fare e il saper essere. Sapremo collegare il bene della società e dell’impresa. Cercheremo di rendere esplicito che è pacifico, e rendere esplicito ciò che pacifico non è. L’importante è argomentare bene. Il corso parte da alcuni punti fermi: - L’etica è intrinseca, è correlata alla razionalità economica. - L’impresa produce beni e servizi per il mercato, ma anche relazioni di convivenza al suo interno ed all’esterno. - La responsabilità sociale è chiave interpretativa e normativa dell’essere e fare impresa. Per responsabilità sociale intendiamo rispondere di qualcosa a qualcuno, sulla base di determinati presupposti valoriali in maniera strutturata e organizzata. Il confronto deve avvenire su qualcosa: del passato o anche del futuro? A chi deve rispondere? Nel passato agli azionisti, oggi stakeholder. Sulla base di quali presupposti? Semplicemente l’efficienza o qualcosa d’altro? Importante sarà il bilancio sociale, integrato, le certificazioni e tante cose. Il corso poggia su lezioni frontali, come si usa dire, tenute dal sottoscritto. Io faccio lezione guardando gli interlocutori e non usando slide. Le preparo con particolare attenzione in modo che sia facile prendere appunti. Avremo anche due o tre testimonianze esterne, non sono tante. La prima testimonianza esterna sarà di un magistrato, il dottor Adriano Patti, che è consigliere di cassazione, che parlerà di “Legalità come servizio al bene comune”. Questa l’avremo il lunedì della settimana di pasqua. Poi ci saranno lavori personali e di gruppo. Nell’ambito di questi lavori, come l’anno scorso, faremo anche alcune indagini al nostro interno. Patiremo subito, a breve, con due indagini: una indagine sui valori, chiederò che tre di voi si facciano diligente, insieme a me parte per organizzare e commentare le risultanze di questa indagine, e poi una seconda indagine sulla fiducia. C’è una indagine sulla fiducia degli italiani nei confronti delle diverse istituzioni e vediamo cosa viene fuori. È una cosa significativa. Il discorso è interessantissimo. Vediamo se ci sono continuità, o diversità. Di nuovo tre di voi. È un lavoro che poi vale per l’esame E poi farei la proiezione di un film; l’anno scorso abbiamo visto il caso Enron. Un classico americano, forse un po’ datato. Una proposta potrebbe essere, a cui chiedo il vostro aiuto, a me era piaciuto nel passato il film il Gioiellino che presenta il caso Parmalat. Di recente c’è stata anche la Grande Scommessa, sulla speculazione finanziaria. Materiali e sussidi: ci sono le dispense che si trovano su aula web. Forse aggiungerò già qualcosa ma ci sono già. Il libro: “La vita buona nell’economia e nella società”. Si trova alla CLU, l’ho indicato ma ho rinunciato ai diritti d’autore. 10 L’uso dei sussidi è in funzione di una distinzione fondamentale tra studenti frequentanti e non frequentanti - Studenti frequentanti: la preparazione dell’esame avviene principalmente sugli appunti delle lezioni e le dispense possono servire come integrazione, come aggiunta. Lo studente frequentante ha gli appunti che si organizza sulla base di un Tesario. Tutti gli anni predispongo un tesario, 50-60 argomenti tratti dalle mie lezioni, e per ciascun argomento ci sono anche le dispense, in modo che non c’è nessuna sorpresa. La valutazione avviene sulla base del tesario. Lo studente non ha sorprese: in modo che l’imprese può usare le idee sulla base degli argomenti che esprimono la sequenza di quanto è stato fatto in aula. - Studenti non frequentanti: dispense e libro sulla base di un programma di studio che viene messo su aulaweb. Siccome le dispense sono un materiale molto ampio, può servire come documentazione a prescindere dall’esame. Specificherò per lo studente frequentante cosa deve preparare. Esame e valutazione. Negli anni precedenti, sempre, per i non frequentanti l’esame era soltanto orale, sulla base dei sussidi e continuerà ad essere orale. Studenti frequentanti: l’anno scorso, per i frequentanti c’era la possibilità: se vogliono fanno l’esame orale sulla base del tesario. Oppure, ed è stata la maggioranza, fanno l’esame era critto: avevate cinque domande, un’ora e mezzo di tempo, e scrivono sia nel caso dell’orale e dello scritto, tenendo conto dei lavori e impegni che lo studente ha svolto. Ha organizzato le indagini, ha organizzato indagini, scheda, ha partecipato ad un dibattito. La valutazione finale tiene conto del risultato dello scritto o dell’orale, tenuto conto dell’aggiunta dei lavori. Quest’anno sono arrivato a questa conclusione: non faccio più lo scritto per i frequentanti. Innanzitutto siete meno rispetto agli anni precedenti, ho guardato l’elenco degli iscritti al corso, siete 76, non è un numero stratosferico. La prevalenza è management, e gli studenti che hanno scelto l’insegnamento a scelta. Seconda osservazione. Non c’è più la registrazione scritta del voto sul libretto, che era per me l’occasione che mi consentiva di vedere in faccia lo studente che aveva fatto lo scritto, di commentarlo. Di dirgli come ha fatto i suoi lavori, e così via. Ora è assurdo. Lavoriamo insieme per 12 settimane, ci conosciamo, fate lo scritto. Io metto su aulaweb i voti. Se entro 10 giorni non mi dite che rifiutate il voto io vado a registrarlo. L’anno scorso dicevo vediamoci ugualmente, solo alcuni sono venuti. Per cui, io sarei propenso a procedere in questo modo. Sono sicuro al 99%, avete l’1% per farmi cambiare idea. VALUTAZIONE FINALE DEL FREQUENTANTE deve tener conto: - Risposte date in sede d’esame sulle domande prese dal tesario. - Lavoro svolto durante l’anno. Ricerca individuale, di gruppo, proposta specifica - Il mix del voto 50-50 oppure 100 di interrogazione orale e zero lavoro, quando il lavoro non c’è. Quando il lavoro c’è vediamo di aggiornare il voto: 50 per il lavoro e 50 per l’interrogazione specifica 11 - Se lo studente sceglie solo il tesario le domande che farò sono di più rispetto a quelle che faccio a chi presenta i lavori. La proposta che vi faccio è la seguente. Predisporre, ognuno, un quaderno in cui al termine di ogni settimana di lezione, scrivete le 5 idee più una che vi hanno colpito delle cose che abbiamo ascoltato. 5 idee tratte dalle lezioni della settimana, più una idea totalmente vostra, tratta da un fatto, da un articolo che avete trovato sul giornale, qualcosa che avete trovato sul web, una riflessione personale, una intervista. Quaderno fatto di 12 capitoli, due o tre pagine, più il capitolo finale di valutazione complessiva del corso. Orario lezioni (eliminando l’intervallo tra le due ore): - Lunedì 12.30 14.00 PORTOVECCHIO - Martedì 10.30 12.00 GALATA LEZIONE 2 1/3/2016 Un riepilogo telegrafico su due aspetti della lezione di ieri. Abbiamo visto le 15 proposizioni ci serviranno su tutto il corso. La complessità della ragione, la scienza, forza direttamente e immediatamente produttiva, nel mentre assistiamo al gioco perverso di una finanza speculativa che ha effetti dirompenti sulla vita di tutti noi. La mancanza dei punti di riferimento, la moltiplicazione degli stili di vita, il progresso che è svincolato dal bene comune, smarrimento e rassegnazione, la necessità per l’uomo di ricostruire se stesso, e quindi occorre un ambiente dove ci sono segni di speranza che caratterizzano il tempo in cui viviamo. Emergenza di nuovi diritti, ma a fianco di questi nuovi doveri, uno sviluppo indefinito che rappresenta un pericolo. Non si è autosufficienti, conseguentemente un bisogno di etica definita come buona e vita giusta. La necessità di umanizzazione e di trascendimento etico, quindi l’educazione al bene comune. Il bisogno dell’etica che nasce non dalla paura ma dalla fiducia, e da qui le idee forza, fondamento della vita buona nell’economia e nella società, o nella buona società in cui vivere. Emergenza di nuovi stili di vita. L’ultima proposizione era circa la dimensione etica come fondamento della vita economica e sociale. L’uomo che sta nella ragione ma anche nel cuore. Dimensione organizzativa. Il corso Etica, etica economica, responsabilità sociale delle imprese, con l’avvertenza di collegare sempre nei diversi argomenti che tratteremo gli aspetti macro e micro, gli aspetti valoriali e gli aspetti pratici. Nella parte strettamente organizzativa abbiamo la distinzione netta tra studenti non frequentanti, dove ci sarà l’indicazione specifica sulle dispense e capitoli del libro da portare. Mi è stato chiesto di specificare cosa gli studenti non frequentanti devono studiare. Per i frequentanti, l’ipotesi di esame che avviene mettendo insieme, in sinergia, il quaderno, che è sintesi delle idee e del lavoro svolto, dove possono esserci tanti allegati, ho fatto una ricerca, una indagine, e il tesario. 12 L’esame è un colloquio integrato tra il quaderno e il tesario. Si viene anche interrogati sul quaderno: lei ha messo questa idea me la commenti. Poi andiamo sul tesario, domanda numero uno: I GRANDI CAMBIAMENTI CHE CARATTERIZZANO IL NOSTRO TEMPO, argomento di cui parliamo oggi. È una esperienza diversa, il processo di apprendimento è diverso, la valutazione deve essere congegnata in maniera un po’ diversa rispetto a come siamo soliti fare. Ieri avevo detto se qualcuno di voi è in grado di riflettere su quale film ci conviene proiettare e discutere. Ho fatto la proposta per “Il Gioiellino”, chi l’ha visto può fare un po’ da presentatore e conduttore per chi non l’ha visto. A me è piaciuto molto, l’ho proiettato due anni fa. Sono stato colpito da questo fatto. Arrivati alla fine, studenti silenziosi, erano stati talmente coinvolti anche nel dramma del responsabile del marketing che non riesce a fare la denuncia e si uccide. L’altra alternativa è “La grande scommessa”. La prosecuzione del ragionamento condotto ieri è questa. Dobbiamo essere in sintonia attenta e critica con i tempi che stiamo vivendo. Tempi che sono caratterizzati, lo ripetiamo e lo ridiremo, da grandi cambiamenti, cambiamenti che sono complessi e contradditori. Da questi cambiamenti si associano anche grandi preoccupazioni e grandi rischi. I problemi che abbiamo di fronte non hanno una e una sola soluzione, anche se il pensiero unico dominante ci dice che la soluzione è una sola, quella che fa comodo a chi detiene il potere. I problemi hanno molte soluzioni, si possono quindi ipotizzare più modelli di società, più modelli di economia, più modelli di impresa. Di fronte a tutto questo non possiamo essere semplici spettatori. Occorre dotarci degli strumenti per leggere le situazioni, ma dobbiamo anche valutare criticamente, e poi ciascuno di noi si assumerà le sue responsabilità in termini di azioni e di comportamenti. Grandi cambiamenti, dunque. Anticipo qualcosa. Faccio riferimento a 5 grandi cambiamenti. Se ne possono poi aggiungere altri. Grandi cambiamenti a livello sociale e culturale. Abbiamo detto e lo ripeto, emergono nuovi stili di vita, le relazioni sono molto più fluide, mobili, registriamo un accostamento di culture diverse, di valori diversi, di valori eterogenei. Non molto tempo fa l’omogeneità era la norma e la diversità era l’eccezione. Oggi le cose si stanno capovolgendo. Le diversità sono la regola e l’omogeneità sembra essere l’eccezione. Nell’ambito di questi cambiamenti registriamo il fatto che: 1) Primo grande cambiamento: la popolazione invecchia sempre di più. Tra le regioni italiane la nostra, la Liguria è la più vecchia. L’invecchiamento è dipende da due fattori, uno estremamente positivo, l’aumento della longevità, l’altro aspetto negativo il calo drastico delle nascite. Conseguentemente, in questa situazione i giovani, i millennials, sono troppo pochi rispetto a quello che sarebbe economicamente, culturalmente e socialmente necessario. Questo è il problema: i giovani sono troppo pochi, in particolare in Italia. Di quei pochi, in larga misura sono sprecati o sottoccupati, dove il tasso 13 di occupazione giovanile, non entro nel merito tecnico, anche se domani pomeriggio dovrò fare una conferenza su questi aspetti, è di molto inferiore a quello di Francia, Germania e Spagna. Se il tasso di occupazione giovanile nel nostro paese fosse simile a quello della Francia, occorrerebbe creare tre milioni di posti di lavoro. Lo stesso per le donne. Tasso di occupazione femminile inferiore alla media europea. Se ci portassimo al livello della media europea dovremmo creare due o tre milioni di posti di lavoro. Il tasso di partecipazione femminile è inferiore a quello della media europea. Questo da molto da pensare. 2) Secondo grande cambiamento, a livello economico produttivo. Nel passaggio dal fordismo al post fordismo, così si usa dire, ovvero nel passaggio dalla modernità alla post modernità, la conoscenza appare sempre di più come il motore delle trasformazioni. Da qui scatta subito un interrogativo. La conoscenza è un bene di tutti? È un bene pubblico globale o un bene privato che si acquisisce pagando un prezzo o pagando un dazio? 3) Terzo grande cambiamento. A livello tecnologico e organizzativo. Le ICT, Information Communication Tecnologies, la rete, i big data, non sono soltanto degli strumenti, costituiscono un ambiente culturale, che determina uno stile di pensiero, che crea nuovi territori, nuove forme di comunicazione. Potremmo dire genera una nuova ecologia della mente. Siamo in una situazione in cui lo strumento cambia chi lo usa, questo è il passaggio fondamentale. Allora, alcuni studiosi affermano che con lo sviluppo di queste nuove tecnologie, rischiamo di perdere la nostra naturalità. Quella artificiale sembra diventare più importante della naturale. Per cui, la battuta che riprenderò più avanti, i fiori finti sono più belli di quelli veri. Nell’ambito dei livelli tecnologici e organizzativi, i robot, i droni, i big data, le nuove tecnologie, sono una sorta di rivoluzione invisibile che cambia il mondo intorno a noi. Anche qui, alcune osservazioni fatte da studiosi. Saranno le macchine collegate ad internet a dire agli uomini cosa fare, questo in un Rapporto Industria 2026 che è stato presentato al forum di Davos poche settimane fa. Tutto questo si traduce anche in business giganteschi, si può fare un sacco di soldi con ste cose qui. Tutto ciò solleva grandi interrogativi politici, culturali, etici Big data. Che rapporto hanno con la nostra libertà e con la nostra privacy? In oggi, già, ci potrebbe essere un sensore applicato alla sedia su cui seggo, che misura quante volte mi alzo, cosa faccio o non faccio. Lo stesso, a ciascuno di voi può essere applicato un badge, che misura il vostro grado di attenzione, stanchezza e passaggio ad altri pensieri. Questo è l’ordine delle cose. Alcuni, arrivando quasi al limite, dicono ma i big data, miliardi di informazioni recepite attraverso i nostri cellulari, pc, attraverso le telecamere, delimitano la casualità, il caso. I droni. Possono essere utilizzati per distribuire i libri di Amazon, o la pizza, entro un’ora dall’ordinativo, ma i droni vengono usati anche per scopi un po’ più 14 violenti. Ma se ci pensate, i droni, la guerra, di venta asettica. Sembra quasi un video gioco. Al di là di queste considerazioni generali, che ci dobbiamo porre, a livello più operativo, le ICT richiedono qualificazioni diverse, nuovi metodi organizzativi, soprattutto più flessibilità. Queste nuove tecnologie informatiche modificano radicalmente il concetto di tempo e di spazio, in termini molto banali il PC fa oggi cose che fino a ieri erano esclusivo dominio della mente umana. Tutti dobbiamo, dovete imparare a fare cose che il pc non sa fare. Sarà impossibile, ma bisogna tentarci. 4) Quarto grande cambiamento è a livello di allargamento degli orizzonti di riferimento, la globalizzazione. Nella globalizzazione, richiameremo poi qualcosa, tutto si chiede, lo scenario competitivo mondiale nel giro di pochi anni è drasticamente cambiato I Brics, Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, le regole del gioco competitivo sono profondamente cambiate. Il nuovo baricentro dell’economia è sull’Asia, sarà sempre di più sull’Asia. La globalizzazione non è soltanto un fatto economico, ma anche culturale, sociale, politico. Un grande sociologo tedesco affermava: siamo entrati nell’era della globalizzazione prima di avere gli strumenti culturali politici ed etici per governarla. Nei prossimi anni, anche i più poveri del mondo prenderanno parola nello scenario globale. 5) Quinto grande cambiamento. Grandi cambiamenti anche a livello di crescita e diffusione delle conoscenze sul funzionamento della nostra mente, e più in generale del nostro corpo, più in generale della nostra mente e quindi sulle modalità di apprendimento. La psicologia genetica, le scienze cognitive, le neuroscienze, le tecno scienze, l’intelligenza artificiale, stanno facendo passi da gigante e pongono sul tappeto importanti interrogativi sulla linea di confine tra l’umano e il tecnologico, tra l’umano e il post umano. Diciamolo, lo percepiamo. Con lo sviluppo della biomedicina, si rende possibile modificare i nostri geni, il nostro DNA, è possibile aggiustare i difetti fisici, è possibile curare malattie. Gli embrioni umani possono essere modificati, ci sono ricerche in atto. Su questi termini vengono fatti grandi investimenti finanziari, che aspettano un ritorno. Chi li fa? Chi li controlla? Il post umano rischia di mettere in pericolo l’umano. Da tutto ciò può derivare una spinta per la neogenetica, da cui grossa questione del limite. In tutto questo c’è un limite? E su questo è uscito proprio di recente, il libro di un filosofo italiano, che ha fatto anche delle conferenze al Palazzo Ducale, edito dal Mulino, sul concetto di etica. Alcuni flash. - Il progresso infrange ogni limite. Solo la politica può governarlo. - Siamo sempre più potenti, ma resta difficile stabilire il confine tra bene e male. Per questo bisogna riscoprire l’arte del limite. - Gli esperimenti di modifica genetica degli embrioni umani possono servire per curare malattie, ma anche per avere limiti su misura. 15 Questi i grandi interrogativi dell’etica, oggi. Dietro a queste cose qui ci sono i business, ci sono le grandi multinazionali che non tutte sono eticamente responsabili. Ancora il grande discorso che sembra essere sdoganato dalla scienza, le droghe leggere: i dati che mettono in evidenza una crescita esponenziale dell’uso delle medicine che potenziano l’attenzione e la memoria. Uso esponenziale da parte dei chirurghi, da parte di tutti noi e da parte soprattutto degli operatori finanziari. Ma quali sono le conseguenze di tutto ciò? Le dipendenze. In termini più operativi e quotidiani, traiamo questa conseguenza, questa evidenza: si comunica, si lavora, ci si relaziona, si conosce, si impara in modo molto diverso rispetto al passato anche recente. In tutto questo la scuola e l’impresa costituiscono dei crocevia di fondamentale importanza. La scuola e l’impresa. Aggiungiamo che i cambiamenti non vanno soltanto subiti, vanno innanzitutto capiti, e se possibile governati democraticamente. Anche qui si giocano le nuove frontiere della democrazia. La democrazia non è solo mettere la scheda nell’urna: è molto di più Democrazia economica, democrazia scientifica. A questi grandi cambiamenti si associano grandi preoccupazioni in ordine al nostro futuro. E anche con riferimento alle preoccupazioni, ne indico alcune che traggo da un rapporto del Consiglio d’Europa: 1) Prima preoccupazione. Aumenta la povertà. Aumentano le diseguaglianze tra paesi e soprattutto dentro i paesi. Aumenta la precarietà nella vita professionale e nella vita sociale. Il progetto di costruire una propria vita individuale o familiare, o anche associativa, diventa sempre più problematico. La costruzione di un progetto di vita. Soprattutto la grande preoccupazione è costituita dalle diseguaglianze crescenti. In un mondo diseguale tutto è a rischio. In un rapporto Ocsfam uscito a gennaio, che trovate sul sito, si dice che l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede il 50% della ricchezza complessiva. Ancora, il rapporto ci dice che i 62 uomini più ricchi del mondo, detengono la stessa ricchezza dei tre miliardi più poveri. Di questi 62, la larga maggioranza non è costituita da imprenditori, che producono beni servizi, che fanno investimento e che fanno occupazione, bensì la maggioranza è rappresentata da finanzieri, operatori telefonici, immobiliaristi, padroni dei big data, delle reti, e così via. Cioè stiamo registrando una dissociazione crescente tra ricchezza e lavoro. Nel passato la ricchezza si creava attraverso il lavoro. Oggi non è più così. C’è questa dissociazione crescente tra ricchezza e lavoro. A titolo di consolazione nostra, tra questi 62 ci sono due italiani che sono imprenditori. Più precisamente Ferrero, l’imprenditore della Nutella, una grossa realtà il gruppo Ferrero anche dal punto di vista di responsabilità sociale, e poi Del Vecchio. Cosa fa Del Vecchio? Ottica. È una azienda all’avanguardia nell’ambito dell’ottica. 16 2) Seconda preoccupazione. L’invecchiamento della popolazione. A fronte, lo ripeto, di masse crescenti di giovani senza certezze. È cioè saltato il patto generazionale. 3) Terza preoccupazione. La crisi dello stato sociale. I livelli della protezione sociale, pensiamo in modo particolare alla sanità e dei diritti ad una vita degna per tutti, si riducono sempre di più. In modo particolare ciò lo si registra a livello di sanità. 4) Quarta preoccupazione. Il fenomeno dell’immigrazione. Un fenomeno destinato a durare nel tempo. Con la correlativa mancanza di una politica dell’accoglienza, specie per quanto riguarda l’Europa e con la sottolineatura che queste centinaia di migliaia di persone, scappano non perché vogliono una vita migliore, ma semplicemente perché vogliono vivere. 5) Quinta preoccupazione. I cambiamenti climatici. Gli eventi climatici che richiedono nuovi criteri nelle scelte economiche, con particolare riferimento alle problematiche energetiche. 6) Sesta preoccupazione. La sfiducia crescente delle istituzioni democratiche, che appaiono incapaci di far fronte ai problemi sul tappeto. Da qui ne discendono populismo, estremismo, violenza. 7) Settima preoccupazione. L’emergenza e il consolidamento di una guerra civile globale. Ucraina, Siria, Iraq, Libia, Nigeria e qualcosina ancora qua e là. 8) Ottava preoccupazione. La crescita. Ancora oggi i giornali evidenziano il fatto che siamo in deflazione. I prezzi sono diminuiti dello 0,3%. Deflazione significa rallentamento di tutto. Crescita, necessità assoluta. Draghi fa tutto il possibile, ma ci si rende conto che il QE da solo non basta. Occorrerebbero investimenti pubblici e privati. La crescita, quando ci sarà, secondo numerosi studiosi e analisti, sarà job less, senza lavoro, con poca o nulla occupazione addizionale. Anzi, lo abbiamo anticipato, le ICT, la rete, sembrano destinati a distruggere posti di lavoro. Con questa avvertenza. Anche molti impieghi creativi sono ammessi a rischio dall’ Hi teck. Studi professionali e giuridici. I giovani facevano le ricerche per fare le sentenze, approfondire i casi. Non ce ne è più bisogno. Col software in pochi minuti hai tutto questo. Non era un lavoro banale, richiedeva una certa genialità. Una ricerca, che è stata presentata al Forum di Davos nel gennaio 2016 in Svizzera, dove ogni anno si riuniscono i potenti del mondo. I grandi imprenditori, politici, banchieri, gli economisti più importanti per discutere della situazione e prospettive. Vi inviterei ad andare sul sito. Ci sono anche degli studi estremamente utili ed estremamente interessanti. Dovete digitare World Economic forum Svizzera, si apre un sito estremamente interessante. La ricerca presentata al forum prevede che entro il 2020 spariranno, negli 11 paesi più industrializzati 5 milioni di posti di lavoro per effetto dei cambiamenti prodotti dalla cosiddetta 4 rivoluzione industriale. Nel mentre i posti creati da queste nuove 17 tecnologie saranno meno della metà. 5 milioni distrutti, due milioni e mezzo prodotti da queste nuove tecnologie. Che fare? Tutti sono alla ricerca di qualche impostazione. Leggo quello che è apparso sull’Economist. Proprio di recente scrive: ” Come contrastare la disoccupazione? Bisogna ripensare i sistemi educativi e formativi, per potenziare il pensiero critico e creativo, quello che i computer non possono rimpiazzare, dislocando gli sforzi sull’intero ciclo didattico, a partire dall’asilo, per migliorare le abilità cognitive e sociali fin dai primi anni di vita. Conoscenze rigorose e inaspettate, le definisce Giuseppe Lanzavecchia, fisico e sociologo della scienza, concepite per rispondere non alle richieste del mercato ma per crearle, offrendo soluzioni nuove per una vita più sicura ed interessante. Il lavoro di domani non potrà quello di creare conoscenze, che sarà usata da macchine, ma insegnare alle macchine come usare la conoscenza” … Sempre a Davos, è stata poi fatta da imprenditori mondiali una indagine, chiedendo a questi imprenditori mondiali quali sono i dieci rischi più probabili da qui ai due o tre anni prossimi? Per noi… - Schengen. - Lavoro. - Povertà e diseguaglianze. - Inquinamento. - Tecnologie. - No crescita. - Geo politica. - Guerre. Poi c’è il discorso delle nuove patologie. Indagini mettono in evidenza la crescita della malattia dell’Alzheimer. I dieci rischi che loro hanno individuato: 1) Immigrazioni. Possiamo collegarle al discorso di Schengen. 2) Problemi del tempo atmosferico. 3) Fallimento delle misure di controllo del clima. 4) Conflitti tra stati. 5) Catastrofi naturali. 6) Fallimento della capacità di governo sui diversi problemi a livelli di singoli stati. 7) Problemi di disoccupazione e sotto occupazione. 8) Problema dell’acqua. 9) Furto e frodi a livello di dati. Crimini a livello di dati, di computer. 10) Commercio illegale, contraffazioni che vengono percepite come grossi problemi. Altri argomenti interessanti li trovate sul sito. 18 Grandi cambiamenti, grandi preoccupazioni, rischi. Uno deve chiedersi: che prospettive per il futuro dell’umanità? L’assemblea generale delle Nazioni Unite, nel settembre 2015 ha approvato una risoluzione da questo titolo: Trasformare il nostro mondo, programma di sviluppo sostenibile all’orizzonte 2030. Questo documento, noto come “Agenda 2030”, lo trovate su internet, in inglese o in francese, è fatto bene, ha una 50ina di pagine, è un messaggio rivolto alle imprese, alle scuole e alla società in genere. Dobbiamo sentirci tutti accomunati da questo nostro intento: trasformare il nostro mondo in termini di sviluppo sostenibile, con orizzonte 2030. L’agenda individua 17 grandi obiettivi, che poi vengono articolati e specificati in un centinaio di misure pratiche. 17 grandi obiettivi che elenchiamo. Grandi obiettivi coi quali tutti devono misurarsi: governi, imprese, associazioni, i movimenti, il volontariato, le banche. 1) Sradicare la povertà. Mai più con meno di $1,25 al giorno. 2) Sicurezza alimentare. Oggi 800 milioni di persone soffrono la fame. Nel mentre, altrettanti sono obesi. 3) Una vita sana. In particolare ridurre la mortalità materna ed infantile. 4) Educazione di qualità. Una scuola per tutti i bambini. 5) Parità di genere. Stop a discriminazione e violenza. 6) Accesso all’acqua. Diritto a risorse idriche pulite. Solo una minoranza ha risorse idriche pulite. 7) Energia sostenibile. In particolare più elettricità rinnovabile. 8) Piena occupazione. Crescita e dignità del lavoratore. 9) Un’industrializzazione sostenibile e inclusiva. 10)Parità tra le nazioni. Lotta alle diseguaglianze. 11) Città più sicure. 12)Consumo sostenibile. Basta con gli sprechi alimentari. 13)Cambiamenti climatici. 14)Conservazione dei mari. 15)Protezione del suolo: foreste e biodiversità. 16)Una società pacifica: la giustizia è l’antidoto contro la violenza. 17)Lo sforzo deve essere comune. Occorre una alleanza mondiale per lo sviluppo. Tutti devono fare le loro parti, ivi comprese le grandi imprese, le grandi multinazionali. In questa prospettiva ci possiamo rendere conto che gli insegnamenti di Etica non sono materie come le altre, ma diventano esperienze di vita intellettuale, professionale e operativa. Alcune ricerche condotte nelle università americane, dove già negli anni ’70 vi erano gli insegnamenti di Business Ethics, noi siamo stati i primi in Italia, a metà degli anni ’90, ad introdurre etica, quando ero preside, evidenziano che l’introduzione dell’insegnamento di Etica economica dell’impresa ha, nei piani di studio, un effetto 19 positivo sull’agire individuale e fornisce un importante contributo nel mutare l’atteggiamento e la sensibilità degli studenti che frequentano le lezioni. A questo punto il discorso può essere allargato. Di fronte alle cose che si studiano, che si ricercano, che si insegnano, in una scuola di economia come la nostra di scienze sociali più in generale, dovremmo essere mossi da un triplice ordine di preoccupazioni cui deve corrispondere un triplice ordine di atteggiamenti posti a fondamento di 5 intelligenze 3+3+5. Triplice ordine di preoccupazioni rispetto alle cose che si studiano in questa scuola. Anzitutto dobbiamo avere una preoccupazione problematica. In che senso? Nel senso che: 1) Prima preoccupazione. Sono i problemi che spingono la conoscenza. Non è quello che c’è scritto nel libro e nelle dispense 2) Seconda preoccupazione. Preoccupazione teorica. Le cose non vanno semplicemente descritte. Anche se è importante. Occorre trovare relazioni significative e durature tra le variabili che sono in gioco. 3) Terza preoccupazione. Una preoccupazione critica. Le teorie vanno sempre verificate. Vanno sempre confrontate con la realtà. E per questo, lo ripeto in continuazione, la realtà è il vostro libro di testo. La realtà può essere poi approcciata in tanti modi. Ivi compresi in termini molto banali la lettura dei giornali. Per quanto ci riguarda il sole 24 ore bisognerebbe guardarlo. Farsi anche un archivio. Magari iscriversi, perché gratuita, alla Newsletter de “La Voce”. Ci sono articoli sui principali problemi di tutti i giorni. C’è anche la Newsletter Economia e Politica, e altre ancora. Come per dire il 24. È uscito, con riferimento alle cose che ci siamo detti, ha pubblicato come inserti 15 volumi: “Lezioni di futuro. Arrivano i robot, big data, materiali intelligenti, vita sintetica, internet delle cose, fisica delle particelle, i segreti del cervello, e l’ultimo uscirà giovedì è l’Era delle Startup”. Le start up potrebbero riguardare anche qualcuno di voi, usando le potenzialità della rete, dell’informatica. Nei limiti del possibile rintracciate questi volumetti. Intelligenza artificiale, robot, articoli che mettono in evidenza i problemi che ci sono dietro. Problemi etici, la pluralità delle voci. Col 24 ore si può anche trovare il modo di fare venire qui queste persone, merita. Queste tre preoccupazioni presuppongono tre atteggiamenti, o addirittura tre anime: 1) Occorre un atteggiamento o un’anima filosofica. Significa l’attenzione ai valori, come giustizia, partecipazione, non sono estranei all’impresa e all’economia. 2) Occorre un atteggiamento o un’anima analitica. Occorre saper entrare dentro i problemi. 3) Occorre quindi un’anima pratica, saper dove mettere le mani per risolvere i problemi stessi. 20 Questi tre atteggiamenti trasferiamoli al mondo delle imprese e in particolare alla responsabilità e ai compiti del manager. Allora, un docente di psicologia di Harward, Gardner, ci dice che il manager, o chi aspira a diventare manager, deve caratterizzarsi per il possesso di 5 intelligenze, potremmo anche chiamarle 5 virtù, 5 sensibilità. 1) Intelligenza disciplinata. È una intelligenza che si acquisisce, che si sviluppa, applicandosi con costanza allo studio. Con l’informazione continua, il manager acquisisce le necessarie conoscenze specialistiche per muoversi nei campi diversi della società e dell’impresa. 2) Intelligenza sintetizzatrice. Siamo bombardati da miliardi di informazioni, di possibili conoscenze. Occorre essere in grado di trattare, passare in rassegna, di gestire questa pluralità di fonti di informazioni, sapendo distinguere cosa è importante da cosa importante non lo è. Essere capaci di costruire una scala di priorità. 3) Intelligenza creativa. Saper ricercare, generare nuove idee, nuovi modi di fare. Capacità di innovare e anche di assumersi i rischi connessi all’innovazione. Efficienza creativa è saper gestire anche le innovazioni, ambivalenze, le ambiguità. 4) Intelligenza rispettosa. Consiste nella capacità di comprendere gli altri di mettersi nei panni degli altri, e instaurare relazioni di fiducia. L’intelligenza rispettosa è anche intelligenza relazionare, che sta nella capacità di comunicare, nella capacità di comunicare, nella capacità di ascoltare, nella capacità di lavorare in gruppo. 5) Intelligenza etica. L’intelligenza della responsabilità, della responsabilità verso sé stessi, verso gli altri, verso l’ambiente. Allora chi ha una mentalità etica si domanda: che tipo di persona imprenditore, manager, docente, studente, docente, cittadino, voglio essere? E continua. Se tutti coloro che svolgono il mio lavoro si comportassero come me, in che mondo vivrei? Migliore o peggiore? In questa prospettiva si può comprendere la mission che una grande scuola di business spagnola, che come Business School la Spagna è abbastanza all’avanguardia, si è data questa missione: Attraverso l’educazione dei manager di domani possiamo diffondere nella società il rispetto della dignità individuale, del pluralismo etico e dei diritti umani. Uno dei principali studiosi di business Ethics, che richiameremo anche più avanti, afferma: occorre portare l’etica nel pensiero economico, nelle strategie di impresa, nella cultura del management. L’etica deve diventare rilevante per le persone che conducono le aziende e che prendono le decisioni. A questo proposito, Lunedì salvo integrazioni, iniziamo la lezione e commentiamo il giuramento dell’aspirante manager che è, all’università di Harvard, viene fatto da chi frequenta il corso di Business amministration. Lo leggeremo. Lo ho fatto l’anno scorso 21 lo facciamo. L’anno scorso ho chiesto di pensare al giuramento del professore universitario, lo chiederò anche a voi, erano venute cose bellissime. LEZIONE 3 7/3/2016 Distribuiamo il testo del giuramento dell’aspirante manager, proposto agli studenti dell’Harvard University. Sono delle osservazioni interessanti. Adesso lo leggiamo, e poi il materiale può essere usato anche per una delle 5 idee della settimana. UN DECALOGO VOLONTARIO Come manager, il mio scopo è di servire il bene superiore. Convoglierò le capacità delle persone alle risorse disponibili, per creare un valore che nessun individuo, da solo, potrebbe creare. Cercherò quindi di percorrere una strada che aumenti il valore che la mia impresa può creare per la società nel lungo periodo. Sono cosciente del fatto che le mie decisioni possono avere conseguenze di enorme portata, che riguardano il benessere degli individui all’interno e all’esterno della mia impresa, oggi e in futuro. Quando cercherò di conciliare i diversi interessi, dovrò fare scelte difficili. Quindi prometto: Agirò con la massima integrità e farò il mio lavoro in modo etico; Salvaguarderò gli interessi degli azionisti, delle persone che lavorano con me, dei clienti e del contesto sociale in cui operiamo; Prenderò decisioni in piena buona fede e mi guarderò dalle decisioni dei comportamenti che lusinghino la mia personale, piccola ambizione, ma danneggino l’azienda e il contesto sociale in cui opera; comprenderò a fondo e sosterrò, nella forma e nella sostanza le leggi e i contratti alla base della mia personale condotta e di quella della mia azienda; Mi prenderò la responsabilità delle mie azioni e illustrerò i risultati ottenuti dall’azienda, e gli eventuali rischi a cui è sottoposta con accuratezza e onestà; Svilupperò le mie capacità e quelle dei manager che faranno capo a me, in modo che la professionalità continui a crescere e contribuisca al benessere della società in cui operiamo; Farò di tutto per creare, a livello mondiale, prosperità sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale; renderò conto ai miei pari e loro renderanno conto a me del rispetto di questo giuramento. Faccio questo giuramento liberamente e sul mio onore. Testo significativo, non del tutto generico, che evidenzia alcuni passaggi importanti che avremo modo di approfondire e di vedere nel corso delle lezioni. 22 Dicevo la volta scorsa, l’anno scorso prendendo punto da questo giuramento dell’aspirante manager avevo detto, fate il testo del giuramento che dovrebbe essere fatto dal professore di management. Se qualcuno vuole provare, ne parliamo e lo commentiamo. L’esperienza dell’anno scorso è stata estremamente interessante, i testi hanno lasciato da pensare. Aiutava il docente a capire anche le caratteristiche e il rapporto che deve avere con i suoi studenti. Nell’ambito di questo lavoro complessivo, così prendiamo fiato, che poi la lezione è impegnativa, facciamo una indagine che confrontiamo poi con le risultanze degli anni passati. L’indagine è su: VALORI E SVALORI DELLA VITA ECONOMICA E SOCIALE DEL NOSTRO PAESE Siete invitate ad elencare i disvalori prevalenti, al massimo 5; lo stesso i valori auspicati. Avete indicato una trentina di voci, sparse, con eccetera. Perché si possono anche elencare valori e disvalori. ONESTA’ MERITOCRAZIA, IMPEGNO, EGOISMO, SFIDUCIA, RISPETTO, LEGALITA’, COERENZA, PAURA, DISONESTA’, OTTIMISMO, SENZO CIVICO, GIUSTIZIA, FIDUCIA, COMPETENZA, LEGALITA’, SUSSIDIARETA’, ONESTA’ PAURA, SICUREZZA. Ne indicate 5 per ognuno. Poi tre di voi si candidano, prendono questa indagine elaborano i risultati e li presentano la prossima settimana. La prossima settimana ne prenderò altri tre per una nuova indagine. La prossima settimana presentate le risultanze ai vostri colleghi. Martedì della prossima settimana faremo l’indagine sulla fiducia o non fiducia delle diverse istituzione. Dovrà essere valutata per differenze, concordanze vostre rispetto alle singole situazioni. Fiducia nelle varie istituzioni: parlamento, governo. Sono istituzioni che come tali ci riguardano. Dovrete dire ho molta fiducia, poca fiducia, nessuna fiducia. Parliamo di etica, dalla prossima settimana di etica economica, poi di etica di impresa. Siamo ora nelle riflessioni generali in termini di etica, di etica sociale. Riprendo un attimo le considerazioni svolte la settimana scorsa in tema di contraddittorietà e complessità nel tempo che stiamo vivendo e nel contesto in cui ci troviamo. In che senso? Facciamo un po’ di classificazioni. 1. Non si fa altro che parlare di futuro. La sfida del futuro. Pur tuttavia, se ci pensiamo bene, le scelte, le logiche, i comportamenti, gli interessi sono tutti di breve e di brevissimo termine. 2. Tutti affermano la centralità, la criticità delle risorse umane. Purtuttavia, molte grandi imprese a scala globale continuano a riorganizzarsi, a ristrutturarsi, tagliando e contenendo il lavoro. Unicredit, ha annunciato, a livello europeo, tagli per diciotto mila unità di dipendenti. 3. Democrazia. La democrazia postula uguaglianza. È una contraddizione in termini. Democrazia postula uguaglianza ma i giochi finanziari e speculativi a scala globale accentuano le differenze, diseguaglianze di reddito, di ricchezza, di 23 chance di vita. I dati, lo vedremo più avanti, in chiara evidenza che le diseguaglianze stanno crescendo. 4. La potenza della scienza, della tecnologia amplifica a dismisura le risposte. Sembra ci sia una risposta per tutto. Ma le domande dove stanno? Dove sono? 5. Nel passato, le società per crescere, per svilupparsi, hanno avuto sempre bisogno di grandi politiche, di grandi idealità. Ma oggi, in cosa si crede? In oggi, si sogna ancora? L’uomo di oggi è ricchissimo di strumenti, ma povero di finalità e valori. Lo ripetiamo: l’uomo di oggi è ricchissimo di strumenti, ma povero di fini e valori, per le quali valga la pena di vivere pienamente. Questa inversione di mezzi e fini caratterizza le odierne forme di alienazioni per le quali l’uomo di priva della propria umanità. Si priva, cioè della possibilità di entrare in una relazione costruttiva, cooperativa con gli altri. Contraddizioni. Ecco alcune cose. - Complessità. Altre riflessioni che aggiungiamo. La velocità dei cambiamenti a livello scientifico, a livello tecnologico. Lo abbiamo detto la volta scorsa: la scienza è una forza direttamente e indirettamente produttiva, capace di trasformarsi in tecnologia, prodotti e organizzazione. La velocità dei cambiamenti sopravanza la nostra capacità di comprensione, di valutazione, di assimilazione. - Mancano punti di riferimento stabili. A livello globale, la stampa, le prese di posizione. Mancano punti di riferimento stabili e unitari, o che vengono riconosciuti come tali. Mancano valori, norme condivise, in grado di orientare verso il bene comune. Gli ordinamenti, le ideologie tradizionali, stanno entrando in crisi. Aumentano le distanze tra cittadini e istituzioni. Risulta enfatizzata la dimensione individuale, privatistica, di gruppo di ceto. - Gli stili di vita. Si moltiplicano, si contrappongono, si caratterizzano per la loro frammentazione. Sovente sono incomunicabili l’uno rispetto all’altro. Mancano scale di priorità. Ciò genera incertezza, imprevedibilità, precarietà, disagio. In questo vuoto etico, a scala globale, si inseriscono, emergono, novi poteri incontrollabili e incontrollati. A livello di grandi concentrazioni multinazionali, finanziarie, di controllo dell’informazione, di fondi sovrani. - Il progresso, il cambiamento, sembrano parole magiche. Cambiamento. In vista di cosa? In nome di quale progetto si deve cambiare? Per questo interrogativo non ci sono risposte convincenti. Ciò genera ulteriore preoccupazione, precarietà. In tutti i campi registriamo scoperte sconvolgenti. Nella biologia, nella medicina, nell’elettronica. Questo porta più produttività, efficienza, diversificazione, ma anche più rischi e pericoli per l’uomo a scala globale. È questa la situazione. Dicevo la volta scorsa l’uomo in mezzo al guado deve ricostruire sé stesso. Ha di fronte varie alternative: avere o essere? Quantità o qualità? Individuo o comunità? Utilità o solidarietà? Scambio mediato dal pagamento del prezzo oppure dono, 24 gratuità? Omologazione oppure differenziazione? Queste sono le questioni, che richiedono di essere affrontate. Ecco allora che di fronte a queste contraddizioni e complessità, a queste ambiguità, occorre porre l’etica all’ordine del giorno delle odierne relazioni sociali economiche e politiche. Occorre porre l’etica all’ordine del giorno dell’impresa, del lavoro, delle professioni. Un’etica che sappia integrare, o come si dice, un’etica olistica. Un’etica che sappia tenere conto delle molteplici interdipendenza: povertà, giustizia, sviluppo, democrazia. Tutto si chiede. Da dove partire, quindi, in questa opera di ricostruzione o di riprogettazione? La risposta è semplice e difficile al tempo stesso: occorre partire dalla persona. Dalla persona in sé, dalla persona nel rapporto con gli altri. Della persona nel rapporto con l’ambiente. Non una persona astratta, ma una persona che è collocata nel tempo e nello spazio di oggi. La morale tradizionale, quella dei decenni passati, era la morale della prossimità, del vicino, del simile. Era la moralità del singolo in rapporto all’altro che vedeva faccia a faccia qui e ora. Oggi le cose sono profondamente diverse, in quanto la potenza della scienza e della tecnica produce i suoi effetti in uno spazio sempre più ampio, che coincide con il mondo intero. Un incidente nucleare ha ripercussioni non nella sua prossimità, ma nel mondo intero. Lo stesso dicasi per il tempo. Ha conseguenze per le persone che non esistono ancora, ma ha conseguenze su persone che nasceranno nei prossimi anni e nei prossimi decenni. Questa morale riguarda lo spazio intero e si prolunga anche nel tempo. Nel passato non era così. Il discorso morale nel tempo era di prossimità, di tempi brevi. Non a caso la parola sostenibilità non era stata ancora inventata. Prima di andare avanti affrontiamo alcune questioni definitorie, metodologiche, facciamo alcune distinzioni in tema di etica, lo stretto necessario. L’agire dell’uomo, in rapporto a se stesso, agli altri, all’ambiente, i principi e le norme che lo guidano in termini di bene o di male, di giusto o di ingiusto, costituiscono l’oggetto della riflessione etica. L’etica si occupa di ste cose: l’agire dell’uomo in rapporto a sé stesso, agli altri, all’ambiente. In altre parole si dice anche che l’etica è la scienza dell’ethos, dove per ethos si intende il costume di un popolo, la sua tradizione, il suo modo di sentire, i suoi valori, i suoi criteri di comportamento, di condotta, l’ethos è ciò che tiene insieme. L’etica si occupa di questo. Nel linguaggio si parla di etica e di morale. Da un punto di vista etimologico i due termini sono coincidenti. Nei fatti si fa questa distinzione. L’etica riguarda l’oggettività del principio, del criterio, della norma, che disciplina l’azione. L’etica è indipendente dal singolo individuo, è la dimensione oggettiva l’etica. Morale riguarda, invece, il comportamento del soggetto in rapporto all’applicazione o meno di norme principi e valori. La morale fa riferimento alla coscienza individuale e quindi è la dimensione soggettiva. Fatta questa distinzione, abitualmente etica e morale vengono usati indifferentemente. Per la precisione, L’etica è un dato oggettivo la morale è un dato soggettivo. 25 Aggiungiamo ancora che la riflessione etico morale può limitarsi a descrivere, ad analizzare i comportamenti oppure può anche indicare come ci si deve comportare. Può anche indicare come fare il bene e come evitare il male. Ecco allora la prima distinzione generale. - Etica DESCRITTIVA ed etica NORMATIVA. 1) Etica descrittiva. Ci si propone di analizzare, di rilevare la realtà etica come dato di fatto. Descriviamo, cioè, ciò che presso determinati gruppi, strati sociali, gruppi e individui è morale o immorale. Analizziamo la realtà etica, in un determinato momento con riferimento ad un determinato gruppo e paese. 2) Etica NORMATIVA. Non esaminiamo come gli uomini si comportano. Ma cerchiamo di verificare come l’uomo deve comportarsi. Ci riferiamo non a ciò che è, etica descrittiva, ma a ciò che deve essere (etica normativa). 2b) Per completezza metodologica aggiungiamo l’espressione META ETICA. La meta etica studia le teorie etiche. Chiarisce il significato del giudizio etico. Chiarisce il significato del giudizio etico. Chiarisce il senso profondo: di cosa è buono, giusto, cosa è il dovere, cosa è l’obbligo e così via. A noi interessa in modo particolare l’etica normativa, come ci si deve comportare. Poi parliamo di impresa, come si come si deve comportare. Anche qui esistono diverse forme di etica NORMATIVA. Una prima forma di etica normativa viene chiamata: o Etica EMPIRISTICA. Cosa intendiamo in termini essenziali? Nell’ambito dell’etica empiristica, il comportamento etico della maggioranza, diventa norma, diventa valore. Cioè un determinato comportamento statisticamente verificato o verificabile che viene elevato a regola. Il docente che arriva sempre in ritardo a lezione: questo non è il modo di comportarsi! È etica empiristica. L’etica empiristica pone indubbiamente dei problemi. Supponiamo che la maggioranza della popolazione si comporti in maniera egoistica, individualista. Allora ci chiediamo l’egoismo è un principio etico o è una degenerazione? Può essere una degenerazione etica, ma non tutti la devono pensare così. o Altra forma di etica normativa prende il nome di ETICA DELLE NORME E DEI PRINCIPI. Si intende che ciò che si deve fare, discende da principi ritenuti assoluti, oggettivi. Ciò che si deve fare discende da principi incondizionati. Esistono, cioè, dei comandamenti e dei divieti non derogabili, o dogmatici. Si tratta di principi che prescindono dalla realtà, ovvero dalla situazione storica data. Fondamenti di questi principi: il diritto naturale, gli imperativi interiori che discendono dalla propria coscienza. Ciò che si deve fare discende da principi assoluti, incondizionati, inderogabili. 3) Terza forma. ETICA CASISTICA. Le norme di carattere generale vengono declinate con riferimento ai singoli casi e sovente i casi sono costruiti alla loro origine. La vincolatività della norma viene applicata alla fattispecie 26 definendo come ci si deve comportare, quale valore si deve privilegiare in quel particolare caso e in quella particolare situazione. Privilegiamo il lavoro o l’azionista? Privilegiamo l’ambiente o il mantenimento dei posti di lavoro? 4) Quarta forma. ETICA DELLA SITUAZIONE. Nell’etica casistica, le norme vengono applicate ai singoli casi, alle situazioni possibili della vita, e cioè un processo che muove dall’alto verso il basso. L’etica della situazione muove, invece, dal basso. Muove dal soggetto che vive una data realtà. Dove non è possibile analizzare la situazione, a tavolino, non è possibile analizzare la situazione indipendente dall’essere e dall’esperienza di chi ci si trova dentro. Io mi trovo in quella particolare situazione per cui se voglio mantenere in vita la mia mia azienda devo pagare la bustarella, e la pago, perché penso sia giusto così in quella situazione. Etica casistica: la bustarella non la devi pagare. Portata all’estremo, l’etica della situazione porterebbe ad una morale senza norme, in cui ci si chiede: basta la coscienza da sola? O la coscienza ha bisogno di qualche principio o di qualche punto di riferimento? Le ultime due sono particolarmente importanti, che fanno riferimento a Max Weber. Etica dell’intenzione e la sesta etica della responsabilità. 5) ETICA DELL’INTENZIONE, O CONVINZIONE Pone l’accento sulle motivazioni interiori del soggetto che agisce. Cosicché l’intenzione buona renderebbe buona l’azione. Capite che in questa affermazione c’è molta indeterminatezza e anche ambiguità. All’estremo porterebbe a dire questo: è lecito fare tutto quello che si può fare purché lo si faccia con convinzione. Sulla base di una intenzione buona. Facciamo l’esemplificazione estrema: astrattamente, l’intenzione del terrorista potrebbe essere buona, ma l’utilità è fonte di azione criminale. L’intenzione di un imprenditore, un manager, che corrompe, l’intenzione potrebbe essere buona. Detengo una commessa e faccio lavorare i dipendenti, ma la commessa è delle armi. A parte queste esemplificazioni banali, terra a terra, l’ambiguità vera è soprattutto questa: nell’era della tecnica, dell’economia globale, l’etica dell’intenzione, senza legarla alla responsabilità, è tutta qui. Facciamo l’esempio: è rilevante sapere che intenzione avere Fermi quando inventò la bomba atomica, o è più importante conoscere gli effetti della bomba atomica? Gli effetti sono molto più importanti delle invenzioni. Ecco perché in oggi si parla in modo particolare di etica della responsabilità. 6) ETICA DELLE RESPONSABILITA’ che pone l’accento sulle conseguenze, sugli effetti. Vedremo più avanti che nell’’etica della responsabilità la UE la applica all’impresa. La responsabilità dell’impresa la andiamo a valutare sulla base degli effetti e delle scelte che l’impresa fa. Non sulla base di affermazioni: crediamo nella natura, nella solidarietà. 27 Un commentatore di Max Weber dice: viste le modalità con le quali si espande l’economia, visto quello che sarà il futuro della nostra vita segnato dal dominio della tecnica, è necessaria un’etica che ci rende responsabili delle nostre azioni. Nella prossima lezione parliamo di cosa si intende per responsabilità. Tutto questo è chiaro, condivisibile. In modo particolare faremo riferimento all’etica della responsabilità. Tuttavia, non possiamo ignorare una piccola avvertenza, quasi un codicino, che Weber metteva tra parentesi, che oggi diventa cruciale. Siamo responsabili degli effetti delle nostre azioni finché questi effetti sono prevedibili. Abbiamo visto, nella scienza, nella tecnologia oggi produrre effetti imprevedibili. Questo complica enormemente le cose che pone sul tappeto la questione del limite. Non sempre gli eventi sono prevedibili. Nella misura in cui sono imprevedibili, potrebbero comportare rischi controllabili, qualche problema sorge. Fatte queste distinzioni, ridotte all’osso, non è un corso di filosofia, ma qualche cosa dobbiamo saperle, riprendiamo il ragionamento complessivo in termini di etica. Diciamo che l’etica si misura con due grandi gruppi di questioni, con due gruppi di domande. 1) La prima domanda è relativa alla Vita Buona. Come vivere bene? Come dare significato alla propria esistenza? Come essere degni? Come essere integri? Onesti? Vita buona. 2) La seconda domanda è relativa a questioni di giustizia. Come evitare di fare male agli altri? Cosa aspettarsi dagli altri? Come vivere in maniera cooperativa, rispettosa? Abbiamo due risposte, una delle quali è di Spinoza dice: homo homini Deus. A queste domande di vita buona e di giustizia, si può rispondere in vari modi, si può rispondere in punti di vista molteplici, ci sono diverse prospettive etiche, ci sono modi diversi di guardare le questioni sul tappetto. In particolare, oggi, la definizione del buono e del giusto deve confrontarsi con molte altre situazioni, con molte altre realtà, che possono essere complementari ma anche conflittuali. Alcuni esempi: che rapporto c’è tra il buono e il giusto e il tecnicamente ed economicamente valido? Cioè, le ragioni della tecnica, le ragioni dell’economia, sono un prirus logico? Le ragioni del bene comune devono stimolarci alla ricerca di soluzioni più soddisfacenti, più adeguate? Il rapporto tra il buono e giusto, e il giuridicamente lecito. La dimensione del diritto è una dimensione parziale, settoriale rispetto all’ottica globale dell’etica. È sufficiente che ci fermiamo alla dimensione giuridica, ho rispettato la regola sono a posto e posso sorridere, oppure dobbiamo andare avanti? Registriamo il fatto che talvolta è proprio l’etica che esplicita le carenze del diritto. D’altro canto Talvolta si chiede al diritto di proteggere e tutelare dei valori etici. Ancora, buono, giusto, nei limiti del consensualmente stabilito. L’etica può esaurirsi nel consenso? Ci mettiamo d’accordo su ciò che è buono e giusto, e andiamo avanti. 28 Consenso con le relative procedure. Oppure ci sono dei criteri di bontà e giustizia che vengono prima del consenso, o del contratto. Ancora, il buono, il giusto, e lo storicamente possibile? I conti con la storia li dobbiamo pur sempre fare. Occorre certamente distinguere tra valore morale e possibilità storica della sua realizzazione. Portato all’estremo: c’è il rischio che venga meno lo status quo. Negli Stati Uniti, ad esempio, sradichiamo lo status quo, o la vita deve essere messa prima di tutto? Tutto questo ci porta a dire, a confermare che alla questione del buono e del giusto possono essere date risposte diverse. Nei confronti dell’etica riscontriamo nei fatti posizioni ottiche e differenziate. Quali, ad esempio? 1) Prima posizione. Si parla di scetticismo etico, che è caratterizzato dal dubbio. Il dubbio circa l’esistenza di verità morale. Esistono delle verità morali? Se esistono siamo in grado di conoscerle, siamo in grado di identificarle? Molti studiosi rispetto all’etica sono scettici. 2) Seconda posizione. Un’altra posizione la potremmo chiamare di relativismo etico. Le verità morali vanno contestualizzate, le verità morali vanno rapportate. Sono relative alle diverse fasi storiche, alle diverse culture, ai diversi gruppi, ai diversi soggetti. Si porta l’esempio questioni che erano moralmente inaccettabili, oggi sono del tutto accettabili. Ci sono situazioni in una evoluzione etica. 3) Terza posizione. Pluralismo etico. È l’aspetto maggiormente condiviso. Nel senso che sono compresenti più valori, più principi, più codici morali. Ognuno di questi ha la pretesa di esser valido, pretesa di validità. Quindi questi valori, principi, codici, possono anche essere in conflitto tra di loro. 4) Ultima tipologia di risposta, Questa tipologia di risposta la potremmo chiamare la posizione del diversalismo etico, oggettività etica, o meglio di un fondamento oggettivo universale. Si afferma, portando all’estremo, che esiste un’etica oggettiva. Che esistono, cioè, delle verità morali assolute, che devono essere affermate anche nell’interesse di chi non le riconosce come tali. Aggiungiamo, in questi ultimi dieci minuti, alcuni chiarimenti in ordine a questa affermazione, che ho fatto in termini drastici ma deve essere capita nella sua problematicità. Quando si parla di etica, si tratta di rispondere a due domande: 1. Esiste il bene? Il bene come qualcosa di universale, di oggettivo, che vale per tutti, senza dipendere dalle circostanze, oppure tutto dipende dalle circostanze, per cui non esiste il bene ma soltanto il conveniente. 2. Ammesso che il bene universale esista, qual è? Come si riconosce? Chi può riconoscerlo? Ebbene, consentitemelo, traggo dal dialogo, dallo scambio di lettere, tra Eugenio Scalfari e Papa Francesco, uno che si richiama competente, e l’altro che si dichiara 29 credente, le risposte a queste domande. Dialogo, apparso a varie scadenze su Repubblica e su altre riviste. Le risposte che vengono fuori sono queste: esiste un bene comune a tutti gli uomini: universale, che non dipende dalle circostanze, o dalle emozioni, ma si sostanzia nella natura delle cose. Tale bene consiste in ciò che è favorire la vita di tutti e di ciascuno. E come tale, ogni uomo può riconoscerlo mediante: “La luce della propria coscienza”. La coscienza è il nucleo più segreto, è sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con sé stesso e con qualcuno o qualcosa che lo trascende. In altri termini, c’è un’etica universale che poggia sulla nostra comune natura umana. È in questo senso che si può parlare di legge naturale. Non è un qualcosa di statico, una lista di precetti immutabili, ma si alimenta nella ricerca delle condizioni che consentono la piena realizzazione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Questo soprattutto in oggi, dove il progresso scientifico, tecnologico, la comunicazione, la rete, la paura di eventi imprevedibili, cosa succederà a 200 chilometri dalla Sicilia? Cosa succederà? Tutto questo unifica la globalità dell’uomo. Emerge quindi la consapevolezza di una solidarietà globale che trova il suo fondamento ultimo nell’unità del genere umano. Da qui la necessità di ricercare dei valori etici. Domani e lunedì faremo ancora questi temi generali, poi iniziamo il rapporto etica ed economia. LEZIONE 4 8/3/2016 Comunicazioni di servizio: lunedì prossimo o all’inizio della lezione, o alla fine, verrà per una decina di minuti, un imprenditore, il dottor Bassetti, proprietario di una impresa di eccellenza, che viene a presentare il salone della responsabilità sociale delle imprese, che si terrà al Palazzo della Meridiana venerdì 18 marzo. Presenterà una iniziativa interessante, utile, e il materiale e le riflessioni possono essere riportate nel percorso di apprendimento di questo insegnamento. Sono un gruppo di imprenditori genovesi che hanno creato Ethic Club, il gruppo per le problematiche della responsabilità sociale. A fine aprile o inizio maggio, ritorna e porterà la sua testimonianza per dirci come, nella sua impresa, viene praticata la sua responsabilità sociale. Lunedì 21 marzo avremo la testimonianza, tutta la lezione, di un magistrato della corte di cassazione. Dottor Adriano Patti che svolgerà un argomento sulla Legalità, come servizio al bene comune. Una persona che ho conosciuto di recente, ha scritto libri interessanti su questa questione. Si può preparare in questo modo. Io fotocopierò una copia dello scritto di questo magistrato, proprio sul tema della legalità, in termini giuridici, lo metto a vostra disposizione, e tre quattro studenti, in modo particolare, preparano una serie di domande da presentare, sulla legalità in generale, legalità nell’economia, sulla lentezza, sulle sentenze contradditorie per cui in primo grado ti assolvono e nel successivo ti danno l’ergastolo, o viceversa,, tutto ciò che su questo tema lui è esperto anche di diritto dell’economia, una persona brillante. Farà una introduzione ma girerà poi tra voi facendovi lui delle domande. 30 Avevo concluso l’incontro di ieri con questa affermazione: esiste un bene comune a tutti gli uomini, un bene universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze ma che si sostanzia nella natura stessa delle cose. Questo bene consiste in ciò che favorisce la vita di tutti e di ciascuno. Come tale, ogni uomo può riconoscerlo, facendo riferimento alla propria coscienza. Quindi, un’etica di natura universale che poggia sulla nostra comune natura umana. Affermazione di grande rilievo in un’epoca di globalizzazione ovvero di interdipendenza complessiva. Riprendiamo le riflessioni da questo punto. Io credo che dobbiamo arrivare a dirci, al di là di quelle che possono essere le nostre convinzioni religiose, politiche, culturali, quali sono i valori fondamentali per la nostra comune umanità, in modo da lavorare insieme, promuovere la comprensione, riconoscimento reciproco e cooperazione pacifica tra tutte le componenti della famiglia. Allora, da questo punto di vista, potremmo dire, che quattro grandi valori etici caratterizzano il bene di tutti, il bene comune globale, il bene che la società può perseguire. Questi quattro grandi valori nei quali è possibile riconoscersi, sono: 1) Il valore della libertà. 2) Il valore della verità. 3) Il valore della giustizia. 4) Il valore della solidarietà. Se ne manca uno, la società rischia di cadere o nell’anarchia o in un assetto totalitaristico caratterizzato dal potere del più forte. È abbastanza comprensibile. Senza libertà, libertà di coscienza, libertà di opinione, libertà di perseguire i propri progetti, libertà di realizzare le proprie capacità e le proprie potenzialità, non c’è società umana, ma senza la ricerca della verità, senza il rispetto della verità non c’è società ma c’è dittatura. Presupposto, anche che la verità non è proprietà di nessuno. Anche senza giustizia non si va avanti, senza giustizia c’è il regno della sopraffazione, e l’equità è il massimo della giustizia. Inoltre, la società deve essere regolata in modo solidale, assicurando il reciproco aiuto, creando le condizioni perché ci sia responsabilità per le sorti dei più deboli, in modo che i beni della società possano rispondere ai bisogni di tutti, a scala locale e a scala globale. Anche a scala globale, con un PIL mondiale che viene stimato in 60 mila miliardi di dollari, ce n’è veramente per tutti. Nonostante questo le diseguaglianze, gli squilibri, tendono ad aumentare. Quindi libertà, verità, giustizia e solidarietà sono i 4 grandi valori etici dai quali discendono tutti gli altri nei quali riconoscersi, sperimentabili nei diversi ambiti del vivere, e quindi sperimentabili anche nell’impresa. Una impresa l’ibera, c’è la libertà dell’impresa ma c’è anche libertà nell’impresa. Verità. Una impresa trasparente, una impresa giusta, che persegue l’obiettivo dell’equità, una impresa che si dà carico della solidarietà. Libertà e solidarietà meritano però un approfondimento. 31 LIBERTA’. È una delle parole più usaste e forse anche abusate. Bisogna chiarire il concetto. Esistono 3 forme di libertà: 1) La prima, quella più immediata, più intuitiva, più comprensibile è la libertà di. Libertà di fare tutto ciò che riteniamo utile, che riteniamo conveniente, che ci piace, che ci passa per la mente. Ma la libertà di è essenziale, sia chiaro, non esaurisce il concetto di libertà. Anzi banalmente, la libertà di, danneggia la libertà del più debole. È per questo che c’è una seconda forma di libertà. 2) La seconda forma di libertà è la libertà da, che consiste cioè nell’affrancamento, nell’emancipazione da tutte le costrizioni, dai vincoli che impediscono l’esplicazione delle proprie capacità, delle proprie potenzialità. Libertà dalla povertà, libertà dall’indigenza, dalla mancanza di cultura. Ma anche libertà da dipendenze fisiche, da dipendenze psicologiche. Libertà dalle droghe alle neuropatie, eccetera. 3) Infine, c’è una terza forma di libertà. Libertà per. Quindi di, da, per. Libertà per. Ed è la libertà di chi sceglie di dedicare le proprie energie per il perseguimento di un obiettivo ideale, in grado di mobilità. John Stuart Mill, padre della scienza economica, faceva questa affermazione: la libertà per è il segreto della felicità. Vediamo l’altro grande termine: SOLIDARIETA’. Anche qui solidarietà è una parola usata e anche abusata. Occorre fare attenzione quando si parla di solidarietà. C’è anzitutto una solidarietà compassionevole, assistenziale, passiva. Riconosce che ci sono delle situazioni di disagio, che ci sono delle sofferenze, che ci sono delle ingiustizie. Cerca di limitarle, di addolcirle, di indennizzarle, in qualche modo. Ma non mette in discussione le cause che hanno generato queste situazioni. Questa solidarietà compassionevole non crea un rapporto di fiducia con l’altro. L’altro, talvolta, manco lo vede. C’è invece una solidarietà attiva, partecipativa, democratica. Cioè una solidarietà finalizzata alla rimozione delle cause che determinano le situazioni di disagio, di indigenza, di sopraffazione, di sofferenza. Questa solidarietà attiva ha tre modalità per manifestare: 1) Prima modalità. Noi abbiamo potere. Ebbene, rinunciamo ad una parte del nostro potere per donarlo a chi potere non ha. 2) Seconda modalità. Abbiamo potere. Allora usiamo del nostro potere per ottenere dei vantaggi per chi si trova nella precarietà, nell’indigenza, nelle difficoltà. 3) Terza modalità. Ci impegniamo economicamente, culturalmente, politicamente a creare le condizioni affinché tutti, nessuno escluso, possano realizzare le proprie potenzialità, le proprie capacità. Una grande filosofa, alla quale faremo riferimento nella prossima lezione, Marta Nussbaum, ha affermato: occorre eliminare gli ostacoli che impediscono ai singoli, agli individui, di diventare persone, capaci cioè di relazione. 32 A questi quattro grandi valori, libertà e solidarietà in modo particolare, perché se c’è libertà e solidarietà anche verità e giustizia hanno terreno fertile per manifestarsi, forse, potremmo aggiungerne un quinto. La BELLEZZA. La bellezza è una virtù civile, non un fatto puramente estetico, che è indispensabile oggi per il rilancio dell’economia, del lavoro. Bellezza indispensabile per ripensare e rifondare la scuola, l’università, la bellezza che è necessaria per lottare contro le vecchie nuove forme di povertà. Ma se ci pensiamo bene, nella storia della nostra società, della nostra economia, delle nostre imprese, gli input dei sistemi produttivi che hanno caratterizzato e che caratterizzano il nostro paese non sono soltanto il capitale, il lavoro e le materie prime. Gli input sono anche Dante, Fellini, i monumenti, gli affreschi. Questa espressione di bellezza in termini economici si fa design, si fa linea, si fa auto alla Pininfarina, si fa moda si fa cibo. Riflettendoci, forse scopriamo che oggi consumiamo in bellezza ma non la riproduciamo. Dobbiamo tornare a produrla se vogliamo tornare a produrre ricchezza. Ovviamente, la bellezza non si impara nei libri di testo, ma cresce nella relazione, nella gratuità, nell’amore dei luoghi e della storia. Da questo punto di vista, un po’ di storia locale. Non è un caso che nella nostra sede, in questa ex facoltà, le aule non si chiamano aula 1, 2, 2a e 2 b, ma hanno un nome che richiama la memora, la storia di questa città e di questa regione. C’è bisogno di bellezza, anche nei luoghi della povertà e nella sofferenza. Nelle società passate, i luoghi più belli della città erano le piazze, le cattedrali, le strade abitate e percorse dal popolo, e quindi dai poveri e dagli analfabeti, che erano la larga maggioranza. La bellezza era anche negli ospedali. Oggi la ricchezza condivisa sotto forma di bellezza è molto poca, in quando la ricchezza che nasce dalla finanza speculativa va ad insediarsi nei paradisi fiscali. Le ville dei super ricchi non abbelliscono nessuna città. Questo perché la bellezza non è un bene di lusso, ma di prima necessità che vive insieme alla sobrietà, alla solidarietà, alla creatività. La bellezza va dunque riportata dentro l’impresa, dentro la scuola. La bellezza contribuisce a far emergere, a generare energie intellettuali, culturali, spirituali necessarie per uscire dalla crisi. Libertà, verità, giustizia, solidarietà, e ci aggiungiamo bellezza. La responsabilità è la chiave di innesco di tutto questo. È la responsabilità individuale e collettiva che da concretezza a questi grandi valori fondativi dell’etica. Una responsabilità che si alimenta attraverso la fiducia. Anche qui responsabilità, parola largamente usata talvolta abusata e con molti significati. A noi interessa aver presenti le forme che la responsabilità può assumere. La responsabilità assume o può assumere sostanzialmente quattro forme: 1) C’è una responsabilità che si lega, che discende dall’azione, da quello che uno fa, dai comportamenti che sono posti in essere. Quindi una responsabilità, per usare il termine tecnico inglese, intesa come commission. 2) C’è una seconda forma di responsabilità. La responsabilità che discende dal non aver fatto, da aver omesso di fare una certa azione o di assumere un 33 comportamento dovuto. Questa forma di responsabilità la chiamiamo omission, omissione. 3) La terza forma di responsabilità. La responsabilità che discende dall’aver costretto, dall’aver indotto qualcuno a porre in essere una certa azione e comportamento. Questa forma di responsabilità la chiamiamo, tecnicamente, inducement. 4) La quarta forma di responsabilità discende dall’aver cooperato con altri nel fare o nel non fare una certa azione, nell’assumere o nel non assumere determinati comportamenti. Tecnicamente cooperation. Quindi commission, omission, inducement, cooperation. Fatta questa impostazione metodologica, sviluppiamo il ragionamento in termini di ETICA DELLA RESPONSABILITA’. La lezione scorsa, abbiamo fatto le sottolineature di etica dell’intenzione o convinzione ad esempio di Fermi. Mi interessa sapere cosa fermi aveva in mente cosa aveva in mente quando inventò la bomba atomica. Etica della responsabilità, andiamo a vedere le conseguenze e gli effetti, ciò che normalmente si fa. Un minimo di attenzione, nell’era della scienza, tecnica e biologia, non sempre gli effetti delle scelte non sono prevedibili. La grossa questione del limite. Iniziamo il ragionamento in tema di etica della responsabilità. L’etica della responsabilità la dobbiamo vedere in rapporto alla natura e all’umanità. Responsabilità verso la natura, responsabilità verso l’umanità. Storicamente, come si sono posti questi due rapporti natura e umanità? A quali principi si fatto riferimento? Come concretamente il rapporto uomo natura, uomo umanità, si è manifestato? Storicamente il rapporto nei confronti della natura era leggibile nell’ottica del dominio: l’uomo che domina la natura. Era legittima nell’ottica di antropocentrismo assoluto, l’uomo è al centro, senza se e senza ma, come si usa dire. Un rapporto basato sulla razionalità tecnica, scientifica, che non ha limiti. Rapporto con l’umanità. Come si è configurato storicamente? Storicamente il rapporto tra uomo e uomo si è mosso, si è sviluppato, nell’ambito della strumentalità e dell’utilitarismo e della convenienza. Giudico il mio rapporto con l’altro sulla base dell’utilità, della convenienza, della strumentalità. Con la conseguenza al limite che l’altro viene gestito nell’ottica dell’usa e getta. Molti dei problemi che sono oggi sul tappeto e che abbiamo già richiamato, molte determinanti della crisi in cui ci troviamo discendono dalla combinazione perversa, discendono dalla circolarità viziosa tra logica di dominio verso la natura da un lato, e logica di strumentalizzazione utilitaristica nei rapporti tra uomo e uomo. Questo è l’impasse in cui ci troviamo. Ci si chiede come venirne fuori? Per venirne fuori occorre partire dalla constatazione che le due dimensioni della responsabilità, verso la natura e verso l’umanità, sono tra loro strettamente interdipendenti, oggi in modo particolare. Forse nel passato potevano essere considerate separate. Oggi responsabilità verso la natura e verso l’umanità sono interdipendenti. Questa è anche 34 una chiave di lettura dell’enciclica Laudato sii, l’interdipendenza di natura e umanità che porta al concetto di ecologia integrata. Questa interdipendenza natura e umanità va gestita in positivo. Nel senso che l’azione individuale si lega strettamente all’azione collettiva. Il benessere delle generazioni presenti si lega strettamente al benessere delle generazioni future. L’uomo si lega all’altro uomo e alla natura e questo legame non ha né confini di spazio né confini di tempo. In questa constatazione, nell’interdipendenza natura e umanità stanno i valori, i fondamenti capaci di alimentare un’etica interiorizzata, non fatta di regolette o di norme da ricettario. Un’etica interiorizzata, un’etica condivisa, capace di orientare e guidare l’individuo verso un agire responsabile, in ogni ambito della vita sociale economica ed ambientale. In questo modo l’individuo da singolo si trasforma in persona. Sviluppiamo, in modo particolare, l’ETICA DELLA RESPONSABILITA’ VERSO LA NATURA, verso l’ambiente. Come vi ho già detto, l’etica tradizionale era l’etica della prossimità. L’agire umano era circoscritto era limitato in precisi ambiti di spazio e di tempo. Oggi non è più così. Nel passato l’uomo era sovente minacciato dalla natura, oggi si è verificato l’opposto ma le conseguenze sono state imprevedibili. La natura, violentata dall’uomo, si sta levigando. Conseguentemente la prevenzione e la precauzione sono i criteri fondativi della responsabilità verso la natura. Nel contempo, occorre passare da una visione antropocentrica assoluta di dominio, ad una cultura del limite. L’uomo, nei confronti della natura, non può non porsi delle frontiere, stante la sua incapacità oggettiva di prevedere e di gestire le conseguenze del suo agire. Questo a livello ambientale e a livello climatico è di piena evidenza. Il limite, ripeto, non nasce semplicemente dalla paura, ma da una assunzione di responsabilità, cioè dall’esigenza di un controllo razionale delle proprie azioni. Conseguentemente, nei confronti della natura occorre parlare di custodia, Stuart Mill, e convivenza. Vediamo meglio i termini della crisi ambientale in cui ci troviamo, della crisi ambientale, ecologica, in cui ci troviamo. Ha costituito l’oggetto della riflessione fatte a Parigi nel mese di Novembre, l’incontro dei governi e delle istituzioni. Questa crisi ambientale discende, in termini culturali, etici, essenzialmente da due fattori: - Disumanizzazione della natura. - Naturalizzazione dell’uomo. DISUMANIZZAZIONE DELLA NATURA. La natura è diventata un oggetto nelle mani dell’uomo tecnologico, che vorrebbe sottometterla alle proprie istanze funzionalistiche e utilitaristiche. Quindi vengono alterate, vengono perdute le relazioni originarie che legavano in maniera costitutiva la natura alla persona umana. 35 A fianco della disumanizzazione della natura registriamo anche la DENATURALIZZAZIONE DELLA PERSONA della persona. La persona, o meglio l’individuo, vive sempre più in un ambiente artificiale, virtuale. Ho fatto la battuta due lezioni fa, che i fiori artificiali sono più belli dei fiori naturali. La persona vive sempre più in ambienti artificiali, virtuali, dove il rapporto con l’altro è sostituito dal rapporto col proprio cellulare, I-pad, I-phone. Basta prendere il treno alla mattina, cosa che faccio abitualmente, e per tenermi sveglio guardo chi ho intorno. Mediamente il 70-80% di chi mi accompagna nel viaggio di giovani e meno giovani hanno auricolare, cellulare, e I-pad. La larga maggioranza è questa. Pochi, come il sottoscritto, leggono il giornale. Ogni tanto anche io guardo se è arrivata della posta, ma ci sono le gallerie e non si vede niente! Il rischio che la persona, l’individuo, si sente estraneo all’ambiente naturale. In questo modo viene impoverito della propria identità. Non percepisce più la natura. La situazione nel nostro paese, per fortuna, non è in questi termini in quanto la bellezza storico culturale e naturale è ancora largamente presente. Mettiamoci nei panni dei figli che forse non hanno mai visto un coniglio, una gallina. Se sono in una megalopoli del sud del mondo la gallina attraversa la strada. Ma se andiamo in altri paesi no. Vedono smog e inquinamento, non si riesce neppure a vedere il cielo. La crisi ambientale è anche l’espressione di una profonda crisi antropologica. L’uomo d’oggi è incapace di gestire contemporaneamente, sottolineo contemporaneamente, l la propria creatività. Una creatività che è potenziata dalla scienza dalla tecnologia, dall’economia, dall’imprenditorialità, una grande creatività. Ma non è capace di gestire contemporaneamente questa creatività con la valorizzazione della natura. I due termini creatività e valorizzazione della natura, anziché esprimere un gioco a somma positiva, esprimono invece un gioco a somma zero, o negativa. Infatti, lo sviluppo tecnologico ha avuto e ha ancora, nonostante alcune prese di posizione, alcuni provvedimenti che anche a Parigi sono stati configurati anche senza scadenze precise, ma lo sviluppo tecnologico ha un impatto negativo sulla natura, in termini di inquinamento. D’altro canto non possiamo reagire a questo fatto imbalsamando la natura, come vorrebbe un certo ecologista. In questo caso la creatività dell’uomo verrebbe ricondotta ad società di tipo bastonato (?), il che è impensabile. Ancora, la crisi ambientale non ha frontiere. È transnazionale, è transculturale, è un problema globale che non è risolvibile dal singolo paese. Questo è un dato di fatto. Possiamo essere virtuosissimi, ma se gli altri virtuosi non sono, i nostri sforzi non servono a niente. La crisi ambientale in cui ci troviamo ha una triplice declinazione, una triplice manifestazione. 1. Prima manifestazione. Manifestazione dell’insostenibilità. Su questo sono tutti d’accordo. 2. Seconda manifestazione. Manifestazione dell’ingiustizia sociale. Un po’ meno d’accordo. O si fa finta. 3. Terza manifestazione. Il decadimento della qualità della vita. 36 Queste tre manifestazioni sono coessenziali per capire la crisi in cui ci si trova, e quindi individuare i mezzi, le politiche, le strategie per venirne fuori. 1. La crisi ambientale come INSONSTENIBILITA’. Nel corso della storia, la specie umana è cresciuta colonizzando progressivamente spazi crescenti del pianeta. È la storia, questa. Il fatto è che adesso siamo arrivati al limite di rottura, in questa crescita colonizzatrice degli spazi naturali. Il limite di rottura viene misurato da un parametro specifico. Un parametro che prende il nome di impronta ecologica. Questo parametro è espresso, è rappresentato, dal rapporto fra i consumi di una popolazione insediata in un dato territorio, e le risorse biologiche, energetiche, rinnovabili, che sono disponibili nello stesso territorio. Il livello attuale dei consumi richiede, a livello mondiale, 2,8 ettari pro capite di spazio ecologicamente produttivo. Ma in realtà, il pianeta ne rende disponibili solo 1,7 ettari. Questo è un dato. Banalizzando, digitando impronte ecologiche vengono fuori tutti i dati precisi, le metodologie di calcoli matematici. Banalizzandolo, Ciascuno di noi, consuma all’anno due ettari di grano. Pensiamo alla focaccia. Due ettari. Soltanto che in questo territorio, l’ettaro è in grado di produrre soltanto un etto. Noi possiamo utilizzare soltanto un etto, ne distruggiamo uno. L’impronta media, a livello mondiale, è superiore del 35% rispetto allo spazio disponibile. In altre parole, questi sono i concetti che ci interessano, i consumi dell’umanità sono superiori a quello che la natura è in grado di rigenerare su base continuativa. Pensiamo alle foreste, pensiamo all’agricoltura, pensiamo all’acqua. In un certo momento anche le energie fossili finiscono. L’umanità brucia capitale naturale a danno delle generazioni future. Tutto sommato il grano per avere la focaccia tutte le mattine lo avremo. Fra 50 60 anni, può darsi che i nostri figli e nipoti la focaccia se la scordano. Questa è una battuta. Crisi ambientale come insostenibilità. Concetto di impronta ecologica. Consumi superiori a quello che la natura è in grado di riprodurre. 2. Ma c’è la seconda manifestazione. La crisi ambientale come INGIUSTIZIA SOCIALE. Un abitante del nord del mondo, consuma mediamente una quantità di risorse dieci volte superiore a quelle consumate da un abitante del sud del mondo. I paesi con più alto deficit ecologico non sono necessariamente quelli più densamente popolati, come potrebbe essere l’India o la Cina, anche se ci sono delle opinioni diversi, bensì quelli che hanno elevati livelli di consumo energetico e di produzione dei beni. Allora, possono essere individuate, ad occhio e croce, tre categorie di paesi. 1. Ci sono dei paesi che sono ricchi sia di risorse naturali che di risorse finanziarie. Tipicamente Australia e, in una certa misura, anche il Canada. Privi di risorse finanziarie, ma ricchi di risorse naturali e ambientali. 37 2. Ci sono poi paesi finanziariamente ricchi ma con un alto deficit ecologico. Banalmente sono paesi che non hanno alberi sufficienti per la carta che consumano. Questi paesi sono gli Stati Uniti, Giappone, gran parte dell’Europa. 3. Paesi che hanno un forte avanzo ecologico, che hanno ancora tante foreste, acqua in abbondanza, pensiamo all’Amazzonia, anche se il numero di alberi sta diminuendo, ma con poche risorse finanziarie. È il caso dei paesi dell’America Latina, paesi dell’Africa, paesi dell’Asia. I problemi sul tappeto, di fronte a questa ripartizione, sono sostanzialmente questi. Dove e come i paesi in deficit ecologico, biologico, che sono i paesi ricchi, trovano le risorse naturali che sono necessarie per sostenere l’alto livello di produzione e di consumo? Questo è, evidentemente, l’interrogativo di fondo. La risposta, al momento è acquistando le risorse naturali a prezzi vantaggiosi dai paesi poveri del sud del mondo. Quando un paese ha fame, il problema di tutelare le foreste, il verde, gliene frega veramente poco. I dati lo comprovano. La Cina sta acquistando proporzioni crescenti di territorio africano. Perché ha bisogno di materie prime, di prodotti agricoli. Le popolazioni autoctone vengono cacciate via. Acquistando porzioni crescenti di territorio, o anche comprando il diritto ad inquinare. Tu, paese in via di sviluppo, in base ai vari parametri stabiliti a livello internazionale, puoi inquinare nella misura di dieci. In realtà, questo paese inquina nella misura di 5. I 5 diritti di inquinamento che non consumano, vengono comprati da un paese sviluppato e continua lui ad inquinare. Aggiungiamo ancora i fenomeni di dumping ambientale e sociale. Nonostante le pratiche di responsabilità sociale da parte di molte multinazionali, stanno muovendosi bene. La stessa Nestlè ha cambiato rotta, la Danone, il Gruppo Ferrero, Barilla, si muovono bene. Molte multinazionali continuano ad avvalersi del dumping ambientale nei paesi dove le norme ambientali non esistono, dove il lavoro costa poco e non è vincolato da norme di sicurezza. 3. La terza modalità di manifestazione, dopo l’insostenibilità e giustizia sociale, della crisi ecologica è CRISI AMBIENTALE COME DECADIEMENTO DELLA QUALITA’ DELLA VITA. Ormai cresce la consapevolezza che il benessere umano va oltre il prodotto interno lordo. Parleremo più avanti di ciò che si sta facendo in Italia, del BES. Il benessere umano va oltre il Pil. Studi e ricerche econometriche dimostrano chiaramente che la qualità della vita, la felicità fino ad un certo punto sono in correlazione con il reddito procapite. Superati certi limiti la correlazione diventa negativa. Questo anche perché la qualità della vita si rapporta altresì all’essere in salute, al sentirsi bene. Esigenze crescenti stanno anche nell’aumento della longevità, che caratterizza un po’ tutti i paesi. La crisi ambientale ha causato l’insorgere di nuove malattie e l’amplificarsi o il ritorno di malattie che si riteneva fossero state definitivamente scomparse. Ancora, si dimostra che la perdita di un rapporto autentico con la natura, l’artificializzazione della natura genera stress ed infelicità. Con quelle 38 conseguenze al limite che sono allucinanti, quello che è successo a Roma l’altro ieri. Il problema che coinvolge tutti: impresa, società civile, istituzioni, scuole, università, è come reimpostare il rapporto uomo natura ambiente. Questa è una sfida etica, culturale, politica ed economica. Tutte le acquisizioni della green economy, dell’economia circolare. Gli studi e le riflessioni che da molti anni sta conducendo (?), i cui libri sono stati tradotti anche in Italia. Questa sfida, etica, culturale, economica e politica, si articola su vali livelli. In primo luogo sul piano della presenza storica sul territorio. Qui occorre recuperare il senso delle radici, il senso della memoria, delle tradizioni. Non si può continuare a vivere nella dilatazione del presente, dimenticando da dove veniamo e avendo paura di affrontare quello che verrà. Per quello che ci riguarda il dibattito non solo del territorio marino, ma anche del territorio montano. Altro livello in cui si articola la sfida. Il piano dei comportamenti concreti, degli stili di vita, del modo di organizzare la propria esistenza in rapporto con sé stessi, con gli altri, con il contesto. È il discorso del consumismo che si caratterizza da un lato per la crescita a dismisura del superfluo, mentre bisogni fondamentali restano insoddisfatti. Si parla di consumo responsabile, si parla di consumo critico, consumo etico, consumo ecologicamente corretto. C’è poi il livello dei valori etici, cioè la reimpostazione del rapporto con la natura che presuppone una nuova sensibilità, una nuova attenzione al bene comune, alla destinazione universale dei beni, alla gratuità e paternità. Ancora, la sfida che si pone a livello del pensiero, dell’elaborazione culturale, dove la crisi non può essere superata semplicemente con misure legislative regolamentari che sono comunque necessarie e indispensabili. Non è neppure superabile soltanto con innovazioni tecnologiche che riducono l’emissione di C02. Occorre anche una rivoluzione culturale, ottiche diverse a livello di valori, di stili di vita. Occorre un rapporto diverso con la natura non di dominio ma di custodia, di convivenza. Custodia e convivenza esprimono un rapporto, in cui la persona umana non perde la propria centralità, la propria capacità di trascendere anche la dimensione fisico biologica. Non perde la sua creatività. Ma, al tempo stesso, la persona umana si pone davanti ai suoi simili e al cosmo intero come soggetto cosciente, intelligente, che realizza la propria personalità nella misura in cui si sente parte integrante di un universo che lo ha visto emergere, per così dire, dal suo grembo, in un processo evolutivo di miliardi di anni. Si sente quindi parte integrante del genere umano passato presente e futuro. L’uomo non è quindi un soggetto assoluto, che domina su tutto e su tutti. Ma è un soggetto solidale, che si sente parte della propria specie umana e parte della casa terra nella quale è collocato. Antropocentrismo sì, ma solidale. Non assoluto, di dominio, antropocentrismo sì, ma solidale. L’uomo, interpreta il proprio rapporto con la natura non come dominio o sfruttamento, bensì come affidamento responsabile. L’uomo valorizzerà la terra col proprio lavoro, 39 con la sua creatività, imprenditorialità e la costruirà nei migliori dei modi come amministratore responsabile, in vista della consegna della terra alla generazione futura. E’ chiaro che nel tesario ci sarà la domanda sulle tre dimensioni della crisi ambientale. LEZIONE 5 14/3/20115 Oggi viene un imprenditore, Paolo Bassetti, presidente di Ethic Club, associazione impegnata nella responsabilità sociale, che presenta il salone della responsabilità sociale che si terrà venerdì 18 nel Palazzo della Meridiana. È una cosa estremamente interessante. Può essere una idea da mettere nel quaderno. Questo imprenditore tornerà ad aprile per portare la sua esperienza di responsabilità sociale. Seconda informazione di servizio. Lunedì vi riconfermo l’intervento, relazione, di questo giudice della corte di cassazione. Il giudice della corte di cassazione terrà una lezione. Ha chiesto se c’è il microfono senza filo per girare e chiacchierare, relazione: “La legalità come servizio al bene comune”. Su questo incontro vi invito a prepararvi. Proprio questa settimana il tema della legalità è parecchio importante, visto quello che sta succedendo con varie vicende che riguardano l’ambito delle imprese, delle istituzioni, ci sono varie vicende. Per prepararvi ho fotocopiato un saggio di questo Adriano Patti: “Ripartire dalla legalità”. Dopo l’incontro con il magistrato, l’inizio può essere di 15-20 minuti di una presentazione da parte vostra, la presentazione degli studenti che hanno preparato l’indagine sui valori e disvalori. Martedì prossimo partirà l’altro sondaggio sulla fiducia nelle istituzioni. Iniziamo ora la nostra terza settimana. Ciò che vi propongo è tirare le file sul ragionamento etico, i campi di riferimento dell’etica e i rapporti tra etica ed economia. In modo che dopo pasqua entreremo nell’ambito dell’impresa, della responsabilità di impresa. Dobbiamo fare però delle considerazioni generali sull’etica, etica economica e sull’etica nell’impresa. Tiriamo le fila mettendo in evidenza quelli che sono gli elementi costituitivi del ragionamento etico morale. Gli elementi costitutivi di questo ragionamento sono: i valori, i principi, le norme e le regole, le virtù. Quattro elementi costitutivi. Cosa intendiamo con questa espressione? 1. Valori. I valori sono i grandi ideali da perseguire. Ideali di giustizia, ideali di libertà, di solidarietà e così via. Quindi i grandi ideali da perseguire. 2. Principi. I principi, strettamente connessi ai valori, sovente vengono anche usati indifferentemente, sono anche essi i grandi orientamenti per l’azione. Ad esempio il principio della democrazia, della partecipazione, il principio della sussidiarietà, Sono orientamenti generali destinati ad incidere sui comportamenti, sulle azioni. Ovviamente, valori e principi possono avere delle 40 applicazioni molto diverse, nell’ambito di quello che abbiamo chiamato pluralismo etico. 3. Norme e regole. Qui si entra nella concretezza. Norme e regole che fanno riferimento a criteri che si pongono come guida nelle decisioni, nelle scelte, e nelle azioni. Le norme e le regole hanno dei contenuti precisi. 4. Infine, le virtù. Per virtù si intende la disposizione interiore del soggetto che agisce. Una disposizione interiore a fare il bene, a perseguire il giusto. Approfondisco, il termine iniziale valore principi e quello finale virtù, con riferimento all’impresa. Iniziamo anche ad introdurre questo protagonista: l’impresa. Presento il discorso dei valori e dei principi così come viene sviluppato, come viene presentato, da un gruppo pilota del nostro paese, il gruppo Brembo, che opera nel bresciano, un gruppo all’avanguardia mondiale per la posizione di sistemi frenati. In particolare la Brembo li fa per la Ferrari, non solo. Gruppo multinazionale all’avanguardia da parecchi punti di vista. Questo gruppo Brembo ha elaborato e reso pubblici la carta che si chiama così: principi e valori guida. I termini principi e valori spesso vengono sovente usati indifferentemente. Vediamo quali sono e come vengono motivati. 1. Principio etica. Per noi significa impostare i rapporti tra persona e azienda sulla base di onestà e rispetto, anteponendo gli interessi comuni a quelli individuali. Portare lo sviluppo aziendale sul rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Agire con trasparenza nei confronti di colleghi, clienti e fornitori. È messo nero su bianco, per cui anche dal punto di vista giuridico questo fatto determina una presunzione di buona fede. È scritto. Se poi nella tua azione non rispetti questi principi, questi valori, ebbeh, c’è una presunzione. 2. Principio responsabilità. Per noi significa vivere il proprio ruolo da protagonisti, facendosi carico delle soluzioni attese e delle decisioni da prendere con tempestività, determinazione, professionalità. 3. Trasparenza. Per noi significa esprimersi apertamente, con chiarezza, evitando malintesi e strumentalizzazioni, con lo scopo di costruire relazioni e rapporti profondi, leali e duraturi sia all’interno che all’esterno dell’azienda. 4. Qualità. Per noi significa perseguire le eccellenze, migliorando e innovando le nostre competenze per il successo aziendale e personale. Dedicare sé stessi alla massima soddisfazione del cliente. Dimostrare, al nostro interlocutore interno ed esterno, interno quindi rapporti con i colleghi, che ciò che è stato concordato è ciò che sicuramente otterrà da noi. 5. Impegno. Per noi significa fare le cose con passione, condividendo la visione aziendale e gli obiettivi della propria area di attività. 6. Ascolto. Per noi significa dare attenzione costante alle esigenze del cliente interno ed esterno. 7. Proattività. Per noi significa anticipare i cambiamenti come sfida continua per il successo. Promuovere quindi soluzioni innovative. 41 8. Coraggio. Per noi significa saper affrontare con determinazione situazioni ricche di sfida, superandone i limiti per coglierne le opportunità che sono insite nelle diverse situazioni. 9. Cambiamento. Per noi significa interpretare e condividere il cambiamento come leva di sviluppo del business. 10.Appartenenza. Per noi significa sentirsi un’unica grande squadra, fatta da azienda, collaboratori, clienti e fornitori. Sentirsi orgogliosi di essere Brembo, e di essere riconosciuti come tali. 11. Stile. Per noi significa, tenendo presente il massimo rispetto reciproco, ogni persona Brembo adotta comportamenti misurati ed adeguati, tesi a generare un’impressione positiva nell’interlocutore. 12.Partership. Per noi significa essere propositivi e collaborativi, condividendo obiettivi e piani al fine di soddisfare le reciproche necessità. 13.Attenzione. Per noi significa ascoltare e dare feedback, riconoscendo il lavoro ben fatto, al fine di rinforzare prestazione e autostima. Molte cose che dico alcune sono da memorizzare, approfondire, altre servono a dare impressioni genarli. Non è che vi chiederò cosa è la fiducia per Brembo, ma una riflessione sull’importanza della fiducia nell’impresa può esserci. Ascoltare e dare feedback, informazione di ritorno, riconoscendo un lavoro ben fatto, e questo per creare autostima. 14.Fiducia. Per noi significa credere nel valore, nel contributo degli altri. Nella loro consapevolezza del valore nel nostro. Io ti riconosco il tuo valore perché so che tu riconosci il mio. Su questa base si crea fiducia. 15.Infine, può sembrare strano, ma in questa carta dei valori, come ultimo ci sta il valore Umiltà. Per noi significa sapersi mettere in discussione, evitando posizioni arroganti, e accettare il dialogo. Sostanzialmente, sapersi mettere in discussione. L’esempio è del Gruppo Brembo, ma andando sui siti di altri gruppi è sovente possibile trovare la carta dei valori, cioè le cose in cui l’impresa crede dalle quali discendono codici di comportamento, le norme e le regole. Questo per quanto riguarda i valori e i principi. Approfondiamo il discorso delle virtù. L’impresa ha delle virtù. La virtù è la predisposizione del soggetto a fare del bene. Le virtù, tradizionalmente vengono indicate nella virtà della prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza. Cosa significa nella concreta realtà? 1. Prudenza. Essere prudenti. È uscito in questi giorni un libro sul significato della prudenza in Economia. Prudenza significa saper valutare le scelte in funzione delle loro conseguenze, in funzione del rischio. Valutare le scelte in funzione del contesto in cui vengono prese, delle circostanze. Da questa affermazione generale, vediamo queste concretizzazioni. L’impresa prudente sa discernere tra le varie possibilità, tra le varie suggestioni che provengono dall’ambiente, quelle buone da quelle che non danno risultato. Quelle 42 che consolidano l’azienda da quelle che le indeboliscono. Saper discernere tra la molteplicità di situazioni in cui l’impresa si trova coinvolta. L’impresa prudente sa valutare con attenzione i rischi connessi alle varie alternative. L’impresa prudente sa comparare vantaggi e svantaggi, costi e benefici. L’impresa prudente non si fa sedurre dalle mode del momento, ma opera in maniera ragionata. Sa correggersi, se compie degli errori. Sa anche chiedere dei sacrifici in vista di obiettivi chiari e condivisi. L’impresa prudente sa altresì che il non rispetto delle regole di buona convivenza ha, alla lunga, degli effetti boomerang. 2. Giustizia. Giustizia significa dare gli altri ciò che è loro dovuto. Giustizia significa libertà, uguaglianza, rispetto, condivisione. Sono tutte espressioni e manifestazioni della giustizia. L’impresa giusta rispetta le regole che ha pattuito con tutti gli altri interlocutori. L’impresa giusta opera, si impegna per far modificare le regole e le norme inique. Impresa giusta si impegna per far sì che le norme vengano applicate in modo uguale per tutti. 3. Fortezza. Significa capacità di saper affrontare le difficoltà e avversità con determinazione e anche con la volontà di innovare. L’impresa forte non si arrende di fronte alle prime difficoltà, ma cerca di superarle con intelligenza. L’impresa forte sa far uscire allo scoperto le risorse di intelligenza e creatività che esistono al proprio interno, modificandole per obiettivi condivisi. Indubbiamente la competizione è fatta anche di casualità. Nella competizione, la fortuna ha anche un ruolo non sempre minimale. D’altro canto, le occasioni, le opportunità si possono anche creare, si possono anche organizzare con metodo, con costanza e con coraggio. 4. Temperanza. Significa moderazione, equilibrio. L’impresa temperante sa dominare i propri animal spirits, per usare questa espressione, legati alla competizione e che si esprimono in atteggiamenti predatori. Infatti, abbiamo visto la carta dei valori Brembo: i clienti non sono prede da sfruttare. Il mordi e fuggi non rientra nei comportamenti dell’impresa temperante. Il mercato va coltivato con attenzione e con intelligenza. Infine, l’impresa temperante sa muoversi nell’ottica del medio lungo termine, proprio perché l’impresa temperante vuole durare nel tempo. Chiediamoci ora quali sono i CAMPI DI RIFERIMENTO DELL’ETICA. Il campo di riferimento dell’etica, lo abbiamo detto più volte è l’uomo, ma l’uomo non appartiene soltanto a sé stesso. Appartiene agli altri, al mondo, alla natura. L’uomo si trova quindi in una triplice relazione fondamentale: la relazione con sé stesso, la relazione con l’altro uomo, la relazione con l’ambiente. 1. La prima relazione fondamentale la possiamo esprimere così: Io-sé. L’aspetto individuale. L’Io è un qualcosa di dato. Il sé profondo è un qualcosa in divenire. Allora, questa relazione fondamentale io-sé porta l’interrogativo: qual è il senso del mio insegnare? Qual è senso del mio essere manager? Il rapporto io-sé è un rapporto che si esprime nel silenzio. 43 2. Poi c’è la seconda relazione fondamentale, che possiamo esprimere così: io-tu/ voi. È la relazione personale. La persona è tale se entra in relazione con un’altra persona, altrimenti resta un individuo. La persona è tale se entra in relazione con un’altra persona. Non esiste l’io, senza il tu/voi. L’io e il tu costituiscono un tutt’uno, che non elimina ciò che è individuale, ma che è qualcosa di più dell’individuale. La struttura di questa relazione, io-tu/voi è una struttura dialogica, possiamo dire che il linguaggio fonda la relazione io-tu/voi. Mentre la relazione io sé è costruita nel silenzio, la relazione io-tu voi è costruita nel dialogo, nella centralità del linguaggio. 3. La terza relazione fondamentale è: io/noi-ambiente, inteso in senso lato. Lo abbiamo ampiamente sviluppato parlando di responsabilità verso la natura. Il rapporto io/noi con l’ambiente si esprime in termini di responsabilità e valorizzazione della natura. La struttura della relazione io/noi – ambiente è la cultura. Quindi: il silenzio, il dialogo, la cultura. Ragioniamo un attimo sulla forma, sulla natura di queste relazioni fondamentali. Io sé, io-tu/voi, io/noi-ambiente. Siamo in presenza di relazioni che non sempre sono relazioni immediate. Non sempre sono relazioni spontanee, faccia a faccia, dirette. Siamo sovente in presenza di relazioni che sono mediate dalle istituzioni, ovvero da organizzazioni storicamente date, con le loro norme, con le loro regole e le loro procedure. In termini del tutto banali, per comprendere, il nostro rapporto, al di là di quello che mi auguro sia la stima, è pur sempre mediato dalla società, con le sue regole e norme. . Il rapporto uomo ambiente è mediato dall’economia, dal mercato, il mercato è inventato dal diritto. Il rapporto io tu voi nell’ambito della produzione è mediato dall’impresa, dalla scuola, che a sua volta interagisce con l’ambiente con lo stato. Le motivazioni personali, all’interno dell’impresa devono pur sempre confortarsi con le motivazioni complessive. Le esigenze del singolo con le esigenze dell’organizzazione. Anche, se ci pensiamo, lo stesso rapporto, quello più intimo, io sé, può essere mediato, o meglio può essere manipolato dalle strutture mediatiche: il potere, il controllo delle informazioni, e così via. Quindi tre relazioni fondamentali: io sé, io tu voi, io noi e l’ambiente. Ciascuna di queste relazioni si presenta sia in forma diretta, sia in forme istituzionalmente mediate. Questi due aspetti sono tra loro correlati e concorrono a definire, a caratterizzare le diverse manifestazioni della responsabilità umana. C’è innanzitutto la responsabilità etica individuale, io sé. È una responsabilità che si lega alla coscienza. Ma c’è anche una responsabilità etica relazionale. Il rapporto io tu. E c’è poi una responsabilità etica ambientale. Si parla di etica individuale, di etica relazionale e di etica ambientale. Questi tre aspetti non abbracciano tutta la responsabilità dell’uomo. Nel senso che io non sono solamente responsabile del mio comportamento verso me stesso, verso il prossimo, verso l’ambiente. Non sono cioè responsabile soltanto di quello che faccio 44 direttamente. Sono responsabile anche di quello che faccio indirettamente, o in via mediata, attraverso le istituzioni e organizzazioni di cui faccio parte. Ecco allora che l’etica individuale, relazionale, ambientale, interagisce e si completa nell’etica sociale. L’etica sociale si occupa della responsabilità circa il modo di ordinare, strutturare le istituzioni della convivenza sociale. Le istituzioni condizionano la parità etica del rapporto io sé, io tu voi, io noi e l’ambiente. Il manager potrebbe portare avanti rapporti di cooperazione e rispetto, ma se la struttura è autoritaria, competitiva, questo manager non riesce. Oggetto dell’etica sociale sono le istituzioni umane, in quanto prodotte dalla libertà dell’uomo. Quindi le istituzioni umane sottostanno o devono sottostare alla loro comune responsabilità. Le istituzioni sono modelli più o meno duraturi di relazioni umane, presentano delle regolarità, delle uniformità, delle norme, delle procedure. Ben difficilmente il singolo da solo può cambiare le istituzioni. Però, le istituzioni sono opera dell’uomo, e quindi possono essere modificate e trasformate attraverso l’azione collettiva. attraverso la politica e attraverso la democrazia. Siamo quindi arrivati alla soglia del rapporto tra ETICA ED ECONOMIA. Ci siamo arrivati gradatamente. Il passaggio è stato il concetto di etica sociale, etica delle istituzioni. Parliamo ora di rapporto tra etica ed economia. Le posizioni, gli atteggiamenti, gli orientamenti, rispetto a questa tematica sono molteplici. Vediamo di classificare un pochino gli orientamenti di fronte a questa problematica, in maniera il più possibile semplificata. 1) Il primo orientamento afferma che l’economia è autonoma, è indipendente dall’etica. Molti coloro che affermano la neutralità etica della scienza economica. È amorale la scienza economica. Motivano, questo loro atteggiamento affermando: la razionalità economica e la razionalità etica si caratterizzano, si pongono, su due piani diversi, caratterizzano due modi diversi dell’agire umano. La razionalità economica deve rispondere a delle leggi oggettive, che la scienza economica deve scoprire e che l’agire economico dell’imprenditore, del mangaer del ministro dell’economia deve rispettare ed applicare. Sono leggi che devono essere applicate dal governo, dall’economia. Quindi, in quest’ottica, l’economia è un ordinamento sui generis, che ha le proprie basi in sé stessa. L’economia, cioè, spiega l’economia. Deve seguire le proprie leggi. Questa impostazione non nega il valore, l’importanza della dimensione etica. Però dice: questa dimensione può intervenire soltanto a posteriori, come correttivo estrinseco di eventuali distorsioni create dall’agire economico. 45 L’agire economico è intrinsecamente tenuto a rispettare i suoi meccanismi oggettivi. Se poi in questi meccanismi oggettivi si trovano qualche danno, qualche male o a sofferenza, l’etica può intervenire a posteriori, usiamo l’espressione figurata come una pietosa infermiera. 2) Un secondo orientamento, che fa riferimento alla storia del pensiero economico, dice questo. L’economia non è eticamente neutrale, non è amorale. L’economia si iscrive nella prospettiva dell’utilitarismo morale. L’utilitarismo morale afferma che la ricerca dell’utile individuale si risolve grazie alla mano invisibile del mercato nell’utile collettivo, nel benessere sociale. Anche qui, una espressione figurata: potremmo dire che grazie alla mano invisibile del mercato, le passioni private diventano pubbliche. Perseguire il proprio tornaconto, utile individuale, fa sì che l’utile collettivo venga raggiunto. 3) Terzo orientamento. Dice questo: razionalità economica e razionalità etica sono distinte. Sono due cose che hanno la oro specificità. Però, la razionalità economica e la razionalità etica sono unite nella persona che agisce. Sono unite nell’agire umano della persona. Ogni forma dell’agire dell’uomo, deve essere umano. Agire dell’uomo per l’uomo. L’humanitas è una dimensione intrinseca di ogni attività, pur nella non specificità della materia. Due cose diverse ma che si unificano nell’agire della persona. 4) Quarto orientamento afferma, ed è quello a cui facciamo riferimento, che l’etica è connaturata, è intrinseca, è correlata alla razionalità economica. Ciò perché la dimensione morale è all’interno di tutti i gradi dell’agire umano. Ogni forma di attività umana è un agire dell’uomo, per l’uomo tra gli uomini. Questo è, essenzialmente, il fondamento dell’etica. Come si è arrivati a questo quarto orientamento? Etica intrinseca correlata alla razionalità economica. Intensità del legame a seconda delle situazioni. Oggi è abbastanza condivisa, non da tutti ma da un certo numero di soggetti, la necessità di un dialogo tra l’economia e l’etica. La necessità di una correlazione, la necessità di un confronto tra economia ed etica. Vi presento Bassetti, sta facendo esperienze di Etica e responsabilità sociale di impresa, ma questo ve lo racconterà in un altro intervento. Oggi ci invita al salone della responsabilità sociale, che si terrà venerdì prossimo. ETIC LAB Buongiorno a tutti, grazie per la presentazione e il tempo e lo spazio che dedicate a me e alla associazione che rappresento in questo momento. Etic lab è una associazione di imprese, un progetto in cui confluiscono aziende e soggetti economici variegati tra loro. Parliamo di soggetti economici profit e non profit, enti territoriale. È una associazione che nasce nel 2009 e diventa associazione nel 2010. Nel 2010 ci siamo dati la forma di associazione, e di conseguenza un proprio statuto, una propria carta di valori e quote societarie. 46 È una entità che è nata dal basso. In che senso? È nata dalla volontà degli imprenditori. Spesso queste sono esperienze che si sviluppo con iniziativa delle istituzioni. In questo caso non è stato così. È stata volontà delle imprese che si sono trovate a condividere da una parte i valori e dall’altra l’esigenza di migliorare e rendere più fattibili le politiche all’interno delle proprie azioni. Ha posizioni conosciute, ci sono corsi di formazione, che partono dalla camera di commercio. C’è un corso di informazione finanziario svolto da alcune persone. Però, la sua funzione per coloro che partecipavano doveva essere l’inizio di qualcos’altro. Incominciare a lavorare assieme. Oggi l’associazione è non grandissima, ci sono 22 associati attualmente. Il focus su cui si concentra è la responsabilità sociale d’impresa. Tra l’altro, è molto diversa dalle altre. Passiamo dalla consulenza, consulenza finanziaria, produzione di beni di altro consumo, al mondo della cura della persona, dell’ambiente. Mondo molto variegato accomunato da un tema specifico. Da quando l’associazione è nata ha pensato, già dal 2009, di creare un evento pubblico per aprirsi al territorio, per accogliere il territorio. Una volta all’anno gli associati si incontrano per la realizzazione di un evento nella città. Soggetti economici che avessero la possibilità di affacciarsi al mondo dell’impresa, e altri soggetti che erano già attivi ma che volevano fare dei percorsi di sviluppo sostenibile. L’anno scorso gli organizzatori del salone della responsabilità sociale ci hanno chiesto se è fattibile far confluire quella giornata di Etic club all’interno del palinsesto del salone nazionale. Molti hanno aderito a questa proposta, iniziativa. Dall’anno scorso si inserisce nel contesto del salone della responsabilità sociale. Oggi, questo salone, questo momento di organizzazione e confronto è veramente unico. E si conclude a ottobre con l’incontro che si terrà a Milano alla Bocconi. Abbiamo qua una bozza del programma. Il salone di Genova, come diceva il professor Caselli sarà il 18 marzo al palazzo della Meridiana e, la sua struttura, sarà una struttura in cui tutti coloro che parteciperanno saranno registrati. Poi ci sarà una riunione in cui per la volontà degli associati, in cui si affronterà il tema dell’Enciclica Laudato Si’, legata a problematiche ambientali e sociali. Poi ci sono tre tavoli monotematici al mattino e pomeriggio. I temi sono molteplici e disparati: si passa dal territorio, per cercare di rilanciare il turismo, le imprese come soggetto attivo nel territorio, apparentemente non facenti parti di nodi territoriali. Vorrei approfittare per dire perché io, e molti dei miei colleghi, siamo imprenditori. Credo sia importante la vostra partecipazione perché, fondamentalmente, si parlerà della società futura. Voi sarete manager delle aziende nelle quali lavorerete, e manager nelle aziende che costruirete voi stessi. Siccome è una opportunità per il futuro, penso che i temi ambientali e sociali possano non essere avvicinati e applicati nelle politiche territoriali ed economiche, ma sono importanti per le strategie. È molto diverso agire su una azienda, una impresa che è costruita, che si muove su logiche tecniche, legata esclusivamente alla massimizzazione del profitto e non capire le politiche di responsabilità sociale, l’ambiente, e far sì che le persone che ci lavorano dentro siano già affermate e pronte di lavorarci. Questo è il motivo per cui è importante partecipare, ci saranno molti temi. Si entra in mondi particolari, che oggi 47 non conosciamo. Ha importanza perché ci dà la percezione di quanto i modelli di sviluppo siano oggetto del corso che seguite col professor Caselli, siano importanti. Io vi ringrazio, e dico una cosa che fa riferimento al programma. Qua è cartaceo, ma se guardate www.eticlab.org lo trovate online. Sempre da li potete accedere al link per la registrazione preventiva. Questo è quello che vi volevo dire per il tempo che mi avete dedicato, vi ringrazio insieme al professor Caselli. LEZIONE 6 15/3/2016 Vi ricordo venerdì il salone, può essere una esperienza interessante. Mi raccomando in modo particolare lunedì l’incontro col magistrato della Corte di Cassazione. Vi ho distribuito il suo scritto, vi invito a proporgli una serie di domande, anche scomode, circa lo stato della giustizia nel nostro paese, la situazione della legalità, e così via. Abbiamo affrontato il tema dei rapporti tra ETICA ED ECONOMIA. Riepilogo i 4 orientamenti. 1. Il primo orientamento. Razionalità etica, razionalità economica si pongono su piani diversi. La razionalità economica ha delle proprie leggi oggettive che la scienza deve scoprire e l’operatore economico deve applicare. A questa fattispecie viene riconosciuto un ruolo a posteriori per rimediare ad eventuali guasti prodotti dalla razionalità economica. Espressione pietosa infermiera, per memorizzare. 2. Il secondo orientamento. Si inserisce nella storia del pensiero economica. Utilitarismo morale per cui il perseguimento del proprio tornaconto, grazie al ruolo della mano invisibile del mercato, si traduce poi in un benessere collettivo. Per memorizzare, ci chiediamo se dai vizi privati possono derivare pubbliche virtù. 3. Il terzo orientamento. Parte dall’assunto parte dal fatto che razionalità economica ed etica sono distinte, ma sono unite nell’ambito della persona che agisce. 4. Il quarto orientamento. È un orientamento che riconosce che tra etica ed economia vi sono dei legami, delle correlazioni. Arriva ad affermare che l’etica è intrinseca e connaturata all’economia. Proprio perché l’economia è una scienza umana e l’agire dell’uomo per l’uomo. 48 Perché quest’ultima impostazione si pone oggi con particolare evidenza e attenzione? È da molti riconosciuta la necessità di un dialogo tra economia ed etica. Si avverte la necessità di una correlazione, di un confronto, anche perché si è sempre più consapevoli deli limiti che la razionalità economica dominante oggi presenta. Nel senso, cioè, che i fondamenti, i paradigmi della scienza economica ufficiale, il tornaconto che oggi è perseguito su orizzonti temporali sempre più brevi, e il darwinismo sociale per cui i più forti devono vincere e prendere tutto, sono incapaci di far fronte ai problemi che caratterizzano il tempo che stiamo vivendo. Sono incapaci di far fronte alle questioni sul tappeto: dalla crisi ecologica, alla crescita delle diseguaglianze, ai rapporti nord sud, alla povertà, alla problematica delle generazioni future. La constatazione di questi problemi porta inevitabilmente a ripensare i nostri modelli economici, i nostri sistemi economici, le logiche che le contraddistinguono, le dinamiche, i fondamenti di questi sistemi economici. E quindi, sempre più ci si rende conto della necessità di un salto di qualità nella produzione e nella distribuzione della ricchezza, intesa in senso alto. Produzione e distribuzione di assumere in termini contestuali. Forse, nel passato, ci si poteva illudere: produciamo la ricchezza nella maggiore quantità possibile, poi procediamo alla sua distribuzione la più equa possibile. Questa logica non ha funzionato. Produzione e distribuzione della ricchezza devono essere assunti in termini contestuali. Questo anche nel convincimento che la scienza economica non è una scienza fisica, non è una scienza naturale, ma è una scienza sociale, una scienza umana. Proprio perché scienza umana e sociale, le istanze etiche acquisiscono un ruolo decisivo, entrano dentro la razionalità economica e si confrontano con le caratteristiche dello sviluppo. Quindi, la razionalità economica non può essere assolutizzata, deve essere relativizzata. Però attenzione: anche la razionalità etica chiede di essere vista non in termini astratti, generici, enfatici. La razionalità etica chiede anch’essa di essere contestualizzata. Cosa intendo? Intendo che i valori, i principi etici, che ieri ne abbiamo fatto un elenco con riferimento al gruppo Brembo, da soli sono insufficienti ad orientare il comportamento sociale, il comportamento economico. Non basta cioè enunciare i principi, o scriverli sulla carta anche se devono essere scritti, e men che meno debbono essere proclamati enfaticamente. I valori, i principi, devono essere incarnati in maniera efficace nei diversi ambiti in cui si esplica l’attività umana. Incarnare i principi e i valori dei diversi ambiti nei diversi contesti nella vita economica, sociale, culturale, ti costringe anche a tener conto dei vincoli, dei condizionamenti, delle possibilità, delle prospettive. Ed è proprio in quest’ambito che affermiamo l’importanza dell’etica della responsabilità, su cui ci siamo soffermati in particolare responsabilità verso la natura, che è anche responsabilità verso l’umanità. Nell’etica della responsabilità, la fedeltà ai valori: libertà, giustizia, solidarietà, bellezza avevo anche aggiunto, deve combinarsi, deve saper fare i conti con la concretezza storica. Nnon rinchiudersi nella concretezza storica perché allora si finirebbe per ratificare lo status quo, ma partendo dalla concretezza storica, 49 l’esigenza di andare avanti, di andare oltre, nella prospettiva di un bene comune il più ampio possibile. Nella nostra impostazione, in termini generali e specifici, razionalità economica e razionalità etica non sono contrapposte, non sono antitetiche. Possono integrarsi reciprocamente in maniera feconda. La razionalità economica rinvia alla superiore razionalità etica, perché l’etica è il referente decisivo, è garanzia di umanizzazione. Ma, d’altro canto, lo ripeto, la razionalità etica ha bisogno della razionalità economica come garanzia della sua operatività concreta. Per memorizzare, usiamo questa affermazione ad effetto: il bene deve essere fatto bene e la solidarietà deve essere efficiente. Continuando, in questo ordine di riflessioni, diciamo che ogni società, indipendentemente dal suo grado di sviluppo o dalla sua struttura socio economica, è posta di fronte a tre problemi fondamentali relativi al suo ordinamento. Tre problemi fondamentali. 1. Cosa produrre? 2. Come produrre? 3. Per chi produrre? È su questi terreni si giocano i rapporti tra etica ed economia. 1. Il primo interrogativo. Cosa deve produrre l’economia? Dei beni di consumo? Dei beni di investimento? Dei servizi? Dei beni per scopi militari? Dei beni privati? Dei beni pubblici? E quindi, a quali beni e servizi dare la priorità? Sono tutti interrogativi che si legano al cosa produrre. 2. La seconda questione. Come deve produrre l’economia? Come? In che rapporto? Con quali modalità impiegare i fattori della produzione? Dalla terra, alle materie prime, alle energie, al lavoro, al capitale, all’imprenditorialità, alla tecnologia. Come combinarli? Non esiste un’unica funzione di produzione, per usare l’espressione della microeconomia. La teoria neoclassica vi dice che puoi essere felice e contento quando realizzi l’uguaglianza delle produttività marginali dei fattori impiegati. Vi spiegano questo, in microeconomia. Però, un conto è la produttività di un’ora di lavoro di un uomo libero, un conto è la produttività di un’ora di lavoro di uno schiavo. In oggi, gli schiavi nel mondo sono circa 300/400 milioni. 3. La terza questione. Per chi deve produrre l’economia? Chi, alla fine, trarrà vantaggio dai beni e dai servizi prodotti? Gli investitori? I produttori? I consumatori? E soprattutto: il prodotto sociale, come deve essere ripartito tra i membri della società? Come? In base alle prestazioni? Ho lavorato tre ore mi devi un compenso di tre ore. O in base ai bisogni? Ho fame. O in base alle posizioni di forza? Io comando e me le prendo io. Sono tre possibili modi di risolvere la questione della ripartizione del prodotto sociale: prestazioni, bisogni, rapporti di forza. 50 Allora, da questo punto di vista, possiamo accettare vistose diseguaglianze economiche nella ripartizione dei redditi e dei patrimoni? Pensiamo all’opera dell’economista francese proprio sulle diseguaglianze a livello di patrimoni, di capitale, libro che è stato tra i più citati al mondo in questo tempo. Possiamo accettare queste vistose diseguaglianze che stanno crescendo, oppure dobbiamo perseguire nella misura massima possibili obiettivi di uguaglianza? Ebbene, è di tutta evidenza che questi interrogativi: cosa produrre, come produrre e per chi produrre, sono contemporaneamente interrogativi economici ed interrogativi etici. Quindi, concetti come efficienza, come produttività, non sono mai neutrali, non sono mai oggettivi, assoluti. A questo proposito, faccio un esempio scolastico, che è stato usato in altre sedi universitarie. Proprio per mettere in evidenza la non neutralità del rapporto mezzi fini, per mettere in evidenza la non neutralità del concetto di efficienza. L’esempio è questo. Ci troviamo in un ospedale del centro Africa, un posto da sfigati, insomma. Un medico possiede 10 fiale salva vita. La sua dotazione di risorse è 10 fiale salva vita. È una risorsa scarsa, ne deve fare un uso efficiente. Ecco che arrivano due ambulanze con dieci malati ciascuno. Si pone, per il nostro medico, il problema della scelta ottimale, della scelta efficiente. Dieci fiale: due ambulanze con 10 persone ciascuno. Al medico viene fornita questa prima informazione: nella prima ambulanza ci sono 10 malati, con una probabilità di sopravvivenza del 100% se assumono la fiala. Nella seconda ambulanza, ci sono dieci malati con una probabilità di sopravvivenza del 50% se assumono la fiala. Chiediamoci, qual è per questo medico, la scelta ottimale? La scelta efficiente? A chi dare le fiale? Con la logica dell’efficienza oggettiva. La risposta sembra ai malati della prima ambulanza, sopravvivono tutti. Il rapporto di efficienza, mettiamo a denominatore la risorsa 10 fiale, a numeratore mettiamo i successi, tutti e dieci si salvano, dieci su dieci fa 1, un indice di efficienza pari a 1. Nel secondo caso la probabilità di sopravvivenza è del 50%, a denominatore dieci le risorse, a denominatore, a numeratore i successi che sono 5. La probabilità di sopravvivenza è del 50%. 5/10 fa 0,5. La scelta efficiente è la prima. Adesso, al medico viene fornita una seconda informazione. Nella prima ambulanza ci sono persone anziane, che hanno una speranza di vita di 10 anni; nella seconda ambulanza, ci sono persone giovani che hanno una speranza di vita di 50 anni. Chiediamoci: qual è, sulla base di questa seconda informazione, la scelta efficiente? A denominatore abbiamo sempre le risorse 10, a numeratore i successi, che sono gli anni di sopravvivenza, nella prima ambulanza 10 sopravvivono per dieci anni, 10 per dieci fa 100, 100 diviso 10, fa dieci, l’indice di efficienza è 10. Nella seconda ambulanza, abbiamo dieci persone con probabilità di sopravvivenza del 50% ma con una aspettativa di vita di 50 anni. Sopravvivono 5 ma questi 5 vivono ciascuno 50 anni. 5x50 fa 250. 250 diviso 10, indice di efficienza 25. Conseguentemente, la scelta efficiente è do le fiale alla seconda ambulanza. Adesso arriva una terza informazione. Il vaccino è a pagamento. È allora presumibile che gli anziani abbiano i soldi per pagare la medicina e non i giovani. La scelta 51 efficiente, in questa fattispecie, che consiste nella massimizzazione del profitto: il medico è vincolato: le fiale vengono date alla prima ambulanza. Facciamo ancora un esempio numerico di questo tipo. Si trovano anche nei manuali di economia, forse di altri paesi. Per capire anche il senso della gratuità nella logica economica. Siamo in un paese asiatico, dove ci sono i cammelli. C’è il vecchio che possiede 11 cammelli. Arrivato, sentendosi prossimo alla fine della vita, è molto vecchio, si preoccupa di dividere i cammelli fra i suoi tre figli. E dice; il più vecchio si prende la metà dei cammelli. Il secondo prende ¼ e il terzo prende 1/6. I cammelli sono 11. Potete immaginare cosa succede tra i figli. Ammazziamo un cammello, lo dividiamo, ne facciamo bistecche? Supponendo che siano mangiabili, le bistecche di cammello. Ecco allora che passa un cameriere e dice e dice non arriviamo a questo punto, aggiungiamo un cammello. I cammelli diventano 12. Adesso i conti li possiamo fare! Il figlio più vecchio prende la metà dei cammelli, quindi se ne prende 6, il secondo ¼, quindi se ne prende 3. Il piccolino, si prende 1/6 dei cammelli, 2. Poi fanno i conti: 6 più 3 più 2 ohibò, fa 11, e il cameriere si riprende il cammello che aveva regalato. Tra parentesi, come comunicazione di servizio, il discorso del Film. Varrebbe la pena. Io ho letto, recentemente, una recensione su Aggiornamenti Sociali, del film; la grande scommessa. Io dividerei, qualcuno di voi, due o tre, a cercare il DVD della grande scommessa, vedere dove è. Mi dite quanto costa, e provvedo. Questi se lo vedono un attimino, in modo da presentarlo ai colleghi e di aprire poi una discussione dopo averlo visto. Ero rimasto sul Gioiellino che a me era piaciuto tantissimo. Letta la recensione e l’attualità della grande scommessa, sulla Grande Scommessa, se due o tre si candidano, riusciamo a fare una bella esperienza. Si può imparare, apprendere in tanti modi: non soltanto sentendo lezioni, studiando sui libri e le dispense, ma anche mettendo in campo tutti i sensi. Non a caso, le nuove tecnologie, la robotica porta avanti il discorso della conoscenza, in termini di vista e udito, e nell’ambito dei magazzini Amazon, anche l’olfatto: questo senso utilizzato per innescare processi di apprendimento. Vedere un film credo che ci possa arricchire per il dibattito e le posizioni reciproche. Il problema è che è uscito da poco, non esiste ancora il DVD. Se non ci si riesce, possiamo ripiegare su il Gioiellino. Adesso procediamo con ulteriori approfondimenti. Esaminiamo adesso gli approcci per stabilire ciò che buono e giusto. Nell’ambito di un contesto di pluralismo etico, è evidente che gli approcci per stabilire ciò che è buono e giusto sono molteplici. Ne passiamo in rassegna 7, mettendo in evidenza gli aspetti fondamentali. 52 1) Il primo approccio. Approccio utilitaristico. Imperniato sulla massima: il maggior bene, la maggiore utilità per il maggiore numero di individui. Questo principio può avere due varianti: massimizzazione della somma delle utilità, oppure massimizzazione della media delle utilità. Il più largamente utilizzato è il concetto di massimizzazione della somma delle utilità. In questo approccio, la distribuzione della ricchezza è giusta se realizza la massima soddisfazione delle preferenze individuali. Minimizza, quindi, l’area della frustrazione, dell’insoddisfazione. È quindi evidente che l’approccio utilitaristico, l’utilitarismo parte da presupposti rigorosamente individualistici: l’utile del singolo soggetto. In questo approccio la massimizzazione dell’utilità complessiva, la massimizzatone della somma delle utilità individuali è compatibile con le diseguaglianze. Importante è che la somma sia la massima possibile. Se poi un soggetto ha utilità 100, un altro utilità 5, un altro ancora utilità 0, non importa. Ciò che importa è la massimizzazione della somma delle utilità. Questo è il primo approccio dell’utilitarismo. Questo approccio, lo possiamo anche così precisare o sintetizzare: è buono ciò che è utile. Agisce bene chi massimizza la propria utilità, o il proprio piacere, se vogliamo usare l’espressione di un economista classico. Il benessere collettivo deriva dalla sommatoria dei singoli livelli di benesseri individuali. Questa impostazione si collega con il concetto di ottimo paretiano, che avete studiato in microeconomica. Il principio dell’ottimo paretiano suona così: una situazione è efficiente se non è possibile migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare il benessere di un altro. La situazione dei nostri malati del centro Africa rispondeva proprio ad una situazione di ottimo paretiano. Questa impostazione tralasci ogni questione di equità distributiva. Anzi, uno stato di efficienza con forti diseguagliane è preferibile ad uno stato meno efficiente ma più equo. 2) Il secondo approccio. Libertalismo. Questo approccio è imperniato sulla massimizzazione della libertà individuale. Libertà individuale intesa come esercizio sovrano nella scelta soggettiva all’interno di un quadro coerente di diritti, che permettono questa libertà di scelta. In questa impostazione, gli individui sono “proprietari di sé” e qui sta il fondamento della loro dignità: io sono padrone di me stesso. Perciò, deve essere riconosciuta, a ciascun individuo, la possibilità di fare ciò che desidera con ciò che possiede. La società è giusta se tutela questa libertà. Tutela questa libertà tramite specifici diritti di libertà, di proprietà, astenendosi da ogni forma di coercizione della libertà individuale, salvo quella che serve a proteggere il diritto di proprietà. 3) Terzo approccio. Approccio marxiano. La concezione marxiana della giustizia è opposta quella liberitaria. L’approccio marxiano poggia sul principio che occorre garantire il massimo dell’uguaglianza eliminando, alla radice, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sfruttamento che Marx collegava alla proprietà privata dei 53 mezzi di produzione. Nell’impostazione marxiana la società è giusta se ottiene da ciascuno secondo le sue capacità e dà a ciascuno secondo i suoi bisogni. Si tratta di vedere se nelle applicazioni pratiche questo approccio è stato realizzato. 4) Quarto approccio. Approccio neo contrattualistico. Al contrattualismo abbiamo già fatto qualche riferimento nelle lezioni precedenti, ci si mette d’accordo. Qui dobbiamo essere un pochino più precisi. La comunità morale è fatta di soggetti che sono capaci di negoziazione, che sono capaci di mettersi d’accordo. Viviamo in una società che si caratterizza per il pluralismo etico, ovvero che si caratterizza per il pluralismo dei valori, opinioni, dei concetti di bene, e anche un pluralismo di linguaggi. Quindi, molti ritengono che sia oggi difficile mettersi d’accordo su valori e su principi comuni. Un esempio non riguarda l’economia, ma un tema di attualità: il tema di famiglia, di convivenza, i principi e i valori in campo sono molto diversi, distanti, per cui è difficile condividerli nella loro globalità. È difficile mettersi d’accordo su valori e principi comuni. L’unica strada possibile è mettersi d’accordo su regole comuni che permettano di vivere insieme. Ci si mette d’accordo sui modi ma non sui contenuti del bene. In ordine ai contenuti del bene ognuno ha le sue opinioni. Ci mettiamo d’accordo sui modi con cui cerchiamo di fare il bene, a partire da ciò in cui ognuno di noi crede. Nell’approccio neo contrattualistico si tratta di stabilire, di definire, così si dice, una grammatica minima di tipo procedurale. Una grammatica minima di tipo procedurale che si limita a stabilire dei metodi e delle procedure. In quest’ottica, evidentemente, occorre tolleranza, occorre evitare imposizioni e quindi sulle regole e sulle procedure cercare di costruire il consenso più ampio possibile. Proprio in questo approccio del neo contrattualismo, occorre distinguere tra etica pubblica ed etica privata. o Etica privata: ognuno fa quello che vuole, purché non interferisca con la vita degli altri. o Etica pubblica: dobbiamo metterci d’accordo sulle procedure e per il rispetto reciproco. 5) Quinto approccio. Approccio di grande importanza, dal punto di vista scientifico metodologico.. Approccio dell’egualitarismo liberale, che è fondato sulla teoria della giustizia, uno dei massimi filosofi del nostro tempo John Rolts. Nell’approccio utilitaristico è buono ciò che è utile. In questo approccio è buono ciò che è giusto. È buono ciò che è utile, ora è buono ciò che è giusto. Nel libertario è buono ciò che è libero, in quello marxiano è buono ciò che è uguale, contrattualista è buono ciò che contrattiamo. Qui è buono ciò che è giusto. Quali sono i fondamenti della teoria della giustizia di Rolts? o Ciascun individuo deve possedere un eguale diritto ad una libertà di base la più ampia possibile, compatibile con altrettanta libertà per gli altri. È, per Rolts, il principio di eguale libertà. 54 o Le diseguaglianze. In questa giustizia teoria della giustizia di eguale libertà, come vanno considerate le diseguaglianze nella distribuzione dei beni sociali? Rolts dice: le diseguaglianze nella distribuzione dei beni sociali sono accettabili soltanto se: 1) sono connesse a posizioni di valore, di prestigio, di preminenza, di merito accessibili a tutti. È il principio di equa distribuzione delle opportunità. Tutti hanno pari opportunità per ascendere nella scala sociale. Allora se è garantito questo, le diseguaglianze delle distribuzioni dei beni sociali sono accettabili. Tutti possono accedere alla scala sociale. 2) se le diseguaglianze sono volte al massimo vantaggio dei meno favoriti. È quello che Rolts chiama: principio di differenza. Le differenze sono accettabili se sono volte al massimo vantaggio dei meno favoriti. Si tratta, di massimizzare la condizione di chi sta peggio. È il principio, anche nella teoria dei giochi, del maxi min. In questo modo, si ottiene secondo Rolts, un livello più alto di efficienza, poiché il vantaggio che chi sta peggio ottiene da una data dotazione di risorse, è superiore al vantaggio che dalla stessa dotazione di risorse otterrebbe chi sta meglio. È un giro di parole che uno non lo capisce immediatamente. L’esempio terra a terra aiuta a capire. 100 euro dati al giovane creativo sono sicuramente più produttivi dei 100 euro dati a Marchionne. Principio di differenza significa: accettiamo le diseguaglianze se le mie risorse vengono reinvestite per creare benessere per tutti. Risorse in senso ampio: intelligenza, conoscenza, e così via. 6) Sesto approccio. Approccio delle capacità. Sen Nausbaumm dicono, nel termine inglese: Capabilities. Alcuni studiosi hanno tradotto il termine con capacitazione. Cosa dice questo approccio? Approccio che è stato portato avanti da Sen e dalla filosofa Nusbaumm docente di Low and Ethics all’università di Chicago. Il libro a cui faccio riferimento si chiama: “Creare capacità, liberarsi dalla dittatura del PIL”. Su questa strada l’Italia si trova all’avanguardia con gli studi fatti dall’ Istat e Censis in termini di benessere equo e sostenibile. Farò poi un cenno nelle prossime lezioni. Sen e Nusbaumm partono da questa constatazione: il PIL dà una misura parziale e anche fuorviante del benessere della collettività. Gli esempi che vengono portati sono: se aumentano gli incidenti stradali o sul lavoro il PIL aumenta. Diminuiscono gli incidenti, il PIL diminuisce. Il PIL misura in maniera parziale e anche fuorviante il benessere. Ciò che conta è la qualità della vita. Ebbene, Sen e Nausabum legano la qualità della vita al concetto di capacità. Capacità è ciò che ogni persona può essere e può fare. Attenzione la distinzione è importante. Ciò che ogni persona può essere e può fare. Si dice: la persona non è un mezzo ma un fine, questo lo diceva anche Kant. Per essere un fine la persona deve essere libera, e deve quindi poter scegliere in ordine alle proprie realizzazioni. Le capacità consistono nella libertà sostanziale, ovvero in uni insieme di opportunità di scegliere e agire. Precisando meglio: non è sufficiente essere 55 potenzialmente in grado di fare qualcosa, se poi non ci sono le condizioni economiche, sociali, istituzionali, per realizzare ciò che sono in grado di fare. Capacità e agibilità devono stare insieme. Quindi la crescita dei beni e dei servizi non è fine a sé stessa, ma deve essere un qualcosa che permette alle persone di realizzare i propri progetti. Allora, in quest’ordine di idee Sen e Nusbaumm fanno questa distinzione metodologica: distinguono tra capacità interne e combinate. o Capacità interne: l’ambiente, il contesto, la società, le istituzioni, mi mettono in grado di saper scegliere. L’istruzione, appunto, mi fornisce delle competenze, delle abilità, che caratterizzano la mia capacità di scelta. Le potremmo chiamare, in maniera più comprensibile, capacità potenziali. o Non basta. Ecco allora le capacità combinate. L’ambiente, il contesto, devono consentirmi di poter scegliere effettivamente, cioè di mettere a frutto le mie capacità interne, le mie capacità potenziali. Dicono gli autori: le capacità interne devono poter funzionare. Se le prime le chiamiamo capacità potenziali, le potenziate le chiamiamo capacitò effettive. L’istruzione mi aiuta a saper scegliere, ma il contesto deve creare le condizioni affinché io possa scegliere un lavoro adeguato, e svolgere questo lavoro adeguato. Per Sen e Nausbaumm ci sono delle capacità che l’ordinamento dovrebbe garantire a tutti i cittadini, per una buona qualità di vita. Queste capacità gli autori le chiamano: capacità centrali. Leggiamo direttamente quali sono queste capacità centrali che dovrebbero essere garantite a tutti: sono dieci. 1. Vita. Avere la possibilità di vivere fino alla fine una vita di normale durata, non morire prematuramente o prima che la propria vita sia diventata indegna di essere vissuta. 2. Salute fisica. Poter godere di buona salute compresa una sana riproduzione. Poter essere adeguatamente nutriti e avere e una abitazione adeguata. 3. Integrità fisica. Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all’altro, (quindi poter andare anche a Bolzaneto di sera, insomma!) di essere protetti contro aggressioni, comprese la violenza sessuale e domestica, avere la possibilità di poter godere del piacere sessuale e scelte in campo riproduttivo. 4. Sensi, immaginazione e pensiero. Poter usare i propri sensi, poter immaginare, pensare e ragionare, avendo la possibilità di farlo in modo veramente umano. Essere in grado di usare l’immaginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza, poter usare la propria mente tutelati dalla garanzia di libertà di espressione rispetto al discorso politico artistico e di culto. Poter fare esperienze piacevoli ed evitare dolori inutili. 56 5. Sentimenti. Poter provare attaccamento per persone e cose, oltre che per noi stessi. Poter amare coloro che ci amano e che si curano di noi. Poter soffrire per la loro assenza. In generale: amare, soffrire, provare desideri, gratitudine e ira giustificata. Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie e paure. 6. Ragion pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene, e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita. 7. Appartenenza. Poter vivere con gli altri e per gli altri. Riconoscere e preoccuparsi per gli altri esseri umani. Essere in grado di immaginare la condizione altrui. Disporre delle basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati. Poter essere trattati come persone dignitose il cui valore eguaglia quello altrui. Questo implica tutela contro le discriminazioni in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta, etnia, origine nazionale. 8. Altre specie. Essere in grado di vivere in relazione degli animali, mediante e con il mondo della natura avendone cura. 9. Gioco. Poter ridere, giocare e godere di attività ricreative. 10.Controllo del proprio ambiente. Controllo dell’ambiente politico. Poter partecipare in modo efficace alle scelte politiche che governano la propria vita. Godere del diritto di partecipazione politica. Ambiente materiale: essere in grado di avere proprietà, sia terra che beni mobili, e godere del diritto di proprietà in modo uguali agli altri. Avere il diritto di cercare lavoro alla pari degli altri. Essere garantiti da perquisizioni o arresti non autorizzati. Sul lavoro essere in grado di lavorare in modo degno per un essere umano, esercitando la ragion pratica e stabilendo un rapporto significativo di mutuo riconoscimento. Se fossimo un’impresa potremmo anche dire nell’ambito della nostra organizzazione e strategie, le capacità individuali della Nausbaumm hanno applicazione. Molte aziende si muovono in questa direzione. Pensiamo a tutte le esperienze in tema di welfare aziendale, o di aziende ed anche istituzioni in cui le mamme possono portarsi i bimbi, anche perché c’è una sorta di asilo nido, ci sono delle persone, si parla di smart work, stare col proprio figlio, può lavorare a casa, sono tutti esperimenti che si stanno facendo, sulla base dei quali una azienda può costruire una propria immagine e anche un proprio vantaggio competitivo. Queste dieci capacità, la Nausmbaumm dice la società giusta e garantita, se i cittadini raggiungono un alto livello di capacità in tutti questi dieci ambiti, contesti. La Nusbaumm porta anche diversi esempi di quelle che lei chiama scelte tragiche o drammatiche. Non a caso ho fatto l’esempio della mamma. Lei nel libro porta questo esempio: la madre rinuncia alla realizzazione di sé nel lavoro per poter assistere figli piccoli e genitori anziani. Proprio su questo, sulla donna nell’impresa, le discriminazioni, quando avevo i 9 crediti lo sviluppavo. Se qualcuno ha preso il libro e vuole andare a vedere il capitolo sul 57 lavoro, c’è la parte che riguarda la donna e la famiglia e quindi la criticità della posizione della donna su questi temi. Il gap del nostro paese è: le donne dovrebbero lavorare di più e fare più figli. Lavorare di più perché il tasso di occupazione femminile è di 5 o 6 punti inferiore alla media. Fare più figli perché il tasso di natalità è modestissimo, ma come possibile se il lavoro è precario e se la baby sitter costa di più di quello che la mamma prende come remunerazione. Necessità di rimpostare lo stato sociale, welfare, sia a livello pubblico ma anche aziendale attraverso opportune contrattazioni. LEZIONE 7 21/3/2016 Oggi abbiamo l’incontro sulla legalità, dal titolo: “La legalità come servizio al bene comune” cui abbiamo distribuito un saggio su questa problematica, si possono fare domande, anche scomode, sulla giustizia nel nostro paese. Abbiamo anche concordato per fare oggi la presentazione dei risultati dei Valori e Disvalori sulla società italiana, indagine che è stata curata da alcuni di voi. Vediamo le risultanze. Le risultanze sono state stampate, vediamo che cosa è stato scoperto. Il nostro gruppo ha conteggiato i dati. Dovevamo indicare 5 valori e disvalori della nostra società. Per quanto riguarda i disvalori, possiamo dire che il prevalente è la corruzione. L’82% ha detto corruzione. Seguito da disonestà, egoismo e illegalità. A monte della valutazione abbiamo visto che sono in stretta relazione, abbiamo egoismo, illegalità. Per quanto riguarda i valori: meritocrazia. Molti giovani competenti si sentono scoraggiati davanti al fenomeno della corruzione. Stabilire i valori di onestà, rispetto, trasparenza e legalità, sono risposte positive ai valori prevalenti. Oltre all’elenco, ci sono state altre risposte. Abbiamo ritenuto necessario evidenziare la precarietà. Ci sembra interessante perché è un problema che non riguarda solo i giovani, ma anche gli adulti che si sentono privi di possibilità di lavoro e non in grado di fare progetti futuri. Abbiamo distinto le varie categorie di valori. Sono anche state calcolate le percentuali sui totali. Confrontando i dati, è stato possibile vedere l’andamento nel tempo. Per i disvalori prevalenti possiamo notare che i disvalori sono aumentati. Per spiegare i valori collettivi, a nostro avviso pensiamo che ci siano i valori personali: hanno una relazione diretta. Onestà, altruismo si traducono in senso positivo sulla giustizia, legalità, trasparenza. Inoltre, per quanto riguarda i valori personali sono spiegati dal fatto che oggi, le persone cercano di perseguirli. Purtroppo non abbiamo fatto una considerazione in quanto al genere. Non abbiamo potuto suddividere maschi e femmine. A conclusione, possiamo dire che sono importanti i valori a livello individuale. Relazione stretta tra valori personali e collettivi, che potrebbero avere un aspetto positivo. Riteniamo che ciò abbia degli effetti positivi. 58 ADRIANO PATTI Sono molto contento di essere oggi qui con voi. A me piace parlare ai giovani. So che siete giovani reattivi, il corso che frequentate col prof Caselli è uno che stimola, cerca anche di sorprendervi, ottenendo sempre risposte interessanti. Anche questo incontro può essere visto anche dal punto di vista di studenti universitari, ormai verso la fine, magistrali e state per affacciarvi al mondo del lavoro. Io sono qua per il tema della LEGALITA’, non esistono lezioni tradizionali. Ognuno di voi, sentendosi interpellato, dirà qualcosa. Dal nostro confronto nasceranno risposte interessanti. Ci sono degli aspetti in cui vorrei capire meglio. Tra i valori civili che avete messo come principali vedo che la giustizia è un valore obiettivo rispetto ad altri. Poi avete indicato trasparenza, sicurezza, solidarietà, partecipazione, tolleranza, sussidiarietà, hanno comunque un posto importante. Quello che più mi colpisce, è il primo posto è la meritocrazia. Mi piacerebbe sentire da voi cosa intendente e perché. Ho capito che l’avete messa in correlazione con la corruzione, che è una piaga enorme non solo nel nostro paese. Mi interesserebbe sapere perché la Meritocrazia è finita al primo posto? La meritocrazia è importante. Serve per addentrarci. La corruzione è una piaga. Ci sono stati dei segnali, molti sono riusciti a prendere voti alti, perché sono figli di qualcuno, personalmente non mi piace. I giovani devono essere anche cittadini onesti. Questo che ha detto Giulia, lo avete letto, sentito dire, o avete avuto un po’ di esperienza diretta nella vostra pelle? Qualcuno, magari nell’ambito degli stuti, che magari non proprio per meriti ha avuto percorsi agevolati? È un sentito dire o avete avuto esperienza di questo? La cosa funziona se ci confrontiamo. Francesca. Anche a lavorare. In tutti gli ambiti c’è la meritocrazia. No solo al lavoro, ma in classe: liceo, università, a lavorare. Per quanto uno si possa applicare, ci sono cose che vanno contro, questo si vede purtroppo nella vita quotidiana. Quindi si, avete fatto esperienza sulla vostra pelle, non basta soltanto impegnarsi per meritare. Questo vuol dire che c’è qualcuno che passa davanti o semplicemente perché lo sappiamo? A livello scolastico non è che uno passi avanti per nome. Giacomo ci ha detto una cosa un po’ diversa da quella di Francesca. Non è che passi avanti, ma, magari prende un voto che non si merita. 59 L’esperienza del mondo del lavoro, è qualcosa che vi arriva per sentito dire o l’avete provata? Io non l’ho provata ancora, ma si proverà a breve. Ho sentito dire già che ci sono queste cose. Sperò però di riuscire a farmi valere per quello che valgo. Mi sembra di capire che siate tutti sul piano di aver incentrato il vostro piano di studi sull’impegno, preparazione, competenza, e non ci sono vie traverse sul risultato da ottenere che non sul modo attraverso il quale arrivarci. Io però vorrei sottolineare che la meritocrazia, come riusciamo a tenerla insieme con quello che ci è stato detto, esaminando un po’ questi dati, che hanno detto che alla base dei valori civili ci sia una mancanza di valori personali dettata da una crescente attenzione alla realizzazione professionale e personale. Anche se questa può comportare mancanza di giudizi sulle persone che ci circondano. Mi sembra che ci sia una connotazione negativa che mi sembra essere coerenti con la attenzione alla meritocrazia. È chiara l’espressione? Primo valore civile la meritocrazia, siamo stufi della corruzione, siamo stanchi di tanti aspetti, anche nella nostra esperienza di studenti, crediamo di poter arrivare sulla base di competenze acquisite per quello che si vale e non per quello che si è, si conosce, sia un valore. Non c’è il pericolo che per arrivare a questo valore ci sia una forte concentrazione su quello che segnalate come un disvalore? Cioè l’’attenzione professionale e personale, anche se diventa meno importante. Cosa ne pensate? Io penso che questo crescente realizzarsi è dettato dal fatto che c’è un sistema in cui c’è la meritocrazia. Per forza di cose una persona ci gioca. Io credo nel sistema meritocratico. Ma essendo il sistema meritocratico, poi c’è chi a livello individuale ne approfitta. Io cerco di realizzarmi come posso, perché il sistema sennò non mi riconosce persona. Simone: secondo me al concetto di meritocrazia dobbiamo anteporre quello di equità. La meritocrazia si realizza se ognuno al meglio porta avanti il lavoro, gli studi. Nei paesi c’è mancanza di equità tra le parti. C’è chi ha troppo poco e non lo sfrutta, chi ha troppo poco e non lo sfrutta al meglio. Prima del sistema meritocratico, dovremmo prima cercare l’equità per gli individui. Siamo d’accordo con quello che è stato detto finora? C’è qualcuno che vuole completare ciò che ha detto? Osservazione di Roberto. Allo stesso modo, noi guardiamo questa cosa dal punto di vista di noi che non siamo agevolati. Proviamo a guardare dall’altro punto di vista, chi ha la scappatoia, chi passa davanti agli altri, forse è lui che deve rendersi conto. Se noi avessimo questa agevolazione, diremmo eh no, non ne voglio approfittare? Se io Roberto avessi la possibilità di prendere una scorciatoia, forse lo farei. Si cerca sempre di arrancare: se si trova una mano, un appiglio, perché no? È il sistema. Non ho capito se si dice in modo provocatorio, o è così. È un problema difficilmente risolvibile perché la controparte agevolata dice no, non voglio essere agevolata. Sono venute fuori delle cose: equità, l’arrangiarsi, 60 Marco: nella società italiana ci sono caratteristiche particolari della nostra cultura, belli e brutta, compresa la meritocrazia. È anche vero che nella società ci sono relazioni connaturate. L’amicizia, il valore, sono poco diffusi. Se facessimo l’analisi in altri paesi, avremmo risultati diversi. È anche una cosa naturale. Cosa vuol dire, che ci dobbiamo rassegnare a questo? No, bisognerà sicuramente combattere questi effetti negativi, ma è una cosa lenta e difficile in questa società. Però, vedo, anche nei sondaggi fatti, che vi è molta volontà di ribellarsi a questo sistema. Voi dentro questo sistema state dentro, o provate qualche reazione? Vi indignate? L’indignazione è una cosa che si è molto persa oggi. Andrebbe un po’ recuperata ma cosa vuol dire ci indigniamo? È così? Ci indigniamo solo davanti al computer o no? Qualcuno si indigna ogni tanto? Fatemi esempi di indignazione che vi capita di avere, non pensate a cose grandi. L’unica vostra partecipazione alla società è lo schermo? Youtube, mezzo di comunicazione, o conoscete qualche altra forma? A parte lo schermo, anche a livello lavorativo, io quello che ho notato è che le persone si indignano, ma nessuno ha la volontà di esporsi. Le persone si indignano, parlano, e poi? Non c’è mai nessuno che va ad affrontare il problema reale. Per esporsi, che cosa ci vuole? CORAGGIO. Vediamo dove avete messo coraggio? Al sesto posto, dietro all’onestà, impegno, ambizione, alla coerenza e competenza. E si arriva al coraggio. Indignazione e coraggio sono due cose che si tengono insieme. Mi sembra che sia Sant’Agostino, che dovendo spiegare cosa è la speranza? Ha detto ha due termini una minimo e uno massimo. Uno è l’indignazione, l’altro è il coraggio. Noi la speranza, molte volte, la associamo o a visioni ultra mondane, scioperi, non disperare perché poi, oppure ad una quieta rassegnazione, che tanto le cose cambieranno, come se come se le cose potessero cambiare da sole. Ma se io ho la speranza, cosa faccio per renderla autentica? L’indignazione, ma non basta. Quello che dice Francesca, esporsi, il coraggio. Questo comincia a fare che cosa secondo voi? A rimanere seduti allo schermo di un tablet, smatrphone, di quello che volete voi, un po’ isolati e connessi con tutto il mondo=ma alla fine? Non so se vi capita di vedere le persone sedute allo stesso tavolo, a volte anche in famiglia, che ognuno guarda il suo tablet. Al di là di questo, è auspicabile nella vostra esperienza di vita uno scatto sull’indignazione attraverso l’esposizione personale, attraverso il coraggio, che è al sesto posto. Volevo chiudere il discorso sulla MERITOCRAZIA. La meritocrazia, sarà immediato deporre il potere dei migliori, è una cosa importante. Io sono d’accordo con voi nell’essere SCANDALIZZATO di chi occupa le posizioni senza meritarle, senza competenza, senza onestà, equilibrio. Però, la meritocrazia, se viene un po’ isolata dal resto, ha una altra fascia, che è quella di questa forte concentrazione ad una vita autonoma dei disvalori per la realizzazione professionale, autonoma, si fa quel che si può, anche se ti rispetto un po’ meno, perché siamo di corsa in una sorta di darwinismo sociale in cui il più forte sopravvive. Dietro l’altra faccia cosa ci sta? È la cultura dello scarto. Dobbiamo fare attenzione. Allora mi piace tenere come bussola l’avvertimento di Simone, l’EQUITA’. 61 Quando parliamo di LEGALITA’, ci sono tanti modi per affrontare questo tema. Tanti sono i piani della legalità e dell’illegalità. C’è la illegalità frontale ai valori costitutivi, l’illegalità delle mafie, delle organizzazioni criminali, l’illegalità dell’attacco terroristico illegalità alla sicurezza, alla possibilità di una vita regolare. C’è una illegalità normativa, dentro le istituzioni. La corruzione, lo avete sottolineato. L’integralità della spolitica e l’illegalità della società civile. C’è quell’arrangiarsi con un potere che ho, che può essere anche piccolo, ma che comunque pratica illegalità. Se io studente universitario, per affrontare determinate prove, senza essere figlio di nessuno o raccomandato da, in un’ottica non meritocratica, ma per esempio attingo agli aiuti da tutti questi belli strumenti? Poi guardo e dico: È una pratica di illegalità. Oggi posso fare questo, domani sono in una posizione magari di maggior rilievo, sono in un’impresa, mi occupo di decidere certe cose, sono una PA, c sono on un briciolo di potere in mano. Questa illegalità non è quella di qualcun altro, nei confronti della quale siamo capaci di indignarci davanti ad uno schermo. È qui che dobbiamo riflettere. Se questo paese è così, è perché nessuno ci può remare contro. Io sono sempre contento di incontrare dei giovani come voi, o anche più giovani, perché sento che noi, nella nostra generazione, abbiamo un debito enorme nei confronti vostri, nei confronti di chi ha costruito il paese uscendo da un ambiente come quello fascista, la guerra, passati attraverso la resistenza. Ci siamo dati una costituzione, che è molto bella. Certamente non un debito nei confronti di tutti. Non è che una volta non c’erano. Ma nei confronti di chi si è speso, con la propria vita, per consegnarci il paese che ha le possibilità di essere in uno stato di diritto, costituzionale, attento ai principi e valori della persona, nel periodo in cui in c’è stato in un’epoca dove c’erano decisioni ideologiche forti che hanno messo insieme i valori della persona del pensiero cattolica, le istanze di giustizia sociale, principio di eguaglianza, nel suo versante sostanziale. Pensate alla visione della proprietà con una conformazione ad utilità sociale. Questa sintesi è stata fatta. Che cosa ne abbiamo fatto? Nei confronti di voi giovani abbiamo un debito ancora più grande. Che è quello che, ho definito, del senso di precarietà. Praticamente abbiamo un impatto verso il futuro, che riduce la qualità di concentrazione. Però non possiamo rassegnarci a questo. Il discorso di ripristinare pratiche di legalità, non soltanto informazioni di principio, è qualcosa da cui nessuno, ma proprio nessuno, può sentirsi escluso. Ci lamentiamo di una classe politica indecorosa, benissimo, forse peggio di altre che pensavamo fossero peggio: al peggio non c’è limite. Però, chi è responsabile di quella classe politica? È il discorso che facevamo prima, nel proprio piccolo. Non ci si arranca, come qualcuno di voi ha detto. Allora, se vogliamo essere seri, e non passare inutilmente il nostro tempo, un discorso della legalità deve partire da qui. Io sono contento, anche come giudice, di avere occasione ogni tanto di fare qualche occasione di giustizia. Davvero io credo che, rispetto alla pratica della giustizia, nessuno possa dire niente. Allora, come diceva un mio caro amico, un sacerdote di Mazzara del Vallo che è stato ucciso, era presidente di una ONLUS che amministra beni confiscati alla mafia, 62 abbiamo realizzato qualcosa, anche a Genova, a proposito di che cosa si può fare per passare dallo schermo al reale, questo amico, tra le tante cose che dice: non basta maledire l’oscurità se non si accende qualche piccola luce. Dobbiamo cominciare a ragionare in un’ottica secondo la quale, il discorso della legalità parte da qui. A che cosa pensate voi quando pensate alla legalità? Cosa fate? Francesco: penso anche ad un discorso legato anche certezza della legge. La legge come regola per una sanzione che deve essere applicata. Sicuramente su questo siamo molto deficitari. Raccogliamo altro: Simone. Rispondo alla domanda con una domanda. La giustizia, va intesa come uguaglianza o come equità? Un padre di famiglia con 4 figli che ha perso lavoro per motivi non dipendenti dalle sue azioni, che viene colto a rubare al supermercato, e giustamente finisce sotto processo, a pelle, andrebbe giustamente carcerato e quindi sarebbe uguaglianza, o andrebbe conservata la sua effettiva situazione sul perché lo ha fatto? Allora li si parlerebbe di equità. Tu intendi quindi giustizia come la spada che colpisce. Siamo sul piano di dire: legalità è la regola che deve essere applicata. Va bene, ma c’è caso e caso. Ancora, che cosa pensate quando pensate alla legalità? È importante. Non siamo sul piano della definizione corretta dal punto di vista giuridico, ma siamo sul piano del sentire. Alessio. Siamo uno stato che riesce a mantenere la legalità attraverso i cittadini. Quindi sicurezza sociale. Questa legalità è una regola che va applicata, deve essere sicura. Oppure deve esserci qualcosa? Deve esserci un concetto di giustizia e fiducia. Questo è molto importante. Sottolineiamo anche la fiducia. La fiducia è importante. In un paese ci sono quelli che dovrebbero far rispettare determinate cose, e invece hanno atteggiamenti sbagliati. Se le istituzioni pubbliche avessero un maggiore concetto di giustizia saremmo tutti più contenti. Ancora. La legalità, proviamo a sintetizzare sempre con la disponibilità di provare ad aprire le finestre con qualche intervento. La legalità è avere delle regole che siano applicate dal governo, che siano applicate con equità, nel senso che si valuti caso per caso il fatto che chi ruba può farlo per problemi vitali, non sia trattato come chi è in carcere per un furto. Ci potrebbe essere teoricamente la strada dello stato di necessità, che è una discriminante di un fatto reale. Non far derivare conseguenze sul piano sanzionatorio se c’è una condizione che mette a rischio la stessa sopravvivenza della persona. Allora li si può interpretare se la condizione economica va da a, comunque l’applicazione va comunque motivata. Oggi si sta aprendo nel settore penale un percorso di sanzioni alternative, che evitano la detenzione. Lavori socialmente utili, affidamento in prova presso anche associazioni, formazioni nella società civile. Davvero vale la pena sottolineare, la nostra carta costituzionale articolo 27, non deve avere solo quella funzione punitiva che mi fa sentire che devo pagare, ma deve avere una finalità rieducativa. Poi, se pensiamo alle condizioni delle nostre carceri è un conto. Ma mi interessa dare un ingresso nella società civile. Ci sono le organizzazioni culturali. 63 Qua a Genova c’è una associazione che si chiama Teatro Necessario che da anni fa spettacoli con i detenuti, non in un carcere, ma in una Casa Circondariale, non è una casa di reclusione ci si arriva perché c’è la pena detentiva, dove ci sono situazioni particolare, ma è come, a Marassi, dove ci sono detenuti in assoluta prevalenza di imputati in attesa di giudizio, e che cambiano con una certa velocità. Con queste persone, che magari pian piano cambiano, si fa teatro. Non solo; si costruisce il teatro dentro il carcere. Voi capite, se il carcere invece di essere tenuto separato dalla società civile, il carcere entra nelle città, questo è importante. Nonostante i disastri, oggi è pieno di iniziative più o meno piccole, che vengono in luce. Bisogna imparare a riconoscerle. Per tornare a ciò che dicevamo, se all’idea di legalità noi continuiamo ad associare l’applicazione corretta della legge, la sicurezza, alla fine diventa quasi una cosa che ci riguarda poco. Allora diventa un problema delle forze dell’ordine e della magistratura. Quindi, nella legalità, se vogliamo, dobbiamo vedere un modo di cambiare fondamentale. Bisognerebbe interrogarsi sulle tecniche, sulle leggi che non sono applicate. Ancora prima, l’applicazione della legge è importante, si è verificata. Ma prima dell’applicazione della legge, che cosa c’è? C’è una inosservanza della regola. Secondo voi, noi di leggi ne abbiamo tante o poche? Tante. Poi c’è questa giustificazione che deriva dalla modalità delle fonti, ormai da qualche decennio ogni giudice nazionale ed europeo, poi ci sono leggi dello stato, leggi regionali, leggi territoriali. Abbiamo tantissime leggi. Però Manca ancora qualche legge. Secondo voi, avere tante leggi è una cosa buona o cattiva? Interpretazione: cattiva, perché si può fare confusione nell’applicazione. Però non è soltanto una questione tecnica di difficoltà applicativa che le troppe leggi non vanno bene, ma denunciano un’altra cosa, ancora più grave. Se io per esempio devo stabilire che se sono indagato in e non basta, e sono condannato in primo grado e non basta, non posso candidarmi a cariche pubbliche. Che cosa vuol dire? Se ho bisogno di fare una legge, ci si riunisce nell’interpretazione. Che cosa vuol dire? Come questo, potremmo tirarne fuori tantissime. Cosa mi dice il fatto che bisognerebbe disciplinare? Secondo voi, in un paese sano, ci sarebbe bisogno di fare una legge per dire qualcosa? No, perché? È naturale non farlo, quindi anziché il piano normativo, quale altro piano potrebbe suggerire questo? Il piano dell’etica morale. Allora la quantità di leggi crea confusione, ma soprattutto respira un rapporto non corretto con quelli che sono i valori. E qual è, nella nostra esperienza, l’atteggiamento che si ha di primo acchitto, davanti ad una legge? Ah, c’è questa legge. Vediamo come posso obbedire a questa legge? È questo il primo atteggiamento che abbiamo? Cosa è che manca? Una cultura della legalità. Cosa intendiamo per cultura della legalità? Avere una cultura radicata, bisogna rispettare la legge. Non pensate che ci siano regioni in Italia esclusivamente interessate ed altre no. I fenomeni sono ovunque. Non si presentano allo stesso modo, ma c’è una quantità di denaro che entra dove c’è ricchezza. Questo dobbiamo tenerlo presente. Ma poi, perché una legge sia osservata, che cosa occorre? Voi quando obbedite a qualcosa? Quando è giusto, non 64 perché lo dico io. Questo non è un atteggiamento nei confronti del cittadino, è uno stato combattuto. Viviamo in questa condizione. Noi, in Italia, prendendo lo spunto sulla fiducia, viviamo in questa condizione: i cittadini, noi, voi, hanno una considerazione dello stato non come una casa comune, ma come una controparte. Perché mi fa pagare troppe tasse, ho tempi lunghe, devo fare denunce, la burocrazia anche a scuola, in università, nelle nostre amministrazioni, è sempre una corsa ad ostacoli. I cittadini avvertono l’ostacolo. Lo stato non si fida dei cittadini. Pensate soltanto al discorso delle imposte. Che cosa faccio? Tu hai una attività, ci sono una serie di servizi, ti dico che devi stare dentro questo reddito, questi studi di settore che si basano su queste osservazioni. Se tu vuoi crescere devi essere te a dimostrare. Che cosa vuol dire? C’è diffidenza, quindi sfiducia. Un paese non può reggersi sulla sfiducia. Questo, in soldoni, è un modo per far saltare questo paese. La legalità può nascere solo se c’è uno sbalzo di fiducia. Se io mi riconosco, voi avete studiato alla triennale il diritto pubblico, stato apparato, stato comunità, voi vi sentite di dire lo stato siamo noi? Lo stato sono io? Dovrebbe essere così. Lo stato deve preoccuparsi di mettersi al servizio dei suoi cittadini. Semplificare davvero la vita. Purtroppo siamo in uno stato fondato sulla burocrazia, che uccide la professionalità. Non so l’università se funzioni così. Ma nei licei ormai, la preoccupazione è avere un corso mirato all’ottica meritocratica. Ma c’è un’ottica migliore? Pesare, dosare, fare griglie. Griglie continue. Non c’è più quella discrezionalità dell’insegnante che dice ti do questo voto. Perché, nella trasparenza, tutto deve essere giustificato, dosato. S io non lascio lo spazio a ciò che non può esser un rapporto di lungo termine è la fine. Dietro un atteggiamento così, cosa ci sta? La mancanza di fiducia. Ogni volta, ogni ricorso, pensiamo allo stato dei diritti. Guardate le persone, è lampante. Allora. Occorre ripristinare un clima di fiducia. Secondo voi da dove parte questa fiducia? Occorre cercarlo da qualche parte o c’è già? È nella costituzione. Voi conoscete un po’ la costituzione. C’è tutta una prima parte. Ha i 12 principi fondamentali e poi tutta la prima parte. I diritti di libertà, i rapporti civili, economici, sociali. Questa parte, stiamo parlando dei primi 50 articoli, è tutta realizzata. Poi la parte ordinamentale, come si devono fare le fanno le leggi, i rapporti tra i poteri, l’aspetto ordinamentale può essere discusso. Non le strizzate d’occhio sulla scadenza elettorale. Per fare riforme costituzionali, anche la parte ordinamentale è un delicatissimo equilibrio di rapporti. Bisogna stare attenti a dove si tocca e come si tocca. C’è bisogno di maggioranze ampie, non occasionali. Ci vuole una visione comune, condivisa, partendo dal presupposto che oggi vinco io, domani vinci tu, ma tutti dobbiamo essere garantiti dalla possibilità di vincere e perdere alla radice, e dobbiamo essere garantiti dal fatto che le istituzioni si controllano a vicenda. Tutte le cose, non sono da fare così, tanto per riformare. Io con questo non voglio dare giudizi su nulla. Ma voglio richiamare la vostra attenzione sul fatto che quando si parla di costituzione, si deve uscire dall’ottica dell’oggi. Bisogna avere una capacità di sguardo 65 sul futuro che oggi, francamente, non c’è. La prima cosa che possiamo cominciare a fare è che ci sono dei principi e dei valori dentro, che si mettono in moto, il che stabiliscono le regole. Partire dal fatto che la repubblica italiana è fondata sul lavoro non è dire una cosa tanto per, vuol dire mettere al centro la possibilità di una vita libera, dignitosa, della persona, che solo il lavoro può dare. Poi nei principi del lavoro si riprendono i concetti di giusta retribuzione, partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Allora, se dobbiamo fare delle scelte, come cittadini, dobbiamo preoccuparci che il lavoro, se manca il quale viviamo nella precarietà. Posti di chi non si è più giovani, però abbiamo il 44% di giovani che né studiano né lavorano in Italia, e siamo al meno 15% sotto la media degli altri paesi europei. Allora come guardare ad uno sviluppo che sempre meno fa centro sull’economia che è un qualcosa per cui si investe su preoccupazione, e si crea ricchezza da distribuire? E si punta di più sulla finanza? È una situazione impazzita. La finanza, deve stare a servizio dell’economia. Deve dare quella promessa di risorse sempre migliori se il capitale proprio non è sufficiente. Se non è questo, se diventa una variabile indipendente, per cui l’economia dipende dalla finanza, l’imprenditore non investe più nell’impresa, ma per esempio, specula, voi capite bene che il lavoro è diverso. Allora, è una provocazione, siccome sono a casa vostra, facciamo un esempio. Se mi armo di competenza tecnica, professionalità, in un’ottica assolutamente meritocratica. Poi, la metto al servizio della finanza, io non do un giudizio, ma faccio una scelta, e quello studente di economia, così come uno studente di legge, ognuno su questo vorrei riflettere, dobbiamo sentirci tutti interpellati. Viviamo in un mondo che ha tormentato se non nel nostro cervello c’è qualche capacità critica, ma sicuramente la nostra coscienza, pensiamo di essere dentro ad un sistema che si mangia, è così, ognuno si deve arrangiare. Ma a che cosa serve la raccolta differenziata se non la fa nessuno? Che cosa cambia? Eh no, non si ragiona così. La vita di ognuno di noi, non è neutra. Abbiamo una globalizzazione che ci fa pensare che siamo tutti uguali da tutte le parti. Questa è la competizione al consumo. Se non fai nel modo giusto, guai. Ti sembra di stare sempre nello stesso posto. Ma attenti, non è questa la realtà. La vita di ognuno di noi dipende da come la costruiamo, dalle scelte che facciamo. Vi faccio un esempio. In questo momento, stiamo vivendo lo scandalo di difenderci dai richiedenti asilo che arrivano non per cercare una vita migliore, ma per salvarsi la pelle, da posti dove la vita è impossibile. Qual è la nostra risposta rispetto a questa che continuiamo ad ostinarci a chiamarla emergenza. Non è emergenza! Questi movimenti migratori epocali, non è che avvengono così, ci sono delle guerre. Non voglio fare discorsi di responsabilità, non mi interessa. Ma di fronte a questi fatti, che hanno delle spiegazioni, la nostra è ancora una volta, una risposta burocratica. Abbiamo il problema di regolazione dei flussi. Non è la sensibilità nuova, che tra l’altro lungimirante, lo sapete benissimo siamo vecchi, non abbiamo forza 66 lavoro, abbiamo bisogno di gente che viene a lavorare. Le pensioni non saranno pagate con i contributi di chi lavora sempre meno, in modo sempre più precario. Il discorso economico, spesso non arriva a conclusione. La mentalità è importante. Se un politico fa un discorso di questo tipo, lo usa a proprio favore, è tutto basato sull’ignoranza in quel momento. E allora?? La responsabilità è nostra? È cultura della legalità. Quindi cosa fai? Ti informi. Cercando più fonti diverse. Una volta che sei informato poi cosa fai? Ora lo so. Che buio, maledizione, non cambia mai niente. Ho acceso una piccola luce. Un pensatore del 68 dice che i giovani vanno ascoltati per quello che denunciano e annunciano. Si può dire una cosa: ci sono responsabilità sicuramente più pesanti della nostra. La nostra è sicuramente maggiore. Ma ciò non giustifica che io mi metto alla finestra. Don Pino Puglisi. C’è qualcuno che sa chi è? Era un prete che prestava un servizio in un quartiere malfamato di Palermo, in mano alla mafia. Strappava i bambini dalla strada, per questo è stato poi ammazzato. Se volete leggere qualcosa che vi può mobilitare, uno dei suoi studenti, Pino Puglisi insegnava anche ad un Liceo, a Palermo, Alessandro D’avenia che ha poi insegnato al liceo, annotatevi questo libro: “Ciò che inferno non è”. Dentro quell’inferno è possibile cogliere qualcosa di veramente bello. Quanti di voi conoscono la realtà del centro storico cittadino che non sia la movida al venerdì sera? Io credo che, la stessa esperienza la sta avendo un medico a Napoli, è possibile vivere tranquilli, senza ansie, se uno sta dentro la propria cerchia: università. Guardate che non dobbiamo pensare che per fare qualcosa, per ridurre le diseguaglianze, come diceva prima Simone, bisogna andare chissà dove. Basta entrare dentro certe realtà, accorgersi di qualcosa che c’è, le iniziative sono tante. Bisogna avere un po’ questa curiosità sostenuta da un minimo di esposizione. Andiamo a vedere: ma è possibile che il mondo sia così tranquillo come lo vedo io? Se non agite voi, questo non è un discorso di legalità. Se mi muovo sul territorio, oggi ci sono tante cose. La legge della solidarietà, è forte. In Italia quante persone fanno volontariato? Sono 6 milioni e mezzo. È un numero alto. Tutti gli anni è cresciuto di due punti percentuali. È l’ambito associativo. Quelle formazioni sociali, di cui l’articolo 2, luogo ove si realizza e si sviluppa la personalità dell’uomo, anche nelle formazioni sociali. È la realizzazione di un principio costituzionale. Se vai li, realizzi un altro aspetto della personalità. Non è quello individuale. Non basta. Tu ti devi mettere anche in relazione con gli altri. Questo vuol dire che io comincio a costruire legalità nello stato. Anche qui, nella società civile, ognuno può fare qualcosa. Importante è svegliarsi. Non lamentarsi soltanto. Voi giovani avete l’energia, freschezza, fantasia. A Genova stanno nascendo delle startup meravigliose che in qualche modo c’è qualcuno che cerca di sostenerle, di rilanciarle. Allora questa creatività voi giovani ce l’avete: spendetela. Spendiamola. Un discorso sulla legalità deve passare attraverso queste cose. Voi sapete che negli ultimi anni risposta molto forte alla mafia, che è stata quella famosa legge negli anni ’80 di Pino Latorre, che fu ucciso dalla Mafia, ha consentito di adottare misure di 67 prevenzione, ossia prima di arrivare ad accertare le responsabilità per reati di tipo mafioso, sulla base di considerazioni, di attaccare queste associazioni criminali. Responsabilità per reati di tipo mafioso, di attaccare queste associazioni criminali. Un amico ha cominciato a gestire questi beni: terreni, aziende, per professionalità. Un’altra persona, che ho visto poche settimane fa a Genova, uomo veramente coraggioso, ha costituito una associazione anti mafia. Come condizione per associarsi chiede agli imprenditori di denunciare certe situazioni. Poi l’associazione lo sostiene. E oggi ha più di 200 imprenditori associati. Gli è stato chiesto di andare ad amministrare questi beni. C’è un problema: mantenerne il valore economico. Cosa poteva succedere e succede ancora? Se ho terreni coltivati, aziende, un bene confiscato, deve essere restituito al “mafioso”. Questo, non solo, ma anche il risarcimento del danno. Per affrontare questo c’è bisogno di rimettere in un circuito economico virtuoso queste imprese. Viene svolto nel piccolo, concreto. Per esempio, si tratta di creare una rete, senza poi considerare che anche in casa nostra ci sono. Ognuno può fare qualcosa Finirei con questo appello: soltanto alcuni passaggi. APPELO PER UNA NUOVA RESISTENZA A COMINCIARE DA MARSALA. Don Francesco Fiorino. (Ho inserito il testo completo!) A novembre prossimo compirò 54 anni. Sono passati i miei “migliori anni della mia vita”. Anni di crescita umana e cristiana. Anni di lotte e di “cadute”. Anni di bei ed arricchenti incontri e di “scontri” con chi opera solo per distruggere e dividere. Anni vissuti per cercare di fare del bene a chi vive in difficoltà (senza alcuna distinzione di colore della pelle o di credo). Anni di aperto e deciso contrasto ad ogni forma di spiritualismo intimistico ed egoistico, ad una mentalità mafiosa e di disprezzo della dignità umana. Ho ancora “energie” da spendere e ringrazio Dio Padre. Desidero quindi appellarmi con ogni mezzo lecito e possibile - a chiunque leggerà queste pagine per cominciare a realizzare nel nostro Paese (e non solo) una nuova “Resistenza” sociale e culturale a cominciare da Marsala, la città in cui sono nato e maturato come uomo e credente. La città di Marsala è affacciata sul Mediterraneo, da secoli è stata luogo di “incroci”, di “partenze”, di “sbarchi”, di ospitalità e di rigenerazione. Da Marsala è incominciata l’Unità d’Italia. Perché non cominciare da Marsala una nuova “Resistenza” contro ogni forma di ingiustizia, di spreco, di indifferenza, di corruzione, di mafia, di una religiosità magica e falsa, gratificante e disumanizzante? Ricordo, innanzitutto a me stesso, che il movimento della Resistenza – inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazifascista – fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici e socio-culturali (comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, cattolici, liberali, repubblicani, anarchici), in maggioranza riuniti nel 68 Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), i cui partiti componenti avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra. Perché una nuova “Resistenza” se il nazifascismo è quasi scomparso? In buon dizionario troviamo che resistere significa opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione e impedendone o limitandone gli effetti. Non ci sono ancora “azioni” che continuiamo a subire, delle quali ci lamentiamo in continuazione, ma che non riusciamo ad opporci in maniera convinta, non violenta ed efficace? Ne elenco solo alcune di queste “azioni”. Chi è interessato a questa riflessione-proposta sicuramente ne aggiungerà altri. Fino a quando subiremo le violenze e le intimidazioni di chi appartiene alle mafie? Fino a quando subiremo coloro che utilizzano il potere politico ed economico per fini esclusivamente individuali e di arricchimento? Fino a quando subiremo lo sfruttamento dei lavoratori da parte di alcuni criminali senza scrupolo? Fino a quando subiremo l’incompetenza e la mancanza di rispetto di alcuni amministratori e impiegati delle istituzioni pubbliche? Fino a quando subiremo che la violenza, in particolare contro le donne ed i minori, sotto ogni forma, sia ancora considerata quasi una normalità o peggio un “diritto” per punire e per vendicare presunti torti subiti? Fino a quando subiremo le parole che intaccano l'autostima e la dignità, che ci fanno scoraggiare? Fino a quando subiremo i maltrattamenti psicologici contrari alla libertà di espressione e di libertà religiosa? Fino a quando subiremo, come ci insegna Papa Francesco, la “globalizzazione dell’indifferenza” che ci rende estranei e insensibili alle difficoltà ed alle necessità vitali (cibo, istruzione, casa,…) degli altri? Fino a quando subiremo il carrierismo e l’arroganza di alcuni (anche nelle istituzioni religiose e non solo…) che ambiscono solo alla loro “visibilità” ed apparente ed illusoria “tranquillità” economica? Fino a quando subiremo lo spreco di denaro e di risorse pubbliche per l’avidità di pochi che utilizzano le istituzioni democratiche per arricchirsi e per mortificare le legittime attese di tanti giovani senza lavoro e “spenti” moralmente? Fino a quando subiremo la prepotenza di taluni che abusano del Nome di Dio per fomentare odio, guerre, pregiudizi offensivi e/o per opprimere donne e uomini alla ricerca, spesso in buona fede, di pace, di giustizia e di una vita migliore? Non possiamo continuare a subire e tenere gli occhi chiusi e le coscienze addormentate. Non possiamo solo vedere quello che ci vogliono far vedere. Non possiamo lasciarci condizionare o fermare da chi ha fatto il suo ventre il suo “dio”, o da chi pensa e vive guidato solamente dai suoi ormoni e da sentimenti che variano ogni giorno. O peggio dai sudditi del Male o della propria vanagloria, della propria disperazione alienante. Chi vorrà “resistere”, sperare e lottare per un mondo più giusto, fraterno e aperto a tutti, risponda personalmente e con convinzione. Attendo fiducioso e so, per esperienza, che qualcosa cambia in meglio se ognuno di noi farà la sua parte. Appena 12 di voi aderiranno a questo “appello” ci incontreremo e incominceremo a “resistere” 69 uniti e con alcune iniziative concrete. Grazie per l’attenzione e conto su di te. Don Francesco Fiorino di Giulia Cervetto) VERSIONE APPUNTI ALTERNATIVA: LEGALITA’ (Appunti Tema la legalità-Adriano Patti La meritocrazia, vista come il potere dei migliori, se viene isolata dal resto, ha un'altra faccia, che è quella della forte concentrazione avvertita nel disvalore della realizzazione personale; dietro ci sta la cultura dello scarto. Bussola: equità`. Quando parliamo di legalità ci sono tanti modi per affrontarla; ci sono tanti piani; c’è la illegalità di attacco frontale dei valori costitutivi di uno stato di diritto, delle mafie, degli attacchi terroristici, ecc.., c’è l’illegalità più pervasiva dentro le istituzioni, la corruzione, l'`illegalità della politica e della società civile, c’è quell'arrangiarsi con il potere che ho che può anche essere piccolo, ma è pratica di illegalità`. Se questo Paese oggi è così perché` nessuno se ne può tirare fuori. La precarietà riduce la capacità di progettazione, rende opaco lo sguardo verso il futuro, ma non possiamo rassegnarci a questo. Chi è responsabile di quella classe politica? Chi nel proprio piccolo non si arrangia? Un discorso della legalità deve partire da qui. "Non basta maledire l'oscurità`, se non si accende qualche piccola luca", bisogna cominciare a ragionare in un'ottica secondo la quale il discorso della legalità parte da li. Legalità`- "regola che deve essere applicata", ma c’è caso e caso; anche sicurezza sociale; ci deve essere la fiducia; "se le istituzioni pubbliche dessero segnali di giustizia saremmo tutti migliori". La legalità è avere delle regole che siano applicate con equità, nel senso che si valuti caso a caso, perché` per chi rubi per condizioni di necessità sia trattato in maniera diversa; ci potrebbe essere la strada dello stato di necessita`, perché` nonostante un reato non ne fa derivare conseguenze sul piano sanzionatorio. Se l'idea di legalità continuiamo a associarla all’applicazione corretta della legge o della sicurezza, diventa una cosa che ci riguarda poco, idea di legalità un po’ primordiale, bisognerebbe allora interrogarsi sul perché allora le leggi non sono applicate. Prima dell'applicazione delle leggi e delle regole che cosa c’è`? Il giudice interviene per comportamento scorretto e quindi c’è un'inosservanza delle regole. Ci sono troppe regole, un problema italiano è la stratificazione delle leggi. Avere tante leggi è una cosa buona o cattiva? Cattiva per confusione dell'applicazione. Le troppe leggi denunciano un'altra cosa, ancora più grave: PIANO DELL'ETICA, la quantità di 70 leggi crea confusione ed espia di un rapporto non corretto con quelli che sono i valori. Manca la cultura della legalità`. Perché` una legge sia osservata che cosa occorre? Deve essere una cosa giusta. Lo Stato non si fida dei suoi cittadini. Un Paese non può reggersi su una sfiducia reciproca, la legalità può nascere solo se c’è un patto di fiducia; quindi c’è mancanza di fiducia; bisogna ripristinarlo. Il patto di fiducia lo abbiamo già`, la Costituzione. I primi 50 articoli sono ancora tutti da realizzare, invece l'assetto ordinamentale può essere discusso. Bisogna avere una capacità di sguardo sul futuro che ora francamente non c’è`. La repubblica italiana è fondata sul lavoro, vuol dire mettere al centro una vita dignitosa e libera che solo il lavoro può dare, ecc.. Come cittadini, per fare delle scelte, dobbiamo preoccuparci del lavoro. La finanza deve stare al servizio dell'economia. Viviamo in un mondo che ha addormentato il nostro cervello e la nostra coscienza e pensiamo di essere dentro ad un sistema. Posso sentirmi soddisfatto da una legalità che mi protegge e basta? Libro ciò che inferno non è`, A.DaVenia (Don P.Puglisi). LEZIONE 8 22/3/2016 Abbiamo visto l’approccio marxiano, l’approccio dell’egualitarismo liberale proposto da Roolts, l’approccio neo contrattualista e l’approccio delle capacità, capabilities proposto da Sen e Nausbaumm. Resta, come settimo approccio il 7) Settimo approccio. Approccio personalista. Si rifà in modo particolare, ad un filosofo. Si concretizza nel concetto di bene comune. Parola oggi di gran moda, si tratta però di vedere se così è. Il concetto Bene Comune, o meglio l’approccio personalista, parte da questa constatazione. Il bene cui facciamo riferimento non è la semplice sommatoria dei vantaggi, degli interessi, delle utilità, delle preferenze individuali. Questo non è il bene comune. Il bene comune è un bene sociale, è un bene condiviso dalle persone, in virtù della loro partecipazione alla vita della comunità. Bene sociale, bene condiviso dalle persone in quanto partecipanti alla vita della comunità. Conseguentemente, il bene comune si concretizza nell’insieme delle condizioni della vita sociale, della vita economica che permettono, tanto agli individui quanto ai gruppi sociali di raggiungere la loro piena realizzazione. Un approccio di questo genere si differenzia nettamente dall’ottica utilitarista, ed in parte si differenzia anche dall’approccio neo contrattualista e dall’approccio delle capacità. Cerco di argomentare questa mia affermazione. Perché il personalismo, il bene comune, si differenzia dall’ottica utilitarista? Perché, nell’ottica utilitarista, la distribuzione ottimale dei beni, intesi in senso ampio, è compatibile con l’esclusione di alcune persone o di alcuni individui. Nella logica utilitaristica 71 l’obiettivo è la massimizzazione della somma delle utilità, delle preferenze, degli interessi. Ma la massimizzazione della somma delle utilità può essere compatibile con utilità zero da parte di tanti soggetti. Nell’ottica personalista, l’accento viene posto su un principio di non escludibilità di ogni persona e di tutta la persona nella molteplicità delle sue dimensioni, quindi nessuno può essere escluso. L’accento viene posto sulla tendenziale inclusione di tutti. Tendenziale è più che evidente, perché la strada da fare è ancora tanta. Nell’ottica personalista, anziché parlare di massimizzazione della somma delle utilità, che è compatibile anche con l’utilità zero, si dovrebbe parlare di massimizzazione del prodotto delle utilità, per cui una utilità zero annulla il valore del prodotto. Quindi massimizzazione del prodotto delle utilità. La distinzione tra approccio personalista e l’approccio utilitaristico è una distinzione importante. Vediamo anche in che modo, in che termini, l’approccio personalista si differenzia si differenzia dall’approccio neo contrattualista. Nell’approccio neo contrattaulista ci si mette d’accordo, si realizza consenso in ordine a ciò che è buono e giusto, non è certamente un apporto da disprezzare, anzi. Però occorre coglierne i limiti, i rischi. Il rischio nella neo contrattualistica può essere questo: i forti, i neo dotati, i ricchi di risorse si mettono d’accordo, ed escludono i deboli, i meno tutelati, i marginali. Questo è il rischio connesso al neo contrattualismo visto e portato avanti in un’ottica acritica. Di neo contrattualismo ce ne è sempre bisogno, ma occorre sempre una capacità critica. Personalismo nell’ottica delle capacità. Approccio di Sen e Nausbaumm è estremamente importante. Ci siamo soffermati. Abbiamo visto i principi fondamentali di una vita buona. Però, qual è il limite dell’approccio delle capacità? Il limite è questo. Si pone una prospettiva individualistica. Le capacità, le abilità, i desideri del soggetto singolo è l’unico punto di riferimento per quanto riguarda le politiche di sviluppo minimo. Allora, l’approccio delle capacità deve essere arricchito, integrato con la considerazione delle capacità sociali, non solo quelle individuali, ma con la considerazione delle capacità sociali e quindi delle capacità e potenzialità delle diverse soggettività che caratterizzano la società civile. Capacità, quelle forme che vengono chiamate “mondi vitali” della ricchezza, della società civile: associazioni, gruppi e movimenti che si pongono nell’interazione tra individuo e stato, questi soggetti sono i gruppi, le istituzioni, i movimenti, il terzo settore. Tutti essenziali per la costruzione di una società buona e giusta. Fatta questa riflessione di carattere generale, definiamo, come è indicato nel tesario, l’APPROCCIO PERSONALISTA. Vediamo i principi fondativi dell’approccio personalista. 1) Primo principio. Primato della PERSONA UMANA. Per primato della persona umana cosa intendiamo? Intendiamo sostanzialmente questo. L’uomo vale per 72 quello che è, non semplicemente per quello che ha o fa. Vale innanzitutto per quello che è. L’uomo è il centro, il fine di tutta la vita economica e sociale. Da questa centralità, da questo primato della persona, dell’uomo, discendono immediatamente e simultaneamente diritti e doveri. Diritti e doveri che non sono creati o attribuiti dallo stato. Lo Stato li riconosce, in quanto si tratta di diritti universali, inviolabili, inalienabili. Tra questi, il punto di partenza, nell’ottica del personalismo, è il DIRITTO ALLA VITA inteso come fondamento di tutte le libertà: libertà di pensiero, libertà di coscienza, libertà di educazione, di associazione. Questo diritto alla vita comprende anche il diritto al lavoro e tutti gli altri diritti civili. Nell’ambito di questo primato della persona umana, si può affermare che l’uomo, la persona, è “anteriore allo stato e alla società”. La persona viene prima dello stato e della società. Cosa significa questa affermazione? Significa che lo stato e la società devono promuovere il bene comune. Ma questo bene comune deve essere subordinato alla piena realizzazione della persona, nessuna esclusa. Significa altresì che lo stato e la società possono disporre dell’attività della persona per perseguire fini comuni. Ma lo stato e la società non possono della persona, possono disporre della sua attività. Non è possibile disporre della persona e della sua vita, in quanto la persona e la vita sono i fondamenti di tutti i luoghi, anche dell’impresa. La libertà dell’impresa. Tradotto in soldoni, anche la tematica dei controlli. È giusto, non è giusto che ci sia la telecamera che mi riprende mentre lavoro, o che controlla le tue mail? È un problema serio. Quindi, nell’ambito di questo primo principio, primato della persona umana, è chiaro che la persona è un fine non può mai essere trattata come un mezzo, o peggio ancora come una cavia. Per esempio nelle manipolazioni genetiche o nella sperimentazione dei farmaci. La persona è un fine, non può essere mai trattata come un mezzo. Con questa affermazione si conferma la questione del limite, che avevo già richiamato. Ciò che è scientificamente possibile non necessariamente, non sempre è moralmente lecito. Questo perché lo sviluppo della scienza, tecnologia, è una questione di grande e drammatica attualità. 2) Secondo principio. Principio di SOLIDARIETA’. Mi sono già soffermato sul concetto di solidarietà, lo riprendo nell’ottica di questa impostazione personalista. Il primato della persona non contrappone l’individuo alla società, ma anzi l’individuo è il fondamento della società. La società nasce dalla persona umana. L’uomo, per sua natura, è un essere sociale. Senza il rapporto con gli altri l’uomo non può vivere. Non può esplicare le sue doti, le sue potenzialità. La persona, a sua volta, non può vivere al di fuori, o al di sopra, della società. Sinteticamente potremmo dire: la società è personale, la persona è sociale. In ciò sta la grande ricchezza della società civile. Società che non è esterna alle persone, al di sopra delle persone, ma vive e si sviluppa con le persone. Proprio in questa affermazione: la società è personale, la persona è sociale, sta il fondamento della solidarietà. La solidarietà conferisce una dimensione umana 73 e morale all’interdipendenza tra uomini, tra le nazioni che caratterizzano la nostra vita. Tutto si ottiene, ma come si ottiene? Occorre dare un senso al tutto si ottiene. La solidarietà può dare un senso al tutto si ottiene. Quindi la solidarietà non è solo una categoria morale, ma diventa una categoria politica, economica, istituzionale. La solidarietà, come detto la volta scorsa, non è un sentimento di varia e generica compassione, un intenerimento per le sofferenze che ci sono. La solidarietà, e siamo in assonanza con ciò che diceva il magistrato ieri, deve tradursi in un impegno determinato per il bene di tutti e ciascuno, rimuovendo le cause che limitano la piena esplicazione della persona umana. Tutto questo ha una valenza a livello micro, a livello di impresa, a livello di stato, ma tutto questo ha anche una implicazione a livello globale. La solidarietà globale, la solidarietà internazionale. Parlando di solidarietà, a livello internazionale, discendono alcune sottolineature: o Prima sottolineatura. Non si può contrabbandare come dono, come carità, ciò che invece è dovuto a titolo di giustizia. Gli aiuti dei paesi sviluppati nei confronti dei PVS non sono sovente considerate come delle liberalità, dei doni, delle carità. Vista la storia dello sfruttamento, del colonialismo, del neocolonialismo che continua ad esistere, tutto questo è dovuto per giustizia, non per carità. o Seconda sottolineatura. Non si deve agire soltanto sugli effetti, anche se sugli effetti si deve agire. Vedi la situazione drammatica dell’immigrazione. Occorre agire sulle cause strutturali che producono certi effetti. o Terza sottolineatura. L’aiuto solidale a livello internazionale deve essere strutturato, deve essere organizzato, in modo tale da liberare dalla dipendenza chi lo riceve. Esempio banale. Non ti regalo il pesce, ma ti regalo la canna per pescare. Quindi principio della solidarietà in quest’ottica. Nelle lezioni precedenti solidarietà, dare del potere a chi potere non ha, usare del potere per dare i vantaggi a chi è nella precarietà. 3) Terzo principio (sempre nell’ottica personalista). PRINCIPIO DI SUSSIDIARETA’. Cosa significa? Il ragionamento che si può sviluppare è il seguente. Come la persona viene prima della società, la società viene prima dello stato. I mondi vitali, le associazioni, i comuni, le regioni, le scuole, i corpi intermedi, è questa la dizione che si usa, sono gli organi naturali della società. Ognuna di queste organizzazioni ha le sue caratteristiche, la sua autonomia, la sua ragion d’essere, che va rispettata. I cittadini, e questo è lo spirito della nostra costituzione, da soli o associati, hanno il diritto/dovere di partecipare attivamente alla cosa pubblica. Questo diritto dovere deve essere riconosciuto, sostenuto, promosso dallo stato e dalla società. Questo diritto non è attribuito dallo stato, viene prima. La 74 sussidiarietà è indubbiamente una questione delicata, difficile. Stante il fatto che viviamo in una società complessa, che viviamo in una società plurale, che si caratterizza per la poliarchia dei poteri. In quest’ambito, ogni volta che contravvenendo al principio di sussidiarietà si assegnano allo stato compiti che potevano essere lasciati ai livelli intermedi, decentrati, o che potevano essere gestiti direttamente dalla società civile, si apre sovente la strada all’illegalità, e soprattutto alla burocratizzazione e alla corruzione. In altri termini, una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna della società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze. Deve semmai sostenerla, aiutarla ad ordinare le sue azioni con quelle delle altre componenti sociali in vista del bene comune. Sta qui il grosso nodo del federalismo. Ci sono due ordini di federalismo: il federalismo che divide, il federalismo che unisce. Il federalismo che unisce è coerente con l’etimologia di federalismo, che viene da foedus, patto, alleanza. Queste questioni non sono nell’ambito della nostra costituzione. In particolare un po’ di anni fa, con la riforma del Titolo V della costituzione, si è introdotto pienamente il concetto di sussidiarietà, sia sussidiarietà verticale: stato, regione provincia, ma anche in modo particolare di sussidiarietà orizzontale: i corpi intermedi, le scuole, le associazioni. Pensate al ruolo che questi possono avere al livello di welfare. 4) Quarto principio. Ha un carattere riepilogativo dell’approccio personalista, principio del BENE COMUNE come riepilogo, come sintesi dell’approccio personalista. Di bene comune tutti ne parlano, ma molte concezioni di bene comune hanno una collocazione riduttiva. Di bene comune si parla anche nella concezione liberale classica, nella concezione utilitaristica. In quest’ottica il bene comune viene ridotto ad una questione privata. Ogni individuo deve poter conseguire il massimo dell’utilità personale, deve realizzare le proprie preferenze individuali. Nell’ottica utilitaristica non c’è posto per la solidarietà. In questa ottica utilitaristica il bene comune è semplicemente la somma dei beni individuali, è semplicemente la somma delle felicità personali. La massimizzazione di questa somma non impedisce che alcuni individui abbiano utilità zero o infelicità. (A proposito di felicità, come caccia al tesoro, è uscito Happiness Index da parte delle nazioni Unite, vedete cosa trovate). Il bene comune ha un una concezione riduttiva anche nell’ambito dell’ottica collettivistica, nella concezione collettivistica. Nella concezione collettivistica non conta il bene della singola persona; conta il bene della classe, dello stato, del partito che attraverso il piano quinquennale intende promuovere il bene comune (piani quinquennali cinesi e sovietici). Ciò che conta è la massimizzazione della produzione dei beni. In quest’ottica collettivistica i servizi sono forniti dallo stato in maniera massificata, senza preoccuparsi della personalizzazione dei cittadini. L’ottica collettivistica, i 75 cittadini sono livellati di una eguaglianza forzata e fittizia che non tiene conto delle esigenze e potenzialità dei soggetti. Siamo in presenza di impostazioni riduttive. Infatti, il Bene Comune non è solo questione di bene individuale, è di tutti e di ciascuno, è indivisibile, e può essere conseguito solo con l’impegno comune. Il Bene della persona, il bene degli altri, sono strettamente connessi. Se il mio bene entra in conflitto con il tuo bene, c’è qualcosa da rivedere, qualcosa da correggere, ci sono degli ostacoli da rimuovere. Questo attraverso il confronto finalizzato all’accordo condiviso. Il bene comune non elimina il conflitto. Ma il conflitto viene esplicitato in vista dell’accordo condiviso, in quanto il conflitto non può essere risolto con la prevaricazione del più forte sul più debole. Ancora, il Bene Comune non può essere ridotto ad una dimensione quantitativa. Certamente comprende le condizioni materiali della vita, ci mancherebbe altro. Al tempo stesso si apre ad altri beni che sono essenziali per una vita pienamente umana. I valori dell’arte della cultura, delle fondazioni, le dimensioni spirituali, la bellezza – ne abbiamo parlato-. Questo lo riprenderò penso la prossima settimana, vorrei anche iniziare nel Sito Istat il cosiddetto BES benessere equo solidale, equo sostenibile. Integra, sostituisce il concetto di PIL nella valutazione del benessere. Sono 12 parametri attraverso i quali si esprime il benessere dello stato. Su questa strada l’Italia è all’avanguardia. Il bene collettivo, il Bene Comune, si concretizza nella qualità della vita umana, a scala locale e globale. Mai come oggi percepiamo il rispetto dell’ambiente, la moderazione dell’uso delle risorse naturali, la sostenibilità, sono dimensioni fondamentali del bene comune, insieme alla tutela dei diritti umani. Nell’ottica dell’interdipendenza il bene comune deve essere perseguito a livello globale, planetario, proprio perché il singolo stato da solo non può garantirlo, può solo pregiudicarlo, danneggiarlo. Si aprono allora, nel dibattito internazionale, nuovi capitoli e nuove prospettive alcune estremamente delicate e rischiose. Ad esempio: il discorso della cosiddetta ingerenza umanitaria. Si dice: di fronte a violazione del bene comune, dei diritti universali che si manifestano in singoli stati e che interpellano la coscienza, la comunità internazionale ha il dovere di intervenire, quando è in gioco la pace, quando sono in gioco i diritti delle minoranze, i flussi migratori, la droga light, la fame. Ingerenza, intervenire. Come? Con i droni, con le bombe intelligenti si fa per dire, con le droghe. Su questo non sono capace di fare quello che faceva ieri il magistrato, la capacità di ricordarsi i nomi, ma si può chiedere qual è la vostra opinione globale? Bene comune globale, diritti universali, sono pregiudicati in molte parti. Intervenire come? Intervenire anche in modo equo. Interveniamo nel paese A ma ci guardiamo bene dall’intervenire nel paese B col quale abbiamo accordi economici particolarmente importanti. I problemi si fanno sempre più pressanti, vedi in Libia. Poi i fenomeni che ci sono dietro. Non solo Bruxelles. Come gestire queste cose? Chi è che interviene su queste questioni? Le organizzazioni sopra gli stati ci sono, ad esempio le Nazioni Unite, ci sarebbe anche l’Europa. In modo particolare l’Europa. Nonostante, come dicevamo ieri, questo buio, 76 dobbiamo vedere anche le luci. Ci sono varie istituzioni. Il Consiglio di Sicurezza è importante, alcuni avevano proposto anche il consiglio di sicurezza economico sociale per intervenire. Il discorso, anche degli aiuti internazionali, la revisione del merito, trasferimenti di tecnologie. Tante cose ci sono. Alcune grandi imprese sono anche impegnate in questo fronte. La Ferrero, la Nestlé dopo le disavventure di qualche anno fa. Una notazione. Noi iniziamo di nuovo la settima dopo Pasqua sembra sia vacanza fino a mercoledì, ci vediamo il lunedì in aprile, e sviluppiamo l’argomento: scienza economia e società in un mondo globale, che è il titolo del capitolo del libro, lo affronterò in maniera un po’ diversa. Rende operative le considerazioni svolte fin d’ora. Faremo considerazioni anche in relazione a ciò che sta succedendo. L’ultima parte del corso sarà sulla responsabilità sociale. Vorrei parlare del principio del Bene Comune visto in termini genarli, assume una valenza generale in ambito economico e sociale. In riferimento specifico all’economia, i principi del personalismo sono i seguenti: 1) Primo principio. DIGNITA’ DELLA PERSONA UMANA. Tutti gli uomini sono meritevoli di pari dignità e di uguale corrispondenza tra libertà e responsabilità, tra diritti e doveri. 2) Secondo principio. GESTIONE E CURA DELLA NATURA. Ciascuno è amministratore della natura nel bene di tutti. 3) Terzo principio. DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI. Ognuno deve operare in vista di un’equa distribuzione del reddito, delle ricchezze, delle chance di vita. Nella destinazione universale dei beni, assume oggi importanza fondamentale quelli che vengono chiamati beni comuni: il clima, la conoscenza, la cultura. Beni che devono essere garantiti a tutti. Non sono di chi se ne appropria individualmente. 4) Quarto principio. OPZIONE PREFERENZIALE PER I POVERI E PER I DEBOLI. In cui ci si deve dare carico attraverso l’intervento pubblico, e attraverso l’impegno della società civile. In quest’ambito l’economia è solo una dimensione della complessa attività umana. La libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Infatti, la soluzione dei problemi odierni non è soltanto questione di produzione economica, ma richiede valori etici, cambiamenti di mentalità, cambiamenti di comportamenti. I meccanismi del libero mercato offrono indubbiamente dei vantaggi ma non possono essere assolutizzati e idolatrati. Ci sono bisogni che non possono essere soddisfatti mediante i meccanismi del mercato. Sono bisogni essenziali per la sopravvivenza e attività di milioni di persone. Il profitto è un regolatore importante, ma non è l’unico. Ci sono altri fattori umani e morali che, nel lungo periodo, sono essenziali per la crescita dell’impresa. Non basta che i conti economici siano in ordine. 77 Impresa e mercato devono essere proiettati al bene comune. Devono essere funzionali e coerenti con l’integrale sviluppo della persona umana nel lavoro. Questo non contraddice, ma favorisce la produttività e l’efficacia del lavoro, anche se questo può indebolire strati di potere consolidati. Questi sono alcuni passaggi che avremo modo di vedere. A proposito di Happines Index, una serie di ricerche che sono state fatte negli Stati Uniti, hanno messo in evidenza che se le persone, una impresa, sono felici, la produttività del lavoro aumenta del 12%. Tant’è vero che, negli Stati Uniti, è stata creata in molte imprese, la figura del chief happiness board, direttore per promuovere la felicità dei dipendenti. Questo può comportare manipolazioni artificiose, ma anche esperienze di welfare aziendale, una migliore qualità di vita sul posto di lavoro e fuori dal posto di lavoro. Una conciliazione di vita fuori dell’impresa e nell’impresa. Sono queste le nuove frontiere su cui riflettere. Prima, vi distribuisco, in modo che potete iniziare ad organizzare la vostra preparazione, quaderni e idee, il tenario fino ad oggi. In modo che abbiate una idea di come sarà. Non facciamo lo scritto, ma le domande sono ancora un po’ circostanziate, generali. Colloquiando c’è una interazione reciproca. Le leggo rapidamente e le distribuisco. Non c’è niente di strano o di equivoco. Sono, ad oggi, 22 argomenti. [Vedi direttamente il tesario]. Concentriamo un po’ di attenzione sull’indagine LA FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI. È una indagine che viene fatta a livello nazionale. Le risultanze nazionali si trovano anche sul sito. Io ho seguito lo schema di questa indagine con qualche piccolo ritocco per adattarlo anche alla nostra situazione. La domanda che vi viene posta è; Quanta fiducia prova nei confronti delle seguenti organizzazioni, associazioni, gruppi sociali e istituzionali? Le risposte possibili sono: pochissima, poca, molta, moltissima. Le istituzioni a cui facciamo riferimento sono le seguenti: : 1. Stato. 2. Regione. 3. Comune. 4. Presidente della repubblica. 5. Forze dell’ordine. 6. Parlamento. 78 7. Magistratura. 8. Sistema sanitario nazionale. 9. Papa. 10.Chiesa. 11. Partiti. 12.Cgil. 13.Cisl. 14.Uil . 15.Confindustria. 16.Unione europea. 17.Banca centrale europea. 18.Banca d’Italia. 19.Banche. 20.Grandi imprese. 21.PMI. 22.Imprese cooperative. 23.Terzo settore. 24.Università. Corrispondono in larga misura all’indagine nazionale, principalmente focalizzato sulla parte economica. È stata aggiunta, l’ho lasciato su indicazione dei vostri colleghi dell’anno scorso, sistema sanitario nazionale. C’è anche l’indicazione M/F perché è interessante verificare se vi sono differenze. Il gruppo che si era incaricato di elaborarle aveva anche ripreso i risultati dei vostri colleghi l’anno prima, però liberi di lavorare come meglio credete. Non ho messo nella sequenza delle istituzioni: governo, volutamente, perché questo avrebbe comportato una valutazione politico partitica che non ci sembrava il caso. Le altre sono istituzioni: il presidente della repubblica è una istituzione. Ci riflettete. LEZIONE 9 4/4/2016 Siamo quasi a metà corso. Alcune informazioni. Ho ricevuto da alcuni di voi il resoconto per la partecipazione al salone della Responsabilità. Vedremo poi che, parlando di responsabilità, alcune cose potranno essere richiamate, avremo la testimonianza del dottor Bassetti. Il gruppo di lavoro che ha scelto di elaborare i dati sull’indagine mi ha trasmesso l’elaborato. Può essere completato un attimo con le percentuali e dobbiamo stabilire quando lo illustrerete ai vostri colleghi. Un confronto su questi dati può essere interessante, lo facciamo lunedì prossimo. Io provvederò anche, a fotocopiare i risultati che distribuirò. L’argomento di questa settimana è un po’ la conclusione della prima metà del corso, con riflessioni che dureranno un po’ anche la prossima settimana, dal titolo: IL BENE 79 OLTRE IL BENESSERE: UN’ALTRA ECONOMIA E’ POSSIBILE. Vi proporrò una serie di riflessioni che hanno il riferimento nel primo capitolo del libro. Proprio in riferimento a questo, un’altra economia è possibile il 29 marzo sul 24 ore è apparso un articolo estremamente interessante: “Quali modelli per la crescita, i modelli non salvano gli economisti mainstream”, e sotto titolo: si fanno strada economie alternative come << l’economia dell’abbastanza>>. Vi ho fatto la fotocopia, che serve come documentazione per l’argomento conclusivo. La crisi non salva gli economisti mainstream [versione online, guarda la fotocopia integrale ☺) Carlo Carboni29 marzo 2016 Argomenti: Einaudi | Europa | Mauro Gallegati | Albert Einstein | Banca d'Italia | Andy Warhol Oggi che i confini europei sono in fiamme sconvol@ dalle guerre, che le migrazioni sono diventate un’esplosione di massa e che la crisi economica e finanziaria con@nua a mordere e a minacciare secular stagna@on, viene in mente la frase fulminante di quel vecchieHo simpa@co ritraHo da Andy Warhol, di nome Albert Einstein: «Non possiamo pretendere che le cose cambino se con@nuiamo a fare le stesse cose di prima». La crisi economica ha messo sul banco degli imputa@ le teorie economiche dominan@, matema@camente correHe, ma sbagliate perché basate su ipotesi che ripudiano la realtà paradossalmente in nome del realismo. «Cerchiamo di essere realis@. Non lasciamoci trarre in inganno dalla realtà», cantava con ironia Gaber: parole che Mauro Gallega@ cita nel suo ul@mo incalzante libreHo (Acrescita. Per una nuova economia, Einaudi) per cri@care gli economis@ mainstream: non hanno previsto la crisi economica quando questa stava arrivando veloce come uno tsunami e sopraHuHo sono incapaci di riceHe efficaci per uscire da questa lunga crisi. La loro teoria presuppone che l’economia di mercato sia in equilibrio, quando, al contrario, i moderni sistemi complessi nell’economia globalizzata producono a geHo disquilibri e asimmetrie. Al massimo si può realizzare un “equilibrio di sella”, uno status precario perché basta poco per far cadere il cavallerizzo. Gli economis@ mainstream hanno soppiantato l’economia poli@ca che era pur sempre regina delle scienze sociali con l’aHuale economics, bruHo anatroccolo delle scienze esaHe. Inu@le incaponirsi a ridurre i soggea sociali ad atomi, quando sono persone che apprendono e agiscono con una razionalità spesso limitata. La realtà si rifiuta di assecondare gli assiomi non falsificabili dell'economia dominante, così come la Terra ha sempre girato aHorno al Sole infischiandosene delle ipotesi matema@che di Tolomeo. Se dopo i QE lancia@ dalle banche centrali non si ha una dinamica inflaava, ma si ristagna e si va in deflazione; se dopo interven@ di poli@ca fiscale e monetaria senza preceden@ il primo mondo sente ancora i morsi di una crisi prolungata; se dopo anni di flessibilità nei rappor@ di lavoro, la disoccupazione è cresciuta per poi ritrarsi lentamente anche a dispeHo di una modes@ssima dinamica salariale; se i maggiori profia e rendite non si travasano in inves@men@ produavi per la crescita economica e occupazionale, beh, qualcosa sta sfuggendo a questa ciHadella del sapere economico-­‐matema@co. È venuto il momento di cambiare approccio anche nella teoria economica. In fondo, dalla grande crisi degli anni Trenta si uscì con altre convinzioni teorico economiche (quelle keynesiane, allora innova@ve) rispeHo alle preceden@. Si sos@ene che il problema sia il debito pubblico, ma questo ha una centralità rela@va anche in paesi poco fortuna@ dell’Europa del Sud, che hanno invece bisogno, come Spagna e Italia, di cambiare o migliorare la propria struHura produava. Gli effea devastan@ dell’economics austera sono soHo i nostri occhi nell’Europa meridionale, inchiodata da una disoccupazione record, da deflazione salariale, scarsa domanda interna, da livelli d’inves@men@ pubblici e priva@ inadegua@. Forse il neokeynesismo non è la soluzione per uscirne, ma certo il punto di riferimento non può essere l’homo oeconomicus tout court (che non esiste se non come media atomis@ca). L’economics 80 è diventata un modello matema@co al prezzo dell’abbandono delle scienze sociali che, al contrario, richiederebbero di rimeHere al centro l’agente sociale che muove i processi economici con il suo pensiero e la sua capacità di apprendimento. La crisi delle teorie mainstream s’intreccia con la crisi dell’economia con le sue rigide prescrizioni assioma@che, come l’inviolabile 3% deficit/Pil o il teutonico fiscal compact. E non basta dire crescita se consuma risorse non riproducibili: prima o poi finiranno. Gallega@ propone -­‐ in modo un po’ vola@le -­‐ l’economia dell’abbastanza, che non è la decrescita di Latouche. In effea, la crescita se non ges@ta da una classe dirigente all’altezza, potrebbe indurre un clamoroso harakiri alla stessa economia perché per ora amplia (a seguito delle nuove tecnologie, dell’immigrazione, ecc.) lo speHro delle disuguaglianze che deprimono i merca@ interni e quindi la crescita e l’occupazione. Al proposito, i da@ della Banca d’Italia sulla propensione al consumo dei più ricchi e dei più poveri parlano chiaro (65% contro il 95%), al pari dell’osservazione di S@glitz (2015) che nei periodi in cui la disuguaglianza è aumentata, anche la crescita è stata lenta. La crescita con la disuguaglianza polverizza non solo il teorema di Easterling, secondo il quale, oltre un certo livello di benessere, felicità e Pil non vanno assieme, ma anche le raccomandazioni della commissione Fitoussi, Sen e S@glitz (2010). Pensando alle soluzioni, Gallega@ ci propone non un taglio, ma una riqualificazione della spesa pubblica (già 2.000 euro pro-­‐capite soHo la media europea), una loHa all’evasione fiscale non convenzionale che usi tecnologia (a es. mobile proximity payments), una poli@ca industriale in grado di migliorare la struHura produava (tecnologia e servizi), un reddito minimo garan@to (600 euro mensili) a quei 7,8 milioni d’italiani in difficoltà (costo: 5 miliardi al neHo delle integrazioni al reddito già esisten@) e d’insistere sull’idea che se non si ferma l’austerity e non si evolve la sua struHura produava complessiva, l’Eurozona difficilmente si riprenderà. Riprendiamo alcune affermazioni che avevo fatto all’apertura del corso, adesso siamo in grado di approfondirle e verificarle, anche criticamente. L’affermazione di partenza è la seguente: non c’è ambito della vita sociale, economica, istituzionale, che non sia percorso, caratterizzato, da grandi cambiamenti. I grandi cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti. Però, cambiamenti per quali fini? In nome di quale progetto? Credo che per questi interrogativi non esistono oggi delle risposte convincenti. E da ciò discendono paure, incertezze, difficoltà. Oggi il calcolo, gli interessi egoistici di ceto, di gruppo, di oligarchia, sopravanzano le esigenze della società. Questo concorre ad aumentare, secondo una circolarità viziosa, problemi e conflitti. Nel contempo cresce, si consolida, la tentazione di risolvere la complessità delle situazioni in nome della forza, sia direttamente, sia indirettamente attraverso l’accordo tra i poteri forti, fra gli interessi predonmimante.Il più forte può assumere poteri diversi: finanziario, potere economico, mas mediatico, e così via. L’altra affermazione iniziale; l’uomo d’oggi si presenta ricco di strumenti e povero di strumenti di valori. Questa inversione mezzi fini caratterizza le moderne forme di alienazioni nell’ambito delle quali l’uomo si priva della propria umanità, si priva della possibilità di entrare in una relazione costruttiva e cooperativa con gli altri e con la natura. Si priva cioè della possibilità di una vita buona. Oggi constatiamo che i numeri finiscono per prendere il posto degli uomini, specie dei più deboli e di coloro che sono più bisognosi di stato sociale. L’esclusione è il grande dramma e la grande paura. L’esclusione di oggi è più grave, probabilmente, dello sfruttamento di ieri tipico della società industriale. Lo sfruttamento presuppone un rapporto tra lo sfruttatore e lo sfruttato, un rapporto sul quale, nella storia, sono maturate le varie esperienze del conflitto 81 operaio, del conflitto sindacale. Questo rapporto non esiste nell’area dell’esclusione. Ci sono soltanto degli individui dispersi, invisibili, senza espressione propria, e sovente, a parte le testimonianze del terzo settore, privi di appoggio, di partecipazione. Non riescono a prendere parola, a cooperare, non hanno posto nello stato sociale. Questo ragionamento di carattere generale richiede, adesso, di essere contestualizzato. 1) La crisi economico finanziaria che continua, ci sono alcuni economisti che incominciano addirittura a parlare di crisi secolare. 2) Lo sviluppo autopropuslvio e pervasivo della sceinza e della tecnologia. 3) L’allargamento degli orizzonti di riferimento nel senso della globalizzazione. 4) La problematica ambientale. Tutto questo mette pesantemente in gioco il nostro modo di produrre, di lavorare, di consumare, di comunicare, di vivere. L’impresa è totalmente dentro questo discorso. Allora, approfondiamo questo discorso. Lo approfondiamo a partire dalla SCIENZA E TECNOLOGIA. Avevo già accennato qualcosa nelle primissime lezioni. Si tratta ora di meglio specificare. La scienza appare oggi come una forza direttamente e immediatamente produttiva, cioè una forza che è potenzialmente in grado di trasformarsi in tecnologia, in prodotto, in organizzazione, in sistema, secondo dinamiche pluri sequenziali che creano, a loro volta, la condizione per procedere integralmente. Nello sviluppo della scienza e tecnologia sono riscontrate logiche di auto propusività e di multi direzionalità. Le potenzialità della scienza e tecnologia sono sfruttabili in maniera molteplice, non sempre prevedibili e programmabili. Le opportunità di fertilizzazione dei saperi e delle conoscenze possono svilupparsi tanto in verticale, la scoperta della chimica di base ha poi un’applicazione nella chimica fine, quanto e soprattutto orizzontalmente Scoperta tecnologia può avere degli effetti sui computer, nell’agricoltura, nella chimica. In questo dinamismo auto propulsivo la distinzione tra ricerca teorica, e la ricerca teorica è valutabile in termini di vero e di falso, e le applicazioni effettive e potenziali della ricerca, le applicazioni sono valutabili in termini di bene e male, di giusto e ingiusto, bene questa distinzione tra ricerca teorica e applicazione pratica appare sempre meno chiara e percepibile. Sorge quindi un grosso rischio. Il rischio di una sorta di neoscientismo, nel senso che il sapere scientifico, tecnologico, viene percepito come il vero unico grande processo. Un processo che è senza soggetto, o per lo meno il soggetto resta nello sfondo. Ma un processo senza soggetto, rischia di essere senza etica. Una rapida sottolineatura. Lo scientismo poggia su una duplice pretesa: 1) Prima pretesa. La scienza è l’unica, valida, forma di conoscenza di ogni realtà, compreso l’uomo. 2) Seconda pretesa. Tanto il processo di ricerca, quanto le sue applicazioni, non hanno bisogno di fare riferimento a principi e valori di ordine superiore. Questi processi non hanno nessun vincolo etico con riferimento alle finalità che si vogliono perseguire, con riferimento alle metodologie che si ottengono 82 Affermazione già fatto: si ritiene che ciò che è tecnicamente fattibile è anche lecito. Dicevamo innanzi soggetti che restano sullo sfondo. In altre parole l’uomo rischia di diventare un’appendice dei meccanismi fisici, ideologici, ed anche dei meccanismi economici. Per le grandi concentrazioni di potere economico, finanziario e massmediatico, la pretesa della neutralità e oggettività della conoscenza, serve in non pochi casi, per mascherare processi di manipolazione, di strumentalizzazione. Detto questo, è evidente che la via di uscita non sta certamente nel ritorno ad una società bucolica, pastorale, con i fiorellini dappertutto. Il dover vivere in sistemi organizzativi complessi, a complessità crescente, è un dato di fatto. Però, questi sistemi complessi rispetto ai quali l’uomo rischia di essere una semplice appendice, comportano per l’uomo questi rischi: - Quello di essere, in qualche modo, sottomessi all’adempimento scientifico e tecnologico. Non a caso registriamo una sorta specularizzazione della scienza. La scienza che diventa speculare. - C’è anche il rischio di essere, in qualche modo, spossessati del reale, di non avere presa sulla realtà che non si comprende. - Soprattutto, il rischio di essere progressivamente privati dell’esperienza spazio temporale. Il rischio è che lo spazio e il tempo siano diluiti nella fiction. In molti casi, la fiction sembra più reale della realtà. In tutto questo si perde la memoria del passato, si chiudono gli occhi di fronte al futuro, si dilata il presente. Al tempo stesso cresce l’area della sfiducia, o meglio della non fiducia, come avete messo chiaramente in evidenza nel vostro sondaggio. A proposito di scienza e tecnologia, ci troviamo ad operare nell’ambito di inquietanti contradizioni. 1. La prima. La scienza e la tecnologia, intese come sistema di conoscenze, come insieme di attività, sono per loro natura fonte di alternative molteplici, differenziate. Ma se ci sono alternative molteplici e differenziate è necessario l’intervento dei soggetti, per stabilire quali conoscenze produrre, come utilizzarle, ma l’interrogativo è quali sono i soggetti che possono intervenire, prendere parola? 2. La seconda. Le nuove tecnologie, in particolare quelle elettroniche informatiche sono tecnologie non deterministiche, non c’è la catena di montaggio nell’informatica. Più strade sono possibili. Sono pluralistiche. Se ci dicono che più strade sono possibili, e i problemi non hanno una e una sola soluzione. Anche qui, chi sceglie? C’è la percezione che più strade sono possibili. Quindi ci sarebbe lo spazio per protagonismi differenziati, articolati, per un effettivo pluralismo, per una vitalità che nasce dal basso, per una diffusione di responsabilità. Chi controlla gli spazi che sono disponibili? 83 È in questo senso che parlo di contraddizioni. Perché la scienza e la tecnologia ampliano enormemente le possibilità che l’uomo ha ma, nel mentre, la scienza e la tecnologia ampliano le possibilità per l’uomo, ma a questo uomo si vuole anche dire come deve usare della sua libertà. Vi faccio una citazione, non ricordo di chi, che dice: “La tecnostruttura, appare come ciò che dispone sempre più dei confini e dell’esercizio della libertà individuale e collettiva”. Traducendolo in soldoni, anche per memorizzarlo, hai una grande libertà, ti dico come usarla. Ecco allora, che di fronte a questi problemi si pongono alcune discriminanti etiche, dalle quali non si può prescindere. Cioè alcuni interrogativi. 1) Il primo interrogativo riguarda i mezzi attraverso i quali pervenire alla conoscenza. I mezzi per conoscere. L’interrogativo è questo: qualunque mezzo va bene pur di conoscere? Io voglio conoscere la verità. Qualunque mezzo va bene per conoscere la verità? Io sono mosso da un’esigenza di verità. Qualunque mezzo va bene? Si dice che nella scelta dei mezzi c’è comunque un dovere di rispetto verso i diritti e le esigenze degli altri. Pensate alla drammaticità di questo interrogativo nell’ambito della ricerca medica, che è al tempo stesso, occasione di profitti giganteschi. Pensate a tutto il discorso delle staminali. Anche il discorso delle ricerche sugli embrioni. Quindi mezzi. 2) Il secondo interrogativo. Questo forse è più facile. Come mediare tra il sapere scientifico e concreti bisogni cui rispondere con appropriate tecnologie? C’è il sapere. Ci sono bisogni molteplici. La mediazione come avviene? Anche qui i bisogni. I bisogni come si manifestano? Chi sceglie i bisogni meritevoli di essere affrontati mettendo a punto il sapere scientifico e tecnologico? Come si manifestano? Chi sceglie i bisogni? Se è vero il discorso dei 100 mila dollari per risolvere i problemi drammatici, se 100 mila dollari se ne possono permettere in pochi. Con riferimento a questi interrogativi, un po’ di anni fa, un filosofo brasiliano, ha fatto questa osservazioni quando il Brasile stava sviluppando una ricerca, anche in Brasile avevano creato investimenti notevolissimi, alcune cliniche per avere delle strutture. Dice: “con le stesse cifre, se investiti nella formazione di bravi infermieri, salverebbe molte più vite rispetto al numero di vite che possono essere salvate con queste cliniche d’avanguardia”. Quindi mediazione. 3) Terzo interrogativo sulle conseguenze e condizioni organizzative e finanziarie dell’attività di ricerca. Perché spendere i soldi in certe direzioni e non in altre? In quest’ambito c’è allora il grosso problema etico, politico ed istituzionale della committenza della ricerca, e della appropriabilità dei risultati della ricerca. Questi i grossi punti: committenza e appropriazione dei risultati della ricerca. Allora, in quest’ambito, c’è il mercato della ricerca. Il mercato della ricerca che bisogni soddisfa? I bisogni di tutti, o i bisogni di coloro che sono in grado di pagare il prezzo della ricerca stessa? Se paga il prezzo della ricerca, questo soggetto vuole appropriarsi dei risultati della ricerca stessa, attraverso le forme giuridiche di leggi, di licenze, e così via. 84 Non sono interrogativi di poco conto. A proposito di questi interrogativi, il filosofo che vi cito sovente, Edgar Morin, in un suo volume, non tradotto in Italia, dal titolo significativo; “Science sans cosciense”: Scienza senza conoscenza, afferma questo “è in nome della ragione, dell’intelligenza, del buon senso, della preoccupazione di preservare il futuro, che occorre sottoporre a critica la non ragione dello scientismo, che occorre sottoporre a critica il culto irriflessivo del progresso, come processo senza soggetto, che occorre sottoporre a critica il dogma di un cieco modernismo tecnologico”. È in quest’ottica che è necessario ripensare il senso profondo della ricerca scientifica, tecnologica, il pensare al senso delle potenzialità della scienza e della tecnologia ma anche ai limiti. Dalla scienza e dalla tecnologia non si può dedurre automaticamente una risposta ai bisogni spirituali dell’uomo. Purtuttavia la scienza apre prospettive sempre nuove. La scienza, grazie alle sue conquiste, è arrivata a misurarsi con i grandi misteri: dalla particella di Dio, alle onde gravitazionali e così via. Da questo punto di vista la scienza è arrivata a dirci che ciò che noi chiamiamo materia, compresa la luce, rappresenta solo il 4% dell’universo. Ecco allora che è indispensabile che la scienza si ponga problemi etici, problemi filosofici, culturali, che non possono essere rimossi. Ripensare al senso profondo della ricerca scientifica e tecnologica. In che termini? Nel senso che occorre ragionare sul legame che esiste tra scienza, società, persona, natura. Questo legame pone sul tappetto la questione di come governare, qual è la governance di tutto questo. È possibile parlare di partecipazione collettiva con riferimento a questi problemi? Una partecipazione che richiede maturazione culturale, che richiede saggezza pubblica, che richiede coscienza politica, nell’ambito della quale tutti i cittadini siano in qualche modo coinvolti. Coinvolti, tutti, nella determinazione dei valori che devono essere promossi, dei diritti che devono essere protetti. Questo richiede collaborazione. A questo proposito si potrebbe parlare di vigilanza partecipativa, grazie alla quale, l’uomo, la comunità matura uno spazio di decisione e di responsabilità. Quindi vigilanza partecipativa nei confronti della quiescenza sempre più diffusa nei confronti del potere e dei processi commerciali. Da questo punto di vista l’Unione Europea, e richiamo le cose che dico nel libricino, può fornire una serie di elementi, regole, per il settore delle nano tecnologie. Settore scientifico tecnologico di fondamentale importanza. Dice: gli studiosi, i ricercatori, che principi devono rispettare nella loro attività di ricerca? 1. Precauzione. Principio fondamentale. Le attività di ricerca devono rispettare il principio di precauzione, prevedendo eventuali problemi nei confronti dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei cittadini causati dalle nano tecnologie. 2. Comprensione. La ricerca nei laboratori deve risultare comprensibile e responsabilizzata, rispettando i principi etici fondamentali, con la finalità di migliorare la salute o il benessere delle persone e della società. 3. Coinvolgimento. Gli studi in corso devono essere caratterizzati dal principio della trasparenza, e devono fornire informazioni a tutte le parti interessate. 85 4. Responsabilità. I ricercatori sono ritenuti in prima persona responsabili di principali incidenti sull’ambiente sulla salute dei cittadini causati dal proprio lavoro. Credo che sino significativi. Allora concludiamo la scienza e tecnologia con questa frase. Il sapere non può che essere a servizio dell’uomo, di ogni uomo, di tutto l’uomo. È il discorso del bene comune sul quale ci siamo soffermati. Potremmo, a questo proposito, parlare di costitutiva umanità dell’agire scientifico e delle sue applicazioni. Questa costitutiva umanità va colta in tutte le sue dimensioni: politiche, etiche e culturali. Allora, credo si possa dire che, prima affermazione, la crescita degli strumenti e dei mezzi sempre più raffinati, sempre più sofisticati, non può essere contrabbandata per crescita umana. La crescita dei mezzi non è in automatico crescita dell’uomo. Seconda affermazione. La ragione tecnocratica, efficientistica, necessaria, non può annullare la ragione umanistica. Terza affermazione. Il produrre, sanzionato dal solo mercato, legittimato dal solo mercato, può sopravanzare l’essere, i valori, la qualità. Il progresso, la modernità, non possono esaurirsi in un mero assemblaggio di innovazioni tecnico scientifiche trainate dalla domanda di mercato. Il mondo dei valori, le istanze etico sociali e culturali, devono avere il loro posto. Questo per quanto riguarda la scienza. L’affermazione che lo sviluppo scientifico e tecnologico con la sua auto propulsività mette in discussione i modi di produrre, consumare, vivere, lo abbiamo discusso. Adesso abbiamo la DIMENSIONE ECONOMICA: la crisi, che mette in discussione i modi di vivere, produrre e consumare. Parliamo quindi di economia, con una affermazione metodologica iniziale. L’affermazione metodologica iniziale è questa. Un ordinamento economico, un ordinamento sociale, abbiamo detto l’economia è anche una scienza sociale, umana, per potersi sviluppare in maniera equilibrata deve fare riferimento a tre principi regolativi: 1) Primo principio di regolazione o meccanismo regolativo. Lo scambio di mercato. Oppure, come dicono gli economisti, lo scambio di equivalente; tu mi dai la merce e io ti do il prezzo. Scambio di mercato, che è fondato sul contratto ed è mediato dal pagamento di un prezzo relativo al bene venduto e comprato. Questo è lo scambio di mercato. 2) Secondo principio di regolazione o meccanismo regolativo. Il meccanismo della redistribuzione pubblico statale della ricchezza prodotta, attraverso il sistema della fiscalità. 3) Terzo principio di regolazione o meccanismo regolativo. Il meccanismo della reciprocità, che è il meccanismo della relazionalità. Reciprocità e relazionalità che si esprimono nella gratuità e nel dono. 1) Lo scambio di mercato si prefigge l’efficienza, si prefigge l’uso efficiente delle risorse impiegate per produrre. Lo scambio di mercato poggia sull’interesse e sul fattore individuale. 86 2) La redistribuzione fiscale, attraverso i meccanismi pubblico statali, si prefigge l’equità che poggia sull’obbligo e sulle autorità dello stato e delle istituzioni. La reciprocità, uso il termine coniato da Zamagni, si propone il consolidamento delle relazioni sociali. La relazionalità alimenta quello che gli economisti chiamano il capitale sociale, che è sempre più fattore di competitività del sistema paese. 3) Il dono, e ci aggiungo un aggettivo, che potrebbe sembrare un controsenso, il dono gratuito, proprio per distinguerlo dal dono antagonista, dal dono competitivo, è fondamento di alleanza fra le persone. Il dono gratuito è fondamento di fiducia, di cooperazione, di amicizia, di solidarietà, di libertà. Libertà di dare, di ricevere, ed eventualmente di restituire. Non è il dono che Fantozzi fa al principale ritenendo di ottenere chi sa che cosa. È proprio da qui che occorre ripartire per costruire quella che Sen chiama una buona società in cui vivere. In una buona società in cui vivere il dono non è qualcosa per l’altro, ma è qualcosa con l’altro. Questo a scala micro ma anche a scala macro. Di tutto questo ne abbiamo già parlato. La solidarietà costituisce un passaggio obbligato. Lo ripeto ancora: non una solidarietà assistenziale, che avverte l’esistenza di situazioni di disagio, e cerca di mitigarla con erogazioni private o pubbliche, senza mettere in discussione le cause dei problemi, ma una solidarietà attiva, che ho chiamato democratica e partecipativa. A questo proposito, sempre Sen afferma: occorre passare da un welfare che assiste ad un welfare che abilita. Marta Nausbaumm, che avevo già richiamato, afferma: occorre delimitare gli ostacoli che impediscono agli individui, che sono singoli, individui, esclusi, di diventare persone, cioè capaci di relazione. In quest’ottica, i beni relazionali sono più importanti dei beni materiali. Questo il quadro metodologico. Andiamo nel MOMENTO CHE STIAMO VIVENDO. Mai come in questo momento ci rendiamo conto che l’economia è tanto invadente quanto impotente rispetto ai problemi che sono sul tappeto. La logica del sempre di più delle stesse misure va incontro a pericolosi effetti di ritorno. In questi anni, dal 2007-2008 ad oggi, si è passati da una crisi finanziaria, ad una crisi economica, questa è diventata crisi occupazionale ed ambientale, e rischia, in certi paesi, di diventare anche una crisi politica. I tradizionali paradigmi della scienza economica ufficiale, ovvero della scienza economica mainstream (vedi la fotocopia distribuita), la ricerca del proprio tornaconto su un orizzonte temporale sempre più breve, e una sorta di darwinismo sociale per cui i più forti devono vincere e prendere tutto, non presente nel dono e nella gratuità, sono entrati in crisi tanto a livello normativo. Non servono a capire e non ci danno elementi per costruire una politica di intervento. Le grandi questioni che sono sul tappeto: esclusione, cittadinanza, ambiente, generazioni future, dimostrano ampiamente l’insufficienza del mercato come unico e supremo regolatore, e anche l’insufficienza dell’individualismo come norma comportamentale. 87 In altri termini, quello che viene chiamato neo liberismo ha progressivamente distrutto i fondamenti del vivere sociale, i fondamenti della vita buona. Ci se ne rende sempre più conto. Nel senso che l’economia ha finito per occupare tutta la vita dell’uomo. L’uomo conta in quanto consumatore. Negli Stati Uniti il debito ha mercatizzato il consumo, si è indebitato per consumare. Con questa avvertenza: il neo liberismo non è soltanto un sistema economico, ma è anche una cultura, uno stile di vita. Si è passati dall’economia di mercato. In questi anni si è passati progressivamente dall’economia di mercato si è passati alla società di mercato. Questa è un’altra cosa. Richiamiamo brevemente, poi chiudiamo, quali sono i principi fondativi di questa ideologia neo liberistica. 1) Primo principio. L’essere umano, in quanto creatura in grado di ragionare, agisce sempre nella sfera economica in modo egoista, con l’obiettivo di massimizzare il proprio benessere. 2) Secondo principio. La somma di questi comportamenti individuali garantisce il massimo benessere per la collettività. 3) Terzo principio. Lo stato di conseguenza, deve la sciare campo libero all’egoismo individuale, e alle sue iniziative economiche, al fine di massimizzare il benessere sociale e collettivo. 4) Quarto principio. Lo stato non deve intervenire nella sfera economica, perché altrimenti riduce il benessere collettivo. Solo il mercato può svolgere il ruolo di arbitro tra gli interessi individuali. Funge da arbitro tra interessi individuali grazie al libero gioco della domanda e dell’offerta di beni, di servizi, di capitali. 5) Quinto principio. [non lo ha detto, ha fatto casino] 6) Sesto principio. Il mercato non ha bisogno di interventi esterni da parte dello stato o di organismi di controllo di natura pubblica, in quanto il mercato per sua stessa natura, si auto corregge, è in grado di tornare all’equilibrio. 7) Settimo. Attorno viene denunciata la speculazione sul mercato. Non è un male la speculazione. Gli speculatori, come principio, non fanno che approfittare delle dissonanze esistenti sui mercati o tra i mercati, così gli specultaroi contribuiscono a rendere i mercati uguali, omogenei, sopprimendo distorsioni provvisorie che possono nascere qua e la. Ripetiamo il settimo punto. A torto, viene denunciata la speculazione sul mercato e. Non è un male. perché?Gli speculatori non fanno che approfittare delle provvisorie dissonanze esistenti sui mercati o tra i mercati. Qui costa due, la tre, vado qui. Essi contribuiscono così a rendere i mercati uguali, omogenei, sopprimendo le provvisorie distorsioni che possono nascere qua o la. Sono quindi una forza benefica e niente affatto figure poco scrupolose e avide di rapidi e facili guadagni, magari portati nei paradisi fiscali (vedi le discussioni sui principali giornali di oggi) 8) Ottavo e ultimo principio. I principi di liberalizzazione dei mercati si devono dapplicare non solo all’interno delle frontiere tra gli stati ma anche nelle relazioni economiche o finanziarie che si creano tra gli attori dei diversi mercati nazionali. È per questo che il mondo deve diventare un unico, libero 88 mercato, dove tutti gli attori economici possono svilupparsi senza intralci. Il protezionismo è un male assoluto che deve essere combattuto senza tregua. A questi principi, questo lo leggo rapidamente, non è necessario prendere appunti risponde Stigliz, altro premio Nobel. Afferma: “È evidente che i mercati non hanno funzionato nel modo previsto dai loro fautori. I mercati dovrebbero essere stabili, ma la crisi finanziaria globale ha mostrato che possono essere molto instabili e scatenare conseguenze drammatiche. I banchieri, infatti, avevano azzardato scommesse, per cui se non fosse stato per l’assistenza del governo, sarebbero stati travolti assieme all’intera economia. Uno sguardi più ravvicinato al sistema ha rivelato che non si trattò di un incidente, i banchieri erano incentivati a comportarsi in quel modo. La virtù dovrebbe essere l’efficienza, ma chiaramente il mercato non è efficiente. La prima legge della teoria economica, necessaria perché l’economia sia efficiente, è che la domanda sia pari all’offerta. Ma viviamo in un mondo in cui enormi bisogni rimangono insoddisfatti. Mancano investimenti che facciano uscire i poveri dalla povertà, che promuovono lo sviluppo nei paesi meno sviluppati dell’Africa e degli altri continenti del mondo, che adeguino l’economia globale alle sfide poste dal riscaldamento della terra. Contemporaneamente abbiamo ampie risorse inutilizzate come laboratori o macchinari improduttivi o impiegati al di sotto delle loro capacità. La disoccupazione, l’incapacità del mercato di generare posti di lavoro per tanti cittadini è il fallimento peggiore, la fonte di inefficienza più grave otre che una delle cause principali della diseguaglianza”. LEZIONE 10 5/4/2016 Lunedì abbiamo la lezione normale, nell’ambito di questa avremo la presentazione e il dibattito sulle risultanze del secondo sondaggio sulla Fiducia. Vi darò le fotocopie in modo che si possa seguire meglio quello che i vostri colleghi diranno. Terminato il dibattito, completerò le cose che non riuscirò a concludere oggi. Passerò poi all’etica di impresa, per vedere poi passare specificatamente agli strumenti di responsabilità sociale. Entrerò nella seconda metà del corso. Premetto che martedì non farò lezione, sono insieme a Pittaluga, ad un convegno sulla Laudato sì, che si tiene a palazzo san Giorgio dalle 9 .30 in avanti, se uno non sa cosa fare può passare di li. Vedremo più avanti quando recuperarla, magari facciamo la proiezione del film. Riprendiamo le nostre tematiche. Ieri, in modo particolare, abbiamo approfondito il discorso scienza e tecnologia. Riprendiamo le idee chiave. Da un lato il discorso del neoscientisimo, e in conclusione, dall’altro lato l’ipotesi della vigilanza partecipativa. Siamo passati dalla scienza all’economia, con la premessa metodologica sui tre meccanismi regolatori dei sistemi economici: meccanismo di mercato, scambio di 89 equivalenti, il meccanismo redistributivo pubblico, e il meccanismo della relazionalità, reciprocità fondata sul discorso del dono. La premessa metodologica. Siamo partiti dall’affermazione che oggi l’economia è tanto invadente quanto impotente di fronte ai problemi che sono sul tappeto. Ho presentato una serie di riflessioni in riferimento al neo liberismo, con riferimento al neo liberismo e ai presupposti su cui poggia, ho distribuito la fotocopia di un certo interesse, e ho concluso con la citazione di Stiglitz, che contesta l’efficienza del mercato, e soprattutto la capacità del mercato di auto regolarsi. Siamo arrivati qui. La linea di ragionamento, che avevo anticipato, è: un’altra economia è possibile. E proprio in questa prospettiva, mi sembra domani o dopodomani si terrà a San Patrignano un convegno sull’Economia Positiva. È un movimento che è stato creato da uno dei principali economisti francesi. Quest’anno si riuniscono a San Patrignano. Prima di San Patrignanoc’era stato il passaggio alla camera dei deputati dove sono stati presentati i principi dell’economia positiva. Un movimento che propone una serie di idee interessanti nella prospettiva sono possibili altre economie: sociale, solidale, positiva, e altri modi di intendere e valutare l’economia al di là del PIL e, sull’economia positiva vi ho fotocopiato una sintesi su che cosa è l’economia positiva. [vedi fotocopia]. Si può usare per metterla come riflessione nel quaderno. Lo usiamo come strumento per introduzione alla lezione di oggi. L’economia positiva è quell’economia che riorienta il capitalismo verso obiettivi di lungo periodo. La generosità nei confronti delle generazioni future è un incentivo molto più potente dell’egoismo, che si presume regga l’economia di mercato. L’economia positiva mira a promuovere le relazioni di lungo periodo, la condivisione della conoscenza e gli approcci collaborativi. È urgente che le generazioni contemporanee adottino azioni volte a tutelare la vita delle generazioni future. Oltre alla dimensione morale, è fondamentale anche l’interdipendenza generazionale poiché ampi settori dell’economia dipendono dalle generazioni future (multiservizi, pensioni, produzione, salute). Esistono già numerose iniziative positive: dall’imprenditorialità sociale agli investimenti socialmente responsabili, dal commercio equo e solidale alle aziende con responsabilità sociale, passando per buona parte dei servizi pubblici. Eppure, rimangono fenomeni di piccola scala, mentre per poter avere successo l’economia positiva abbisogna di una vera e propria rivoluzione copernicana. La crisi attuale può essere spiegata per lo più mediante gli aspetti non positivi dell’economia: il predominio di una mentalità orientata sul breve termine ha schiacciato ogni altro ambito dell’economia, a cominciare da quello finanziario. Da trent’anni a questa parte in molti paesi la missione originaria della finanza – quella di trasformare depositi a breve termine dei risparmiatori in investimenti di lungo periodo – è stata totalmente trascurata, mentre sono aumentate la deregolamentazione, la disintermediazione e l’informatizzazione. La finanza è così diventata un settore a sé, in parte isolato dal resto dell’economia e troppo spesso desideroso di dominarla, anziché disorientarla e servirla. 90 Per poter affrontare le sfide che ci attendono da qui al 2030 – siano esse ecologiche, tecnologiche, sociali, politiche o spirituali – dobbiamo trasformare il nostro sistema economico in modo tale da prendere in considerazione un’ottica di lungo periodo. Altrimenti verranno superati dei punti di non ritorno e il mondo piomberà in un clima di sommosse stese che potrebbe alimentare un’economia illegale e criminale. Fare nostra l’economia positiva, invece, ci consentirà di superare la crisi attuale e di evitare tali disastri. Uno dei prerequisiti consiste nel costruire un capitalismo paziente, basato sulla finanza e che recuperi il proprio ruolo di sostegno dell’economia reale. L’economia positiva è un mezzo per generare crescita, ricchezza e lavoro di qualità. Numerosi studi dimostrano che le aziende positive non sono meno efficienti o redditizie delle altre, anzi, proprio il fatto di mettere al centro delle proprie strategie temi di lungo periodo le rendono sostenibili. Trasformare il nostro attuale sistema economico in un0economia positiva scatenerebbe un meccanismo tale da trascinare la Francia fuori dalla sua crescita fiacca la quale a sua volta alimenta il pessimismo e la sensazione che il paese si sia impantanato, che sia bloccato ad un punto morto. Per conseguire questa rivoluzione copernicana ci dobbiamo dotate di strumenti che ci consentano di misurare i progressi fatti e quelli ancora da fare. L’indice della positività dell’economia è stato messo a punto per tracciare un quadro di quanto l’economia nazionale di un paese possa essere considerata positiva. Per poter avere un’economia positiva, un Paese deve affrontare una serie di cambiamenti strutturali e deve creare un contesto (giuridico e fiscale) tale da favorirne la crescita. È importante sapere che cosa conta e che cosa viene contato. Tra le 45 raccomandazioni espresse dal gruppo di riflessione guidato da Jacques Attali, Presidente del Movimento per un’economia positiva, figurano alcuni gruppi di misure il cui obiettivo è quello di scatenare una (ri) (e)soluzione. Una prima serie di misure è stata rivolta alle aziende, che sono incoraggiate a cambiare i propri obiettivi e ampliare la propria mission tenendo in considerazione aspetti extra finanziari e lungimiranza, per il bene delle generazioni future ma anche per la propria sopravvivenza. Il capitalismo deve essere paziente e si deve saper differenziare dalla dittatura del mercato, improntata su una visione miope e di breve periodo degli azionisti. Sono necessarie modifiche allo status giuridico delle aziende per consentire l’accesso alla proprietà di tutte le parti interessate, non solo dell’azionariato. Un’altra misura è volta ad assegnare diritti di voto in seno alle assemblee generali agli azionisti di lungo periodo, in modo da favorire la stabilità dell’azionariato. Circa 10 misure chiave si incentrano sulla finanza – e più in particolare i finanziamenti – tramite una serie di azioni. Innanzi tutto, bisognerebbe suggerire al G20 o al G8 di creare un fondo economico globale. Ciò comporta una rivalutazione della struttura del sistema fiscale in base ad esternalità positive o negative, in modo da incoraggiare o scoraggiare certi comportamenti. Sono necessarie anche riforme istituzionali: la nozione di lungo termine dovrebbe essere sancita per legge e riconosciuta dalle istituzioni. A livello nazionale, andrebbe dedicata un’istituzione al benessere delle giovani generazioni (il Consiglio del Lungo 91 Termine). Al fine di diffondere il pensiero di lungo periodo a livello internazionale, un’alternativa potrebbe consistere nel redigere una carta internazionale sulle responsabilità universali, in cui definire i doveri delle generazioni attuali nei confronti di quelle future. Infine, ma non meno importante, l’economia positiva mira a promuovere la creazione di una società positiva. La relazione “Il percorso verso l’economia positiva” sostiene l’idea di creare un’istituzione del lungo termine il cui obiettivo sarebbe quello di dare voce alle generazioni future e di promuoverne i punti di vista. In tale contesto, è suggerita anche una revisione approfondita dei modelli educativi e degli approcci pedagogici. È infatti innegabile che l’istruzione sia la chiave per promuovere lo sviluppo di cittadini generosi e rispettosi dell’ambiente. Credo sia di estremo interesse, su cui vale la pena riflettere, perché mette in evidenza le questioni importanti. Una sulle quali non si riflette è quella del ricambio generazionale, che nei paesi industrializzati e in particolare nel nostro, ancora più in particolare in Liguria, che è la regione più vecchia d’Europa, è bloccato. Se il ricambio generazionale bloccato cosa succede? Il calo della popolazione è evidente, calo degli investimenti, dei consumi, delle innovazioni. Quindi la necessità di considerare il rapporto tra le generazioni. Nell’ambito di un ragionamento di patto generazionale, le giovani generazioni cosa possono dare alle generazioni anziane? Le generazioni anziane cosa possono dare alle giovani? Insieme, che sinergie nascono? Si può far scaturire l’idea da illustrare all’esame: ampio spazio alla creatività e alla fantasia. Questa era la premessa. Riprendiamo, con l’affermazione positiva che l’economia va ripensata, va rilegata alla società e alla persona. L’economia va ripensata a partire da alcune verità elementari, di buon senso. Non c’è bisogno di modelli econometrici, basta pensare di ripartire ad alcune verità elementari, che in parte abbiamo già detto e riepiloghiamo. 1) Prima verità elementare. Il mercato non soddisfa il bisogno, bensì soddisfa la domanda fondata sul potere di acquisto, la domanda fondata sul prezzo che uno può pagare. La conseguenza qual è? Che cresce il superfluo, e le esigenze fondamentali restano inevase. Questo lo diceva anche Stiglitz. Bisogna ripartire dai bisogni veri della gente. Veri, non manipolati. 2) Seconda verità elementare. La dimensione finanziaria non coincide con la dimensione reale dell’economia. In questi anni abbiamo assistito alla moltiplicazione perversa di una ricchezza che non cresceva. Anzi, la tossicità di questa economia finanziaria ha finito per avvelenare anche la base materiale. Non a caso si usa il termine di titoli tossici. Moltiplicazione perversa di una ricchezza che non cresce. A questo proposito, nel 2007-2008 l’allora presidente della FED, che oggi è la Yellen, denunciava il 92 3) 4) 5) 6) 7) pericolo di un mondo, usava questa espressione, che galleggia nel vasto mare del capitale liquido. Usava questa espressione figurata. Diceva, ma: vasto quanto? Nel 2007-2008, il capitale liquido, i titoli a breve termine, future, derivati, nel loro insieme erano 3,33 volte più grandi del prodotto interno lordo mondiale. In oggi finanza a breve termine, derivati, sono 10 volte più forti dell’economia reale. È qui che ci si rende conto che il loro potere di condizionamento è enorme. La teoria insegna che i mercati finanziari dovrebbero riflettere i fondamentali dell’economia, non più così. I mercati finanziari determinano i fondamentali dell’economia reale. È stato affermato: la finanza si mangia l’economia. Anche qui, bisogna ripartire dalla produzione di beni, servizi, occupazioni, consumi privati e soprattutto pubblici e la finanza deve essere funzionale, deve essere al servizio di questo processo reale, e non viceversa. Terza verità elementare. L’utilità collettiva, l’utilità sociale, non è la somma delle utilità individuali. Lo abbiamo detto: è evidente. È necessario quindi ripartire dal concetto di Bene Comune, di tutti, nessuno escluso. Quarta verità elementare. L’economico non è anche sociale. Cioè la razionalità del primo, dell’economico, non può espropriare la razionalità del sociale. Devono integrarsi, anche perché non c’è sviluppo economico che non sia anche sviluppo sociale ed umano. Di conseguenza, è necessario ripartire dalle energie della società civile. Quinta verità elementare. La sfera economico mercantile non è la biosfera. Non funzionano secondo la stessa logica. Questo fatto poteva essere ignorato quando la sfera mercantile non minacciava l’esigenza della biosfera, ora non più. È necessario allora ripartire dal concetto di sviluppo sostenibile. Sesta verità elementare. La questione economica non dipende tanto dalla mancanza di risorse, risorse scarse da ottimizzare rispetto a fini dati come dice la scienza economica standard. Risorse scarse da ottimizzare rispetto ai fini dati che l’economista non mette in discussione. Il problema è oggi quello della ricerca e della scelta di finalità e di valori da porre a fondamento del nostro vivere. Anche qui la necessità di ripartire dalle domande. Dicevo qualche lezione fa, c’è risposta per tutto, soltanto mancano le domande. Settima verità elementare. Ultima verità elementare. Possiamo chiamarla il paradosso della felicità. Le ricerche, che vengono fatte periodicamente, concordano nel dire che una volta che il reddito pro capite ha superato una data soglia, quella che consente di vivere in modo decente, viene meno la sua correlazione con la felicità. Anzi, l’aumento del reddito oltre certi limiti potrebbe bruciare i fondamenti della felicità affettiva, familiare, relazionale. Anche perché in principio la felicità è qualche cosa di più e di diverso o di meglio, dall’avere la seconda, la terza, o la quarta auto, o l’abitazione segreta. Sono spunti interessanti. Avevo detto anche dell’happines index, che viene calcolato. 93 Con riferimento a queste verità, è interessante una citazione, che potremmo quasi definire letteraria. È stato scoperto uno scritto di Keynes (era una lettera che aveva scritto al nipote), dove in un passaggio afferma questo: “ Occorre ripensare l’economia, nel senso di ritornare ad alcuni dei principi più solidi e autentici della religione e della virtù tradizionale: che l’avarizia un vizio, l’esazione e l’usura una colpa, l’amore per il denaro spregevole, e chi meno si affanna per il domani, cammina veramente sul sentiero della virtù e della profonda e saggezza. Rivaluteremo i fini sui mezzi e preferiremo il bello all’utile. Renderemo onore a chi saprà insegnarci a cogliere l’ora e il giorno con virtù, alla gente meravigliosa capace di trarre un piacere diretto dalle cose, ai gigli del campo che non seminano e non filano”. Facendo riferimento a personaggi più recenti che ho richiamato più volte, Sen ci dice: dobbiamo guardare non al benessere definito in termini utilitaristici, bensì al bene puro e semplice, entro il quale il benessere gioca un ruolo importante ma parziale. Infatti il titolo che ho dato a questa lezione è: il bene oltre il benessere. D’altro canto, valorizzare le persone, le loro capacità o capabilities, promuovere i diritti sociali e civili, promuovere la partecipazione, il perseguimento della conoscenza, l’esercizio della gratuità e della solidarietà, sono obiettivi che oltre ad essere importanti in sé, definiscono anche un orizzonte di valori che sono rilevanti e decisivi per lo stesso successo economico. Allora occorre fare riferimento ad una ipotesi antropologica più ricca di quella convenzionalmente utilizzata dalla scienza economica standard, ipotesi antropologica sottostante al neo liberismo: l’ipotesi antropologica dell’homo economicus, ipotesi non fondata né scientificamente né culturalmente. Perché, nell’ambito dell’ipotesi antropologica della scienza economica ufficiale, si deve pensare che le persone sono necessariamente egoiste? Perché? Ma anche, perché continuare a vedere il mondo come la foresta abitata da lupi nel cui ambito le persone sono per loro natura incapaci di creare una comunità di valori, di valori solidali, di valori condivisi, persone intrinsecamente incapaci di cooperare tra di loro. A furia di dirlo, sembra vero, viene ritenuto vero. Invece, le esperienze, la storia, e anche la riflessione teorica ci dicono che è possibile costruire una comunità o di uomini e donne liberi, uguali, pacifici, e che tutto questo può diventare fattore di crescita e di arricchimento, questa è l’ipotesi di fondo. Ecco allora l’affermazione che sintetizza: l’economia richiede umanizzazione e trascendimento etico. Laddove, lo ripeto, all’etica si attribuisca il significato non tanto di norme di comportamento specifico, quanto dimora, etica come recupero di senso in ordine al produrre, al lavorare, al consumare, al vivere, al fare mercato. Ecco che discende la necessità di una economia multi dimensionale, cioè di una economia che prende in carico i diversi ambiti sociali, culturali, nei quali si apre. La necessità di una economia dinamica, co evolutiva con il mondo nel quale essa è inserita, e quindi una economia al servizio dell’uomo, di tutto l’uomo, e non padrona del suo destino. Questo significa che c’è bisogno di una economia in grado: - di assumere una molteplicità di criteri valutativi oltre il prodotto interno lordo a livello macro e il profitto a livello micro. 94 - Che sia in grado di assumere criteri di salvaguardia, di precauzione. Ne abbiamo parlato i giorni scorsi. La terra non è soltanto per noi, abbiamo un obbligo verso le generazioni future. - Che sia in grado di assumere criteri di umanità; l’uomo non è un mezzo ma un fine. Non è un qualcosa chiuso in se stesso ma aperto agli altri. - Che sia in grado di assumere criteri di responsabilità, nel senso che se tutti nel soddisfare le proprie esigenze, tenessero conto delle esigenze degli altri, alla fine si starebbe meglio. Questa affermazione è anche suscettibile di una formulazione econometrica che non sono capace di fare, attraverso la teoria dei giochi ripetuti. - Criteri di moderazione. La sobrietà è anche il modo per scoprire risorse che non hanno prezzo. - Criteri di prudenza, nel senso di prevenzione e controllo dei rischi presenti e futuri. - Criteri di diversità, perché la diversità dialogante è un fattore di arricchimento. - Criteri di cittadinanza, ognuno deve essere membro a pieno titolo della comunità in cui vive. La comunità in cui vive è formata sussidiarietà, gratuità. Questi criteri servono per valutare il benessere. Ecco allora i discorsi fatti, il nostro paese all’avanguardia in termini di indicatori diversi dal PIL.L’Istat e il Cnel hanno calcolato il benessere equo e sostenibile che poggia su 12 indicatori che concorrono a definire il benessere. Il tempo non ce lo consente di approfondire il discorso del Bes, ma vi invito di andare sul sito Istat, sul Bes, vedere cosa è. E può essere una sesta idea da mettere nel quaderno. Ad esempio: quali sono i 12 criteri in base ai quali valutare il benessere di un paese. Ci convince, non ci convince. Capite che sulla base di queste considerazioni, sia sostenibile quella affermazione fatta all’inizio: in economia più strade sono possibili. I problemi non hanno una e una sola soluzione. C’è posto quindi per l’impegno dei diversi soggetti e per la loro progettualità. C’è posto, cioè, per una economia che nasce dal basso, di una economia che è radicata nella società civile, di una economia che ha anche una carica di contaminazione nei confronti dello stato e del mercato. I segnali ci sono. È possibile questo allargamento della frontiera dell’economia. Anche nella fotocopia dell’economia positiva vi sono delle indicazioni. Il fenomeno del micro credito e della micro finanza. Anche in questo periodo di crisi, il micro credito e la micro fiannza riescono a crescere nella misura del 20-25% all’anno. Pensiamo al discorso delle varie forme di banca etica, di commercio equo solidale, anche esso in crescita. L’economia di comunione. Le molteplici e crescenti esperienze delle imprese sociali, delle imprese cooperative, altri esempi che ci dicono che la solidarietà può trovare posto nell’economia di mercato. 95 Queste sono esperienze con i loro limiti evidentemente, che rovesciano la prospettiva del do ut des, dello scambio che non guarda le persone, dello scambio che evita il coinvolgimento. Quindi, in luogo di situazioni in cui i più forti sfruttano a proprio vantaggio la posizione di debolezza di chi ha di meno, di chi non ha voce, di chi non ha potere di mercato, emergono, si fanno spazio, relazioni di cura, il prendersi carico di. Pensiamo all’esperienza del volontariato. È stata approvata la legge delega del terzo settore, attraverso le quali i consumatori, risparmiatori e produttori si impegnano per offrire varie opportunità, per costruire capacità, per promuovere sviluppo ed inclusione per quelli che sono rimasti fuori dalla porta e vorrebbero entrare. In quest’ottica, l’uso del consumo e del risparmio socialmente responsabile è uno strumento e una leva di grande cambiamento. In che senso? Nel senso che il mercato è fatto di domanda e di offerta. Uno direbbe: Elementare, Watson! Ma c’è questo codicillo: noi siamo la domanda. Noi siamo il mercato. Quando ne saremo consapevoli e riusciremo a coordinarci, potremo condizionare le imprese, e pretendere da loro responsabilità sociale, responsabilità ambientale. Un economista di Roma Tor vergata che scrive molto, ha coniato l’espressione il voto con il portafoglio. Su internet trovate più informazioni. Una iniziativa politica sociale e culturale a partire dal consumo, o anche dal risparmio. La massa di risparmio delle famiglie è importante. Se questa può essere finalizzata ai fini di crescita e sviluppo, ci sarebbero delle possibilità enormi. Vediamo il passaggio successivo. Queste riflessioni vanno collegate e declinate nell’ottica della GLOBALIZZAZIONE. Le definizioni di globalizzazione sono miliardi. La globalizzazione, in soldoni, consiste in un processo complesso, multi dimensionale, contraddittorio, nel senso che è un processo di inclusione per alcuni soggetti e di esclusione per altri soggetti. Un processo che attribuisce e toglie potere, un processo che distribuisce in maniera diseguale le chances e le opportunità di vita. Un progetto con aspetti ora positivi ora negativi sulla sorte dell’umanità. La globalizzazione significa cose diverse per persone diverse radicate nei diversi contesti locali: - Per il magnate petrolifero russo, globalizzazione significa poter andare da Prada a Milano. - Per l’operaio metalmeccanico dell’Europa dell’est che grazie alla delocalizzazoine produttiva ha un lavoro, un reddito sufficiente per comprare casa e vivere bene la globalizzazione è stata un’opportunità - Per la donna del centro africa, che tira avanti con un piccolo appezzamento di terreno subordinato alla siccità o alle piogge eccessive, globalizzazione non significa proprio niente. Questo per dire che grandi contraddizioni connotano gli odierni processi di globalizzazione e quindi il loro impatto sui diritti e possibilità di vita della gente. Nel senso che la globalizzazione non avviene secondo modalità lineari. La globalizzazione è 96 un insieme di processi che hanno velocità diverse, velocità differenziate. Le velocità sono più accentuate a livello finanziario speculativo. La velocità di questi processi sono a livello sociale, culturale. La produzione dei beni privati procede più rapidamente della produzione dei beni pubblici. Volendo ricorre all’immagine figurata, sulle strade del mondo il profitto, la rendita, camminano velocemente. Discendono allora dei processi di integrazione asimmetrica, c on dislivelli delle posizioni nei diversi soggetti e nei diversi territori. Per alcuni la globalizzazione è una grande opportunità, per altri è una minaccia, un vincolo, rispetto al quale occorrono misure di difesa e salvaguardia. In oggi, nell’ambito di queste contraddizioni, registriamo che c’è in tutto una crescita di insicurezza. L’insicurezza si associa a questi processi di globalizzazione. L’insicurezza coinvolge ambiti sempre più vasti: - L’insicurezza economico finanziaria. Abbiamo visto che i movimenti di capitale a breve e brevissimo termine in giro per il mondo, in una notte possono far saltare l’economia di un intero paese. - L’insicurezza sanitaria. Si potrebbe parlare di globalizzazione dell’AIDS, che registra una incidenza crescente nei paesi poveri, e così via. - L’insicurezza culturale. I flussi culturali sono o sono stati monodirezionali dai paesi ricchi verso i paesi poveri. E questo fatto ha generato anche come reazione il radicalismo, le strumentalizzazioni. Lo ricordo sempre, un po’ di anni fa, ad inizio 2000, o 2002, sono stato invitato dal sindacato egiziano a parlare di economia. Ovviamente ho fatto un giro al Cairo. Allora si poteva girare tranquillamente. Ciò che mi ha colpito e su cui ho riflettuto, strade affollate ad un certo momento la folla si divideva in due correnti egualmente numerose. Da un lato una corrente andava verso i cinema in cui andavano proiettati i film spazzatura. Una fila così per andare a vedere questi film. L’altra colonna andava verso una moschea dove si iniziava a contestare questi film, c’era questa contestazione. - C’è anche l’insicurezza personale. La criminalità coglie tutti i vantaggi della globalizzazione. Pensiamo al discorso del riciclaggio, al discorso della droga, nel contempo la criminalità strumentalizzata, funzionalizza le aree di segregazione e di disagio esistenti a livello personale. - L’insicurezza ambientale, ne abbiamo parlato. La miseria dei poveri e l’opulenza dei ricchi stanno determinando delle pressioni insostenibili sull’ambiente. Uno che ha fame non gliene frega niente di abbattere gli alberi della foresta. In questi ultimi termini si aggiunge - Insicurezza politica, militare, religiosa, i fenomeni del terrorismo. Siria, Libia, Afghanistan, Iraq. Questi sono gli aspetti più attuali. Viviamo in una globalizzazione che si caratterizza per 4 grandi deficit: 1) Deficit sociali. Stanno aumentando a dismisura le diseguaglianze tra i paesi e all’interno dei singoli paesi. Diseguaglianze di reddito, diseguaglianze di patrimonio, e soprattutto diseguaglianze nelle opportunità di vita. 97 2) Deficit di sicurezza. Il terrorismo e il fondamentalismo che caratterizzano il momento che stiamo vivendo. E a ciò si contrappone l’egoismo dei paesi ricchi. 3) Deficit ecologico. Il riscaldamento, con le conseguenze che ha sul clima. Lo sappiamo. 4) Deficit di governance demografica a livello globale e statuale. In questo deficigt di governance demografica, a livello globale, al momento attuale l’unica unione sovranazionale, che ha un senso, l’Europa, si trova in mezzo al guado. Non sa più cosa è o cosa dovrebbe essere. Quindi, quando si parla di globalizzazione, è necessario avere presente alcune raccomandazioni metodologiche. 1) Primo aspetto metodologico. Parlando di globalizzazione non ci si può concentrare sugli aspetti economici della questione, per quanto rilevante. Occorre riferirsi anche ad altri aspetti: politici, culturali religiosi e così via, è indispensabile. 2) Secondo aspetto metodologico. La globalizzazione non è fata soltanto di processi e strutture. Il mercato finanziario, flussi di import export. Ma è fatta anche di soggetti, di attori variamente localizzati, con maggiori e minori responsabilità che perseguono benefici che sostengono costi. 3) Terzo aspetto metodologico. La globalizzazione non porta soltanto alla omologazione, all’unificazione, all’integrazione di fenomeni di processo. Genera anche disintegrazioni, contrapposizioni a scala locale e globale. Da tutto questo, vediamo di fare questa sintesi etico culturale che è l’oggetto del nostro corso. Sulla scena del mondo non esistono problemi settoriali, bensì problemi interdipendenti. Diritti umani e sociali, ambiente, educazione, sviluppo, scambi commerciali, conflitti, instabilità, sono altrettante tessere di un unico mosaico su cui si gioca la possibilità di una vita buona a livello globale. Abbiamo visto che il sapere scientifico tecnologico, la comunicazione, la rete, i grandi movimenti migratori, la paura di processi incommensurabili e incontrollabili in termini di rischio, quasi per assurdo unifica in comunità globalità la comunità degli uomini. Si è nella stessa barca, per usare una espressione comune. Si è nella stessa barca con le nostre storie, la nostra cultura, le nostre appartenenze. Forse, in questa interdipendenza, può stare il punto di forza in cui ha bisogno la leva della razionalità per capovolgere situazioni di ingiustizia, di esclusione, che non possono più essere accettate a livello di coscienza collettiva. Ma al tempo stesso far leva per cogliere e valorizzare tutte le potenzialità della globalizzazione, le potenzialità dei beni comuni, dei beni condivisi. È questo il passaggio culturale. Allora, da questo punto di vista, e chiudo, la globalizzazione potrebbe, uso il condizionale, avere un’anima. Potrebbe essere ancorata ad un fondo comune di valori condivisi. Valori condivisi che devono essere portati alla luce, nonostante i molti conflitti e le molte diversità. Valori di verità, poter credere a quello che ci viene detto, valori di giustizia, valori di umanità. 98 Proprio perché ho usato l’espressione che la globalizzazione può avere un’anima, le tre grandi religioni monoteistiche che si affacciano, si scontrano, si incontrano nel mediterraneo, ci aiutano o potrebbero aiutarci in questa direzione. 1. L’ebraismo. Rabbi Hillel, vissuto tra il 60 avanti cristo e 10 dopo Cristo, richiesto di spiegare in pochi secondi cosa fosse la Torah, fa questa affermazione: ama il prossimo tuo come te stesso. Tutto il resto viene da sé. 2. Nell’Hadith, che è la fonte più importante di diritto musulmano dopo il Corano, anche questo elaborato nel settimo e ottavo secolo si legge: nessuno di voi è un credente fintanto che non desidera per il proprio fratello quel che desidera per sé. 3. Infine nel vangelo (Mt 7,12; Lc 6,31): Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Da questi principi di amore, di umanità, discendono alcuni criteri di convivenza. Il dovere di una cultura di pace, di non violenza, di rispetto, cultura dell’accoglienza reciproca tra le generazioni, tra uomini e donne, tra diverse etnie. Il dovere quindi di una cultura di solidarietà in ordine economico e sociale. LEZIONE 11 11/4/2016 Veniamo al programma della giornata. Dedichiamo tutto il tempo necessario alla presentazione delle risultanze dell’indagine sulle Istituzione. L’elaborato è stato riprodotto, serve per l’esposizione di chi lo presenta e per l’eventuale dibattito e integrazione. Seconda informazione. Alcuni di voi mi hanno trasmesso i resoconti del salone della CSR, mi han messo i lavori di EticLab. Tutto questo serve per il quaderno, è interessante. Può però essere anche interessante, nel corso delle lezioni, una presa di parola da parte vostra, e nella prossima lezione ci parlerà di questo argomento, una sorta di testimonianza e riflessione personale. Eventuali domande, opinioni, potranno essere poi fatte. Terza informazione. Domani sospendo la lezione, perché devo partecipare ad una conferenza sulla Laudato sì, la recuperiamo nella prima parte di maggio, ed eventualmente la usiamo per proiettare il film. Fiducia nelle istituzioni Dai risultati del nostro sondaggio siamo risultati degli sfiduciati. Vediamo risultati negativi in termini di fiducia verso le istituzioni che compongono l’ordinamento statale italiano. Chi ha ricevuto meno fiducia, troviamo i partiti e il parlamento, che hanno ricevuto il 100% dei risultati con poca o pochissima fiducia. A seguire lo stato, le regioni e i comuni, che hanno avuto risultati con il 90% degli intervistati che han dato poca o pochissima fiducia. 99 In questo senso, elaborando i dati, abbiamo cercato di darci una spiegazione, perché questi esiti così negativi. I continui scandali che hanno colpito la classe politica italiana, hanno inciso su questi risultati. È invece, in contro tendenza, i risultati delle forze dell’ordine dove abbiamo molta fiducia. Anzi, dobbiamo rimarcare questo: 4 di noi hanno messo moltissima fiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Dato interessante, ma relativamente impreciso. Può essere interessante scorporare il dato e vedere corpo per corpo a chi va la fiducia. Abbiamo riscontrato un elemento unificatore in senso positivo. È stato il Papa, che ha ottenuto molta o moltissima fiducia dall’80% di noi. Il Papa è una figura carisamtica, forte, sa trasmettere stabilità. Ma non abbastanza forte per il nostro giudizio nei confronti della Chiesa. Solo il 9% ha dato moltissima fiducia alla chiesa. Dati che vanno su due velocità separate. Il Papa è una figura che sa accattivarsi la nostra fiducia, per quanto la Chiesa è stata colpita anch’essa da scandali interni, di diversa natura, e notiamo una discrasia tra queste due voci. Ambito sindacale risultati negativi, sfiducia al 90% dei risultati. Cgil Cisl e Uil non sono ben percepiti. Abbiamo pensato che la carenza di fiducia sia dovuta al fatto che i sindacati oggi non si sono più rinnovati e non sanno tutelare le istanze dei lavoratori e dei giovani, che si apprestano ad entrare sul mondo del lavoro. Per quanto riguarda l’ambito economico, riscontriamo dati positivi nei confronti di grandi imprese, PMI, imprese cooperative e terzo settore. Invece, abbiamo notato, come prevedibile, risultati negativi per quel che riguarda la fiducia verso le banche, banche in senso generale e anche banca di Italia. Un risultato positivo è stato riscontrato per quanto riguarda la fiducia nei confronti dell’Università. Volendo fare analisi prospettico, abbiamo analizzato i dati dal 2015. Volendo vedere come sono cambiate le percezioni nel corso di questo biennio, abbiamo notato una certa stabilità nei risultati. Volendo evidenziare le voci di maggiore rilievo, possiamo dire questo. Se nel 2015, come voci di maggior rilevo avevamo pochissima fiducia al parlamento e ai partiti, teniamo conto che si sono mantenuti i partiti come voce estremamente negativa, ma c’è un avvicinamento tra il parlamento e la Chiesa. Per quanto riguarda la categoria poca fiducia, abbiamo nel 2015 tre risultati rilevanti: stato, regioni, banche. Nel 2016 questa situazione si è mantenuta. Stato e regioni hanno una percentuale maggiore per la poca fiducia, ma vediamo come al posto delle banche si trovi oggi l’Istituzione della Banca di Italia. Per quanto riguarda la molta fiducia, le voci nel 2015 sono cambiate tutte. Per quanto riguarda il 2016 ritroviamo le grandi imprese, PMI e università, nel 2016 papa e imprese cooperative col terzo settore. Alla voce moltissima fiducia abbiamo un risultato rimasto stabile, moltissima fiducia la incontriamo verso le PMI e il Papa. Volendo dare una spiegazione al perché in tempi cupi si usa grande fiducia alle PMI, abbiamo risposto che il tessuto economico imprenditoriale italiano è costituito prevalentemente da imprese di piccole se non piccolissime dimensioni. La fiducia è dovuta ad una componente culturale, è un tipo di impresa solido. Divisione da un posto di vista di generi, i ragazzi sono più fiduciosi nei confronti delle istituzioni, mentre le donne maggiormente sfiduciate. Possiamo dire che gli uomini 100 come picco di fiducia l’hanno avuta per quel riguarda le forze dell’ordine, le donne invece fiducia alle imprese, anche di grandi dimensioni. Comparando i risultati nazionali e dell’aula, i risultati hanno mostrato un generale peggioramento. L’aula è maggiormente sfiduciata nei confronti delle istituzioni rispetto agli italiani. I risultati non sono stati peggiorativi, sono rimasti in linea le altre voci: i partiti, che hanno zero fiducia, e il Papa verso il quale abbiamo dimostrato un’ottima fiducia. Abbiamo pensato che sarebbe potuto essere interessante vedere il grande indicatore di Charlie Chaplin. [Non ho riportato il dibattito] È stato interessante, ho piccole questioni. La prima la fiducia. Le indagini sulla fiducia, e sulla felicità, l’affermazione di partenza: non definiamo cosa è la fiducia, non definiamo cosa è la felicità. È il soggetto che partecipa all’indagine che ha la sua idea su cosa sia la fiducia o la felicità. La fiducia è una sensazione. Io mi posso fidare di quello che dice, di quello che fa, per come si comporta, per la sua coerenza, per come interpreta i bisogni e le esigenze. Avete sottolineato in dibattito il problema dei migranti. A questo proposito il 16 aprile il Papa andrà a fare una visita a Lesbo, per dare una testimonianza. Da questo punto di vista, mi sembra significativo anche il colloquio che c’è tra Eugenio Scalfari, che si dichiara non credente, distinzione che vale fino ad un certo punto, il cardinal Martini diceva distinzione tra Pensanti e non Pensanti, gran parte del suo editoriale è dedicato al rapporto col Papa. Ogni volta dice io non sono credente, questa è la prima osservazione. Seconda osservazione. Per me queste risultanze costituiscono una realtà che mi fa riflettere, pensare, ad una serie di interrogativi. Riferito a voi ma anche a chiunque, io mi pongo questa questione. C’è una realtà: dello stato, dei sindacati, e c’è la vostra percezione. Percezione che porta a dire i sindacati meritano pochissima fiducia. La domanda che pongo è questa. Tra la realtà e la vostra percezione, qual è la mediazione? Siete pervenuti a queste valutazioni leggendo i giornali, sentendo la televisione, opinioni, dichiarazioni? Per me questa è la realtà. Ma tra la realtà vera e la vostra percezione qual è l’agente che fa da mediazione? Come vi siete formati queste idee? Questo è importante, anche da rifletterci. Anche il discorso sui sindacati. La stampa, il capo del governo non perde occasione per dire che i sindacati sono da rottamare. Se non vi fossero cosa succederebbe ancora di peggio rispetto a quel che c’è. Ecco quindi che la fiducia è una risorse di fondamentale importanza, c’è in gioco il futuro. Vorrei concludere rapidamente, così da lunedì prossimo entriamo nel merito dell’impresa. Concludiamo il discorso di carattere generale, mi auguro che non sia stato percepito come un discorso generico. Abbiamo concluso la volta scorsa, richiamando i vari doveri, cultura di pace, di non violenza nel rispetto della natura, il 101 dovere di una cultura di accoglienza reciproca, e il dovere di una cultura della solidarietà. Concludo questo, proprio mettendo in campo l’Europa, e il discorso della democrazia, e in particolare della democrazie economica. Il ragionamento che abbiamo fatto in tema di globalizzazione, per spiegare le potenzialità positive, avrebbero bisogno di un ancoraggio etico, politico e culturale forte. Ma questo ancoraggio potrebbe offrirlo l’Europa? Europa che dà un senso ai processi di globalizzazione? Ovvero, l’Europa potrebbe, anche in virtù della sua storia, diventare un laboratorio di speranza per sé e per gli altri che la interpellano dentro le sue frontiere e al di fuori delle sue frontiere? Speranza di essere, speranza di giustizia, di generosità, di solidarietà. L’ottica del dibattito a livello europeo dovrebbe essere capovolta. Non l’Europa cosa può fare per sé stessa, ma l’Europa cosa può fare per gli altri? Io credo che il futuro dell’Unione Europea dipende e dipenderà sempre più dal futuro delle realtà umane, sciali ed economiche che oggi si trovano al di fuori dell’Unione, ma che in realtà oggi l’Unione è fortemente interpellata. L’Europa deve legare la qualità e quantità del suo sviluppo ad una globalizzazione più equa e solidale. L’Europa cosa può fare per gli altri? Partiamo dalle soggettività. - Le grandi imprese europee. Le grandi imprese europee sono coinvolte tutte sulla tematica della responsabilità sociale. Ci chiediamo se i paesi poveri, i paesi in via di sviluppo, non possano essere considerati come stakeholder delle imprese europee. Se andiamo a vedere il sito della Nestlé, della Barilla, della Ferrero, Lavazza, nei loro bilanci di sostenibilità, vi è tutta una parte in cui si pone nell’impresa il problema della responsabilità nei confronti delle realtà sociali ed economiche che si trovano nei PVS che sono fornitori di cacao, caffè, e così via. Hanno elaborato progetti interessanti di cooperazione. - I sindacati europei. I sindacati europei all’interno delle grandi imprese hanno acquisito diritti di informazione, di consultazione, di partecipazione. Hanno potere all’interno delle grandi imprese. Potrebbero utilizzare questo potere per ottenere dalle multinazionali europee dei comportamenti coerenti con i diritti fondamentali delle persone e delle comunità. Potrebbero collaborare con le organizzazioni sindacali locali. - C’è poi la società civile europea nelle sue varie articolazioni: le associazioni, i movimenti. Quanti sono in prima linea! Da Medici senza frontiere, alla comunità di Sant’Egidio. Una società civile in cui si pensi alle opportunità del commercio equo e solidale, del micro credito. - Poi c’è anche la scuola. La scuola europea, dove ragazzi di diversa provenienza e di diversa appartenenza imparano a vivere insieme. Tutto questo è possibile, anche se molto difficile. Però, nell’esperienza culturale europea, che è una esperienza che nasce dall’incontro originale di diverse civiltà si sono, nella nostra storia, consolidati valori essenziali. Il valore della democrazia, dell’immaginazione creativa, il valore irrinunziabile della coscienza, il riconoscimento dei diritti individuali, il 102 senso della solidarietà. Però a fronte di questo, la nostra memoria ha guerre, incomprensioni. Allora ci si chiede se l’Europa può ancora giocare un ruolo chiave, è questo. Sul libricino trovate una serie di riflessioni a questo proposito. Chiudo sull’Europa citando Stigliz, Nobel dell’economia, il quale nel 2008 afferma: “oggi soltanto l’Europa può parlare in termini credibili di diritti umani e universali. Per il bene di tutti noi l’Europa deve continuare a farsi sentire, a parlare in favore dei diritti umani se possibile con ancora maggiore intensità che in passato. Un altro mondo è possibile sì, ma spetta all’Europa assumere il comando e mostrare come renderlo possibile”. Da questa affermazione vediamo la drammaticità dell’epoca che stiamo vivendo. Tutto questo deve farci riflettere. Abbiamo l’Europa delle istituzioni c’è l’Europa federale e l’Europa a livello governativo. Ma a fronte di questo abbiamo l’Europa della società civile, dei popoli, della scuola, della cultura dei movimenti. Forse è da qui che occorre passare. L’Europa dell’’Erasmus anche. Ecco che ci possono essere segni di speranza sui quali lavorare, mettere a sistema, fare delle sinergie. Le ultime riflessioni, che fanno anche da ponte con le riflessioni che faremo nelle prossime lezioni, sono riflessioni di DEMOCRAZIA ECONOMICA. È emerso chiaramente, anche dalle osservazioni di oggi, che non è soltanto in crisi l’economia, ma anche la democrazia ha un problema. Nel senso che i due termini popolo e potere, cui rimanda la parola democrazia, fanno problema. C’è un pericolo di corto circuito più che evidente. Possiamo essere d’accordo che 30 secondi in una cabina elettorale non possono riscattare 5 anni di passività o di indifferenza. Anche dai vostri dati, si vede che i rappresentanti al parlamento eletti dal popolo, vengono percepiti come inadeguati, incapaci di affrontare e risolvere i problemi reali che incidono pesantemente sulla vita delle persone. Nel contempo, alla sovranità dei cittadini si è sostituta la sovranità della finanza, dei creditori internazionali. In questi anni, l’euro senza l’Europa rischia di alterare lo spazio della politica, che è occupato da oligarchie, che prosperano nel privilegio, nell’illegalità, con effetti perversi sugli assetti democratici. Da questo punto di vista credo che Norberto Bobbio, grande filosofo che ha segnato la storia della filosofia italiana, conservi ancora un po’ di attualità, laddove afferma che “Se di uno sviluppo della democrazia si deve oggi parlare, esso consiste non solo nella sostituzione della democrazia diretta alla democrazia rappresentativa, bensì nel passaggio dalla democrazia nella sfera politica in cui l’individuo è preso in considerazione come cittadino, alla democrazia nella sfera sociale ed economica dove 103 l’individuo è preso in considerazione nella molteplicità dei suoi status: di lavoratore, di consumatore, di risparmiatore”. In questa prospettiva di passaggio, la democrazia deve fare i conti con una grande discriminante, costituita dalla dicotomia tra integrati ed esclusi, intesa nei vari ambiti cui riferire la democrazia stessa. Forse non si costruirebbe nulla di duraturo se il progetto di convivenza democratica considerasse soltanto il dentro e ignorasse il fuori, con riferimento all’impresa, con riferimento alla città, con riferimento all’Europa. Riflettere sulla democrazia di partecipazione nell’impresa significa anche prendere in considerazione le forme di non impresa: i lavoratori precari, i disoccupati, gli assistiti. Riflettere sulla democrazia nella città significa anche prendere in carico la non città, gli emarginati nelle periferie, i nuovi poveri. Riflettere sull’Europa come spazio di democrazia significa anche aprirsi alla non Europa, al sud del mondo, al sotto sviluppo. La democrazia non può che essere generalizzata altrimenti è in contraddizione con sé stessa. Valutare le diverse forme di democrazia, significa prendere in considerazione l’ampiezza dello stato tra i molti e l’ottimo. L’ottimo è di tutti i soggetti che sono integrati. La realtà è che un certo numero di soggetti sono integrati. Allora, la differenza tra i tutti e quelli che sono effettivamente integrati, è la misura del grado di democrazia che si riesce a realizzare. Vorrei dire poche cose in ordine al rapporto DEMOCRAZIA E MERCATO. È un rapporto cruciale democrazia e mercato. È possibile la conciliazione tra democrazia e mercato? Su quali elementi far leva? Quali soggettività ed istituzioni mettere in campo? La democrazia moderna poggia su tre principi riepilogativi, fondamentali: 1. Libertà; 2. Uguaglianza; 3. Partecipazione. Questi sono i tre fondamenti che caratterizzano la democrazia. Ebbene, ci chiediamo: questi tre principi li ritroviamo anche nelle odierne forme di economia di mercato? La libertà certamente, per lo meno come dichiarazione d’intenti. Libertà sul mercato, come dichiarazione. Si tratta di vedere se è proprio sempre così. Comunque la libertà certamente. L’uguaglianza sul mercato c’è? La partecipazione c’è? Se uguaglianza e partecipazione sono intese in senso non formale ma sostanziale, ovvero con riferimento alla pari dignità di ogni persona, con il conseguente impegno solidaristico nei confronti dei più deboli, dei non integrati, la risposta non è sicuramente positiva. La divaricazione tra democrazia e mercato è oggi molto più evidente rispetto al passato. Essenzialmente per due motivi: 1) Un primo motivo: stanno crescendo a dismisura le diseguaglianze, gli squilibri. 104 2) Un secondo motivo, di segno opposto: a livello di società civile cresce la consapevolezza della non accettabilità di questo stato di cose. Non è accettabile Ne discende quindi l’impegno ad operare per una società più giusta, più equa, più partecipata, eliminando gli ostacoli per l’effettiva realizzazione delle persone. La democrazia economica si colloca in questo contesto. La democrazia economica da sostanza alla cosiddetta economia sociale e di mercato, che dovrebbe essere la caratteristica dell’Europa. Senza democrazia economica non può esserci economia sociale e di mercato. La democrazia economica è un processo a molte dimensioni, a molti livelli e con molti soggetti. Un processo che oltre alla definizione di precise regole per il mercato, nel senso di chiarezza e di trasparenza delle regole del gioco sul mercato, creazione di condizioni atte a favorire la libertà di iniziativa nelle sue diverse forme, nei diversi soggetti, anche quelli meno favoriti possono fare impresa, oltre quindi alla definizione di precise regole per il mercato si propone sia il potenziamento delle pratiche concertative ovvero del dialogo sociale tra le diverse istituzioni, sia l’attivazione di processi partecipativi sul versante della gestione e del controllo del sistema economico, sia del consolidamento dello stato sociale facendo interagire la dimensione pubblica, privata e la dimensione del terzo settore. È questo il percorso della democrazia. Regole per il mercato: trasparenza, equità. Il potenziamento del dialogo sociale. L’attivazione di processi di partecipazione all’interno dell’impresa e delle istituzioni, e quindi il consolidamento dello stato sociale, attraverso l’interazione tra le dimensioni pubbliche, private e le dimensioni del terzo settore. Democrazia economica, economia sociale e di mercato si potenziano reciprocamente. Una ricerca fatta a livello europeo, ha messo in evidenza che 12 paesi su 27 hanno introdotto forme più avanzate di democrazia economica e di partecipazione decisionale dei lavoratori: Germania, Austria, Olanda, Svizzera, Danimarca, Finlandia. Questi paesi in cui ci sono forme di democrazia economica e di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, registrano una tenuta occupazionale superiore alla media europea, registrano competitività, innovazione, sostenibilità, e così via. Cosa potrebbe concretarsi in questi istituti di democrazia economica? Gli studi, la letteratura, individuano 5 momenti di democrazia. 1. Prima manifestazione di democrazia economica. Costruzione di un mercato plurale. Cosa si intende per mercato plurale? Un mercato in cui accanto all’impresa capitalista o profit, possono esprimersi, radicarsi, a parità di condizioni, le altre forme di impresa: le organizzazioni cooperative, le organizzazioni mutualistiche, le organizzazioni sociali, cioè le diverse forme di imprenditorialità. Si può dimostrare che la pluralità dialogante delle diverse forme di impresa, può rendere il mercato più civile, più innovativo e più competitivo. 105 2. Seconda manifestazione di democrazia economica. L’avevo già accennata quando avevo accennato il fatto che il mercato è fatto di offerta e domanda, con la costatazione che noi siamo la domanda. Nella misura in cui la domanda si organizza può dispiegare il suo potere nel consumo, risparmio, condizionando la produzione e la finanza nella prospettiva della sostenibilità (o solidarietà). Iniziativa politica a livello di domanda. 3. Terza manifestazione di democrazia economica. A livello di welfare. Si tratta di creare le condizioni affinché la domanda di welfare da potenziale diventa effettiva. Quanti bisogni di welfare devono essere portati alla superficie. Dall’altro lato occorre garantire la pluralità dei soggetti di offerta nei vari servizi. Soggetti pubblici, privati, del terzo settore, evitando le posizioni di monopolio e di rendita. 4. Quarta manifestazione di democrazia economica. La gestione partecipativa dei servizi pubblici. Le imprese, le società, che gestiscono i servizi pubblici, dovrebbero prevedere la rappresentanza dei lavoratori e degli utenti negli organi decisionali. Più in generale, il controllo e il coinvolgimento delle comunità territoriali. Questo era uno degli aspetti dell’Economia positiva che abbiamo visto la settimana scorsa. 5. Quinta manifestazione di democrazia economica. È la più nota. La partecipazione dei lavoratori nel governo delle grandi imprese, il fenomeno co gestione e co determinazione. Il lavoro che partecipa al governo della grande impresa o perché è azionista, o perché semplicemente come stakeholder lavora, e ha diritto a far una parte dell’organo di governo. Ci sarebbe molto altro da dire. È un cenno, in modo che possiate memorizzarlo e se vi interessa approfondirlo. Mi fermerei qui, ci sarebbero anche molte altre cose da dire. Lunedì metteremo al centro l’impresa, che per ora è sempre stata sullo sfondo. 106 LEZIONE 12 18/4/2016 Vi darei anzitutto le domande del tesario relative agli ultimi argomenti che abbiamo fatto. Sono una decina di voci, ve le detto in modo che possiate aggiornare il tesario: 23) Commentare l’affermazione: l’uomo di oggi si presenta ricco di fini ma povero di mezzi. 24)Etica e scienza: il rischio del neoscientismo e i grandi interrogativi. 25)Etica e scienza: la vigilanza partecipativa. 26)Scambio di equivalenti, redistribuzione e reciprocità. A cosa ci si riferisce? 27)L’invadenza e l’impotenza dell’economia: la crisi dei paradigmi tradizionali. 28)Il neoliberismo e i suoi fondamenti. 29)Ripensare l’economia a partire da alcune verità elementari. 30)In Economia più strade sono possibili. Il PIL da solo non basta. A questo proposito, un gruppo di voi si è prenotato per proporre all’aula una serie di riflessioni sul benessere equo e sostenibile. 31)La globalizzazione tra rischi, contradizioni e potenzialità. 32)Il rapporto tra democrazia e mercato. Questa è anche la sequenza delle riflessioni che abbiamo fatto. L’esame si basa su queste tematiche, che saranno approfondite e sviluppate come uno ha ritenuto. Per la preparazione di questi argomenti, ovviamente appunti dalle lezioni e, in subordine come supporto o come completamente il primo e il secondo capitolo del 107 libro. Fondamentali gli appunti delle lezioni, così come avevamo stabilito nelle regole del gioco iniziali. Con oggi iniziamo la seconda parte del corso. Questa è la settima settimana, delle dodici complessive che costituiscono il corso. Tenendo presente che, dobbiamo nel corso di maggio, recuperare la lezione di martedì scorso e recuperare anche la lezione del 25 aprile che è festa, vedremo di sistemare in qualche modo tenendo conto delle vostre possibilità di programmare questi due incontri. Uno di questi lo possiamo usare per il film, andremo nella sala delle lauree dove ci sono queste attrezzature. Incominciamo a parlare di ETICA ED IMPRESA. Sorge però, immediatamente una domanda: di che impresa parliamo? Allora, propongo preliminarmente, due affermazioni che svilupperemo attraverso una serie di ragionamenti in tema di rapporti tra etica ed impresa, e quindi responsabilità sociale. 1) La prima affermazione inizia così: l’impresa produce beni e servizi per il mercato. Molti si fermerebbero qui, dobbiamo continuare nell’affermazione: l’impresa produce beni e servizi per il mercato e nel contempo produce e genera relazioni di convivenza al suo interno, all’esterno, in rapporto con l’ambiente. L’affermazione continua dicendo: l’impresa deve, nell’aspetto positivo, descrittivo, e normativo, creare valore in una prospettiva di sostenibilità economica, sociale, ambientale. Ripeto, una affermazione che ha una parte positiva, l’impresa produce beni e servizi per il mercato. Produce anche relazioni di convivenza, ma, da questa constatazione facciamo discendere l’aspetto normativo: l’imprese deve creare valore, non astratto, non in una scatola, ma in una prospettiva di sostenibilità, ad una dimensione economica sociale, ed ambientale. 2) Seconda affermazione. Discende dalla parte normativa della prima affermazione. L’impresa deve. Ma se deve, ha una responsabilità. Allora ecco l’affermazione: la responsabilità dell’impresa consiste nel rispondere “di qualcosa a qualcuno”, sulla base di determinate presupposti (etico valoriali), in maniera strutturata, organizzata, chiarendo l’ambito spaziale e l’orizzonte temporale di riferimento. Questa aggiunta è importante, perché parla di responsabilità dell’impresa. Però, in che ambito spaziale questa responsabilità si manifesta? Dentro i confini giuridici dell’impresa, o l’impresa è anche responsabile di come si comportano i suoi sub fornitori? Nell’ambito della responsabilità d’impresa, mettiamo tutta la catena di fornitura o no? C’è anche l’orizzonte temporale della responsività. Sono responsabile di quello che ho fatto questa settimana, tutto l’anno, o una prospettiva di medio lungo termine? Sono responsabile verso le generazioni di oggi o anche le generazioni di domani? 108 Queste sono le due affermazioni di partenza che verranno sviluppate attraverso una serie di riflessioni. Etica d’impresa, responsabilità sociale dell’impresa. Scatta ora l’interrogativo di quale impresa parliamo? Anche qui vi propongo alcune riflessioni generali, non generiche. L’impresa cui ci riferiamo nelle nostre riflessioni, deve essere vista e valutata nell’ottica della: 1) Storicità 2) Multidimensionalità 3) Multi relazionalità, 4) Complessità, 5) Cambiamento. Vediamo distintamente queste connotazioni. 1) Storicità. L’impresa non è una categoria astratta, potremmo dire platonica, è un qualche cosa di concreto, di reale, un qualcosa che deve essere inserito in specifiche coordinate temporali e spaziali, è la storia questa. Il tempo è portatore di varietà. Lo spazio che è portatore di varietà, sono elementi costituivi dell’impresa, coessenziali. Se parliamo dell’impresa prescindendo dal fattore tempo e dal fattore spazio, rischiamo di fare delle astrazioni banali, banalizzanti, o quantomeno riduttive. La grande impresa è diversa dalla piccola impresa, l’impresa che opera in Germania è diversa da quella che opera in un’altra parte del mondo. Questo lo possiamo sintetizzare in questa affermazione: non esiste l’impresa, esistono le impresa. Anche se, per comodità di espressione, parleremo di impresa ovviamente. Ma non esiste l’impresa, esistono le imprese. 2) Multidimensionalità. L’impresa è tante cose contemporaneamente. L’impresa è certamente un flusso di trasformazione, input, processo, output. L’impresa è certamente un ambiente economico. L’impresa è un organismo. L’impresa è un sistema giuridico. L’impresa è un cervello. L’impresa è un insieme di culture. L’impresa è una struttura socio psicologica. L’impresa è un sistema di potere, e così via. Nessuna di queste dimensioni può essere messa tra parentesi, trascurata. Sono coessenziali. L’affermazione riassuntiva: non esiste un’unica ottica con cui guardare all’impresa. Anche in funzione delle competenze e delle professionalità di ciascuno. Sarebbe interessante andare dal docente di economia e chiedergli in 10-15 righe in cui scriva cosa è per lui l’impresa. Poi andare dal giurista e fate la stessa domanda. Andate dall’aziendalista, dal ragioniere poi da economia e gestione delle imprese e fate la stessa domanda. Andate dal docente di intermediari finanziari e perché no, e andate dal matematico e dallo statista. E confrontiamo poi queste risposte. Tutti ci presentano un pezzo di verità. La necessità è mettere in collegamento e comunicazioni le diverse espressioni e realtà. Non dimentichiamo dei docenti di storia. Per un giurista l’impresa è. Vediamo cosa dice, e poi lo confrontiamo. 109 3) Multi relazionalità: l’impresa non è una scatola chiusa. L’impresa non si spiega da sola, ma nel rapporto con una molteplicità di soggetti che sono interessati all’impresa e che dall’impresa sono rinforzati. Questi soggetti sappiamo che hanno un nome ben preciso: stakeholder. Degli stakeholder parleremo non nella prossima ma nella successiva, parleremo di teoria degli stakeholder in cui gli economisti si sono confrontati. Cosa significa? Che chi governa l’impresa deve prender in considerazione i diritti, gli interessi, le aspettative di tutti coloro che possono essere influenzati dalle decisioni dell’impresa e che a loro volta possono esercitare un’influenza su queste decisioni e sui risultati. Gli stakeholder sono coloro che hanno un interesse rilevante in gioco nelle decisioni d’impresa, che possono influenzare, in maniera significativa, o che subiscono le conseguenze delle decisioni. Vedremo le diverse tipologie di stakeholder: primari, secondari, per collocare il discorso nella multi relazionalità. Quindi l’impresa non è una scatola chiusa ne si chiude da sola, ma si spiega in una molteplicità di rapporti e soggetti. 4) Complessità. L’impresa non è una macchina. Non è semplificabile. L’impresa è, viceversa, una “coalizione” di persone e di gruppi sociali, in rapporto con la società e con l’ambiente, cui occorre offrire un orizzonte condiviso. Cioè devono trovare una ragione per stare insieme. C’è una ragione per cui adesso stiamo insieme. La ragione per stare insieme si lega al fatto che c’è un contratto, che c’è una necessità, e che c’è anche un qualcosa di più. L’impresa, come vediamo, è anche una comunità. Coalizione di persone e di gruppi in rapporto con la società e l’ambiente. Persone e gruppi che devono trovare un motivo per stare insieme, per cooperare. Questo ci porta a dire che il pluralismo caratterizza l’impresa. Il pluralismo si gioca nella combinazione tra interessi personali ed interessi generali. Il pluralismo si gioca nella combinazione tra le motivazioni del singolo e le motivazioni complessive. Tra le motivazioni e gli obiettivi che l’impresa si dà. 5) Cambiamento (mutamento). Lo sintetizziamo così. L’impresa non è definibile una volta per tutte. Vive, per così dire, nella transizione. Nell’impresa, la compresenza di vecchio e di nuovo è ineliminabile. L’impresa quindi è soggetto ed oggetto di cambiamento. Il cambiamento, come abbiamo avuto modo di sottolineare, è sovente ambiguo, confuso e contradditorio. Quindi l’interrogativo: come governare il cambiamento? A questo interrogativo, come governare il cambiamento, da parte dell’impresa, di una organizzazione, si danno in letteratura sei modelli di gestione del cambiamento. Ciascuno dei quali ha una sua implicazione etica. Vediamo questi 6 modelli di gestione del cambiamento. Uso i termini della letteratura, alcuni sono comprensibili altri un po’ meno. a. Primo modello di gestione del cambiamento. Gestione gerarchica del cambiamento. Il modello gerarchico del cambiamento corrisponde, evidentemente, ad una concezione di cambiamento imposto. Il cambiamento viene imposto. 110 Nella impresa vi è una logica top down. Il progetto è elaborato dal vertice, dalla direzione. Si ritiene che la direzione abbia una visione chiara del cambiamento, e quindi veicola il cambiamento nell’organizzazione, avvalendosi della sua autorità gerarchica. In questa fattispecie, l’organizzazione appare come un sistema meccanico, che risponde a degli stimoli che vengono dall’alto. L’organizzazione è una realtà malleabile. Gli individui adottano i comportamenti che sono prescritti in via autoritaria. Un modello del genere ha indubbiamente i suoi aspetti positivi: semplicità, rapidità specie in tempi di crisi. Però, ha anche, un sacco di inconvenienti: se i vertici sbagliano? Non è onnisciente il vertice. E poi si trascura il potere esplicito o implicito che hanno le persone componenti l’organizzazione. b. Secondo modello di gestione del cambiamento. Sviluppo organizzativo. Questo modello punta, in modo particolare, sulla dimensione umana. Cioè il management cerca di coinvolgere nel cambiamento il personale, con l’obiettivo di minimizzare le resistenze coinvolte. Il progetto di cambiamento poggia anche su misure di accompagnamento, di informazione, comunicazione, dialogo, incentivi, benefici. Un modello di questo genere ha molti vantaggi, specie in piccole organizzazioni, dove il coinvolgimento delle persone è di fondamentale importanza. L’inconveniente nella misura in cui sottostima gli interessi degli attori o meglio i giochi di potere, i giochi politici, che specie in una grande organizzazione ci sono. c. Terzo modello di gestione del cambiamento. Approccio politico. In questo modello non si può prescindere dalla pluralità degli attori che sono coinvolti nell’impresa. Non si può prescindere dalla pluralità degli stakeholder, siano essi gli azionisti, i lavoratori, i sindacati, i clienti, i fornitori, il management stesso che è stakeholder nell’impresa. Questo modello si caratterizza per una pluralità di interessi, di attese, che possono anche essere divergenti rispetto al cambiamento. È quindi indispensabile creare una convergenza, una consonanza, tra gli interessi degli attori, le esigenze degli attori e le finalità del progetto di cambiamento. Pensate al processo di cambiamento che porta una ristrutturazione dei processi aziendali, che comporta delle delocalizzazioni, cambiamenti di mansioni. È certamente complessa una cosa del genere. Qui sta l’attività del management, cioè la sua capacità di negoziazione. Anche la sua capacità di individuazione dei soggetti che contano, con i quali instaurare delle alleanze, in vista del raggiungimento dell’obiettivo di cambiamento. Quindi l’impresa come gioco politico. d. Quarto modello di gestione del cambiamento. Prende il nome di modello incrementale. Si pone in un’ottica diversa. Il cambiamento non può prescindere dalla storia, dalla cultura, dalle tradizioni dell’impresa. Il cambiamento non può essere giustapposto, non può calare dall’altro. Va 111 costruito progressivamente, secondo una logica di tipo incrementale, ponendo in essere processi di adattamento, di metabolizzazione del cambiamento da parte delle strutture. In questo gioco il soggetto che propone il cambiamento deve essere disponibile ad accettare modifiche e ridimensionamenti. e. Quinto modello di gestione del cambiamento. Prende il nome di modello dell’apprendimento organizzativo. Il modello parte da questa constatazione. Il cambiamento è permanente. Conseguentemente l’impresa deve imparare a cambiare. Deve saper ricostituire le sue risposte di fronte alle sollecitazioni. Secondo questo modello il cambiamento deve diventare pratica quotidiana, pratica ordinaria dell’impresa, ciò attraverso i processi di apprendimento continuo. f. Sesto e ultimo modello di gestione del cambiamento. Prende il nome, in letteratura, di modello interpretativista. Viene espresso in questi termine. Si dice il cambiamento è possibile se assume una dimensione di senso, se assume una dimensione di significato, se si lega ad una nuova visione di impresa, di cui il leader dell’organizzazione si rende in qualche modo interprete, espressione, creando le basi per una nuova identità del soggetto. Entro certi limiti si può far riferimento a Marchionne, alla sua capacità di dare un senso a tutta una serie di cambiamenti, costruire una nuova identità in cui diversi soggetti si riconoscono, almeno in parte. Questi i modelli di gestione del cambiamento. Completiamo le riflessioni indicate con questa sottolineatura: l’impresa ha una triplice caratterizzazione: 1) È un soggetto economico. 2) È un contrato sociale. 3) È una comunità. 1) È un soggetto economico. Ovvio. È un soggetto economico che produce profitto, meglio diciamo che produce valore aggiunto in cui il profitto è una componente, operando sul mercato in un contesto più o meno conveniente. 2) Ma l’impresa è anche un contratto sociale, che definisce diritti e doveri più o meno espliciti. Diritti e doveri dei diversi soggetti che sono coinvolti a vario titolo nell’impresa e con l’impresa. Soggetti interni, esterni, primari e secondari. Vedremo poi queste qualificazioni. 3) L’impresa è anche una comunità. Una comunità di persone che si riconoscono in una missione, che si riconoscono in un sistema di valori, ricordiamo quel lungo elenco, che si sentono coinvolti, compartecipi nel processo di creazione del valore da parte dell’impresa. Valore in senso ampio. Il futuro dell’impresa deve fare i conti con queste tre caratterizzazioni: agente economico, contratto sociale e comunità. 112 Allora, l’ultimo passaggio della riflessione odierna è il seguente: tre processi legano l’impresa all’ambiente e la collocano nel tempo. 1) Processo di trasformazione. 2) Processo di valorizzazione. 3) Processo di consenso. 1) Processo di trasformazione. Consiste nella ricerca, nella progettazione, nell’implementazione di una funzione di produzione, ovvero una struttura tecnologica e organizzativa capace di trasformare i diversi fattori della produzione in input, in output adeguati alle mutevoli esigenze degli utilizzatori. Una funzione di produzione che trasforma gli input e in output. Questo è il regno della tecnologia. 2) Processo di valorizzazione. Valorizzazione che ha una connotazione in senso stretto e lato. Valorizzazione in senso stretto significa creazione di sufficiente valore aggiunto, nel senso tecnico del termine, atto a soddisfare le attese di coloro che partecipano al processo di trasformazione. Un valore aggiunto a perseguire le attese del lavoro, dei finanziatori, degli apprendisti, dello stato, di un surplus che vede il destino dell’impresa e risponde alle attese dell’impresa. Questo in senso stretto. Valorizzazione in senso lato valorizzazione significa creazione di valore per tutti gli stakeholder che l’impresa ritiene rilevanti. Ciò ci porta al terzo processo: 3) Processo di consenso. Deve esserci un saldo positivo tra ciò che l’impresa acquisisce dal contesto sociale, dal contesto economico, dal contesto ambientale, ed è ciò che restituisce in termini di benessere, di occupazione, di qualità dei prodotti, in termini di ecologia, in termini di attenzione ai bisogni della collettività. Trasformazione, valorizzazione, questi due processi Porter li mette nella sua catena del valore. La catena del valore di Porter è inserita nella società e dell’ambiente e deve fare i conti con i problemi del consenso. Attraverso questi tre processi, trasformazione, valorizzazione e consenso, l’impresa crea valore per sé stessa, per gli stakeholder, per la collettività. Allora, proprio per concludere, chiediamoci come l’impresa può creare valore in quest’ottica. Faccio riferimento ad un documento di notevole interesse, elaborato qualche tempo fa da Ambrosetti, il quale documento rivolto ad imprenditori e manager, muove dalla indicazione: “le 7 leve per creare valore”. Il documento dice: Per creare valore, l’alta direzione, il governo dell’impresa ha a propria disposizione un quadro di comando costituito appunto da sette leve. Così suddivise: tre fattori di successo e 4 aspetti trasversali. I tre fattori di successo per creare valore: 113 1) Primo fattore di successo. La qualità del governo dell’impresa: la qualità della coroproate goverance. Le finalità della governance, le politiche della governace, la trasparenza, meccanismi di controllo e così via. 2) Secondo fattore di successo. La qualità della leadership. Governo e leadership non sono la stessa cosa. Quali sono i requisiti di un leader? o La capacità di avere una visone del futuro che il leader sa però tradurre in obiettivi concreti e risultati. È un visionario concreto. o La capacità di dare gambe a questa visione del futuro, attraverso obiettivi concreti misurabili. o La capacità realizzativa. o Il sapersi muovere in una prospettiva internazionale. o Un profondo senso etico. o Saper creare identità. o Saper gestire il cambiamento. 3) Terzo fattore di successo. La cultura, la cultura d’impresa. Perché, ogni organizzazione, ogni impresa è una realtà di cultura e di persone. La cultura, nel senso antropologico del termine, è ciò che determina i comportamenti individuali e di gruppo. È la cultura che fornisce identità, che fornisce valori e conoscenze, competenze. La cultura d’impresa è un sistema di senso, di significato, che hanno la loro espressione simbolica. La cultura è un patrimonio di sapere, di competenze, che viene acquisito e vissuto dai componenti l’organizzazione. La cultura è una storia, una angolazione di significati e di valori. È anche un insieme di procedure e norme da seguire per affrontare i problemi. È un insieme di stili. La cultura è anche un fattore di integrazione interna, cioè la cultura mette in comunicazione i destini delle singole persone e dell’organizzazione. È anche fattore di legittimazione verso l’esterno. I quattro aspetti trasversali, attraverso i quali si alimenta la creazione di valore sono i seguenti: 1) Primo aspetto trasversale. Una intelligenza diffusa, che deve permeare tutta l’organizzazione di impresa. L’intelligenza è la risultante di tre elementi: conoscenza, competenza e apprendimento. Dobbiamo essere informati per conoscere. Questo vale per tutti, specie oggi. Dobbiamo conoscere per capire. Bisogna capire per agire con cognizione di causa. Cognizione di causa per il conseguimento degli obiettivi. 2) Secondo aspetto trasversale. Innovazione continua, innovazione culturale. Innovazione che deve esser vista non come fatto straordinario ma come qualcosa che fa parte della quotidianità, con la quale si risponde alla generazione futura. 114 3) Terzo aspetto trasversale. Flessibilità. La capacità di interagire con i cambiamento di anticiparlo, di gestirlo, sapendo distribuire con equità i costi e i benefici del cambiamento 4) Quarto aspetto trasversale. L’equità, la responsabilità, in ordine alla creazione di valore, in ordine all’adattamento. LEZIONE 13 19/4/2016 Riprendiamo le nostre riflessioni. Le linee guida sono le due definizioni: 1) Prima definizione o affermazione. L’impresa produce beni e servizi per il mercato. Nel contempo produce e genera relazioni di convivenza interna ed esterna, in rapporto con l’ambiente, conseguentemente deve creare valore in una prospettiva di sostenibilità economica sociale e ambientale. 2) Seconda definizione o affermazione. La responsabilità dell’impresa consiste nel rispondere “di qualcosa a qualcuno” sulla base di determinati presupposti, chiarendo l’ambito spaziale e l’orizzonte temporale di riferimento. Queste considerazioni ci guidano nelle riflessioni successive. Entriamo adesso nel merito specifico di etica di impresa e responsabilità sociale. Abbiamo l’affermazione generale che proviene dalla prima lezione. Dell’etica non si può fare a meno se si vuole dare una risposta alle sfide del nostro tempo. Dell’etica non si può fare a meno. L’affermazione generale, per l’impresa, significa perseguire strategie e prassi di responsabilità sociale. La responsabilità sociale, come modo di concretizzazione dell’etica di impresa, è un passaggio obbligato. L’affermazione è suscettibile di due chiavi di lettura e di applicazione: una chiave di lettura soft e un’altra hard. 1) Prima chiave di lettura: Soft. L’etica, e quindi la responsabilità sociale d’impresa, è un qualcosa che si aggiunge, che si affianca alle tradizionali e abituali strategie di impresa. L’impresa, ad un certo punto, decide: mi preoccupo anche di responsabilità sociale. Nel senso che fa questo ragionamento: se io impresa voglio sopravvivere, voglio essere competitiva devo, in qualche modo, misurarmi con le domande ed esigenze che scaturiscono dalla società in cui mi trovo ad operare. Questa impresa aggiunge: sia chiaro, io non sono obbligato a fare queste cose, le faccio volontariamente nel mio interesse e forse anche perché ci credo. Quindi una responsabilità sociale che si aggiunge, che si affianca. L’impresa riconosce in questo una utilità, una convenienza ed una possibilità. 2) Seconda chiave di lettura. Hard. L’etica, e quindi la responsabilità sociale, è una componente strutturale dell’essere e del fare impresa. Etica, responsabilità sociale sono componenti strutturali dell’essere e del fare impresa. La responsabilità sociale, l’etica, imperniano tutte le strategie di impresa, in quanto, le strategie di impresa, rispondendo ad una scelta, avendo l’impresa più gradi di libertà, più possibilità di scelte che le singole strategie non sono 115 neutrali da un punto di vi sta etico e da un punto di vista sociale. Le diverse strategie sono sempre valutate in termini di buono e di giusto. Quindi versione soft qualcosa che si aggiunge, e versione hard, un’etica, una responsabilità sociale intimamente strutturata nell’impresa. Va da sé che queste due chiavi di lettura non è che siano alternative, anzi sono complementari e possono potenziarsi reciprocamente. Fatta questa premessa, ci chiediamo, e qui facciamo adesso alcune riflessioni teoriche, sulla base della letteratura economica in materia, come impostare un discorso etico sull’impresa. Allora si comprende che un discorso etico sull’impresa non può essere fatto in maniera asettica, in maniera univoca. Un discorso etico sull’impresa varia a seconda del modo con cui l’impresa viene vista e concepita. Forse, per l’economista etica di impresa significa certe cose, per il giurista forse altre cose, e così via. Un discorso etico sull’impresa varia a seconda del modo con cui l’impresa è vista, a seconda delle finalità che vengono assegnate all’impresa. Per una impresa che ha come fine la massimizzazione del profitto nel breve e brevissimo termine, etica significa certe cose, presumibilmente te diverse dall’impresa che si propone la redditività di medio termine, guardando le esigenze del contesto e dell’ambiente. Un discorso etico sull’impresa varia anche a seconda del ruolo che si ritiene l’impresa debba assolvere, debba svolgere nella società. Quindi, vi sono ampi margini di ragionamento. Allora, la letteratura economica scientifica in tema di etica di impresa, si propone, si è sviluppata secondo tre approcci: approccio contrattuale, approccio degli stakeholder, approccio del bene comune. 1) Primo approccio teorico. Approccio contrattuale. Questo è un po’ l’approccio dell’economia neo classica. Economia neoclassica che vede l’impresa essenzialmente come un aggregato di individui uniti da una serie di contratti. Il modello di riferimento è l’homo oeconomicus, nel senso che ciascun individuo cerca il proprio interesse, ciascun individuo cerca di massimizzare la propria funzione di utilità, le proprie preferenze. Questi individui sono tenuti insieme dalla funzione di comando che guida l’impresa, e dal vantaggio personale. Cioè, il collante di questo tipo di impresa è la gerarchia, il comando, e il vantaggio personale. Siamo in presenza, evidentemente di un approccio estremamente riduttivo. Secondo questo approccio, le uniche relazioni che caratterizzano l’impresa sono relazioni di tipo contrattuale. Nell’ambito di questo approccio qual è lo scopo dell’impresa? Essenzialmente, come vedremo meglio dopo, presentando le teorie degli stakeholder, lo scopo dell’impresa è essenzialmente quello di massimizzare il valore, il benessere degli azionisti, detto shareholder value, o stockholder value. Qual è la giustificazione, ovvero la legittimazione di una simile affermazione e quindi di un simile approccio teorico? La legittimazione è essenzialmente questa: l’impresa appartiene agli azionisti. Questo in base anche alla legislazione 116 anglosassone. Se l’impresa appartiene agli azionisti, agli azionisti deve devolvere il profitto. Nell’ambito di questa legittimazione, i manager sono fiduciari dei proprietari, degli azionisti. Devono cioè fare l’interesse degli azionisti, dei proprietari. Siamo nell’ambito della teoria dell’agenzia: gli azionisti sono … (?), e i manager sono gli angels. Si aggiunge ancora, alla fine di legittimare un approccio teorico di questo genere che l’impresa che massimizza il profitto, e che quindi risponde all’interesse degli azionisti proprietari, va strumentalmente anche l’interesse degli altri stakeholder e dell’intera società. Nella formulazione teorica, l’impresa se massimizza la sua redditività nel medio e lungo termine, certamente risponde alle esigenze degli azionisti proprietari dell’impresa, ma nella misura in cui riesce a massimizzare la redditività nel medio lungo termine, fa anche l’interesse degli altri stakeholder. L’impresa che sopravvive nel tempo in condizioni di redditività conserva l’occupazione, paga buone remunerazioni, riesce a vendere, ad avere la fedeltà dei consumatori. Ma tutto questo è strumentale rispetto all’obiettivo prioritario che è la massimizzazione del profitto, e quindi dell’interesse degli azionisti. È tutto da dimostrare. Laddove la massimizzazione del profitto, l’interesse degli azionisti che si concretizza nella massimizzazione del valore delle azioni nel breve e brevissimo termine, in questo contesto, l’interesse degli azionisti, o meglio degli azionisti importanti, che contano, non ha nulla a che vedere con le esigenze degli stakeholder, che svilupperemo più avanti. Quindi approccio contrattuale. Ho articolato la descrizione dell’approccio e le motivazioni, a livello di finalità di impresa e di giustificazioni. 2) Secondo approccio teorico. È quello più seguito, al quale faremo anche noi riferimento con i giusti distinguo. L’approccio etico degli stakeholder. Lo enunciamo nei termini essenziali e poi, la prossima lezione approfondiremo. Secondo l’approccio degli stakeholder l’impresa è vista come un sistema di interessi. Interessi, cioè, dei diversi stakeholder che sono coinvolti nell’impresa, che influenzano l’impresa e che da questa sono influenzati. Ciascun stakeholder intende massimizzare la soddisfazione dei propri interessi: proprietari ed azionisti intendono massimizzare i dividendi, il valore delle azioni. I dipendenti intendono massimizzare gli aspetti quantitativi e qualitativi del loro rapporto di lavoro, i fornitori, i clienti, i finanziatori e comunità locali. Un sistema di interesse che dall’impresa sono influenzati, e che a loro volta, e con forze e con possibilità diverse, possono influenzare l’impresa. In questa impostazione, approccio, qual è lo scopo dell’impresa? La risposta la dà l’economista che per primo ha elaborato la teoria degli stakeholder, Edward Freeman, da non confondersi con Freedman, che anche lui ha qualcosa da dire sull’impresa, che dice: lo scopo dell’impresa è, cito testualmente, “servire da veicolo per il coordinamento degli interessi dei diversi stakeholder”. Conseguentemente, compito del management è quello di bilanciare gli interessi 117 dei diversi stakeholder. Vedremo nella lezione apposita tutti i possibili stakeholder e quelli importanti, quelli che contano. Bilanciare gli interessi degli stakeholder, il tutto nella prospettiva di una impresa redditizia nel medio lungo termine, di una impresa che è cioè capace di sopravvivere nel tempo. Io manager, bilancio, coordino e soddisfo le esigenze dei diversi stakeholder tipici di quell’impresa per sopravvivere nel tempo. E la legittimazione? È diversa dal primo approccio, che in maniera inequivoca diceva che l’impresa appartiene agli azionisti. Qui l’affermazione è diversa. Si dice: l’impresa on appartiene soltanto agli azionisti, agli shareholders, ma appartiene anche agli altri stakeholder, perché anche gli altri stakeholder, quelli importanti, investono nell’impresa, sopportano il rischio. Quindi l’impresa che soddisfa le esigenze degli stakeholder, fa anche il bene della società. Quindi il concetto di proprietà assolutamente diverso. Si, gli azionisti sono proprietari delle risorse finanziarie che hanno messo nell’impresa, ma non sono i proprietari dell’impresa. Proprietari dell’impresa in senso lato sono tutti gli stakeholder che hanno investito nell’impresa, sopportano il rischio, pensiamo al datore di lavoro (?), investe nell’impresa il suo tempo, le sue capacità, le competenze. I fornitori investono nell’impresa attraverso le tecnologie, collaborando con l’impresa, ma anche i clienti investono nell’impresa in termini di fiducia, di attesa di soddisfazione delle loro esigenze. Allora, l’impresa che è capace di venire incontro e bilanciare queste molteplici esigenze, fa il bene anche di chi lavora. Ho affermato che questo è l’approccio che viene largamente seguito, lo vedremo concretamente sui bilanci sociali, o meglio adesso si dice bilancio e rapporti di sostenibilità, tutti dicono i nostri stakeholder sono i seguenti, cerchiamo di venire loro incontro in un certo modo, di coinvolgerli in un altro modo. In un’ottica critica, come è anche il nostro compito, questa teoria ha un limite: l’approccio resta pur sempre individualistico: gli interessi dei singoli stakeholder. L’approccio di questo genere rischia di sottovalutare le relazioni cooperative, le relazioni trasversali, le relazioni comunitarie all’interno dell’impresa e in rapporto al bene comune della società. Resta comunque aperta anche un’altra questione, che vedremo poi trattando nell’approccio di Porter alla responsabilità sociale. In che modo i manager bilanciano gli interessi, le esigenze dei diversi stakeholder? Sulla base di quali criteri? Certo, si afferma sulla base di un criterio di equità, di giustizia, sulla base di un criterio di onestà, di trasparenza. Fuor di dubbio. Però c’è il rischio che i manager soddisfino le esigenze degli stakeholder, dai quali riescono a trarre una convenienza personale 3) Terzo approccio teorico. È un po’ trasversale in tutte le nostre riflessioni fin qui condotte, l’approccio del bene comune. Secondo questo approccio, l’impresa è vista come una comunità di persone. Una comunità di persone tenute insieme da quei rapporti di convivenza di cui alla definizione che vi ho più volte riferito. 118 Comunità di persone, che producono beni e servizi per il mercato e, in generale, valore per la collettività. La comunità è qualcosa di più della somma dei singoli componenti. Ma, in tutto, non cancella, non annulla le specificità delle singole parti, con i loro valori e con le loro caratteristiche. Comunità, persona, il rapporto interdipendente e di arricchimento reciproco, non di prevaricazione della comunità sulla persona in un’ottica totalitaria, neppure prevaricazione dell’individuo sulla comunità, avremo dell’individualismo egoistico. La comunità è del tutto compatibile con la visione dell’impresa nei suoi contratti. La comunità è compatibile con l’impresa sistema di interessi, che possono essere convergenti o anche in conflitto tra di loro. Tuttavia, la comunità ci mette un qualcosa di più, ci mette un po’ di valore aggiunto, nel senso che il concetto di comunità supera la visione dell’impresa nei contratti, supera la visione dell’impresa impresa sistema di interessi che devono essere armonizzati in quanto le persone che costituiscono la comunità sono esseri sociali, non semplici individui auto interessati, ma sono esseri sociali capaci di cooperazione, di reciprocità, di spirito di servizio. Anche nelle imprese si stanno sviluppando forme di volontariato da parte dei dipendenti. Quindi la comunità è una stabile unità di persone coinvolte in un’azione comune per finalità condivise, pur in presenza di differenziate motivazioni ed interessi. La definizione tiene insieme concetti all’apparenza in contrasto. La comunità è una unità di persone. Le persone sono esseri sociali. Persone che sono coinvolte in un’azione comune, per fini che devono essere condivisi da tutti. Condivisi da tutti avendo ciascuno le proprie motivazioni, i propri valori e i propri interessi. Quindi in un’impresa, ma non soltanto impresa, qualsivoglia organizzazione sociale, in modo particolare nell’impresa, i legami tra le persone che operano nell’impresa sono molteplici. Ovviamente legami contrattuali, di reciproco interesse, ma anche legami emozionali che nascono da una comune appartenenza. Ovviamente legami morali, non necessariamente l’impresa è una giungla Legami volontaristici, cioè volontà di operare per il bene comune dell’impresa e della società. Allora, è proprio sulla base di queste considerazioni che possiamo arrivare a questa prima conclusione riepilogativa. L’impresa, con le specificità che abbiamo detto sulla parola impresa, è un protagonista etico del nostro tempo, per il bene e anche per il male. Sappiamo che a fianco delle imprese responsabili, ci sono anche, lo vedremo analizzando le riflessioni di Luciano Gallino, moltissime imprese irresponsabili. L’impresa è un protagonista etico del nostro tempo nel e nel male. Protagonista etico in che senso? Nel senso che l’impresa, attraverso la parzialità della funzione esercitata, produzione per i mercati, ha essenzialmente questa funzione, beni e servizi per il mercato, non è una università, una scuola, una associazione sportiva anche se può occuparsi di questi aspetti in parte, svolge pur sempre una funzione specializzata e parziale. 119 Attraverso però la parzialità della funzione esercitata, questo è il passaggio, l’impresa si confronta con valori ed opzioni più generali, fino a diventare un soggetto che produce relazioni di convivenza, a partire anche dalle urgenze etiche e sociali che sono collettivamente avvertite. Produce relazioni di convivenza. Forse nel passato poteva non occuparsi minimamente delle varie opportunità, delle discriminazioni. Oggi a fronte delle urgenze etiche che son pervenute a livello collettivo, l’impresa deve fare i conti con queste questioni. Attraverso la parzialità si confronta con opzioni più generali. L’affermazione: Io faccio impresa e basta. No, tu facendo impresa ti misuri con questioni più generali e devi dare conto. Infatti, i problemi, le esigenze interpellano le imprese. L’impresa non può ignorare, sottovalutare l’impatto sociale ed ambientale delle sue scelte. È responsabile degli effetti delle sue scelte. Deve rendere quindi conto di come spende i suoi gradi di libertà, deve rendere conto del contributo che dà o dovrebbe dare alla costruzione di una buona società in cui vivere, e quindi contributo che potrebbe dare alla costruzione del bene comune. La responsabilità sociale, come concretizzazione dei principi etici, opera a tutto campo, in quanto le scelte delle imprese richiedono di essere valutate sia per le conseguenze e per gli effetti che producono a livello sociale ed ambientale, ma chiedono anche di essere valutate in funzione del grado di coerenza con un quadro di valori, di principi, che possono essere dall’impresa enunciati, vedi il caso Brembo. L’impresa deve essere valutata se i suoi comportamenti sono coerenti coi valori che ha messo nero su bianco, e i suoi comportamenti devono essere valutati per gli effetti che producono a livello sociale ed ambientale. Lo anticipo, lo vedremo subito dopo, l’impresa eticamente e socialmente responsabile assume gli stakeholder non come mezzi o strumenti, ma come soggetti che concorrono, in qualche modo, a definire il dover essere nell’impresa, le strategie nell’impresa. Allora, le imprese socialmente responsabili riconoscono spazio alle prassi partecipative, al coinvolgimento degli stakeholder attraverso il dialogo, attraverso l’informazione, attraverso la consultazione. Specificatamente con riferimento al fattore lavoro, il coinvolgimento partecipativo, come abbiamo visto parlando di democrazia economica, può tradursi nel coinvolgimento degli organi societari del fattore lavoro. Alcuni autori parlano di democratic stakeholding ovvero di un’impresa in cui tutti i soggetti che ad essa partecipano, sono posti nella condizione di discutere. In taluni casi anche di deliberare sulle questioni che toccano i loro interessi. Indubbiamente il problema non è semplice, ma il passaggio è fondamentale. Capire in che modo gli stakeholder, i soggetti coinvolti nell’impresa, possono effettivamente prendere effettivamente parola, e possano concorrere alle deliberazioni. Occorre pensare a soluzioni flessibili, agili, stakeholder lavoro, la consultazione, l’informazione, sino ad arrivare alle forme di cogestione tipiche dell’esperienza tedesca. Per i consumatori, magari sono milioni, non li facciamo partecipare alle assemblee. Però coinvolgimento può avvenire attraverso un focus group, attraverso i gruppi. Questo tema dell’etica e della responsabilità rinvia, per così dire, ad una sorta di patto tra impresa e società. 120 La società vede nell’impresa una risorsa importante. Un bene prezioso che deve essere salvaguardato e sviluppato. L’impresa, a sua volta, accetta la sfida del bene comune da valutarsi con riferimento alla tutela, promozione del cittadino consumatore, lavoratore, risparmiatore e utente. Concorso al bene comune da valutarsi in riferimento allo sviluppo tecnologico, alla migliore collocazione del paese nella divisione internazionale del lavoro, della risposta ad una molteplicità di sollecitazioni sociali cui l’impresa può dare un contribuito in quanto organizzazione problem solving, che ha delle capacità, delle competenze. Il bene dell’impresa, che è anche capacità di reddito, di sviluppo, di competitività e il bene nel contesto sociale ed ambientale, possono essere tra di loro strettamente interconnessi nel reciproco riconoscimento dell’impegno, del contributo, che può essere fornito per la realizzazione di assetti più giusti, più validi, più equi. L’impresa quindi protagonista etico. Più precisamente, l’impresa riuscirà ad essere tanto più un protagonista etico, quanto più saprà mettere in relazione questi tre aspetti: 1) Le capacità. 2) La libertà. 3) La responsabilità. Dei soggetti che operano nell’impresa. Questo è il primo aspetto. La libertà dei soggetti che operano nell’impresa. La seconda dimensione i valori, gli obiettivi dell’organizzazione di cui il soggetto fa parte. E terzo, il bene del contesto sociale ed le e ambientale in cui l’impresa si inserisce. Libertà dei soggetti, valori obiettivi dell’impresa, bene nel contesto sociale ed ambientale in cui l’impresa è inserita. Questi tre aspetti vanno messi in relazione, e nella misura in cui si riesce a metterli in relazione, resta confermata la affermazione: impresa protagonista etico del nostro tempo. Detto questo, può essere utile distinguere, un piccolo approfondimento, tra etica dell’impresa ed etica nell’impresa. Nel linguaggio comune parleremo di etica d’impresa indifferentemente. Però la distinzione è: - Etica DELL’IMPRESA, dell’impresa cioè considerata come attore unitario, come protagonista unitario che, con le sue strategie e con i suoi comportamenti, si confronta con le questioni del buono e del giusto. A livello di mercato, a livello di società, di ambiente. Libertà a livello di società, di ambiente. La ERG Ha pubblicato il suo rapporto di sostenibilità è fatto bene. Ho chiesto al responsabile, se spinge la ERG a fornirci 60 copie di questo rapporto di sostenibilità, in modo che ciascuno di voi abbia questo documento. Esempio concreto di come viene gestita la responsabilità. - Etica NELL’IMPRESA, in quanto l’impresa è una associazione di persone morali, una comunità di persone morali, che sono in rapporto tra loro con l’impresa, con l’organizzazione e attraverso l’organizzazione si rapportano all’ambiente, al contesto sociale. 121 Il che significa che abbiamo due modalità. Da un lato c’è il patrimonio etico culturale dell’impresa. Quel patrimonio etico e culturale in base al quale l’impresa si misura con le sollecitazioni nell’ambiente, impresa in quanto tale, soggetto unitario. Poi c’è la seconda polarità, che è costituita, rappresentata, dalla ineliminabile pluralità di esperienze, di vissuti, di tensioni valoriali, di coloro che fanno parte dell’impresa. Non sono automi o robot, ma sono portatori di esperienze, di vissuti, di valori, di competenze. Soggetti che fanno parte dell’impresa, che, con l’impresa e attraverso l’impresa si misurano. Il problema è come mettere in sinergia, in relazione, queste due polarità. Non è automatico, meccanico e univoco. Non è facile, ma è di fondamentale importanza, per evitare sia situazioni di paralisi organizzativa, prevalgono esigenze ed interessi dei componenti l’organizzazione a prescindere dalle modalità dell’impresa. Situazione di paralisi organizzative. Ma c’è anche l’altro aspetto in cui l’obiettivo dell’impresa trascura completamente quelle che sono le esigenze, i valori e le aspettative dei membri dell’organizzazione. Distruggendo questo, si generano situazioni di anomia personale, uno si sente escluso, estraneo rispetto all’organizzazione. Non è facile, ma è indispensabile combinare i destini dell’impresa con i destini delle persone. Il marchingegno dove sta? Sta nella leadership, nella qualità della leadership. Una leadership condivisa, una situazione in cui prevalgono rapporti di lealtà, di fiducia in cui ci sono processi di partecipazione. Ecco che le due polarità possono intervenire. Ancora un piccolo passaggio, il rapporto tra etica dell’impresa ed etica nell’impresa non può esaurirsi in sé stesso. Rimanda, si collega, ad un disegno più ampio che è fatto di etica della società, della politica, delle istituzioni. L’impresa non è una monade. La sinergia tra etica dell’impresa e nell’impresa si misura poi in un discorso più ampio di etica sociale, di etica politica, istituzionale. In parte mi collego a quello che diceva il nostro magistrato: compito delle istituzioni è quello di creare le condizioni, e vorrei dire le infrastrutture normative funzionali ad un più elevato tasso di moralità, se pensiamo al nostro paese. Ben lo capiamo: i misfatti finanziari, usiamo questa espressione, possono nascere oltre che da comportamenti scorretti di imprenditori e di manager, anche dall’inesistenza di regole e di controlli adeguati. Nel senso che consumi virtuosi e norme regolamentari possono potenziarsi reciprocamente però vale anche l’incontrario, specialmente in un paese dove l’evasione fiscale, il sommerso, i condoni, il falso di bilancio, sono tutte tentazioni o alibi per comportamenti scorretti. Mai come in questo momento c’è l’esigenza, nel nostro paese, di un clima etico, diffuso e radicato. Un clima etico che non cade dall’alto, che non nasce neppure per decreto. Anche se a volte i decreti sarebbero necessari. Richiede un impegno convinto dei soggetti e delle organizzazioni. Cioè un clima etico diffuso, vorrei dire metabolizzato nelle persone e nelle istituzioni. Molto spesso, come dice il proverbio, l’occasione fa l’uomo ladro. Il clima etico diffuso deve poggiare su solidi meccanismi di stimoli, di controllo, di verifica. A proposito di meccanismi, ce ne sono tre: 122 1) La coscienza individuale. 2) L’autorità pubblica. 3) L’ambiente sociale. Questi tre aspetti sono le tre coordinate entro le quali deve manifestarsi il fare impresa, il fare finanza. Diciamo telegraficamente qualcosa, per capire la connessione tra questi aspetti. 1) La coscienza individuale. È il punto di partenza. Anche se constatiamo che per molti, truffa, frode, corruzione in modo particolare, insider trading, furbizia, evasione, elusione, sembrano comportamenti normali, quasi come parcheggiare l’auto in seconda fila. Certamente occorre partire dalla coscienza individuale. Ovviamente non basta. Ecco 2) Autorità pubblica (o controllo pubblico) Leggi, regolamenti, sanzioni sono indispensabili per ridurre i comportamenti fraudolenti, specie in ambito finanziario, dove il passo dall’avidità alla rapina è molto breve nella finanza. Nell’ambito della finanza, lo abbiamo visto, la crisi in un solo punto può diventare crisi di sistema. 3) Ambiente sociale (controllo sociale). Si pone a livello intermedio, ed è strategico, è essenziale. Perché è essenziale e strategico? Coscienza individuale, indispensabile. Ma ciascuno risponde a sé stesso e ciò non basta per eliminare il male. Il livello pubblico, amministrativo e giudiziario, si muove con lentezza. Ha bisogno di leggi di regimanti e procedure, di prove formali e di riscontri oggettivi. Tutto ciò depotenzia la tempestività, l’efficacia. Il controllo sociale invece si fonda sulla reputazione, sull’intuitus personae, ha per oggetto sia il profilo etico della persona – di lui mi posso fidare – sia la professionalità, è un ottimo professionista. Il controllo sociale non ha bisogno di prove, bastano le convinzioni, le certezze morali. Il controllo sociale coglie quello che le altre due forme non possono cogliere. Agisce con rapidità. Certo, può anche sbagliarsi, ma è essenziale. Ebbene, poi ci riflettete e ci scambiamo due opinioni a integrazione quando ci rivediamo, il controllo sociale è il punto debole del nostro paese. È chiaro, in tutti i paesi democratici ci sono amministratori corrotti, ci sono intrecci disonesti tra pubblico e privato, c’è il finanziamento illecito della politica, c’è l’arricchimento individuale con soldi pubblici, in tutti i paesi. Ma, in nessun paese sviluppato la malattia è diffusa come nel nostro. Vengono stilate le graduatorie internazionali della corruzione. L’Italia è al 69 posto preceduta da molti paesi Africani, con tutto il rispetto per l’Africa. La debolezza del nostro paese, sta nella carenza del controllo sociale, manca cioè, nel nostro paese, la sanzione degli onesti, nei confronti di chi opera in maniera scorretta, chi manca di parola, di chi elude e corrode il fisco, il pubblico appaltatore. A conseguenza di tutto ciò la fiducia viene meno, ma la fiducia è invece una risorsa fondamentale dal punto di vista economico. Da questo punto di vista molto potrebbero fare gli organismi collettivi di rappresentanza, gli organismi professionali, le 123 associazioni, gli ordini professionali, i sindacati. Sono i primi che dovrebbero far pulizia in casa, indagare isolare, sanzionare chi viola i codici deontologici, tradisce la fiducia. Anche per evitare che l’opinione pubblica faccia di ogni erba un fascio, tutti i politici rubano. Non è vero. Allora, in Italia e chiudo, viene talvolta criticata l’invadenza o l’eccesso del potere della magistratura. Forse, una parte non piccola di questa invadenza, è anche conseguenza della carenza di controllo sociale. Come si reagisce al discorso denunciamo chi evade, chi non fa il proprio dovere. Tutto questo è fare la spia o esercitare un diritto civile? LEZIONE 14 26/4/2016 Stiamo entrando all’ottava settimana. Comunicazioni di servizio. Alcuni di voi mi hanno scritto chiedendomi chiarimenti sul quaderno. Il quaderno è personale. Ho detto 4 idee, o 5, se son 3 è la stessa cosa, tratte dalle lezioni della settimana. Questi argomenti li ritengo interessanti. Poi ho aggiunto una idea totalmente vostra. Avete maturato qualche vostro convincimento che può nascere dalla riflessione personale, da un fatto di quella settimana. All’esame poi, apriamo il quaderno chi l’ha voluto fare, e dico guarda che bella affermazione. Cosa intendi? Molte delle cose che saranno sul quaderno sono anche nel tesario. Non dobbiamo normare, stabilire tutto per filo e per segno. Anche tre righe possono andare bene. Einstein ha scritto la formula sulla relatività in una riga!! ☺ Oppure altre cose che vi vengono in mente. Dobbiamo uscire un po’ dalla logica tradizionale funzionalistica dell’insegnamento e dell’apprendimento per cui prima si dicono certe cose e poi altre. Si può anche procedere forse in modo diverso. Soprattutto siete voi a dirlo. C’è tutto un ripensamento sui processi di apprendimento oggi, rispetto a 20 o 30 anni fa. Io per primo, facendo la lezione, ho preparato lo schema con attenzione. È questo il modo migliore per trasmettere, per imparare insieme? Lo stesso la valutazione dell’apprendimento. Ci sediamo li, faccio tre domande. Ma perché si fa così? È il modo migliore per valutare? Non può esserci una sorta di autovalutazione? A volte chiedo allo studente che voto pensi di meritarti? Ci sono state molte esperienze interessanti. Nessuno mi ha detto voglio 30 e lode, mai successo! Ci stiamo avvicinando verso la fine. Nella lezione scorsa abbiamo approfondito il discorso etica dell’impresa, etica nell’impresa, la necessità di mettere in relazione due polarità, il patrimonio etico culturale dell’impresa, l’insieme dei tessuti, delle attese ed esigenze di coloro che operano nell’impresa stessa. Una correlazione, che non è automatica, presuppone un ruolo particolare da parte della leadership, della leadership condivisa. Poi l’affermazione successiva, il rapporto etica dell’impresa, etica nell’impresa, non si esaurisce in sé stesso, ma si apre sul contesto, sull’ambiente e sulla società. Abbiamo approfondito il discorso sulla necessità di un clima etico diffuso, che fa riferimento a tre meccanismi regolatori: 124 - La coscienza personale, essenziale e indispensabile, da sola non basta. - La regolazione pubblica e - Il controllo sociale. Abbiamo detto che il controllo sociale, ovvero la sanzione degli onesti, è uno dei punti di debolezza del nostro paese che, nella graduatoria internazionale della corruzione, si pone al 60 67esimo posto, preceduto anche, con tutto rispetto, da molti paesi africani. L’obiettivo di questi ragionamenti è di dar vita, così come in altri paesi, a sistemi in cui l’onestà è la regola, e i disonesti che ci saranno sempre, evidentemente, tendono a vivere in galera o comunque ad essere del tutto emarginati. Solo così si potrà risalire in graduatoria. Il panorama del nostro paese si caratterizza per molte imprese irresponsabili, alcuni di voi preparano la riflessione sull’impresa irresponsabile prendendo spunto dagli scritti di Luciano Gallino, aggiungiamo che a fianco delle molte imprese irresponsabili ci sono anche molte imprese in cui i comportamenti virtuosi, i valori morali, la sensibilità sociale, sono ampiamente presenti. Il fatto è che queste imprese, salvo alcune grandi che fanno notizia (penso alla Ferrero, o alla Barilla), sono scarsamente conosciuti. Il bene, lo sappiamo, non fa notizia. I comportamenti positivi e virtuosi hanno meno visibilità dei comportamenti negativi. Qui il discorso diventa più generale. Con riferimento al nostro paese, si può dire che non si è fatto e non si fa abbastanza per contrastare i comportamenti negativi. In che senso? Nel senso che i buoni imprenditori, siano essi singoli o associati, accettano di convivere a fianco di colleghi spregiudicati. Non hanno cioè la forza, o il coraggio, di emarginarli, escluderli, e denunciarli. Vivi e lascia vivere. Così facendo, anche la parte buona dell’imprenditoria perde credibilità. Tutti vengono messi nello stesso calderone. In una certa misura questo succede anche nell’ambito della politica. Vada riconosciuto che ci sono anche buoni politici ma hanno permesso che tra di loro si diffondesse la corruzione e il clientelismo. Gli indici di fiducia, nei confronti della politica e nei confronti dei partiti, danno risultati che anche tra di noi non sono stati buoni. Lo stesso succede nelle istituzioni, nella PA. Anche qui, a funzionari integerrimi si affiancano funzionari ottusi e disonesti. Lo stesso, forse, può valere anche nelle istituzioni formative. Forse un po’ meno perché i controlli possono essere più in presa diretta. Ecco l’affermazione conclusiva: il bene comune va posto all’ordine del giorno dell’impresa, delle istituzioni sociali, e va perseguito non come ripiego, ma come prospettiva strategica. Deve essere fatto in quanto tale. Se fare il bene avesse anche qualcosa di convenienza, tanto di guadagnato. Se aumenta la reputazione delle imprese, la redditività dell’impresa facendo il bene, tanto di guadagnato. Qui la necessità di politiche incentivanti nei confronti dei buoni comportamenti. Da questo punto di vista, vi invito a cercare sul sito l’espressione rating di legalità la legalità può essere in qualche modo premiata. Cercate quindi rating di legalità. Nel tesario metterò questa espressione. Rating di legalità. 125 Con questa affermazione concludiamo l’argomento ed entriamo nella nuova tematica specifica di questa ottava settimana, forse ci sarà ancora qualcosina lunedì, la TEORIA DEGLI STAKEHOLDER. Faremo Teora e pratica degli stakeholder. La pratica si rapporta ai suoi stakeholder. Su questo sentiremo anche la voce di un manager che gestisce questi aspetti. Adesso ci occupiamo della teoria degli stakeholder. Nelle dispense c’è il saggio abbastanza voluminoso di D’Orazio, che è un saggio importante ma particolarmente complesso, e quindi lo scopo di questa mia lezione e degli appunti che prendete è quello di mettere in evidenza gli snodi fondamentali del ragionamento teorico sugli stakeholder. Il ragionamento teorico muove da questi due interrogativi. 1) Di chi è l’impresa? A chi appartiene l’impresa? Verso chi i manager sono e devono essere responsabili? Primo interrogativo di carattere micro. 2) Secondo interrogativo, di carattere macro, è il seguente. Qual è il rapporto tra l’impresa e il benessere sociale, collettivo? A questi interrogativi, l’analisi scientifica da due possibili risposte. A questi interrogativi ci sono due approcci teorici di risposta. 1) Il primo approccio scientifica. La teoria centrata sugli stockholder o shareholder, gli azionisti. 2) Il secondo approccio scientifico e teorico si concretizza nella teoria degli stakeholder. Vediamo i punti salienti del primo approccio teorico, centrato appunto sugli azionisti. I passaggi del ragionamento sono questi. 1) Primo passaggio logico. Gli azionisti sono i proprietari dell’impresa. Gli azionisti sono il gruppo dominante nel cui interesse l’impresa deve essere gestita. 2) Secondo passaggio logico. Scopo primario dell’impresa è la massimizzazione del profitto, o anche la massimizzazione del valore per gli azionisti. La formulazione della teoria parla di massimizzazione del valore. 3) Terzo passaggio logico. La massimizzazione del profitto, se questa avviene nel medio lungo termine, è il modo migliore per creare ricchezza e benessere per l’intera società e quindi invia mediata, in via strumentale, massimizzando il profitto, massimizzando l’interesse degli azionisti si fa l’interesse degli stakeholder ma, ripeto, in via subordinata e strumentale. Ecco i tre passaggi logici. Vediamo l’altra teoria, su cui ci soffermeremo in modo particolare. La teoria degli stakeholder. L’affermazione è la seguente: l’impresa è degli stakeholder. Il benessere sociale, il bene della collettività, passa attraverso la creazione di valore per tutti gli stakeholder su un piano di uguaglianza sostanziale. Queste due teorie poggiano su due diverse imposizioni etiche: 126 - La teoria degli shareholder: l’’impresa appartiene agli azionisti ha come economista emblematico Milton Friedman, che avete ampiamente sentito. Milton Friedman, economista conservatore, non potrebbe, per la sua impostazione etica, mai accettare la teoria degli stakeholder anche se si potesse dimostrare che il modello degli stakeholder non ha effetti negativi sulla redditività per gli azionisti. Perché non potrebbe accettarli? Per Friedman l’impresa è degli azionisti, degli shareholder, per cui inserire gli stakeholder corrisponderebbe, per Friedman, ad un esproprio. - La teoria degli stakeholder, che ha come economista emblematico Edward Freeman, economista liberal, o anche libertario, ma in modo particolare liberal er far riferimento all’accezione americana, dice: il modello degli stakeholder va difeso e sostenuto anche nell’ipotesi in cui il suo impiego riducesse, in qualche misura, i profitti. Ma allora, chiediamoci in maniera più puntale: quali sono le argomentazioni morali a sostegno della teoria degli stakeholder, e quindi cosa si può contrapporre, cosa si può obiettare, a chi ritiene che l’impresa è degli azionisti? La teoria degli stakeholder, all’affermazione di Friedman azionisti proprietari, contrappone la formulazione di una teoria allargata dei diritti di proprietà. Si dice: anche gli stakeholder, vedremo tra poco quali stakeholder, non sono tutti uguali, sono investitori a rischio, uguali moralmente agli azionisti che sono investitori a rischio, e i loro apporti sono necessari, sono indispensabili per il successo dell’impresa. Il lavoro di un investitore a rischio, i fornitori sono investitori a rischio, i clienti sono investitori a rischio. Il loro apporto è indispensabile. Ciò vale per il fattore lavoro in modo particolare. Alcuni economisti liberal, dicono: ma, ai lavoratori dovrebbero essere attribuite quote di proprietà formali in quanto lavoratori. All’affermazione di Friedman che la massimizzazione del profitto, o del valore per gli azionisti determina il benessere sociale, si può contrapporre che questa affermazione, profitto benessere sociale, potrebbe essere vera in un mercato ideale di perfetta concorrenza, ed in un’ottica di medio lungo termine. I mercati reali si caratterizzano per asimmetrie, distorsioni nell’allocazione delle risorse. Specie in questi ultimi tempi abbiamo visto come la logica del breve termine brucia le possibilità di sviluppo nel medio lungo periodo. Ancora, l’obiettivo del benessere sociale presuppone la considerazione di tutti gli stakeholder. Ancora con riferimento all’affermazione azionisti proprietari, si fa anche questa sottolineatura: molti azionisti non investono per possedere o gestire l’impresa, molti azionisti non sono interessati al medio lungo termine. Molti investono in azioni per lucrare le oscillazioni delle quotazioni di borsa. Allora ci si chiede: perché l’interesse sovente speculativo e di breve termine di molti azionisti dovrebbe prevalere sull’interesse di altri gruppi? Fornitori, produttori, consumatori? Ancora si fa questa sottolineatura. La proprietà del capitale investito nell’impresa non deve essere confuso con la proprietà dell’impresa. In quanto, nell’impresa, ogni elemento è sempre posseduto da qualcuno. Ma le competenze, i saperi e le abilità, sono 127 proprie di un altro gruppo: lavoratori, manager. La fiducia fa riferimento ad altre soggettività. Quindi questo si ricollega all’impresa come insieme di contratti. La considerazione strumentale degli interessi degli stakeholder, io soddisfo gli interessi nella misura in ci la soddisfazione permette di massimizzare il profitto per l’azionista. Questa logica, quest’affermazione strumentale, per cui gli stakeholder, soddisfo gli interessi degli stakeholder nella misura in cui consente di massimizzare il profitto per l’azionista, gli stakeholder diversi dagli azionisti sono un vincolo di cui devi tener conto se vuoi massimizzare il profitto, questa affermazione va controbattuta, dicono gli economisti liberal, con la constatazione che gli stakeholder sono tutti soggetti di pari dignità, non sono strumenti. Quindi la soddisfazione degli stakeholder non deve essere assunta come un vincolo ma come scopo dell’impresa. Nell’ambito degli stakeholder ci sono anche gli azionisti, ma su un piano di dignità pari a quella degli altri soggetti. Per la teoria degli stakeholder, il business non è differente da altri aspetti della vita umana. I manager, tutti gli stakeholder, sono soggetti morali, ovvero soggetti morali titolari di diritti. Da questa premessa, che tutti gli stakeholder sono soggetti morali titolari di diritti, Freeman, economista liberal, ricava due principi per il management: 1) Il primo principio. L’impresa deve essere gestita per il bene di tutti i suoi stakeholder. Freedman direbbe l’impresa deve essere gestita dal manager per il bene degli azionisti. Il bene degli azionisti fa anche il bene degli altri. Qua i diritti degli stakeholder, dei diversi gruppi, devono essere garantiti. Inoltre, questi gruppi, questi stakeholder devono, in qualche modo, partecipare alle decisioni che li riguardano. Questo principio viene chiamato principio di legittimità aziendale. Deve essere gestita nel bene degli stakeholder. I diritti devono essere garantiti e, gli stakeholder devono essere coinvolti nelle decisioni che li riguardano. È il principio di legittimità aziendale. 2) Secondo principio, conseguenziale. Il manager ha un rapporto fiduciario, ha un dovere fiduciario nei confronti di tutti gli stakeholder e di tutta l’impresa assunta in quanto tale, assunta nella sua totalità. Il manager, cioè, deve agire nell’interesse degli stakeholder in qualità di loro agente, e deve altresì agire nell’interesse della corporation, dell’impresa in quanto tale, per assicurarne la sopravvivenza, lo sviluppo dell’impresa nel tempo. Quindi salvaguardando nel lungo termine gli interessi di ogni gruppo di stakeholder, di quelli che attualmente ci sono, ma anche di quelli che potrebbero esserci in futuro. È il principio della sostenibilità. Questo secondo principio prende il nome di principio fiduciario. Legittimità aziendale. Impresa deve essere gestita nell’interesse degli stakheolder, che devono essere coinvolti nelle decisioni. I manager sono gli agenti di tutti gli stakeholder. C’è un rapporto fiduciario con gli stakeholder e l’impresa in qu anto tale. Soddisfare le esigenze degli stakeholder, in modo che l’impresa cresce e si sviluppi nel tempo. Quindi si salvaguardano gli interessi degli stakeholder nel lungo periodo. 128 Diciamo ancora qualcosa, lo ripeto. Gli stakeholder comprendono anche gli azionisti. Ma dice Freeman questa sottolineatura. La corresponsione del profitto agli azionisti sotto forma di dividendo si giustifica non perché posseggono l’impresa, ma perché il loro apporto è necessario per la sopravvivenza dell’impresa. Diciamo ancora qualcosa sul modello di Freeman degli stakeholder. Freeman fa questo passaggio logico, e dice: al modello convenzionale, col quale si descrive l’impresa, di descrizione dell’impresa il modello convenzionale di descrizione dell’impresa, è il modello input-output, è il primo modo con cui uno scrive l’impresa. È un modello secondo il quale alcuni stakeholder: investitori, dipendenti, fornitori, mettono a disposizione dell’impresa degli input che l’impresa trasforma in output per gli acquirenti per altri stakeholder, il tutto con l’obiettivo di fare profitto per i proprietari. È questo il modello tradizionale. A questo modello input-output, processo rappresentato nel modo più banale, qui ho i fattori della produzioni, che son forniti da determinate categorie di soggetti, chiamiamoli stakeholder, e si ottengono output per ottenere profitto. Il modello contrapposto è il modello cui l’impresa è il fulcro di una ruota che gli stakeholder sono al termine dei raggi di questa ruota. Cioè sostanzialmente questo modello lo riprenderemo in maniera precisa la prossima lezione, vedremo rappresentato dalla Pirelli. Qui è semplicemente questo. L’impresa è il fulcro di una ruota e i raggi di questa ruota hanno al termine i diversi stakeholder, finanziatori, lavoratori, consumatori, fornitori, lo stato le istituzioni, l’ambiente e così via. Il rapporto, come vedremo in dettaglio, è un rapporto biunivoco. Nel senso cioè, gli azionisti o i finanziatori forniscono i capitali e ottengono il dividendo, la remunerazione, capital gains, la tranquillità del loro investimento I lavoratori investono conoscenze, competenze, e ottengono remunerazioni, crescita professionale, e altri vantaggi. Attraverso questi flussi si realizza la creazione di valore per quel particolare stakeholder. Questo lo vedremo col caso specifico della Pirelli. Ha una rappresentazione molto efficace. L’impresa fulcro della ruota. Stakeholder al termine dei raggi della ruota. La categoria stakeholder è molto ampia. Ogni impresa deve scegliere lei i propri stakeholder rilevanti coi quali creare un rapporto di collaborazione. Allora, sulla base di questo scarabocchio, l’impresa appare effettivamente come un insieme di transazioni. L’impresa un insieme di transazioni. L’impresa è anche il luogo di uno sforzo cooperativo, creare valore, e anche competitivo, perché questo valore deve essere poi suddiviso. Un insieme di transazioni, uno sforzo cooperativo e competitivo che coinvolge numerosi individui, numerosi gruppi, variamente organizzati. Pertanto, in questa impostazione, l’impresa è l’organizzazione nella quale e mediante la quale molti individui, molti gruppi, cercano di raggiungere le proprie finalità. Qui il ruolo determinante del manager. Manager che, come ho anticipato e ripeto, ha un rapporto fiduciario con i diversi stakeholder, ovvero con quei soggetti, con quei gruppi che hanno un interesse legittimo nei confronti dell’impresa, che hanno una pretesa legittima nei confronti dell’impresa, perché nell’impresa hanno investito qualcosa: risorse finanziarie, fiducia, tempo. Hanno un interesse legittimo, una pretesa legittima. 129 Ci dice Freeman, il fondamento morale di questo ragionamento è un fondamento morale di tipo kantiano, da Kant. Cioè un fondamento basato sul rispetto delle persone, nel senso che le persone sono un fine, non un mezzo. Un mezzo sarebbe input outoput, un fine l’impostazione di Freeman. Sono un fine, non un mezzo. I diritti degli azionisti non sono assoluti, non possono essere fatti valere per giustificare l’uso degli altri stakeholder come mezzo per la massimizzazione del valore degli azionisti. Tutti gli stakeholder sono su un piano di uguaglianza sostanziale, non formale, sono fini non mezzi. Cito testualmente Freeman quando dice: “Ognuno di questi gruppi di stakeholder ha il diritto di non essere trattato come un mezzo per qualche fine, e pertanto deve partecipare alla determinazione della direzione futura dell’impresa in cui ha un interesse. Perciò i diritti di proprietà non sono assoluti. In modo particolare quando confliggono con importanti diritti di altri. Il diritto di proprietà non implica di trattare gli altri come mezzi per un fine”. E questo vale per tanti parti. Anche nell’università. Gli studenti non sono un mezzo per ottenere il finanziamento. Quindi, se gli stakeholder sono soggetti morali, titolari di diritti, la sfida etica per il management consiste nel prendere in considerazione, nel soddisfare le pretese legittime avanzate dai diversi stakeholder, compresi, ovviamente, i proprietari, ma pretese ed attese legittime. Quindi, la salute dell’impresa, la sopravvivenza dell’impresa, richiede il bilanciamento delle molteplici pretese che a volte possono anche essere in conflitto tra gli stakeholder. Quindi scopo dell’impresa è fungere da mezzo per il coordinamento degli interessi degli stakeholder secondo equità e secondo giustizia. Dello stesso avviso di Freeman è un altro economista americano importante, si trova citato nel saggio, Clarkson, uno dei padri della Business Ethics, il quale è d’accordo con queste affermazioni ma dice: non tutti gli stakeholder hanno la stessa importanza per l’impresa. Clarkson distingue tra stakeholder primari e stakeholder secondari. Gli stakeholder primari sono, lui dice, risk bears, cioè sono soggetti che investono a rischio, che fanno un investimento a rischio nell’impresa. Senza di essi l’impresa non può sopravvivere. Sono questi gli stakeholder di cui si deve tener conto in modo particolare. L’impresa deve creare e distribuire ricchezza e valore a tutti gli stakeholder primari, senza favorire un gruppo a spese di un altro. Stakeholder che sono essenziali per la sopravvivenza dell’impresa. Aggiunge Clarkson: compito del manager è allora quello di risolvere gli inevitabili conflitti tra i gruppi di stakheolder in ordine alla distribuzione della ricchezza creata dall’impresa. Questi conflitti vanno risolti in maniera equa, sulla base di un criterio e giudizio morale. Tutti gli stakeholder primari che effettuano investimenti a rischio sono moralmente uguali, però, aggiunge Clarkson il loro coinvolgimento può essere diverso per l’entità dell’investimento che fanno e per l’entità del rischio che sopportano. Perciò l’obbligo dell’impresa deve essere proporzionato all’investimento che lo stakehodler ha fatto e alla quantità di rischio che sopporta. È un po’ complesso, incasinato, leggendo però il testo della letteratura è ancora più confuso o complesso. 130 Chiariamo un po’ meglio la tipologia degli stakeholder. Entrando nel merito della tipologia degli stakeholder, vedremo casi concreti, come le imprese elencano gli stakeholder: Erg, Pirelli. Freeman, il padre di questa teoria, dà una definizione allargata di stakeholder, usa l’espressione stakeholder senza aggettivi e connotazioni particolari. Freeman li definisce come qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare, o è influenzato, dal conseguimento degli obiettivi di impresa e dal comportamento di impresa. Influenza ed è influenzato. Una accezione di stakeholder molto ampia, al limite può comprendere chiunque. Di qui l’importanza delle precisazioni fatte dall’economista Clarkson che ho citato pochi secondi fa. Fa questa distinzione: Stakeholder volontari e involontari, stakeholder primari e secondari. - STAKEHOLDER VOLONTARI => Sono quelli che sopportano il rischio come conseguenza del loro investimento. Di solito lo stakeholder volontario è legato all’impresa da un rapporto contrattuale. C’è un contratto - STAKEHOLDER INVOLONTARI => Sono a rischio per la volontà dell’impresa. Gli abitati lungo il Polcevera sono stakeholder a rischio, ma sono del tutto involontari. Sopportano la puzza come comportamento dell’impresa. Non c’è nessun rapporto contrattuale, non hanno alcun rapporto. Sopportano il rischio. - STAKEHOLDER PRIMARI => Sono quelli senza la cui partecipazione l’impresa non può sopravvivere. Sono quelli che senza la loro partecipazione l’impresa non può sopravvivere. - STAKEHOLDER SECONDARI => Influenzano o sono influenzati dall’impresa, Però non sono legati all’impresa da una transazione, da un rapporto contrattuale. Non sono, in prima battuta essenziali per la sopravvivenza dell’impresa. Una televisione locale, un gruppo di pressione, una associazione, un movimento. I primari per un livello stretto di interdipendenza con l’impresa. Se i consumatori non sono insoddisfatti è un problema per l’impresa, se il lavoro non da la sua competenza e professionalità sono problemi per l’impresa. Gli stakeholder secondari non sono essenziali, però mobilitando l’opinione pubblica possono avere effetti importanti sull’immagine dell’impresa. Quindi, anche degli stakeholder secondari, dobbiam tenerne presente. Abbiamo infine, e questo lo riprendiamo lunedì, l’impostazione più articolata di Michel, altro economista americano, che entra nelle tipologie degli stakeholder. È una impostazione teorica particolarmente importante. Sarano 15 20 minuti. Questo fa da ponte con le lezioni successive. Gli stakeholder devono essere coinvolti. Coinvolgimento degli stakeholder, perché? In vista di che cosa? Entreremo poi nel merito specifico della responsabilità sociale dell’impresa. Vedremo che forse l’aggettivo sociale deve essere modificato considerando la sostenibilità, che va al di là della mera socialità. Questo lo vedremo facendo anche qualche caso concreto. 131 Mi rendo conto che il ragionamento è abbastanza complesso, ma importante perché è un capitolo fondamentale della business ethiks, e anche in generale, della teoria dell’impresa. Si collega anche con la microeconomia, i contratti, espliciti ed impliciti. Molti ragionamenti li potremmo legare alla teoria dei giochi, dei giochi cooperativi. La teoria dei giochi cooperativi si applica. In microeconomia avete parlato dell’equilibrio di Nash, si colloca in questa logica: giochi cooperativi, giochi ripetuti. Le iniziative che abbiamo in corso sono queste: 1) Alcuni propongono le loro riflessioni sul benessere equo sostenibile, per andare oltre il PIL, saranno riflessioni interessanti e stimolanti, che entrano nella crescita complessiva. 2) Alcuni si sono impegnati nella ricerca del film. Il gioiellino o la grande scommessa. La grande scommessa non sono riuscito a vederlo. Il gioiellino invece si, Servillo è sulla cresta dell’onda con il suo nuovo film Le Confessioni. 3) Altri si sono impegnati nell’intervistare docenti chiedendo loro: cos’è, per lei, l’impresa. Mi sembra di capire che qualche problema ce l’hanno. Avevo detto che il docente doveva rispondere seduta stante. Uno che spiega ste cose qui doveva dirlo subito cos’è l’impresa, ma non è così. Avremo modo di ragionare che le risposte siano fatte con lo stampino, sia nel caso di risposte differenziate. Mi raccomando l’economista e il giurista. LEZIONE 15 2/5/2016 Alcune questioni organizzative. Dobbiamo recuperare due lezioni. Una perché avevo io un altro impegno, una perché era il 25 aprile. Ho guardato gli orari, quali sono. L’ipotesi che vorrei sottoporvi, per verificare se va bene, è questa. Lunedì 9 maggio, con i vostri colleghi che stanno preparando la presentazione del film Il Gioiellino, avevamo prospettato una ipotesi di proiezione del film proprio lunedì 9 maggio. In prima battuta avevo pensato all’orario normale 12.30, 14.30. Due ore ci servono. C’è la presentazione e poi il dibattito. Avevo verificato la possibilità di farlo in aula magna, ma lì c’è già un seminario e lo avevano già prenotato. Io mi metterei a disposizione in Aula Passadore, che dal punto di vista tecnologico è ancora meglio. I posti sono 42, però possiamo anche metterci una decina di sedie. 132 Allora pensavo questo. Perché non facciamo un recupero lunedì partendo alle 10.30. C’è già un recupero. Nell’ipotesi in cui ci si mette d’accordo con la Bruzzi, facciamo 10.30 aula Passadore, e poi continuiamo alle 12.30 con la lezione normale. La parte iniziale della lezione potrebbe servire come dibattito al film. Questa è l’ipotesi ottimale. Come second best, nell’ipotesi in cui la Bruzzi sia irremovibile, facciamo alle 12.30 in aula magna, ma domani diamo la conferma. Ogni buon conto, al termine della lezione parliamo con i responsabili. Lunedì 16 maggio, avremo con noi il dottor… Responsability manager di ERG, che presenta il rapporto di sostenibilità, e verrà distribuito il volume a tutta l’aula. L’incontro col dottore è parte integrante del corso, perché nel tesario ci sarà la voce: Rapporto di sostenibilità, il caso ERG. Nell’ipotesi in cui la Bruzzi sia irremovibile devo recuperare due lezioni. Poi vediamo per la seconda lezione. Potrebbe essere il lunedì pomeriggio, però è da suicidio. Si potrebbe finire martedì 24. Teoricamente potremmo fare anche il 30 maggio. Secondo il regolamento i giorni di lezione devono essere 24, due ore ciascuno. Recuperando le due lezioni mancanti si può terminare martedì 24, e sono 24 giorni. Può essere fatta anche il 30, ma nell’ipotesi in cui vogliate iniziare ad entrae nel merito della preparazione dell’esame può farvi comodo il 30 stare a studiare. Verso la fine possiamo programmare una lezione per quanto riguarda gli orali, in modo da capire come farli. Lo stabiliamo e facciamo un calendario per i frequentanti di appello per appello, nell’ipotesi che in linea di massima si possono fare 8-10 esami al mattino e 8-10 esami al pomeriggio. Completiamo, praticamente l’argomento che abbiamo iniziato la volta scorsa. La volta scorsa abbiamo incominciato un tema di grande rilevanza, sia teorica che pratica. La tematica degli STAKEHOLDER. Abbiamo innanzitutto sviluppato la teoria degli stakeholder, così come prospettata e sviluppata nella principale letteratura anglossassone. Come abbiamo visto, l’approccio teorico muove da un interrogativo ben preciso: - Di chi è la grande impresa? E, in subordine - Qual è il rapporto tra grande impresa e proprietà? Abbiamo visto che a questo interrogativo possono essere date due risposte, prontamente diverse l’una dall’altra. 1) La prima risposta. L’impresa è di proprietà degli azionisti, ai quali va il profitto. Si fa riferimento alla stockholder o shareholder theory. 2) La seconda risposta. L’impresa appartiene agli stakeholder, a tutti coloro che hanno fatto investimenti a rischio, e si pongono su un piano di eguaglianza sostanziale. Abbiamo approfondito le argomentazioni a sostegno dell’uno e dell’altro approccio. Quindi ci siamo preoccupati di capire meglio chi sono gli stakeholder, classificandoli per tipologia. 133 Siamo partiti dall’impostazione allargata di Freeman, per cui gli stakeholder sono tutti i soggetti che possono influenzare l’impresa e che dell’impresa fanno parte. Definizione del tutto generale. Siamo poi passati all’impostazione di Clarkson, altro economista americano che, partendo dal presupposto che non tutti gli stakeholder sono uguali, hanno la medesima importanza per l’impresa, per il management, propone la distinzione che abbiamo esaminato tra: - Stakeholder volontari; - Stakeholder involontari: - Stakeholder primari; - Stakeholder secondari. Completiamo adesso con l’impostazione di Micel. Ha una trattazione a sé. Micel concorda con Freeman, dicendo: nessun potenziale stakeholder può essere escluso a priori. Vanno tutti presi in considerazione. Prendendoli in considerazione dobbiamo avere dei criteri per identificarli, avere dei criteri per mettere in evidenza le caratteristiche, avere dei criteri per valutarne l’importanza che questi hanno nell’impresa. Sia perché possono condizionare l’impresa e sia perché l’impresa può considerarli. In seconda battuta, Micel dice: dobbiamo dotarci di criteri di ponderazione. Ponderare in qualche modo la sapienza dei diversi stakeholder, ovvero l’importanza che il management attribuisce agli stakeholder. Allora ecco l’impostazione interessante di Micel. Micel propone tre criteri identificativi con i quali valutare le caratteristiche degli stakeholder: primo criterio del potere, secondo criterio della legittimità, terzo criterio dell’urgenza. 1) Primo criterio. Criterio del potere. Potere che lo stakeholder di influenzare, di condizionare l’impresa. Ha potere, ha capacità di condizionamento anche perché può ricorrere a mezzi coercitivi. Può avvalersi della legge, può avere anche un potere limitato per imporre la sua volontà delle relazioni con l’impresa. 2) Secondo criterio. Criterio di legittimità. Il criterio della legittimità fa riferimento al fondamento morale della pretesa dello stakeholder, cioè la pretesa dello stakeholder di scegliere da azioni che sono ritenute giuste, che sono ritenute appropriate sulla base di alcuni principi. Principio dell’equità per cui devi avere la giusta remunerazione, criterio di equità per cui non ci deve essere discriminazione tra uomini e donne. Criteri di legittimità per cui il consumatore non può essere ingannato. Un criterio che fa riferimento al fondamento morale dell’esigenza dello stakeholder. Criterio che fa riferimento all’esigenza morale dello stakeolder 3) Terzo criterio. Criterio dell’urgenza. Ci possono essere situazioni in cui occorre rispondere in tempi rapidi alle necessità, alle domande degli stakeholder. C’è il buco del petrolio, bisogna rispondere con urgenza alla comunità locale. 134 Questi tre criteri, questi tre attributi, possono essere variamente combinati. Allora, sulla base del calcolo combinatorio, discendono sette classi di stakeholder, raggruppabili in tre categorie. Dal calcolo combinatorio, matematica 1, ci possono essere: - Tre classi di stakeholder che hanno un solo attributo. Sono dotate di potere oppure di legittimità oppure di urgenza, un solo criterio. Questi tre grandi stakeholder devono essere definiti da Micel stakeholder latenti. - Poi, sempre sulla base del calcolo combinatorio possiamo avere tre classi di stakeholder con due attributi ciascuno: potere e legittimità, potere e urgenza, legittimità e urgenza. Queste tre classi vengono da Micel definiti stakeholder in attesa. - Infine, abbiamo un’unica classe con le tre caratteristiche. Stakeholder che ha potere, legittimità e che ha urgenza. Micel li definisce stakeholder definitivi. Stakeholder latenti, un solo attributo, stakeholder due sole caratteristiche, stakeholder definitivi una classe con le tre caratteristiche. A questo aggiungiamo anche la categoria dei non stakeholder, i soggetti che non hanno né potere, né legittimità, né urgenza. Fatta questa griglia metodologica, quello che conta è la percezione del manager. Micel mette a disposizione del manager sono questi criteri, queste comunicazioni di criteri. È il manager che deve stabilire, deve valutare ciascun possibile stakeholder sulla base di queste caratteristiche. È un’operazione estremamente interessante, delicata, ci torneremo già nella lezione che iniziamo subito. Vedremo i rapporti di sostenibilità in ambito sociale ed economico. Vedremo, dal manager di ERG, come ERG valuta l’importanza dei vari stakeholder. Questo pone sul tappeto il rapporto tra management e stakeholder. Un rapporto estremamente complesso, articolato, che può avere varie configurazioni. 1) La prima configurazione. Tra management e stakeholder ci può essere un rapporto di conflitto e di sfida. 2) Tra management e stakeholder ci può essere un rapporto unilaterale. Io impresa fornisco un approccio alla comunità, o a quella determinata scuola. È un rapporto unilaterale, un contributo. 3) Tra management e stakeholder ci dovrebbe essere un rapporto bilaterale, di una impresa ti do un contributo ma tu stakeholder devi evidenziare e io sponsorizzare. In modo che tu mi restituisci quello che ti ho dato in termini di immagine, in termini di reputazione. 4) Il rapporto, e pian pianino ci avviciniamo ci avviciniamo a come è adesso, potrebbe essere di dialogo. Il management dialoga con gli stakeholder, con alcuni stakeholder, in vista, in relazione di determinati progetti. L’impresa dialoga con l’università in ordine ai contenuti per il nuovo corso di studi. È un dialogo. 5) Il dialogo può essere anche di tipo strategico. Nel senso che impresa e stakeholder concordano su taluni obiettivi di lungo termine. 135 6) L’impresa e gli stakeholder potrebbero dare vita a delle vere e proprie cooperazioni, a dei progetti gestiti in comune. Potrebbero dar vita a delle alleanze, potrebbero dar vita a degli organi paritetici, a meccanismi di consultazioni. Tutto questo prende il nome di stakeholder ingagement, coinvolgimento degli stakeholder, che è un punto fondamentale nella responsabilità sociale, della corporate social responsabilty. Come anche vedremo, lo stakeholder ingagement non viene lasciato alla buona volontà estemporanea delle parti. Ci sono certi soggetti che stabiliscono su quali idee, con quali congetture, in quali forme lo stakeholder ingagement deve prendere forma. Su questo accenneremo tra poco. Completiamo la parte teorica degli stakeholder citando, a conclusione, ancora Freeamn, il padre della teoria degli stakeholder. Si dice questo, lo ribadiamo a conclusione. La teoria degli stakeholder porta a considerare l’attività di impresa come una attività morale, che influisce sul benessere di molti esseri umani. Proprio per questo è una attività morale. Aggiunge Freeman: gli stakeholder creano valore cooperando con l’impresa e tra di loro. Questo permette di soddisfare i loro bisogni e le loro aspettative di comune accordo. Sulla base di questo Freeman dice: sta in ciò una nuova idea di capitalismo, inteso come intrapresa cooperativa tra imprese, consumatori, finanziatori, lavoratori, comunità. Cito testualmente Freeman: Il capitalismo funziona perché imprenditori e manager si uniscono e mantengono accordi o rapporti tra consumatori, fornitori, dipendenti, finanziatori e comunità. Il sostegno di ogni gruppo è vitale per il successo dell’impresa. Poiché questo principio è radicato negli interessi degli stakeholder, la cooperation diventa una camera di compensazione, o rete di attività in cui gli stakeholder soddisfano i loro desideri. Freeman sintetizza così il suo pensiero dicendo: allo stokholder capitalista, e in termini figurati Freeman dice il cawboy capitalista, può sostituirsi lo stakeholder capitalista. Stakeholder capitalista che prefigura un mondo dove business ed etica sono intrecciati, dove i valori e le virtù sono una parte della vita, e dove, parte un po’ poetica di Freeman, la solitudine è sostituita dalla solidarietà che proviene dalla realizzazione congiunta di scopi condivisi. Sono affermazioni anche un po’ enfatiche, ma pur tuttavia esprimono dei legami che trovano appoggio anche in altre e manifestazioni di pensiero. Abbiamo accennato all’Economia Positiva, potremmo accennare all’economia civile, sociale, solidale. Una situazione estremamente importante. Questo è il completamento della riflessione sugli stakeholder. Iniziamo ora una tematica fondamentale, che potremmo chiamare così; DALL’ETICA DI IMPRESA, ALLA RESPONSABILITA’ SOCIALE NELLA SUA CONCRETEZZA. 136 Richiamiamo le nostre riflessioni. L’etica è intrinseca, è connaturata all’essere e fare impresa. L’etica impernia le culture, le organizzazioni, i comportamenti, le strategie, le relazioni di impresa. Questi elementi, queste riflessioni tra imprese cooperative non sono neutrali, non sono indifferenti rispetto all’utilizzo etico, rispetto all’utilizzo morale. Sono valutabili in termini di bene e male, di giusto e ingiusto. L’impresa non è una buona pratica. Il suo essere, il suo agire possono essere eticamente corretti o mutuamente scorretti. Se diciamo questo, capiamo che è in gioco la responsabilità dell’impresa. Allora possiamo affermare che la responsabilità sociale d’impresa, o il termine anglosassone corporate governance responsability è la concretizzazione, l’attualizzazione dell’etica all’interno dell’impresa, dei suoi rapporti con gli stakheolder, nei suoi rapporti con la società e con la società e con l’ambiente. In letteratura, siamo grossomodo all’inizio degli anni 2000, il tema della Responsabilità Sociale viene affrontato nell’ottica di quattro approcci teorici. Viene quindi declinato secondo quattro dimensioni dalle quali si fanno discendere i molteplici ambiti di applicazione della responsabilità. Vediamo velocemente la teoria per poi vedere sulla base delle più recente acquisizioni il tema dello sviluppo sostenibile, ma oggi si parla di responsabilità. Dobbiamo parlare di questi 4 approcci teorici forniti dalla letteratura, non si escludono l’uno con l’altro. È importante capirli, ed importante è l’ultimo che ci porta nel cuore del discorso. 1) Il primo approccio. Approccio funzionalista. Secondo questo approccio, la responsabilità sociale è uno strumento di regolazione, è uno strumento che stabilizza, armonizza le iterazioni tra impresa e società. La responsabilità sociale è uno strumento con il quale integrare i fini dell’impresa con i fini della società. Lo strumento che integra i fini dell’impresa con i fini della società nel contesto in cui opera. In termini più pratici, potremmo dire che la responsabilità sociale è il mezzo per conciliare profitto e benessere sociale. 2) Secondo approccio. Approccio socio pubblico. Muove da questa constatazione. La responsabilità sociale si esprime, si traduce in relazioni di potere. C’è innanzitutto il potere dell’impresa, cioè la sua capacità di condizionamento nei confronti del contesto, nei confronti degli stakeholder. C’è anche il viceversa. Il potere, la capacità di condizionamento che gli stakeholder hanno nei confronti dell’impresa. Capacità di condizionamento che gli stakeholder hanno sulle politiche, sulle strategie, sui comportamenti dell’impresa, che devono fare i conti con le esigenze, con le attese dei diversi attori sociali. Allora, in quest’ottica la responsabilità sociale è la stabilizzazione dei rapporti di forza tra impresa e stakeholder. 3) Terzo approccio. Viene chiamato approccio culturale. Afferma questo. La responsabilità sociale è il prodotto di una cultura. È espressione di valori condivisi. La responsabilità sociale riflette, per così dire, un comune sentire tra l’impresa e l’ambiente, un comune sentire tra l’impresa e le diverse realtà sociali, economiche, ambientali, istituzionali. Una responsabilità sociale che è 137 espressione del fatto che lega l’impresa con la società. Un patto di mutuo riconoscimento. La società vede l’impresa uno strumento di fondamentale importanza ma l’impresa, a sua volta, si dà carico del bene comune collettivo. 4) Quarto approccio. Si lega all’impostazione concreta della responsabilità sociale. Prende il nome di approccio costruttivista. Impresa e società, società come termine onnicomprensivo, costruiscono insieme la responsabilità sociale. In altri termini, la responsabilità sociale è il prodotto di una negoziazione tra impresa e società. Una negoziazione in cui vengono messi in gioco identità, valori, problemi e interessi. Da questo punto di vista, potremmo dire che la responsabilità sociale nasce dall’incontro tra la domanda e l’offerta. L’impresa offre alla società responsabilità sociale. Ma la società, a sua volta, chiede responsabilità sociale. Pensiamo alle tematiche ambientali, ma non soltanto a queste. Nell’ambito di questo approccio significa che la responsabilità sociale, in quest’ottica, è qualcosa che deve poter essere misurato, non affermato genericamente Deve essere valutata e misurata con opportuni indicatori. Conseguentemente, la responsabilità sociale è qualcosa che deve essere rendicontato, deve essere certificato da terzi, che deve essere comunicato, anche qui, con determinati standard di riferimento. Non si può comunicare come si vuole. Ci sono dei criteri stabiliti a livello internazionale, su come rendicontare la responsabilità. È proprio questo quarto approccio che va al cuore della responsabilità sociale. Questi i quattro approcci alla responsabilità sociale. Sempre nell’ambito della letteratura internazionale, inizio anni 2000, vengono individuate quattro DIMENSIONI della responsabilità sociale, 4 contenuti della responsabilità sociale. 1) Prima dimensione della responsabilità sociale. La dimensione economica. Sulla base della constatazione che l’impresa è innanzitutto un agente economico che produce beni e servizi per il mercato, anche in vista del profitto. L’impresa deve essere economicamente redditizia nel tempo. Negli anni 2000 la parola sostenibilità non era ancora di moda. Econonmicamente sostenibile possiamo dire, con la constatazione che senza profitto non si sopravvve. È la dimensione economica della responsabilità. 2) Seconda dimensione della responsabilità sociale. Dimensione legale o giuridica. Nel senso che si dice, la società si aspetta che l’impresa consegua un profitto, prima dimensione, ma attende anche che l’impresa rispetti la legge. Profitto della legalità. La legge, in qualche modo, modifica le regole del gioco, e quindi il livello minimo di reddito. 3) Terza dimensione della responsabilità sociale. È la dimensione etica della responsabilità sociale. La dimensione etica va oltre ciò che è la legge, per comprendere principi, valori, norme di comportamento che la società si è data quel particolare modello storico, in termini di solidarietà, giustizia e così via. . 138 4) Quarta dimensione della responsabilità sociale. La dimensione discrezionale o dimensione filantropica. In questo senso. L’’impresa spontaneamente, liberamente, assume delle obbligazioni sociali nei confronti della comunità. Queste obbligazioni sociali non sono richieste dalla legge né da specifici scopi morali. Si impegna nella cultura, nella scuola, nella sponsorizzazione di determinate iniziative. Distinzione non del tutto generica. Perché queste iniziative hanno anche un loro ritorno a livello di immagine. Questa quadripartizione dimensione economica, giuridica, etica e filantropica, poteva andare bene nel passato, nell’età industriale della coroporate social responsability. Oggi è riduttiva. Riduttiva in che senso? Innanzitutto manca, in maniera esplicita, una dimensione fondamentale: la dimensione ambientale. E poi, altro limite, le quattro dimensioni che abbiamo richiamato ed elencato, sono considerate separatamente. Avulse, in qualche modo, dalle strategie e dalle strutture d’impresa. Invece le diverse dimensioni e come vedremo, la dimensione economica, sociale ed ambientale, queste dimensioni sono interdipendenti, sono integrate tra di loro, e finalizzate al contributo che l’impresa può e deve dare allo sviluppo sostenibile. Ecco il problema sociale Lo ripeto e poi lo approfondisco. Le diverse dimensioni della responsabilità sono tra di loro interdipendenti, integrate finalizzate al contributo che l’impresa può e deve allo sviluppo sostenibile. Allora, ecco che la sostenibilità è l’aspetto focale in base al quale definire concretamente cos’è, cosa deve essere la responsabilità sociale di impresa. La sostenibilità è il punto del ragionamento. L’aggettivo sociale, responsabilità sociale e social responsability, può essere usato sia in termini generali, quindi comprensivo di tutte le dimensioni, sia in termini specifici, cioè la dimensione sociale in senso stretto. Non si capisce se si usa l’aggettivo sociale in senso ampio, che comprende anche gli aspetti economici, oppure no. Analogamente, in termini di documentazione, a volte troviamo l’espressione bilancio sociale, in cui si tralasciano gli aspetti ambientali, oppure si usa l’espressione, e sarà il caso di ERG, che si parla di bilancio di sostenibilità. Facciamo ancora un passaggio. Nella concretizzazione e comunicazione della responsabilità sociale, l’impresa ha oggi di fronte, a propria disposizione, può avvalersi, deve avvalersi di una molteplicità di modelli, di criteri guida, di enunciazioni di principio, di raccomandazioni, di norme, di standard, predisposti da istituzioni internazionali e da enti. Qual è lo scopo di queste raccomandazioni, di questi standard, di queste norme? Lo scopo è quello di fornire alle imprese un contesto di riferimento omogeneo, comparabile quanto ai contenuti che deve riferirsi alla responsabilità sociale, quanto alle metodologie, agli strumenti di misurazione, di rendicontazione, di comunicazione. Ecco la necessità di questo contesto di riferimento. La verifica è ampia, i modelli sono molteplici. Hanno diversa natura, diverso peso, diverse linee guida. Richiamo telegraficamente i principali, così quando ne sentite parlare uno non cade dal cielo e non fa una brutta figura con l’interlocutore aziendale 139 che usa questa espressione. Alcuni li trovate anche nelle dispense come documentazione che può sempre servire. Vediamo una serie di questi modelli in ordine di rilevanza: 1) Partiamo dall’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE. ONU. Ha diverse prese di posizione. Ma, in modo particolare, ha un documento fondamentale che prende il nome di Global Compact. Lo trovate nelle dispense. È un documento di grande importanza etico politica. Un documento che ha raccolto l’adesione di molti grandi imprese che hanno raccolto l’impegno di questi contenuti elencati nel documento. Questo documento fa riferimento a dieci principi che le imprese possono rilevare nelle loro strategie. Principi che riguardano i dritti umani, i diritti dei lavoratori, la lotta alla corruzione, la questione dell’ambiente. Richiamo per memoria l’enunciazione che dà l’ONU dei principi. o Alle imprese è richiesto di promuovere e rispettare i diritti umani universamente riconosciuti nell’ambito delle rispettive sfere di influenza o Alle imprese è richiesto di assicurarsi di non essere neppure indirettamente complici degli abusi dei diritti umani. o Alle imprese è richiesto di sostenere la libertà di associazione dei lavoratori e riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva. o Alle imprese è richiesto di sostenere l’eliminazione di tutte le forme di lavoro di lavoratori a contratto e obbligatorio. o Alle imprese è richiesto di sostenere la effettiva eliminazione del lavoro minorile. o Alle imprese è richiesto di sostenere l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in materia di impiego. o Alle imprese è richiesto di sostenere un approccio preventivo nei confronti delle direttive ambientali. o Alle imprese è richiesto di intraprendere iniziative che promuovono una maggiore responsabilità ambientale. o Alle imprese è richiesto di incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di tecnologie che rispettano l’ambiente. o Le imprese si impegnano a contrattare la corruzione in ogni sua forma, incluse l’estorsione e le tangenti. 2) Altro documento, o modello, da parte dell’OCSE, che ha elaborato delle linee guida per un comportamento responsabile per le imprese multinazionali. 3) Abbiamo poi l’organizzazione internazionale del lavoro, la ILO, che ha elaborato una dichiarazione tripartita, imprese sindacati e mercati, sulle, multinazionali nazionali in tema di impiego, formazione, condizioni di vita e relazioni con i sindacati, 4) Quarto documento di fondamentale importanza, cui farò riferimento nella prossima lezione, è il documento ISO 26 000. 140 5) 6) 7) 8) L’ISO, nel 2010, ha elaborato linee guida che aiutano le imprese a capre cosa è la responsabilità sociale e lo sviluppo sostenibile e a tradurlo in alcune pratiche. Lo approfondiremo Altro modello di fondamentale importanza è il GRI 4, l’versione del 2014, che viene ormai utilizzato da tutte le grandi imprese a livello internazionale. Contiene le linee direttrici per il reporting sociale nell’ottica della sostenibilità. È un documento ponderoso, articolato in principi, criteri, oggetti, indicatori, modalità di funzionamento. Faremo qualche accenno e vedremo come ERG lo ha utilizzato. Altro standard importante è AA 1000 Accauntability 1000. È un modello di riferimento che è stato elaborato da Isea, che contiene norme standard per commentare, migliorare la qualità dei processi contabili e di reporting sociale. Abbiamo poi AA 1000 SES, che contiene norme e standard finalizzati al coinvolgimento degli stakeholder. L’ultimo standard, anche se sono molto di più, lo standard Emad, che è uno strumento che aiuta le imprese a valutare e a meglio comunicare le proprie prerogative ambientali. Sulle prestazioni ambientali C’è anche lo standard INO 14.000 Adesso quello che dovrei iniziare è piuttosto complesso, preferisco farlo domani in modo che seguiamo con calma il ragionamento. Per guadagnare tempo vi distribuisco, e dovete ricordare di portarlo domani, questo schema in cui vi è il modello di stakeholder della Pirelli e del gruppo ERG. Sono in parte diversi, ma sono importanti. Il modello Pirelli ci permette di capire i flussi di valore tra le imprese e i diversi stakeholder; il modello ERG ci permette di capire in che modo ERG coinvolge i diversi stakeholder. LEZIONE 16 3/5/2016 Per quanto riguarda lunedì 9, siamo rimasti in questo modo. La prof Bruzzi termina la lezione di recupero a mezzogiorno. Noi ci troviamo in aula Passadore a mezzogiorno. Noi in modo che abbiamo tutto il tempo per la presentazione del film da parte dei colleghi, sia per vederlo e fare un primo scambio di idee che eventualmente può proseguire il martedì. Coi responsabili del film ci vediamo un po’ prima per la preparazione dell’aula, sia per mettere il DVD che per verificare il numero di sedie. Martedì 10 abbiamo la lezione normale a partire dalle 10 e 30. Ma martedì 10 abbiamo la presentazione del tema Benessere Equo e Sostenibile da parte dei vostri colleghi, 20-30 minuti di presentazione, e la lezione poi prosegue normalmente fino a mezzogiorno. Andiamo poi a Lunedì 16, facciamo l’ora di recupero alle 10.30 Aula Fieschi, lezione di Etica. Alle 12.30, terminiamo evidentemente abbastanza prima per permettervi di rinvigorirvi, per l’incontro con il manager di ERG, alle ore 12.30, in aula Portovecchio. Martedì 17 abbiamo lezione normale, poi dobbiamo vedere quando collocare la lezione 141 di recupero. Ancora 2 lezioni il 23, 24. Bisogna verificare quando e come collocare la seconda lezione di recupero. Se metterla il 16 o allungare un pochino il corso. Tenendo conto che l’’ultima lezione, martedì 24, sarà fatta per capire come possiamo organizzare le date degli esami, stabilendo un minimo di regole comportamentali. Oggi dovevate portare la fotocopia che avevo distribuito ieri. Riprendiamo il nostro percorso, che è partito dall’ETICA D’IMPRESA, per arrivare alla RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA come concretizzazione dei temi che abbiamo sviluppato. Inizio la lezione di oggi, richiamando ancora una volta la definizione preliminare di responsabilità sociale. Ricordate, avevo detto: - La responsabilità dell’impresa consiste nel rispondere “di qualcosa a qualcuno”, sulla base di determinati presupposti valoriali, in maniera strutturata, organizzata, chiarendo l’ambito spaziale, o come si usa dire tecnicamente, il perimetro, e l’orizzonte temporale di riferimento. Una definizione preliminare e di carattere metodologico. Adesso dobbiamo passare a dare sostanza a questa definizione metodologica. Chiarirci in ordine al qualcuno, in ordine al qualcosa, in ordine alle modalità di presentazione e in ordine all’orizzonte temporale e spaziale. Propongo una sequenza di affermazioni: 1) La prima affermazione. L’impresa responsabile, con i suoi aspetti di governace, con la sua organizzazione, con le sue strategie, con i suoi prodotti e servizi, deve proporsi l’obiettivo dello sviluppo in un modello nella consapevolezza dei legami, delle interdipendenze che esistono tra la dimensione economica, dimensione sociale e dimensione ambientale. 2) La seconda affermazione. L’impresa responsabile, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo sanciti a livello internazionale, deve coniugare la creazione di valore per tutti i suoi stakeholder, con il processo nella società in cui è riferita, innalzamento degli stili di vita, e di qualità dell’ambiente. Rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, quindi la pienezza della soggettività morale, la creazione di valore per tutti gli stakeholder. 3) La terza affermazione. Sviluppo dell’impresa e sviluppo della società si integrano nel concetto di sostenibilità. Questi tre passaggi logici, li condensiamo in questa quarta affermazione riepilogativa: 4) La quarta affermazione riepilogativa. L’impresa sostenibile opera in una prospettiva di lungo termine, nella considerazione congiunta delle dimensioni economiche, sociali e ambientali. Dimensioni, dei suoi processi e peformacne, in vista di obiettivi di sviluppo, di protezione dell’ambiente , di equità e di diritti sociali. Dimensioni di orine economico, sociale e ambientale. Cosa intendiamo? Cosa dietro a queste dimensioni? ci sta 142 - Dimensione economica. Significa rispondere alla domanda: che contributo l’impresa fornisce sul piano economico ai suoi stakeholder, al sistema economico locale ed internazionale ? In che misura crea e distribuisce valore economico? Sono tutte questioni che possono essere valutate ponderate e misurate. - Dimensione sociale. Qual è l’impatto delle politiche dell’impresa sul sistema sociale in cui opera. Impatto in tema di lavoro, di diritti dell’uomo, di sicurezza. Impatto in termini di lotta alla corruzione, di contributo alla crescita della cominità locale. Anche qui, aspetti, elementi che possono essere valutati, ponderati, misurati e rappresentati. - Dimensione ambientale. Qual è l’impatto delle politiche dei comportamenti di impresa sui sistemi viventi e non viventi? Aria, acqua. Ecco le tre dimensioni. Con riferimento a queste tre dimensioni, lo standard universamente attribuito alle diverse imprese, il GRI 4, questo standard che viene attribuito da tutte le principali imprese compresa la ERG, indica in maniera molto dettagliata gli elementi che devono essere presi in considerazione dall’impresa nella sua rendicontazione sociale. Vi faccio un esempio, così per memoria, prendendolo da questo standard. C’è la tappa riepilogativa che dice: categorie e assetti nelle linee di rendicontazione. Le categorie sono economia, ambiente e società. Per la categoria sociale, con le esemplificazioni, lo standard la suddivide in tre sotto categorie: pratiche, in tema di impiego e di lavoro decente, diritti dell’uomo, questioni della società e responsabilità legate ai prodotti. Per ciascuna di queste sottocategorie abbiamo un lungo elenco di elementi che devono essere presi in considerazione. Vi faccio solo un esempio di cosa lo standard mette sotto la voce: pratiche in materia di lavoro. Impiego, relazioni tra impresa e dipendenti, salute e sicurezza, formazione ed educazione, diversità e uguaglianza delle opportunità. Uguaglianza nelle remunerazioni tra uomini e donne. Situazioni del lavoro nelle imprese fornitrici e sub fornitrici, meccanismi di regolamento delle lamentele relativi alle pratiche. C’è un massimo di dettaglio che deve essere rispettato dall’impresa e in modo che sia certificato. Lavoro complesso per quanto riguarda le imprese che devono rispondere a questo standard. Continuiamo, nella sequenza delle affermazioni che ci danno concretezza alla responsabilità sociale. 5) La quinta affermazione. L’impresa sostenibile e responsabile, persegue un modello gestionale improntato al dialogo, alla creazione di relazioni stabili con gli stakeholder, con il loro coinvolgimento, il tutto finalizzato alla massimizzazione, meglio sarebbe dire ottimizzazione del flusso di valore dall’impresa verso gli stakeholder, ma anche dagli stakeholder verso l’impresa. E allora, per capire e meglio approfondire ed esemplificare questa affermazione, ho tratto dal bilancio di sostenibilità del gruppo Pirelli, questo schema riepilogativo che è significativo. Questo schema Pirelli l’ho integrato con quanto si trova nel bilancio di sostenibilità del Gruppo ERG, dove si parla di aspettative e modalità di ingagement 143 degli stakeholder. Vediamo concretamente come le affermazioni fatte vengono tradotte operativamente dall’impresa. Nel nostro caso, da due imprese: Pirelli ed ERG. Vediamo lo schema Pirelli, come leggerlo. I Primo. Il punto di partenza, il fulcro di questa specie di ruota è valore sostenibile. La centralità della sostenibilità come modo di integrazione di sviluppo dell’impresa e della società. Quindi al centro: valore sostenibile. Secondo. Questo valore sostenibile si rapporta alle tre dimensioni tra di loro interdipendenti: la dimensione economica, la dimensione sociale, la dimensione ambientale. Terzo. Pirelli ha individuato i suoi stakheolder significativi. Li avrà individuati sulla base di una serie di criteri, di parametri e valutazioni che si trovano nell’argomentazione. In questo schema abbiamo l’elencazione degli stakheolder importanti per Pirelli e anche le modalità di coinvolgimento. Partiamo dall’alto, e seguiamo il senso orario. - Azionisti e comunità finanziarie. Gli attori del coinvolgimento, il dialogo, le performance economiche e finanziarie, la trasparenza e il governo della società. Sono le questioni in cui si gioca la responsabilità dell’impresa nei confronti dei suoi azionisti e più in generale della società. - Abbiamo poi lo stakeholder clienti. Pirelli dialoga con i clienti. Gli propone obiettivi di eccellenza dei prodotti. Pensiamo ai penumatici. La affidabilità, la piena soddisfazione dei clienti. Su questa base si crea il dialogo. - I collaboratori. Dipendenti in modo particolare. Dialogo. Giusta remunerazione. Attrazione dello sviluppo e intrattenimento dei talenti, delle capacità. Attenzione alla salute, sicurezza. - Pirelli è radicata nel territorio è radicata in molte città e paesi. Rapporto con le comunità locali. Dialogo, creazione di lavoro nei territori in cui opera. Contributo coi diritti umani, e pratiche a basso impatto ambientale. - Pubblica integrazione. Dialogo, coerenza, cittadinanza globale e collaborazione. - Poi, essendo Pirelli una multinazionale a rilevanza globale, è chiaro che deve dedicare attenzione alle dimensioni internazionali e alle organizzazioni non governative che operano coi diversi paesi. - Fornitori. Dialogo con i fornitori. Dialogo. - Sostenibilità di tutta la catena. La responsabilità di Pirelli va al di là degli individui per coinvolgere anche i suoi fornitori. Concorrenti. Stakeholder. L’ambiente ha efficienza di prodotto e di processo. Approccio gestionale. Infine, lo schema, molto sintetico e telegrafico, dei flussi di valore che vanno dall’impresa verso lo stakheolder ma anche lo stakeholder verso l’impresa. Ne leggiamo uno, poi gli altri sono comprensibili. Azionisti e comunità finanziarie. Flusso di valore che la Pirelli va verso gli azionisti sono i dividendi, il capital gain, e flusso che dagli stakeholder verso Pirelli. Lo stesso con tutti gli altri stakehodler, con 144 l’affermazione di principio occorre massimizzare il flusso di valore. Sarebbe meglio dire ottimizzare il valore. Questo schema è significativo nella sua rappresentazione. Lo integriamo, così ci colleghiamo anche con quello che dirà il manager, con lo schema ERG, in cui vengono messe in evidenza le aspettative e le modalità. Anche qui ERG ha fatto la sua scelta per quanto riguarda gli stakeholder, quelli che ritiene importante, che devono essere coinvolti e concorrono alla creazione di valore. In grosso modo coincidono col gruppo Pirelli. Ci sono le Itituzioni dettagliate UE, governi, pubblici ministeri, pubblica amministrazioni, gli azionisti. La comunità finanziaria, le persone organizzazioni e sindacati. Le comunità locali e le associazioni di vario genere. È interessante che ERG metta generazioni future, scuola e università. Erg mette anche Media. Per una impresa ex petrolifera un buon rapporto con i media è abbastanza importante. Fornitori, partner. Per ciascuno di questi stakeholder ERG evidenzia le aspettative Leggiamone una, anche qui. Azionisti. Creazione di valore, aspettativa ovviamente. L’azionista ha anche una aspettativa in ordine alla qualità della goverance di questo gruppo, alla capacità del gruppo di gestire i rischi. L’azionista è anche interessato alla sua rappresentanza in assemblea. La rappresentatività dell’elettorato. L’azionista è interessato alla trasparenza, alla tempestività delle comunicazioni. Questo ERG lo evidenzia per ciascun stakeholder. Poi, di certo interesse, il tentativo che verrà illustrato dal manager ERG che si fa accompagnare dalla responsabile della comunicazione. Per quanto riguarda la prima voce Istituzioni, incontri dedicati in ambiti di lavoro, in cui le istituzioni vengono coinvolte. Azionisti. Web act. Quindi il coinvolgimento via web, può essere partecipazione. Comunicati stampa, eventi legati alla presentazione del piano industriale. Per le persone e i lavoratori abilità e strumenti di formazione, valutazione, comunicazione interna, eventi nel corso dell’anno, e costruzione di punti di lavoro e di svago. Importante è che queste cose non sono solo sulla carta. Dobbiamo chiedere al manager, è una dichiarazione di principi o c’è effettivamente concretezza? Ciascuna di queste cose scritte devono essere documentate e misurate e personalizzate. Ora proseguiamo in questo percorso. Iniziamo il tema di STAKEHOLDER e TEMATICHE DI RESPOSNABILTA’ SOCIALE. Le abbiamo viste sia nel caso Pirelli che ERG. Gli stakeholder e gli elementi con cui si concretizza la responsabilità dell’impresa nelle dimensioni economiche sociali ed ambientali. Allora, di fronte a questo, si parla di mappatura degli stakeholder e mappatura delle tematiche di responsabilità sociale. Molti bilanci di responsabilità sociale presentano queste mappature. Qual è il senso di questo? Mappatura degli stakehodler. Affermazione che abbiamo fatto. Non tutti gli stakeholder sono uguali nell’impresa. Non hanno tutti la stessa importanza, e non tutti devono essere trattati allo stesso modo. 145 Sulla base di questa ovvia constatazione, si può costruire una matrice mettendo in ascissa l’importanza che l’impresa attribuisce a quello specifico stakeholder. L’importanza che l’impresa attribuisce a quello stakeholder è funzione della forza contrattuale dello stakeholder, è in funzione della sua capacità di funzionamento, è in funzione dell’impatto che lo stakeholder può avere sul fatturato, sulla redditività. Potremmo anche utilizzare gli attribuiti che abbiamo visto. L’importanza dello stakeholder in funzione del potere, della legittimità e dell’urgenza. L’importanza che l’impresa attribuisce allo stakeholder può andare da un minimo ad un massimo. In ordinata cosa mettiamo? Mettiamo l’adeguatezza delle risposte che l’impresa dà alle esigenze dello stakeholder. Lo stakeholder è per me importante? Come rispondo? Rispondo in maniera adeguata. È importante ma la risposta non è del tutto adeguata: bisogna migliorare. È chiara la logica deduttiva. In ascissa l’importanza dello stakeholder, in ordinata l’adeguatezza, la qualità della risposta che l’impresa dà allo stakeholder. Allora la costruzione della matrice è la piuttosto semplice. In ascissa abbiamo detto che mettiamo importanza. Immaginiamo che va da zero a cinque. Possiamo graduarla. Lo stesso facciamo per l’adeguatezza della qualità della risposta. Da zero a 5 e graduato. Sulla base dei dati disponibili e delle valutazioni degli stakeholder, l’impresa costruisce questa matrice. - Immaginiamo stakeholder clienti. Andando a buon senso possiamo dire: i clienti sono lo stakeholder di grande importanza, di grande rilevanza della nostra impresa. Diamo un valore 4. Immaginiamo anche che mettendo il cliente, nei confronti dei clienti diamo delle risposte adeguate. - Facciamo riferimento agli enti culturali, teatro, la scuola, il circolo e così via. E’ chiaro che questi per l’impresa non hanno una grande importanza. Però il contributo che viene dato per quell’associazione è importante, gli permette di vivere. Immaginiamo una cosa di questo genere. - Azionisti. Gli azionisti per l’impresa sono importanti. Li mettiamo qui. Ma può darsi che gli azionisti si lamentino per il poco dividendo, o per quotazione di borsa non sono particolarmente elevate. - Facciamo ancora una voce. Concorrenza. Riteniamo che non vi siano grandi problemi né da una parte né dall’altra. Per cui non ce ne dobbiamo molto occupare. Adesso mettiamo i numeri romani su ciascun quadrante. Costruiamo i quattro quadranti. Quadrante quarto. Quello degli azionisti. Grande importanza ma risposta non adeguata. Allora quello che si individua nel quarto quadrante richiede politiche di miglioramento. Andiamo sul secondo quadrante. Clienti. Per quanto riguarda i clienti sono importanti ma la risposta è anche adeguata. Possiamo dire politica di mantenimento. Manteniamo questa situazione di equilibrio che è diviso tra l’importanza e la soddisfazione. 146 C’è ancora la terza: concorrenza. Poca importanza, poca adeguatezza. Anche qui potremmo dire mantenimento, è una produzione di equilibro seppure di basso profilo, ma equilibrio è. Quadrante 1. L’importanza per noi è poca, e allora possiamo tagliare ancora soldi e tempo, per l’impresa tanto di guadagnato Il contributo ai beni culturali. Questo è un esempio di come sono usate queste matrici. In Economia e Gestione delle Imprese avete visto il rapporto con i fornitori. Concorrenza interna, e queste questioni. Questa è la prima matrice: non tutti gli stakeholder sono uguali. È necessario mappare gli stakheolder. Questa è la matrice di adeguatezza. La matrice di adeguatezza non c’è nel bilancio ERG e neppure in quello Pirelli. Vediamo la seconda matrice. Anche qui affermazione di partenza: non tutte le tematiche che caratterizzano la dimensione economica, sociale e culturale, hanno la stessa importanza per l’impresa e per i diversi stakeholder. L’analisi della concretizzazione di questa affermazione, viene chiamata: Analisi di materialità. La prima era la matrice adeguatezza. Questa è analisi di materialità cui corrisponde la matrice di materialità. Sono termini internazionali. Cerchiamo di capire la logica. Stiamo abbastanza in superficie, perché ci verrà presentata col caso ERG. Cerchiamo di capirne la logica. Ciascuna tematica, ovvero ciascun elemento, si chiamano elementi le diverse voci della responsabilità, può essere valutato, ponderato, secondo due prospettive: 1) Prima prospettiva. Rilevanza che il tema, l’elemento riveste per l’impresa. Rilevanza perché ha un impatto sulla redditività, sulla reputazione, sul vantaggio competitivo. 2) Seconda prospettiva. Riguarda la rilevanza che quel tema, quell’elemento specifico riveste per gli stakeholder e che, conseguentemente, impatta sul giudizio che lo stakheolder dà dell’impresa, sull’opinione che lo stakeholder si fa dell’impresa. In funzione dell’idea che lo stakeholder ha dell’impresa, anche i comportamenti possono essere modificati. Queste due prospettive che, sinteticamente potrebbero essere rilevanza in termini di aspettative esterne, anche queste possono essere rappresentate in forma matriciale. Matrice di materialità, dove in ascissa mettiamo la rilevanza che l’elemento ha per l’azienda. Rilevanza che va da un minimo ad un massimo. In ordinata la rilevanza che l’elemento ha per lo stakeholder. L’impatto che lo stakeholder dà dell’impresa. E la rilevanza da un minimo verso un massimo. Nel bilancio di sostenibilità ERG, la matrice di materialità viene rappresentata in termini consolidati, dove vengono rappresentati l’insieme degli elementi della dimensione economica, sociale e della dimensione ambientale. Detto così non si capisce niente, vi do la fotocopia della matrice di materialità di ERG, che la spiegherà in dettaglio il nostro amico. [Distribuzione della fotocopia] È la matrice di sintesi dove sono stati considerati tutti gli elementi. 147 Vediamo la graduatoria. Gli elementi di carattere economico, indicate in blu, sono la governance, responsabilità del business, gestione dei rischi, hanno un massimo di rilevanza per ERG e anche un massimo di rilevanza per gli stakeholder. Per quanto riguarda la dimensione ambientale ha rilevanza notevole per gli stakeholder, meno per ERG. Presumibilmente, passando dal petrolio alle fonti alternative all’eolico, ritiene che le problematiche ambientali siano meno rilevanti di una volta. La tematica sociale, in particolare il rapporto con il lavoro e dipendenti è di pari importanza per ERG, e si può dire che gli stakeholder non sono del tutto soddisfatti. Proseguiamo con u n completamento che fa riferimento a come questa tematica viene presentata, approfondita dallo standard, dalla norma internazionale ISO 26000. Anche questa ha un rilievo internazionale. L’ISO 26000 si propone l’obiettivo di aiutare le imprese a comportarsi in maniera socialmente responsabile nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Con riferimento a ciò, l’ISO 26 mila fornisce un quadro dettagliato di obiettivi che devono essere seguiti, tematiche, dialoghi e modalità di applicazione. Nelle dispense trovate un estratto di l’ISO 26 mila. È estremamente importante. Qui vi do l’essenziale. Essenziali in termini di principi e tematiche fondamentali per la rendicontazione. Principi che le imprese devono rispettare per mettere in pratica, e dare concretezza alla responsabilità sociale. I principi che sono evidenziati e che le imprese devono rispettare sono sette: 1) Primo principio. È il principio dell’accountability. L’impresa deve rendere conto degli impatti delle sue politiche, delle conseguenze e deve farlo in maniera strutturata ed organizzata. 2) Secondo principio. La trasparenza. Le informazioni che l’impresa dà devono essere esaurienti, immediatamente disponibili, accessibili, comprensibili da tutti gli stakeholder. 3) Terzo principio. Comportamento etico. Il comportamento deve essere coerente e verificabile con riferimento a criteri di onestà, equità e integrità. 4) Quarto principio. Rispetto delle esigenze, degli interessi degli stakeholder. Gli stakeholder, ribadisce ISO 26 mila, devono essere identificati, si devono valutare le loro esigenze, si devono instaurare delle relazioni tra il bene dell’impresa e il bene dello stakeholder. 5) Quinto principio. Rispetto del principio di legalità. La legge deve essere sempre rispettata. 6) Sesto principio. Rispetto delle norme internazionali di comportamento. 7) Settimo principio. Rispetto dei diritti umani. Il riferimento è alla carta internazionale dei diritti umani. Diritti universali che devono essere applicati in modo assoluto in tutti i paesi, in tutte le culture. Soprattutto l’impresa non può trarre vantaggio dalla non applicazione di questi principi. 148 Sono i 7 principi che l’ISO 26 mila pone a fondamento della responsabilità sociale o della sostenibilità. Poi ISO elenca le tematiche su cui si gioca la responsabilità sociale dell’impresa. Non fa tanto la distinzione fra dimensioni economiche, sociali, ed ambientali, ma fa le elencazioni in cui le dimensioni sono ricomprese. Le tematiche che l’ISO 26 mila ritiene essenziali ai fini di dare contenuto alla responsabilità sociale, anche queste sono sette. 1) Prima tematica da rendicontare. La governance nell’impresa. La governace è il fattore cruciale per consentire all’impresa di assumersi le proprie responsabilità, in ordine agli effetti delle sue scelte, in ordine al rapporto con gli stakeholder, con la società. Il punto di partenza da rendicontare è la struttura della governce. 2) Seconda tematica da rendicontare. Diritti umani. Diritti umani di natura civile, politica, economica. Quindi il rispetto dei diritti umani è la prima responsabilità dell’impresa. Responsabilità che si applica sia nei confini dell’impresa, sia nell’ambito della sua sfera di influenza, in particolare per la catena dei fornitori Non puoi avvalerti di fornitori che non rispettano i diritti umani. 3) Terza tematica da rendicontare. Rapporti e condizioni di lavoro. Rapporti e condizioni di lavoro dal momento dell’assunzione alla cessazione dell’attività. Rapporti di lavoro dell’impresa e nelle imprese che sono con essa collegati. Col presupposto che il lavoro non è una merce. Dettagliatamente Deve essere rendicontata la qualità del lavoro, la protezione sociale, il dialogo sociale, la salute, la sicurezza, la formazione, lo sviluppo professionale. 4) Quarta tematica da rendicontare. L’ambiente. Quindi, l’impresa cosa fa concretamente per la prevenzione dell’inquinamento, per l’uso sostenibile delle risorse, per la limitazione dei cambiamenti climatici. per la protezione della biodiversità. Tutto deve essere misurato e rendicontato. 5) Quinta tematica da rendicontare. Corrette pratiche gestionali. Una condotta etica dell’impresa nei rapporti con le altre imprese, nei rapporti con le istituzioni. Quindi, in particolare, l’accento viene posto sulla lotta alla corruzione e sul coinvolgimento politico responsabile. Trasparenza dei rapporti, evitando forme di intimidazione e di coercizione. Quindi concorrenza leale, promozione della responsabilità sociale in tutte le fasi della catena del valore, rispetto dei diritti di proprietà. 6) Sesta tematica da rendicontare. Aspetti specifici relativi ai consumatori. Quindi ISO 26 mila fa riferimento alle linee guida delle nazioni unite sulla tutela dei consumatori. Aspetti specifici relativi ai consumatori. Abbiamo la necessità di comunicazioni corrette. La protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, il consumo sostenibile. Le modalità con cui vengono gestiti i conflitti con consumatori. I reclami: soddisfatti o rimborsati. La protezione dei dati e della riservatezza dei consumatori. L’educazione dei consumatori. 7) Settima tematica da considerare. Il coinvolgimento e lo sviluppo delle comunità. Tutte le azioni sono volte a promuovere il benessere economico, sociale, concretezza ai rapporti di responsabilità sociale. 149 È uno schema particolarmente dettagliato, incisivo, che dàe senso e concretezza ai discorsi della responsabilità. Vedremo successivamente i costi e i benefici della responsabilità sociale e ci soffermeremo, in modo particolare, sulla presentazione di Porter della Responsabilità sociale. LEZIONE 17 9/5/2016 Proiezione film: Il Gioiellino LEZIONE 18 10/5/2016 La giornata di oggi è intensa e movimentata. Il programma di oggi è il seguente. Anzitutto alcune questioni organizzative da qui a fine lezione. LEZIONI E RECUPERI - Lunedì prossimo, lunedì 16 recuperiamo la prima lezione persa alle ore 10.30 nell’aula Fieschi. Presento l’argomento che si troverà nel Tesario: costi e benefici della responsabilità sociale. - Lunedì prossimo alle 12.30, in aula Portovecchio => Rapporto di sostenibilità di ERG, che è una tematica estremamente importante, completa e arricchisce ciò che abbiamo fatto a lezione. - Abbiamo poi la lezione di martedì 17. - Lunedì 23, facciamo il secondo recupero (quello del 25 aprile), alle 10.30 in aula Fieschi.0 - Lunedì 23, alle 12.30 lezione in Portovecchio. - Martedì 24 è la lezione conclusiva del corso, nell’ambito della quale verifichiamo le questioni pratiche per l’esame dei frequentanti. L’esame dei frequentanti: Tesario, quaderno e ciò che si è fatto durante il corso. L’esame è un colloquio, face to face. Nell’ipotesi in cui alcuni hanno lavorato insieme, hanno preparato una ricerca, o una riflessione insieme, possiamo fare l’esame che è sempre su base individuale, facendo il discorso. Adesso, gli argomenti di queste ultime lezioni, che in buona parte sono concentrate sul vostro protagonismo. IMPEGNI E LAVORI DA QUI A FINE CORSO - Oggi, 15 minuti per completare l’argomento della volta scorsa. Non ero riuscito a terminarlo, sono poche cose e abbiamo concluso il tema responsabilità sociale. - Il gruppo che ha presentato ieri il Gioiellino continuerà e provocheranno il dibattito e la partecipazione alle tematiche e ai comenti del film. Subito dopo c’è il gruppo del benessere equo sostenibile. Poi dobbiamo considerare due cose. 150 - Ieri i vostri colleghi hanno scovato un filmato interessante di Michael Porter, che presenta il suo concetto base di Valore Condiviso. Presenta la sua filosofia del valore condiviso e gli elementi trainante di un buon capitalismo. Un punto importante e conclusivo del corso è l’impostazione di Porter in tema di valore condiviso. Interessante è sentire direttamente Porter, che presenta gli aspetti un po’ macro del suo ragionamento. Si tratta di vedere se lo vediamo o martedì o lunedì 23. L’altra è l’indagine che il gruppo han fatto presso i docenti, tutti hanno risposto alla domanda cosa è per me l’impresa. Avete raccolto un po’ di materiale e vediamo cosa viene fuori. Molti ci hanno pensato, e han fatto a mente fredda. Mentre bello sarebbe stato che rispondessero immediatamente. Se io ho ancora un po’ di tempo avrei un argomento sulla responsabilità del Manager, ma si trova nelle dispense. Pochissimi minuti da parte mia per chiudere. Abbiamo svolto tutta una serie di considerazioni sulla responsabilità sociale. La parte conclusiva è questa. La responsabilità sociale va perseguita in maniera intenzionale, in maniera programmata e in maniera strutturale. In quest’ottica, la responsabilità sociale deve essere vista come un processo, e anche come un sistema. Quindi la responsabilità sociale come processo e come sistema. Quali sono gli elementi, le fasi di questo processo, di questo sistema? 1) Primo momento, prima dimensione. La chiamiamo così: esplicitazione della visione etica dell’impresa. Questo è il punto di partenza. L’impresa deve dirci in cosa crede. Deve comunicarci i suoi valori. Tutto deve essere coerente. Il punto di partenza è capire la visione e l’etica dell’impresa, i suoi principi, i suoi valori, a suo tempo avevamo fatto l’esempio del gruppo Brembo, un lungo elenco di valori e principi. Un momento fondamentale è questo, il cuore del processo: le cose in cui l’impresa crede. 2) Secondo momento, seconda dimensione. L’impresa deve dire quali sono i suoi stakeholder, i suoi interlocutori. Che rapporti ci sono tra lei e gli stakeholder, quali sono i rapporti di reciproca influenza e, anche questo, abbiamo visto, sia il caso Pirelli che ha indicato una sequenza di stakeholder, che ha evidenziato i flussi di valore da massimizzare e, abbiamo visto anche quali sono per Erg gli stakeholder fondamentali, li ha indicati. Per ciascuno ha indicato le esigenze, come si fa. 3) Terzo momento, terza dimensione. La necessità di mettere un po’ di nero su bianco in maniera precisa, di redigere un codice etico. Alcune imprese lo chiamano anche codice di condotta, ma il termine più appropriato è codice etico. In tutte le grandi imprese, è un documento di una 20ina 30ina di pagine, è corposo. In quanto, nel codice etico, i principi, i valori, vengono combinati con i comportamenti che si devono tenere. Principi, comportamenti per ciascuna area critica dell’impresa. Rapporti coi clienti, con la stampa, coi fornitori. Codice etico nella misura in cui è reso pubblico assume anche una valenza giuridica. Se lo hai scritto lo devi rispettare. L’impresa si deve organizzare affinché questo codice etico venga rispettato. 151 Cosa c’è nel codice etico? Vi leggo l’indice del codice etico del gruppo Etico di ERG, si trova sul sito. o Primo elemento. Il messaggio del presidente del gruppo che sintetizza l’impegno etico del gruppo stesso. Una prima sezione in cui vengono enucleati i dati, i principi generali, i valori su cui il gruppo ERG si fonda. o Secondo elemento. Una seconda sezione prende il nome di norme di comportamento. Nel caso ERG sono così articolate. ▪ Rapporti con gli azionisti e comunità finanziaria. ▪ Norme di comportamento nei rapporti con i collaboratori. ▪ Norme di comportamento nei rapporti con i clienti. ▪ Norme di comportamento nei rapporti con i fornitori. ▪ Rapporti con la collettività. ▪ Altre norme e casi particolari. Per ciascuno di questi paragrafi la normativa è molto dettagliata, non è, nel caso ERG, eccellenza. È possibile verificare se queste norme di comportamento sono state rispettate. o Terzo elemento, prende il nome di meccanismi di attuazione. In che modo il codice etico può essere attuato, con strumenti interni all’azienda, con riferimento a norme di legge, e così via. Questo è lo schema che si trova in tutti i codici etici. Visione etica, stakeholder, codici etici. o Quarto elemento. Discorso formativo. La responsabilità sociale non si improvvisa. Occorre avere le competenze per gestire questo sistema. Allora la necessità di una formazione, di una educazione etica del manager, del personale. La necessità di possedere competenze per capire, per interpretare e valutare la natura etica dei problemi sul tappeto. Competenze per valutare gli interessi in gioco. Il problema formativo è di estrema importanza. o Quinto elemento. La progettazione di sistemi organizzativi di governo, di attuazione, di controllo della responsabilità sociale. L’impresa è variamente strutturata. Possono esserci comitati etici che nascono all’interno del CDA, che devono vigilare sul rispetto del codice etico, delle condotte. Possono esserci dei meccanismi tecnici di valutazione, dei meccanismi di incentivazione a rispetto delle norme. Si può far riferimento a sistemi di auditing etico. In tutto questo ci sono anche i fatti legislativi. In modo particolare il decreto 231 che pone la responsabilità non solo in capo alle persone ma anche in capo all’impresa. L’impresa deve dimostrare che ha attuato norme e meccanismi per prevenire comportamenti illeciti. o Sesto elemento. Rendicontazione sociale. Occorre dare conto di tutto questo. Lo strumento è il bilancio sociale o altre forme di reporting che hanno l’obiettivo di valutare, di misurare il grado di coerenza tra principi e comportamenti in relazione ai vari stakeholder. Questo lo vediamo in 152 dettaglio lunedì, però richiamo l’indice ERG. ERG non lo chiama bilancio sociale ma rapporto di sostenibilità, lo stesso fa la Pirelli. Altri continuano a parlare di bilancio sociale. La struttura del bilancio di sostenibilità di ERG riprende il format di tutte le società. ▪ Una premessa, in cui viene presentato il profilo del gruppo. È fondamentale dare conto di come è strutturata la governance del gruppo, far capire la governance del gruppo. I principi di questa goverance, l’articolazione della governance. Quindi profilo e governance. ▪ La misurazione della responsabilità nelle tre dimensioni che abbiamo visto: dimensione economica, sociale ed ambientale. Prima: responsabilità economica. Parte dalla misura fondamentale: il valore economico generato e distribuito. Poi l’economia del gruppo, le varie performance con tutta una serie di indicatori. Seconda. Responsabilità ambientale. Cambiamenti climatici, C02, dissesto idrologico, utilizzo delle acque. Ci sono degli indicatori precisi, in modo che la prestazione e la performance è misurata e comparata con gli anni precedenti. Terza. Responsabilità sociale. Si fa riferimento alla dimensione interna della responsabilità sociale. I rapporti col personale, relazioni industriali, meccanismo di ricompensa, capitale umano, politiche di reclutamento e apprendimento, e dimensione esterna della responsabilità sociale. Vengono presentate le iniziative di ERG sul territorio. Si fa riferimento ad una fondazione, Edoardo Garrone, che svolge attività culturale, scientifica. ERG dovrebbe mandarci la copia del rapporto di sostenibilità. o Settimo elemento. Ultima fase di questo processo è quella della verifica e certificazione esterna, le performance economiche sociali ed ambientali da parte di meccanismi indipendenti, che certificano il processo di responsabilità sociale perseguito dall’azienda. Un’ultimissima notazione, ERG e altre società fanno specificatamente il Rapporto di Sostenibilità o Bilancio Sociale. Molte altre società hanno scelto la strada del cosiddetto Integrated Reporting, un unico ampio documento dove vengono presentate le dimensioni finanziarie contabili e i report sociali ed ambientali di performance. ERG continua a mantenerli distinti, Pirelli ha scelto la strada dell’Integrated Reporting, sono all’interno di un’unica domanda. 1) Discussione sul film: Il Gioiellino => Vedi fotocopie [Veronica Cagno, Francesco Raia] 2) Discussione su: BES, Benessere Equo e Sostenibile => Vedi fotocopie [Bertirotti, Poggio, Sibilla, Testa] 153 LEZIONE 19 Innanzitutto un po’ di questioni organizzative importanti. 16/5/2016 - Prima questione. Distribuzione del tesario che inserirò su aulaweb, e ho indicato anche gli argomenti delle prossime - Seconda questione. Modifica rispetto a quelle che abbiamo detto. Recupero della seconda ora relativa al 25 aprile. Io vi avevo indicato lunedì prossimo, dieci e trenta. Ma per una questione burocratica, una lezione del mio corso la deve fare il dottor Giovanni Lombardo che negli anni passati collaborava con questo corso, era cultore della materia, ora è ricercatore ad ingegneria. Per questioni burocratiche una lezione la deve fare lui. La può fare questo venerdì, dalle 10.30 alle 12.30 in Metelino, lezione dal titolo: Responsabilità sociale e supply chain della Bombardier. - Terza questione. Decideremo Martedì l’ordine di grandezza della distribuzione degli esami. - Quarta questione. Alle 12.30 abbiamo l’incontro col dottor Pirani, che si porta anche il manager responsabile della comunicazione. E ci ha mandato in anteprima il rapporto Sostenibilità del 2015. - Quinta questione. Martedì 17 iniziamo l’argomento Porter, valore condiviso e responsabilità sociale. E’ una tematica particolarmente significativa. Iniziamo puntuali alle 10.30 fino alle 11.20. Poi vediamo due filmati. Il primo sul valore condiviso di Porter. Probabilmente io non finirò tutto Porter, lo riprendiamo il lunedì successivo. Il secondo filmato, Etica e profitto, sette minuti. - Sesta questione. Lunedì la presentazione delle interviste presso i docenti: “Che cosa è per me l’impresa?” L’argomento che affrontiamo è: VALUTAZIONE/ANALISI ECONOMICA DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE. Sinteticamente l’affermazione è questa: la responsabilità sociale ha costi certi. Costi nel fare responsabilità sociale. A fronte di costi certi ci sono grandi vantaggi. Vantaggi considerevoli ma potenziali. Costi certi, vantaggi notevoli e potenziali. Esaminiamo distintamente costi certi e vantaggio potenziali. Costi certi. È chiaro che migliorare le condizioni di lavoro, la sicurezza, porre in essere iniziative di conciliazione lavoro famiglia, creare un asilo nido in azienda, tutto questo comporta esborsi finanziari. Ancora, attuare processi produttivi rispettosi dell’ambiente, processi produttivi che minimizzano gli scarti, le emissioni inquinanti, tutto questo richiede degli investimenti addizionali. Ancora l’attenzione alla comunità di riferimento, iniziative filantropiche, sponsorizzazioni, erogazioni liberali, tutto questo comporta esborsi finanziari. Ancora, preoccuparsi del rispetto dei diritti umani lungo tutta la catena della fornitura, lungo tutta la supply chain, può comportare la rinuncia all’acquisto di 154 componenti di materie prime con il prezzo più basso ma forniti da aziende che non rispettano i diritti umani, che non rispettano criteri di dignità, criteri di protezione ambientale. Pensate alla logica degli appalti e subappaalti. Se nella politica di appalti e subappalti i si preoccupa di scegliere aziende con particolari criteri, rispettosi dell’ambiente e dei diritti umani è chiaro che il costo degli appalti aumenta rispetto all’alternativa di rivolgersi ad aziende che lavorano in nero, che non rispettano l’ambiente, e così via. Benefici potenziali, ma benefici che possono compensare largamente i costi della responsabilità sociale. Un elenco di alcuni benefici potenziali. 1) Primo ordine di benefici potenziali. Lo colleghiamo al concetto voto con il portafoglio. Cosa ci sta dietro questa affermazione di sintesi? Ci sta che le imprese che fanno responsabilità sociale possono essere premiate e scelte dai consumatori a loro volta responsabili. Ci sono delle indagini che sostengono, comprovano questa affermazione. Queste indagini ci che aumenta la quota di consumatori che premiano prodotti socialmente responsabili. Consumatori che sono disponibili anche a pagare un prezzo più alto. Nel senso che c’è una gratificazione non pecuniaria che compensa il sacrificio monetario. I prodotti equo solidali il caffè, il cacao, le banane, il cioccolato, costano qualcosa di più rispetto ai prodotti tradizionali, eppure registrano un incremento di fatturato. Questo si collega all’affermazione che avevo già fatto che i consumatori, che sono l’altra parte di mercato, la domanda, se organizzati hanno un potere enorme. Con il voto del loro portafoglio possono o potrebbero premiare o sanzionare le imprese. L’espressione voto col portafoglio è stata introdotta nel dibattito italiano da un economista di Roma, piuttosto importante, Leonardo Becchetti, è anche articolista su molti quotidiani. 2) Un secondo ordine di benefici potenziali. Essere socialmente responsabili è un segnale circa la qualità del prodotto. Mi spiego meglio. C’è indubbiamente una asimmetria informativa tra le imprese e i consumatori. Ma, se l’impresa è socialmente responsabile e accreditata come tale, il consumatore può ritenere che la qualità dei prodotti di questa impresa sia elevata, e quindi disponibile anche a pagare un prezzo più elevato. Cioè se il consumatore ha fiducia nell’impresa, questa fiducia si estende ai prodotti e servizi che l’impresa fornisce. 3) Terzo ordine di benefici potenziali benefico, in termini di rischi. La responsabilità sociale riduce i comportamenti a rischio. La responsabilità sociale migliora significativamente le relazioni impresa stakeholder. Cosa vuol dire? Che la responsabilità sociale ottimizza la qualità delle relazioni. Riduce gli inconvenienti, le frizioni tra impresa e stakeholder. Ci sono dati tratti dall’esperienza americana. Qualche anno fa è stato valutato che le imprese americane quotate in borsa hanno speso 9 miliardi di dollari per atteggiamenti in controversie giudiziarie con i propri stakeholder. Se i rapporti, le relazioni impresa stakeholder sono impostati da stima reciproca, apertura 155 reciproca, è chiaro che questi comportamenti a rischio si riducono notevolmente e si riducono i costi connessi all’indennizzo di divergenze intervenute tra l’impresa e gli stakeholder. 4) Quarto ordine di benefici potenziali. L’innovazione ambientale. Le imprese che hanno investito da tempo in processi produttivi rispettosi dell’ambiente certo, per farlo hanno speso, hanno investito, però hanno anche acquisito delle conoscenze, competenze in merito alla tutela ambientale. L’investimento fatto in processi produttivi rispettosi dell’ambiente, ha un suo ritorno. Ritorno in termini di minori scarti, ha un ritorno in termini di minori consumi energetici. L’impresa che si presenta con la comunicazione come impresa equa e sostenibile assume anche un vantaggio competitivo. 5) Quinto ordine di benefici potenziali. L’aumento della produttività dei lavoratori dipendenti. Produttività intesa in senso quantitativo e qualitativo. In questo proposito gli economisti parlano di: o Teoria del salario di efficienza. La teoria dice: il lavoratore meglio pagato ha maggiore riluttanza a non impegnarsi, a non collaborare. E ancora, il lavoratore meglio pagato ha minor incentivo ad andare via dall’azienda, a trasferire altrove il proprio patrimonio di conoscenze e di competenze. o Sempre nell’ambito aumento della produttività del lavoro, l’altra teoria proposta dagli economisti è la teoria delle motivazioni intrinseche. Dice: se c’è consonanza tra i valori dell’impresa e i valori dei dipendenti, questo fatto fa sì che la produttività dei lavori aumenti, aumenti la capacità innovativa, creativa dei dipendenti. Questo assume oggi un’importanza particolare in quello che viene chiamato welfare aziendale. L’impresa che si propone di conciliare creazione di valore economico e creazione di valore sociale, allarga il proprio orizzonte e soprattutto è in grado di conquistare il cuore e le menti dei suoi dipendenti, aumentandone la produttività. 6) Sesto ordine di benefici potenziali. Rappresentato da incentivi e agevolazioni previste dalle leggi. Leggi nazionali, ma soprattutto leggi regionali prevedono, soprattutto per le PMI socialmente responsabili, trattamenti di favore. Riepiloghiamo, in modo da avere uno schema il più possibile chiaro. I costi che derivano dall’attuazione della responsabilità sociale: 1) Primo costo. Spese effettuate per soddisfare necessità di ordine sociale ed ambientale in misura superiore a quanto richiesto dalla legge. La legge richiede determinati impegni sociali e ambientali che costano. Ma questo a livello minimo. Una impresa può stabilire, nell’ottica della sua politica di responsabilità sociale, spese in ordine sociale ed ambientale in misura superiore a quanto richieste dalla legge. 2) Secondo costo. Incremento dei costi di funzionamento per meglio soddisfare le esigenze degli stakeholder, in modo particolare per meglio soddisfare le esigenze dei propri dipendenti, creando un asilo nido, mettendo a disposizione 156 borse di studio per i figli dei dipendenti, contribuendo alle spese sanitarie e così via, incrementi per soddisfare meglio le esigenze degli stakeholder, in modo particolare il welfare aziendale, ma anche iniziative a favore della comunità. L’impresa che contribuisce al teatro, alle scuole, ad iniziative museali, la squadra di calcio. Nel nostro caso la ERG un tempo sosteneva la Sampdoria. 3) Terzo costo. Impiego di risorse aziendali non monetarie. o Risorse umane. In molte aziende ci sono esperienze di volontariato aziendale. Volontariato dedicato a cause sociali. È chiaro che se il dipendente fa volontariato, una parte del tempo è dedicato al volontariato e non destinato all’azienda in senso stesso. o Risorse aziendali tangibili. L’azienda può mettere a disposizione sue associazioni, enti, movimenti, sue attrezzature, spazi, sale. o Ma anche l’impiego di risorse intangibili. L’impresa mette il suo marchio, le sue competenze a servizio di campagne sociali. Si parla anche di coase deleting marketng. Il marchio è messo a servizio della campagna dell’Unicef. 4) Quarto costo. La limitazione delle alternative strategiche. L’impresa che ha scelto comportamenti socialmente responsabili, che li ha scelti seriamente, non come immagine di facciata, non entra in business caratterizzati da processi inquinanti, in business caratterizzati da alti gradi di corruzione. Non entra in business finalizzati alla produzione di beni considerati non etici: armi, alcool, tabacco, i giochi. L’impresa socialmente responsabile non investe in aree geografiche dove vengono violati i fondamentali diritti umani. A proposito del Caso Regeni, c’è un Movimento che chiede sia al governo italiano che alle imprese italiane di interrompere relazioni economiche con questo paese. L’impresa socialmente responsabile non si allea con imprese non socialmente responsabili. Vediamo il riepilogo dei benefici. Comportamenti socialmente responsabili. Comportamenti sostenibili, per usare il termine più usato. Questi comportamenti hanno un impatto positivo: - Sul capitale organizzativo dell’impresa. Il capitale organizzativo dell’imprea è fatto da norme, da procedure, da sistemi operativi, è fatto da sistemi di governance e così via. questo è il capitale organizzativo. Impatto organizzativo in che senso? Miglioramento dei processi. La certificazione ambientale e sociale migliora i processi e i sistemi organizzativi e informativi. Certificati vuol dire che veramente funzionano e funzionano bene. - Migliora anche il livello di salute, il livello di sicurezza sul lavoro. L’impresa soialemtne responsabili si realizza per minori infortuni, più produttività, più motivazione. - Miglioramento dei sistemi di governance. Codice etico, rendicontazione sociale ed ambientale, auditing, certificazioni. Elevano la qualità della governance, la trasparenza della governance. L’orientamento della governance verso il bene della società. 157 - Ma abbiamo anche la riduzione dei rischi come impatto positivo. Meno incidenti, meno disastri ecologici, meno scandali sociali, minori contenziosi e minori costi di controllo. - La responsabilità sociale ha anche questo impatto di sviluppo della capacità di anticipazione dell’impresa. Cosa vuol dire? L’impresa socialmente responsabile fa cose che le altre imprese non fanno. Fa cose che non sono richieste dalla legge. Facendo questo acquista un know how spendibile immediatamente. Quando le cose che attualmente fa liberamente, diventeranno obbligatorie per tutti, lei è già pronta, è giù in grado, un vantaggio, una capacità di organizzazione rispetto agli altri. Impatto sul capitale organizzativo. - Comportamenti socialmente responsabili hanno anche un impatto sul capitale umano. Per capitale umano intendiamo l’insieme delle conoscenze, delle competenze, delle motivazioni che sono presenti nelle persone che lavorano nell’impresa. È un capitale estremamente fluido, che si può deteriorare, che si può perdere. Comportamenti socialmente responsabili hanno effetto positivo sul capitale umano. Aumenta il livello motivazionale. La responsabilità sociale rafforza i valori dell’impresa. La responsabilità sociale aumenta l’identità, il senso di appartenenza dei dipendenti, specie sei dipendenti sono coinvolti nella definizione e attuazione della responsabilità sociale. La responsabilità sociale determina altresì lo sviluppo di nuove competenze, abilità e capacità connesse con la responsabilità. Responsabilità sociale significa saper leggere le esigenze degli stakeholder, predisporre le informazioni, il materiale. Attuare processi necessari per la certificazione, saper fare la rendicontazione sociale. Tutte queste sono competenze, professionalità, che hanno un valore crescente nell’economia dell’impresa. C’è poi il capitale relazionale. Il capitale relazionare dell’impresa è dato dalle relazioni, delle collaborazioni che l’impresa con gli stakeholder della la comunità. Comportamenti responsabili aumentano la visibilità dell’impresa, al notorietà dell’impresa. Comportamenti socialmente responsabili aumentano la reputazione, stima dell’impresa. Sono beni intangibili, fondamentali per il valore dell’impresa. - Comportamenti socialmente responsabili hanno anche impatti positivi sul capitale finanziario. L’impresa socialmente responsabile acquisisce capitale con maggiore facilità e costi minori. Da questo punto di vista, è una parentesi, è interessante il comportamento dei fondi etici. Gli investitori etici stanno aumentando di numero, di peso, di notevole importanza. I fondi etici hanno una dimensione notevolissima. I fondi etici non finanziano chiunque come può fare la banca. Finanziano quelle imprese che rispondono a determinati criteri etici. I criteri etici cui i fondi di investimento etico fanno riferimento sono sostanzialmente questi: o I fondi etici non investono in imprese che fanno investimenti speculativi. Imprese, cioè, che usano il denaro per produrre altro denaro. o I fondi etici Non investono in imprese che perseguono modelli di consumo irresponsabile. In particolare i fondi etici non investono in imprese che producono alcolici, tabacchi. 158 o Non investono in imprese che fanno manipolazioni genetiche. o Non investono in imprese dove ci sono fenomeni di discriminazione delle maestranze, sesso, etnia. o Non investono in imprese dove gli standard di salute e di sicurezza non sono adeguati. o Non investono in imprese legate al gioco d’azzardo. o Non investono in imprese che fanno o hanno fatto o hanno fatto pubblicità ingannevole e diseducativa. o Non investono in imprese che hanno fatto inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. o Non investono in imprese coinvolte nelle energie nucleari. o Non investono in imprese che sfruttano in maniera intensiva il suolo e sottosuolo. o Non investono in imprese fanno test sugli animali. o Non investono in imprese che hanno legami con l’economia bellica. Un fondo etico in Ansaldo evidentemente non investe. o Non investono neppure in imprese che hanno legami con regimi oppressivi. In negativo capiamo cosa una impresa socialmente responsabile non deve fare. Ultima sottolineatura. Ho parlato di reputazione. La reputazione che discende dal perseguimento di prassi efficaci di responsabilità sociale entra a pieno titolo nell’economia dell’impresa, fornendo all’impresa qualità e sostenibilità nel medio e lungo termine. La reputazione è un intangible asset che aumenta il valore dell’impresa, che aumenta la capacità competitiva dell’impresa, che aumenta il grado di differenziazione dell’impresa. La reputazione aumenta la capacità attrattiva dell’impresa verso persone qualificate, relative al personale dell’impresa. La reputazione aumenta il posizionamento sociale dell’impresa. La reputazione aumenta la capacità di negoziazione dell’impresa, e quindi la possibilità di ottenere delle condizioni più favorevoli da parte delle istituzioni finanziarie, delle banche, delle istituzioni. Aumenta il valore e riduce i costi. La reputazione riduce i costi di coordinamento, di controllo, i costi di contrattazione. Altro aspetto della reputazione: lealtà e fiducia che riducono i costi di controllo. Se c’è fiducia perché devi controllare? Se c’è lealtà e fiducia il coordinamento è più facile. I lavori di gruppo sono incentivanti, le conoscenze e competenze sono messe in comune, c’è sinergia. La fiducia, la reputazione aumenta la capacità di fronteggiamento dell’incertezza. Aumenta il tasso di innovatività. La lealtà, la fiducia, la reputazione aumentano la fidelizzazione dei clienti, dei fornitori, dei dipendenti. La cooperazione tra imprese e società civile determina delle esternalità positive, delle circolarità virtuose. È in questo quadro, visto che nel secondo filmato si parlerà di profitto che il profitto si inserisce in coordinate più ampie rispetto al tradizionale calcolo economico. Il profitto nel medio lungo termine, non quindi un profitto speculativo, la redditività, la 159 profittabilità nel medio lungo termine è una sorta di garanzia, una base materiale che aumenta le possibilità per l’impresa di fare il bene della società. Senza profitto è impensabile un discorso in termini di responsabilità sociale. Però d’altro canto un disavanzo sul fronte del consenso riduce la redditività dell’impresa. In questa impostazione il profitto può essere, per così dire, deideologizzato. Il profitto è una componente del valore aggiunto. Una componente del valore aggiunto che serve a remunerare, secondo equità, una particolare categoria di stakeholder. Il profitto, nella misura in cui è reinvestito, alimenta la capacità di crescita dell’impresa. La crescita avviene con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder. Questo si lega anche al discorso della democrazia economica. Un’ultima notazione di carattere tecnico poi chiudiamo. Abbiamo già visto due matrice. Con Pirani richiameremo la matrice di materialità, vantaggio per l’azienda e gli stakeholder. La matrice di materialità sintetizza i ragionamenti che abbiamo fatto. Matrice che mette in ascissa la convenienza aziendale, cioè costi e benefici, di specifici interventi di responsabilità sociale. Immaginate di costruirla. In ascissa la convenienza aziendale di specifici interventi di responsabilità. La convenienza sociale viene graduata: no, incerta, si. Non c’è convenienza, la convenienza è problematica/ incerta, c’è convenienza. In ordinata mettiamo la rilevanza sociale che lo specifico comportamento ha per le diverse categorie di stakeholder. Anche qui lo graduiamo su tre livelli: bassa media alta. Viene fuori una matrice a nove celle. Il manager di responsabilità colloca specifici comportamenti. In modo particolare l’obiettivo è quello di collocare interventi di responsabilità sociale nella cella in alto a destra, cui corrisponde un’alta rilevanza per gli stakeholder e un’alta convenienza per l’impresa. Cioè comportamenti sinergici. Usando e anticipando la parola di Porter, iniziative a valore condiviso. Ci sono iniziative che hanno valore per l’impresa e che hanno valore per lo stakeholder, per i dipendenti. L’obiettivo è andare verso l’alto e verso destra. Ci sono, invece, due situazioni problematiche dove mettiamo il punto interrogativo. La cella in alto a sinistra. Per una iniziativa che non ha nNessuna convenienza per l’impresa ma ha un elevato valore per lo stakeholder. Poi in alto a destra, una politica, iniziativa che ha una elevata convenienza per l’impresa ma non ha nessuna rilevanza per lo stakeholder. Facciamo due esempi per capire. - Alta convenienza per l’azienda, bassa o nulla rilevanza per lo stakeholder. L’impresa potrebbe risolvere l’interrogativo in questo modo. Metto in discussione una scelta perché è pregiudizievole dal punto di vista sociale. Sono una impresa farmaceutica. Avevo un farmaco di successo particolarmente remunerativo ma, ahimè, questo farmaco ha conseguenze dannose su alcune categorie di pazienti. - L’altro caso. Per lo stakeholder l’iniziativa è oltremodo gradevole e vantaggiosa. La sponsorizzazione ad un museo, a iniziative culturali. Però in un periodo di 160 difficoltà e crisi per l’impresa, l’impresa risolve la situazione tagliando la sponsorizzazione. Questo strumento matriciale permette all’impresa di avere una situazione sintetica della visione comportamenti, convenienza dei comportamenti, e rilevanza per gli stakeholder. Queste cose non ci sono nelle dispense. Ma c’è il saggio di uno studioso di responsabilità sociale, ordinario alla Cattolica. I non frequentanti studieranno quello. Per i frequentanti il riferimento è relativo a queste cose. La discussione in sede d’esame, di colloquio è su queste cose. Sul tesario c’è la domanda: la valutazione economica delle RSI costi e benefici potenziali. LEZIONE 20 16/5/2016 IL CASO ERG Come anticipato, abbiamo con noi il manager di ERG e abbiamo anche il piacere di avere con noi per la prima volta la web master di ERG, il suo intervento riguarderà la comunicazione della comunicazione della responsabilità sociale. [solo audio e libro Rapporto di Sostenibilità ERG] LEZIONE 21 17/5/2016 Iniziamo il programma di oggi. Introduco il discorso di Porter fino alle 11.30, che inizierà lunedì e lo chiudiamo martedì. Alle 11.30 facciamo la prima proiezione di Porter e si aprirà il dibattito. Si dovrebbe poi proiettare il secondo filmato, che dura meno, e vediamo se c’è spazio per qualche domanda lo commentiamo lunedì. Lunedì vedremo anche la presentazione delle interviste: “Cosa è per me l’impresa”? dei vari docenti. Ricordo la lezione di recupero Venerdì, ore 10.30, aula Metelino, la lezione sarà tenuta dal dottor Giovanni Lombardo sul tema responsabilità sociale e catena di fornitura. Entriamo nel merito dell’impostazione di Michael Porter sulla responsabilità sociale. Porter sviluppa il suo ragionamento molto originale a partire da delle constatazione. Dice La CSR è una priorità irremovibile per le imprese. Sono molte le imprese che si impegnano per migliorare il loro impatto socio ambientale. Tuttavia, questa è la conclusione di Porter, i risultati di questi sforzi non sono particolarmente esaltanti. Ciò per due motivi: 1) Il primo motivo. Business e società continuano ad essere visti in una logica di contrapposizione. 2) Secondo motivo. La Responsabilità sociale è vista dalle imprese in termini generici, superficiali. La responsabilità sociale non è traguardata sule specifiche strategie che le imprese portano avanti. 161 Muovendo da questa constatazione, Porter propone una nuova ipotesi di ragionamento. Un ragionamento che viene così impostato. Primo pilastro. Il rapporto tra il business e la società, ovvero il successo dell’impresa e il bene sociale non rappresentano un gioco a somma zero, ma il gioco può essere a somma positiva. Secondo pilastro di questa ipotesi. Porter dice: la responsabilità sociale non deve essere vista come un costo, come una costrizione, come un gesto caritatevole. La responsabilità sociale è invece fonte di opportunità, fonte di innovazione, fonte di vantaggio competitivo. Allora Porter propone il suo modello che prende il nome di Modello del Valore Condiviso. Esaminando le argomentazioni che sono poste a sostegno della responsabilità sociale, Porter dice: nel dibattito, le motivazioni a sostegno della responsabilità sociale sono sostanzialmente 4, che si riscontrano nel dibattito in letteratura: 1) Una prima argomentazione. L’obbligo morale. In tutti i codici etici e in tutte le carte etiche si dice che le imprese hanno il dovere di essere buone cittadine, di comportarsi in maniera onesta e fare le cose giuste. C’è questo obbligo morale. 2) Una seconda argomentazione. La sostenibilità. Le imprese devono misurarsi con l’esigenza di tutelare l’ambiente, la comunità, e quindi garantire la soddisfazione dei bisogni attuali senza compromettere la sostenibilità delle generazioni future a soddisfare i propri. 3) Una terza argomentazione. La licenza ad operare, la legittimazione. Qualsiasi impresa deve essere legittimata ad operare dai suoi stakeholder, dalla comunità. In qualche modo, il fare business deve essere “autorizzato”. Licenza ad operare, legittimazione. 4) Una quarta argomentazione. Concerne la reputazione. Le iniziative di responsabilità sociale migliorano l’immagine, migliorano l’insediamento sociale, migliorano la fiducia degli stakeholder. Abbiamo detto ieri che la reputazione è un intangible asset di fondamentale importanza. Porter fa questa rassegna nel dibattito della letteratura, e dice: tutte queste argomentazioni sono vere, tutte queste argomentazioni sono importanti, però sono ancora troppo generiche. Sono inadeguate per guidare i manager nelle scelte che devono fare in termini di responsabilità sociale. Queste argomentazioni hanno dei limiti, che Porter fa alcune considerazioni su questo. - Obbligo morale. Porter dice: gli obblighi morali, per loro natura, sono assoluti. Però l’impresa deve fare i conti con la quotidianità. Ma deve fare i conti con la comunità, conciliare i valori, gli interessi che a volte sono incontrato tra di loro. La dizione generale obbligo morale non aiuta a stabilire se sei una impresa farmaceutica e devi sovvenzionare le cure per i malati indigenti, ricerca per nuove terapie o devi pagare i tuoi azionisti. Questi sono dei doveri. Non è che tutti devono essere soddisfatti. Bisogna dire hai un obbligo morale, bisogna adeguare le scelte. 162 - Lo stesso, dice Porter, la sostenibilità. Anche qui ci sono varie alternative che vanno ponderate. Bisogna stabilire delle priorità. Dire genericamente: soddisfare i bisogni attuali senza pregiudicare quelli delle generazioni future è importante, vero, ma questa affermazione che aiuto ti dà nelle scelte strategiche? - Legittimazione. Diligenza ad operare da parte dei diversi stakeholder. Dice Porter: il punto di vista degli stakeholder è importantissimo, è fondamentale. Abbiamo visto concretamente come misurare il punto di vista degli stakeholder. Per quanto importanti gli stakeholder non possono prendere il posto del manager. Da questo punto di vista fa anche l’osservazione: laddove il manager è chiamato a conciliare, a bilanciare, esigenze contrastanti degli stakeholder, dice, lo stakeholder che urla di più non necessariamente è quello che ha ragione. Quindi, dice, l’impresa deve preoccuparsi ovviamente degli stakeholder ma i suoi comportamenti non possono essere subalterni al volere degli stakeholder. - Reputazione. Anche qui, c’è il rischio di restare nell’ambito delle pubbliche relazioni. Se tu non sei in grado di capire qual è l’impatto del tuo business sulla società, se non sei in grado di misurarlo, di valutarlo. Fatta questa esamina, Porter dice: come dobbiamo procedere? Come impostare un nuovo ragionamento? Per impostare il nuovo ragionamento Porter dice: dobbiamo partire da una verità elementare. Una verità elementare che ci può far uscire dalla ambiguità di tanti discorsi in tema di CSR. Per noi non è una affermazione nuova. Porter dice: il business e la società hanno bisogno l’uno dell’altro. Ecco il grosso messaggio di Porter. Per motivare meglio questa affermazione il business e la società hanno bisogno l’uno dell’altro, leggo direttamente da Porter: “Le grandi imprese di successo hanno bisogno di una società sana. L’istruzione, l’assistenza sanitaria e le pari opportunità sono essenziali per una forza lavoro produttiva. Le condizioni lavorative e la sicurezza dei prodotti, non solo attraggono i clienti, ma riducono i costi interni dovuti agli incidenti. L’utilizzo efficiente di suolo, acqua, energia, e altre risorse naturali accresce la produttività delle imprese. Il buon governo i diritti di legalità e di proprietà sono essenziali ai fini dell’efficienza e innovazione. Se veri standard proteggono dallo sfruttamento non solo i consumatori ma anche le aziende competitive. In definitiva una società sana dà luogo ad una domanda crescente di business. Man mano che un maggior numero di bisogni viene soddisfatto e le aspirazioni crescono, qualunque impresa persegua i propri fini nella società in cui opera, scoprirà che il successo di cui gode è illusorio e, in fin dei conti, temporaneo. I leader che operano sia nel business, sia nella società civile, finora si sono concentrati troppo sulla frizione esistente tra i due e non abbastanza sui loro punti di intersezione. La dipendenza reciproca che intercorre fra le aziende e la società implica che le decisioni di business e le politiche sociali debbano seguire entrambe il principio del valore condiviso”. 163 È un ragionamento estremamente gradevole. Quindi, principio del valore condiviso significa che le scelte devono essere vantaggiose sia per le imprese sia per la società. Per raggiungere questo obiettivo, Porter propone una appropriata metodologia. La metodologia che Porter suggerisce, è la metodologia che ha elaborato in tema di analisi della concorrenza, la metodologia che ha elaborato in tema di costruzione del vantaggio competitivo. Lui sintetizza nella catena del valore, il matitone messo in orizzontale. Questa metodologia consente di integrare la responsabilità sociale nelle strategie dell’impresa, con l’obiettivo di arricchire sia la responsabilità sia le strategie. Il passaggio successivo, particolarmente importante, dice: l’interdipendenza tra impresa e società ha due modalità di manifestazione: - Dall’interno verso l’esterno. - Dall’esterno verso l’interno. Dall’interno dell’impresa verso l’esterno, verso il contesto, verso l’ambiente e la società. Dall’esterno verso l’interno, dal contesto, dalla società, verso l’impresa. Esaminiamo distintamente queste due modalità di manifestazione della costruzione del valore condiviso. - Dall’interno verso l’esterno. Significa che l’impresa con le sue attività, con le sue attività ordinarie, quotidiane, ha un impatto sull’esterno, sul contesto, sull’ambiente. Cioè, dice Porter: tutte le attività della catena del valore toccano le comunità locali, il contesto, e impattano sul contesto con conseguenze sociali che possono essere o positive o negative. Queste conseguenze sono mutevoli nello spazio, ciò che va bene in Cina non va bene in Europa. Le conseguenze possono essere mutevoli nel tempo. Sostanze che ieri si potevano utilizzare oggi sono del tutto proibite. L’impresa deve quindi darsi una capacità di monitoraggio di tutti questi aspetti. Ecco allora il discorso che troviamo sintetizzato e nella fotocopia che vi ho dato. A pagina 14 abbiamo il discorso dall’interno verso l’esterno. La mappatura dell’impatto sociale per catturare il valore. Viene riportata la catena del valore di Porter. Attività primaria e attività di supporto. Per ciascuna attività deve essere misurato l’impatto che questa attività ha sul contesto, sul sistema sociale. Leggiamone due: logistica interna. In realtà immagazzinamento, raccolta. Questo ha un impatto sull’ambiente esterno, legata ai trasporti. Immaginando che il magazzino sia in centro città, e arrivano in continuazione dei camion, qualche impatto negativo sul concetto c’è. Servizi post vendita, installazione, servizi alle azione de, problema dello smaltimento dei prodotti obsoleti, privacy dei cittadini. Ogni elemento ha un impatto sull’esterno. L’attività ordinaria dell’impresa viene immediatamente monitorata, valutata con riferimento al contesto. 164 - Dall’esterno verso l’impresa, dal contesto, dal sistema, verso l’impresa. L’interdipendenza tra il contesto, Porter usa sempre l’espressione contesto competitivo, contesto sociale, società civile. Interdipendenza tra il contesto in cui l’impresa si trova ad operare. Il principio è che la buona salute del contesto porta dei benefici all’impresa e alla comunità. Porter propone anche un modo di valutazione del contesto competitivo. Distingue il contesto competitivo e il contesto sociale in 4 grandi aree che trovate sul retro. Contesto competitivo e sociale è definito: 1) Dalla quantità e qualità. Come opera l’impresa in termini di materie prime, infrastrutture. Lo stesso dicasi per le infrastrutture di trasporto, di collegamento. 2) Regole ed incentivi. È la politica industriale, al livello nazionale, regionale. Sistemi, agevolazioni per l’attività di richiesta. 3) La domanda locale. Un conto è avere l’impresa in un deserto, un conto in un tessuto vivo che ti stimola, formula la domanda, collabora con te. 4) Disponibilità locale dei fattori di supporto. Esistono dei produttori di macchine, di servizi. Esistono economie esterne, se ci sono rappresentano un vantaggio per l’impresa. Conseguentemente può avere politiche di responsabilità sociale che migliorano il contesto, perché poi ne ha un ritorno positivo. Fatta questa prima parte di metodologia, interna esterna, esterna interna, adesso dobbiamo scegliere le questioni sociali di cui come impresa dobbiamo preoccuparsi. L’atteggiamento di Porter è realistico. Dice: l’impresa non può darsi carico di tutto. Non ne avrebbe le risorse, non avrebbe neppure il tempo. Deve scegliere. Ma come scegliere? Come selezionare i temi che hanno una correlazione con il suo business, con le sue strategie? Lasciando ad altri soggetti altre problematiche sociali. Dice Porter: Non basta che la causa sia meritevole, degna. La causa meritevole deve creare anche valore condiviso. La scelta che facciamo deve creare valore per la società, ovviamente, ma deve creare anche valore per l’impresa. Questo è il messaggio di Porter. Per poter scegliere tra le molteplici cause meritevoli, Porter considera i temi sociali, le cause meritevoli, in tre categorie: 1) Ci sono questioni sociali generiche. 2) Impatti sociali della catena del valore. 3) Ci sono le dimensioni sociali del contesto competitivo. 1) Questioni sociali generiche. Sono problemi sociali che non sono significativamente influenzati dalle attività dell’impresa e che non incidono sulla competitività di lungo termine dell’impresa. Sono appunto generiche. 2) Ci sono cause che si legano agli impatti sociali della catena del valore. Sono problemi sociali che sono influenzati in modo significativo dalle attività ordinarie dell’impresa. 165 3) Ci sono dimensioni sociali nel contesto competitivo. Dimensioni dell’ambiente esterno che influiscono sui driver fondamentali dell’impresa, che hanno impatto sul successo aziendale, laddove l’impresa opera. Esemplificando. L’emissione di CO2 nell’atmosfera è un problema generico per una banca, è però una conseguenza negativa nella catena del valore per l’impresa di trasporto. È importante misurare la tua emissione di CO2 o quanta ne risparmi se usi una automobile ibrida. L’emissione di CO2è anche una questione legata al contesto competitivo per un’impresa automobilistica. L’impresa che produce automobili, e produce automobili non inquinanti, auto ibride, ecco che il contributo dato al sistema sociale ha una implicazione diretta sull’impresa che aumenta la sua capacità produttiva, competitività ed innovazione. Altro esempio. La pandemia di AIDS in Africa. Può essere un problema sociale generico per una azienda di distribuzione commerciale. È invece una questione legata alla catena del valore per l’impresa farmaceutica. È invece una questione legata al contesto generale per una impresa mineraria che opera in Africa. Vivere in un contesto dove il problema della malattia, ha un impatto sulla funzionalità dell’impresa. Se questa impresa si impegna per ridurre gli effetti negativi dell’AIDS fa una scelta meritevole e coerente con la sua strategia. È chiara questa linea di ragionamento. Dopo aver classificato le diverse tematiche sociali, l’impresa deve darsi un piano d’azione. Un piano d’azione che, nel mentre soddisfa le attese della comunità, nel mentre realizza benefici sociali, questo piano d’azione ha anche una ricaduta economica considerevole per l’impresa. Porter dice: l’approccio deve essere strategico. Conseguentemente classifica la responsabilità sociale in questi termini: c’è una CSR reattiva, c’è una CSR strategica. - CSR reattiva. L’impresa vuole essere una buona cittadina, si dà carico delle preoccupazioni sociali degli stakeholder, aiuta le scuole in difficoltà, si preoccupa di arte, di cultura. Sono interventi utili ma sono marginali rispetto al business aziendale. Sono congiunturali: finché abbiamo soldi facciamo, poi cambiamo. Lo stesso è reattivo quando l’impresa cerca di mitigare gli aspetti negativi delle proprie attività di business. Si registrano alcuni inconvenienti e cerchiamo di mitigarli. - CSR strategica. Una responsabilità sociale strategica non si rivolge a cause generiche. Non si limita a ridurre gli aspetti negativi. È invece la progettazione ex ante di una serie di iniziative che sono finalizzate a portare benefici ampi e significativi alla società e al business. Una strategia che prende in considerazione il rapporto dall’interno verso l’esterno, propongo innovazioni, in modo da commentare i benefici della società, e poi dall’esterno verso l’interno. Investo nella comunità di cui faccio parte. Il rafforzamento delle implicazioni positive sulla mia produttività, sulla mia immagine, sulla capacità di reddito. 166 L’esempio che Porter porta è Toyota e Microsoft. Dall’esterno verso l’interno, la Toyota. È stato il primo veicolo ibrido, che va ad elettricità e a benzina. Un veicolo che riduce in maniera drastica le emissioni di inquinanti e, al tempo stesso, riduce i consumi. È stato un modello innovativo, la Toyota è stata la prima che ha creato un grande vantaggio competitivo, leader nel settore ibrido, e ha apportato benefici ambientali. Il secondo esempio è quello di Microsoft. L’impegno che Microsoft ha manifestato nei confronti dei community college, le università locali, quelle che non sono per nulla prestigiose. Microsoft Ha fatto questo ragionamento. Abbiamo bisogno di lavoratori qualificati in information tecnology. C’è carenza. Abbiamo parecchie centinaia di migliaia di posti vacanti negli Stati Uniti. D’altro canto, i community college, che hanno quasi 12 milioni di studenti, le università locali, potrebbero rappresentare un grande serbatoio cui attingere la manodopera di cui abbiamo bisogno. Solo che questi college presentano problemi. I programmi di studi sono carenti, le attrezzature datate se non obsolete, manca un piano di aggiornamento dei docenti. Microsoft decide di investire più di 50 milioni di dollari su un arco temporale nei community college proprio per superare questi problemi. Fornisce denaro, attrezzature moderne, mette il personale a servizio di queste scuole contribuisce all’articolazione dei programmi. Dall’esterno verso l’interno. La politica apporta un beneficio alle comunità locali, perché migliora la struttura scolastica. Ma il miglioramento ha un impatto positivo per l’azienda che può contare su un bacino di giovani preparati e qualificati. Lunedì integriamo Porter con alcune riflessioni ulteriori di Giorgio Donna. LINK AI FILMATI 1) https://www.youtube.com/watch?v=0iIh5YYDR2o (video di Porter) LEZIONE 22 20/5/2016 Dottor Lombardo Parliamo della parte normativa della responsabilità sociale, quali leggi e norme riguardano la materia, e un approfondimento sulla social supply chain management della Bombardier. Prima di iniziare facciamo alcuni esempi di catena di produzione. Quale catena di fornitura ha impatti sulla responsabilità sociale? [Ascolta audio esempi] Vi sono delle norme sociale, e poi degli standard oltre le norme di legge. Quali sono le leggi e quali sono gli standard oltre gli obblighi di legge? Per chi sono obbligatorie queste leggi? Chiariamo il fatto che molte leggi sono obbligatorie per le grandi imprese, ma ciò è rilevante anche per le PMI dal momento che le grandi imprese riversano questi 167 obblighi sui loro fornitori, nella qualificazione dei fornitori, nell’accreditamento, nella lista dei fornitori. Le aziende grandi chiedono alle PMI di adeguarsi a questi standard. Facciamo un esempio pratico. La Bombardier, società di Savona- Vado che produce locomotive, vengono prodotte a pezzi e rimontate fisicamente a mano nello stabilimento italiano. Ecco che la Bombardier seleziona i propri fornitori sulla base di criteri equo sostenibili. Sono società che producono locomotive, ma attuano questi criteri anche nel settore elettro meccanica. Anche la Dadone, o società che producono formaggi e latticini, estrazioni petrolifere, devono compilare una piattaforma di responsabilità sociale. Dopo l’incidente in America, bisogna stare attenti. Gli obblighi di legge sono per le grandi, ma valgono anche per le PMI. Una parola chiave da ricordare è rischio. Di questa materia bisogna ricordare solo due parole: impatto e rischio, il resto è secondario. Può esserci la banca che ti finanzia, il partner che vuole diventare socio, guarda se gestisci bene il rischio. Nel business plan bisogna metterci tutti gli indicatori sociali ed ambientali. Se spieghi bene il tuo core business e vai a spiegare che gestisce dei rischi finanziari, economici, patrimoniali, sociali ed ambientali, ecco che il partner sa che non hai dei problemi, e sarai in grado di non avere problemi. La CSR fa parte del risk management dell’impresa. Non c’è un unico concetto di rischio. Ad esempio se lavori il tonno c’è il rischio che ti tagli. Vi sono degli standard di legge, e altre norme oltre gli obblighi di legge. Conosciamo alcune indicatori sociali? Globing save. Altra è la SA 2000, una certificazione che serve per valutare l’applicazione dei diritti umani ai lavoratori. Diritti umani, sindacali, libertà. È importante la certificazione. In tanti paesi la supply chain è importante. La certificazione è importante se lavori in uno stato fiscale. In Cina se hai la SA 2000 dimostri di essere in linea coi paesi europei. Quali sono gli esempi? Tanti anni fa, mi è capitato di consultare il sito www.businessangel.it , ho proposto una serie di indicatori che son diventati obbligatori in Liguria. Questo progetto è stato adottato dalle imprese italiane. Se vuoi vedere cosa fare, in questo sito trovi esempi per le imprese, piccole medie e grandi, e divisi per settori. Ci sono scritte tutte le azioni che puoi fare nella pratica. Questo sito è di una società americana, con sede a Milano. Mi ha chiesto di comprarlo. Abbiamo preferito lasciarlo libero, ed è gratuito. I micro creditori anziché pagare la consulenza, possono andare li e fare autovalutazioni. Le imprese piccole non hanno soldi. Tanti si perdono delle possibilità. Lasciando gratuita l’iscrizione ognuno può vedere cosa fare. Poi c’è anche www.businessethic.it altro sito è www.ethica.org.au e vedete un rating del prodotto specifico che potete scaricare, anche lì gratuitamente. Ecco che è importante fare le catene di fornitura con tutti gli strumenti che abbiamo. Fornitori che abbiamo in capo all’azienda. Per chi lavora e ha interesse, ci sono tanti siti che spiegano le aree, le azioni e le indicazioni. Il problema dei micro imprenditori è che fanno tante cose etiche e non le sanno comunicare, o le fanno inconsciamente. Un aspetto simpatico dei siti è che chi 168 utilizza business ethics e da risultati all’Inail o alla Regione ottiene contributi a fondo perduto, ottieni delle premialità. Ottenerle è importante. Se gestisci la supply chain in moto etico è importante, si evitano i comportamenti sleali. È giusto che i governi riequilibrino questo gap che aiuta le imprese che vogliono produrre impatti positivi. Ricordiamo la definizione europea di CSR. È occuparsi degli impatti. Altra definizione, quella di Caselli: rispondere di qualcosa a qualcuno sulla base di determinati presupposti. In realtà la CSR è ancora più semplice, nozione europea: occuparsi dell’impatto. Cosa è l’impatto? Sono gli effetti, le esternalità. Le esternalità sono di due tipi: positive e negative, costi e ricavi, che non sono in bilancio. Esternalità, non lo metto nel bilancio di esercizio. Le certificazioni hanno un costo? Si. È la società stessa che chiede le certificazioni. Ma tutte le regioni hanno dei finanziamenti che servono per finanziare le certificazioni, c’è il bando ISO che finanzia la certificazione. Si trovano per Genova sul sito della regione. Delle imprese che hanno la SA 8000 (diritti umani) sono solo 3000, di cui 1000 in Toscana. Altra legge importante è la 30 del 2007. Un'altra legge importante è il decreto 231 del 2001. È una delle più importanti del mondo. Questa legge riguarda la responsabilità amministrativa degli enti, delle persone giuridiche. Responsabilità quasi penale di una società e non di una persona fisica. Fino a qualche anno fa vigeva una regola importante, la società, l’azienda non può essere chiamata a delinquere, responsabilità sociale e non penale. Ora si è invertito il principio: anche l’azienda può essere incolpata penalmente, anche se ovviamente non finisce in carcere l’azienda. Se il giudice ravvisa comportamenti irresponsabili più chiudere l’impresa da un minimo di due anni ad un massimo di 5, e anche sanzioni pecuniarie. È una legge che va a colpire sempre, colpisce le aziende irresponsabili. Azienda che produce scale mobili, era scoppiato l’incendio. L’imprenditore non aveva rispettato le norme anti incendio. Sono morte delle persone. Questa legge va a punire l’azienda con stop dell’attività o sanzioni pecuniarie. legge viene più spesso applicata anche alle piccole imprese. Cosa bisogna fare per non incorrere a irresponsabilità? Scrivere un codice etico e fare una formazione ai dipendenti per far sì che non commettano reati e non si comportino male. L’impresa deve fare tutto il possibile per non commettere irregolarità. Esempio che mi viene in mente cosa succede se si bruciano questi neon? Bisogna portarli all’Amiu, si parla di isole ecologiche. Questi neon, per legge, devono essere smaltiti con regole precise. Se non le rispetti multa di 1200 euro. La supply chain ha impatti specifici nella responsabilità sociale. A volte per vedere se si rispettano i certificati si fanno delle verifiche, fatte da società esterne, sindacati, ONG, delle persone neutre che vanno a vedere se rispetti davvero ciò che hai dichiarato. Le imprese possono anche citate per danni potenziali, col meccanismo di whistle blowing (credo). La certificazione prevede che si risolva il problema prima che si verifichi il danno. 169 Questa legge ha aspetti teorici e pratici. Importanti sono i certificati. Ci sono gli enti esterni che ti controllano, ma anche ci sono gli enti interni sul controllo della procedura. Le cose che studiamo qui hanno poi in tribunale una valenza giuridica. Se dico: applico le regole sulla sicurezza, poi la società non le rispetta, ci sono dei problemi. Se l’impresa è pubblica o partecipata, una pubblica amministrazione, c’è una legge, il DPR 61 2013 che dice come si fa il codice etico. Se c’è una impresa privata, si ha il decreto 231 del 2014 (?). Per le imprese pubbliche c’è la struttura, per le imprese private no. Ci sono gli stakeholder, guardi l’impatto. Per far risparmiare soldi alle imprese, il ministero del lavoro ha impostato uno standard gratuito. È importante il DPR 13 febbraio 2013. Abbiamo citato quindi finora queste tre leggi. La CSR in Liguria, salute e sicurezza sul lavoro, e certificazione gratuita. Lo stato dice: non hai i soldi? Non hai trovato i fondi? Compilati gli schemi, ed equivale ad avere la certificazione. Questa materia è governata da leggi e certificazioni. La grande impresa dice però anche alla piccola e media di rispettarla. Esempi di imprese responsabili Bombardier, Danone e altre. Ci sono tante indicazioni. Sapete leggere le etichette dei prodotti? Ad esempio a volte c’è scritto: questo prodotto non è testato sugli animali (detersivo piatti). [Eventuale audio lezione] Esistono tante certificazioni. Ricordiamo che bisogna considerare sempre l’impatto: sia che siamo manager, consumatori, lavoratori in banca, gli effetti, l’impatto dell’attività. È questa la vera responsabilità. Occuparsi non solo di quello che succede ora, ma anche in futuro. Importante anche la ISO 26 mila. C’è la norma per capire le azioni da mettere in pratica, che non resti solo teoria. CRI sono le norme sulla rendicontazione, bilancio. Ciò che si scrive sul bilancio. CRI serve per rendicontare. È una valutazione ragionieristica della Responsabilità. ISO 26 mila può essere certificato o non certificato. Dipendenti, fornitori, comunità locale. Questi sono gli stakeholder da considerare. Per contattare il prof => [email protected] LEZIONE 23 23/5/2016 Possiamo iniziare con gli ultimi due incontri. lezioni. Il programma di oggi è la presentazione del filmato. Dopo abbiamo la presentazione delle interviste cosa è per me l’impresa. Sono state predisposte le slides. A questo grosso modo dedichiamo un’ora. Poi io completerò il discorso di Porter Donna e dedichiamo domani ad alcune riflessioni conclusive sulle competenze del manager. 170 Dedichiamo poi una parte di domani all’organizzazione pratica degli esami. Per avere l’ordine di grandezza degli appelli, se gli esami sono fatti singolarmente o in gruppo in modo da organizzare le tempistiche. La nostra esperienza finisce è stata, almeno per me, molto interessante. 1) IMPRESA IRRESPONSABILE LUCIANO GALLINO Parliamo di impresa irresponsabile, ovvero tratteremo su indicazione del professore, dell’impresa irresponsabile, di come si comporta. Vedremo poi il video di una impresa che si è responsabilizzata, e facciamo con una presentazione del libro per gli argomenti trattati, seguiranno poi le riflessioni. Il professore ci ha dato da leggere il libro intitolato Impresa Irresponsabile. Nel libro, Gallino definisce irresponsabile una impresa che al di là degli obblighi elementari di legge ritiene di non deve rispondere ad alcuna autorità delle insolvenze sulle sue attività. Un breve excursus storico. Gallino ricerca le cause che hanno portato all’affermarsi della responsabilità delle imprese. A riprova del passaggio del capitalismo manageriale a quello azionario degli anni 70 e 80. Cosa è successo? Negli anni ’50 ’60, boom economico, la figura del manager opera al fine di crescere l’impresa e non di arricchire i pochi proprietari. A causa però della situazione della domanda e dell’impoverimento delle basi tecnologiche ed economiche, c’è stata una drastica riduzione del tasso dei profitti durante gli anni ’70 e 80. I manager per portare i tassi di profitto a quello di vent’anni prima, hanno cercato di fare ciò con mezzi diversi, che Gallino definisci irresponsabili. Delocalizzare il lavoro, la produzione in luoghi meno controllati. Nasce l’imperativo categorico di massimizzare il valore dell’azionista senza pensare agli stakeholder. Questa filosofia poggia sulle basi di Friedman. In base a questo assunto l’’impresa è uno strumento per massimizzare il dividendo degli azionisti. La parte conclusiva del libro si concentra sulla responsabilità, per integrare la CSR nella governance dell’impresa. Ora proiezione filmato del manager responsabilizzato, che è il CEO di Unliver. https://www.youtube.com/watch?v=ihoR9B7p-1Q (Link del filmato) Dopo aver parlato di impresa irresponsabile di Luciano Gallino, e vedendo come la responsabilità aziendale c’è e può esserci, si può fare una ulteriore riflessione sulla responsabilità. Leggendo il libro di Gallino mi son soffermato sul perché una impresa debba ancora agire in modo irresponsabile. Parlo anche ai ragazzi che con me seguono il corso dei processi, si parla di responsabilità in senso sociale, ambientale ed in senso economico. Si vede questo cambiamento di mentalità dalle grandi alle piccole aziende sulla sostenibilità. Cosa porta ancora una impresa ad agire in maniera irresponsabile? Ho dovuto dividere le due categorie: impresa volutamente irresponsabile e impresa irresponsabile incosciente, che non conosce le sue azioni. 171 Penso che potremmo ricondurci per le volutamente irresponsabili a quelle grandi imprese che non hanno una regolamentazione forte e che quindi agisce solo per la ricerca del profitto e per, come accade in Unione Sovietica, per soddisfare i loro investitori. Qualora, per quanto mi riguarda, noi che siamo comunque stakeholder di queste grandi imprese che hanno il potere di poter cambiare veramente il mondo con i loro prodotti le loro politiche, noi stakeholder dobbiamo agire in maniera tale da chiedere ed ottenere forti regolamentazioni a livello mondiale. Come possiamo avere forti regolamentazioni a livello europeo, possiamo vedere che in altre zone, ad esempio asiatiche, non abbiamo forte regolamentazione, ma influenzano il mercato a livello mondiale. Quando l’impresa si presenta sostenendo, dicendo di essere sostenibile e agire nel giusto, dobbiamo sempre informarci su un passaggio in più. Nelle grandi imprese, abbiano notato che si, lo ora la sostenibilità c’è ma è iniziato dopo con grandi avvenimenti e disastri che l’han portata forzatamente a questo cambio di rotta. Esempio BP British Petrol, dove, dopo numerosi incidenti ambientali legati ad una mancanza di sistemi logistici, adesso dopo varie campagne pubblicitarie, vari movimenti verso la sostenibilità, stanno tentando di ritrovare la rotta. Ma danni ci sono stati. Questo ci fa riflettere su quale impresa scegliere e quale deve essere la direzione da prendere. Nell’impresa irresponsabile incosciente, ci siamo soffermati sulla PMI italiana, che in questo periodo di crisi, stanno agendo con tagli del personale, tagliano i costi a livello di sicurezza, ma questi manager hanno un po’ come in Parmalat, il manager che non conosceva o non voleva conoscere le azioni che se messe in atto a quali conseguenze potevano portare. Le PMI devono conoscere la strada della responsabilità per rivoluzionare il business e la capacità di gestire i costi, ma dovrebbe davvero esser anche quella che è la migliore via per uscire dalla crisi e affrontarla in maniera diversa. Il mio intervento serve a stimolare il dibattito propedeutico per una migliore comprensione del concetto di etica e i compiti di ciò che riguarda il manager etico. Vediamo la risposta che Milton Friedman diede. In pratica dava la sua opinione. Ha detto che i compiti di un manager nell’impresa non deve andare oltre la massimizzazione del profitto per gli azionisti. Nel 1970 Friedman sosteneva che un manager avesse un compito per andare oltre la massimizzazione del profitto fosse un ladro, un truffatore. Si andava a fare il manager, per lui, in un modo sbagliato. Friedman è un luminare del pensiero economico del 900. Ha influenzato molti pensieri, la Tacher, Regan. Grazie a lui la GB con la Tacher riuscì a risollevarsi da una situazione critica a livello sociale ed economico. Anche Keynes dice che del capitalismo ci lamentiamo tutti, ma ci sono alternative? Abbiamo visto il video, prendere questa impresa come etica sarebbe improprio. In India e Pakistan è stata accusata di sfruttamento dei diritti umani. Ha cercato di migliorare la sua soluzione a livello reputazione. Hanno provato a cambiare le carte in tavola. Cambiare il modo di distribuirle. 172 Abbiamo visto nel libro di Gallino, nel corso di Etica, di management dell’innovazione che l’etica spesso va ad integrarsi con l’impresa. Non si può di rimpiazzare tutto. È compito nostro porre un rimedio a questa situazione. È impossibile, è improprio. La soluzione siamo noi. Noi siamo il ponte che va a collegare i dirigenti degli anni ’80 con quella del 2050-60. È compito nostro porre un rimedio a questa situazione. Abbiamo visto il giuramento del buon manager, del buon professore. Non per forza si deve cambiare tutto. Si deve cambiare la concezione di imprenditorialità. Il dibattito, la domanda che pongo è questa: cosa possiamo fare noi per garantire un futuro migliore alle prossime generazioni? Anche è importante il giudizio del professore, su qual è il nostro compito. Un parere personale su qual è il nostro compito, del manager, della nostra generazione, nei confronti delle generazioni future. INTERVENTO DEL PROFESSORE => Il discorso delle generazioni è un fatto importante. Uno studio è stato fatto con questa immagine figurata. Le generazioni sono i diversi piani di un edificio, soltanto che mancano le scale per collegare i piani. Il dialogo, il ricambio generazionale è il grosso problema della nostra impresa. La centralità di questa questione è stata messa in evidenza dal rapporto Istat uscito ieri. Per la prima volta, il rapporto Istat ha considerato i numeri sono distribuiti per generazioni. C’è la generazione 1926-1942-43, la generazione di coloro che hanno sperimentato la guerra. Ha una serie di caratteristiche. Poi c’è la generazione della ricostruzione, della ripresa, fino ad arrivare ai milleniant, nati tra il 1980 e 1995-1996, con le loro caratteristiche, e infine l’ultima generazione, dei ragazzi che si caratterizzano per la connettività, per i social. È estremamente interessante. Il vero problema nel nostro paese è la mancanza di giovani. I giovani sono troppo pochi rispetto a quelli che sarebbero economicamente, culturalmente necessari. È questo il problema, non è di facile soluzione. Gli studi mettono in evidenza che l’invecchiamento abbia delle conseguenze pesanti in termini di innovazione. Allora, il vero problema è l’investimento sul giovane. Si fa presto a dirlo, ma come? Perché il futuro si preoccupi dell’esistenza di condizioni e assunzioni di responsabilità da parte del giovane. Oggi le condizioni non ci sono, o sono molto limitate e, conseguentemente anziché responsabilità c’è l’irresponsabilità da parte dei giovani. Una circolarità negativa. Il discorso è: Bisogna creare le condizioni economiche, sociali e finanziarie affinché il giovane possa assumere pienamente la sua responsabilità. Sono dati che anche il rapporto pone in evidenza. Il giovane che resta in casa fino a 32-33 anni, o che si sposa tardi e va a convivere, e ha la nascita del primo figlio a 32 anni. Il discorso è avere le condizioni per promuovere l’imprenditorialità giovanile, qualche segnale interessante c’è, creare le condizioni politiche e ambientali, affinché il giovane possa assumere la responsabilità di manifestare le sue risorse, capacità. Ci sono parecchie cose qua e là. Solo che sono poche. Faccio sempre questo esempio. Ci sono i 100 fiori, manca il giardino. Tante esperienze, anche di imprenditorialità giovanile, sociale, ci sono, ma non sono conosciute. Soprattutto non fanno rete, non 173 fanno sinergia. Allora consideriamo in maniera esplicita i giovani come i nostri stakeholder fondamentali. Dobbiamo creare valore per i giovani. È una cosa realizzabile. Dire alle imprese di considerare i giovani come stakeholder fondamentali. Vedere le intenzioni dell’impresa. Date un’occhiata al rapporto Istat, che è abbastanza interessante, stimolante. Si parla della condizione dell’anziano, ci mancherebbe altro, dell’allungamento della vita media che ha una serie di problemi, ma il problema della longevità va affrontato fin dal momento della nascita, il discorso delle pensioni. Si parla di condizioni dell’anziano, ma si dimentica di parlare della condizione del giovane in una società anziana. Aggiungo solo questo. Delle parole che avete usato, io credo che in modo particolare che si possano introdurre nel discorso economico parole come felicità, bellezza, solidarietà, che sono gli ingredienti per una nuova economia, che non può avvenire solo col ricambio generazionale. C’è la cosiddetta Generazione Erasmus. Poi un altro aspetto importante. L’educazione civica occorrerebbe capire che non è una materia come le altre, ma dovrebbe essere una esperienza fin dalle scuole elementari dove il bambino ha una sua responsabilità nei confronti dell’aula. Il bambino deve tenere l’aula pulita, mettere a posto i gessetti, pulire. Avevo presentato ad alcuni colleghi, non posso più farlo essendo Emerito, ma per dire: perché non pensare ad una giornata del volontariato? Il giorno x gli studenti del dipartimento dedicano una giornata ad iniziative di volontariato. Può essere una bell’iniziativa, siamo vicini al centro storico. Ci sono questioni ambientali che devono essere affrontate. A livello di imprenditorialità, perché non pensare ad una piattaforma in cui vengono distribuiti gli appunti? Mi metto in collegamento con una persona che ha queste cose qui. Si può pensare ad un minimo finanziamento della piattaforma. Anziché attaccare i fogliettini, o come si fa nella pratica trovare una stanza per vedersi. Voi siete in grado di fare molto, avete le conoscenze e le competenze. È questa la creatività. Si può anche provocare il docente. Bisogna ristrutturare e pensare in maniera diversa. Non si può pensare di insegnare come si faceva dieci, venti o trent’anni fa. Su queste cose si può dare un importante contributo. Adesso c’è l’altro gruppo. Vi spiego qual è stato il nostro lavoro. Una intervista a molti docenti relativamente a cosa pensassero loro del concetto di impresa. Esprimi in 10 righe cosa è l’impresa. abbiamo avuto un sacco di risposte. Abbiamo messo 9 definizioni dei docenti. Alcuni docenti hanno risposto in 5-6 righe, e altri hanno dato 5 pagine di risposta. BRUZZI Impresa come una istituzione che volge un ruolo fondamentale per lo sviluppo socio economica. 174 Noi cosa ci aspettavamo dalla Bruzzi? Ci aspettavamo che parlasse di processo economico, responsabilità degli stakeholder e trasformazine. MAZZOLI(?) Impresa come coordinamento di risorse, per sviluppo, sopravvivenza, e creazione di valore degli stakeholder. Cosa ci aspettavamo? È difficile esprimere in 10 righe. Impresa orientata alla massimizzazione del profitto. Dal docente di marketing ci aspettavamo il cliente. Pensavamo che si parlasse di cliente, ma andare anche oltre. Pensavamo anche ad un concetto di relazioni. Ma anche tutta l’atmosfera di relazioni. Da quel lato li questa parte la aspettavamo ma non è stata presa in considerazione. DI BELLA Definizione molto da libro. Deve essere garantita al fine della produzione del fine. È l’involucro dentro il quale si svolge l’impresa. Ci aspettavamo l’impresa come strumento, oggetto di analisi, di performance. Non ci aspettavamo che un docente matematico desse come prima faccia il rapporto sociale, l’impresa come strumento. STORIA DI IMPRESA (PICCININO ?) Ha dato la definizione storica. TESTI È stata la più interessante. Non ci aspettavamo un dialogo del genere. Lei non ha scritto un documento. Ci ha scritto su un foglio grossissimo, su cosa è per lei l’impresa. Ha detto è una scatola nera, entra un imput ed esce un outoput. E basta. Se mi chiedete cosa è l’impresa subito vi rispondo così. Ma a seconda dell’ambito e del contesto in cui opera cambia tutto. Si trovano concetti organizzativi, di marketing. Ne abbiamo parlato tanto. Lei ha parlato di tutto quello che han parlato gli altri. Cosa ci aspettavamo? La risposta di un docente di economia. Nella risposta della Testi aggiungerei anche cosa ha detto GASPARRE. GASPARRE Ha dato una definizione lunghissima. Permette lo sviluppo di relazione tra soggetti che partecipano al successo dell’impresa. Lo scopo non deve essere la massimizzazione del profitto, ma deve essere uno degli obiettivi tra tanti. Anche la responsabilità sociale è una entità sempre pronta ad adattarsi alle esigenze. Ha rispettato ciò che siamo aspettati dal suo corso. PENCO 175 Definizione da libro. Attività economica organizzata dall’imprenditore al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi. Ha aggiunto anche il discorso di responsabilità economica e sociale. Non ce lo aspettavamo. Pensavamo più ad una cosa di strategie, di governance, analisi che rispecchiasse l’insegnamento seguito. ARATO 2082 del codice civile. Ha definito l’imprenditore. Dicendo che nel codice non c’è la definizione di impresa, che deriva dall’operato di imprenditore. Imprenditore che svolge atti illeciti rende l’impresa stessa in condizioni non corrette. TORRE Insieme di persone in grado di comunicare e collaborare tra di loro. L’impresa è subordinata all’esistenza dell’organizzazione. Queste persone collaborano per raggiungere un fine comune Ci aspettavamo concetti di risorse umane, di organizzazione. Parlava dello stesso ambito di Gasparre. Da questa esperienza ci siamo sempre resi più conto che le definizioni dei libri sono importanti, ma cambiano. Certe cose nella realtà sono sempre uguali. Ogni professore pensa nella sua tesa delle cose, ma l’impronta cambia direttamente. Un docente dice non esiste l’impresa se non c’è organizzazione. Poi arriva a parlare del 2082. Quello che fai, come studi, cosa studi, ti fa cambiare la definizione. Difficoltà nel momento in cui abbiamo chiesto: dacci una definizione di impresa. La prima domanda che ci hanno fatto è stata ma volete definizione di impresa o azienda? La Testi ci ha spiegato il dilemma. È andata avanti nell’excursus economico, verso l’organizzazione. Ha detto bene, questa è l’impresa ma si differenzia dall’azienda nel momento in cui parliamo di contratti. Ci ha chiarito questo concetto. Queste sono osservazioni son state interessanti. Si possono collegare con ciò che ho detto a lezione. Una definizione che avevo dato: impresa produce beni e servizi per il mercato e al tempo stesso relazioni di convivenza. Poi c’è il discorso della sostenibilità. Soprattutto è importante che l’impresa deve essere vista come categoria storica. Non esiste l’impresa astratta. La Storicità, la multidimensionalità, multi relazionalità, la complessità e il cambiamento. Poi, al di là di ciò che uno ha detto, occorre anche capire qual è la sua posizione di studio. L’economista, in particolare l’economista classico, vede l’impresa in un certo modo, la sua ottica è il funzionamento del sistema, del mercato e, conseguentemente, l’impresa è la scatola nera. Non c’è bisogno di guardarci dentro. Specie se si parla di concorrenza perfetta, l’impresa è veramente poca cosa. L’organizzativo, ha un punto di vista. Insieme delle relazioni. Il giurista non può prescindere dalle relazioni giuridiche, contrattuali. 176 Poi in generale, in tutte le lavorazioni ci si deve chiedere: lo studioso da quali premesse parte? Come svolge il ragionamento? A quali conclusioni arriva? Ho delle premesse. Ma ci si chiede queste premesse in che rapporto sono con la realtà? Che capacità interpretativa e normativa do alla realtà? Pensiamo alla concorrenza perfetta. Le premesse da cui partono, conoscenza perfetta, annullamento del fattore tempo, queste premesse hanno un radicamento con la realtà particolare. E arrivano a conclusioni rigorose. Guardare se con questa conclusione tu cerchi di cambiare la realtà, e fare delle sinergie. Premesse, ragionamento, rapporto con la realtà interpretativa, capacità interpretativa e conclusione. Un quarto d’ora in cui cerco di sintetizzare al massimo il contributo di Giorgio Donna. La premessa del ragionamento di Donna si collega d una affermazione chiara, come abbiamo visto nel filmato dell’ammaestratore: come guadagnare e fare del bene? Donna muove da questo interrogativo: A quali condizioni profitto e bene comune possono convivere? Non in contrapposizione, ma in sinergia. Questo si ricollega alla possibilità di un patto tra impresa e società. Donna, nel suo ragionamento dice: come dare concretezza a questa possibilità di coordinare impresa e sviluppo? Individua una serie di condizioni. 1) La prima condizione. 0ccorre adottare un approccio strategico. Non si può parlare di bene comune in termini generici. Occorre un disegno organico. Altrimenti si resta nella casualità degli interventi, di interventi meramente filantropici e assistenziali. Si fanno delle iniziative meritevoli (Porter), Ma queste iniziative meritevoli sono svincolate da ogni strategia. 2) La seconda condizione. Per replicare questa casualità e per far sì che il bene comune assuma una attività strategica, Donna dice: il manager deve porsi qu esto interrogativo: che rapporto c’è tra il bene comune e i beni e servizi che l’impresa produce? Abbiamo visto nel filmato il sapone, ma il sapone che può contribuire a cambiare la vita ad una parte della popolazione. Che rapporto c’è tra bene comune e i posti di lavoro che l’impresa crea e opera? 3) La terza condizione. Analogamente, che rapporto c’è tra bene comune e i rapporti, i sarperi che l’impresa in cui opera? il bene comune e le competenze di spaeri che l’impresa sviluppa? Il bene comune e le innovazioni che vengono generate? innovazioni? Donna dice: il rapporto tra bene comune e le tasse che l’impresa paga. In tutto questo il bene comune è il valore condiviso di Porter. La realizzazione di un valore condiviso, dice Donna, poggia su tre momenti, su tre pilastri. 1) Un primo momento o condizione. Occorre riconsiderare, riconcepire l’offerta dell’impresa in termini di prodotti e servizi, e valutarli in funzione dei benefici sociali che questi beni e servizi producono, o dei danni o i danni che i beni e servizi riescono ad evitare. Beni e servizi capaci di misurarsi con le esigenze 177 della popolazione. Tutela della salute, dell’ambiente, l’istruzione. Evidentemente c’è molto da fare. Ma un ragionamento può essere impostato. Donna dice non solo devi riconsiderare e riconcepire l’offerta di beni e servizi in funzione del bene comune. Devi anche riconfigurare l’intera catena del valore. Ti devi preoccupare di collegare l’efficienza, la produttività di ciascun elemento della catena del valore con il contesto in cui l’impresa opera. Un altro modo di dire, quello che abbiamo visto la volta scorsa, dall’interno verso l’esterno. La logistica in entrata la devo considerare, organizzare, in modo che la sua efficienza e produttività concorra al bene del contesto o diminuisca gli inconvenienti che ci possono essere nel contesto. Ancora, valore condiviso comporta la necessità che l’impresa investa nel contesto, nell’ambiente, che l’impresa crei rapporti col territorio, con la comunità, in modo che l’impresa, dice Donna, venga percepita non come un’ospite passeggero, peggio ancora sfruttatore, ma come un soggetto attento, consapevole delle esigenze e dei bisogni della collettività. Ciò sulla base della constatazione che un contesto, un ambiente di valore aumenta il valore dell’impresa. È l’esempio che avevamo visto di Porter a proposito di Microsoft. Investe nelle scuole. Ma le scuole valide forniscono a Microsoft i tecnici. Donna porta l’esempio di una impresa italiana, che opera nel settore dell’ottica, Salmoirani ha fatto tutta una serie di investimenti per lo screening dei lavoratori delle imprese pubbliche e private della Lombardia, e ha investito nelle scuole per formare ottici capaci. È chiaro che crea dei rapporti positivi e la possibilità di trarne un vantaggio. Quindi prima condizione approccio valore condiviso. 2) Un secondo momento o condizione. L’integrazione del bene comune nei sistemi operativi, nei sistemi di gestione. L’ approccio strategico di lungo respiro è indispensabile, necessario, ma non è sufficiente. Nel senso che l’orientamento al bene comune deve entrare dentro i meccanismi di gestione. Altrimenti corre il rischio di restare nelle intenzioni, ma non scendere nella quotidianità della vita aziendale. La vita aziendale è fatta di pianificazione, di controllo di gestione, di valutazione delle performance, di incentivi. Dice Donna: queste strumentazioni di gestione sono economico finanziarie. Sono finalizzate alla redditività, all’economicità. L’ottica deve essere bene comune, il valore condiviso che deve entrare nei piani d’azione, nei programmi, nei traget da raggiungere, nei sistemi di reporting e nei meccanismi premiali. Alcune cose le abbiamo viste in ERG la responsabilità premia la vita di queste aziende. Approccio strategico, approccio della gestione 3) Un terzo momento o condizione. Occorre avere la conoscenza e la consapevolezza nei confronti degli stakeholder. L’orientamento al bene comune significa mettere al centro delle strategie, delle operatività, i bisogni, le attese degli stakeholder, o per lo meno degli stakeholder fondamentali. È quindi necessaria e indispensabile una conoscenza adeguata, strutturata, organizzata di cosa gli stakeholder si aspettano. 178 Queste cose nascono dal dialogo, dall’analisi fatta da esperti, da sondaggi, dall’uso dei social media, questa conoscenza deve permeare tutta l’organizzazione. Non è che la deve sapere solo l’amministratore delegato. 4) Un terzo momento o condizione. La scelta selettiva delle cause meritevoli. La strategia orientata al bene comune non può preoccuparsi di tutti i bisogni di tutti gli stakeholder. Occorre identificare gli stakeholder sui quali concentrarsi e identificare i bisogni sui quali investire, in modo che valore sociale ed economico possano stare insieme. A conclusione del ragionamento di Donna, il saggio è abbastanza ampio, ma questi passaggi sono sufficienti, Donna dice: il modello del valore condiviso, ovvero dell’integrazione profitto bene comune è una grande scommessa per le imprese. Scommessa che apre nuove opportunità di business in nuovi settori prima trascurati, settori della cultura, salute, cultura, ambiente. Nuove opportunità di business che si aprono. Il valore condiviso rende le imprese cittadine, riconosciute, legittimate, a livello di società civile. Il valore condiviso migliora la reputazione dell’impresa nei confronti dell’esterno e migliora il senso di appartenenza all’interno dell’impresa. il valore condiviso permette di identificare anche nuove opportunità, nuovi mercati, e conseguire performance economiche più stabili e più ampie. Direi che questa è l’essenza del saggio di Donna, i passaggi fondamentali che vanno ad arricchire l’impostazione di Porter. Concludiamo domani parlando di responsabilità etica del manager e concludiamo il corso sul manager di oggi. LEZIONE 24 (Ultima) 24/5/2016 Al punto 42 del tesario si aggiunge la responsabilità sociale del manager. Dobbiamo poi vedere l’ordine di grandezza per vedere la tempistica dell’organizzazione. L’argomento è LE RESPONSABILITA’ MORALI DEL MANGAER. È evidente che il manager deve saper percepire, cogliere e gestire le dimensioni etiche del suo agire professionale. Nell’agire professionale del manager la questione etica si pone quando: 1) Il manager deve prendere delle decisioni, 2) Il manager deve attuare le decisioni stesse; 3) Il manager pone in essere relazioni all’impresa, in rapporto ai colleghi, collaboratori, e nell’ambito in cui l’impresa opera. Deve decidere, ciò scegliere tra due alternative possibili. Ciascuna scelta ha una sua specifica rilevanza, può essere variamente valutata in termini di bene comune. Bisogna scegliere tra due decisioni, due scelte operative. Anche gli strumenti non sono unici. Pensiamo allo strumento pubblicitario. Si possono scegliere diverse tipologie di 179 messaggio pubblicitario, ma ciascuna ha una sua rilevanza. Il manager interagisce con i suoi colleghi, coi suoi superiori, con i suoi collaboratori, coi suoi operatori e più in generale col contesto in cui opera. In tutto questo il manager può trovarsi di fronte a conflitti di interesse. È normale che deve trovarsi con conflitti di interesse, situazioni in cui non è possibile soddisfare un interesse, una esigenza, senza sacrificarne un’altra. Interesse dei lavoratori precari, degli azionisti di controllo, degli azionisti di minoranza. Conflitti in termini di ripartizione degli utili. Il manager deve gestire questi conflitti di interessi sulla base di una sua autonomia. Il manager può trovarsi di fronte a dilemmi etici, dilemmi morali. Dilemmi morali che riguardano i valori. Chiaro che l’efficienza e la solidarietà sono dei valori. Ma potrebbero entrare in conflitti più gravi. Questi conflitti come si risolvono? Il manager può anche trovarsi di fronte a conflitti tra esigenze morali e altri valori di tipo legislativo e regolamentare. Ad esempio comportamenti eticamente scorretti oppure si può dire no. Altro conflitto che i manuali portano come esempio banale. Il direttore del supermercato che scopre la vecchietta che ruba. E si condanna in primo grado, o in appello. Ora, per tutte queste questioni il manager non ha il suo ricettario. È chiaro che la responsabilità ultima è sempre la sua. È sempre la sua coscienza che interviene. Però, le questioni etiche possono essere affrontate in termini metodoligaamente corretti. 1) Il manager deve saper riconoscere la natura morale dei problemi che ha difronte. Il manager deve capire quali sono i valori coinvolti, gli interessi delle scelte in gioco. Quali sono le diverse ottiche con le quali si risolvono i problemi sul tappeto: ottica del personale, dei lavoratori, degli stakeholder. 2) Il manager, una volta identificato il problema, deve essere in grado di articolare un ragionamento in ordine alla soluzione del problema. Deve sapere, cioè, scegliere il comportamento. Tale comportamento può ottemperare i valori, gli interessi, oppure considerarne alcuni e non altri. Tutto questo è il frutto di un ragionamento che il manager deve fare. 3) Il manager, una volta assunto il comportamento, ne assume le resposabilità. Il manager deve sapere, deve fare un ragionamento. Tutto questo non si improvvisa. Allora il passaggio successivo è che il manager deve avere competenze. Competenze strategiche, interpretare il futuro, obiettivi da raggiungere, capacità di sviluppo, deve avere competenze tecniche gestionali finalizzate alla risoluzione dei problemi, sapendo dove mettere le mani. Certamente un manager deve avere delle competenze relazionali. C’è la capacità di lavorare con gli altri, la capacità di fare squadra, di comunicare. Però, affianco a queste competenze, bisogna avere anche le competenze morali, le qualità morali. Le competenze morali consistono nelle virtù del manager. Il comportamento del manager è speculare, nel senso che questo comportamento del manager è capace di generare fiducia, collaborazione, e impegno specifico. 180 Le virtù le possiamo definire come la disposizione interiore delle persone, nella fattispecie del manager, ad operare a servizio del bene comune, secondo equità e giustizia. Allora, dobbiamo fare un minimo di ragionamento su questa disposizione interiore del manager a fare il bene. Questo ragionamento lo rappresentiamo graficamente. È come un involucro all’interno del quale ci sono le affermazioni che propone. Lo trovate in tutti i manuali. Il disegno è questo. La disposizione interiore del manager il bene poggia, in primo luogo su due fondamenti, di carattere generale, dove parte il dettaglio di tutte le altre virtù specifiche del manager. I due fondamenti sono i seguenti: 1) Il primo fondamento. La buona volontà, lo spirito di servizio, che per il manager è l’attitudine di fondo. 2) Il secondo fondamento. Saggezza pratica. Cioè il manager deve sapere come organizzare, come dare concretezza, alle sue idee. Su questi due fondamenti, stabili, si ergono, per così dire, i pilastri delle molteplici competenze morali o virtù, che deve avere. 1) Primo pilastro. Competenze morali legate alla relazionalità. Competenze morali che sono legate al rapporto con gli altri, che sono legate alla capacità di condivisione evitando atteggiamenti egoistici. Queste competenze o virtù morali legate alla relazionalità possono essere così spiegati: o Giustizia e verità. Il manager deve rispettare i diritti degli altri. o Onestà. Un manager deve decidere con trasparenza. o Ancora, impegno e lealtà. Un manager deve operare per rafforzare la coesione, la cooperazione, all’interno dell’impresa. o Quindi comprensione e simpatia. Un manager deve dare la carica, deve manifestare comprensione e simpatia nei confronti dei bisogni degli altri. Per ricordarlo ci colleghiamo all’intelligenza rispettosa, che abbiamo visto nelle prime lezioni. o Nella relazionalità c’è la virtù della gratitudine che un manager deve saper apprezzare per i benefici ricevuti o Aggiungiamo solidarietà e senso di cittadinanza. o Poi gratuità e spiritualità. Un manager non può fare a meno di una dimensione di senso, di una dimensione spirituale, una capacità di trascendimento rispetto alla propria persona. Competenze quindi relazionali e morali legate alla relazionalità. 2) Secondo pilastro. Nel secondo pilastro mettiamo le competenze morali legate alla fortezza. Cioè alla capacità e volontà di perseguire con determinazione i propri obiettivi, sapendo anche far fronte alle avversità. Allora, questa competenza morale, questa virtù morale che esprimiamo in termini di fortezza può essere così declinata. 181 o Coraggio. Un manager deve saper affrontare azioni difficili ma determinanti. o Audacia, un manager deve saper affrontare le cose. o Probabilità. Un manager deve saper rischiare. o Pazienza. Un manager non deve perdere la calma. o Costanza. E qui ci colleghiamo all’intelligenza disciplinata. 3) Terzo pilastro. Mettiamo le conseguenze morali legate alla moderazione. Moderazione come virtù del manager. Nel senso che il manager deve evitare due eccessi. Da un lato l’eccesso di una praticità senza limiti, e dall’altro la mancanza di attenzione. Questi due eccessi devono essere evitati. Allora, la moderazione può essere così declinata: o Umiltà. Umiltà come rifiuto dell’arroganza, capacità di autocontrollo. o Diligenza. Un manager deve essere diligente, evitando due cose: da un lato l’eccesso dell’attivismo fine a sé stesso. Dall’altro lato non accontentarsi dello status quo. o Realismo. o Generosità. Un manager deve essere generoso, nel senso di saper dare alla collettività una parte del suo potere. o Sobrietà. Nel senso di un giusto uso delle risorse. Queste competenze morali, così evidenziate, sono tra di loro interdipendenti. L’interdipendenza da sostanza al comportamento virtuoso del manager. L’interdipendenza tra le virtù dalla relazionalità, alla fortezza, moderazione generano integrità, un comportamento integro. L’integrità alimenta la leadership. Abbiamo visto che tutto ciò è fondamentale per creare valore. Una leadership che si trova al termine di una costruzione. Spirito di servizio, saggezza pratica, fortezza, moderazione. L’interdipendenza tra le virtù genera integrità, e porta una buona capacità di vivere del manager. Ancora un piccolo passaggio. Il manager che abita in questa costruzione è un manager autentico e affidabile e costruttivo. Cosa significa? - Manager autentico. Il manager autentico ha la consapevolezza dei limiti del suo agire. Sa cosa può fare, fin dove può spingersi. Sa quindi cosa non può e non deve fare. Ha degli ideali, una visione chiara di ciò che vuole raggiungere e sa assumersi la propria responsabilità. Il manager autentico ha valori chiari. Un manager senza valori è un involucro vuoto. Non ha linee guida nelle sue decisioni. Rischia di essere sradicato, di essere conformista. Il manager autentico ha degli ideali ben radicati, e agisce con convinzione e con passione. Nel panorama imprenditoriale italiano, non sono molti però manager con queste caratteristiche esistono. - Manager affidabile. Gli ideali si trasformano in parole e le parole in fatti. Un manager affidabile sa riconoscere il buono. È quindi coerente. Realizza le 182 proposte, non si ferma alle intenzione. È quindi costante, risoluto, coraggioso specie nelle situazioni difficili. Ha anche una buona memoria. Cioè il manager affidabile tiene alta la testa, ma i suoi piedi sono ben ancorati a terra. - Manager costruttivo. Sa che gli stakeholder si aspettano qualcosa. Sa delineare gli interessi conflittuali in vista di un rapporto condiviso. Il manager costruttivo crea valore economico, sociale ed ambientale nell’ottica della sostenibilità. Il manager, quindi è autentico, affidabile e costruttivo. Questo manager si rapporta con i suoi collaboratori. Nel rapporto con i suoi collaboratori deve avere una mano gentile, una mano produttiva, una mano ferma. - Mano gentile. Il manager con una mano gentile, infonde fiducia. La fiducia è un asset di fondamentale importanza. La fiducia riduce i costi di controllo, favorisce la condivisione. La fiducia genera fiducia secondo una circolarità virtuosa. Un manager di questo genere stimola l’impegno dei suoi dipendenti. Può essere percepito come una guida, come un coach nei termini che si usa dire adesso, pronto a condividere le proprie competenze. - Mano protettiva. Il manager non si impone. Il manager con mano protettiva fa richieste realistiche. Il manager che chiede ai propri collaboratori cose irrealizzabili, costringe questi a trovare delle scorciatoie, a trasgredire. Le regole definiscono i compiti entro i quali ciascuno può esercitare la propria autonomia ed assumersi la propria responsabilità. - Mano ferma. Il manager con mano ferma sa tenere la situazione sotto controllo. Un manager di questo genere sa percepire i segnali, non chiude gli occhi. Osserva le cose che non vanno. Rileva le irregolarità. Sta creando un clima, un contesto di trasparenza. Il manager con mano ferma sa gestire le cose che non vanno, le irregolarità. Sa intervenire con tempestività. Quindi il motto che si dice: vivi e lascia vivere, non è il motto del nostro amico manager. Allora, la conclusione che traggo dal saggio di uno studioso, saggio che ho messo nelle dispense, dice questo: abbiamo visto che il manager dotato di intelligenza è una persona autentica, affidabile e ricostruttiva. E ha la mano gentile affidabile e ferma. Queste qualità possono servire per il manager essere utilizzate per valutare lo sviluppo personale e come contesto per risolvere i problemi. Sono autentico? Affidabile? Costruttivo? I miei dipendenti hanno provato la mia mano protettiva, affidabile, ferma? Rispondendo in modo regolare a queste domande e non trovando irregolarità, il manager potrà diventare un manager dotato di integrità. Mi auguro, son certo che, terminato il corso, vi sia del tutto chiaro l’interrogativo che avevo posto nelle prime lezioni parlando delle 5 intelligenze, e in particolare dell’intelligenza etica, che avevo sintetizzato nell’interrogativo: se tutti si comportassero come me, imprenditori, manager, studenti e docenti, in che Mondo vivremmo? Migliore o peggiore? Ovviamente, io concludo che è migliore. 183