IBD HIGHLIGHTS a cura di Fortunata Civitelli Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta nelle malattie infiammatorie intestinali Diet, gut microbiota and inflammation: the perfect storm in inflammatory bowel diseases Marina Aloi (foto) Giulia D’Arcangelo Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Unità di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica, Policlinico Umberto I, Roma Key words Inflammatory bowel disease • Diet • Gut microbiota • Inflammation Abstract The prevalence of inflammatory bowel diseases is rising worldwide in concomitance with the acquisition of a “Westernized” lifestyle, thus suggesting an influence of environmental factors in the pathogenesis of these complex diseases. Diet may have an impact on host immunity both directly and by influencing the structure and composition of the gut microbiota in the genetically susceptible host. Indirizzo per la corrispondenza Marina Aloi viale Regina Elena 324, 00161 Roma E-mail: [email protected] 118 L’incidenza dei disordini immunitari, quali le malattie infiammatorie croniche intestinali (inflammatory bowel disease – IBD), l’artrite reumatoide, il diabete mellito tipo I e la sclerosi multipla, ha subito un incremento nel mondo occidentale. Si tratta di patologie croniche a eziologia multifattoriale risultante da una complessa interazione tra geni, sistema immunitario, microbiota intestinale e fattori ambientali. Le IBD [malattia di Crohn (MC) e rettocolite ulcerosa (RCU)] sono processi infiammatori cronici e recidivanti del tratto gastrointestinale, per i quali si ritiene che fattori ambientali, quali abitudini alimentari e modificazioni dello stile di vita (l’incremento dell’igiene, la dieta, il consumo di alcol, il fumo), giochino un ruolo nell’innescare e sostenere il processo infiammatorio cronico in individui geneticamente predisposti 1, 2. Gli studi di associazione genome-wide (genome wide association studies – GWAS) hanno individuato diversi geni (finora 163) correlati allo sviluppo di MC e RCU 3. D’altra parte non tutti i soggetti portatori di tali polimorfismi genetici svilupperanno la malattia. Questo dato enfatizza come la genetica da sola non sia in grado di spiegare la propensione di alcuni individui di sviluppare la malattia e come, invece, fattori ambientali scatenanti giochino un ruolo nella patogenesi delle IBD. È ormai ampiamente dimostrato che una dieta ricca di grassi, carni rosse e carboidrati raffinati e povera di vegetali, frutta e pesce (la cosiddetta “western diet”) possa avere un effetto diretto sul sistema immunitario dell’ospite e causare disbiosi. Quest’ultima, intesa come modificazione della struttura e della funzione del microbiota intestinale, è in grado di scatenare e sostenere una condizione di infiammazione, attraverso la predominanza di microrganismi pro-infiammatori e la riduzione dei commensali favorenti meccanismi di tolleranza immunitaria. Questo articolo ha lo scopo di illustrare le più recenti evidenze nel campo dell’eziopatogenesi del processo infiammatorio delle IBD, con particolare attenzione agli aspetti riguardanti la dieta e la sua influenza sul microbiota intestinale. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:118-121; doi: 10.19208/2282-2453-124 IBD HIGHLIGHTS Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta nelle malattie infiammatorie intestinali La genetica La genetica è innegabilmente una componente fondamentale nell’eziopatogenesi delle IBD, rappresentando non soltanto un fattore di rischio di per sé, ma giocando anche un ruolo chiave nella costituzione del microbiota intestinale e nel processo di educazione del sistema immunitario dell’ospite. La maggior parte delle oltre 160 varianti genetiche e polimorfismi identificati mediante GWAS in relazione alle IBD codificano per proteine implicate in meccanismi di attivazione immunitaria nel contesto della risposta dell’ospite ai microrganismi, inclusi la funzione di barriera, la guarigione mucosale, l’autofagia e la risposta allo stress. L’identificazione di uno di questi geni, il primo a essere individuato, il nucleotide-binding oligomerization domain-containing protein 2 (NOD2 o CARD15), fornì evidenze sull’implicazione del microbiota intestinale nello sviluppo e progressione delle IBD, in particolare la MC 4. NOD2 codifica per un recettore intracellulare (un cosiddetto pattern recognition receptor – PPR) per il muramil dipeptide (MDP), un peptidoglicano della parete batterica. Si tratta dunque di una proteina essenziale a livello dell’enterocita nel discriminare tra la flora microbica intestinale normale e i batteri patogeni. L’attivazione di NOD2 comporta infatti l’inizio di una cascata infiammatoria legata alla traslocazione nel nucleo di NFκB e la conseguente trascrizione e traduzione di specifici geni della risposta immune innata e adattativa. Mutazioni a carico del gene NOD2 sono state messe in relazione a una maggiore suscettibilità nello sviluppo della MC, prevalentemente ileale. Uno dei possibili effetti è la riduzione della produzione di α-defensina da parte delle cellule del Paneth che in circostanze normali operano me- diante meccanismi dell’immunità innata nella regolazione del microbiota intestinale. I topi knock-out per NOD2 mostrano un significativo aumento di Bacteroides, Firmicutes e Bacilli nell’ileo terminale, oltre a una ridotta capacità di eliminare un potenziale batterio patogeno, l’Helicobater hepaticus. In assenza di microbiota intestinale (topi germ-free), inoltre, l’espressione di NOD2 rimane bassa. A partire da queste evidenze numerosi altri loci di suscettibilità sono stati individuati: CARD9, IL23R, ATG16L1. IL-23R, ad esempio, è essenziale nel promuovere una risposta immune diretta contro patogeni intracellulari, inducendo la produzione e il mantenimento di linfociti Tγδ produttori di IL-17, IFN-γ e TNFα ed essenziali per l’induzione dell’infiammazione mediata dai linfociti T. L'ambiente Se da un lato la predisposizione genetica rappresenta un elemento chiave nello sviluppo delle IBD, essa da sola non è sufficiente. Un modello mendeliano semplice di trasmissione ereditaria (correlazione diretta tra gene e malattia) non è applicabile alle IBD: queste malattie sono infatti poligeniche e multifattoriali. In questi disordini il fenotipo clinico è la manifestazione dell’interazione tra determinanti genetici e fattori di rischio ambientali, pertanto ogni variante genetica individuale avrà un effetto relativo (mai 100%) sul rischio di sviluppo della malattia. I tassi di concordanza tra gemelli monozigoti nella MC e nella RCU, rispettivamente il 35-58% e il 1618,5%, insieme ai rapidi cambiamenti epidemiologici registrati negli ultimi decenni e non spiegabili con paralleli cambiamenti genetici (che richiedono tempi molto più lunghi), supportano l’ipotesi di un coinvolgimento di altri fattori. Nei paesi in cui è stato registrato un significativo aumento dell’incidenza delle IBD nel corso del 20° secolo, si è assistito parallelamente a enormi cambiamenti ambientali e dello stile di vita, tra cui una maggiore igiene personale, l’ampio uso di vaccini e antibiotici e l’introduzione di differenti abitudini alimentari. Più recentemente, paesi in cui tali malattie erano sconosciute fino a pochi decenni fa, come il Giappone, l’India, Hong Kong, hanno visto crescere il numero di nuovi casi diagnosticati in concomitanza con l’adozione di uno stile di vita occidentale 1. Analoghe osservazioni sono state riportate a seguito dello studio su popolazioni di immigrati trasferitisi da paesi in via di sviluppo in quelli industrializzati. Sebbene a oggi un singolo trigger ambientale non sia stato identificato, l’attenzione è stata posta su numerosi possibili fattori tra cui la dieta. È indubbio che il regime alimentare occidentale abbia subito profondi cambiamenti (aumento della quantità di grassi e carboidrati) nell’ultimo mezzo secolo, e in concomitanza si è assistito all’aumento della prevalenza delle IBD. Queste modificazioni ambientali hanno comportato un cambiamento nella composizione del microbiota intestinale, sia nella sua struttura che funzione, tale da essere implicato nella patogenesi delle malattie 5, 6. La quantità di batteri intestinali supera quella delle cellule umane di circa 10 volte e contiene oltre 1.000.000 di geni (rispetto ai 23.000 nell’uomo), rendendo ragione del ruolo chiave che tali microrganismi rivestono nello sviluppo di queste patologie complesse. La combinazione della predisposizione genetica, insieme a fattori ambientali che modifichino la composizione del microbiota intestinale, può dunque risultare in una “tempesta 119 M. Aloi, G. D'Arcangelo perfetta” che conduce allo sviluppo delle IBD. Esiste una stretta interrelazione tra la nostra flora microbica e la mucosa intestinale, essenziale per il metabolismo di quei nutrienti che non siamo in grado di digerire e per l’educazione del nostro sistema immunitario. Tale mutualismo metabolico tra ospite e batteri, se cronicamente alterato, può portare a una “disregolazione” della risposta immune che conduce alla malattia. Le prove più importanti a sostegno di tale ipotesi derivano dallo studio di modelli animali. Ad esempio i topi knock-out per il gene dell’IL-10 sviluppano spontaneamente un’enterocolite cronica, predominata da un fenotipo infiammatorio T-helper1/IFNγ. Tuttavia, topi germ-free deficitari di IL-10 non sviluppano la malattia, mentre l’aggiunta di specifici batteri, oltre a condurre a un aumento della penetranza della malattia fino a quasi il 100% (è il caso di H. hepaticus, Bacteroides vulgtus, Enterococcus faecalis), è in grado di determinare fenotipi diversi di malattia. Ad esempio la colonizzazione di topi germ-free deficitari di IL-10 con Bilophila wadsorthia conduce a una colite distale lieve, mentre l’ Escherichia Coli determina un’infiammazione lieve-moderata a carico del ceco. È evidente che il tipo di risposta ai singoli microrganismi è correlata alla specificità dell’ospite. Ad esempio E. Coli, ma non Bacteroides vulgatus, è in grado di indurre una colite nei topi knock-out per il gene dell’IL-10. Situazione opposta si verifica nei topi transgenici per HLA-B27. Analogamente, diversi probiotici determinano diversi risultati nello stesso ospite mentre ospiti diversi mostrano risposte variabili allo stesso probiotico. Queste osservazioni, ancora una volta, sottolineano come il rischio di malattia ed il suo fenotipo sono strettamente dipendenti 120 dalla composizione del microbiota intestinale nel contesto di differenti background genetici. La dieta Come accennato in precedenza, tra i fattori ambientali in grado di innescare il meccanismo patogenetico delle IBD, la dieta è certamente uno dei più studiati. Gli alimenti, infatti, oltre a interagire con le cellule direttamente, sono in grado di modificare la composizione della flora intestinale. È stato dimostrato che la natura dei grassi assunti con la dieta può modificare il microbiota intestinale, in particolare grassi saturi derivati dal latte sono in grado di determinare l’esordio della colite nei topi deficitari di IL-10 inducendo una predominanza della B. wadsworthia 8. Analogamente, carboidrati non assorbibili (prebiotici) come l’inulina e i fruttooligosaccaridi (FOS) stimolano la crescita di specie protettive quali Bifidobatteri e Lattobacilli, fornendo loro substrati per la produzione di acidi grassi a catena corta (short chain fatty acid – SCFA). Questi prodotti, in particolare il butirrato, rappresentano degli ottimi substrati metabolici per le cellule mucosali coloniche stimolandone diverse funzioni di barriera. Da uno studio condotto su coppie di gemelli, di cui un affetto da MC, è emerso che le cascate enzimatiche coinvolte nel metabolismo dei carboidrati per la produzione di SCFA erano diminuite, analogamente a quelle coinvolte nella degradazione della mucina. Oltre alla sua influenza diretta sulla composizione e funzione del microbiota intestinale, la dieta è in grado di avere effetti pro-infiammatori di per sé 10. Alcuni detergenti ed emulsionanti sono in grado di danneggiare direttamente la mucosa intestinale. Il polisorbato 80, presente in diversi prodotti alimentari lavorati, aumenta, ad esempio, la traslocazione di E. Coli nelle placche di Peyer nella MC. Anche la gliadina, antigene implicato nella malattia celiaca, agisce sulla permeabilità intestinale aumentandola anche nei soggetti non celiaci, mediante il legame al recettore epiteliale CXCR3 e il rilascio di zonulina. Sono dotati invece di attività antinfiammatoria gli eicosanoidi derivanti dagli acidi grassi poliinsaturi n-3 (n-3 PUFA). Il loro consumo, negli ultimi decenni, è notevolmente diminuito, mentre è aumentato quello di n-6 PUFA, dotati, al contrario di attività proinfiammatoria. Conclusioni L’impatto della “Western diet” sul microbiota intestinale è ormai ampiamente riconosciuto e potrebbe giustificare l’aumento dell’incidenza di patologie croniche, comprese le IBD, osservato nell’ultimo mezzo secolo. Lo studio del microbiota intestinale e delle sue complesse interazioni con i geni e con fattori ambientali quali la dieta, rappresenta attualmente un importante campo di sviluppo, che apre nuovi scenari volti a realizzare un approccio terapeutico “personalizzato” a seconda del profilo genetico e del microbiota dei singoli pazienti. Bibliografia 1 Ananthakrishnan AN. Epidemiology and risk factors for IBD. Nat Rev Gastroenterol Hepatol 2015;12:205-17. 2 Loftus EV Jr. Clinical epidemiology of inflammatory bowel disease: incidence, prevalence and environmental influences. Gastroenterology 2004;142:46-54. 3 Brant SR. Promises, delivery, and challenges of inflammatory bowel disease risk gene discovery. Clin Gastroenterol Hepatol 2013;11:22-6. IBD HIGHLIGHTS Alimenti, microbiota e infiammazione: la tempesta perfetta nelle malattie infiammatorie intestinali 4 5 6 Ogura Y, Bonen DK, Inohara N, et al. A frameshift mutation in NOD2 asoociated with susceptibility to Crohn’s disease. Nature 2001;411:603-6. Turnabaugh P, Ridaura VK, Faith JJ, et al. The effect of diet on the human gut microbiome: a metagenomic analysis in humanized gnotobiotic mice. Sci Transl Med 2009;1:6-14. Chapman-Kiddell CA, Davies PSW, Gillen L, et al. Role of diet in the development of inflammatory bowel disease. Inflamm Bowel Dis 2010;16:137-51. 7 8 Molodecky NA, Soon IS, Rabi DM, et al. Increasing incidence and prevalence of the inflammatory bowel diseases with time, based on systematic review. Gastroenterology 2012;142:4654. Devkota SD, Wang Y, Musch MW, et al. Dietary-fat-induced taurocholic acid promotes pathobiont expansion and colitis in Il10−/− mice. Nature 2012;487:104-8. 9 Erickson AR, Cantarel BL, Lamendella R, et al. Integrated metagenomics/metaproteomics reveals human host-microbiota signatures of Crohn’s disease. PLoS ONE 2012;7:e49138. 10 Levine A, Wine E. Effects of enteral nutrition on Crohn’s disease: clues to the impact of diet on disease pathogenesis. Inflamm Bowel Dis 2013;19:1322-9. • Le malattie infiammatorie intestinali sono disturbi cronici multifattoriali del tratto gastrointestinale, risultato dell’inte- razione tra predisposizione genetica, microbiota intestinale, fattori ambientali e sistema immunitario. • La dieta gioca un ruolo fondamentale sia indirettamente, modulando la struttura e funzione del microbiota intestinale, che direttamente tramite nutrienti e composti chimici che agiscono da veri e propri antigeni che stimolano la risposta immune del soggetto. • Una dieta ricca di grassi, carni rosse e carboidrati raffinati e povera di vegetali, frutta e pesce (la cosiddetta “western diet”) ha un effetto diretto sul sistema immunitario dell’ospite ed è causa di disbiosi. • Numerosi studi effettuati su modelli animali hanno dimostrato come la prevalenza di determinati batteri in un contesto di predisposizione genetica sia in grado di portare all’insorgenza di malattia e determinarne il fenotipo. 121