CAPITOLO
C. Azzolini, P. Chelazzi
Ottica e vizi di refrazione
OTTICA
L’ottica è il capitolo della fisica che descrive il comportamento e le proprietà della luce nonché l’interazione della
luce con la materia. L’ottica studia il comportamento
delle radiazioni con frequenze nell’ambito del visibile,
dell’infrarosso e dell’ultravioletto. Sebbene nell’elettromagnetismo classico la luce sia descritta come un’onda,
l’avvento della meccanica quantistica agli inizi del ventesimo secolo ha permesso di capire come la luce possieda
anche proprietà tipiche delle particelle; per questo nella
fisica moderna la luce viene descritta come composta da
quanti del campo elettromagnetico chiamati fotoni.
La luce
Il termine “luce” si riferisce alla porzione dello spettro
elettromagnetico visibile dall’occhio umano, cioè capace
di stimolare i fotorecettori retinici (coni e bastoncelli),
consentendo la visione di tutto ciò che ci circonda. La
porzione visibile dello spettro elettromagnetico ha una
lunghezza d’onda compresa tra 400 e 700 nm. I limiti dello
spettro visibile per l’occhio umano non sono uguali per
tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono
raggiungere i 380 nm, avvicinandosi agli ultravioletti, e i
730 nm, avvicinandosi agli infrarossi.
Le frequenze immediatamente al di fuori dello spettro visibile percepibili dall’occhio umano sono quelle
dell’ultravioletto (UV) e dell’infrarosso (IR). Entrambe
le frequenze non possono essere viste dagli esseri umani,
anche se la radiazione infrarossa è percepita dai recettori
della cute come calore, mentre una sovraesposizione alla
radiazione ultravioletta viene percepita come scottatura.
La luce visibile è quindi una porzione dello spettro elettromagnetico caratterizzata da una lunghezza d’onda e da
una frequenza che obbediscono alla seguente relazione:
  {/f}, dove  è la lunghezza d’onda,  è la velocità
nel mezzo considerato, f è la frequenza della radiazione.
La luce si propaga a una velocità finita, il cui valore viene
arrotondato a 300.000 km/sec.
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Numerose sono state le teorie formulate nel corso del
tempo per spiegare il fenomeno luminoso e i suoi comportamenti.
l Teoria corpuscolare: formulata da Newton nel diciassettesimo secolo, considerava la luce come un insieme
di piccole particelle di materia (corpuscoli) emesse in
tutte le direzioni. Oltre che essere matematicamente
molto semplice, questa teoria spiegava facilmente alcune caratteristiche della propagazione della luce, come
la riflessione e la refrazione.
l Teoria ondulatoria: formulata da Huygens nel 1678,
considerava la luce come un’onda che si propaga in un
mezzo, l’etere, presente in tutto l’universo e formato
da microscopiche particelle elastiche. La teoria ondulatoria della luce permetteva di spiegare molti altri
fenomeni oltre alla riflessione e alla refrazione, come
per esempio la birifrangenza nei cristalli di calcite, la
diffrazione e l’interferenza.
l Teoria elettromagnetica: proposta da Maxwell alla fine
del diciannovesimo secolo, dopo la constatazione della
coincidenza tra velocità di propagazione delle onde
elettromagnetiche e velocità della luce nel vuoto. La
luce non è altro che un fenomeno di natura elettromagnetica, ossia le onde di lunghezza tra 400 e 700 nm
sono percepite come luce dal nostro occhio. Gli studi
di Maxwell hanno permesso di unificare i fenomeni
elettrici, magnetici e ottici.
l Teoria quantistica: Planck, nel 1900, riuscì a interpretare il dualismo onda-particella sviluppando la teoria
quantistica, secondo la quale la luce è costituita da un
insieme di piccole particelle energetiche non divisibili,
chiamate quanti o fotoni, che si propagano come onde
elettromagnetiche.
Nel 1905 Einstein sviluppò la teoria della relatività, rendendo superflua l’ipotesi dell’esistenza dell’etere proposta
da Huygens. La risoluzione del problema della luce come
particella o come onda si definì pochi anni dopo con lo
sviluppo della meccanica quantistica, che spiegò come
la luce si comporti sia da particella sia da onda elettromagnetica.
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Sezione I • Generalità
Le differenti lunghezze d’onda vengono interpretate dal
cervello come colori, che vanno dal violetto delle lunghezze
d’onda più brevi al rosso delle lunghezze d’onda più ampie. A ogni lunghezza d’onda è associabile un colore, ma
non a tutti i colori si può associare una lunghezza d’onda.
Quei colori a cui non sono associate lunghezze d’onda
sono generati dal meccanismo di funzionamento del nostro apparato visivo. Se due diverse onde monocromatiche sollecitano contemporaneamente la retina, il cervello
interpreta questa sollecitazione come un nuovo colore,
determinato dalla somma dei due originari.
raggi arrivano parallelamente (si considerano paralleli i raggi
provenienti da distanze maggiori di 6 m). Il punto in cui i
raggi convergenti o divergenti si incontrano è detto fuoco.
Quando un fascio di raggi luminosi incontra la superficie di
un oggetto si possono verificare due fenomeni (Figura 5.1).
l Riflessione: i raggi non attraversano l’oggetto, ma vengono riflessi (caso dei corpi opachi).
l Refrazione: i raggi attraversano l’oggetto subendo una
deviazione (caso dei corpi trasparenti).
RIFLESSIONE
Quando l’energia radiante incide su una superficie piana
che separa due mezzi, la somma delle quantità di energia
rispettivamente assorbita, riflessa e trasmessa, per la legge
di conservazione dell’energia, è uguale alla quantità di
energia incidente.
La riflessione di onde elettromagnetiche è regolata da due
leggi fondamentali (leggi di Fresnel):
l Il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla
superficie giacciono sullo stesso piano.
l L’angolo di incidenza e quello di riflessione sono uguali.
(Ciò avviene perché le due onde viaggiano con la stessa
velocità nello stesso mezzo).
Riflessione e refrazione
Quando la luce si diffonde su un oggetto può essere riflessa
da questo, può attraversarlo o può essere assorbita. Gli oggetti che sono attraversati dalla luce sono detti “trasparenti”
(per esempio, aria, vetro), quelli che lasciano passare la
luce in maniera scarsa sono detti “traslucidi” (per esempio,
vetro smerigliato), quelli che non lasciano passare la luce
sono detti “opachi”. La visibilità degli oggetti dipende dalla
riflessione o dall’assorbimento della luce sulle loro superfici.
La luce, attraversando un mezzo trasparente e omogeneo,
si propaga in maniera rettilinea sotto forma di raggi (un
insieme di raggi forma un fascio di luce). I raggi del fascio
possono essere paralleli, divergenti o convergenti. Quando la
sorgente luminosa è vicina, i raggi che giungono alla superficie corneale sono divergenti, mentre se la sorgente è lontana i
REFRAZIONE
La refrazione è la deviazione subita da un fascio di raggi
luminosi quando questo passa da un mezzo fisico a un altro
con differente velocità di propagazione. Comunemente il
n1
P
n2
θ1
O
θ2
θ3
Interfaccia
S
Q
FIGURA 5.1 Un raggio di luce incidente PO colpisce al punto O l’interfaccia tra due mezzi con indici di refrazione n1 e n2. Parte
del raggio viene riflessa come raggio OQ e parte viene refratta seguendo la traiettoria OS. Gli angoli che l’onda incidente, riflessa
e refratta formano con la normale all’interfaccia sono, rispettivamente, 1, 2 e 3.
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Capitolo 5 • Ottica e vizi di refrazione
fenomeno si osserva quando un fascio di raggi luminosi
passa da un mezzo a un altro dotato di una diversa densità
ottica. Il rapporto tra la velocità della luce nell’aria e la sua
velocità in un mezzo trasparente prende il nome di indice
di refrazione del mezzo, secondo la seguente formula:
l
 velocità nell’aria 
Indice di refrazione n = 

 velocità nel mezzo 
Il comune vetro da occhiali ha un indice di refrazione di
1,5 (Tabella 5.1): ciò significa che, passando dall’aria al
vetro, la velocità della luce viene ridotta di circa un terzo.
Più l’indice di refrazione è alto, più il mezzo è denso e
maggiore è il rallentamento subito dalla luce.
Un raggio di luce subisce solo un rallentamento quando
passa da un mezzo trasparente a un altro con decorso perpendicolare alla superficie di separazione dei due mezzi. Se
invece il raggio attraversa i mezzi formando un angolo con
la perpendicolare alla superficie di separazione dei due
mezzi (angolo di incidenza), risulta deviato, cioè refratto,
e forma con la perpendicolare un angolo di refrazione che
è diverso da quello di incidenza (si veda la Figura 5.1).
La refrazione è regolata da tre leggi fondamentali.
l Il raggio incidente, il raggio refratto e la normale alla
superficie giacciono sullo stesso piano.
l Il raggio refratto si avvicina alla normale se passa in un
mezzo più denso; viceversa, se ne allontana se passa in
un mezzo meno denso.
Tabella 5.1 Indice di refrazione di alcuni comuni
materiali
Materiale
n
Aria
Acqua
Vetro
1
1,33
1,5-1,9
Il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno
dell’angolo di refrazione è uguale al rapporto tra l’indice di refrazione del secondo mezzo, attraversato dal
raggio refratto, e l’indice di refrazione del primo mezzo,
attraversato dal raggio incidente (legge della refrazione
di Snell):
 sen

 sen
1
3
  n2 
= 
  n1 
Se il primo mezzo è costituito dall’aria (n  1), il rapporto
tra i seni dell’angolo di incidenza e di refrazione è uguale
all’indice di refrazione del secondo mezzo. Il percorso
di un raggio luminoso resta sempre lo stesso, quale che
sia la direzione in cui la luce si muova (simmetria della
legge di Snell).
Refrazione della luce attraverso i prismi
I prismi sono mezzi trasparenti delimitati da due superfici
piane, ma non parallele, che si intersecano a formare un
angolo rifrangente. Le superfici si intersecano all’apice, la
parte opposta è la base. Un prisma ha le seguenti proprietà.
l Un fascio di raggi luminosi che attraversa un prisma
subisce una deviazione verso la sua base in maniera
direttamente proporzionale all’angolo rifrangente, generando un fenomeno di spostamento apparente di un
oggetto verso l’apice del prisma (Figura 5.2).
l Un fascio di luce bianca che attraversa un prisma viene
suddiviso, per il fenomeno della dispersione, nei colori
base che lo compongono. I raggi luminosi a maggiore
lunghezza d’onda (infrarosso) sono deviati verso la
base in misura minore dei raggi con minore lunghezza
d’onda (blu-violetto) (Figura 5.3).
I prismi a superficie piana sono utilizzati a scopo diagnostico, mentre quelli a superficie curva sono impiegati a scopo
terapeutico (come le lenti prismatiche per la correzione
O’
n1
N
55
A
n1
N
r
e
i
I
O
n1
n2
FIGURA 5.2 Deviazione della luce attraverso un prisma. Osservando i raggi di luce dal punto I questi sembrano provenire dal
punto OI, generando un fenomeno di spostamento apparente dei raggi luminosi verso l’apice del prisma A. (i: raggio incidente;
r: raggio refratto; e: raggio emergente; N: normale; A: apice del prisma; O: oggetto reale; OI: oggetto apparente; l: occhio).
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Sezione I • Generalità
n1
n1
n2
FIGURA 5.3 Dispersione della luce che attraversa un prisma.
della diplopia). L’unità di misura della lente prismatica è
la diottria prismatica, cioè la capacità di spostare di 1 cm
un raggio luminoso posto alla distanza di 1 m.
Diottro
Un diottro è un sistema ottico costituito da due mezzi omogenei, trasparenti e con diverso indice di refrazione; se la
superficie di separazione tra i due mezzi è una porzione di
sfera, il diottro si dice “sferico”, se invece è piana, il diottro
si dice “piano”. Dato un sistema ottico, la conoscenza di
pochi punti, detti punti principali, permette di costruire
l’immagine di un qualsiasi oggetto. Per il diottro sferico
sono da considerare:
l Vertice (V).
l Raggio di curvatura (r).
l Centro di curvatura (C): ogni raggio proveniente
dall’infinito non viene deviato attraversando la calotta
sferica se passa per C.
l Fuoco principale: è il punto immagine in cui convergono i raggi paralleli all’asse principale o i loro prolungamenti provenienti da un oggetto posto all’infinito.
l Fuoco secondario: è il punto oggetto posto a una distanza finita dal vertice V la cui immagine viene a formarsi
all’infinito.
l Distanze focali: sono quella tra il fuoco principale F e il
vertice V e quella tra il fuoco secondario e il vertice V.
l Coppia dei punti coniugati: è costituita dal punto oggetto e dal punto immagine.
l Asse principale: linea passante per i punti V-C-F.
Se si assume che la luce provenga da sinistra rispetto
al vertice V un diottro si presenterà convesso quando il
centro di curvatura C è a destra di V, concavo quando C
è a sinistra di V. Un diottro è convergente o divergente a
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seconda degli indici di refrazione dei mezzi attraversati. Sarà
convesso convergente se il mezzo con indice di refrazione
minore è il primo a essere attraversato, mentre sarà convesso
divergente se il mezzo con indice di refrazione minore è il
secondo a essere attraversato. È esattamente l’opposto per i
diottri concavi. Nel diottri convergenti il fuoco è reale perché
formato dalla convergenza dei raggi stessi, mentre in quelli
divergenti il fuoco è virtuale perché formato dai prolungamenti dei raggi. In tutti i casi sia che si tratti di fuoco reale
che virtuale ci si riferisce al fuoco principale (Figura 5.4).
Vergenza e diottria
La vergenza esprime la misura dell’inverso della distanza
che separa una sezione di un fascio di raggi luminosi dal
loro fuoco. Più vicino è il fuoco, maggiore è la vergenza
e viceversa. Quando invece i raggi sono paralleli, cioè
provenienti dall’infinito, la vergenza si dice “nulla”. La
vergenza è detta “positiva” se i raggi sono convergenti,
“negativa” quando i raggi sono divergenti.
L’unità di misura della vergenza è la diottria (D) che esprime l’inverso della distanza focale (f) espressa in metri:
 1 
D =
 
 f 
Se ne ricava che l’inverso della potenza del diottro è la
distanza focale espressa in metri:
 1 
f = 
 D 
Se ne può quindi dedurre che quanto più elevato è il potere
diottrico di un sistema, tanto più ridotta è la distanza focale
e viceversa. Per esempio, se D  5 si avrà che f  {1⁄5}
20 cm, mentre se D  2, f  {1⁄2}   50 cm.
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Capitolo 5 • Ottica e vizi di refrazione
Convesso convergente
Concavo convergente
r
n1
r
n1
n2
C
V
F
n2
C
F
V
n 1< n 2
n 1> n 2
Convesso divergente
Concavo divergente
r
n1
F
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r
n2
V
C
n 1> n 2
n1
F
C
n2
V
n 1< n 2
FIGURA 5.4 Principali diottri (per la spiegazione si veda il testo).
L’occhio come sistema ottico
Elementi fondamentali del sistema ottico dell’occhio sono:
l’indice di refrazione dei mezzi, pari a 1,33 per l’umore acqueo e il corpo vitreo; la lunghezza media dell’occhio, che
varia tra 23 e 24 mm; la distanza tra la superficie anteriore
della cornea e la superficie anteriore del cristallino (3,5 mm);
la distanza tra la superficie posteriore del cristallino e la retina
(17 mm). Il punto nodale dell’occhio è situato sulla superficie
posteriore del cristallino a 17 mm dalla retina; è assimilabile
al centro ottico di una lente sferica e i raggi luminosi che vi
passano non subiscono, quindi, alcuna deviazione.
L’occhio è formato da una successione di diottri costituiti
dalle sue superfici e dai suoi mezzi rifrangenti.
l1° diottro: aria-superficie anteriore corneale; convesso,
convergente, con raggio di curvatura di 8 mm.
l2° diottro: superficie posteriore corneale-umore acqueo;
convesso e neutro perché i due mezzi hanno uguale indice di refrazione, con raggio di curvatura di 7 mm.
l3° diottro: umore acqueo-superficie anteriore del cristallino; convesso e convergente, con raggio di curvatura di 10 mm.
l4° diottro: superficie posteriore del cristallino-corpo
vitreo; concavo e convergente, con raggio di curvatura
di 6 mm.
I diottri oculari effettivi sono quindi tre, in quanto il 2°
diottro è neutro. Nel soggetto normale il potere diottrico
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oculare è pari a circa  60 D, di cui 40-45 corneali e 15-20
del cristallino. Il potere diottrico totale oculare determina la convergenza dei raggi paralleli provenienti da una
distanza superiore ai 6 m in un fuoco situato sulla retina
a circa 23-24 mm dall’apice corneale (lunghezza assiale).
L’occhio umano non è un sistema ottico perfetto e, come
tale, presenta difetti fisiologici rappresentati da vari tipi
di aberrazioni ottiche, cioè deformazioni della forma o
del colore dell’immagine.
l Aberrazione di sfericità: i raggi di un fascio luminoso
che attraversano l’occhio non convergono tutti in un
unico punto, ma quelli periferici sono maggiormente
refratti. Questa aberrazione rende imprecisi e sfumati
i bordi delle immagini.
l Aberrazione cromatica: i raggi luminosi a minore lunghezza d’onda (violetti) subiscono una refrazione maggiore dei raggi a maggiore lunghezza d’onda (rossi).
Nell’occhio emmetrope il fuoco dei raggi violetti si
forma quindi davanti alla retina, mentre quello dei raggi
rossi si forma dietro alla retina. Questa aberrazione
altera poco la visione, poiché l’occhio privilegia comunque la convergenza sulla retina delle lunghezze d’onda
intermedie (giallo-verde), a cui è più sensibile.
l Astigmatismo per incidenza obliqua: i raggi provenienti da
un punto situato eccentricamente all’asse ottico generano
un fuoco che non è più costituito da un punto, ma da due
linee focali. La forma parabolica della superficie anteriore
del cristallino contribuisce a correggere questo difetto.
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Sezione I • Generalità
Accomodazione
Nell’occhio emmetrope i raggi divergenti provenienti
dall’infinito formano il loro fuoco sulla retina, mentre
quelli provenienti da un oggetto vicino formano il loro
fuoco dietro alla retina. In quest’ultimo caso, per mettere
a fuoco sulla retina l’immagine degli oggetti vicini, interviene l’accomodazione.
Il meccanismo dell’accomodazione si basa sulla contrazione del muscolo ciliare con conseguente diminuzione
della tensione delle fibre zonulari inserite sulla capsula del
cristallino. Quest’ultimo modifica il suo raggio di curvatura da 10 a 6 mm, aumentando il suo potere diottrico e
permettendo di creare sulla retina immagini a fuoco di
oggetti posti a distanza diversa dal punto remoto.
L’accomodazione è regolata dall’azione antagonista del parasimpatico per la messa a fuoco per vicino e dal simpatico
per la messa a fuoco per lontano. Il riflesso accomodativo è
scatenato da precisi stimoli quali lo sfuocamento delle immagini retiniche, la percezione della vicinanza dell’oggetto e
la convergenza dei bulbi oculari nella visione per vicino. Esiste inoltre il “riflesso accomodazione-convergenza-miosi”
regolato dal III nervo cranico: oltre all’accomodazione, la
convergenza permette all’immagine di un punto di focalizzarsi sulla fovea di entrambi gli occhi, mentre la miosi
aumenta la profondità di campo.
Durante l’accomodazione si verificano molti fenomeni:
aumento della curvatura del cristallino, aumento del potere diottrico refrattivo, avvicinamento della superficie
anteriore del cristallino alla cornea, aumento dello spessore del cristallino e suo spostamento inferiore.
Il punto remoto è il punto più lontano in cui l’occhio, in
condizioni di riposo accomodativo, riesce a percepire
distintamente un oggetto. Il punto prossimo è il punto
più vicino in cui l’occhio, in condizioni di massimo sforzo accomodativo, può vedere distintamente un oggetto.
L’estensione accomodativa è l’intervallo tra punto prossimo e punto remoto, mentre l’ampiezza accomodativa,
misurata in diottrie, è la differenza tra il potere refrattivo
dell’occhio a riposo e quello dell’occhio nel massimo
sforzo accomodativo. Con l’età si ha una diminuzione
dell’ampiezza accomodativa con progressivo allontanamento del punto prossimo (si veda Presbiopia).
Lenti
Le lenti sono elementi ottici che consentono di modificare
il percorso dei raggi luminosi al fine di focalizzarli correttamente sulla retina. Esistono tre gruppi principali di lenti:
sferiche, cilindriche e prismatiche (Figura 5.5).
l Lenti sferiche: sono delimitate da superfici sferiche convesse o concave o da una superficie sferica e da una
piana. Vengono classificate in:
– convergenti: dette anche “positive” o “convesse”, fanno
confluire tutti i raggi in un punto detto “fuoco”; sono
più spesse al centro che alla periferia e possono essere
biconvesse, piano-convesse o concavo-convesse.
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Lente sferica convergente
Lente sferica divergente
Lente cilindrica
Lente prismatica
FIGURA 5.5 Principali gruppi di lenti.
– divergenti: dette anche “negative” o “concave”, fanno
divergere i raggi che le attraversano come se questi
provenissero da un punto virtuale detto “fuoco”;
sono più spesse in periferia che al centro e possono
essere biconcave, piano-concave o concavo-convesse.
l Lenti cilindriche: sono caratterizzate da una faccia piana, mentre l’altra è una superficie convessa o concava.
La superficie curva di queste lenti, a differenza di quella
delle lenti sferiche, ha una curvatura variabile che è
massima in corrispondenza della sezione trasversale
del cilindro, assente in corrispondenza della sezione
longitudinale e variabile in modo progressivo nelle sezioni intermedie. Queste lenti hanno la proprietà di far
sì che un oggetto puntiforme non formi un’immagine
puntiforme, ma lineare.
l Lenti prismatiche: sono costituite da due superfici piane
o curve (a seconda che la lente sia usata a scopo diagnostico o terapeutico), che si incontrano in un apice e in
una base. L’indicazione principale di queste lenti è la
correzione della diplopia.
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Capitolo 5 • Ottica e vizi di refrazione
Le lenti non sono sistemi ottici perfetti e possono quindi
presentare, così come l’occhio, difetti detti aberrazioni,
di cui le principali sono quella sferica e quella cromatica.
L’aberrazione sferica è un difetto che produce la formazione di un’immagine distorta quando vengono utilizzate
lenti sferiche; le porzioni periferiche di queste lenti hanno,
infatti, un potere refrattivo maggiore di quelle centrali e i
raggi saranno, pertanto, maggiormente refratti in periferia,
causando deformazioni dell’immagine. L’aberrazione cromatica è un difetto nella formazione dell’immagine dovuta
al differente indice di refrazione delle diverse lunghezze
d’onda che compongono la luce che attraversa la lente; si
formano quindi immagini che presentano ai bordi aloni
colorati. Non esiste aberrazione cromatica nel caso di un
raggio di luce monocromatico.
Lenti a contatto
Le lenti a contatto sono dispositivi medici a forma di
piccola calotta trasparente che vengono applicati sulla
superficie oculare per correggere i difetti di refrazione.
Presentano molti vantaggi, ma possono non essere tollerate soprattutto perché causano ipossia corneale. Per questo
motivo occorre considerare i coefficienti di permeabilità
e di trasmissibilità all’ossigeno della lente, che sono influenzati dal materiale e dallo spessore della lente stessa.
Le lenti a contatto possono essere rigide (polimeri vetrosi)
o morbide (polimeri gommosi), con differenti indicazioni
all’uso:
l Lenti a contatto rigide: vengono costruite sia con un materiale non permeabile all’ossigeno sia con materiali permeabili. Le lenti “non gas-permeabili” sono costituite
da PMMA (polimetilmetacrilato), materiale stabile,
duro, con elevata qualità ottica, non modificabile da
enzimi organici e ben tollerato dai tessuti; non assorbe acqua e lega scarsamente le sostanze contenute nel
film lacrimale. Quelle “gas-permeabili” o “semi-rigide”
possono essere costituite da CAB (acetobutirrato di cellulosa), che aumenta la flessibilità del polimero ma che
richiede un aumentato spessore della lente, il che comporta una riduzione della trasmissibilità all’ossigeno.
Per ovviare a questo problema al CAB è stato aggiunto
un copolimero di silossano. Le lenti “gas-permeabili”
di ultima generazione utilizzano fluoroacrilati che consentono una riduzione del coefficiente di attrito fra
palpebra e lente aumentando il comfort, diminuendo
la formazione di depositi proteici e permettendo di
ridurre lo spessore della lente.
l Lenti a contatto morbide: vengono prodotte utilizzando
polimeri con caratteristiche fisiche di morbidezza e sono
distinte principalmente in non idrofile e idrofile. Quelle
“non idrofile” sono costituite da silicone, mentre quelle
“idrofile” sono formate da polimeri legati a quantità variabili di acqua. Il livello di idratazione influenza, aumentandola, la trasmissibilità all’ossigeno, che resta comunque modesta a causa dello spessore della lente. Le lenti
morbide di ultima generazione a media-alta idratazione
(disposable o “usa-e-getta”) hanno un ridotto spessore e
quindi una migliore trasmissibilità all’ossigeno.
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VIZI DI REFRAZIONE O AMETROPIE
Viene definito emmetrope l’occhio in cui i raggi provenienti da una distanza infinita vanno distintamente a
fuoco sulla fovea in condizioni di riposo accomodativo.
Nell’ametropia, invece, il fuoco cade su un piano anteriore
o posteriore rispetto a quello retinico e sulla retina ogni
punto oggetto non forma un punto immagine, ma un
cerchio di diffusione.
Le ametropie possono essere sferiche o astigmatiche. Nelle
ametropie sferiche, rappresentate dalla miopia e dall’ipermetropia, l’immagine di un punto oggetto forma un punto
immagine, ma il fuoco non coincide con il piano retinico
(Figura 5.6). Nelle ametropie astigmatiche, rappresentate da
un’alterazione di curvatura della superficie corneale, l’immagine di un punto oggetto non forma mai un punto immagine,
ma due linee focali perpendicolari tra loro (Figura 5.7).
Miopia
Emmetropia
Ipermetropia
FIGURA 5.6 Rappresentazione schematica di un bulbo oculare
miope, emmetrope e ipermetrope.
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Sezione I • Generalità
Astigmatismo
secondo regola
Astigmatismo
contro regola
Miopico semplice
Ipermetropico semplice
Miopico composto
Ipermetropico composto
Misto
FIGURA 5.7 Differenti tipi di astigmatismo.
Si definisce anisometropia la condizione in cui i due occhi
hanno una refrazione diversa, come un occhio emmetrope e
l’altro ametrope, oppure il tipo o il grado di ametropia sono
diversi nei due occhi. Quando l’ametropia supera le 3 D
si possono sviluppare complicanze quali l’ambliopia (“occhio pigro”), ossia la riduzione più o meno marcata della
capacità visiva di un occhio o, più raramente, di entrambi.
Per riconoscere e trattare le diverse ametropie, così come
la presbiopia, è necessario sottoporsi a visite oculistiche
periodiche nel corso della vita. Nei neonati l’oculista può
riscontrare precocemente eventuali malattie congenite,
mentre attorno ai 3 anni si devono escludere difetti visivi
che, se non riconosciuti, possono portare allo sviluppo di
ambliopie anche gravi. Visite oculistiche prima dell’inizio
della scuola, in età adolescenziale e in previsione dell’esame della patente devono essere eseguite per verificare
l’andamento dei vizi di refrazione, ove presenti.
Miopia
La miopia è il vizio refrattivo più diffuso, coinvolgendo il 30-35% della popolazione mondiale. Nel miope,
in condizioni di riposo accomodativo, i raggi luminosi
paralleli provenienti dall’infinito vanno a fuoco in un
punto davanti alla retina. La conseguenza è che il punto
remoto, cioè il punto più lontano dell’occhio a cui vi è
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una visione nitida senza l’utilizzo di accomodazione,
è posto a una distanza finita, anziché all’infinito come
nell’occhio emmetrope.
L’eziologia appare multifattoriale e ancora controversa,
tuttavia studi scientifici hanno dimostrato l’influenza di
fattori ereditari e ambientali (familiarità ed eccessivo
utilizzo della vista per vicino).
L’entità della miopia si misura in diottrie. Una miopia
fino a 3,00 D viene considerata miopia lieve, da 3,00 a
6,00 D media, maggiore di 6,00 D elevata. La distanza
massima a cui un soggetto riesce a vedere nitidamente è
inversamente proporzionale al grado di miopia.
Esistono vari tipi di miopia: assile, refrattiva, transitoria
e congenita.
La miopia assile deriva da un aumento di lunghezza
dell’asse antero-posteriore dell’occhio. È la forma più
frequente, esordisce in età scolare, progredisce alla pubertà e si arresta in genere dopo i 20 anni. I pazienti affetti
da miopia assile sono soliti raggiungere un’ottima acuità
visiva con lenti correttive. È invece meno frequente la
forma di miopia “progressiva” o “maligna” in cui l’allungamento dell’asse antero-posteriore bulbare può continuare per tutta la vita con valori anche superiori alle 20
diottrie. In queste forme progressive si osservano, inoltre,
alterazioni a carico del vitreo, della coroide e della retina.
Questi pazienti presentano un visus molto variabile e
spesso molto ridotto.
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Capitolo 5 • Ottica e vizi di refrazione
Miopia
Ipermetropia
Astigmatismo
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Lente sferica divergente
Lente sferica convergente
Lente cilindrica
FIGURA 5.8 Correzione delle differenti ametropie.
La miopia refrattiva comprende le forme dovute all’aumento dell’indice di refrazione del cristallino (cataratta
nucleare), all’aumento della curvatura della cornea o del
cristallino (cheratocono, sferofachia) o allo spostamento
anteriore del cristallino.
Le miopie transitorie sono secondarie a variazioni temporanee degli indici di refrazione o della curvatura delle
superfici. Possono essere secondarie alla somministrazione di farmaci (quali cortisonici, acido acetilsalicilico,
sulfamidici o acetazolamide), a iperglicemia o a traumi
del bulbo oculare.
Le miopie congenite, già presenti alla nascita e di entità
molto variabile, possono essere associate ad alterazioni
del fondo oculare, a nistagmo e ad ambliopia. Spesso
è difficile porre la diagnosi differenziale tra una miopia
congenita e una acquisita.
Nel miope la visione per vicino è conservata ed è necessaria un’accomodazione inferiore rispetto a un soggetto normale. Nella miopia lieve non corretta possono
comparire disturbi astenopeici legati alla dissociazione
tra accomodazione e convergenza perché il miope, nella
visione da vicino, deve convergere senza accomodare. Per
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un soggetto con miopia non corretta l’unica possibilità di
migliorare la visione per lontano è quella di aumentare la
profondità di campo socchiudendo le palpebre.
La correzione della miopia prevede l’utilizzo di lenti divergenti (o negative) che riportano il piano immagine sulla
retina (Figura 5.8). Le lenti possono essere montate su
occhiali o posizionate a contatto sulla superficie corneale.
Queste ultime sono indicate soprattutto nelle miopie elevate per evitare il fenomeno del rimpicciolimento delle
immagini retiniche dovuto agli occhiali. La correzione della
miopia può anche essere effettuata con tecniche chirurgiche, come riportato nel Capitolo 24 (Chirurgia refrattiva).
Ipermetropia
L’ipermetropia è un vizio refrattivo in cui, in condizioni
di riposo accomodativo, i raggi luminosi paralleli provenienti dall’infinito convergono su un fuoco situato dietro
alla retina. Di conseguenza si formano cerchi di diffusione
sulla retina e le immagini risultano sfuocate e sempre più
piccole che nell’emmetrope.
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Sezione I • Generalità
Colpisce circa il 20% della popolazione mondiale e si
può classificare come lieve se il difetto non supera 1,5 D,
media fino a 4 D ed elevata oltre le 4 D.
Esistono vari tipi di ipermetropia: assile, refrattiva, transitoria e congenita. L’ipermetropia assile deriva da una riduzione di lunghezza dell’asse antero-posteriore dell’occhio.
Il bulbo oculare, fisiologicamente ipermetrope di 2-3 D
alla nascita, non si accresce completamente in lunghezza
rimanendo, di conseguenza, ipermetrope. Altre cause di
ipermetropia assile sono rappresentate da processi patologici che spostano meccanicamente in avanti la fovea,
come per esempio i tumori retrobulbari o i sollevamenti
del neuroepitelio retinico o l’edema maculare.
L’ipermetropia refrattiva è secondaria a modificazioni
dell’indice di refrazione dei diottri oculari (per esempio, in
soggetti di età avanzata, a causa di alterazioni morfologiche
della corticale del cristallino), ad alterazione del raggio di
curvatura corneale (cheratopatie) o a un alterato rapporto
anatomico tra i mezzi diottrici (dovuto, per esempio, a
lussazione o ad afachia post-traumatica o chirurgica).
L’ipermetropia transitoria è causata da variazioni temporanee
degli indici di refrazione o della curvatura delle superfici
oculari, come in caso di brusche variazioni della glicemia, in
seguito a somministrazioni di farmaci o per traumi bulbari.
L’ipermetropia congenita è dovuta a un appianamento corneale (cornea plana), allo spostamento posteriore del cristallino (ectopia lentis) o alla sua assenza (afachia congenita).
Il soggetto con ipermetropia non corretta, a differenza del
miope, vede male sia per lontano sia per vicino. Nei casi lievi,
sfruttando però la propria capacità accomodativa, cioè incrementando il potere diottrico del cristallino, il fuoco principale può essere riportato sul piano retinico. L’ipermetropia
lieve non provoca disturbi, ma se supera una certa entità causa un affaticamento visivo dovuto allo sforzo accomodativo
necessario per leggere o lavorare da vicino. Nei casi più gravi
l’ipermetropia si accompagna ai classici disturbi astenopeici
quali dolenzia oculare, cefalea frontale e, a volte, congiuntiviti croniche o blefariti. L’eccessiva accomodazione può anche
portare a insufficienza del muscolo ciliare con transitori
annebbiamenti visivi. L’ipermetrope può compensare, entro
certi limiti, la sua ametropia e tale compensazione dipende
dal grado di accomodazione disponibile che, massima in età
giovanile, diminuisce con il passare degli anni.
L’ipermetropia si può correggere con lenti convergenti
(o positive) (si veda la Figura 5.8), che vanno prescritte
quando l’errore di refrazione causa riduzione del visus,
astenopia accomodativa o anomalie dell’equilibrio muscolare. Come per la miopia, anche l’ipermetropia può essere
corretta con occhiali o con lenti a contatto. La correzione
dell’ipermetropia può anche essere effettuata con tecniche
chirurgiche, come descritto nel Capitolo 24.
Astigmatismo
L’astigmatismo è un’ametropia in cui vi è un differente potere refrattivo dei meridiani corneali principali che sono
perpendicolari tra loro. Ciò perché le superfici refrattive
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oculari non possiedono una morfologia sferica ma torica,
ovvero hanno diverso raggio di curvatura. Nell’occhio
astigmatico un punto oggetto non dà luogo a un punto immagine sulla retina, ma a un’immagine complessa,
detta “conoide di Sturm”, delimitata da due linee focali
perpendicolari tra loro e separate da un intervallo focale.
Un certo grado di astigmatismo corneale è fisiologico (mediamente 0,50 D); esso è dovuto alla pressione palpebrale
che genera un lieve appiattimento del profilo corneale ed
è compensato dall’astigmatismo intraoculare fisiologico
del cristallino.
Le cause dell’astigmatismo possono essere imputabili alla
cornea o al cristallino.
L’astigmatismo corneale si distingue in regolare, dovuto alla conformazione della cornea con differenti valori
di curvatura in corrispondenza dei suoi due meridiani
principali ortogonali, e irregolare, secondario in genere
a processi cicatriziali (post-traumatici o post-flogistici) o
degenerativi (cheratocono) in cui non si possono distinguere i meridiani principali.
L’astigmatismo del cristallino, meno frequente, è causato da una non perfetta sfericità delle sue superfici. Può
anche essere secondario a sublussazione o a ectopia del
cristallino, congenite o acquisite, oppure a cataratta o a
diabete scompensato che alterino l’indice di refrazione
del cristallino nei suoi differenti settori.
A seconda dell’orientamento del meridiano corneale più
curvo, l’astigmatismo viene classificato in:
l Astigmatismo secondo regola, nel quale il meridiano più
curvo è quello verticale.
l Astigmatismo contro regola, nel quale il meridiano più
curvo è quello orizzontale.
Si distingono, inoltre, differenti tipi di astigmatismo a seconda delle posizioni delle linee focali rispetto alla retina
(si veda la Figura 5.7):
l Semplice, se una delle linee focali cade sulla retina,
mentre l’altra può essere situata rispettivamente davanti
alla retina, nell’astigmatismo miopico semplice, o dietro
alla retina, nell’astigmatismo ipermetropico semplice.
l Composto, se nessuna delle due linee focali cade sulla retina; se sono entrambe davanti alla retina si ha
l’astigmatismo miopico composto, se sono dietro si ha
l’astigmatismo ipermetropico composto.
l Misto, se una linea focale cade davanti alla retina e
l’altra dietro la retina.
Il grado di astigmatismo si esprime in diottrie. Viene definito lieve un astigmatismo fino a 1 D, medio da 1 a 3 D
ed elevato se superiore alle 3 D. Gli astigmatismi di grado lieve possono essere asintomatici oppure produrre
solo una modesta diminuzione del visus. Quelli di grado
medio-elevato, invece, oltre a causare difficoltà visive
provocano disturbi astenopeici, come affaticabilità visiva,
cefalea, bruciore e lacrimazione eccessiva, dovuti al continuo cambio di messa a fuoco (accomodazione) nel tentativo di ottenere sulla retina un’immagine il più nitida
possibile. In questi casi si manifesta tipicamente l’asso-
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Capitolo 5 • Ottica e vizi di refrazione
a
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b
FIGURA 5.9 (a) Presbiopia: un oggetto vicino non viene messo a fuoco sulla retina. (b) Presbiopia corretta con lente convergente
positiva.
ciazione astigmatismo-iperemia congiuntivale-blefarite.
Astigmatismi superiori alle 3 D presenti sin dalla prima
infanzia possono produrre, se non corretti, un’ambliopia
astigmatica determinata dallo sfuocamento permanente
delle immagini retiniche che impedisce il normale sviluppo funzionale delle vie nervose afferenti dall’occhio
al cervello. Per questo motivo, in un bambino l’astigmatismo deve essere corretto precocemente e totalmente al
fine di evitare l’insorgenza dell’ambliopia che, una volta
instauratasi, può essere irreversibile.
L’astigmatismo regolare può essere corretto con lenti
cilindriche positive o negative (occhiali o lenti a contatto),
associate all’occorrenza a lenti sferiche, con lo scopo di
riportare le due linee focali in un singolo punto focale
(si veda la Figura 5.8). L’astigmatismo irregolare, invece,
non può essere adeguatamente corretto con occhiali,
ma possono invece essere efficaci lenti a contatto rigide
gas-permeabili che sostituiscono la superficie irregolare
della cornea con la loro superficie sferica. Può essere utile
la chirurgia refrattiva, come discusso nel Capitolo 24.
Presbiopia
La presbiopia è un disturbo visivo di tipo dinamico dovuto alla progressiva perdita del potere di accomodazione.
L’occhio umano, infatti, con il passare degli anni va incontro a una fisiologica riduzione dell’ampiezza accomodativa dovuta sia a una diminuzione della plasticità del
cristallino, che perde acqua nella sua porzione centrale,
sia a modificazioni del muscolo ciliare.
Nel corso della vita si assiste, quindi, a un progressivo
allontanamento del punto prossimo che a 10 anni è a 7 cm
dall’apice corneale, a 40 anni a 30 cm, a 60 anni a 1 m.
Quando il punto prossimo si allontana oltre i 33 cm, che
è la distanza ottimale per la visione da vicino, ha inizio la
presbiopia (Figura 5.9a).
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L’epoca e le modalità di comparsa dei disturbi causati dalla presbiopia variano da soggetto a soggetto in
rapporto alle differenti condizioni refrattive. Nell’emmetrope la presbiopia compare intorno ai 42-45 anni. Il
soggetto incontra difficoltà a leggere e compensa aumentando la distanza di lettura. Il disturbo è più evidente alla
sera, quando la luce è attenuata, e può accompagnarsi a
bruciore e arrossamento degli occhi, mentre è minore al
mattino quando il muscolo ciliare è meno affaticato ed è
presente un’illuminazione più intensa che, attraverso la
miosi, fa aumentare la profondità di campo.
La presbiopia peggiora con l’età e raggiunge il suo massimo a circa 60 anni, quando la capacità accomodativa si è
completamente esaurita. Negli ipermetropi la presbiopia
si manifesta più precocemente, mentre nei miopi compare
più tardivamente o non si manifesta affatto. Anche la
miosi senile può consentire di evitare la correzione della
presbiopia, poiché una pupilla ristretta fa aumentare la
profondità di campo. Ogni apparente miglioramento della
presbiopia deve fare sospettare, tuttavia, la comparsa
di una miopizzazione dovuta a una cataratta nucleare
incipiente.
Nella presbiopia i raggi divergenti provenienti dagli oggetti ravvicinati vengono corretti con lenti convergenti
(Figura 5.9b). Prima di prescrivere le lenti per la presbiopia occorre correggere l’eventuale ametropia preesistente;
alle lenti necessarie per la correzione del difetto refrattivo
di base viene algebricamente addizionata la lente per
la presbiopia. Le diottrie addizionali utilizzabili per la
presbiopia variano a seconda dell’età: si inizia con circa
1 D intorno ai 45 anni e si aumenta in modo graduale
fino a raggiungere le 2,5-3 D a 60 anni. Esistono tre tipi
di lenti per correggere la presbiopia: le monofocali per i
soggetti emmetropi, le bifocali e quelle multifocali per i
soggetti ametropi. Per la correzione della presbiopia può,
inoltre, essere utile la chirurgia refrattiva, come discusso
nel Capitolo 24.
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