- Psichiatra Vincenzo Manna

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Disedonia
Vincenzo MANNA
Medico, Neurologo, Psichiatra, Psicoterapeuta
Direttore f.f. UOC SPDC DSM ASL ROMA 6
[email protected]
cell. +39 333 36 25 218
Sommario
“Anedonia” è il termine utilizzato per descrivere l'inabilità patologica a provare piacere che è evidenziabile in molti malati
psichiatrici. E’ evidente che la “disregolazione omeostatica edonica” può essere valutata non semplicemente in termini di
presenza o assenza della capacità di provar piacere, ma anche in termini di differenze qualitative e quantitative dalle
normali condizioni. Lo sviluppo di una dipendenza da sostanze e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza
può rappresentare il risultato di processi neuro-adattivi intra-cerebrali. Le azioni a lungo termine delle droghe d’abuso
inducono deficit dei meccanismi che mediano il rinforzo positivo ma anche l’emergere di cambiamenti affettivi come
ansia, disforia e depressione durante l’astinenza. Una crescente messe di dati suggerisce l’implicazione di una
disregolazione del sistema omeostatico di controllo edonico come fattore comune allo sviluppo della dipendenza da
droghe e della vulnerabilità alla ricaduta successiva all’astinenza. Questo lavoro discute il tentativo di concettualizzare le
dipendenze patologiche da sostanze psicoattive ed altri disturbi mentali come entità psico-patologiche distinte (categorie
nosografiche), con comuni fattori patogenetici, quali craving, stress e disregolazione omeostatica edonica (disedonia), da
un punto di vista diagnostico trans-nosografico e dimensionale.
Summary
“Anhedonia” is the term used to describe the pathological inability to experience pleasure that is evident in many
psychiatric disorders. It is evident that the “hedonic homeostatic dysregulation” can be evaluated not simply in terms of
presence or absence of pleasure capability but also in terms of qualitative and quantitative differences from the normal
conditions. The development of drug addiction and vulnerability in relapse following withdrawal is proposed to be the
result of neuro-adaptive processes within the central nervous system. The long-lasting actions of drugs of abuse lead to
impairment in the mechanisms that mediate positive reinforcement but also the emergence of affective changes as
anxiety, dysphoria and depression during withdrawal. A growing body of evidence implicates a dysregulation of the
homeostatic hedonic control system as a common factor in the development of drug addiction and vulnerability in relapse
following withdrawal. This paper discusses the attempt to conceptualize drug addictions and other mental disorders as
different psycho-pathological entities (nosographic categories) with common pathogenetical factors as craving, stress
and hedonic homeostatic dysregulation (dyshedonia), from a trans-nosographic and dimensional diagnostic point of view.
La disregolazione omeostatica edonica (disedonia) come patologia funzionale dei sistemi
cerebrali di modulazione della gratificazione
Con il termine “anedonia”, in psichiatria, viene comunemente intesa la condizione del paziente completamente incapace
di provare piacere di ogni tipo. Ribot, nel 1897, coniò il termine per descrivere una “patologica insensibilità al piacere”.
(1) Egli applicò tale definizione a soggetti che erano incapaci di provare piacere in attività sessuali, alimentari, relazionali
ed affettive. Bleuler, nel 1911, definì l’anedonia come una caratteristica basilare delle schizofrenie, “un segnale esterno
del loro stato patologico”. (2) Kraepelin, nel 1913, parlò dell’anedonia come sintomo fondamentale della “dementia
precox”, condizione clinica in cui i pazienti risultano avere “ una caratteristica indifferenza verso le relazioni interumane…
con perdita… di soddisfazione… nella ricreazione e nei piaceri, quale primo sintomo manifesto che segna l’esordio della
patologia”. (3)
Successivamente, l’anedonia è stata riconosciuta non solo come possibile sintomo di patologia psicotica, ma anche
come sintomo presente e rilevante nell’ambito dei disturbi dell’umore. Nel 1980, il DSM III ha indicato l’anedonia come
uno dei sintomi chiave della depressione maggiore. (4) L’anedonia è stata definita e valutata quantitativamente mediante
specifiche scale proposte da Ettenberg nel 1993. (5) Il DSM IV (1994) considera l’anedonia un sintomo nucleare (core
symptom) della depressione maggiore, ma anche un sintomo negativo della schizofrenia. (6) Dall’analisi della Letteratura
la definizione stessa di anedonia appare complessa e, talora, contraddittoria. (8) Alcuni studiosi l’hanno interpretata,
infatti, come una condizione o uno stato psico-patologico, mentre, altri, invece, hanno considerato l’anedonia una
caratteristica personologica, un tratto di personalità. (9)
L’anedonia, inoltre, è definita, nel DSM IV, come perdita di reattività agli stimoli piacevoli, ma anche, come diminuzione
degli interessi o appiattimento affettivo. Si può, così, evidenziare nell’ambito dell’anedonia, due componenti distinguibili:
1. l’incapacità di desiderare il contatto con stimoli gratificanti;
2. l’incapacità di provare piacere in rapporto a stimoli o attività solitamente gratificanti.
Secondo alcuni Autori (Willner, 1994) (120) l’anedonia dovrebbe mantenere una caratteristica cronicità, al fine di
differenziare il sintomo, propriamente psicopatologico, da uno stato, transitorio e reattivo, caratterizzato da una riduzione
delle attitudini volitivo-motivazionali e delle interazioni relazionali, che può derivare da ordinarie e temporanee
problematiche della vita quotidiana. In altri termini, sarebbe opportuno differenziare clinicamente uno stato
psicopatologico tendenzialmente cronico da una condizione transitoria e reattiva. In quest’ambito concettuale, come in
altre condizioni psichiatriche, viene suggerito di distinguere in una gradazione sintomatologica la gravità del sintomo, da
livelli para-fisiologici e transitori a condizioni cliniche croniche ed invalidanti. E’ opportuno, perciò, superare, sul piano
anche semantico, il termine “anedonia” che richiama, in senso privativo, la sola assenza di piacere, per utilizzare, con
maggiore proprietà linguistica, il termine di “disedonia”, che potrebbe includere tutte le possibili variazioni qualitative e
quantitative della capacità di gratificazione del soggetto. In particolare, possono essere evidenziate clinicamente e
correlate neuro-biologicamente, variazioni qualitative e quantitative della funzione edonica, nella componente
preparatoria (desiderio), nella componente incentivante-motivazionale (attivazione, eccitazione, approccio) e nella
componente consumatoria (piacere, soddisfazione, orgasmo), in numerose condizioni psico-patologiche. In questa
prospettiva, Koob (10), nello studio delle dipendenze patologiche da sostanze psico-attive, ha parlato di “disregolazione
omeostatica edonica”.
Correlati neurobiologici della disedonia
Nel 1954, Olds e Millner evidenziarono l’esistenza di sistemi endogeni cerebrali correlati funzionalmente alla
gratificazione e al cosiddetto “reward” (ricompensa-rinforzo). Sperimentalmente, infatti, i ratti erano in grado di
apprendere l’uso di una leva che induceva una stimolazione elettrica cerebrale “gratificante” in un fenomeno definito
“intracranial self-stimulation”. Numerosi studi successivi hanno confermato che un ruolo preminente, in tale fenomeno, è
mediato dai sistemi mono-aminergici cerebrali, soprattutto dalla dopamina. (11-13) Wise, successivamente, propose
un’ipotesi dopaminergica della ricompensa / anedonia. (14-16) Secondo tale ipotesi le proprietà di rinforzo degli stimoli
gratificanti e motivazionali, incondizionati, quali cibo, acqua, sesso e droghe d’abuso non solo sarebbero mediate dal
tono dopaminergico meso-cortico-limbico, ma tale sistema modulerebbe anche l’apprendimento condizionato di rinforzi
secondari. Numerose evidenze sperimentali hanno supportato tale ipotesi. (15, 17) Nonostante alcune evidenze
negative, raccolte in ambito sperimentale (18, 19) e farmacologico (20, 21), la teoria di Wise è stata accettata
ampiamente dalla comunità scientifica, per cui la dopamina (DA) è stata identificata, in quest’ambito di studi, come il
“neurotrasmettitore cerebrale del piacere”.
Tali osservazioni sono state rielaborate, nell’ambito di definizione clinica della “anhedonia” da Ettenberg nel 1993. (5)
Sebbene i circuiti neuronali dopaminergici meso-cortico-limbici svolgano un ruolo rilevante nei meccanismi della
ricompensa ed in tutte le condizioni cliniche in cui la capacità di provar piacere risulta alterata, il coinvolgimento
funzionale d’altri importanti sistemi neurotrasmettitoriali è stato evidenziato sperimentalmente. (22, 23) In particolare,
alcuni studi farmacologici hanno evidenziato l’importanza relativa:
- del tono oppioide a livello del Nucleo Accumbens (24, 25);
- del tono GABAergico tronco-encefalico (26, 27);
- del tono noradrenergico e serotoninergico (28, 29).
Fritze e Beckam (1988) hanno costruito un modello animale in grado di riprodurre sperimentalmente una sindrome
anergico-anedonica con l’uso di un agonista muscarinico. (30) Sano ha correlato l’anedonia a deficit dei gangli della
base. (31) Ebmeir & Ebert hanno evidenziato, mediante tecniche di neuro-imaging, una correlazione tra anedonia ed
interessamento anatomo-funzionale della corteccia fronto-limbica. (32) Altri studi hanno evidenziato risposte anomale
agli stimoli oppioidi, correlate all’anedonia. (33) Papp et al., inoltre, hanno dimostrato che la morfina non riesce a
provocare un condizionamento alla “place preference” in un modello animale. (34)
Indubbiamente la dopamina appare funzionalmente correlata alle fasi anticipatorie, appetitive, preparatorie e
motivazionali al comportamento d’approccio allo stimolo gratificante, nonché all’apprendimento condizionato di rinforzi
secondari (35). Gli altri sistemi neuro-trasmettitoriali sarebbero coinvolti soprattutto nelle fasi pre-motivazionali e/o
consumatorie, propriamente gratificanti, del rapporto con lo stimolo approcciato.
L’attività funzionale del sistema cerebrale di ricompensa e la connessa capacità edonica, secondo alcuni studiosi,
potrebbe essere distinta in tre componenti fondamentali:
a. l’impatto edonico;
b. l’apprendimento della ricompensa;
c. l’efficacia dell’incentivo a stimolare o deprimere “il piacere”. (35)
L’impatto edonico sarebbe correlato all’attivazione elicitata dallo stimolo incondizionato. L’apprendimento della
ricompensa sarebbe da correlare all’apprendimento associativo tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato. La
terza componente rileverebbe, negli incontri successivi con lo stimolo, quanto esso sia stato gratificante tanto da essere
successivamente ricercato. Risulta evidente come queste diverse componenti siano evidenziabili anche nell’uomo,
soprattutto, in rapporto ai fenomeni di “craving” per le sostanze d’abuso, ma anche per cibo, alcol, sesso e gioco
d’azzardo. (36-38).
La “disedonia” potrebbe, perciò, correlarsi, non solo ad alterazioni funzionali della capacità di provare piacere, ma anche
ad alterazioni funzionali della capacità di desiderare stimoli gratificanti, in un approccio concettuale di spettro
psicopatologico, che potrebbe includere non solo depressione maggiore e schizofrenia, ma anche disturbi da abuso di
sostanze, disturbi dell’alimentazione, alcolismo, disturbi del controllo degli impulsi e disturbo “borderline” di personalità
secondo il DSM IV.
L'abuso di sostanze in prospettiva neurobiologica
L'assunzione di cibo, i comportamenti sessuali e materni sono diretti verso obiettivi essenziali per la sopravvivenza
dell'individuo e della specie. La selezione naturale ha assicurato la sopravvivenza degli organismi che esibivano questi
comportamenti associati a potenti proprietà di ricompensa. Gli stimoli ed i comportamenti naturalmente gratificanti
presentano diverse componenti distinguibili: una componente preparatoria (desiderio) una componente incentivantemotivazionale (attivazione/ eccitazione/ approccio) ed una componente consumatoria (piacere/ soddisfazione/
gratificazione).
L'aspetto incentivante degli stimoli naturalmente gratificanti è dato dalle loro proprietà sensoriali specifiche (odore,
sapore, forma, temperatura) che li identifica (p.es. seno materno). D'altronde, la componente consumatoria degli stimoli
e dei comportamenti naturalmente gratificanti coinvolge gli effetti metabolici e fisiologici, del contatto e dell'interazione,
con la fonte di stimolo compensante. Ognuna di queste componenti può considerarsi piacevole ed elicitare uno stato
emotivo positivo (gratificazione), ma tutte risultano necessarie agli stimoli naturali, per essere del tutto rinforzanti. La
componente preparatoria ed incentivante di tali comportamenti si associa a cambiamenti ergotropi con aumento del
livello di vigilanza, attivazione motoria, aumento del tono simpatico, catabolismo. La componente consumatoria si
associa a cambiamenti trofotropi con sedazione, anabolismo ed aumento del tono parasimpatico. Le proprietà
incentivanti risultano essenziali per l'apprendimento di una risposta comportamentale diretta ad approcciare gli stimoli
naturalmente gratificanti. (39, 40) Il tono dopaminergico (DA) mesolimbico sembra svolgere un importante ruolo in
questo processo. Esso, infatti, risulta direttamente coinvolto nell'aumento del livello di vigilanza e nell'attivazione motoria
necessari al riconoscimento sensoriale ed all'approccio locomotorio allo stimolo naturalmente gratificante. Il tono DA
risulta correlato direttamente alle capacità d’apprendimento operante, cioè al riconoscimento e all'approccio agli stimoli
neutri associati (incentivi secondari) a quelli gratificanti naturalmente (incentivi primari). (41, 42) Il tono DA mesolimbico
risulta, perciò, strettamente connesso alla componente preparatoria o d’approccio agli stimoli motivazionali, ma non alla
componente consumatoria di tali comportamenti naturalmente rinforzanti, che sembra coinvolgere meccanismi neurobiologici non solo dopaminergici, prevalentemente oppioidi.
Gli stimoli ambientali assumono valore motivazionale in rapporto alla loro capacità di indurre risposte specifiche,
orientate omeostaticamente, nei sistemi biologici. Gli stimoli essenziali alla sopravvivenza dell’individuo innescano una
complessa sequenza di risposte comportamentali dirette ad approcciare e prolungare il contatto con lo stimolo stesso,
con caratteristiche gratificanti (stimoli appetitivi) oppure allontanare ed evitare lo stimolo, con caratteristiche spiacevoli o
dolorose (stimoli avversivi). L’associazione temporale ripetuta (appaiamento) di uno stimolo neutro ad uno stimolo
espressivo, sul piano motivazionale (appetitivo o avversivo) può indurre il trasferimento sullo stimolo neutro
(condizionato) delle caratteristiche risposte comportamentali, elicitate dallo stimolo incondizionato (apprendimento). (4345) Molti farmaci e sostanze d’abuso con effetti sul sistema nervoso centrale (SNC) hanno proprietà motivazionali. In
appropriate condizioni sperimentali, gli analgesici, i narcotici, i barbiturici, gli psicostimolanti, l’etanolo, la nicotina, le
benzodiazepine risultano essere dei rinforzi positivi, inducono, cioè, risposte appetitive che tendono a facilitare
l’approccio ed a prolungare l’assunzione della sostanza vissuta come gratificante. Altre sostanze come il naloxone, la
picrotossina, gli antagonisti dei recettori K per gli oppiacei inducono risposte avversive, comportandosi come rinforzi
negativi. (46, 47)
La definizione di dipendenza patologica da sostanze enfatizza due importanti fenomeni: una compulsione ad assumere
la sostanza (craving) con perdita del controllo a limitarne l’uso ed una caratteristica sindrome d’astinenza che insorge,
con sintomi e segni fisici e motivazionali di malessere, quando la droga viene sospesa. (48) La ricerca dei correlati
neuro-biologici sottesi a tali fenomeni clinici, su modelli sperimentali, è stata focalizzata, perciò, tanto sugli effetti acuti di
rinforzo positivo, cioè gratificanti delle droghe, quanto sugli effetti della sospensione di tali sostanze, dopo assunzione
prolungata nel tempo. In questa prospettiva le proprietà gratificanti delle sostanze psicoattive dopo somministrazione in
acuto possono essere inquadrate nel costrutto teorico delle azioni di rinforzo positivo delle droghe, mentre le proprietà
motivazionali dell’astinenza possono essere considerate alla stregua di rinforzi negativi alla sospensione delle droghe.
(49, 50)
Le droghe d'abuso possono essere considerate, in questa prospettiva, come surrogati degli stimoli gratificanti naturali.
Tali sostanze, infatti, hanno proprietà rinforzanti e motivazionali che attivano comportamenti di ricerca ed appetizione
specifica, con aspetti spesso compulsivi e, talora, impulsivi. Molte sostanze inducono, come gli stimoli naturalmente
gratificanti, un aumento del tono dopaminergico mesolimbico, con effetti attivanti i comportamenti d’approccio e
consumo. Va sottolineato, comunque, che al contrario degli stimoli naturali, le cui caratteristiche sensoriali attivano il tono
DA, nel caso delle droghe, tali caratteristiche sensoriali distintive risultano molto meno rilevanti. Perciò, la ricerca di
sostanze dipende, più che per gli stimoli naturali, dall'apprendimento incentivante, cioè dalla capacità della sostanza
d’indurre l'acquisizione d’incentivi secondari, che risulta essere in stretta relazione alle capacità di tali sostanze
d’aumentare direttamente il tono DA mesolimbico. La nicotina, gli oppiacei e l'etanolo sembrano mimare più
completamente tanto gli aspetti incentivanti quanto quelli consumatori dei rinforzi naturali, per la loro capacità di
stimolare il tono DA, ma anche d’attivare il sistema di gratificazione endopeptidergico. Al contrario gli psicostimolanti
sembrano imitare soprattutto gli aspetti d’approccio, senza produrre gli effetti consumatori propri degli stimoli
naturalmente gratificanti.
Dopamina e motivazione all’uso di droghe
Recenti studi hanno evidenziato un ruolo di rilievo svolto dal sistema dopaminergico mesolimbico, cioè dai neuroni
dopaminergici posti nell’Area Ventro-Tegmentale (VTA) con proiezioni prevalenti a livello del nucleo accumbens, nella
dipendenza e nell'assuefazione da droghe (51, 52). Il Nucleo Accumbens (NAc) funzionalmente integrato nelle
circuitazioni limbiche ed extra-piramidali, sembra svolgere un ruolo critico nel mediare non solo gli effetti di rinforzo
positivo acuto (gratificazione) delle droghe d'abuso, ma potrebbe essere coinvolto negli aspetti motivazionali della
sospensione, dopo assunzione in cronico, quindi nel rinforzo negativo (punizione) proprio del fenomeno astinenziale.
Numerose evidenze scientifiche hanno recentemente dimostrato il coinvolgimento della dopamina nel determinare le
proprietà motivazionali delle sostanze attive a livello del SNC (53, 54). Gli psicostimolanti, come le amfetamine e la
cocaina, aumentano il tono dopaminergico stimolandone il rilascio sinaptico (release) e/o bloccandone la ricaptazione
neuronale (reuptake). Diversi studi neuro-farmacologici hanno indicato che le caratteristiche di rinforzo positivo della
cocaina sono bloccate dalla somministrazione d'antagonisti dei recettori dopaminergici D1 (55). Effetti analoghi possono
essere ottenuti con antagonisti D2 solo a dosaggi elevati. In particolare, gli effetti di rinforzo positivo, dopo
somministrazione in acuto di cocaina, sembrano dipendere dal release sinaptico di DA a livello del NAc. Lesioni neurochimiche della VTA e/o del NAc bloccano la tendenza all'auto-somministrazione di cocaina, d'oppioidi e d'amfetamine
(56, 57). La maggior parte delle droghe d'abuso, quando somministrate sistematicamente, in animali da esperimento,
aumenta i livelli di DA a livello del NAc. Quest'azione acuta caratteristica delle droghe d'abuso sul sistema mesolimbico
dopaminergico è stata considerata contribuire significativamente alle proprietà di rinforzo positivo di queste sostanze ed
ha suggerito che la VTA ed il NAc rappresentano strutture neuronali coinvolte in un comune meccanismo di ricompensa.
Le droghe d'abuso hanno anche profondi e complessi effetti sulle funzioni cerebrali, dopo assunzione in cronico.
Numerose evidenze scientifiche confermano che l'uso prolungato d'oppioidi e psicostimolanti aumenta il bisogno
compulsivo (craving) di assumere droghe (58, 59). Inoltre, l'esposizione ripetuta a queste droghe induce fenomeni
d'adattamento neurale, che sono alla base dei fenomeni di tolleranza, dipendenza ed astinenza. Anche queste azioni,
dopo assunzione in cronico di droghe, sembrano essere mediate, almeno in parte, dal sistema mesolimbico
dopaminergico e, in particolare, dalla via VTA-NAc (60).
Basi biochimiche delle dipendenze patologiche da sostanze
Numerosi studi hanno dimostrato che le sostanze con proprietà gratificanti, come morfina, metadone, fentanile, nicotina,
fenciclidina, aumentano la concentrazione intrasinaptica di DA, soprattutto a livello del NAc (61, 62). Quest’effetto è
comune anche agli psicostimolanti classici come cocaina ed amfetamine. Studi d'elettrofisiologia confermano un'azione
prevalentemente mesolimbica delle droghe d'abuso. La somministrazione sistemica di morfina, etanolo e nicotina stimola
soprattutto l'attività dei neuroni dopaminergici dell'area A10 rispetto all'area A9. Poiché il NAc è innervato principalmente
dai neuroni dopaminergici provenienti dall'area A10 VTA, mentre il nucleo caudato dorsale viene raggiunto da neuroni
provenienti dall'area A9, gli effetti differenti esercitati da morfina, etanolo e nicotina sul release di DA, in vivo, sono
direttamente correlati ad una diversa sensibilità ai loro effetti stimolanti il sistema mesolimbico rispetto a quello
dopaminergico nigro-striatale.
Il tono dopaminergico nigro-striatale è strettamente relato all'attività motoria, in particolare a quella extra-piramidale.
Sulla base di svariate evidenze sperimentali è ipotizzabile che la motivazione, cioè l'attività motoria finalizzata, possa
essere relata a variazioni della trasmissione DA, nel sistema mesolimbico. In particolare, la stimolazione DA mesolimbica
avrebbe azione gratificante, mentre l'inibizione DA avrebbe azione avversiva. Gli analgesici narcotici, l'etanolo, la
nicotina, le amfetamine e la cocaina svolgono azioni stimolanti a livello motorio con effetti motivazionali positivi, che sono
severamente inibiti dai bloccanti recettoriali D1 (55, 62-64). I farmaci, bloccanti i recettori D1 sono in grado d'inibire tanto
gli effetti motivazionali positivi (approccio+appetizione) quanto quelli avversivi indotti da farmaci come naloxone, litio,
picrotossina ed agonisti oppioidi dei recettori K. Poiché queste ultime sostanze interagiscono blandamente e/o non
modificano direttamente il tono dopaminergico mesolimbico, è ipotizzabile che la DA eserciti un ruolo permissivo sui
meccanismi di controllo motivazionale, non solo dopaminergici. Il tono dopaminergico potrebbe, perciò, modulare tanto
l'attività motoria che il tono dell'umore e la motivazione. In particolare, un aumento del tono DA, a livello mesolimbico, si
esprime con uno stato dell'umore positivo, subeuforico nell'uomo e con un aumento dell'attività motoria, nell'animale da
esperimento. Al contrario, una riduzione del tono DA si associa a disforia ed inibizione motoria. L'associazione di queste
variazioni neurochimiche con gli stimoli ambientali potrebbe conferire loro proprietà incentivanti o disincentivanti
l'apprendimento, rispettivamente, in rapporto al livello alto o basso del tono dopaminergico mesolimbico. Comunque, un
forte blocco della trasmissione DA impedisce non solo gli effetti positivi, ma anche quelli negativi sull'apprendimento e
sulla motivazione, pure per farmaci come i K-agonisti oppioidi, che riducono la trasmissione dopaminergica mesolimbica
(60-63).
In animali resi dipendenti con somministrazioni ripetute di morfina, l'astinenza spontanea si traduce in una profonda e
duratura (almeno sette giorni) riduzione del release di DA nel nucleo accumbens, indice di uno stato di dipendenza dei
neuroni dopaminergici mesolimbici. Una riduzione del release basale di DA a livello del NAc è stato osservato anche
dopo sospensione di cocaina somministrata in cronico. (64) Questi risultati confermano l'ipotesi di una comune
sintomatologia caratterizzata da disforia profonda, dopo sospensione di diverse sostanze d’abuso, secondaria alla
depressione del tono dopaminergico, con deficit funzionale del sistema mesolimbico di rinforzo e di modulazione dei
comportamenti motivazionali. Poiché la riassunzione della sostanza d'abuso contrasta l'insorgere della disforia e degli
effetti indotti dal ridotto tono dopaminergico mesolimbico sul piano emotivo e motorio, è ipotizzabile che tali meccanismi
contribuiscano, con un meccanismo di rinforzo negativo, a mantenere la dipendenza patologica da sostanze. In questa
prospettiva, il “craving”, cioè il bisogno d’assumere compulsivamente sostanze, può essere considerato, almeno in parte,
un comportamento rinforzato negativamente, teso ad evitare lo stress dell'astinenza. Al contrario, l'incapacità d’attivare
gli aspetti consumatori del meccanismo neuro-biologico di gratificazione, propria dei farmaci psico-stimolanti, potrebbe
rappresentare la ragione della tendenza alla “escalation” nell'abuso di queste sostanze, che può portare sino alla
tossicità acuta ed alla morte.
Fattori genetici sembrano contribuire alle forti differenze individuali, evidenziabili nei fenomeni d’abuso e dipendenza da
sostanze.
In animali da esperimento sono stati, infatti, evidenziati significativi correlati neurochimici della tossicofilia, in pratica della
tendenza ad assumere sostanze psicoattive, ancor prima dell’effettiva esposizione alle droghe d’abuso. Il ceppo di ratti
selezionati inbred Fischer F344 presenta bassi livelli d’auto-somministrazione spontanea di droghe, mentre il ceppo
Lewis presenta alti consumi spontanei di cocaina, oppiacei ed alcol. Lo studio comparativo delle proteine G,
dell’adenilciclasi, dell’attività della proteinkinasi AMPdipendente a livello del NAc nei due ceppi di ratti ha evidenziato nel
ceppo (tossicofilo) Lewis drug-naive variazioni sovrapponibili a quelle indotte da morfina e cocaina, in cronico, nei ratti
del ceppo Fischer F344. I livelli di tirosina-idrossilasi (TH) risultano marcatamente differenti nel sistema mesolimbico
dopaminergico tra i ceppi di ratti Fischer F344 e di ratti del ceppo Lewis. La VTA dei ratti Lewis (tossicofili) drug-naive
presenta livelli più alti di circa il 45% della immunoreattività alla TH rispetto ai ratti Fischer F344 drug-naive. Inoltre, il
NAc contiene TH a livelli inferiori di circa il 45%. Questo pattern di variazione dei livelli di concentrazione ed attività della
TH nella VTA e nel NAc, evidenziato nel confronto tra i due ceppi, risulta largamente sovrapponibile agli effetti in cronico
indotti da morfina e cocaina su questo enzima nel ceppo non tossicofilo. I ratti Lewis drug-naive, inoltre, presentano a
livello della VTA livelli marcatamente più bassi di neurofilamenti rispetto ai ratti F344. In sintesi, i ratti tossicofili Lewis, in
condizioni drug-naive, prima di qualsiasi introduzione di sostanze psicotrope, presentano a livello della VTA, alterazioni
neurochimiche largamente sovrapponibili a quelle evidenziabili, dopo trattamento cronico con sostanze d’abuso, quindi
dopo aver indotto dipendenza, nei ratti non tossicofili Fischer F344. (65,66)
Craving
Il "craving" (appetizione compulsiva) sembra essere il comune denominatore, l'essenza stessa, delle dipendenze
patologiche da sostanze. Il "craving" è associato ad un ampio spettro di condizioni psicopatologiche, che include i
disturbi mentali organici, i disturbi dell'umore (depressione stagionale), i disturbi dell'alimentazione (bulimia), i disturbi del
controllo degli impulsi (“gambling” patologico, etc.). L'ambito di ricerca, in cui è maggiormente studiato è, tuttavia,
rappresentato dalla clinica delle dipendenze patologiche da sostanze. Il "craving" da sostanze rappresenta il desiderio
intenso ed irrefrenabile di assumere una sostanza psicotropa, i cui effetti sono stati già sperimentati, in precedenza.
Questo desiderio può assumere le caratteristiche dell'impellenza e della compulsività, soprattutto in presenza di specifici
e particolari stimoli e rinforzi, interni o esterni. (65, 66)
L'O.M.S., nel 1955, propose di non usare il termine "craving", in ambito scientifico, perché fonte di confusione, in quanto
comprensivo di stati fisici, emotivi, cognitivi e comportamentali. Probabilmente, la caratteristica principale del "craving" è
rappresentata proprio dal sommarsi di sintomi somatici, psichici e comportamentali. (67)
Il "craving" da sostanze si caratterizza per la presenza d’alcuni aspetti fondamentali:
1. forte attrazione, compulsiva e/o impulsiva, verso situazioni, che permettono l'assunzione di
sostanze;
2. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi somatici e neuro-vegetativi;
3. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi emotivi (ansietà, etc.);
4. presenza di una complessa e variabile costellazione di sintomi cognitivi (ideazione
compulsiva, etc.);
5. attivazione comportamentale per la ricerca delle sostanze e per la loro assunzione;
6. incapacità ad interrompere quest’attivazione comportamentale, anche in presenza di forti
ostacoli sociali o legali (comportamenti criminali) e/o di pericoli per la propria salute e per la
propria integrità fisica;
7. comportamenti d’evitamento fobico delle condizioni d’astinenza.
E' possibile, perciò, distinguere tra gli effetti motivazionali delle dipendenze patologiche, una componente tesa a facilitare
l'approccio ed il contatto con lo stimolo ambientale gratificante (sostanza) ed una componente tesa ad allontanare
condizioni spiacevoli o dolorose (astinenza come stimolo avversivo).
Alcuni studi hanno dimostrato l'utilità clinica dei dopamino-agonisti nel trattamento farmacologico del “craving” da
cocaina e psicostimolanti, così come d’alcuni farmaci serotoninergici, nel trattamento del “craving” da alcol. (67) In
questo campo di studio, poco ancora è stato sufficientemente approfondito, a livello di ricerca scientifica, nei rapporti tra
tono dopaminergico mesolimbico, dipendenze e psicopatologia. (68)
La dipendenza patologica da sostanze come stress ciclico
La fase astinenziale, con le sue caratteristiche motivazionali avversive, induce rapidamente alla successiva fase,
d’appetizione compulsiva, il “craving” per la sostanza d’abuso. Tali fenomeni assumono un andamento ciclico,
spiraliforme, quando s’introduce la variabile tempo. (72, 73) Gli effetti motivazionali dell’astinenza da sostanze possono
coinvolgere i substrati neuronali ed i meccanismi neuro-farmacologici dello stesso sistema neurale implicato negli effetti
di rinforzo positivo delle droghe d’abuso. Recenti studi hanno utilizzato la tecnica dell’auto-stimolazione intra-cranica, per
misurare la soglia di gratificazione, durante il corso della dipendenza. Queste osservazioni hanno evidenziato che le
soglie di gratificazione si sono alzate (in altre parole la gratificazione è diminuita) in seguito alla somministrazione in
cronico di tutte le principali droghe d’abuso, inclusa la nicotina, gli oppiacei, gli psico-stimolanti e l’etanolo. Tali effetti,
probabilmente, riflettono i cambiamenti indotti nell’attività del sistema meso-cortico-limbico funzionalmente implicato nel
rinforzo positivo indotto dalle droghe d’abuso, con durate variabili in rapporto alle specifiche sostanze assunte ed alle
loro dosi. (74, 76)
I meccanismi neuro-adattivi, che riflettono i cambiamenti indotti sulla soglia di gratificazione, possono essere i
cambiamenti neurochimici, associati agli stessi neuro-trasmettitori, implicati nella fase di rinforzo positivo acuto, indotto
dalle droghe. (62) Esempi di questi eventi neuro-chimici, adattivi ed omeostatici, possono essere:
· la riduzione del tono dopaminergico e serotoninergico nel NAc durante la fase d’astinenza, così com’è possibile
misurarlo mediante microdialisi in vivo; (75, 77)
· l’aumento della sensitività dei recettori per gli oppiacei e dei correlati meccanismi di trasduzione del segnale nel NAc,
durante l’astinenza da oppiacei; (78)
· la riduzione del tono GABAergico con aumento della trasmissione glutammatergica durante l’astinenza da etanolo; (79,
80)
· le differenti variazioni regionali di sensitività recettoriale nicotinica. (81)
Un altro, non meno importante, meccanismo d’adattamento alla somministrazione ripetuta di droghe d’abuso, che
potrebbe non essere direttamente coinvolto nei circuiti della gratificazione, è rappresentato dall’attivazione del sistema
cerebro-pituitario di risposta allo stress. L’asse ipofisi-surrenalico è attivato negli umani durante la dipendenza da droghe
e, soprattutto, nella fase d’astinenza, con alterazioni funzionali prolungate nel tempo, che possono persistere anche
dopo aver tecnicamente superato la fase d’astinenza propriamente detta. (82) Il Corticotropin-Releasing Factor (CRF)
sembra svolgere complesse funzioni di neuro-modulazione, a livello del SNC, anche fuori del classico asse ipofisisurrenalico. Il CRF risulta attivato durante la fase acuta d’astinenza da cocaina, oppiacei, etanolo e tetra-idrocannabinolo, probabilmente mediando alcuni aspetti comportamentali dello stress associato all’astinenza. (83) In
particolare, i livelli extra-cellulari di CRF nella regione del nucleo centrale dell’amigdala risultano elevati durante
l’astinenza da droghe d’abuso, quali etanolo, cocaina e tetra-idro-cannabinolo.
In sintesi, diversi neuro-trasmettitori e neuro-modulatori sono implicati negli effetti motivazionali ed astinenziali, indotti
dalle droghe d’abuso. I livelli dopaminergici, endorfinergici, serotoninergici e GABAergici risultano ridotti in fase
astinenziale, mentre i livelli intracerebrali del CRF, soprattutto a livello meso-cortico-limbico ed amigdaloideo, risultano
elevati.
Disregolazione del sistema cerebrale di controllo dello stress
L’abuso cronico di droghe produce cambiamenti disfunzionali e maladattativi, non solo nei sistemi neurotrasmettitoriali
implicati nella modulazione degli effetti di rinforzo acuto, proprio delle sostanze d’abuso, ma anche in altri sistemi
motivazionali, agendo, soprattutto, sui meccanismi cerebrali di controllo e modulazione della reattività allo stress. Lo
stress svolge sicuramente un ruolo sia nell’esordio dell’abuso di sostanze, sia nel mantenimento della dipendenza ed è,
inoltre, uno dei fattori maggiormente coinvolti nella ricaduta, nei soggetti in fase d’astinenza. (83-86) Il ruolo dello stress
nel comportamento di ricerca delle sostanze è stato ampiamente documentato nelle ricerche sperimentali. Stress fisici,
sociali ed emotivi possono facilitare l’assunzione o l’incremento dell’autosomministrazione di etanolo (87-89), eroina (90)
e cocaina (91-93) negli animali da esperimento. Adeguati stimoli stressanti possono portare alla riassunzione di etanolo,
eroina e cocaina animali drug-free, dopo intervalli di tempo relativamente lunghi dall’estinzione del comportamento
tossicofilo. (94-96). Solitamente il comportamento di ricerca e di assunzione delle sostanze, indotto dallo stress, viene
considerato correlato all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Una crescente mole di dati scientifici, però,
suggerisce che il sistema del CRF, soprattutto a livello del nucleo centrale dell’amigdala, può svolgere un ruolo
significativo ed indipendente, nella modulazione del comportamento di dipendenza patologica da sostanze, associato
con lo stress. Il nucleo centrale dell’amigdala è ricco di cellule, recettori e sinapsi con immunoreattività al CRF. Il sistema
neuronale cerebrale (non-neuroendocrino) modulato dal CRF sembra implicato nella modulazione del comportamento e
delle risposte emotive agli stimoli stressanti (97, 98). Per esempio, lo stress da immobilizzazione aumenta i livelli di CRF
extracellulare nell’amigdala. Al contrario, l’infusione intra-amigdaloidea di un’agonista del CRF riduce i segni
comportamentali d’ansia prodotti da stressors sociali e ambientali (83, 99). E' noto che l’ansia si presenta con una
sintomatologia complessa, simile a quella indotta dalle condizioni di stress. Tale sintomatologia ansiosa è presente nelle
sindromi d’astinenza da alcol e da altre droghe. Considerato che il CRF svolge un ruolo nella regolazione emozionale e
negli effetti ansiogeni dello stress, a livello dell’amigdala, è probabile che la sintomatologia ansiogena, tipica
dell’astinenza da sostanze, possa essere correlata agli effetti del CRF a livello amigdaloideo. Infatti, i livelli extracellulari
di CRF, nel nucleo centrale dell’amigdala, misurati con microdialisi, sono notevolmente elevati, durante l’astinenza da
alcol e cocaina (100, 101). Un antagonismo funzionale della trasmissione CRF, a livello amigdaloideo, sembra attenuare
i sintomi ansiogeni ed avversivi dell’astinenza da alcol ed oppiacei (102, 103). Questi dati scientifici identificano
nell’attivazione dei neuroni CRF, a livello amigdaloideo, un comune meccanismo neurobiologico, sotteso ai sintomi
ansiogeni da stress, che accompagnano l’astinenza da droghe d’abuso. Tali osservazioni sperimentali potrebbero avere
implicazioni più ampie, in rapporto ai correlati neurobiologici della dipendenza patologica da sostanze. Infatti, la
neurotrasmissione CRF, nel nucleo centrale dell’amigdala, può svolgere un ruolo nella disforia e nel deficit di
ricompensa, misurati tramite la soglia di gratificazione (104). L’innalzamento di questa soglia di ricompensa e la disforia
correlata sono una conseguenza frequentemente osservata nell’astinenza da droghe da abuso (105). In questo senso, le
variazioni del tono CRF a livello amigdaloideo potrebbero rappresentare un meccanismo direttamente correlato allo
sviluppo della dipendenza e del comportamento compulsivo di ricerca ed assuzione di sostanze (craving). Inoltre,
variazioni del sistema non-endocrino CRF potrebbero svolgere un ruolo, non solo nella sindrome acuta da astinenza, ma
anche a distanza di tempo dalla sospensione delle sostanze da abuso (106). In animali da esperimento, in fase
d’astinenza da etanolo e da cocaina, il contenuto tissutale di CRF nell’amigdala è risultato significativamente ridotto in
fase acuta (1° giorno). Il deficit iniziale del CRF tissutale è stato seguito da un incremento progressivo, con livelli
significativamente più alti, dopo la sesta settimana d’astinenza. La riduzione del contenuto tissutale di CRF, durante
l’astinenza acuta, sembra correlarsi all’aumento di release di CRF a livello extracellulare. La riduzione del CRF tissutale,
a livello dell’amigdala, evidenziato durante il primo giorno d’astinenza si correla, infatti, alla deplezione del CRF, per
rilascio extracellulare, indotto dall’astinenza stessa (101, 107-109). Risulta ancora non chiaro il significato funzionale
dell’incremento del CRF dopo sei settimane d’astinenza. Tale fenomeno potrebbe rappresentare in “tratto”
neurobiologico predisponente alla ricaduta.
E’ noto che l’esposizione cronica alla cocaina, di per sé, non incrementa in modo persistente i livelli di CRF mRNA, a
livello dell’amigdala (110). Le variazioni nella sintesi del CRF nell’amigdala, dopo astinenza cronica da cocaina e
psicostimolanti, non sono state, ancora, adeguatamente studiate. Al contrario sono state evidenziate, dopo astinenza
acuta da cocaina, riduzioni dei siti di legame recettoriale CRF1, con variazioni che ritornavano a livelli normali entro 10
giorni dall’inizio dell’astinenza (111). Risulta importante esaminare, inoltre, il profilo di rilascio del CRF, in risposta a
stimoli ambientali stressanti ed i cambiamenti corrispondenti nelle reattività comportamentali agli stressors, a differenti
stadi di astinenza protratta.
Studi preliminari hanno evidenziato che, dopo sei settimane di astinenza, animali da esperimento etanolo-dipendenti
risultano più sensibili agli effetti ansiogeni di blandi stressors. Questi effetti possono essere contrastati da un
pretrattamento con un antagonista recettoriale del CRF (112). Potrebbe essere importante determinare se questi
cambiamenti nella reattività allo stress possano essere correlati al “craving” ed alle conseguenti ricadute, nell’abuso di
sostanze, tipico dei soggetti tossicodipendenti.
Aspetti comportamentali della vulnerabilità alla ricaduta
I dati appena presentati hanno evidenziato variazioni neurobiologiche nel sistema di risposta allo stress, che possono
svolgere un importante ruolo nella compulsione all’assunzione di sostanze e nel cronicizzarsi della dipendenza. Un altro
importante fattore da tenere in debito conto nella valutazione della potenziale cronicizzazione della dipendenza indotta
da sostanze è rappresentato dal condizionamento comportamentale, in risposta a specifici stimoli ambientali. Il craving
da sostanze può essere evocato, infatti, da stimoli ambientali, associati ripetutamente agli effetti gratificanti soggettivi di
tutte le sostanze d’abuso, incluso l’etanolo (113-116). Tali risposte comportamentali condizionate possono facilitare o
causare la recidiva in fase d’astinenza protratta. Le risposte apprese, elicitate dagli stimoli correlati all’uso di droghe,
possono, perciò, contribuire notevolmente all’alto indice di ricaduta nell’abuso, evidenziabile nei soggetti già dipendenti
da cocaina e da altre sostanze stupefacenti. L’esposizione di animali da esperimento a stimoli ambientali associati
all’uso di sostanze può indurre comportamenti di ricerca compulsiva di cocaina, etanolo ed eroina, a distanza di molto
tempo dall’ultima assunzione di queste sostanze (117-120). Gli stimoli condizionati, correlati al consumo di sostanze,
presentano una forte resistenza all’estinzione e possono indurre comportamenti d’approccio e consumo delle sostanze,
anche dopo molti anni d’astinenza forzata, nel caso della cocaina (121). Inoltre, nel caso dell’etanolo, il comportamento
appetitivo, indotto da stimoli specifici, si è dimostrato essere incrementato nei ratti alcol-preferring rispetto ai ratti alcolnon preferring ed ai ratti wistar non selezionati (122). Questa osservazione dimostra che una predisposizione,
geneticamente determinata, verso l’assunzione di quote elevate di etanolo, si riflette anche in una più grande sensibilità
agli effetti motivazionali della sostanza. Numerose osservazioni scientifiche sostengono l’ipotesi che le risposte apprese,
condizionate dagli stimoli correlati all’uso di sostanze, rappresentano un fattore significativo nella vulnerabilità alla
ricaduta, anche dopo lunghi intervalli di tempo liberi dall’assunzione delle sostanze di abuso. Tali stimoli ambientali,
specifici e discriminativi, sono particolarmente efficaci nell’elicitare e nel sostenere il “craving” ed il comportamento di
ricerca compulsiva delle sostanze.
Interazioni tra fattori condizionanti e stress
Nell’uomo il rischio di recidiva, dopo astinenza protratta, nell’uso di stupefacenti e droghe d’abuso, può dipendere da
fattori multipli, tra loro interagenti. La vulnerabilità alla ricaduta, dopo un lungo intervallo d’astinenza da sostanze, può
derivare, infatti, da fattori neurobiologici modificatisi in senso maladattativo, oppure, dalla semplice riesposizione alle
sostanze e/o a stimoli condizionati specifici, correlati all’assunzione precedente di sostanze. L’interazione tra tali
componenti può esacerbare il rischio di ricaduta, quando si somma l’effetto motivazionale, indotto dallo stress. Recenti
lavori hanno confermato che, in animali da esperimento, in fase d’astinenza prolungata da etanolo, l’esposizione a
stimoli condizionati facilita l’insorgere di comportamenti di ricerca e d’assunzione della sostanza. Un effetto significativo
analogo viene evocato anche dall’esposizione a stimoli stressanti fisici (foots shock stress). L’associarsi di stimoli
condizionati e stressanti induce una sommazione d’effetti ed un più significativo incremento del comportamento di ricerca
compulsiva dell’etanolo. (123) La somministrazione di un antagonista centrale del CRF riduce questo fenomeno, dopo
esposizione allo stimolo stressante, ma non dopo l’esposizione allo stimolo condizionato. Al contrario un antagonista non
selettivo degli oppiacei (naltrexone) riduce significativamente il comportamento elicitato dallo stimolo condizionato, ma
non quello indotto dallo stress. Entrambi i farmaci si sono dimostrati capaci di ridurre il comportamento di ricerca
dell’etanolo, conseguente alla contemporanea esposizione allo stimolo condizionato ed allo stress. Questi dati
confermano il ruolo del CRF nel modulare il comportamento di ricerca compulsiva dell’alcol, indotta dallo stress, ma
anche il ruolo dei recettori per gli oppiodi endogeni nelle ricadute, dopo esposizione a stimoli condizionati specifici. Le più
recenti osservazioni confermano, perciò, che una storia di dipendenza da sostanze può indurre una specifica
vulnerabilità alle ricadute, tanto in rapporto agli stimoli stressanti, quanto in rapporto all’esposizione a stimoli condizionati
specifici. In conclusione, in rapporto allo sviluppo di un’efficace prevenzione delle recidive, questi studi sembrano
suggerire la necessità di una farmacoterapia combinata, integrata con strategie, metodiche e tecniche terapeutiche, non
solo farmacologiche, volta a proteggere dai diversi fattori di rischio. (109, 124-127)
Va sottolineato che, nella sua definizione clinico-teorica, la risposta allo “stress” presuppone un organismo, in equilibrio
omeostatico, che, sottoposto a stimoli ambientali “stressanti”, metta in atto tutta una serie di complesse ed articolate
attività neuro-psico-fisiologiche volte a ristabilire l’equilibrio omeostatico preesistente. (69)
Il concetto di "disedonia”, cioè di “disregolazione omeostatica edonica”, propone una visione parzialmente diversa e
nuova, in cui la perdita dell’equilibrio omeostatico edonico può dipendere non semplicemente da fattori esogeni (gli
agenti stressanti) ma anche o prevalentemente da fattori endogeni. I comportamenti indotti sarebbero, perciò, volti al
ripristino di un equilibrio omeostatico edonico, alterato non solo da fattori esogeni. In tal senso l’uso di sostanze potrebbe
rappresentare una sorta di problematica e paradossale automedicazione, la ricerca di un benessere perso o mai
raggiunto, non semplicemente come conseguenza dell’azione d’agenti esterni “stressanti”. In altre parole, i correlati
neurobiologici che evidenziano a livello della VTA e del Nac, nei ratti tossicofili drug-naive Lewis aspetti largamente
sovrapponibili a quelli indotti dall’esposizione cronica alle droghe dei ratti non tossicofili Fischer F344, potrebbero essere
interpretati come aspetti funzionali di un deficit del sistema mesolimbico di controllo della gratificazione, che precede
l’uso di sostanze. In un certo senso, i ratti Lewis hanno rispetto alle droghe una condizione simil-astinenziale ancor prima
di un qualsiasi contatto con le sostanze stesse. In questa prospettiva, la “disregolazione omeostatica edonica”, la
disedonia potrebbe precedere l’uso di sostanze svolgendo un ruolo patogenetico nell’induzione del comportamento
tossicomanico, nell’apprendimento di risposte comportamentali tese alla reiterazione dell’assunzione di sostanze,
nonché nel complesso fenomeno della recidiva dopo disassuefazione. E’ verosimile, inoltre, supporre che la disedonia
possa svolgere un ruolo nella patogenesi d’altri disturbi psicopatologici.
Ipotesi autoterapica dei disturbi da uso di sostanze e considerazioni psicopatogenetiche
Il "craving" per le sostanze d’abuso può essere distinto in una componente appetitiva, la ricerca della sostanza come
fonte di piacere, ed una componente avversiva, l’ansia anticipatoria dei sintomi d’astinenza e/o l’astinenza stessa. I
soggetti sottoposti a programmi terapeutici di disassuefazione dall’uso di sostanze, quando il trattamento ha
definitivamente eliminato la dipendenza farmacologica, non presentano più segni o sintomi di "craving" avversivo, non
hanno, cioè, ansia anticipatoria per i sintomi d’astinenza, né sintomi d’astinenza in atto. In tali soggetti, però, può
persistere il "craving" appetitivo, talora impropriamente definito quale dipendenza psichica.
In un certo senso, si può parlare, perciò, di un’astinenza primaria, fisica o farmacologica, e di un’astinenza secondaria,
detta psichica, più duratura se non persistente e cronica, legata al desiderio della sostanza, come fonte di piacere. La
condizione psichica dei soggetti completamente disassuefatti potrebbe rappresentare uno stato analogo a quello
preesistente all’uso di sostanze. In altre parole, l’astinenza secondaria, il “craving” psichico, per le sostanze d’abuso
potrebbe essere analogo, se non sovrapponibile, allo stato psico-patologico di “disregolazione omeostatica edonica”,
precedente l’uso di sostanze. In un certo senso, perciò, l’uso, l’abuso e la dipendenza da sostanze potrebbe
rappresentare solo un evento secondario alla “disedonia” intesa come disturbo psico-patologico primario. I Disturbi da
Uso di Sostanze (D.U.S.) ed i Disturbi Indotti da Sostanze (D.I.S.), così come definiti nel DSM IV, sarebbero, perciò,
secondari ad un quadro psico-patologico preesistente, la “disedonia”. La diagnosi di dipendenza da sostanze si
sovrappone, nascondendola, ad una condizione psico-patologica preesistente di “disregolazione omeostatica edonica”,
non diagnosticata. La “disedonia” esisterebbe virtualmente anche prima del contatto con la sostanza d’abuso, sostanza
che, anche se non ancora sperimentata, potrebbe avere un virtuale effetto terapeutico, in altre parole di ripristino
omeostatico della “disregolazione edonica” di fondo. L’assunzione della sostanza indurrebbe, nel soggetto predisposto,
l’apprendimento delle proprietà auto-terapiche nei confronti del proprio disagio psichico. La “self-medication hypothesis”
è stata proposta da Khantzian (128) rispetto ai D.U.S., in particolare in rapporto all’assunzione d’eroina e cocaina. Nella
sua ipotesi “gli specifici effetti psicotropi di queste sostanze potrebbero interagire con disturbi mentali e stati di disagio
emotivo, in modo tale da renderle compulsivamente necessarie in individui predisposti”. Inoltre, ogni soggetto
selezionerebbe autonomamente le diverse sostanze sulla base delle sue individuali carenze e necessità. Rounsaville et
al. hanno ottenuto risultati clinici sostanzialmente concordanti con la teoria proposta da Khantzian e, in altri lavori
scientifici, da Wurmser. (129) Secondo tali osservazioni cliniche, i tossicodipendenti depressi assumono oppiacei nel
tentativo auto-terapico di alleviare uno stato di malessere psichico intollerabile, preesistente all’uso di sostanze. (130)
Naturalmente questi tentativi autoterapici non sortiscono effetti propriamente curativi, se non transitori e problematici,
considerati i rischi e le complicanze connesse all’uso di droghe illegali. Tuttavia, nel vissuto psichico della maggior parte
degli assuntori di droghe, queste sostanze aiutano a superare gli ostacoli della vita, a migliorare le capacità
d’adattamento allo stress soggettivo, ad attenuare il disagio psico-emotivo.
Qualche autore ha sostenuto, nell’ambito di studi sulla comorbilità psichiatrica delle dipendenze patologiche da sostanze,
che non è importante stabilire se la malattia mentale precede o segue l’uso di sostanze, essendo la tossicomania di
importanza clinica sempre minore rispetto al disagio psichico cui si accompagna. (131)
Khantzian, nella formulazione della “self-medication hypothesis”, ha introdotto il concetto di specificità dell’effetto
autoterapico, in rapporto da un lato alla struttura di personalità del paziente, dall’altro alle proprietà psico-farmacologiche
delle sostanze assunte. In tal senso, alcuni autori hanno integrato nella definizione di temperamento la specifica reattività
d’ogni individuo “…alle circostanze e verso gli altri…ai farmaci e, quindi, anche alle droghe.” (131) In quest’ottica, l’effetto
delle droghe d’abuso dipende non solo dalle caratteristiche farmacologiche proprie delle sostanze, ma anche dalla
sensibilità e/o reattività individuale, nonché dal contesto socio-ambientale, in cui avviene l’assunzione. La dipendenza da
una specifica sostanza non è casuale. La preferenza per una determinata sostanza d’abuso segue, secondo Khantzian
(128), un processo d’auto-selezione. Gli psicostimolanti compensano, almeno in parte, l’astenia e l’anergia tipica degli
stati depressivi. La cocaina aiuta a superare difficoltà nei rapporti sociali, inducendo un tono dell’umore iperattivo e/o
ipomaniacale. In realtà, gli effetti soggettivi delle droghe variano, notevolmente, da soggetto a soggetto. Alcuni studi
hanno evidenziato, per esempio, che gli effetti soggettivi dei cannabinoidi si correlano positivamente con l’effetto
rinforzante l’uso delle sostanze, nonché con i successivi consumi. (132,133) In altri termini, l’individuo, che dopo
assunzione di cannabinoidi sperimenta disforia, agitazione, sospettosità, confusione e disorientamento, non ripeterà
l’assunzione con la stessa frequenza di chi, sotto l’effetto dei cannabinoidi, prova euforia, senso di energia, disinibizione
comportamentale e migliorata interazione sociale. Gli effetti soggettivi indotti dalle droghe d’abuso, probabilmente,
rispecchiano differenze neuro-biologiche pre-esistenti ed individuali. In uno studio che ha investigato l’insorgere di un
quadro paranoico dopo assunzione di cocaina, per esempio, è stato evidenziato che tale disturbo psicopatologico non è
prodotto in tutti i soggetti, semplicemente in rapporto al superamento di una certa dose assunta, ma è correlato, anche a
prescindere dalla dose, ad una predisposizione alla paranoia cocainica, rispetto alla quale ogni individuo presenta una
sensibilità individuale specifica. (134)
In conclusione, risulta confermata una correlazione positiva tra gli effetti gratificanti indotti dalle droghe d’abuso,
ripetizione dell’assunzione e successivi consumi. Analoghi risultati sono stati evidenziati per l’alcol etilico. I soggetti che
sperimentano un più alto livello di “allegria” alcol-indotta mostrano di scegliere, in condizioni sperimentali, con netta
preferenza, la bevanda alcolica rispetto a quella placebo. (135) Il consumo di sostanze, in senso qualitativo e
quantitativo, potrebbe essere influenzato, perciò, fondamentalmente, da differenze neuro-biologiche preesistenti
all’assunzione di sostanze.
Da un punto di vista, relativamente nuovo, la “disedonia” può assumere un ruolo patogenetico, in ambito psichiatrico
generale, in rapporto all’insorgere di disturbi comportamentali e di quadri psico-patologici diversi. La ricerca di un
equilibrio omeostatico edonico può, infatti, motivare comportamenti diversi da quello di ricerca ed assunzione di
sostanze. In questa nuova prospettiva, infatti, le dipendenze da sostanze, i disturbi dell’alimentazione, i comportamenti
talora estremi e pericolosi, esibiti da molti adolescenti e giovani, interpretabili nell’ambito concettuale del “Sensation
Seeking Behavior” di Zuckermann e/o del “Novelty Seeking” di Cloninger, il “gambling” patologico, molti altri disturbi del
comportamento con caratteristiche compulsive e/o impulsive, nonché molti altri quadri psico-patologici, relativamente
disomogenei sul piano diagnostico categoriale, potrebbero trovare nel contesto teorico della “disregolazione omeostatica
edonica” una nuova chiave di lettura, con importanti conseguenze sul piano clinico e terapeutico.
Disedonia, noia, sensation seeking, novelty seeking
In epoca adolescenziale e giovanile, sempre più numerosi soggetti presentano una serie di comportamenti di ricerca
estrema di sensazioni forti. Tali comportamenti si orientano, non infrequentemente, verso esperienze rischiose, talvolta
esplicitamente pericolose ed estreme, se non potenzialmente autodistruttive. Per tali soggetti, esperienze meno intense
e legate alla vita quotidiana risultano di fatto noiose, incapaci, cioè, di evocare livelli sufficienti di gratificazione e, talora,
nemmeno livelli sufficienti di attenzione ed interesse.
La noia, il senso di vuoto, l’incapacità di provare interesse e piacere nelle attività quotidiane della vita porta, talora, questi
soggetti alla ricerca di stimoli intensi e nuovi, spesso trasgressivi e ad elevato impatto emozionale. (136-138)
Zuckermann ha affermato che la ricerca di sensazioni forti, Sensation Seeking (SS), connesse alle esperienze
comportamentali più diverse, può essere considerata un vero e proprio bisogno strettamente correlato alla struttura di
personalità dell’individuo. (139, 140) Cloninger ha individuato, tra le diverse condizioni temperamentali, l’atteggiamento
Novelty Seeking (NS). (141, 142)
Secondo l’interpretazione di Zuckermann il tratto di personalità SS è correlato alle differenze inter-individuali del sistema
di “arousal”, in particolare al suo livello basale di funzionamento ed al suo livello di reattività agli stimoli ambientali.
Sarebbe possibile evidenziare in ogni soggetto un livello ottimale di “arousal” corrispondente ad un livello ottimale di
gratificazione “tonica” da stimoli ambientali. Al di sotto di una soglia d’attivazione specifica e individuale nascerebbe il
comportamento (Sensation Seeking) di ricerca attiva degli stimoli, quale risposta adattiva del soggetto alla perdita del
tono sensoriale gratificante. In quest’ottica la ricerca attiva di stimoli potrebbe essere considerata una risposta adattiva,
omeostatica, che tenderebbe a mantenere il livello di stimolazione dell’organismo entro un determinato range ottimale e
gratificante. Un eccesso di stimoli ambientali, ma anche una loro carenza, determinerebbe malessere soggettivo, disturbi
del livello di “arousal”, “disedonia”, perdita del tono gratificante connesso alla stimolazione ambientale. Zuckermann ha
precisato (139) che l’aspetto più rilevante della dinamica SS è rappresentato dall’intensità dello stimolo piuttosto che dal
tipo di stimolo ricercato. L’intensità dello stimolo ricercato sarebbe, inoltre, proporzionale al deficit di gratificazione
connesso all’insorgere del comportamento SS. Alcuni studi hanno suggerito l’esistenza di una possibile correlazione tra
comportamento SS e recettori dopaminergici D4. Ciò ha rinforzato l’ipotesi che il tratto di personalità legato alla ricerca di
sensazioni possa essere una caratteristica costituzionale ed avere specifiche correlazioni funzionali con il sistema
dopaminergico della gratificazione. (143)
L’aspetto temperamentale NS, secondo Cloninger, appare correlato con il livello d’attività del sistema dopaminergico. In
soggetti con tratti elevati di NS la risposta dopaminergica appare amplificata. La risposta incretiva GH appare amplificata
dopo somministrazione di bromocriptina, così come risulta aumentata la risposta inibitoria dopaminergica sull’increzione
di prolattina. (144)
Alcuni autori hanno proposto un coinvolgimento funzionale del tono endorfinergico nella genesi del comportamento SS,
correlato ai disturbi affettivi di tipo distimico. (145, 146) Il tratto di personalità SS è stato considerato un fattore di rischio
per l’insorgere di comportamenti d’abuso e dipendenza da sostanze. (147) La dimensione NS, valutabile sul piano psicodiagnostico con l’uso del Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ) è stata correlata all’insorgere dell’abuso di
sostanze, con capacità predittive e discriminative tra abusatori e non abusatori, nonché strumento efficace
nell’identificazione di soggetti con inizio precoce del comportamento d’abuso di sostanze. (148) Altri markers identificati
sono stati: anticonformismo, impulsività e scarso autocontrollo, scarso evitamento del pericolo (harm avoidance),
tendenza all’autonomia, intolleranza alla carenza di gratificazione. (149)
Il comportamento SS può essere evidenziato anche in soggetti senza dipendenza o abuso di sostanze, ma con aspetti
temperamentali affettivi, prevalentemente ipertimici o ciclotimici. E’ stato ipotizzato che l’esposizione ad esperienze
“stimolanti” induca, in soggetti predisposti, una risposta iperintensa. Ciò potrebbe rappresentare un rinforzo positivo
particolarmente condizionante nei soggetti tendenzialmente ciclotimici. Nelle fasi depressive, l’esperienza di
gratificazione memorizzata, sosterrebbe i comportamenti SS, in senso auto-terapico, come risposta adattiva alla carenza
di gratificazione vissuta, in condizioni d’ipoforia transitoria. (150)
La disedonia potrebbe svolgere un ruolo significativo tanto nella patogenesi delle dipendenze da sostanze, con aspetti
comportamentali compulsivi, che si associano notoriamente a forte evitamento del pericolo e avversione per il rischio,
affini, in un certo senso al tipo 1 di alcolismo, secondo Cloninger, quanto nella genesi di dipendenze patologiche con
aspetti comportamentali impulsivi, che si associano alla ricerca del rischio e alla sottostima del pericolo, con maggiore
affinità con il tipo 2 di alcolismo, secondo Cloninger.
Disturbi dell'alimentazione e disedonia
Richard Morton, in un trattato medico pubblicato a Londra nel 1689, è stato il primo autore ad aver dato una descrizione
dell’anoressia nervosa, cui si riferisce come “consunzione nervosa” causata da “tristezza e preoccupazioni ansiose”.
(151) Comportamenti bulimici sono stati descritti da James (1743), da Cullen (1772) e dall’Encyclopedia Britannica in
un’edizione del 1797. (152)
I disturbi dell’alimentazione sono stati classificati, sul piano nosografico, sino a tempi recenti (DSM IV 1994) individuando
essenzialmente due sindromi: l’anoressia nervosa (AN) e la bulimia nervosa (BN). Caratteristica comune alle due
sindromi è la presenza di un’alterata percezione del peso e dell’immagine corporea. L’anoressia si caratterizza per il
rifiuto e l’incapacità a mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale.
La bulimia è caratterizzata da ricorrenti episodi di perdita del controllo nell’ingestione di cibo, con “abbuffate” talora
seguite dall’adozione d’incongrui comportamenti di controllo del peso corporeo (vomito autoindotto, uso di lassativi,
diuretici, digiuno, iperattività fisica, etc.). Nel DSM IV i disturbi alimentari che non rientrano specificamente in queste due
categorie sono classificati come Non Altrimenti Specificati (NAS). Di recente, però, il disturbo da alimentazione
incontrollata (DAI) ha ricevuto specifica attenzione ed è stato inserito nell’appendice B del DSM IV. L’approccio
nosografico ai disturbi dell’alimentazione resta un approccio diagnostico categoriale. Tale approccio individua i criteri
diagnostici, secondo parametri descrittivi, e fissa limiti netti tra categorie diagnostiche diverse. Un approccio categoriale
è utilissimo nella comunicazione tra operatori, ma è molto meno utile nella ricerca delle basi etio-patogenetiche dei
disturbi dell’alimentazione e nella ricerca d’efficaci strumenti terapeutici. (153) Si è avvertita la necessità di un
inquadramento diagnostico dimensionale, anziché, categoriale, soprattutto negli ultimi anni, da parte di numerosi
studiosi, al fine di fornire una migliore descrizione dell’evoluzione storica del disturbo dell’alimentazione, ma anche per
identificare i fattori etio-patogenetici correlati all’insorgere della sintomatologia, prima che siano mascherati dagli effetti
psichici e fisici secondari al disturbo conclamato. (154, 155) A lungo si è dibattuto se i disturbi dell’alimentazione vadano
considerati in un “continuum” che va dal comportamento alimentare “normale” al comportamento alimentare patologico,
includendo in tale spettro diagnostico anche disturbi minori, quali il seguire diete (dieting) o il fare abbuffate (binge) o se
invece i quadri clinici tipici, descritti nosograficamente, vadano considerati categorie discrete, distinte sul piano etiopatogenetico. (156) Coloro che propongono l’inquadramento diagnostico dimensionale sostengono che esistono
numerosi disturbi alimentari, nella popolazione generale, distribuiti in modo continuo e non discreto. (157) In numerosi
studi si è evidenziato, infatti, che solo la metà dei soggetti, che si rivolgono ad un servizio per la cura dei disturbi
alimentari, presenta quadri clinici conclamati d’anoressia e bulimia nervosa. Paradossalmente, nella popolazione
generale i disturbi alimentari atipici, subclinici, sottosoglia, o NAS sono tanto frequenti, se non più frequenti, dei disturbi
alimentari conclamati, che hanno ricevuto un’identificazione nosografica. (158)
Correlati neurobiologici dei disturbi alimentari
La ricerca in ambito neurobiologico, neuroendocrinologico e psicofarmacologico ha prodotto una messe di dati scientifici,
sia sperimentali sia clinici, sui fattori biologici sottesi al comportamento alimentare normale e patologico. (159, 160) In
termini generali, il comportamento alimentare tende alla conservazione dell’equilibrio omeostatico di un organismo in un
determinato contesto ambientale. In tale ottica, il comportamento esibito da qualsiasi essere vivente può essere
interpretato, in prima istanza, alla luce di questa finalità omeostatica, tesa, in pratica, alla sopravvivenza, in condizioni di
benessere dell’individuo e alla conservazione della specie.
I sistemi neurali deputati alla complessa attività regolatoria del comportamento alimentare, sono integrati a livello
ipotalamico mediale, in particolare dai nuclei paraventricolari (PVN) e dai nuclei ventromediali (VMN). Tali nuclei
svolgono un’articolata funzione d’integrazione delle afferenze periferiche, provenienti dall’apparato digerente, con
prevalente mediazione neuroendocrina, ma anche da altre aree cerebrali, con prevalente neurotrasmissione aminergica
e neuromodulazione peptidergica. (161)
Una sintetica descrizione di questa complessa funzione d’integrazione vede il coinvolgimento di:
· segnali di fame, mediati prevalentemente da noradrenalina e neuropeptide Y;
· segnali di sazietà, mediati prevalentemente da serotonina e colecistochinina;
· segnali di piacere, mediati prevalentemente da dopamina e oppioidi endogeni;
· segnali metabolici, mediati prevalentemente da insulina e peptina.
Il tono noradrenergico centrale svolge un’azione facilitante il comportamento d’assunzione di cibo. In particolare, l’azione
di farmaci alfa-2-agonisti, a livello del PVN, induce iperfagia. I soggetti affetti da BN, in fase sintomatica, presentano
segni di attivazione noradrenergica, durante il pasto, superiore a quella di soggetti normali. Un basso tono
noradrenergico centrale sembra, invece, correlato all’iponutrizione, nella AN, e scompare con la normalizzazione del
peso corporeo. (162, 163)
Il neuropeptide Y (NPY) ed il peptide YY sono potenti stimolatori dell’appetito, se iniettati per via intracerebroventricolare
in animali da esperimento, anche in animali che hanno già raggiunto la sazietà. Il rilascio di NPY è antagonizzato
dall’amfetamina, mediante un meccanismo di stimolazione DA. (163, 164) Nella AN i livelli di NPY risultano elevati.
Alcuni effetti del NPY inducono alcuni sintomi tipici della AN, quali: ipotensione, attivazione dell’asse ipofisi-surrenalico,
soppressione dell’increzione gonadotropa ed inibizione dell’attività sessuale. (159) Gli effetti del NPY sull’increzione
gonadotropa risultano opposti, a seconda dei livelli di estro-progestinici circolanti. I livelli di NPY risultano elevati nelle
anoressiche sottopeso in amenorrea e tendono a normalizzarsi tardivamente, rispetto al recupero del peso corporeo, con
il ritorno del ciclo mestruale. (165) Non sono stati evidenziati livelli alterati di NPY nei soggetti affetti da BN.
Il peptide PYY non blocca l’increzione di gonadotropina, ma ha un più potente effetto oressante. Non risulta perturbato
nella AN o nell’obesità, mentre risulta fortemente elevato nei soggetti affetti da BN, circa dopo un mese dalla
sospensione dei comportamenti di craving alimentare. (164) Questo fenomeno potrebbe costituire un “tratto”
neurobiologico predisponente alla ricaduta. (165)
Il rapporto tra serotonina (5HT) cerebrale e comportamento alimentare è sostanzialmente circolare. La sintesi di 5HT
dipende dall’apporto alimentare di triptofano, mentre, il comportamento alimentare è sensibilmente influenzato dal tono
serotoninergico centrale. Una ridotta disponibilità dietetica di triptofano può indurre un abbassamento dei livelli di
serotonina cerebrale, con effetti clinicamente rilevabili, come slivellamento depressivo del tono dell’umore e ridotta
risposta agli antidepressivi. A livello della barriera emato-encefalica, il trasportatore non specifico di triptofano, è
utilizzato, in senso competitivo, anche da altri aminoacidi. Un pasto proteico non necessariamente migliora l’apporto di
triptofano, a livello cerebrale, per quest’effetto competitivo, esercitato da altri aminoacidi. L’ingestione di carboidrati
induce un’increzione insulinica, che stimola la penetrazione di glucosio ed aminoacidi neutri nei tessuti periferici,
riducendo la competizione a livello del trasportatore e facilitando l’ingresso di triptofano nel SNC. In tal senso, l’appetito
specifico per i dolci, presente in alcuni soggetti depressi, ma anche in obesi e bulimici, potrebbe essere interpretato
come un inconsapevole comportamento con finalità di automedicazione. (166)
Nella AN è stato evidenziato un basso tono serotoninergico centrale, nei soggetti sottopeso, con livelli superiori a quelli
normali, dopo il recupero del peso ideale, che tende a persistere nel tempo per almeno un anno. L’ipertono
serotoninergico può essere considerato una caratteristica di “tratto” neurobiologico, che può facilitare la ricaduta. Le
variazioni del tono serotoninergico cerebrale, presenti nei soggetti con AN, potrebbero correlarsi ad aspetti psicopatologici di tipo ossessivo-compulsivo, con tendenze all’anancasmo ed al perfezionismo.
Nella BN è stata evidenziata una correlazione inversa tra i livelli di 5HT e la frequenza d’abbuffate. L’ipoattività
serotoninergica potrebbe, perciò, svolgere un ruolo patogenetico sul fenomeno bulimico. Nell’obesità sono stati registrati
bassi livelli di metaboliti liquorali della 5HT, con una correlazione inversa tra tono serotoninergico e “craving” per i
carboidrati.
In un’ottica dimensionalistica, i disturbi dell’alimentazione potrebbero essere interpretati in un continuum di disfunzione
serotoninergica. Infatti, livelli elevati di 5HT indurrebbero condotte anoressiche e comportamenti ossessivo-compulsivi,
mentre, bassi livelli di 5HT produrrebbero condotte impulsive, con perdita del controllo sul comportamento appetitivo,
quindi, abbuffate nei soggetti bulimici ed affetti da “binge eating disorder” e “craving” specifico per i dolci, anche nei
soggetti obesi e/o depressi. (160, 167, 168)
Il polipeptide colecistochinina (CCK) induce sazietà negli animali e nell’uomo. E’ presente nelle cellule endocrine
dell’apparato digerente, ma, anche, diffusamente, nel SNC dell’uomo, incluso il PVN. Esiste una modulazione reciproca
tra tono serotoninergico centrale e attività funzionale mediata dalla CCK. Il livello basale e post-prandiale di CCK,
nonché il senso di sazietà indotto, risultano sostanzialmente normali, sia nella AN sia nella obesità. (169) Nella BN in
fase attiva la risposta alla CCK è diminuita. (165) Un picco post-prandiale di CCK, superiore ai livelli di normalità, è stato
evidenziato nelle depressioni melanconiche, che si associano spesso ad inappetenza. (170)
La dopamina svolge un ruolo fondamentale nei circuiti mesolimbici implicati nel controllo della funzione edonica.
L’assunzione di cibo determina rilascio di DA nei siti cerebrali già descritti e coinvolti nel fenomeno del “reward”. La
somministrazione di farmaci agonisti DA stimola il comportamento alimentare a bassi dosaggi, mentre lo riduce ad alti
dosaggi. Il trattamento con neurolettici, antagonisti recettoriali DA, provoca iperfagia e incremento ponderale. (159) Una
riduzione del numero di recettori D2, geneticamente determinata, si associa a ridotti effetti gratificanti mediati dal sistema
DA e si associa ad obesità, in presenza di cofattori ambientali. (171) I soggetti con BN con alta frequenza di “bingeing
behavior” mostrano ridotti livelli di DA cerebrale. (162) Nella AN è stata evidenziata una riduzione delle risposte
neuroendocrine (GH, PRL) dopo stimolo DA che persiste, almeno in parte, anche dopo recupero del peso corporeo.
(165)
Gli oppioidi endogeni stimolano il comportamento alimentare, negli animali da esperimento, mentre gli antagonisti
oppioidi, come il naloxone, tendono a diminuirlo. (163) I soggetti affetti da AN sottopeso presentano livelli endorfinergici
variabili e gli effetti di un trattamento con farmaci agonisti/antagonisti oppioidi induce effetti contrastanti. (164) E’
probabile che l’effetto degli oppioidi endogeni sia bifasico, con effetti stimolanti il comportamento alimentare, a livelli
medio-bassi, ed inibizione del comportamento alimentare, a dosaggi elevati. (172) I livelli endorfinergici tendono a
normalizzarsi con il recupero del peso corporeo, nei soggetti affetti da AN. Ciò induce ad ipotizzare un loro ruolo
patogenetico, nella perpetuazione del disturbo e nell’eventuale ricaduta, ma non un ruolo causale, propriamente detto.
Nella BN si sono registrati dati contrastanti nello studio del rapporto tra livelli endorfinici e comportamento alimentare. E’
stata però evidenziata una correlazione inversa tra attività oppioide e disturbi depressivi dell’umore, nonché una
correlazione diretta tra livelli endorfinici e frequenza delle abbuffate. Gli studi, a tutt'oggi, pur avendo rilevato variazioni
del tono endorfinico cerebrale, nei soggetti affetti da BN, non sono riusciti ad evidenziarne un ruolo patogenetico
primario. Tali variazioni, infatti, potrebbero conseguire alle variazioni del comportamento alimentare, piuttosto che
causarlo. Ciò nonostante, i soggetti obesi mostrano livelli elevati d’endorfine, che persistono anche dopo dimagrimento.
Si può ipotizzare, perciò, l’esistenza d’alterazioni predisponenti a carico del tono oppioide endogeno cerebrale, almeno
per alcune sottopopolazioni di soggetti, che tendono alla sovralimentazione patologica. (165, 169, 172)
La vasopressina e l’ossitocina sono due polipeptidi ipotalamici con importanti effetti neuroendocrini e cognitivi.
L’ossitocina, oltre a stimolare parto e lattazione, svolge un ruolo d’antagonista dell’ormone ACTH, anche in condizioni di
stress, e tende a ridurre il consolidamento dei ricordi ed a limitare la rievocazione delle tracce mnesiche. La
vasopressina svolge una funzione di controllo dell’osmolarità plasmatica a livello renale, ma facilita, inoltre, il rilascio di
ACTH nella reazione da stress, potenziando le capacità mnesiche. (173) Nella AN sono state evidenziate significative
alterazioni dell’increzione di vasopressina, che non risponde più regolarmente alle variazioni della natremia. (159)
L’increzione d’ossitocina è diminuita, in corso di AN, con una relativa prevalenza della vasopressina. Alcuni autori hanno
correlato queste variazioni ai disturbi del pensiero e delle funzioni cognitive, proprie delle anoressiche sottopeso. La
vasopressina è alterata tanto nei soggetti bulimici che nei soggetti in sovrappeso, senza comportamenti di vomito
indotto.
Il CRF inibisce l’alimentazione nell’animale da esperimento. Nelle anoressiche sottopeso sono stati evidenziati elevati
livelli liquorali di CRF, ma anche elevati livelli di ACTH e cortisolo plasmatici. L’attività funzionale dell’asse ipofisiipotalamo-surrenalica si normalizza, con il recupero del peso, nella AN. L’increzione di CRF potrebbe svolgere un ruolo
nel mantenimento e nella ricaduta in fase sintomatica della AN. I soggetti affetti da AN tornati normopeso, che
mantengono un’iperincrezione di CRF persistente, presentano, spesso, sintomi di depressione. L’iperincrezione di CRF
può precedere o promuovere sintomi anoressici, in soggetti depressi.
Il disturbo da alimentazione incontrollata
ll disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) rappresenta una sindrome già identificata, nel 1959, da Stunkard, che si
manifesta in un sottogruppo di pazienti, solitamente obesi. (174) Tali soggetti presentano un comportamento alimentare
tipico, caratterizzato da consumi episodici di grandi quantità di cibo, “abbuffate” (binge), seguite da sensi di colpa,
sofferenza psicologica con autoaccusa e tentativi di seguire diete compensatorie, spesso incongrue. Il “binge-eating
disorder” ha ricevuto sufficiente attenzione clinica, in ambito psichiatrico, solo da pochi anni. Secondo alcune stime, negli
U.S.A. la frequenza di DAI nella popolazione generale raggiunge il 2-5 %, mentre tale frequenza raggiunge valori sino al
30% nella popolazione d’obesi, che cercano di dimagrire e si rivolgono a strutture specialistiche per farlo. (175) In Italia,
la frequenza di DAI stimata in una popolazione di obesi, in trattamento presso una struttura specialistica universitaria, è
risultata dell’1,9%. (176) Il disturbo da alimentazione incontrollata risulta più frequente nel sesso femminile, con un
rapporto femmine/maschi di 3/2. L’esordio del disturbo è giovanile, in media tra 15 e 19 anni. Il disturbo spesso
esordisce dopo una dieta incongrua con calo ponderale. Il DAI è presente in tutte le classi socio-economiche, ma
sembra prevalere in quelle più basse. I soggetti obesi con DAI presentano una più alta familiarità per l’obesità, un’età
d’esordio più precoce, un rapporto più stretto tra dieta ipocalorica per sovrappeso ed insorgenza del disturbo. (152)
I criteri forniti dal DSM IV per la diagnosi del disturbo da alimentazione incontrollata includono:
A. episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata con la presenza di entrambi i seguenti elementi: 1. mangiare, in un
periodo definito di tempo (ad esempio entro due ore) una quantità di cibo assai superiore a quella che la maggior parte
delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo ed in circostanze simili; 2. sensazione di perdita del controllo
nel mangiare durante l’episodio (ad esempio, sensazione di non riuscire a fermarsi durante l’episodio);
B. la presenza di tre o più dei seguenti sintomi: 1. mangiare molto più rapidamente del normale; 2. mangiare sino a
sentirsi spiacevolmente pieni; 3. mangiare grandi quantitativi di cibo, anche se non ci si sente fisicamente affamati; 4.
mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto di sta mangiando; 5. sentirsi depressi ed in colpa dopo l’abbuffata;
C. la presenza di un marcato disgusto, rispetto al mangiare incontrollato;
D. il comportamento alimentare incontrollato si presenta mediamente almeno per due giorni a settimana, in un periodo di
sei mesi;
E. l’alimentazione incontrollata non risulta associata a comportamenti compensatori inappropriati (ad esempio digiuno,
vomito, esercizio fisico prolungato, uso di purganti, etc.).
Il bisogno di mangiare è descritto dai pazienti come incoercibile, preceduto da un’ideazione ossessiva, a tematica
alimentare, che precede l’abbuffata, in pratica il comportamento appetitivo caotico e disordinato, che sembra presentare
le caratteristiche di una vera e propria compulsione. La sensazione esperita è di un impulso irrefrenabile all’assunzione
di cibo, smodato ed incontrollabile, sia per il tipo d’alimenti assunti, sia per la durata dell’abbuffata. (177) I pazienti sono
spesso disforici, con slivellamento depressivo del tono dell’umore e ansia. Nella storia personale di questi pazienti sono
frequentemente presenti episodi di violenza fisica e sessuale. (178) E’ stata evidenziata frequentemente una comorbilità
psichiatrica caratterizzata dalla presenza di depressione maggiore, distimia e depressione atipica. (158) Molto spesso si
associa al DAI un disturbo d’ansia generalizzata, l’abuso di sostanze psico-attive e d’alcol, come pure il disturbo
borderline di personalità (14 % dei casi). (176)
Tra i parenti di primo grado dei pazienti affetti da DAI è frequente la presenza di disturbi affettivi maggiori (33%), d’abuso
d’alcolici (47%) e d’abuso di psicofarmaci (12%). Il decorso del DAI è tendenzialmente cronico con periodiche
riesacerbazioni, che tendono a preludere ad un aggravamento della sintomatologia. (174, 179)
Nel paradigma interpretativo della disregolazione omeostatica edonica, il DAI potrebbe essere considerato come un
disturbo da perdita di controllo sul comportamento alimentare, nella sua componente appetitiva. E’ noto, infatti, che il
glucosio ha effetti inibitori sulla trasmissione dopaminergica, potenzia nell’animale la catalessia indotta dall’aloperidolo,
mentre il comportamento stereotipato, indotto dall’amfetamina, è ridotto nel ratto diabetico. (180, 181) Una
“disregolazione omeostatica edonica” potrebbe, inoltre, svolgere un importante ruolo patogenetico anche negli altri
disturbi dell’alimentazione.
Disedonia - Approccio diagnostico dimensionalistico
Lo sforzo di sistematica classificazione diagnostico-nosografica delle malattie mentali prodotto da Kraepelin è sembrato
essere sostanzialmente validato dall’avvento della moderna psico-farmacologia clinica. (182) L'efficacia di specifiche
classi di farmaci (ansiolitici, antipsicotici, antidepressivi, etc.) su specifiche categorie diagnostiche (ansia, psicosi,
depressione), per alcuni decenni, ha confermato, apparentemente, che tali categorie diagnostiche avevano una loro
validità reale e non erano semplici astrazioni razionali o ipersemplificazioni del reale.
Il notevole incremento delle conoscenze scientifiche in campo neurobiologico, degli ultimi anni, ha messo profondamente
in crisi, forse in modo irreversibile, certi concetti nosografici e, contemporaneamente, quello di specificità, di varie classi
di psicofarmaci, nel trattamento di determinate classiche "categorie psicopatologiche".
Numerosi studi neuromorfologici, neurofisiologici, neuro-endocrinologici e d’andamento intergenerazionale delle malattie
mentali sembrano deporre per una continuità patologica tra i diversi disturbi dello spettro schizofrenico. (183) Altrettanto
si potrebbe dire per i disturbi d'ansia ed i disturbi dell'umore, che potrebbero essere interpretati com’entità nosografiche
distinte o come un fenomeno dimensionale unico. (184) Attualmente, perciò, la diagnosi in campo psichiatrico ha un
valore di convenzione condivisa, più che d’identificazione di una specifica eziopatogenesi della malattia e di una
corrispondente specifica risposta terapeutica.
Queste considerazioni hanno ridimensionato il ruolo svolto dai più recenti sforzi di sistematizzazione categoriale dei
disturbi mentali, come D.S.M. III R (4), D.S.M. IV (6) e I.C.D. 10.
Da un lato è possibile evidenziare l'esistenza di dimensioni patologiche trans-sindromiche, dall'altro l'approccio
categoriale non permette di cogliere le similarità sintomatologiche parcellari, tra sindromi diverse, che potrebbero
sottendere comuni meccanismi patogenetici. La sistematica descrizione di segni e sintomi raccolti, a fini diagnostici, in
disordini e disturbi psicopatologici, può essere alla base di una fittizia sovrastima della comorbilità psichiatrica che, in
realtà, lo stesso sistema diagnostico e nosografico (D.S.M. IV) di riferimento crea. Ciò nonostante, lo sviluppo della
ricerca in campo psicobiologico e psicofarmacologico è, paradossalmente, il principale fattore di crisi del sistema
nosografico categoriale. La somministrazione di un farmaco presuppone, in medicina, una ben definita condizione
patologica, su cui quella sostanza agisce su uno specifico substrato fisiopatologico. I più recenti studi di psicobiologia e
di psicofarmacologia hanno dimostrato alterazioni di determinati parametri neurochimici, neuromorfologici e
neurofisiologici, largamente sovrapponibili, in disturbi mentali, nosograficamente diversi. In psicopatologia le barriere
categoriali, che mantengono una loro valenza didattica e comunicativa, si scontrano con la realtà terapeutica, che
evidenzia l'efficacia di molti composti psicotropi, in situazioni cliniche nosograficamente distanti. Il concetto di specificità
farmacologica appare intrinsecamente legato all'approccio categoriale alla psicopatologia. Negli ultimi anni, si sono
raccolte numerose evidenze scientifiche che hanno messo in crisi la teoretica categoriale. Si sta passando, così, da un
approccio nosografico rigidamente categoriale ad un approccio dimensionalistico. Si tende, sempre più frequentemente,
a non considerare com’entità reali le categorie diagnostiche, che in psichiatria raramente si presentano nella loro ideale
descrizione, orientandosi verso un approccio classificativo, che considera i diversi sintomi autonomamente, in un
"continuum" tendenzialmente trans-nosografico. Van Praag (185) ha affermato che: "Le categorie diagnostiche, in
psichiatria, erano null'altro che ampi cesti che contenevano una varietà di sindromi più o meno collegate tra loro, non
certo entità patologiche genuine. Tale tassonomia non è stata una buona compagna per la ricerca in psichiatria biologica
ed è stata, in larga parte, responsabile del fatto che gran parte della "biologia" che era evidenziata nella patologia
mentale sembrava essere priva di specificità diagnostica...". Si è andati, perciò, verso una visione psicopatologica
disfunzionale, cambiando l'approccio diagnostico, a favore di una visione dimensionalistica dei disturbi mentali, anziché
rigidamente categoriale. (186) L'utilizzo nella pratica clinica degli SSRI, farmaci che inibiscono selettivamente il reuptake
di serotonina, ha dimostrato, per esempio, una loro attività terapeutica in quadri nosografici disomogenei (depressione,
disturbo ossessivo-compulsivo, aggressività, bulimia, etc.). E’ stato, quindi, ipotizzato, che tali disturbi clinici potrebbero
essere patogeneticamente secondari, in una certa misura, a complesse disfunzioni del tono serotoninergico cerebrale,
che risulta essere il denominatore comune, ai diversi disordini psicopatologici, su cui sono attivi. Questi disturbi
appartengono ad uno spettro patologico che include il disturbo depressivo, i disturbi alimentari, i disturbi ossessivocompulsivi, l'alcolismo, le tossicodipendenze, alcuni disturbi di personalità, alcuni disturbi somatoformi, nonché i disturbi
da perdita del controllo sugli impulsi, l'aggressività, gli attacchi di panico ed, in parte, l'ansia. Evidenze analoghe sono
state raccolte circa il ruolo patogenetico svolto dalla noradrenalina nella regolazione della spinta psicomotoria,
nell'arousal, nell'anedonia. Numerosissimi studi hanno sottolineato il coinvolgimento funzionale del tono dopaminergico
cerebrale sia negli aspetti ideativi e di strutturazione percettiva e cognitiva del vissuto (processamento delle
informazioni), sia negli aspetti più direttamente motori e motivazionali un cui ruolo è razionalmente ipotizzabile tanto nella
patogenesi delle dipendenze patologiche da sostanze quanto in quella delle psicosi. (187-189) Stiamo assistendo, in
questi ultimi anni, ad una rivoluzione, che vede la ricerca impegnata a trovare non più un legame patogenetico, tra un
neuro-mediatore ed una "categoria" nosografica, ma tra esso ed alcuni componenti sintomatologici fondamentali del
disturbo mentale (ansia, aggressività, edonia, cognitività, etc.). (190, 191)
S’impone, in questa prospettiva, una nuova questione. Le dipendenze patologiche da sostanze presentano una loro
intrinseca comorbilità psichiatrica, la cosiddetta “doppia diagnosi”, oppure rappresentano solo un’espressione clinica di
una più complessa dimensione psicopatologica? In altre parole, siamo certi che le stesse dipendenze patologiche da
sostanze non debbano rientrare, a pieno titolo, tra i disturbi psicopatologici, come la loro inclusione, nel contesto del
D.S.M. IV, implicitamente suggerisce? La questione del continuum psicopatologico, tra dipendenze patologiche e altri
disturbi psichiatrici, è gravida di conseguenze, non solo sul piano clinico-diagnostico, ma anche su quello terapeuticoriabilitativo. (150, 192- 202)
Conclusioni e prospettive terapeutiche
L'abuso di droghe ed in particolare d’oppioidi mima, in un certo senso, i meccanismi naturali di ricompensa,
possedendone tanto gli aspetti incentivanti quanto quelli consumatori. Il tono dopaminergico mesolimbico risulta
coinvolto negli aspetti incentivanti della gratificazione da oppiacei e, quindi, nell’acquisizione e/o riacquisizione dei
comportamenti tossicofili. Una volta acquisito, tale comportamento è reiterato, non solo per le sue peculiarità incentivanti,
ma anche per le proprietà consumatorie dell'assunzione di oppiacei, che sembrano essere relativamente indipendenti
dal tono dopaminergico mesolimbico.
La dipendenza da oppiacei è una condizione cronica, in cui il mantenimento dell'auto-somministrazione è legato
all'insorgere di una risposta da stress, secondaria all’astinenza, che presenta potenti proprietà avversive, oltre che alle
caratteristiche gratificanti del comportamento d’abuso. Il tono dopaminergico mesolimbico potrebbe essere coinvolto
negli effetti avversivi della sospensione d’oppiacei nei soggetti dipendenti. Il fenomeno della dipendenza agli oppiacei
coinvolgerebbe, in altre parole, un meccanismo di rinforzo positivo gratificante dopaminergico in fase appetitiva ed
endorfinergico in fase consumatoria, nonché un rinforzo avversivo astinenziale, almeno parzialmente modulato dal tono
dopaminergico mesolimbico. Interventi terapeutici, che sfruttano le conoscenze sin qui raggiunte, sulle peculiari
caratteristiche dei meccanismi neuro-biologici di gratificazione e d’astinenza, sono stati proposti, di recente, pur
restando, allo stato attuale, largamente sperimentali. Trattamenti farmacologici, che agiscono direttamente sul tono
dopaminergico mesolimbico, ma anche sugli altri neuro-trasmettitori e neuro-modulatori, coinvolti nei meccanismi del
craving e della motivazione, potrebbero modificare, in senso terapeutico, non solo i fenomeni d’adattamento recettoriale,
indotti dall'uso di droghe, ma che il substrato neuro-biologico, che induce e/o facilita l'insorgere di una dipendenza
patologica da sostanze, la “disedonia”. Una “disregolazione omeostatica” del sistema centrale di controllo del tono
edonico può verosimilmente svolgere un ruolo importante, non solo nell’insorgere di una dipendenza da sostanze, ma in
molti altri quadri psico-patologici. Il desiderio, i comportamenti appetitivi ed i comportamenti consumatori, che portano al
“piacere”, possono presentare alterazioni diverse, in senso qualitativo e quantitativo, nel singolo paziente. Tali alterazioni
“di fondo”, non sempre adeguatamente investigate e riconosciute nella loro rilevanza patogenetica, potrebbero svolgere
in ruolo importante nell’indurre e/o nel facilitare l’insorgere di numerosi e diversi quadri psico-patologici. Nel paradigma
interpretativo della “disedonia”, infatti, molti sintomi nucleari, presenti in diversi quadri sindromici, nosograficamente
distanti sul piano diagnostico, potrebbero, in realtà, sottendere alterazioni funzionali analoghe dei meccanismi neurobiologici implicati, nel meccanismo della gratificazione / ricompensa.
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