celati bollettino - Centro Arti Visive

laboratorio dell’immaginario
issn 1826-6118
rivista elettronica
www.unibg.it/cav-elephantandcastle
MUTEVOLI LABIRINTI DI FORME
NATURA E METAMORFOSI
a cura di Greta Perletti
aprile 2011
CAV - Centro Arti Visive
Università degli Studi di Bergamo
ANNA MARIA SIGNORI
Recensione: L’alba del mito (2010) – Gabriella Brusa Zappellini
Titolo
Autore
Editore
Anno
Pagine
Prezzo
ISBN 10
ISBN 13
L’alba del mito. Preistoria dell’immaginario
antico
Gabriella Brusa Zappellini
Arcipelago Edizioni
2010
350
€32.00
8876954252
9788876954252
Le piante e i vegetali non sono solo buoni da mangiare,
ma sono buoni anche da pensare.
Claude Lévi-Strauss, La pensée sauvage
Quando ci si addormenta il sistema nervoso attraversa diverse fasi di rilassamento, e capita, a volte, di risvegliarsi di soprassalto,
avendo immaginato di cadere o più spesso di inciampare. Questo
risveglio altro non è che una memoria preistorica, di quando, ominidi, passavamo la notte sugli alberi, cercando lassù un rifugio sicuro dai grossi carnivori predatori. Il sogno di perdere l'equilibrio, e
soprattutto la velocità di reazione del corpo nel ristabilire l'equilibrio perduto poteva salvarci la vita. Così, questa semplice esperienza altro non è che un relitto, un regalo fissato nella nostra
mente dal progenitore antico, un opaco residuo di un passato che
siamo soliti pensare perso, lontano dalla nostra era digitale.
Invece in questo passato, attraverso le sue fasi e le sue metamorfosi, siamo immersi ancora oggi, quando guardiamo un'opera
d'arte, o leggiamo un libro.
Inoltrandoci nei recessi della storia, imboccando le grotte le cui
pareti sono state istoriate dalla nostra specie, 35.000 anni fa, con
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Elephant & Castle, n. 3 - Natura e metamorfosi, aprile 2011
le grandi immagini zoomorfe, così come inoltrandoci nei recessi
dell’inconscio/pre-sonno che conserva tracce di istinto primordiale, inevitabilmente arriviamo a una zona buia, ombrosa, in cui si
congiungono “le tenebre del passato e la notte dell'inconscio”. E al
di là, la regione dell'immaginario, in cui si fondono le immagini dei
sogni e quelle dipinte dai primi uomini, in un intreccio di mito, sogno e immagine.
È in questa regione, in questo passato, che ci porta Gabriella Zappellini Brusa.
Alba del mito. Preistoria dell'immaginario antico, edito da Arcipelago
Edizioni riunisce tre saggi pubblicati dall’autrice tra il 2007 e il
2009, riorganizzandoli nei tre capitoli in cui è suddiviso il volume
del 2010. Ha un progetto ambizioso: pur ammettendo in fase preliminare di essere un punto di partenza di un più lungo viaggio, si
propone di tracciare una mappa dell'immaginario antico; di seguire le tracce che nel corso dei millenni le immagini hanno lasciato a
memoria della loro migrazione da una cultura all'altra, da un'epoca all'altra. Nei sigilli sumerici, nei templi aztechi, nei vasi greci, nelle
cattedrali gotiche e nei bestiari medioevali possiamo trovare le
stesse figure paradigmatiche; e queste immagini, benché abbiano
attraversato millenni e migliaia di chilometri, hanno saputo conservare un più di valore: sono diventate immagini archetipiche, legate
a riti e credenze che si ritrovano e si sviluppano secondo le stesse
linee-guida in civiltà diverse.
Così, come la linguistica dell'Ottocento con le teorie comparatistiche ha evidenziato le connessioni linguistiche antiche confrontando negli esiti moderni fenomeni linguistici, così Zappellini Brusa
vuole tratteggiare, attraverso il confronto sistematico di raffigurazioni paleolitiche e neolitiche, un panorama in cui rintracciare il
cammino di immagini-archetipi: relitti immaginifici che dalle grotte
del paleolitico, frequentate per secoli e poi abbandonate, si sono
trasferiti nell'immaginario mentale e, a distanze enormi, sono poi
riemersi in civiltà di epoche storiche lontanissime tra loro.
Questi relitti figurali sono stati poi inglobati nei sistemi mitologici e
attraverso questi sono giunti fino a noi: “La creatività artistica,”
A.M. Signori - Recensione: G. Brusa Zappellini, L’alba del mito, Arcipelago 2010
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scrive Brusa, è riuscita “a conservare intatte nei millenni le forme
essenziali del substrato unitario del linguaggio figurato delle origini” (10).1
Il primo capitolo del volume si occupa di alcune di queste immagini-archetipi, il terzo di morfogenesi e fenomeni legati allo sciamanesimo, mentre il secondo capitolo analizza l'immagine del corpo
del sovrano/dio che si trasforma in vegetale. In larga parte del
mondo, in culture temporalmente e geograficamente lontane tra
loro, i miti di fecondità e rinascita presentano caratteri comuni, a
cominciare proprio dal punto nodale della metamorfosi del corpo
del dio/sovrano. Che il tema della metamorfosi del corpo del re
sia un punto centrale dell'antropologia e dell’etnografia è testimoniato da una attenzione al tema lunga decenni: valgano per tutti il
Rex Nemoniensis e le indicazioni sulle modalità di uccidere il Dio o
i suoi sostituti simbolici nel Ramo d'oro di Frazer.
Zappelini Brusa riconosce una ricorrenza insistita di elementi comuni che rimandano a una trama originaria, declinata poi secondo
le specifiche del singolo luogo. L'elenco dei miti che condividono il
punto centrale della metamorfosi del corpo in vegetale, per lo più
cereale, finalizzato alla alimentazione umana, è assai corposo. La festa Khoiak dell'apparizione legata a Osiride, il cui corpo smembrato si trasforma in grano, o farro o orzo, consiste nella sepoltura di
un simulacro del Dio impastato con orzo e grano e nella regolare
innaffiatura, che consentiva al cereale di germogliare dal corpo del
dio. In India invece troviamo la festa della Dea Isani, che segna l'inizio dell'anno Indù: una statua della dea veniva posta in una buca
con il simulacro del suo sposo; su di essi veniva sparso del grano,
innaffiato e tenuto caldo. Allo spuntare dei germogli, questi venivano strappati dalle donne e posti a ornamento dei turbanti degli
sposi. Nell'antica Roma troviamo la festa del dio Consus, testimoniataci da Livio. Questa divinità era strettamente legata a Ops, dea
1 Tutte le pagine fra parentesi si riferiscono al testo recensito: Gabriella Brusa Zappellini, Alba del mito. Preistoria dell’immaginario antico, Arcipelago Edizioni, Milano, 2010.
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delle messi di probabile origine sabine, Grande Dea che conservava sia le sementi che le anime dei morti. In Mesopotamia troviamo l'epopea Sumera e poi Assira del dio Damuzi Tammuz, identificabile col greco Adone, riconducibile a un mito di origine semitica.
La risurrezione del Dio era probabilmente una delle maggiori solennità del calendario antico-orientale. Lo stesso impianto mitico
si ritrova anche nel continente americano: Zappellini Brusa rimanda al mito peruviano sulla nascita di mais, tapioca e zucca dal corpo metamorfizzato del figlio dei progenitori, da loro stessi ucciso;
in un altro luogo altrettanto lontano, in Nuova Guinea, troviamo il
corpo di una vergine semidivina che si tramuta in tuberi commestibili.
I miti di queste culture antiche parlano costantemente di un dio
morto e smembrato per rinnovare i processi generativi dei campi.
Una figura per lo più maschile subisce, per così dire, la sorte della
spiga di grano, che deve morire ed essere disgregata per dare
frutto (il tema anche in ambito biblico ha una grande importanza,
per non dire del Figlio di Dio ucciso e sepolto, che risorge e vince
la morte, e attraverso di lui l’umanità intera accede alla vita eterna).
Questi miti, legati ad una cultura agricola, sono sicuramente diversi
e lontani dai primi miti che l'uomo deve aver elaborato, in epoca
Paleolitica, e che devono invece essere stati legati, nelle profondità
delle caverne istoriate, alla fonte primaria di sostentamento del
periodo, cioè la caccia.
La nostra specie è vissuta per millenni ignorando la semina e la
mietitura, e con essi i cicli delle stagioni e le fasi del sole, della luna,
degli astri. In questa fase, legata alla caccia con le reti e le zagaglie, i
riti nascosti nelle profondità della terra ci tramandano una enorme quantità di raffigurazioni pittoriche di grandi animali, i grandi
erbivori che erano la base del sostentamento ma anche i grandi
carnivori, pericolo da cui scampare. Ed è nei riti di iniziazione celebrati nelle grotte che nacquero i miti, che avranno avuto però sicuramente una forte componente patriarcale e legata ai riti della
caccia. Infatti secondo i ritrovamenti archeologici nei rituali sotter-
A.M. Signori - Recensione: G. Brusa Zappellini, L’alba del mito, Arcipelago 2010
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ranei, iniziazioni e riti finalizzati ad assicurare una buona caccia, la
componente predominante è quella maschile: troviamo grandi figure itifalliche, stregoni danzanti e simboli di forza e virilità. Nei siti
di superficie invece, vicino agli accampamenti, troviamo i simboli
del femminile: statuette delle grandi madri, legate alla maternità e
alle attività di raccolta di prodotti spontanei.
Dunque quale collegamento tra le grandi immagini itifalliche delle
grotte, con il corrispettivo delle statuette delle grandi Madri nei siti di superficie, e i miti di morte e rigenerazione vegetale della
morte del Dio-metamorfosi in cereale?
È a questo punto che riflessioni precedenti si erano fermate, prima tra tutte quella di Mircea Eliade, che arriva a intuire un qualche
collegamento tra la formazione di miti di morte violenta e risurrezione di divinità legati ai cicli di rinascita della natura e le forme
della paleo-agricoltura. Ma si fermava all’ipotesi che esistesse un
qualche collegamento, senza che il concetto fosse approfondito. È
da questo punto che Zappellini Brusa compie il passo in più, addentrandosi nella riflessione sul collegamento dei due eventi, investigandone il legame: infatti l'autrice ritiene di poter indicare l'innesto dei miti agricoli su un substrato antico più profondo, investigando il momento di passaggio tra le culture paleolitiche e la rinascita neolitica.
La fine della glaciazione di Würm, tra 13.000 e 11.000 anni fa, ha
segnato un arretramento delle culture di caccia e raccolta spontanea; in Europa a questo segue una fase di arretramento culturale.
Nelle aree climaticamente più favorevoli del vicino oriente, invece,
a partire dal 10 millennio a.C., inizia la raccolta sistematica di cereali e leguminose e poi la loro coltivazione.2 Questa novità, unita
2 In ambito antropologico si parla di addomesticamento delle specie vegetali, analogamente al termine usato per le specie animali, intendendo il processo di selezione e
sviluppo delle varietà più prolifiche e acquisizione delle conoscenze tecniche specifiche
per la coltivazione, raccolta e utilizzo a scopo alimentare.
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Elephant & Castle, n. 3 - Natura e metamorfosi, aprile 2011
alla trasformazione della caccia e alla domesticazione degli animali,
ha completamente rivoluzionato le civiltà: grandi le implicazioni
culturali del passaggio da gruppi umani itineranti a forme di seminomadismo e poi di stanzialità permanente.
Il passaggio da un lavoro ad effetto immediato – la caccia – ad un
lavoro ad effetto ritardato – l'agricoltura – ha comportato una
modificazione del concetto del tempo e la necessità di una risposta mitologica adeguata; nascono in questo momento riti volti a
garantire la potenza produttiva del suolo e il controllo magico delle condizioni atmosferiche. Infatti per una società agricola riveste
fondamentale importanza la conoscenza dei cicli stagionali, dei ritmi naturali, (e quindi una conoscenza della volta celeste, dell’avvicendarsi delle stagioni) che invece erano ininfluenti in regime di
caccia.
In campo mitico-religioso, nella prima fase della scoperta dell'agricoltura e della coltivazione dei cereali si può ipotizzare un aumento del potere della Grande Madre (le grandi madri di origine paleolitica, le Veneri steatopigie, precedentemente confinate nei siti
di superficie, alla stregua di numi tutelari, lontane dalla profondità
delle caverne dove aveva sede il rito), che va ad assumere anche il
ruolo di regina degli animali: ”la Grande Dea, pur conservando in
sé tutto il mistero della maternità che le apparteneva fin dalle origini, diviene una plenipotenziaria Signora degli animali che non solo partorisce le fiere, ma anche le doma e le sottomette” (177). Il
suo divino sposo – il figlio-amante, il sacro paredro – in un contesto di marginalizzazione della caccia e valorizzazione della produzione agricola deve aver subito una perdita di una parte di prestigio per rivestire il ruolo di Sposo della Dea e vittima sacrificale dei
riti agricoli. Se quindi nella società basata sulla caccia il ruolo più
importante era assunto dall’elemento maschile, che si esplicitava
nella forte predominanza del maschile nelle grotte dei riti, con la
crescita d’importanza dell’agricoltura come base del sostentamento dei gruppi umani il ruolo del maschile entra in crisi: è la donna,
signora dei cicli della natura, che domina e garantisce la sopravvivenza e l’apporto di cibo. Ma la perdita di prestigio è solo appa-
A.M. Signori - Recensione: G. Brusa Zappellini, L’alba del mito, Arcipelago 2010
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rente: il Sacro Sposo della Dea, attraverso la sua metamorfosi in
vegetale, si lega alla sorgente energetica prioritaria del sostentamento, l'agricoltura appunto, punto di snodo fondamentale per il
passaggio dal Paleolitico alle culture agricole neolitiche. Così l’elemento maschile si riappropria della centralità che aveva perso. Il
Dio torna a essere maschio.
Il punto centrale della trama del corpo che si metamorfizza in vegetale, trama che ha avuto così ampio seguito nella mitologia di
tutte le culture, può essere nato dunque in questo lontanissimo
passato, in questa fase così delicata di passaggio da Paleolitico a
Neolitico, da cui si sono originate su tutto il pianeta le culture che
sono all'origine del mondo come lo conosciamo.
Queste figure di Dio/Vegetale ci riportano così al momento in cui,
lasciate le grotte di Cauvet, di Les Trois Frères, di Gabillou, di Altamira, trovatici a dover rispondere alle nuove esigenze interpretative dettate dall'agricoltura, la visione della volta stellata, fondamentale scansione di stagioni e fasi vegetali, ha azionato la nostra facoltà mitopoietica, portandoci a creare un impianto mitologico
adatto a giustificare le esigenze della nuova civiltà agricola.
E in questa civiltà agricola, la trasformazione del corpo del dio, la
metamorfosi in vegetale, diventa la promessa della fecondità e
della rinascita, e insieme l'imprescindibile custode del fiorire della
civiltà.