Capitolo secondo L’approccio stakeholder e la necessità della «misurazione» della responsabilità sociale 2.1. Approccio etico o strumentale agli stakeholder? Chiarimenti Gli studi aziendal-manageriali hanno introdotto agli inizi degli anni Ottanta il concetto di stakeholder 1, cioè coloro che hanno una qualche «posta di scommessa» (letteralmente stake) nell’azienda. È prima di tutto importante evitare di parlare degli stakeholder in modo acritico, prestandosi ad interpretazioni tanto generiche quanto ambigue nel significato2. La teoria degli stakeholder viene proposta all’inizio come un allargamento degli studi sulla gestione strategica delle aziende, cioè sui loro progetti e scelte volti a conseguire sopravvivenza e sviluppo sul mercato nel lungo e lunghissimo periodo. Freeman e i suoi collaboratori ritengono che l’impresa, per svilupparsi in termini di competitività e di redditività, non debba solo riferirsi agli interessi degli 1 La teoria degli stakeholder viene qui presentata in modo sintetico e solo per quanto serve al discorso sul bilancio sociale, per ulteriori approfondimenti vedi, tra gli altri: Freeman e Reed (1983); Freeman (1984); Goodpaster (1991); Freeman (1994); Phillips, Freeman e Wicks (2003); Freeman e altri (2007); Rusconi (2007); Freeman, Harrison, Wicks, Parmar, De Colle (2010); Rusconi (2012a, b e c). La teoria medesima verrà ripresa nella seconda parte per esaminare come si può intendere il sindacato come stakeholder interessato al bilancio sociale d’impresa. 2 «Il termine ‘stakeholder’ è di quelli potenti. Ciò è dovuto significativamente alla sua ampiezza concettuale. Il termine significa molte cose differenti per molta gente diversa e di conseguenza suscita apprezzamento o ripulsa in un’ampia varietà di studiosi e pratici di innumerevoli discipline accademiche e formazioni culturali. Tale ampiezza di interpretazione, sebbene costituisca uno dei maggiori punti di forza della teoria degli stakeholder, è anche uno dei suoi più importanti svantaggi teorici come oggetto di discorso ragionato». Phillips, Freeman, Wicks (2003), p. 479. 33 azionisti, ma debba considerare gli altri interlocutori che hanno una qualche «posta» in essa. Si propone cioè di passare da politiche e strategie aziendali finalizzate solo alla massimizzazione del valore dell’impresa per gli azionisti a scelte che abbiano come obiettivo la massimizzazione del benessere degli stakeholder, ovviamente includendo in essi anche gli azionisti e le loro aspirazioni. Un simile approccio può essere definito come «strategico» o, meglio, «strumentale»3 se è finalizzato unicamente alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’impresa. La reazione negativa (campagne di stampa, lobbying politico-istituzionale, demotivazione del personale, conflittualità sociale, ecc.) di alcuni interlocutori potrebbe mettere infatti in crisi equilibri economico-finanziari di aziende altrimenti solide e competitive. Questa visione può costituire un aggiustamento nel tempo e nello spazio della concezione della responsabilità sociale come unicamente collegata al successo competitivo sul mercato. Si tratta di far capire al top management che a lungo termine non conviene puntare in modo unilaterale sulla massimizzazione del valore dell’azienda per gli azionisti, ma è preferibile cercare una massimizzazione dell’utilità che sia equilibrata e favorevole per tutti gli stakeholder. Per la verità Freeman e i principali studiosi e sostenitori della stakeholder theory, pur definendo questo approccio come strettamente legato alle strategie di sopravvivenza e sviluppo delle imprese, ne rifiutano l’identificazione con una visione puramente strumentale, in quanto ritengono che nell’occuparsi degli stakeholder non azionisti l’impresa compia azioni che sono indissolubilmente etiche e strategiche4. Dal punto di vista dell’etica d’impresa lo stake è considerato infatti come legato a diritti o ad aspettative legittime, richiedendo al management aziendale, che costituisce a sua volta uno stakeholder, di effettuare scelte che siano in armonia con questi diritti e queste aspettative. 3 Donaldson, Preston (1995). Freeman, McVea (2001). Nell’ambito degli studi italiani di economia aziendale vi è anche chi ha proposto qualcosa che si avvicina all’approccio di Freeman; formatosi alla scuola di C. Masini, Coda (1985 e 1989) concepisce una sorta di «equifinalità» tra profitto, etica e diritti, nel senso che la massimizzazione del valore per gli azionisti è interdipendente (e mutuamente vincolante) con il realizzarsi degli obiettivi degli altri stakeholder. Sull’argomento vedi anche Rusconi (2010). 4 34 Nell’ambito dell’interpretazione etica si possono, in alcuni casi, trarre conclusioni che mettono profondamente in crisi l’attuale assetto giuridico-economico-sociale dell’impresa5; per questo vi è chi evidenzia per gli azionisti un rapporto fiduciario particolare6. Vi è anche chi7 privilegia i diritti dei soggetti più direttamente responsabili nell’attività dell’azienda (azionisti e dipendenti, definiti «partecipanti») rispetto alle esigenze di chi ha un rapporto più indiretto (la comunità locale). I secondi devono infatti essere soddisfatti non perché hanno diritto ad esserlo, ma solo in subordine, cioè dopo che sono stati perseguiti gli obiettivi dei «partecipanti»; procedendo in questo modo l’approccio stakeholder viene però drasticamente ridimensionato rispetto alla sua formulazione originaria. Comunque si ponga il rapporto fra aspetti etici e strategico-strumentali, molte diversità sul piano dell’applicazione pratica scompaiono nella misura in cui: a) a lungo termine il comportamento etico e quello strategico-strumentale coincidono nelle operazioni e nei risultati, poiché chi non rispetta i diritti/aspettative legittime degli stakeholder prima o poi viene punito dallo stesso mercato anche sul piano economicofinanziario; b) non vi sono particolari divergenze sui valori, per cui è possibile trovare sempre convergenze che portano ad un equilibrio ritenuto accettabile da tutti gli stakeholder. Verificare fino a che punto si manifestano le condizioni a) e b) è compito della ricerca empirica che si attua e si realizza nei vari contesti storici, anche se sembra chiaro che: 5 Si parla anche di un «amministratore metafisico», incaricato di convincere tutti coloro che operano nell’impresa ad agire in funzione degli interessi di tutti gli stakeholder, riducendo così in qualche modo il potere della maggioranza azionaria. Evan, Freeman (1993), p. 83. Lo stesso Freeman tende ora a correggere le punte estreme di questa affermazione. 6 In questi casi si sottolinea la radicale differenza della relazione fiduciaria che il management ha con gli azionisti rispetto alla relazione con gli altri stakeholder, poiché altrimenti «L’impresa cesserebbe di essere un’istituzione privata». Goodpaster (1991), p. 69. 7 Ambler e Wilson (1995), pp. 30-35. 35 a) un ambiente socio-economico degradato può favorire sul piano economico decisioni non etiche da parte di chi guida le imprese, si pensi alla corruzione, all’evasione fiscale e al «lavoro nero»; b) la società civile è caratterizzata in vari casi da pluralismi di valutazioni etiche e sociali. Il presente lavoro non ha come argomento centrale la responsabilità sociale in sé nei suoi contenuti, ma solo la sua rendicontazione trasparente agli interessati. Si ritiene comunque necessario approfondire in sintesi nelle prossime pagine le basi concettuali del concetto di stakeholder, in quanto esso costituisce un punto di riferimento essenziale per tutte le trattazioni sia sulla responsabilità sociale che sul bilancio sociale. 2.2. I dilemmi connessi al concetto di stakeholder L’esame critico di come è stato affrontato il concetto di stakeholder negli studi teorici e nelle applicazioni pratiche comporta varie interpretazioni e problemi. Si può cominciare dalla stessa traduzione italiana di «stakeholder» come «portatori di interesse», che appare sicuramente più vicina alla concezione strategico-strumentale, in quanto fa riferimento a interessi da equilibrare piuttosto che ad aspettative legittime o a diritti-doveri morali. Partendo dalla stessa traduzione della parola inglese, ci si rende conto che la tematica degli stakeholder comporta una serie di problemi che possono condurre anche a rilevanti differenze di visione sul rapporto fra impresa e suoi interlocutori. In particolare ci si domanda: 1) quando si dice che occorre rivolgersi a «tutti» coloro che hanno a che fare con l’impresa cosa s’intende esattamente? 2) cosa si vuol dire quando si parla di aspettative legittime o addirittura di diritti, e come ciò si pone in rapporto sia con la morale che col diritto? 3) qual è la «solidità filosofica» di un approccio etico agli stakeholder? 1) Questo «tutti» comporta una serie di problemi definitori, che non sono puramente nominalistici, ma che hanno importanti impli36 cazioni sui comportamenti aziendali. Sono in particolare da considerare i seguenti tre aspetti di questo primo quesito: a) Gli stakeholder sono tutti coloro che hanno a che fare con l’impresa per qualsiasi ragione e sono portatori di un qualsiasi interesse? Anche coloro che non sono interessati alla sopravvivenza dell’azienda (si pensi a un’organizzazione che intende eliminarne un’altra praticando un dumping concorrenziale) oppure addirittura la delinquenza organizzata e il terrorismo? b) Sono stakeholder da considerare solo quelli la cui soddisfazione è necessaria per salvaguardare gli equilibri di mercato di lungo periodo dell’azienda oppure sono stakeholder tutti coloro che in qualche modo hanno un interesse legittimo coinvolto nell’attività aziendale? c) Vi sono interessi e diritti qualitativamente differenziati secondo il tipo di interlocutore?8 Cioè vi sono in sostanza stakeholder più «importanti» degli altri? 2) Passando al secondo quesito, quello della legittimità delle aspettative, si puntualizza che la definizione della legittimità di un’aspettativa o di un diritto si pone sui due piani, giuridico e morale, che sono esaminati separatamente nei punti a) e b): a) Senza entrare in particolari giuridici, ci si domanda fino a che punto le aspettative legittime (o i diritti) degli stakeholder debbano essere protetti dalla legge o lasciati all’azione volontaria degli interessati. Si potrebbe introdurre una minuziosa regolamentazione sui diritti degli stakeholder, che «sclerotizzerebbe» la vita aziendale e sociale, comportando la fine sia dell’impresa libera che di ogni libertà d’azione degli stakeholder: sindacati, associazioni della società civile, ecc. In alternativa, fatto salvo il rispetto di diritti fondamentali di legge, resta l’azione autonoma dei vari stakeholder nella dialettica economica e sociale, in modo che ciascuno di loro possa liberamente puntare verso l’equilibrio che ritiene più favorevole, pur accettando una base comune di mutuo riconoscimento e il rispetto dei diritti fondamentali e della coscienza morale di ciascuno. Su questo punto si tornerà nella parte seconda, parlan8 Vedi, ad esempio, i lavori già citati di Goodpaster o di Ambler e Wilson. 37 do di come si può pensare ad un approccio generalizzato agli stakeholder entro il quale ciascuno di loro si muove come soggetto. b) Sul piano morale la legittimità di un interesse, a parte il caso di semplice coincidenza con il rispetto della legge, può essere variamente definita in relazione ai principi, alle visioni economicopolitico-sociali e alla loro interazione con l’etica. 3) Il terzo quesito si riferisce al fatto che vari studiosi hanno messo in luce che l’approccio etico agli stakeholder manca di autonome basi filosofiche solide9. Si tratta di una questione estremamente importante, ma che non viene esaminata in questo lavoro dato il tema qui trattato, anche se in seguito si indicheranno degli spunti bibliografici. *** Come primo commento ai quesiti di cui sopra, va rilevato che quando l’approccio agli stakeholder è unicamente strategico-strumentale i problemi elencati svaniscono, perché nell’ambito della formulazione delle strategie il decisore aziendale deve solo tenere conto degli atteggiamenti degli stakeholder e renderli compatibili con i suoi obiettivi di gestione. Nel caso di un’interpretazione che fa riferimento anche all’etica il discorso si complica, perché non si tratta più di prendere atto di una serie di interessi e di esigenze così come si presentano, e nella misura in cui interessano agli equilibri aziendali, ma occorre parlare di titolari di diritti più o meno essenziali, legittimità di aspettative, ecc. Si deve comunque riconoscere che: 1a) nella pratica e nella teoria si tende a scartare l’inclusione tra gli stakeholder di coloro che hanno come stake l’ostilità all’esistenza dell’impresa e pongono in atto atteggiamenti illegali contro di essa10: 9 Argandona (1998). In questo lavoro si fonda la validità dell’approccio etico agli stakeholder sulla teoria del Bene Comune, che è portata avanti nel quadro dei principi dalla Dottrina Sociale della Chiesa cattolica. Questo argomento viene trattato anche in Rusconi (2002b) in relazione al rapporto tra redazione del bilancio sociale e stakeholder «deboli» o anche «senza voce». Il concetto di stakeholder senza voce è estremamente interessante perché affronta la questione della «rappresentanza dei diritti o interessi legittimi» degli stakeholder: chi rappresenta, ad esempio, le future generazioni? 10 Non ritengo invece di «scartare» quegli stakeholder che hanno un interesse legittimo nell’impresa e che, pur essendone avversari ideologicamente, agiscono nel 38 si pensi alla criminalità organizzata, al terrorismo e a chi si avvale della propria posizione nel mondo degli affari, della politica o dell’amministrazione pubblica per estorcere somme alle imprese o praticare la corruzione11; 1b) e 1c) se ci si limita alla rendicontazione, le linee guida più importanti sui bilanci sociali danno tutte grande rilievo al principio di «inclusione», che richiede di non escludere immotivatamente nessuno stakeholder dall’oggetto di rendicontazione; 2a) si tende a considerare l’approccio stakeholder come una guida all’azione del management e non come una serie di regole, anche se la relazione fra etica e regolamentazione pubblica è un dato esogeno fondamentale per le applicazioni pratiche e non è vista da tutti allo stesso modo; 2b) lo stesso White Paper del 2002 della Commissione europea12 mostra divergenze fra gli interlocutori sociali su come attuare la responsabilità sociale13; a loro volta queste divergenze sono la testimonianza del fatto che la CSR d’impresa non è un «prodotto» neutro dai contenuti scontati sulla base di un modello facilmente precostituibile, ma è un processo sulla cui attuazione sussistono divergenze non solo tecniche ma anche di principio. Queste divergenze rappresentano del resto la caratteristica naturale di ogni processo innovativo nelle società democratiche e pluraliste; 3) al di là del discorso su quali debbano essere i contenuti di filosofia e/o di morale su cui fondare l’approccio etico agli stakeholder, resta il fatto che, se si vuole fondare l’approccio stakeholder su basi etiche, è indispensabile fare riferimento ad un fondamento di principio sui diritti-doveri morali che riguardano chi ha a che fare con l’impresa. La «mancanza di basi etiche» della teoria degli stakeholder dipende dal fatto che essa non è una concezione etica generale, ma solo uno strumento per guidare la gestione, e che pieno rispetto della legalità: potendo magari arrivare ad una sorta di reciproco rispetto con gli stakeholder «top management» e «azionisti». 11 La corruzione può essere anche nell’interesse della singola impresa, ma è a danno della società civile: in questo caso ritengo che il «corrotto» non abbia un interesse legittimo da difendere come stakeholder, anche se un’interpretazione strategica cinica e socialmente miope potrebbe evidenziare che in ambienti degradati anche il corrotto è un interlocutore utile alla sopravvivenza e allo sviluppo aziendale. 12 Commission of European Communities (2002). 13 Vedi le pagine dedicate specificamente a questo documento. 39 può essere compatibile con diverse teorie morali che possono farle da «base etica»14. *** In questo testo non è necessario affrontare dettagliatamente i fondamentali quesiti relativi alla teoria degli stakeholder, perché l’oggetto di studio non è la politica aziendale in generale, ma solo la politica aziendale di informazione sul bilancio sociale verso gli stakeholder. In particolare dobbiamo considerare i risultati raggiunti dall’impresa nell’ambito della sua responsabilità sociale. È un’operazione spesso difficile e con elementi di soggettività, ma che, pur nella consapevolezza dei suoi limiti, non può non considerarsi ineludibile, essendo l’alternativa costituita da frasi propagandistiche, proclami autoreferenziali, diffusione di dati e informazioni incontrollate; tutte modalità di comunicazione che minano i diritti e la fiducia degli stakeholder. Ci si occuperà pertanto della rappresentazione «quali-quantitativa» della responsabilità sociale d’impresa, in particolare degli strumenti che permettono a tutti gli stakeholder di conoscere con sufficiente trasparenza quale sia il comportamento dell’impresa verso l’ambiente in cui essa opera. 2.3. La necessità della «misurazione»15 dell’adempimento delle responsabilità verso gli stakeholder: i bilanci sociali d’impresa Si descrivono ora nascita, sviluppi, limiti ed opportunità del «bilancio sociale d’impresa», tenendo presente che redigere questo documento non è di per sé indicativo di politiche e scelte adeguate, ma permette a tutti gli interlocutori di fare del loro meglio per «calcolare» «ricavi» e «costi» sociali16. Si è visto che la responsabilità so14 Phillips, Freeman e Wicks (2003) affermano del resto che la teoria degli stakeholder non è una teoria etica generale, mentre Wicks, Gilbert e Freeman (1994) sostengono che la teoria degli stakeholder può avere diversi «cuori normativi». Sulla compatibilità di quest’ultima posizione con una visione oggettiva e non relativa dell’etica si rinvia tra gli altri a Melé (2006) e Rusconi (2012b). 15 Le virgolette sono indispensabili per evidenziare che qui il termine «misurazione» è usato nel senso estremamente lato di rappresentazione quali-quantitativa agli stakeholder su cosa è stato conseguito in termini di responsabilità sociale. 16 Il termine «sociale» è in questo caso usato nel senso più ampio possibile e include anche l’ambiente e i valori di carattere economico e finanziario, sia pure inseriti in un contesto diverso da quello del bilancio ordinario. 40 ciale può essere definita, programmata e attuata in diversi modi. Per potere esaminare in modo relativamente obiettivo e trasparente l’impatto complessivo delle imprese, si deve cercare una sorta di «misurazione», che ovviamente contiene anche forti elementi di soggettività e differenze interpretative, ma che può essere utile, soprattutto se queste criticità di valutazione vengono esplicitate in modo trasparente nel presentare il processo attuato. Il bilancio sociale non può porre fine a tutte le diversità di valutazione (o addirittura di visione) che possono manifestarsi sul piano etico-sociale, ma la sua importanza consiste nel porre basi rigorose alla valutazione che ciascuno stakeholder potenzialmente può dare dell’adempimento della responsabilità sociale da parte dell’impresa. 2.4. L’approccio stakeholder e i diritti informativi Quando un bilancio sociale d’impresa indica gli stakeholder come referenti dei suoi dati e informazioni è importante fornire una precisa definizione di cosa si intenda con questo termine. Il Gruppo di Studio per il Bilancio Sociale, per esempio, fornisce nella prima versione dello standard la seguente definizione: Sono stakeholder [il corsivo è del testo citato, n.d.a.] quei soggetti (intesi nel senso di individui, gruppi, organizzazioni) che hanno con l’azienda relazioni significative e i cui interessi sono a vario titolo coinvolti nell’attività dell’azienda per le relazioni di scambio che intrattengono con essa o perché ne sono significativamente influenzati 17. Anche se in questa definizione si fa riferimento solamente ad interessi, il contesto del GBS pone un forte rimando ai diritti e all’etica, dato che il medesimo documento richiama i principi etici e le più significative dichiarazioni sui diritti nazionali e internazionali. Per il bilancio sociale pubblicato è essenziale definire le caratteristiche che assicurino la trasparenza e neutralità dell’informazione agli stakeholder. Esistono anche bilanci preventivi, budget, ecc.: il bilancio sociale che si presenta agli stakeholder è invece un documento che «rende il conto», quindi con specifiche caratteristiche consuntive, anche se 17 GBS (2007), p. 11. 41 questo presentare dati ex post ha grande importanza per contribuire a formulare previsioni accurate sul futuro. Presentare bilanci sociali che siano solo l’indicazione di mete ideali, progetti, programmi e metodologie impedisce ogni forma di controllo da parte degli stakeholder sul reale comportamento delle aziende. Un primo aspetto importante da considerare è che, quando ci si riferisce al bilancio sociale, la dicotomia fra approccio etico e approccio strategico agli stakeholder tende a scomparire; una volta che un’impresa dichiara al pubblico di presentare un rendiconto di tipo «bilancistico», essa ha infatti in ogni caso il dovere etico di informare nel modo più fedele possibile su come si è agito. Anche sulla base degli standard più diffusi (GRI, AA1000, GBS) appare inoltre chiaro che dal punto di vista di eticità e trasparenza occorre fare sempre riferimento ad una visione il più possibile inclusiva ed ampia degli stakeholder da informare, rinunciando a «selezionarli» in base al loro potere di pressione, alle necessità di immagine dell’impresa o ad altre ragioni. Diviene pertanto fondamentale introdurre il termine inglese di accountability, che è difficile tradurre adeguatamente in italiano e che letteralmente si riferisce ad essere responsabile, ma che nel suo pieno significato indica sostanzialmente il dovere di informare tutti gli interessati su come si è adempiuto alle responsabilità nei loro riguardi. Si può intendere pertanto l’accountability nelle comunicazioni di bilancio come: il dovere e la responsabilità di spiegare, giustificare, a chi ne ha diritto che cosa si sta facendo per rispettare gli impegni presi con gli interlocutori, sia sul piano economico-reddituale (per esempio verso gli investitori attuali o potenziali), sia da altri punti di vista18. Nel momento in cui, pubblicando un bilancio sociale, si dichiara (o anche lo si lascia capire in modo implicito) di informare in modo trasparente gli stakeholder su come si adempie a determinate responsabilità verso di loro, nasce un obbligo morale di correttezza informativa, obbligo che va al di là anche delle diverse concezioni su stakeholder, società, impresa, mercato, ecc., in quanto riguarda la sopravvivenza e lo sviluppo dell’intero sistema economico e della società civile, che si fonda sul rispetto e la fiducia reciproca. 18 Rusconi (2002a), p. 229. 42