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Musica
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Cameristica
Cameristica
Eugenio Sacchetti
violino
Justina Auskelyte
violino
Anastasia Shugaeva
viola
Emlyn Stam
viola
Nikolay Shugaev
violoncello
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Genevieve Brothwood
violoncello
programma
Johannes Brahms (1833 – 1897)
Sestetto n.1 in si bemolle maggiore
per archi, op. 18
1 – Allegro ma non troppo
2 – Tema con variazioni.
Andante, ma moderato
3 – Scherzo. Allegro molto.
Trio: Animato
4 – Rondò. Poco allegretto e grazioso
Johannes Brahms (1833 – 1897)
Sestetto n.2 in sol maggiore per archi,
op. 36
1 – Allegro non troppo
2 – Scherzo. Allegro non troppo.
Trio: Presto giocoso
3 – Poco adagio. Più animato.
Adagio
4 – Poco allegro
Pacato nella gioia e calmo nel dolore
A colloquio (immaginario) con Johannes Brahms
di Gregorio Moppi
«Ecco, la mia vita – e non parlo soltanto della vita professionale – è
cominciata da qui. Di fatto, fino all’età di vent’anni non sono esistito».
Nella sua abitazione viennese Johannes Brahms tiene aperta di fronte
a sé una rivista dalla pagine spesse, ruvide, cavata fuori da mezzo
a partiture di Bach e Palestrina. È la “Neue Zeitschrift für Musik”,
giornale di critica musicale autorevole nei paesi di lingua tedesca,
sempre schierato dalla parte dei progressisti. Mostra un articolo di cui
indica la firma: Robert Schumann. «Un giorno ho bussato alla porta
della sua casa di Düsseldorf con un fascio di spartiti sottobraccio. Lui
ha acconsentito ad ascoltarli e ne è rimasto colpito, come la moglie
Clara, pianista eccelsa. Schumann non è stato propriamente mio
maestro. Tuttavia, dopo aver preso a frequentarlo, ho compreso che
quanto avevo fatto fino ad allora non valeva nulla. La sua vicinanza mi ha
spronato a librarmi alto nei recinti dell’arte, indirizzando il mio pensiero
verso le vette supreme della musica. Per me è stato come un venire di
nuovo alla luce, con una consapevolezza nuova. Il suo affetto e la sua
bontà mi hanno stimolato, incoraggiato. Ma l’elogio pubblico tributatomi
dalla pagine della rivista da lui fondata, l’aver presentato le mie prime
opere come qualcosa di eccezionale, hanno avuto su di me anche un
effetto destabilizzante: avrei saputo mostrarmene degno? sarei stato in
grado di non deludere le speranze?».
Sospira Brahms, con quel suo barbone bianco da profeta biblico
sul volto un tempo attraente. Gli anni ne hanno appesantito il fisico,
ma nessuna ruga gli segna la fronte; e la glauca velatura nordica degli
occhi trafigge l’interlocutore rammentando l’origine amburghese di
questo omone, scapolo incallito, che dietro l’aspetto severo dissimula
laceranti insicurezze. Un «eletto» lo definiva Schumann in quell’articolo
dell’ottobre 1853, pochi mesi prima di perdere il senno e venire
rinchiuso in manicomio.
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domenica 25 settembre
I Solisti di Lugano
Un viatico niente male per uno sconosciuto musicista di provincia,
no, maestro Brahms?
«L’auspicio di Schumann che potessi volgermi all’orchestra ponendomi sulla
strada di Beethoven, dopo che nessun altro compositore era stato capace di
portarne avanti l’eredità sinfonica in maniera davvero autorevole, neppure
Schumann stesso, suscitò un gran fermento nell’ambiente musicale tedesco
ed enormi aspettative. Cosicché l’articolo della “Neue Zeitschrift” ebbe
allora l’effetto di inibirmi più che spronarmi. Mi pareva di essere atteso al
varco della storia. Non si può avere un’idea di quello che si sente avvertendo
alle spalle i passi di un gigante come Beethoven».
Perciò ha deciso di scansare il confronto con la sinfonia...
«No, anzi. Subito ho deciso di gettare alle ortiche tanta della musica da
camera scritta in gioventù, giudicandola indegna di essere conosciuta; ho
salvato dalla distruzione soltanto alcune pagine per pianoforte, che sono state
stampate. Poi mi sono gettato a capofitto nell’elaborazione di una sinfonia.
Volevo mostrarmi degno della stima accordatami da Schumann. Ma la
sinfonia non sono stato in grado di comporla, malgrado l’impegno che vi ho
profuso: ne è venuto fuori, invece, un Concerto per pianoforte e orchestra.
Oltre vent’anni sono trascorsi, e un travaglio creativo inimmaginabile, perché
esaudissi il desiderio di Schumann. Solo che lui ormai non c’era più e non ha
potuto ascoltare la mia prima Sinfonia».
Quella che è stata detta “la decima di Beethoven”?
«Sì, e vado fiero di questa definizione. Segno che la fiducia di Schumann
era ben riposta in me. Però, prima d’arrivare a tale sospirato traguardo, ho
voluto, e dovuto, affinare la mia tecnica compositiva, la conoscenza di tutti gli
strumenti musicali e dei diversi modi di amalgamarli. Lavoro lungo, gravoso,
di cui sono parte i due Sestetti».
Organico stravagante, privo di storia, il sestetto d’archi. Perché
sceglierlo?
«Vero. Prima dei miei, soltanto Louis Spohr aveva scritto un Sestetto,
edito nel 1850. Io l’ho sperimentato come uno dei tanti, graduali tentativi
di avvicinamento alla sinfonia negli anni in cui ero maestro di cappella del
principe Leopoldo III di Lippe-Detmold. Alla sua corte, dove avevo obbligo
di residenza tre mesi all’anno per dirigere l’orchestra, un piccolo coro e
dare lezioni alla famiglia regnante, si faceva parecchia musica da camera.
Difatti allora ho composto pure le due Serenate per orchestra, i due
Quartetti e il Quintetto per archi e piano».
Ma nessun quartetto d’archi.
«No. Il quartetto d’archi, organismo prezioso e delicatissimo, allora lo
temevo al pari della sinfonia per la tradizione illustre che si portava dietro.
Tolta qualche prova giovanile, soppressa perché la ritenevo inadeguata,
anche al quartetto sono giunto attorno ai quarant’anni».
Avvicinarsi al sestetto le ha procurato meno patemi?
«Il fatto che non avesse storia mi rassicurava, sebbene nel frattempo si
consolidasse la mia conoscenza del repertorio classico, e lo studio caparbio
delle opere di Bach e degli altri grandi maestri del passato mi portasse
a maneggiare con una certa naturalezza il contrappunto e la fuga. Di tale
studio si vedono i frutti soprattutto nel primo movimento del Sestetto
op. 36, innervato di procedimenti barocchi quali il canone inverso e
retrogrado».
Un’ esibizione di sapienza che ha fatto storcere la bocca al critico
della “Wiener Zeitung”.
«Eppure questa cosiddetta ‘sapienza’ non viene mai ostentata. Serve a
me, compositore, per orientarmi nella costruzione del pezzo, e magari
emerge dall’analisi minuta della partitura, ma all’ascolto è difficile coglierla.
Quel recensore diceva che la mia musica lo riempiva di desolazione, che
il Sestetto gli procurava una noia subdola e vertiginosa per lo sforzo
compositivo senza speranza basato su un artificio evidente, clamoroso.
Non era nemmeno il solo ad accusare di troppa cerebralità l’op. 36.
D’altronde questi nostri tempi sono caratterizzati da una marcata polarità
critica, senza fondamento: io vengo considerato un reazionario perché
mi dedico ai generi della tradizione (sonate, concerti, sinfonie, quartetti)
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Nei lavori da camera e per pianoforte che il giovane Johannes gli aveva
presentato intravedeva un’attitudine tanto spiccata alla composizione
sinfonica («del pianoforte faceva un’orchestra di voci ora lamentose ora
esultanti di gioia. Erano Sonate, o piuttosto sinfonie velate...») da augurarsi
che presto vi si sarebbe dedicato con tutte le forze («se egli calerà la sua
bacchetta magica là dove la potenza della musica infonde la sua forza, nel
coro e nell’orchestra, allora ci verranno dischiuse prospettive ancora più
magnifiche nei segreti del regno dello spirito»).
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A quando risale l’op. 36?
«Cominciata nell’estate 1864 a Baden Baden, l’ho finita l’inverno
seguente. Dei quattro movimenti, il secondo è uno Scherzo, però più lirico
e fatato che davvero scherzoso. Il tempo lento un tema con variazioni.
E l’ultimo, quello venuto al mondo con più facilità».
Qualcuno afferma che occulti un messaggio d’amore cifrato.
«È una questione molto personale e non dovrebbe riguardare nessun
altro che me. Comunque immagino si riferisca al nome di Agathe von
Siebold crittografato in un motivo secondario del primo movimento,
La – Sol – La – Si – Mi, ossia secondo la notazione alfabetica tedesca
A – G – A – (t)H – E. Motti del genere non sono il primo ad averne usati,
se ne trovano negli autori rinascimentali, in Bach, in Schumann».
Ma chi è Agathe?
«Mi fa male parlarne, poiché con lei sono stato uno scellerato. L’avevo
conosciuta a Göttingen nell’estate del 1858. Lei, figlia di un professore
universitario, era una fanciulla d’ingegno vivace, temperamentosa, occhi
neri e fieri, capelli corvini, voce deliziosa, acuto senso dell’umorismo.
Abbiamo trascorso insieme amabili giorni d’estate trasfigurati dalla gloria
dell’amore. Ci eravamo scambiati la promessa di matrimonio. Solo che a un
certo punto, benché l’amassi molto, l’ho abbandonata perché non tolleravo
di dover portare delle catene. La mia fedele amica e confidente Clara
Schumann, che mal sopportava questa relazione, ha tirato un sospiro
di sollievo quando ci siamo lasciati».
È difficile immaginarla innamorato...
«Credo che le passioni non siano naturali per l’uomo. Sono sempre
eccezioni o escrescenze. L’uomo ideale, genuino, è pacato nella gioia
e calmo nella pena e nel dolore».
Sembra una dichiarazione d’estetica riferita alla sua musica.
«La prenda come vuole. La musica, per me, non deve trovare altro senso
che in se stessa, nella sua struttura, nel suo sviluppo».
Per caso anche nel Sestetto op. 18 si nasconde qualche storia
inconfessata? Viene infatti soprannominato “della primavera”.
«È un nomignolo avventato, che non sopporto. Comunque l’op. 18 la
ritengo uno dei miei lavori migliori. Scritto nel 1860, è come se dentro
vi aleggiasse lo spirito dei classici viennesi. Lo Scherzo e il rondò finale,
per esempio, occhieggiano al Settecento di Haydn e Mozart. Invece pare
venire dritto dritto dall’epoca di Corelli e Händel il secondo tempo, un
tema con variazioni dal carattere arcaizzante in virtù del basso che si ripete
sempre uguale a se stesso mentre, di volta in volta, gli strumenti sopra
espandono e arricchiscono la melodia. Di questo “Andante” esiste anche
una versione pianistica che ho donato alla diletta Clara in occasione di
un suo compleanno. I primi ascoltatori, amici competenti e fidati alla cui
valutazione sottopongo sempre le mie opere prima di divulgarle, hanno
dato giudizi lusinghieri dell’op. 18. Il violinista Josef Joachim ha affermato
che “già il motivo d’apertura colpisce per grazia e colore, e tutto fluisce
mobile e cattivante sull’ala della prima sensazione”. Eduard Hanslick,
critico musicale per cui provo un affetto infinito, e il luminare della
chirurgia Theodor Billroth, fine conoscitore di musica e strumentista per
diletto, hanno parlato di “splendore dell’armonia”, di “universo di pura
bellezza”, e hanno commisurato questo Sestetto alla venustà di
un Raffaello».
I Sestetti sono due, e spesso nel suo catalogo le composizioni
vanno a coppie. Perché?
«Il mio scrivere è metodico. La prima composizione in un certo genere
(si tratti di quartetto, sestetto, sonata, sinfonia) mi aiuta a tastare il
terreno, a farmi la mano con quell’organico, con quella forma, e serve
da stimolo immediato per scriverne un’altra della medesima specie
che perlopiù nasce con maggior facilità e risulta più tornita, coesa,
tecnicamente più robusta e resistente. La prima è sempre un cimento
sofferto. La seconda un esito compiuto».
Gregorio Moppi
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disdegnando la musica descrittiva tanto in voga oggi, contro cui una volta
mi sono anche pronunciato pubblicamente; e a me viene contrapposta senza
reale fondamento l’“arte dell’avvenire” predicata da Liszt e Wagner. Invece
non si accorgono, questi critici, che tutti noi impieghiamo gli stessi mezzi
musicali».
Eugenio Sacchetti
violino
Ha ottenuto prestigiosi premi e
riconoscimenti: nel 2015 è stato
selezionato a fare parte dell’European
Union Youth Orchestra (unico italiano
nella sezione archi), prendendo parte
al Tour estivo e tenendo concerti
nelle sale da concerto più importanti
d’Europa, collaborando con direttori di
fama internazionale come Xian Zhang e
Gianandrea Noseda, e con solisti come
la violoncellista Alisa Weilerstein e il
soprano Diana Damrau.
In veste di orchestrale e solista si è
esibito con artisti ed ensemble di fama
internazionale (Umberto Clerici, Sergio
Balestracci, Anna Kravtchenko, Enrico
Dindo, Arturo Tamayo, Diego Fasolis,
Orchestra della Svizzera Italiana,
Martha Argerich, Renaud Capuçon,
Mischa Maisky e molti altri).
Attualmente frequenta il Master of
Art in Music Performance presso il
“Conservatorio della Svizzera Italiana”
di Lugano sotto la guida del violinista
Pavel Berman. Il suo repertorio
contempla i principali brani della
letteratura violinistica, dal Barocco
al Classicismo, dal Romanticismo al
Novecento.
Parallelamente alla carriera di
violinista, sotto la guida del padre
ha studiato organo, composizione e
direzione d’orchestra e da anni tiene
concerti d’organo in tutta Italia e
all’estero.
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Classe 1992, figlio di due musicisti,
ha iniziato a tre anni lo studio del
violino: fin da piccolo è entrato a far
parte dell’Orchestra Suzuki di Torino,
con la quale ha compiuto numerose
tournée in Italia e all’estero suonando
con musicisti come Mario Brunello e
Salvatore Accardo.
Violinista lituana di giovane
generazione, Justina Auškelytė è
ammirata dal pubblico per la sua
sensibilità musicale fuori dal comune,
la grande immaginazione, per il
virtuosismo e la capacità di comunicare
emozioni attraverso il suono.
Justina Auškelytė è allieva di celebri
maestri: da Pavel Berman a Jurgis
Dvarionas e Boris Kuschnir.
Nel 2015 ha vinto un Master in Musica
presso la Juilliard School di New York,
studiando sotto la guida del compianto
Stephen Clapp e Laurie Smukler.
Nota per i suoi successi musicali
in concorsi di violino e spettacoli
in festival e concerti internazionali,
Justina ha ricevuto riconoscimenti
dal presidente della Lituania per il
contributo artistico dato al suo Paese:
“Essere riconosciuti per i risultati
– afferma la musicista – è sempre
una grande gioia e motivazione.
Tuttavia, la soddisfazione più grande è
raggiungere con la musica l’animo di
chi ascolta”.
Attualmente, la violinista è tornata
a Vilnius, sua città natale, dove ha
intrapreso una carriera artistica che la
vede protagonista in festival musicali,
attività didattiche e progetti artistici
innovativi.
Justina collabora spesso con
orchestre sinfoniche e da camera: nel
febbraio 2016 con il pianista italiano
Cesare Pezzi ha registrato per la casa
discografica Naxos un CD di prossima
uscita con opere originali complete
di Balys Dvarionas. Nel maggio del
2016 ha debuttato al Musikverein di
Vienna, nel II Concerto per violino di
H. K. Gruber “Nebelsteinmusik” alla
presenza del compositore.
Anastasia Shugaeva
viola
Nata a Zarinsk, piccola città della
Siberia, ha studiato con Elena Ozol
alla celeberrima scuola Gnessin
di Mosca – che accoglie giovani
dal talento eccezionale – dove si è
diplomata con il massimo dei voti
e la lode. Nel 2009 si è diplomata
con un attestato di merito anche al
Conservatorio statale di Mosca e
attualmente si sta perfezionando al
Conservatorio della Svizzera Italiana
a Lugano, sotto la guida del professor
Yuval Gotlibovich.
Ha partecipato a corsi di
perfezionamento di violisti famosi
come Yury Bashmet e Hartmut
Lindeman. Negli anni moscoviti ha
vinto numerosi concorsi nazionali,
mentre nel 2013 le è stata assegnata
una prestigiosa borsa di studio che il
Governo svizzero destina a giovani
eccellenze musicali.
Anastasia è spesso ospite di
festival musicali quali Eurythmie
Sieben Worte (Svizzera), Jeunesses
Musicales (Croazia), Accademia
Musicale Chigiana (Italia), al fianco
di altri grandi musicisti della nuova
generazione: i pianisti Fatima
Alieva, Zlata Chochieva, Andrei
Korobeinikov, Yuri Favorin, Fazil Dire
e il violinista Pavel Milukov.
La sua tecnica brillante e le sonorità
profonde fanno di Anastasia Shugaeva
una delle più apprezzate interpreti
capaci di conciliare la migliore
tradizione russa ed europea.
Emlyn Stam
viola
Emlyn Stam è stato per anni assistente
principale violista della Residentie
Orkest dell’Aia sotto la direzione di
Neeme Järvi. Nella sua carriera artistica
ha già collaborato con la Philharmonia
Orchestra, la BBC National Orchestra del
Galles e il Teatro dell’Opera di Tolone.
Spesso ospite di registrazioni per
la radio e la televisione olandese, ha
suonato come solista con l’Amsterdam
Symphony Orchestra, Orquestra
d’Espinho (Portogallo) e il Schönberg
Ensemble. È spesso invitato in
festival come il Festival Kuhmo in
Finlandia, il Giverny Chamber Music
Festival e il Festival di Utrecht. Con
il Quartetto Parkanyi ha debuttato al
Concertgebouw. Suona di frequente con
l’ Ysaÿe Trio di cui è membro fondatore.
Il trio ha pubblicato il suo primo cd nel
2013 per l’etichetta RDC.
Come docente tiene regolarmente
corsi di perfezionamento in numerosi
conservatori: dai Paesi Bassi all’Estonia,
dalla Cina alla Svezia. Sta attualmente
lavorando al suo dottorato presso
l’Istituto di Orfeo, Gent e l’Accademia
per Creative e Performing Arts presso
l’Università di Leiden.
È di frequente invitato a tenere
lezioni presso l’Università di Leeds e
alla Hochschule der Künste di Berna.
Dopo il diploma e il Master presso il
Conservatorio Reale dell’Aia sotto
la guida di Ferdinando Erblich e
Vladimir Mendelssohn, Emlyn Stam si è
perfezionato con Pinchas Zukerman, Kim
Kashkashian e Yuri Bashmet.
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Justina Auškelyte
violino
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Nato nel 1988 in una famiglia di
avvocati e filologi dove si respirava
passione per la musica classica, la
letteratura, le arti, Nikolay Shugaev si
è diplomato con il massimo dei voti
presso il Conservatorio Gnessin di
Mosca – sua città natale – e presso
il Conservatorio di Stato. Attualmente
è iscritto al Conservatorio della
Svizzera Italiana di Lugano, dove studia
con Enrico Dindo.
Eccellente combinazione della più
alta scuola russa e occidentale, negli
anni ha frequentato masterclass con
diversi giganti del violoncello, quali
David Geringas, Natalia Gutman,
Gary Hoffman, Maria Kliegel, Ralf
Kirshbaum e Misha Maisky. La sua
carriera internazionale lo ha già portato
a esibirsi nelle più importanti sale
russe ed europee insieme a musicisti
quali Enrico Dindo, Danilo Rossi,
Massimo Quarta, Fazil Say e Andrei
Korobeinikov.
Vincitore di vari concorsi
internazionali, dal Concorso
Internazionale Valsesia Musica al
Concours International de Musique
de Lausanne, dall’International
Competition of Chamber Music di
Cracovia al “New Masters on tours”
of THIMS American Fine Arts Young
artist program, Nikolay è di frequente
ospite in molti festival di musica da
camera in tutto il mondo, in sedi come
il Concertgebow di Amsterdam,
l’Auditorium RSI di Lugano e la
Carnegie Hall di New York.
In Italia ha suonato per istituzioni
musicali quali l’Accademia Musicale
Chigiana di Siena e la Società dei
Concerti di Milano.
Geneviève Brothwood
violoncello
Geneviève Brothwood attualmente
sta terminando il Master of Arts in
Music Perfomance al Conservatorio
della Svizzera Italiana di Lugano,
con Monika Leskovar. Ha iniziato a
suonare il violoncello all’età di cinque
anni e si è diplomata nel 2013 con
lode al Royal College of Music di
Londra, dove ha vinto il Premio Henry
Wood.
Ha avuto esperienze orchestrali
come prima parte in istituzioni
concertistiche e sale dell’Inghilterra
tra cui il Royal Festival Hall, St. John’s
Smith Square e Queen Elizabeth Hall,
dove ha suonato sotto la direzione di
Vladimir Jurowski.
Grande appassionata di musica
da camera, si è esibita con varie
formazioni presso Mantova Chamber
Music Festival (Italia), LAC - Lugano
Arte e Cultura (Svizzera), London
Chamber Music Society (Londra).
La sua esperienza londinese le è
valsa nel 2009 un’intervista alla radio
nazionale BBC; sempre a Londra ha
suonato nella Band di Junior Marvin
(ex membro di Bob Marley and the
Wailers).
Geneviève vorrebbe ringraziare
sinceramente il generoso sostegno
delle seguenti borse di studio,
senza la cui disponibilità i suoi
studi musicali non sarebbero
stati possibili: Emanuel Hurwitz
Charitable Trust, Henry Wood
Trust, Denne Gilkes Memorial Fund,
Felicity Belfield Trust, Seary Trust,
Larry Slattery Memorial Fund, the
Worshipful Company of Saddlers,
WJ Smith Trust, Kathleen Trust e
Lyra Stiftung.
Geneviève Brothwood suona un
violoncello c.1780 Benjamin Banks.
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Nikolay Shugaev
violoncello
9 ottobre (ore 16.00)
fuori abbonamento
Il ladro di Bagdad
Orchestra San Marco di Pordenone
Mark Fitz-Gerald direttore
in collaborazione con
Le Giornate del Cinema Muto
20, 21 ottobre (ore 20.45)
palcoscenico
fuori abbonamento
Gli IMperfetti
di Sonia Antinori
regia di Gigi Dall’Aglio
29 ottobre (ore 20.15)
lirica
Il barbiere di Siviglia
Orchestra Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi
di Trieste