Saperi e Multimedialità: il Codice 747 della British Library di Londra

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Saperi e Multimedialità: il Codice 747 della British Library di Londra
P.Capone
Docente di Storia dell’Arte Moderna
Università degli Studi di Salerno
Il codice Egerton 747 della British Library di Londra contiene vari testi, tra questi il Tractatus de herbis
può considerarsi un erbario illustrato. Un erbario è un trattato sulle piante utili. Il suo scopo è insegnare al lettore
a identificare e utilizzare i “semplici”. Un “semplice” non è un erba, ovvero non è una pianta. E’ bensì quella
parte della pianta che si ritiene abbia valore medicinale. Può trattarsi delle foglie o dei boccioli, secchi o freschi,
delle radici, dei semi, della linfa o della corteccia, o delle diverse parti dei tuberi o dei bulbi. E’ questo che si
intende per “semplice” ed è raro trovare un erbario che non cominci con una frase sulle virtù dei “semplici”.
Nei secoli gli studiosi erboristi hanno incluso nelle loro opere trattati su materie così diverse come
l’astrologia, la magia, l’allevamento degli animali, la medicina lapidaria, e persino la vinificazione. Esistono
formulari e antidotari che contengono ricette di alessifarmaci composte da centinaia di ingredienti. Liste di
sinonimi e di possibili sostituzioni, in genere chiamate semplicemente Tractatus quid pro quo, venivano allegate
agli erbari allo scopo di offrire chiarimenti e di ingrandire ulteriormente l’armamentario dei rimedi, anche se
erano raramente opera dello stesso autore. Questi lavori sono classificati come letteratura erboristica, anche se
non si tratta di descrizioni di erbe: essi non sono in ogni caso degli erbari nel senso stretto del termine.
Nell’Egerton 747 sono presenti quasi tutti questi testi che abbiamo chiamato “testi minori”, di quali vi è
testimonianza nel Cd-rom prodotto dalla Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Salerno e realizzato con
la partecipazione gratuita di numerosi studiosi.
Per erbario comunemente sui dizionari s’intende a) un’opera in cui sono descritte le piante medicinali e le
loro proprietà, b) una collezione di disegni di piante, c) una raccolta di piante essiccate e pressate in modo
opportuno, individuate e classificate scientificamente. Il Tractatus de herbis contenuto nel manoscritto Egerton
747 è un trattato scientifico creato con lo scopo di registrare la conoscenza accumulata intorno ai simplicia e di
aiutare nella loro identificazione, oltre che con il testo, anche con le immagini. Insieme agli altri testi
farmacologici contenuti nel manoscritto esso costituisce un manuale destinato ad un farmacista dotto o a un
medico. Esso avrebbe potuto rappresentare, ad esempio, un manuale adatto ai maestri di medicina di Salerno, il
cui compito era di controllare la preparazione delle medicine da parte dei farmacisti. Si sarà trattato allo stesso
modo di uno strumento di lavoro o di un testo destinato all'insegnamento per le lezioni universitarie.
Gli erbari hanno fornito materia di studio a diverse discipline: la storia dell’arte, della calligrafia e della
stampa si riflettono in queste pagine. Gli erbari illustrati hanno catturato l’attenzione degli storici d’arte, tanto
che alcuni di loro, come Frank Anderson1 e Wilfred Blunt2 per esempio, si sono dedicati esclusivamente alla
storia degli erbari.
Gli storici della scienza sostengono che lo studio delle piante abbia un’origine duplice, legata da una
parte alla filosofia naturale e dall’altra alle esigenze utilitaristiche delle arti mediche. Dal punto di vista
filosofico la botanica risulta essere una branca legittima della filosofia naturale. Da un punto di vista utilitaristico
la botanica è semplicemente un’appendice della medicina e dell’agricoltura. Ciò che può essere interpretato
come un’informazione di tipo botanico in un erbario, è in realtà solo accidentalmente materia botanica. I
riferimenti alla struttura di una certa pianta, alle sue modalità di crescita e alla sua distribuzione geografica
servivano ad armare il medico contro la frode e le sofisticazioni, ma oggi possono diventare anche prodotti
paesaggistici, recupero delle antiche tradizioni, conoscenza della cultura che li ha generati.
Nella storia dello studio erboristico è possibile delineare due linee di sviluppo che talvolta convergono e altre
volte seguono percorsi separati. Coloro che si sono interessati allo sviluppo storico degli erbari hanno in genere
apprezzato alcune opere in base alla loro affinità rispetto allo sviluppo della botanica. Il sottotitolo della storia
degli erbari di Agnes Arber3 è Un capitolo nella storia della botanica, ed è stato proprio in questo tipo di
contesto che si è considerato il valore degli erbari come documenti storici. Oltre a quelle opere che si inquadrano
immediatamente come documenti medici o botanici, esiste anche una vasta letteratura erboristica in cui la
botanica, la farmacia e la medicina sono inseparabili. Ma la letteratura botanica continua a essere interpretata
come mera espressione di una serie di fasi di transizione all’interno dello sviluppo di una botanica scientifica.
Tra i numerosi studi relativi alla storia della medicina e della farmacopea medievali ve ne sono alcuni che
hanno esaminato le innervature filosofiche e le basi scientifiche della letteratura medica medievale e che
1
Frank J. Anderson, An illustred History of the Herbals, New York, Columbia University Press, 1977.
W. Blunt, The Art of Botanical Illustration, Londra, Collins, 1955.
3
A. Arber,. Herbals, Their Origin and Evolution, A Chapter in the History of Botany 1470-1670, 2nda edizione.
Cambridge, Cambridge University Press, 1938.
2
evidenziano particolarmente quello snodo teorico fondamentale che, tra XII e XIII secolo, conduce dalla
dimensione pratica e tecnica rappresentata dagli scritti della Scuola Medica Salernitana alla creazione di un
curriculum e di una disciplina medica intessuta di influssi e metodologie aristoteliche nelle Facoltà di Medicina
di Parigi e Montpellier.
A questi scritti appartiene anche il Tractatus de herbis presente nell’Egerton 747, composto tra la fine
del XIII e l’inizio del XIV4, secolo in Italia meridionale. Si tratta di una compilazione ricavata in gran parte dal
più noto e diffuso manuale medievale di farmacopea, il Circa Instans (metà del XII secolo), dedicato alle qualità
ed all’impiego medico delle sostanze “semplici”, attribuito ad un medico salernitano, Matteo Plateario. A questa
fonte principale vanno accostati altri testi altrettanto importanti per la storia della medicina medievale come il De
materia medica di Dioscoride (I sec. d.C.), il De gradibus simplicium medicinarum di Costantino Africano (XI
sec.), il De viribus herbarum di Macer Floridus (Odo di Meung; XII sec.). La singolare ampiezza delle nozioni
farmacologiche dovuta alla combinazione tra più fonti e la presenza, in alcune voci, di sinonimi utili a
identificare insieme all’illustrazione la pianta, rende il Tractatus de herbis un testo unico, di particolare valore
scientifico: un vero e proprio vademecum medico-farmacologico.
Anche la fortuna dei codici miniati che presero ispirazione dal Circa instans fu altrettanto vasta: il
Tractatus de herbis ne è sicuramente l’esempio più antico e allo stesso tempo il più innovativo dal punto di vista
iconografico, l'archetipo del gruppo di erbari che da esso discendono.
L’incipit recita “Circa Instans negotium in simplicis medicinis nostrum versatur propositum ”, e di
seguito si affronta la divisione tra medicamento simplex, prodotto della natura non adulterato con alcuna altra
sostanza, e medicamenta composita, miscugli di più “semplici” che hanno una funzione differente, infatti, dice
l’autore “una malattia acuta come la lebbra, l’apoplessia o l’epilessia non può essere curata con una medicina
semplice, ma è necessario intervenire con medicamenti composti di modo che, aumentata dai “semplici” stessi la
capacità curativa, la cura della violenza della malattia diventi più facile”.5 Per rendere più agevole la
consultazione, l’autore elenca gli elementi costanti presenti in ogni capitolo: “nella trattazione di ogni singola
medicina va in primo luogo mostrata la sua natura, in seguito se si tratta di un albero, di un frutto, di un arbusto,
di un’erba o di una radice, o di un fiore o di un seme o di una foglia, di una pietra, di un succo o di qualche altro
elemento, poi quante specie ve ne siano, dove sia possibile trovarla, quale sia la migliore specie e come nasca, in
che modo si riconosca se sia stata sofisticata, come e quanto a lungo sia possibile conservarla, quali virtù
possieda ed in che modo vada preparata; e questa trattazione verrà portata avanti secondo l’ordine dell’alfabeto.”
L’incipit del Tractatus de herbis è, dunque, tratto dal Circa Instans, citato anche come Liber simplicium
medicinarum, Secreta Salernitana, Opera Salernitana e Compendium Salernitanum, ma l’autore ha espanso il
testo del Circa Instans servendosi di altre fonti, in particolare dell’erbario dello Pseudo-Apuleio6, di Macer
Floridus7, di un Dioscoride latino, del Liber dietarum universalium et particularium di Isaac Iudaeus e di altre
fonti ancora non identificate.
Con ampia probabilità, esso fu prodotto da un dotto come Rufino, il cui contemporaneo Liber de
virtutibus herbarum era un trattato molto simile. Rufino, che scrisse tra 1287 e 1300, richiama nel prologo le sue
referenze e i suoi interessi. Egli afferma che il suo trattato fu compilato dal "summum doctorem Magistrum
Rufinum de dictis summorum phylosophorum Diascoorides, Circa Instans, Macri" etc. Egli spiega di essersi
dedicato sia a Napoli sia a Bologna allo studio delle sette arti liberali, e poi, dopo aver studiato queste arti, di
essersi rivolto alla scienza delle erbe. In altre parole egli era un dotto che aveva portato avanti i propri studi sino
al più alto livello ed aveva considerato la scienza naturale una branca della filosofia. Il compilatore dell'Egerton
747 può essere stato un dotto o una figura simile.”8, infatti nel colophon (fol.106) si firma “in arte speciare
semper infusus”.
Sulla paternità del Tractatus de herbis non vi è alcuna sicurezza, infatti tutti gli studiosi che hanno
lavorato sull’Egerton 747 concordano che il nome Bartholomeus Mini de Senis che compare per ben due volte
nel colophon su rasura non è da considerarsi originale, per cui il compilatore e il copista del manoscritto
rimangano allo stato attuale ignoti.9
4
M. Collins, Medieval Herbals. The illustrative traditions, The British Library and University of Toronto Press,
Londra 2000, p. 240, propone Salerno come luogo di provenienza del manoscritto e una datazione anticipata,
comunque non oltre il primo trentennio del XIV secolo. Lo studio della Collins rappresenta attualmente
l'approfondimento più completo ed esaustivo dell' Egerton 747.
5
La traduzione del testo latino è a cura di Iolanda Ventura.
6
Una traduzione latina dell’Erbario fu eseguita a Montecassino nel IX secolo (Codex Casiensis MS 97).
Proprio su questo manoscritto si basò la prima edizione a stampa, che fu anche il primo erbario completamente
illustrato ad essere stampato (Roma, ca. 1481)
7
Molti versi di Macer ricompaiono nel Regimen Sanitatis, il che indica che l’opera era accessibile ai medici
salernitani. Delle quarantasette sostanze semplici che figurano nel poema di Macer, solo otto mancano nel Circa
instans.
8
M. Collins, Op. cit., p. 308.
9
Ibid, p. 241.
Sebbene l’autore abbia attinto da Dioscoride e dall'Herbarius per il proprio testo, colui che lo illustrò
non riprodusse gli antichi cicli iconografici ma creò una nuova tradizione iconografica. Gli schemi sono simili a
quelli della tradizione antica degli erbari, ma vi è una nuova osservazione della natura. Fino al Tractatus de
herbis dell’Egerton 747 la circolazione del Circa instans era limitata al solo scritto, forse per l'incapacità di
corredare il testo con illustrazioni pari alla modernità dei contenuti, che lo hanno reso un prototipo per tutto il
filone delle enciclopedie di storia naturale applicata o dei semplici e delle loro virtù 10.
Nel testo, oltre alla pagina dell’incipit, vi sono immagini di piante e illustrazioni dei simplicia, che si
sviluppano nell’area dello scritto e si estendono oltre i margini, tra le quali sono incluse anche alcune scene con
figure piuttosto rozze. Accanto al testo, redatto in precedenza, testimonianza di una stretta cooperazione tra
copista ed illustratore, troviamo quasi sempre l’immagine. In alcuni casi lo spazio è vuoto, fatto da addebitarsi
probabilmente alla difficoltà di illustrare i contenuti del testo.
La pagina dell’incipit (f.1r) presenta un’iniziale con figure e illustrazioni ed è da inserire nella tipologia
più frequente del libro miniato, in un intreccio di scrittura, decorazione e immagine11. Forma artistica autonoma,
questa pagina ha i margini decorati con foglie d’acanto e viticci che inglobano il testo complicandosi
nell’intersezione inferiore sinistra con un volto umano. L’apparire tra le forme vegetali di una testa antropomorfa
è testimonianza dell’immediata comunicazione dei contenuti del codice che si costruisce proprio
nell’interrelazione tra uomo e natura, tra farmacopea e “semplici”. La C monumentale, iniziale di Circa instans,
ingloba la rappresentazione a mezzobusto di un medico su un fondo dorato, con i tipici abiti dei medici delle
università italiane della fine del XIII ed inizio XIV secolo. “La linea dritta e allungata del naso, il tratto
pronunciato delle pupille ricordano il modo in cui Jacobello12 dipingeva i volti. Un gruppo di corali riferibili ai
Domenicani ora conservati a Messina, in particolare il manoscritto Bibl. Univ., Fondo Vecchio, Corale 353,
mostra caratteristiche simili alle illustrazioni marginali del codice Egerton 747. Daneu Lattanzi, nel datare questi
testi al XIV secolo, afferma che “Tutti riflettono, oltre i modi bolognesi, anche l’arte napoletana dell’età
angioina.””13. Minta Collins nel suo recente studio ha ipotizzato che “le iniziali decorate con figure e i margini
del manoscritto Egerton 747 siano state prodotte da artisti diversi rispetto al responsabile del resto delle
illustrazioni del codice, (…) che il primo sia stato un artista di professione proveniente dal territorio di Salerno e
Napoli, influenzato da Jacobello oppure operante nello stesso circuito, probabilmente in un periodo leggermente
posteriore alla prima opera datata dell’artista.”14
Rozze figure d’uomo appaiono in altre illustrazioni, ma generalmente costituiscono variazioni della stesso
soggetto, rappresentato di profilo, con una corta tunica drappeggiata diagonalmente sul davanti, immagini
differenziate solo dai copricapi e da piccoli segni del volto, una barba, l’atteggiamento della bocca; immagini
costruite senza nessun tentativo di chiaroscuro, di profondità o di plasticità con flebili linee a penna e dipinte con
pallidi tratti della stessa gamma di colori utilizzata nella raffigurazione delle piante: verde, ocra, marrone con
tocchi di blu e di rosa per abiti e volti.
Nell’aloe lignum (f. 2r) è un uomo che raccoglie il legno “in un grande fiume della parte settentrionale di
Babilonia, a cui si unisce il fiume del Paradiso”; nell’alumen. (f.3r), nell’antimonium (f.4r), scava una collina
con un piccone per estrarre terra o minerali. Analogamente nel sulfur (f.88v) dove in lontananza sono disegnati
anche gli edifici di una città. Nell’Auripigmentum (f.9r), l’arsenico è rappresentato da una massa tondeggiante di
colore giallo aranciato al centro di una collina stilizzata, in un paesaggio essenziale, occasionalmente cosparso di
erbe e di riconoscibili querce. Il testo recita “Nasce da una vena della terra. Scioglie, attrae, purifica. Le specie
sono due: rosso e nero; quello nero si utizza in medicina.” E l’immagine presta attenzione allo scritto
evidenziando delle macchie nere al centro del minerale, sintomo di una sinergia tra contenuto e illustrazione.
Sulla sinistra è presente un’inconsueta rappresentazione di un uomo dalla pelle nera che porta un cesto verso una
torre collocata alla sua destra. Un’immagine molto simile illustra il bolus (f.12v), un minerale “que precipue in
Armenia repperitur” da cui la denominazione di bolo armeno. Ancora un uomo, ma con un vestito blu, è posto in
un giardino recintato a raccogliere la resina, nell’iconografia della voce balsamus (f.12r). “Il balsamo, affermano
alcuni, è un albero, oppure, come è più certo poiché lo afferma Dioscoride e coloro che lo hanno visto, un
arbusto che non cresce oltre un’altezza massima di due cubiti. Cresce in un campo presso Babilonia, dove vi
sono sette fonti.” In questo capitolo appare nuovamente concordanza di testo e immagine, che, in verità, offre un
frutteto di alberi non ben classificabili, non la Commiphora opobalsamum, Engl15, che doveva essere qui
rappresentata. Oltre al testo, la descrizione dei luoghi d’origine di questo semplice esotico va messa in relazione
anche con i racconti di viaggiatori di cultura islamica, presenti, tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo,
nell’area salernitana, “racconti sul famoso giardino reale di piante balsamiche di Babilonia o della vecchia Cairo
10
Cfr. E. Milano, Op.cit., p. 21.
O. Pächt, La miniatura medievale, Bollati Boringhieri, Torino 1994(2 ed.), pp. 49-94.
12
Per Jacobello vedi M. Collins, Op. cit., pp. 287 n. 52.
13
, Ibid., pp. 247-248.
14
Ibid., p. 249.
15
L. Mauro, “Indice dei semplici,” in Mater Herbarum. Fonti e tradizione della Scuola medica Salernitana, (a
cura di M. Venturi Ferriolo), Guerini e Associati, Milano 1995, p.133.
11
in Egitto, dove dovevano esserci fontane e alberi con vasi di raccolta”16. Del terebentinum, (f.102r) viene
mostrato solo colui che ne raccoglie la resina con un recipiente e una sorta di lungo mestolo tra le mani.
Nell'illustrazione dei “semplici” vegetali, senz’altro più cospicua, l'uomo è posto solo accanto al ficus (f.41v), le
cui foglie qui vengono rappresentate in maniera molto vicina alla realtà. Due scene ugualmente stilizzate di
caccia illustrano i capitoli riguardanti il castoreum (f. 22r) ed il muscus (f. 63r). Nella prima è rappresentata la
caccia al castoro, l’animale si è già strappato con i denti i testicoli, lo sottolinea una macchia nera che ne cita
l’assenza. Il riferimento è alla famosa leggenda che narra dell’inutile tentativo della bestia di aver franca la vita,
liberandosi istintivamente di quegli organi che credeva causa della sua morte, ignaro che l'interesse dei cacciatori
era rivolto anche alla sua pelle. Nella seconda, animali, che vivono in India, simili ai caprioli, vengono ricercati
per prelevare alcuni umori presenti in alcune escrescenze (apostemata). Oltre il margine del testo è disegnato un
cacciatore, accompagnato dal suo cane, nell'atto di scoccare una seconda freccia, la prima, infatti, ha già colpito
uno dei due animali presenti nella scena.
“E’ una sostanza terrosa che proviene dai territori d’oltre mare della Palestina, è di colore nero e pesante. Altri
affermano che derivi dalla schiuma del lago in cui furono sommerse Sodoma e Gomarra, mista a creta e
indurita”. La descrizione dell’asphaltum (f. 9r) è riproposta dall’immagine che ritrae gli edifici di una città
anch’essi di “colore nero e pesante”.
Da un’edificio di pietra nasce il cottidilion, l’ombelico di Venere, (f. 29r), “una pianta perenne e carnosa, con le
foglie a forma di dischetto e la caratteristica fossetta al centro, dove foglia e picciolo si uniscono evocando
l’ombelico della dea”.17 ". Questa è una descrizione botanica, ma anche la rappresentazione dell'Egerton
presuppone un'attenzione e una conoscenza della realtà.
Nel codice londinese la descrizione dei “semplici” vegetali è lasciata completamente alle immagini: nel
testo, cioè, vi è in primis l'attribuzione allo schema quadripartito- caldo, freddo, secco e umido-, talvolta sono
citati anche autori di altri erbari e infine le indicazioni terapeutiche, ma mai la descrizione botanica. Chi illustra
il testo ha anche il compito di descrivere: è dotato di una buona conoscenza della realtà vegetale e ama la
precisione delle linee, unita all'osservazione dei dettagli. La cura del particolare manifesta un tentativo di ritratto
dal vero. Ci si rivolge alla natura quando è possibile, ma queste illustrazioni “non possono ancora essere
considerate delle riproduzioni fedeli nel senso letterale della parola; esse non sono fondate esclusivamente sugli
studi dal vero, ma sono piuttosto il risultato di un attento confronto tra i modelli iconografici (d’origine classica)
e i modelli dal vero” e annunciano la “rinascita del naturalismo” nell'arte europea, acquistando un ruolo
importante nell’evoluzione della pittura paesaggistica.18
L’interesse di colui che illustra è rivolto soprattutto alla possibilità di una identificazione botanica, non
alla rappresentazione naturalistica: le radici hanno spesso un posto di primo piano come nell'enula (f.34v), e
soprattutto nella mandragora (f.61v).
Nel codice londinese, quest'ultima viene rappresentata come un qualunque altro "semplice", quasi una
consapevolezza, da parte di colui che disegna, della differenza degli studi salernitani, rivolti ad una ricerca e ad
una sperimentazione reali. Si pensi che ancora nel XV secolo, un erbario tedesco compilato nell'Italia
Settentrionale ripropone l’immagine classica di questa pianta dalla forma antropomorfa, con un erborista che
suona il corno e un cane da caccia. E' il riferimento alla leggenda secondo la quale si scavava attorno alla
mandragora per scoprire solo in minima parte le sue radici; poi si legava ad essa un cane che slanciandosi avanti
la estirpava, Ma era indispensabile turarsi le orecchie con la cera, perchè la radice, estirpata, emetteva un grido
così lancinante da uccidere chiunque lo udisse, e proprio in quel momento la bestia stramazzava al suolo
fulminata.
La cultura medica salernitana non accetta, neanche nella rappresentazione, questa leggenda, come tante
altre, e ricorda negli aforismi del Regimen sanitatis salernitanum, tra le qualità salvifiche della salvia (f.43r), che
"contra vim mortis non est medicamentum in hortis" sono i limiti temporanei dell’uomo dentro la totalità
temporale della natura.
Per affrontare la complessità di un testo di botanica medievale, come è evidente, sono necessarie
molteplici competenze non solo paleografiche e filologiche, ma anche botaniche e mediche e, nel caso di un
codice miniato, anche iconografiche, alle quali si aggiungono, in caso di pubblicazione, difficili progetti per una
complessiva fruizione. Non vanno dimenticati anche i rilevanti costi editoriali, infatti per un manoscritto di
particolare bellezza estetica o di singolare valore contenutistico la scelta editoriale è generalmente in facsimile,
una tecnica molto costosa, che permette la visione perfetta dell’opera, ma non una fruizione diversa.
La multimedialità si inserisce all’interno di un nuovo discorso comunicativo, come il solo mezzo
attraverso cui si sviluppano possibilità che, anche per i costi contenuti, consenteno la visione di innumerevoli
immagini a colori: nel caso di un codice miniato esse sono essenziali.
16
Cfr. P. Jones, «Secreta salernitana», Kos, I (1984), pp. 33-50, p.43.
A. Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1996, p.
353.
18
O.Pächt, «Early Italian Nature Studies and the Early Calendar Landscape», Journal of Warburg and
Courtauld Institutes, XIII (1950), pp. 28-29.
17
All’interno del Cd-rom, infatti, sono presenti tutte immagini dell’Egerton 747, ma anche la trascrizione
del testo (latino medievale) e la traduzione in italiano, contenuti che rendono questo prodotto uno strumento di
conoscenza non solo visiva. Un percorso di fruizione allargata che offre possibilità di ulteriore accrescimento,
con modesti costi aggiuntivi, è fondamentale in generale, ma soprattutto per testi medici redatti in latino che non
hanno finora trovato edizioni critiche (più attivo, invece, il versante degli studi sui testi arabi e greci), spesso
insoddisfacenti perché prive di una dimensione metodologica specifica. La possibilità di nuove integrazioni in
seguito ad ulteriori studi è, per questo testo, come per molti altri analoghi, un punto vincente. Le ragioni di
questa “assenza” sono individuabili nella mole e nella complessità degli scritti di medicina antica (si pensi al
solo Liber Canonis di Avicenna o al De Materia Medica di Dioscoride!), nella loro complessa tradizione
manoscritta (si tratta, infatti, di testi contenuti in diverse decine, se non centinaia di manoscritti spesso in
versioni diverse, come è il caso del Circa Instans di Matteo Plateario o del De viribus herbarum di Macer
Floridus), non ultimo nella molteplicità di competenze.
L’avvento della logica dei nuovi media, infatti, permette di sostituire gli elementi di rigidità e di
pesantezza, propri del tradizionale modello archivistico, con una maggiore potenza di intuizione e di conoscenza
delle metodologie di ricerca, una flessibilità intellettuale che disgrega la rocciosa struttura gerarchica che è stata
per lungo tempo l’ossatura delle organizzazioni archivistiche; una logica vincente se affiancata anche da
produzioni scientifiche editoriali di supporto.
Il Cd rom permette di esplorare il Tractatus de herbis attraverso quattro sezioni:
1) il bottone “descrizione” offre all’utente la possibilità di accedere ad una sezione che contiene le
informazioni tecniche del codice, denominata “ dati esterni” (aspetto, dimensione, datazione, provenienza,
note di possesso, natura e rilegatura dei fogli, struttura e numerazione delle pagine, grafia) e un’altra che
porta ad una breve descrizione del contenuto.
2) Il bottone “note ai testi”, è una breve spiegazione introduttiva sui metodi e sui criteri usati per la trascrizione
e per la traduzione del Tractatus de herbis, con la citazione delle fonti utilizzate;
3) Il bottone “indice” permette un rapido accesso ai lemmi, disposti nello stesso ordine alfabetico presente nel
manoscritto. Alcune voci, debitamente segnate, sono state trascritte e tradotte. Questo lavoro dovrà
estendersi a tutte le voci. Inoltre saranno inserite anche tutte le relative immagini dei “semplici” tratte da
libri di botanica contemporanea, così da poter confrontare le miniature del codice con le immagini reali.
4) Il bottone “Egerton 747” dà accesso all’interno del codice, che si può sfogliare completamente. Ogni
schermata comprende due pagine, verso e recto, facilmente identificabili per la numerazione posta in alto.
Per ora solo alcune sono fornite di un ulteriore bottone, una lente di ingrandimento, che permette di accedere
e alla sezione di approfondimento con la trascrizione e la traduzione e all’ingrandimento della pagina stessa
per visualizzare della scrittura dell’amanuense, nonché del “semplice” relativo che può essere ingrandito in
maniera da poter esaminare i singoli particolari;
5) Un bottone contrassegnato col punto interrogativo è una funzione di Help, che descrive ciascun bottone di
navigazione.
In sintesi l’esperienza presente pone l’accento su una ulteriore necessità di collaborazione tra operatori dei Beni
culturali e scienziati che si interessano di intelligenza artificiale, perché solo attraverso questa collaborazione
potranno essere superati gli ostacoli compilativi, ai quali molti, se non tutti gli operatori di materie umanistiche,
non sonno far fronte, d’altro canto anche coloro che operano nel settore più tecnologico, senza un’approfondita
conoscenza della complessità dei contenuti, non potranno “riempire” adeguatamente i loro contenitori
quantunque innovativi.
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