Neanderthal ci difende dai virus

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Biologia I nuovi mezzi
di indagine consentono
un'analisi dei reperti
che integra e a volte
contraddice le ipotesi
degli archeologi.
Si arriva così
a riscrivere la preistoria
dell'Homo sapiens
Neanderthal ci difende dai virus
L'esame del Dna sui fossili mostra che abbiamo ereditato
diversi geni da altre specie umane ormai estinte
Spesso sono preziosi, ma a volte causano gravi malattie
di GIUSEPPE REMUZZI
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I
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W migliaia di anni fa e
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di qualità sufficiente da poterlo studiare?». Se un impertinente e avvertito uomo della strada l'avesse chiesto a un bravo archeologo anche solo cinque anni fa,
la risposta sarebbe stata più o meno questa: «No, non si può fare, estrarre Dna da
fossili (ossa per esempio) senza contaminarlo con il Dna di adesso è assolutamente impossibile». Nel giro di pochi anni
però è cambiato tutto; non solo il Dna si
può estrarre e sequenziare con risultati
assai affidabili, ma questi studi aprono
prospettive inimmaginabili. Grazie al
Dna cominciamo a capire chi erano davvero i nostri antenati e che rapporto c'era
fra loro e i nostri cugini più prossimi, come si sono spostati da una parte all'altra
della Terra e come si sono incrociati fra
loro.
Sapere se i Neanderthal in Europa fossero o no i nostri antenati, come si pensava una volta, o se fossero una specie del
tutto diversa, che poi è andata estinguendosi per essere sostituita dall'Homo sapiens, è arduo se pretendi di arrivarci con
gli strumenti dell'archeologia classica.
Meglio farlo con il Dna: di quello che vien
fuori ti puoi fidare molto di più.
Svante Paàbo e i suoi colleghi del Max
Planck Institute di Lipsia, in Germania,
avevano in mano il Dna di tre donne di
Neanderthal e, dopo essersi assicurati
che non ci fossero contaminazioni, l'hanno comparato col nostro. Il genoma (l'insieme di tutti i geni contenuti nel Dna del
nucleo delle cellule) di Neanderthal è diverso dal nostro, su questo ormai non ci
sono più dubbi. Vuol dire che l'uomo
moderno non ha niente a che spartire
con Neanderthal? Non proprio.
Europei e asiatici hanno un po' di Dna
di Neanderthal, poco (dall'i al 3 per cento
di tutto il Dna), ma c'è. E non basta, gli
studi più recenti sul Dna ancestrale hanno potuto stabilire che YHomo sapiens si
è incrociato con Neanderthal almeno tre
volte e che questo dev'essere successo tra
35 mila e 85 mila anni fa in Persia. Inoltre
c'è un uomo vissuto in Romania 40 mila
anni fa che discendeva direttamente da
Neanderthal. Lo studio del genoma ha
fatto vedere che in Siberia c'era un altro
tipo di uomo, Denisovan (o uomo di Denisova), simile a Neanderthal per certi
versi, ma geneticamente lontano.
Esempi così, a contraddire i dettami
della morfologia tradizionale, ce ne sono
tanti. Ed ecco un esempio clamoroso: i
SEGNALAZIONI
GIUSEPPE REMUZZI
caratteri somatici di un uomo vissuto
nello Stato di Washington 8.500 anni fa
orientavano verso ascendenti polinesiani
o tutt'al più giapponesi, niente a che vedere con le caratteristiche fisiche degli
indigeni americani. Così si è sempre pensato che quell'uomo fosse arrivato dalle
parti del fiume Colombia, con una delle
più antiche migrazioni dall'Asia. Ma dalla
sequenza del Dna viene fuori che il suo
genoma assomiglia in modo impressionante a quello degli indigeni d'America.
Non solo, ma lo studio del Dna ci sta
facendo capire che chi vive in una certa
area geografica oggi ha ben poco in comune con quelli che ci vivevano migliaia
di anni fa. È il caso di un bambino vissuto
in Siberia 24 mila anni fa (Mal'ta boy).
Quando si è potuto sequenziare il suo genoma, nel 2013, non si è trovato nessun
rapporto col Dna di chi vive oggi nell'Asia
centrale. Ci sono analogie invece fra quel
bambino e l'uomo di Kennewick, geneticamente vicino agli indigeni d'America
(a dimostrazione di come certe popolazioni si siano mosse fra la Paleo-Asia e le
Americhe).
C'è un'altra circostanza che ha lasciato
di stucco gli archeologi: è stato quando
l'analisi del Dna che loro stessi avevano
fornito ai genetisti del laboratorio di David Reich a Boston ha dimostrato come i
membri delle stirpi Yamnaya delle steppe
russe dovessero considerarsi i veri antenati di certe popolazioni germaniche.
Questa scoperta era così controcorrente
che, sulle prime, gli archeologi non volevano firmare il lavoro di Reich; l'hanno
fatto solo dopo essersi convinti che l'analisi del Dna non lasciava dubbi.
Vuol dire che lo studio del Dna sostituirà i metodi dell'archeologia tradizionale? No, non del tutto perlomeno, ma
certo darà un contributo fondamentale e
rivoluzionerà anche questo campo della
scienza, come è già successo per la medicina. Per esempio come siamo arrivati ad
essere quello che siamo, a sopravvivere a
tutte le difficoltà dell'ambiente in gran
parte ostile alla vita? «È pervia dell'evoluzione», dirà chi ha la pazienza di leggere
queste righe. Giusto, ma per introdurre
nel genoma di una popolazione le mutazioni che servono per resistere a certe circostanze sfavorevoli ci vogliono centinaia, quando non migliaia, di generazioni.
Ma ci sarebbe una scorciatoia, almeno in
teoria: una volta che si arriva in un luogo
eventualmente ostile, ci si incrocia con
chi vive lì, che i geni favorevoli li ha già
(se no non sarebbe sopravvissuto), e così
si superano le difficoltà degli ambienti
diversi dal tuo. Sembra molto logico. Però, per dimostrare che sia successo davvero e come e quando e per capire fino a
che punto l'esserci incrociati con Neanderthal o con l'uomo di Denisova abbia
aiutato davvero i nostri antenati a sopravvivere, serviva l'analisi del Dna.
Come hanno fatto certe popolazioni
che vivevano molto in alto nel Tibet a sopravvivere in un ambiente così povero di
ossigeno? Hanno preso dall'uomo di Desinova un gene — Epasi — che li aiutava
a utilizzare l'ossigeno al meglio e questo
gene Neanderthal non ce l'ha, secondo
studi appena pubblicati da studiosi di
Berkeley, in California. Come ha fatto
l'uomo moderno, quando ha cominciato
a viaggiare dappertutto, a difendersi da
batteri e virus mai incontrati prima? Grazie a Neanderthal. Proprio così, da lui abbiamo preso un certo gene Stat2, che ci
difende dai virus e non solo, e poi il gene
per interleukina 18, che è coinvolto in
processi antiinfiammatori, e abbiamo acquisito una serie di geni (i medici dicono
dell'Hla che sta per Human leukocyte antigens) che allertano il sistema immune
della presenza di invasori. Neanderthal, i
cui antenati hanno avuto almeno 200 mila anni per adattarsi al freddo e al cielo
grigio di gran parte dell' Europa, ci ha trasmesso anche Bnc2, il gene della pelle
bianca che ci consente di sintetizzare più
vitamina D. Chi ha popolato l'Europa, ma
anche l'America, come appena pubblicato su «Nature Reviews Genetics», si è
adattato in fretta alle condizioni sfavorevoli dell'ambiente grazie ai geni di Neanderthal, quelli che proteggono la cute dal
perdere acqua per esempio e anche quelli che consentivano di avere più peli per
proteggersi dal freddo. Certi geni di Neanderthal proteggono la cute dalle abrasioni: vuol dire che senza un po' di quel
Dna per l'uomo moderno difendersi dalle infezioni sarebbe stato molto più difficile.
Neanderthal ci ha passato solo geni
buoni? No affatto, molti messicani e indigeni americani e certe popolazioni dell'Asia hanno preso da lui un gene che li
predispone al diabete. È un gene che previene la degradazione dei grassi: a Neanderthal serviva, a noi oggi proprio no. E
persino schizofrenia e malattie autoimmuni potrebbero venire da Dna arcaico.
Non solo, ma è stato appena pubblicato
su «Nature» un lavoro che dimostra come regioni geniche che derivano da Neanderthal favoriscano l'insorgere di
lupus eritematoso — una malattia del sistema immune che colpisce soprattutto
SEGNALAZIONI
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le giovani donne —, ma anche di altre
malattie autoimmuni, cirrosi biliare e
malattia di Crohn per esempio.
Certe persone soffrono di disturbi della coagulazione: da dove vengono? Forse
dai geni del sistema immune di Neanderthal, che a lui servivano per uscire dall'Africa e potersi adattare ad altri ambienti. Persino l'indulgere o meno al piacere
del fumo di sigaretta ci viene forse da Neanderthal e c'è un piccolo mistero nella
storia dei rapporti fra Neanderthal e uomo moderno. Il cromosoma X, ricco di
geni della fertilità, è povero invece di Dna
di Neanderthal, l'opposto di quello che ci
si poteva aspettare. Forse chi aveva più
Dna di Neanderthal era sterile, o comunque meno fertile, e nell'evoluzione di uomini con materiale genetico di Neanderthal nel cromosoma X si sono perse le
tracce.
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Ciò non si applica solo ai geni della fertilità: quando un certo gene non serviva o
addirittura comprometteva la sopravvivenza della specie — quello del cromosoma X è solo un esempio — lo si eliminava
(biological incompatibility). E quegli uomini che riuscivano a prendersi il meglio
da Neanderthal ed eventualmente da Denisovan e a ignorare il materiale genetico
che non serve (o che ti fa stare peggio)
erano destinati nel corso dei millenni a
prevalere sugli altri. Ma non l'hanno fatto
tutti allo stesso modo; perché c'è un po'
più materiale genetico di Neanderthal
negli asiatici dell'est, per esempio, che
negli europei? Su questo nessuno ha le
idee chiare per adesso. La spiegazione
più probabile è che l'uomo moderno si
sia accoppiato con Neanderthal in più di
un'occasione e in aree geografiche diverse.
Una cosa è sicura: più si studia il Dna
arcaico, più capiremo come siamo arrivati a vivere dove viviamo e a essere quello
che siamo. Sulle migrazioni per esempio
dall'Africa, all'Asia, all'America, all'Europa gli archeologi avevano certe idee, presto avremo dati sicuri. «Cambia tutto —
ha dichiarato a "Nature" Christina Warriner dell'Università dell'Oklahoma —, poter sequenziare il Dna di individui vissuti
30 mila, 40 mila e anche 50 mila anni fa
sarà come riscrivere la preistoria».
Il meticciato
Gli incroci
Gli studi più recenti sul Dna
Certe popolazioni che
ancestrale hanno stabilito
vivevano nel Tibet si sono
che l'Homo sapiens si è
adattate alla scarsità
incrociato con Neanderthal
di ossigeno grazie a un
almeno tre volte gene dell'uomo di Denisova
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GIUSEPPE REMUZZI
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