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Silvia Vegetti Finzi
Una bambina
senza stella
Le risorse segrete dell’infanzia
per superare le difficoltà della vita
Proprietà letteraria riservata
© 2015 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-08297-6
Prima edizione: agosto 2015
Impaginazione e redazione: studio pym / Milano
Pensa a Itaca, sempre
il tuo destino ti ci porterà
(…) Non sperare ti giungano ricchezze:
il regalo di Itaca è il bel viaggio
senza di lei non lo avresti intrapreso.
Di più non ha da dirti.
E se ti appare povera all’arrivo
non t’ha ingannato.
Carico di saggezza e di esperienza
avrai capito un’Itaca cos’è.
KONSTANTINOS KAVAFIS
Ricordati di essere stato un bambino
Cara lettrice o caro lettore, se stai leggendo queste righe
significa che qualche cosa ci avvicina, forse è solo un incontro casuale ma mi auguro che si trasformi, col procedere delle pagine, in una profonda sintonia.
Mi rivolgo a te in forma epistolare perché questo libro un po’ speciale, incollocabile in un preciso genere
letterario, non si presta alla consueta, formale Introduzione. Come ogni ricordo d’infanzia, perché di questo
si tratta, chiede intimità, attenzione, condivisione. Non
è facile recuperare dal passato la nostra parte bambina,
la più fragile, la più segreta. Fatta d’immagini, più che
di parole, si ammanta di pudore, sfugge al sentimentalismo, si sottrae all’esposizione. Eppure è forte il desiderio di riportarla alla luce perché contiene il nocciolo
della nostra identità. Tutto ciò che siamo, persino le occasioni perdute, si trova là, nei sedimenti della memoria che, del fluire del tempo, trattiene l’essenziale. Avrei
voluto scrivere una storia, la mia storia, ma non mi è
stato possibile perché per intero non la conosco e avrei
finito per colmare le lacune con ipotesi forse verosimili ma false.
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Le rimembranze invece, non avendo alcuna pretesa di obiettività, possono dire la verità, almeno quella personale, vissuta e conservata negli archivi della
memoria.
Appartengo alla generazione di bambini che c’erano,
il secolo scorso, quando una guerra senza precedenti
sconvolse il mondo. Ma il trauma che quel conflitto ha
provocato è stato tale da mettere a tacere molte testimonianze e spezzare il filo della memoria. I piccoli allora
non erano autorizzati a parlare e, in ogni caso, nessuno
li avrebbe ascoltati. Né erano incoraggiati a ricordare
ciò che tutti volevano dimenticare. Ho cercato quindi,
per loro e per me, di dar voce a frammenti di memoria,
a lampi che illuminano l’oscurità di un passato che nessuno ha raccolto in un album di famiglia o tradotto in
una narrazione compiuta, meritevole di essere conservata e trasmessa.
Ma ora, molti decenni dopo, che senso ha recuperare
frammenti di ricordi infantili dispersi sul grande schermo di eventi epocali, raccogliere minuzie che riguardano una bambina vissuta tanto tempo fa e che, dobbiamo ammetterlo, non ha avuto, nel bene e nel male, un
destino eccezionale? È stata tutt’al più una «bambina
senza stella» nel senso che non è stata marchiata, come
gli ebrei di altri Paesi, con la stella giudaica, ma anche
nel senso che, coinvolta nelle persecuzioni razziali, ha
dovuto affrontare la sfortuna di un precoce abbandono. Come ogni biografia, la sua è unica e irripetibile ma
è proprio nel particolare che si cela l’universale: tutti si
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nasce figli e anche l’infanzia più felice affronta esperienze di solitudine, di incomprensione, di dolore. E il
dolore dei bambini non conosce prescrizione.
La protagonista del libro, chiamata «la bambina»
per sottrarla, almeno in parte, all’egocentrismo dell’autobiografia, viene ritrovata nel bosco del passato seguendo frammenti di memoria simili ai sassolini bianchi con cui Pollicino ripercorre la strada verso casa. Le
sue esperienze sono accadute in tempi, luoghi e circostanze cronologicamente vicini ma psicologicamente
lontani perché il mondo è cambiato in fretta e il sipario
dell’oblio si sta chiudendo sullo scenario del Novecento.
Prima che sia troppo tardi questo libro intende aprire uno spazio ove s’incontrino i miei e i vostri, di voi
che leggete, ricordi d’infanzia. Come Christa Wolf: «Io
comprendo solo ciò che condivido». La nostra vita non
è tanto quella vissuta, quanto quella narrata, che non
cessa mai di ricercare il senso del nostro destino.
Proprio per dar conto della duplice appartenenza
dei ricordi all’evocazione e alla comprensione, il testo
procede alternando due voci dialoganti: l’una narrativa, talora poetica, l’altra riflessiva, talora psicoanalitica.
Lo sdoppiamento riflette da una parte la mia biografia,
dall’altra il sapere che ho tratto dall’ascolto e dalla cura
dei bambini. Mentre un fermo immagine presenta l’immediatezza della vita vissuta, la riflessione ne ricostruisce retrospettivamente il contesto cercando di trarre, da
un evento particolare, considerazioni valide per tutti.
Contrariamente a molti saggi di psicologia, che descri9
vono un’infanzia generica e astratta, oppure fanno riferimento a casi patologici, i pensieri e i sentimenti della
protagonista si ritrovano nell’esistenza di tutti. A uno
sfondo epocale tragico – la Seconda guerra mondiale –
e a una situazione familiare tormentata, contrassegnata
dalla lontananza, dall’indifferenza e dal disamore fa riscontro la vitalità della mente infantile, dove la solitudine e il dolore si rifiutano di cedere alla rabbia e alla disperazione. Per quanto nella nostra biografia il destino
possa apparire determinante, è sempre possibile reperire margini di libertà e autonomia che ci consentono, almeno in parte, di divenire protagonisti della nostra vita
e autori della nostra storia.
In una realtà particolarmente ostile, la bambina utilizza le risorse dell’età e della femminilità non solo per
sopravvivere, ma per procedere verso l’età adulta restando fedele a se stessa, al nucleo della sua identità.
In questi anni in cui i genitori, per proteggere i figli
da ogni male, impediscono loro di tentare, di sbagliare
e riprovare, vorrei testimoniare che i bambini possono,
almeno in parte, prendersi cura di sé, aiutarsi, consolarsi e diventare grandi utilizzando le loro potenzialità, le
loro risorse. Sono ancora privi di esperienza, è vero, ma
la vita s’impara solo vivendo.
Come i cuccioli degli animali, anche quelli umani
possiedono straordinarie capacità di adattamento e in
più, grazie a una fervida immaginazione creativa, possono uscire indenni, come l’araba fenice, da brucianti
situazioni esistenziali. Questa convinzione non ci au10
torizza però a buttarli in mare sperando che se la cavino da soli. Ognuno ha diritto di nascere sotto il segno
dell’amore e di essere accompagnato, nel cammino verso la maturità, da adulti attenti e comprensivi. Tuttavia
senza rischi non si cresce e chi non ha mai affrontato il
dolore non ha potuto produrre anticorpi che difendano
dallo sconforto e dalla disperazione.
È innanzitutto ai genitori che questo libro si rivolge
nel tentativo di affinare una sensibilità appannata dalla
paura del presente e dall’ansia del futuro.
Molte, troppe preoccupazioni li inducono a proteggere, incentivare e promuovere i figli sino a manipolarli
e, talora, sostituirli. Giustamente Maria Montessori fa
dire al bambino: «Aiutami a fare da solo».
Nei giovani genitori, che spesso incontrano per la prima volta un neonato quando prendono tra le braccia il
proprio, appare indebolita la predisposizione a cogliere
le sue sensazioni, a sintonizzarsi con i suoi stati d’animo,
a decifrarne i pensieri impliciti. Possono però recuperare questa facoltà riattivando i loro residui d’infanzia.
Il bambino che permane in noi ci aiuta a comprendere quelli che ci stanno accanto e a raggiungerli là dove si trovano: nei meandri della fantasia, nell’intermittenza delle emozioni. Ed è proprio verso quell’«altrove» intimo e segreto che conduce il filo rosso dei vissuti della protagonista, una bambina che ha ricavato, dal
trauma dell’abbandono, uno sguardo prospettico sulla
realtà e riflessivo su di sé. Si tratta certo di una vicenda
personale ma, in quanto tutta la vita si configura come
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un seguito di abbandoni, è possibile riconoscere, nei
suoi sentimenti e nelle sue reazioni, quelle di tutti.
In ogni caso, per quanto lo scandaglio della psiche
possa calarsi in profondità, non riuscirà mai a raggiungere il nucleo indecifrabile che ci rende un enigma per
noi stessi. Tuttavia vale la pena di ricordare e riflettere
insieme per spezzare la solitudine e l’insignificanza che
ci minacciano condividendo un amarcord, capace di far
risuonare le voci di un passato che ancora reclama di
essere ascoltato e compreso.
Ringraziandoti per avermi seguito sin qui, spero di
proseguire con te, lettrice o lettore, il cammino appena
intrapreso.
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